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1 App. Roma Sez. III, Sent., Con citazione notificata in data 18 e i sigg. A1 e A2 hanno proposto appello avverso la sentenza emessa in data dal Tribunale di Roma con la quale era stata, in parte, accolta la loro domanda, avanzata con citazione notificata il nei confronti della Banca (...) S.p.A., con la richiesta di condanna della convenuta al risarcimento dei danni patiti in conseguenza di una indebita condotta tenuta dalla banca quale emittente di una polizza al portatore (rilasciata a fronte di concessione di prestito su pegno di oggetti d'oro di proprietà degli attori) che era stata riscattata a favore di soggetto non legittimato con conseguente perdita degli oggetti dati in pegno. Il primo giudice (su contestazione della convenuta) aveva affermato e dichiarato la responsabilità contrattuale e condannato la stessa a pagare agli attori la somma di Euro 1.291,14 con rivalutazione monetaria e interessi legali sulla somma annualmente rivalutata a decorrere dal maggio 2003; condannando la convenuta alle spese di lite. Gli appellanti deducono la parziale erroneità della sentenza in relazione alle effettive conseguenze dannose subite e chiedendo la riforma della sentenza con la condanna della banca appellata al pagamento degli ulteriori danni subiti oltre che delle spese del grado di giudizio. Si è costituita la appellata per contestare l'appello proposto, ritenuto inammissibile (per decorso del termine di impugnazione) nonché infondato, e per chiederne il rigetto. E' rimasta contumace la società C S.p.A. Gruppo Banca (...) SpA. nei cui confronti gli appellanti avevano notificato l'atto di appello in data Quindi precisate le conclusioni all'udienza collegiale del , la causa è stata trattenuta per la decisione ai sensi dell'art. 352 c.p.c. con riserva del deposito della sentenza allo scadere dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. Motivi della decisione E' preliminare all'esame del merito dell'impugnazione la verifica dell'ammissibilità della stessa poiché la appellata Banca (...) S.p.A, Gruppo C., ha eccepito l'intervenuto passaggio in giudicato della sentenza di I grado stante l'inidoneità dell'avverso atto di appello ad introdurre un valido giudizio di impugnazione, posto che "controparte ha citato e notificato il proprio atto esclusivamente a C S.p.A. e non anche alla Banca (...) S.p.A., unico soggetto legittimato passivamente e destinatario degli effetti della decisione". L'eccezione è destituita di fondamento perché gli appellanti hanno correttamente e tempestivamente impugnato la sentenza di I grado mediante notificazione dell'atto di appello presso il domiciliatario nominato in prime cure (l'avv. N) dalla Banca (...) S.p.A. Infatti l'appello risulta indirizzato sia alla Banca (...), oggi C S.p.a., presso l'avv. N., che alla C S.p.A., gruppo Banca (...) Spa, nella sua sede di Roma, via (...); il che comporta che il rapporto processuale relativo all'impugnazione si è correttamente instaurato almeno con uno dei soggetti interessati poiché il procuratore domiciliatario (avv. S.) era il soggetto nei cui confronti andava effettuata la notifica dell'atto di appello ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 330 c.p.c.; appello, peraltro, notificato entro la scadenza del termine lungo, ex art. 327 c.p.c. (di anni uno + 46 giorni). E sebbene sia noto come abbia rilievo, ai fini della notificazione dell'appello, l'intervenuta modificazione dello stato della controparte anteriormente alla proposizione dell'impugnazione

2 (salvo che l'appellante provi di averlo ignorato senza sua colpa, v. Cass n. 9595, Cass n. 3780), nel caso in questione la notificazione dell'appello risulta eseguita presso il procuratore costituito e nel domicilio eletto per il giudizio per la stessa parte (banca (...)) del primo grado e non risultando che tale notifica sia stata effettuata a soggetto diverso (nonostante le intervenute modificazioni societarie che hanno avuto come conseguenza non il venir meno della Banca (...) S.p.A. ma la sola modifica dei rapporti attivi e/o passivi facenti parte del suo patrimonio. Nel merito, con il 1 motivo di appello si censura la sentenza per "il mancato riconoscimento del danno non patrimoniale" che il Tribunale aveva negato perché la relativa domanda era stata considerata come domanda nuova formulata per la prima volta nella comparsa conclusionale; ai contrario gli appellanti sostengono che la loro originaria domanda di "risarcimento dei danni risentiti dogli attori" andava interpretata come comprensiva di tutti i danni comunque connessi con il fatto ascritto alla convenuta banca. In astratto la pretesa degli appellanti appare fondata perché da un fatto illecito o da un inadempimento contrattuale possono derivare conseguenze negative che comportano l'obbligazione di risarcire il danno subito dal creditore ai sensi dell'art c.c., sia in ambito prettamente patrimoniale che non patrimoniale; tuttavia, in presenza di una responsabilità contrattuale per inadempimento (come è il caso in questione dove il primo giudice ha così espressamente statuito in merito alla fonte dell'obbligazione della Banca (...); "pertanto stante il grave accertato inadempimento contrattuale della Banca..." e senza alcuna impugnativa sul punto), il creditore danneggiato ha l'onere di allegare e provare non solo una voce di danno non patrimoniale ma anche specificare che l'inadempimento altrui abbia inciso su situazioni soggettive di rango speciale come per il caso di lesione di diritti inviolabili della persona (cfr. Cass. civ., sez. II, , n. 9861: "l'art c.c., nella parte in cui dispone che il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, non può essere riferito al solo danno patrimoniale, ma deve ritenersi comprensivo del danno non patrimoniale, qualora l'inadempimento abbia determinato lesione di diritti inviolabili della persona"; nonché Cass. civ., sez. un., , n : "il danno non patrimoniale, quando ricorrano le ipotesi espressamente previste dalla legge, o sia stato leso in modo grave un diritto della persona tutelato dalla costituzione, è risarcibile sia quando derivi da un fatto illecito, sia quando scaturisca da un inadempimento contrattuale") e non per mere sofferenze e/o dispiaceri. Il 1 motivo non può trovare accoglimento non risultando coinvolti diritti della persona costituzionalmente tutelati nella semplice perdita di alcuni oggetti preziosi anche se, in ipotesi, legati a pregressi rapporti intra-familiari di una delle parti appellanti. Con il II motivo di appello si censura la sentenza per la "mancata considerazione del danno subito all'atto di rinnovo della polizza effettuato l' ", esponendosi come il rinnovo della polizza da parte della sig.ra A1 aveva comportato l'esborso della somma di Lire in un momento (l'11 gennaio 1993) in cui la Banca appellata aveva già rilasciato un duplicato della polizza al sig. X che provvedeva a ritirare i beni dati in pegno. L'appello è fondato perché emerge in modo oltremodo evidente che l'inadempimento ascritto alla Banca (...) (e non oggetto di impugnativa) avesse determinato anche il c.d. danno emergente (ex art c.c.) costituito dalla perdita della somma suddetta poiché la banca non aveva esattamente adempiuto (art c.c.) la sua obbligazione ex contractu verso il soggetto a cui aveva rinnovato la polizza l' stante l'avvenuto, successivo, rilascio del duplicato il 12 maggio 1993 ad altro soggetto.

3 La appellata è tenuta a rimborsare la somma di Euro 103,70 già incassata in data , che si rivaluta all'attualità in totali Euro 152,39 (secondo gli indici FOI calcolati dall'istat) con gli accessori di cui si tratterrà conto in seguito. Con il III motivo di appello si censura la sentenza per la "errata quantificazione del risarcimento per la perdita di beni impegnati" sostenendosi che il Tribunale aveva errato nell'applicare l'art. 45 del R.D. 1279/1939 (limitando il risarcimento al valore di stima dei beni aumentato di un quarto) non essendo stato accertato l'effettivo valore commerciale delle cose date in pegno al momento della loro offerta, ma la sola valutazione data dal perito del Monte dei pegni (tenuta in conto dal Tribunale per Lire aumentata di Lire = ed in Euro 1.291,14). Il motivo è fondato e và accolto perché nella vicenda di cui si sta trattando non trova applicazione diretta la normativa di cui al r.d n perché si verte in materia di inadempimento contrattuale verso colui che non ha potuto più riottenere i beni dati in pegno per fatto diretto del depositario e non per un fatto di un terzo o per caso fortuito. E' necessario, quindi, che della perdita delle cose date in pegno la banca risponda secondo il loro effettivo valore commerciale e non per ciò che risulta dalla stima eseguita dalla stessa banca all'atto dell'accettazione dei beni da parte del depositante, e questo anche perché la stima fatta per la Banca (...) risultava ancorata a valori inferiori rispetto a quelli commerciali (come risulta dalla deposizione di T, funzionario della appellata banca, in sede di procedimento penale - allegato n. 2 della citazione di I grado - che a pag. 82 della trascrizione dichiarava come "la nostra stima è più bassa di quella commerciale in quanto tiene conto che poi non sarà venduto in via (...) o in via (...), dove magari è stato comprato, ma sarà venduto nella nostra sala vendita che ha un pubblico che è disposto a spendere meno"): il che comporta l'irrilevanza della stima di parte del banco di pegni per la palese inferiorità della stima rispetto al prezzo di mercato (cfr. Cass. civ., sez. I, , n. 6934: "posto che è illegittima una valutazione del bene dato in pegno palesemente inferiore ai prezzi di mercato, il risarcimento dovuto all'utente di credito su pegno, allorquando il bene oggetto del pegno sia andato perduto, dev'essere commisurato al valore di mercato del bene stesso, aumentato di un quarto"). Secondo l'interpretazione data dalla giurisprudenza le norme di cui agli artt r.d. 1279/39 sono "rivolte ad un fine legittimo ed unitario, che è quello di garantire all'utente di credito su pegno una stima effettuata da persona competente, basata sul valore commerciale dell'oggetto dato in pegno, e di salvaguardare... il patrimonio dei monti con la previsione di un limite alla loro responsabilità, in caso di perdita del pegno, nei limiti del valore di una stima.. di un valore, cioè, definitivamente cristallizzato a quel momento"; limite che non va più rispettato quando la banca debba rispondere (come nel caso in esame) per un fatto proprio che abbia danneggiato il titolare del bene dato in pegno. Pertanto la appellata è tenuta a risarcire gli appellanti dell'effettivo valore dei beni dati in pegno (che non aveva potuto loro restituire); e in difetto di una stima giudiziaria (non possibile per l'avvenuta apprensione dei beni dal precitato sig. X., poi condannato per truffa) è legittimo il ricorso alla valutazione equitativa ex art c.c. tenendosi conto che si trattava di 1 orologio Bulgari in oro, 1 orologio da tasca Omega doppia cassa in oro del 1920 e 1 spilla in oro brillanti e zaffiri (la cui condizione risulta descritta anche nella sentenza penale di condanna del X - doc. 1 del fasc. appellanti). Rapportando i valori all'attualità (e valutando la data di origine dei beni antecedente al luglio 1992, reputa questa Corte che sia legittimo liquidare il danno subito da i Sigg. A1 e A2 nella somma di Euro 4,000.00, così composta:

4 - orologio Bulgari in oro = Euro 1.500,00; - orologio Omega in oro = Euro 1.500,00; - spilla in oro e brillanti = Euro 1.000,00. La somma 152, , ,39, è quella che spetta a titolo di risarcimento del danno subito dagli appellanti; e tenuto conto di quanto già liquidato nella sentenza appellata (Euro 1291,14 + gli accessori per rivalutazione ed interessi), la Banca di Roma è tenuta a pagare ancora agli appellanti la somma ulteriore di Euro 2.861,25 quale risarcimento integrale del danno arrecato ai sigg. A1 e A2. Detta obbligazione, di risarcimento del danno, è una tipica obbligazione di valore avendo la funzione, non di consegnare una determinata somma, ma quella di ricostruire integralmente il patrimonio del danneggiato, seppure elargendo, per equivalente, un somma di denaro. Ne consegue che al creditore spettano sia rivalutazione (per compensare il valore intrinseco del bene perduto) che lucro cessante (per compensare il mancato uso del bene perduto) utilizzando la tecnica di un tasso di interesse da determinare equitativamente (vedi la celebre Cass. Sez. Unite 17/2/1995 n e più di recente Cass 10/3/2006 n. 5234; Cass. civ., sez. III, , n. 3747, nonché Cass. sez. un., , n ). Per effettuare queste operazioni, seguendo un orientamento ormai consolidato si farà ricorso a due diversi tassi ove sia necessario calcolare entrambi gli accessori. Dove il credito sia stato conteggiato già con rivalutazione (per liquidazione all'attualità) il ricorso agli indici FOI, indici nazionali dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, pubblicati dallo ISTAT e reperibili sul sito: vengono in rilievo per il calcolo della c.d. somma devalutata. Per calcolare il lucro cessante, invece, si fa ricorso al rendimento medio dei titolo di stato, sul presupposto che il creditore, se avesse potuto disporre della somma l'avrebbe investita in titoli di stato (c.d. "rendistato", pubblicato dalla Banca d'italia). Poiché la somma è stata liquidata ai valori attuali, il tasso di rendimento va applicato sulle somme devalutate dividendo la somma liquidata per i coefficienti, F.O.I. così determinando anno per anno il reddito non percepito dal creditore. I tassi di rendistato sono reperibili al seguente indirizzo internet mercati/operazioni/titoli/tassi/rendi Applicando tali criteri si otterrà che la somma che spetta agli appellanti ammonta ad Euro ,36 come da tabella che segue: (...) Totali:

5 credito rivalutato Euro 2.861,25 interessi Euro 1.356,60 Totale Euro 4.217,85 Infine, poiché una volta liquidato, il risarcimento del danno, da credito di valore si trasforma in credito di valuta, su di esso vanno calcolati gli interessi legali data della sentenza. Anche il IV motivo è fondato emergendo palese che l'importo liquidato per spese vive dal primo giudice (Euro 200,00) era inferiore alla spesa sostenuta per l'iscrizione a ruolo della causa (Euro 413,17). L'appello, per tali ragioni e nei limiti indicati, va accolto. Di conseguenza la appellata va condannata al pagamento delle spese di questo giudizio, a favore della controparte e liquidate, d'ufficio non avendo il difensore degli appellanti depositato la sua notula, tenuto conto del valore della controversia e delle effettive attività compiute dal procuratore in questo procedimento. P.Q.M. LA CORTE DI APPELLO DI ROMA - Terza Sezione Civile - definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione respinta, così decide sull'appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma emessa in data (depositata il con il n /2005) proposto da A1 e A2 nei confronti di Banca (...) S.p.A. + 1: a) in accoglimento dell'appello, ed in parziale riforma della sentenza appellata, Condanna la Banca (...) S.p.A. (con sede in Roma, viale (...)), in persona del suo legale rappresentante p.t., al pagamento in favore di A1 e A2, della ulteriore somma di Euro 4.217,85, con aggiunta degli interessi al tasso di legge a decorrere dalla data della presente sentenza sino al saldo effettivo; b) Condanna la Banca (...) S.p.A., come indicata sub. a), alla rifusione delle spese di questo grado di giudizio sostenute dagli appellanti, liquidandole in Euro 370,00 per spese, Euro 870,00 per diritti e Euro 1.900,00 per onorari (oltre al forfettario, IVA e CAP come per legge); d) condanna, infine, la medesima parte appellata indicata sub. a), a rimborsare agli appellanti le ulteriori spese vive sostenute nel processo di 1 grado e liquidate in Euro 213,17,

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