LA STORIA DELLA PLASTICA

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1 LA STORIA DELLA PLASTICA UNA STORIA CHE HA CAMBIATO LA FACCIA DEL MONDO Negli ultimi cinquant'anni l'industria delle materie plastiche ha avuto uno sviluppo di proporzioni gigantesche, superando quella dell'acciaio. Dopo il 1945 polistirene, polietilene, cloruro di polivinile, poliammidi, polimetilmetacrilato e poi polipropilene, sono entrati nelle case di tutti, indipendentemente dalla condizione sociale, nei più remoti villaggi come nelle grandi città, nei paesi industrializzati come nelle economie agricole. É stato un fenomeno - mai verificatosi nella storia dell'uomo in proporzioni così estese e con una dinamica così veloce - di sostituzione progressiva dei materiali tradizionali con le nuove sostanze sintetiche e di ripensamento formale delle strutture e delle forme ergonomiche degli attrezzi, delle suppellettili e degli oggetti di cui l'uomo quotidianamente si circonda e si serve. La stessa bacinella, fabbricata con lo stesso materiale, nei medesimi colori e nelle medesime forme la ritroviamo a Manila come a Boston, a Mosca come a Parigi o a Lagos. Ripercorriamo le tappe di questa storia affascinante che ha cambiato la faccia del mondo nel quale viviamo. Tutto incominciò intorno al 1860 Alexander Parkes nato a Birmingham nel 1831, fu cresciuto nel culto dell'ideologia dell'invenzione, pur senza aver una formazione scolastica specifica nel campo della chimica e della fisica. Era una condizione abbastanza comune a quel tempo. Parkes si occupò per qualche tempo della lavorazione della gomma naturale, in momento in cui in questo campo si facevano grandi passi avanti con la scoperta della vulcanizzazione e delle prime macchine di lavorazione. Di qui il suo interesse per altre sostanze che potessero dare risultati simili a quelli della gomma in alcuni impieghi sempre più richiesti dalle industrie. Studiando il nitrato di cellulosa ottenuto nel 1845 a Basilea da C.F. Schoenbein, Parkes ottenne un novo materiale che poteva essere "usato allo stato solido, plastico o fluido, (che) si presentava di volta in volta rigido come l'avorio, opaco,, flessibile, resistente all'acqua, colorabile e si poteva lavorare all'utensile come i metalli, stampare per compressione, laminare". Con queste parole l'inventore descriveva la Parkesine, cioè un tipo di celluloide - brevettata nel in un foglietto pubblicitario diffuso nel 1862, in occasione dell'esposizione Internazionale di Londra dove

2 furono esposti i primi campioni di quella che possiamo considerare a buon diritto la materia plastica primigenia, capostipite di una grande famiglia di polimeri che oggi conta alcune centinaia di componenti. Analoghe sollecitazioni per la ricerca di nuovi materiali spinsero negli Stati Uniti un giovane tipografo di Starkey a seguire le orme di Parkes. John Wesley Hyatt, così si chiamava, aveva letto a Albany, nello stato di New York, un bando di concorso promosso dalla ditta Phelan and Collander, produttrice di palle da biliardo, nel quale si prometteva un premio di diecimila dollari a chi avesse sviluppato un materiale capace di sostituire l'avorio nella fabbricazione delle palle per biliardo, in quanto la materia prima naturale stata scarseggiando. A partire dal 1863 quindi Hyatt si buttò a capofitto nella ricerca dell'"avorio artificiale" o comunque di un qualsiasi nuovo materiale capace di soddisfare le richieste delle industrie. Ebbe successo intorno al 1869 con un composto a base appunto di nitrato di cellulosa, proprio come era accaduto a Parkes poco tempo prima. Nasceva così la Celluloide con un brevetto depositato il 12 luglio La prima fabbrica della nuova materia plastica artificiale si chiamò Albany Dental Plate Company e fu fondata nel Il suo nome si spiega col fatto che uno dei primissimi impieghi della Celluloide fu sperimentato dai dentisti, felici di sostituire con essa la gomma vulcanizzata, allora molto costosa, usata per ottenere le impronte dentarie. Due anni più tardi la Dental Plate Company si trasformò in Celluloid Manufacturing Company con uno stabilimento a Newark, nel New Jersey. É questa la prima volta che compare il termine Celluloide ( derivato chiaramente da cellulosa), marchio depositato destinato ad avere molta fortuna negli anni successivi così da diventare un nome comune per designare, in generale, le materie plastiche a base di cellulosa e non soltanto quelle. L'apporto teorico della scienza dei polimeri Fu Hermann Staudinger ( ), direttore dell'istituto di chimica di Friburgo, ad avviare nel 1920 gli studi teorici sulla struttura e le proprietà dei polimeri naturali (cellulosa, isoprene) e sintetici. Egli contestò le teorie correnti sulla natura delle sostanze polimeriche come composti di associazione tenuti insieme da valenze secondarie e propose per i polimeri sintetici dello stirene e della formaldeide e per la gomma naturale le formule a catena aperta che oggi sono accettate da tutti. Attribuì le proprietà colloidali degli alti polimeri esclusivamente all'elevato peso delle loro

3 molecole, proponendo di chiamarle macromolecole. Le teorie di Staudinger non furono accolte con favore da tutti e la discussione, a livello scientifico, continuò per tutti gli anni Venti. Le dimostrazioni sperimentali fecero cadere gli argomenti degli oppositori, soprattutto dopo le indagini sistematiche ai raggi X di vari polimeri e i lavori di sintesi di W.H. Carothers che dimostrò, appunto per via sperimentale, la struttura lineare delle macromolecole. Tale chiarimento pose le basi per lo sviluppo della chimica macromolecolare in termini scientifici e non per casuali invenzioni come era avvenuto per Parkes e Hyatt. Contemporaneamente, veniva chiarito negli aspetti essenziali il meccanismo chimico della polimerizzazione e della copolimerizzazione, studi che culmineranno nel 1954 con le scoperte di K. Ziegler e di G. Natta sui catalizzatori di polimerizzazione dell'etilene. In quello stesso anno Natta e i suoi collaboratori del Politecnico di Milano e della Montecatini ottennero con quei catalizzatori una classe di polimeri altamente cristallini che furono chiamati isotattici, perchè caratterizzati dalla presenza di lunghe sequenze di unità monomeriche aventi la stessa configurazione. Uno di questi polimeri è il propilene di Moplen, sviluppato e prodotto industrialmente per la prima volta nel 1957 nello stabilimento Montedison di Ferrara. Il polipropilene si rivelò subito un polimero di grande importanza industriale e la sua produzione aumentò rapidamente in tutto il mondo, particolarmente negli Stati Uniti - nonostante alcune controversie legali in merito alla priorità dell'invenzione- in Giappone, in Gran Bretagna e, ovviamente, in Italia. Nel 1962 la produzione mondiale era di circa trecentomila tonnellate mentre oggi si producono complessivamente circa 15 milioni di tonnellate e il tasso di crescita previsto per questo polimero è il più elevato fra tutte le termoplastiche di grande consumo. Frattanto un nuovo materiale plastico era stato sviluppato in quegli anni: il cloruro polivinile. Quella delle resine viniliche è una storia da manuale che testimonia la tenacia e l'ostinazione richieste ai ricercatori per arrivare al successo. Fu E. Baumann, nel 1872, a studiare il processo di polimerizzazione del cloruro di vinile e a mettere in luce l'importanza del prodotto termoplastico che si poteva ottenere. Tuttavia bisognava attendere l'approfondimento delle conoscenze sulla sintesi del cloruro di vinile ad opera del tedesco F. Katte e del meccanismo di polimerizzazione ad opera del chimico russo Ivanovic Ostromislenski ( ), prima di poter avviare la produzione industriale dei polimeri vinilici. Nel 1927 l'americana Union

4 Carbide Chemicals produsse i primi copolimeri cloruro-acetato di vinile che vennero peròfabbricati su scala industriale soltanto a partire dal Dalle materie plastiche di massa ai tecnopolimeri Dopo la scoperta del PVC, del polietilene, delle poliammidi (Nylon), del polistirene, la migliore conoscenza dei meccanismi di polimerizzazione contribuì negli ultimi venticinque anni alla nascita di altri materiali plastici dotati di caratteristiche fisico meccaniche e di resistenza al calore così elevate da consentire di sostituire i metalli anche in quegli impieghi che un tempo erano considerati di loro esclusiva pertinenza. Questi materiali vengono anche chiamati tecnopolimeri o polimeri per ingegneria. Per alcuni di essi si è addirittura creato il termine di superpolimeri. Dei tecnopolimeri possiamo ricordare il policarbonato, il polimetilpentene, le resine acetaliche, il polifenilene ossido, gli ionomeri, i polisolfoni, le poliimmidi, il polifenilene solfuro, il polibutilentereftalato. Il policarbonato, pur avendo alle spalle una storia di laboratorio che risale al secolo scorso (1898), viene prodotto in quantità commerciali soltanto nel 1959 in Germania e, pressappoco negli stessi mesi, negli Stati Uniti. Oggi il policarbonato è considerato un tecnopolimero con prestazioni superiori alla media ed è usato, fra l'altro, per produrre i caschi spaziali degli astronauti, le lenti corneali che sostituiscono gli occhiali, gli scudi antiproiettile. Il polimetilpentene o TPX è un composto individuato e polimerizzato da Giulio Natta ma sviluppato successivamente dalla ICI. Oggi la società giapponese Mitsui lo ha molto valorizzato, soprattutto per la produzione di articoli per laboratorio clinico, in quanto resiste ottimamente alla sterilizzazione e ha una perfetta trasparenza. Anche le poliimmidi si mantengono stabili se vengono sottoposte per periodi molto lunghi, che possono essere di cinquemila ore, a temperature dell'ordine di 300 C. Queste resine termoindurenti possono dare un'idea del livello di prestazioni raggiunte ormai dalle materie plastiche quanto a resistenza meccanica, termica e alla fatica. Infatti le poliimmidi hanno sostituito i metalli speciali nella produzione di palette per turbine di aerei e altre parti dei motori degli aviogetti e nella produzione di pistoni e fasce elastiche per automobili. Siamo vicini al motore di materiali polimerici.

5 Dalla vecchia cara Celluloide di Hyatt, materiale sostitutivo di sostanze più nobili e pregiate che s'infiammava come uno zolfanello e magari esplodeva, siamo arrivati in poco più di cento anni a questi superpolimeri per molti aspetti superiori ai metalli, alla ceramica e ai materiali tradizionali e quindi ormai insostituibili negli impieghi più avanzati della tecnologia moderna. "La nostra sarà ricordata come l'era dei polimeri", ha detto il Premio Nobel Paul John Flory. "Il futuro appartiene ai tecnopolimeri e polimeri speciali che saranno prodotti forse in quantità più ridotte ma saranno essenziali per il progresso dell'umanità". La storia dei polimeri va di pari passo con il perfezionamento delle tecnologie di trasformazione che consentono di tramutare un pugno di granuli, una manciata di polvere o un barattolo di liquido in un oggetto finito dotato di una forma e capace di assolvere a una funzione precisa. L'Italia è uno dei maggiori produttori del mondo di macchine per materie plastiche. Quanto a volume di produzione, viene dopo soltanto alla Germania e agli Stati Uniti. La crescita di questo settore in Italia è stata sorprendente, soprattutto nel corso degli anni Cinquanta. Prima dell'ultimo conflitto operavano nel nostro paese soltanto dodici officine meccaniche che producevano macchine per materie plastiche. La maggiore industria italiana in questo campo è la Sandretto Industrie, nata nel 1946 con presse per termoindurenti e passata successivamente alla produzione di macchine per l'iniezione.

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