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1 la Biblioteca di via Senato mensile, anno vii Milano n. 11 novembre 2015 ANTICHI VOLUMI Dibattiti medici fra carne e verdura di piero meldini MAGIA E RINASCIMENTO Della Porta: il mago dell arcana sapienza di guido del giudice EDITORIA Il raffinato Bartleby dell editoria italiana di massimo gatta BIBLIOFILIA Questo libro non s ha da leggere! di giancarlo petrella RICORRENZE I primi 60 anni della casa editrice Feltrinelli di massimo gatta ISSN

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3 la Biblioteca di via Senato Milano MENSILE DI BIBLIOFILIA ANNO VII N.11/66 MILANO, NOVEMBRE 2015 Sommario 4 Antichi volumi DIBATTITI MEDICI FRA CARNE E VERDURA di Piero Meldini 58 Ricorrenze I PRIMI 60 ANNI DELLA CASA EDITRICE FELTRINELLI di Massimo Gatta 12 Editoria IL RAFFINATO BARTLEBY DELL EDITORIA ITALIANA di Massimo Gatta 66 In Appendice Feuilleton L.E.X. LE BIBLIOTECHE PROFONDE di Errico Passaro Magia e Rinascimento DELLA PORTA: IL MAGO DELL ARCANA SAPIENZA di Guido Del Giudice IN SEDICESIMO Le rubriche LE MOSTRE RIFLESSIONI E INTERPRETAZIONI LO SCAFFALE a cura di Luca Pietro Nicoletti e di Federico Prizzi BvS: il ristoro del buon lettore SU UN POGGIO, OVE SI INCONTRANO STORIE E CUCINA di Gianluca Montinaro HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO 46 Bibliofilia QUESTO LIBRO NON S HA DA LEGGERE! di Giancarlo Petrella

4 Si ringraziano le Aziende che sostengono questa Rivista con la loro comunicazione Biblioteca di via Senato Via Senato Milano Tel Fax segreteria@bibliotecadiviasenato.it direzione@bibliotecadiviasenato.it Presidente Marcello Dell Utri Direttore responsabile Gianluca Montinaro Servizi Generali Gaudio Saracino Coordinamento pubblicità Ines Lattuada Margherita Savarese Progetto grafico Elena Buffa Fotolito e stampa Galli Thierry, Milano Immagine di copertina Bobi Bazlen ( ) Stampato in Italia 2015 Biblioteca di via Senato Edizioni Tutti i diritti riservati Reg. Trib. di Milano n. 104 del 11/03/2009 Per ricevere a domicilio (con il solo rimborso delle spese di spedizione, pari a 27 euro) gli undici numeri annuali della rivista «la Biblioteca di via Senato» scrivere a: segreteria@bibliotecadiviasenato.it L Editore si dichiara disponibile a regolare eventuali diritti per immagini o testi di cui non sia stato possibile reperire la fonte

5 Editoriale Uomini di eccezionale cultura. Di ciò si parla, su questo numero de «la Biblioteca di via Senato», in due articoli a firma di Guido Del Giudice e di Massimo Gatta. Da una parte Giovan Battista Della Porta ( ), mago e poligrafo, e dall altra Roberto Bazlen ( ), intellettuale e animatore editoriale. Due uomini. Due epoche. Due storie. Ma in comune sia l immensità del sapere che la curiosità nel percorrere, senza sosta, la strada della conoscenza. Vite libere che rendono onore alla «dignità e alla potenza dell intelletto». Vite libere che vanno ben oltre allori accademici e illustri pergamene. E che si sono compiute più nella riflessione che nella proclamazione, più nella contemplazione che nella celebrazione. Se l Inquisizione costrinse al silenzio Della Porta (la cui produzione nella sua totalità vide la luce solo postuma), Bazlen si affermò proprio attraverso esso: attraverso il rifiuto della pubblicazione. Perché, in fondo,«un uomo può essere grande anche nella rinuncia: la sua grandezza può stare nel silenzio». Gianluca Montinaro

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7 novembre 2015 la Biblioteca di via Senato Milano 5 Antichi volumi DIBATTITI MEDICI FRA CARNE E VERDURA I libri di diete nel Secolo dei Lumi PIERO MELDINI Episodio significativo della contesa millenaria tra carne e vegetali, il dibattito settecentesco sul cosiddetto vitto pitagorico segna la nascita del vegetarianismo moderno. Disputa, in apparenza, rigorosamente scientifica, si rivela invece influenzata, e non poco, dai gusti, dagli umori polemici e anche dalle fisime dei due principali contendenti. Che vado subito a presentare. Il primo è il toscano Antonio Cocchi ( ), autore della dissertazione Del vitto pitagorico per uso della medicina, letta nel 1743 e quindi stampata, nel medesimo anno, a Firenze, presso la stamperia Moucke, in una rara tiratura di cui la Biblioteca di via Senato conser- Sopra dall alto: Antonio Cocchi, in un incisione di Giovanni Boggi (1750 ca.-1832); Giovanni Bianchi, in una incisione del XVIII secolo. Nella pagina accanto: Luciano Ventrone (1942), Natura morta di frutta (part.), collezione privata va un esemplare nel proprio Fondo Antico. Il secondo è il romagnolo Giovanni Bianchi, in arte Iano Planco ( ), che controbatterà con il discorso Se il vitto pitagorico di soli vegetabili sia giovevole per conservare la sanità e per la cura d alcune malattie, declamato nel 1747 e dato alle stampe nel Entrambi medici, notomisti scannati e naturalisti di chiara fama, Cocchi e Bianchi hanno parecchio altro in comune. Sono tutt e due filosofi, filologi, antiquari, bibliofili e letterati. Collezionano entrambi, oltre a reperti medici e naturalistici (va famosa la raccolta di imeni mummificati di Bianchi), marmi e monete. Coltivano ambedue amicizie illustri: Cocchi con Newton, Halley e Walpole; Bianchi con Voltaire, Muratori, Morgagni e Vallisneri. Sono scrittori infaticabili, a un passo dalla grafomania: Cocchi stende un minuzioso diario quotidiano dal 1715 al 1757; Bianchi, più estroverso, inonda l Italia e l Europa di migliaia

8 6 la Biblioteca di via Senato Milano novembre 2015 Sopra da sinistra: Antonio Cocchi, in una vignetta disegnata da Leonardo Frati ( ); frontespizio della prima edizione del discorso Del vitto pitagorico di Antonio Cocchi (Firenze, Francesco Moucke, 1743), Milano, Biblioteca di via Senato. Nella pagina accanto: frontespizio della prima edizione de Il cuoco Galante di Vincenzo Corrado (Napoli, Stamperia Raimondiana, 1773) di lettere. E sono - un po più Bianchi, un po meno Cocchi - di carattere lunatico e attaccabrighe. La dieta pitagorica stretta non ammette altro che vegetali (radici, foglie, frutti e semi), con l esclusione di quelli cotti e di quelli secchi - mandorle, nocciole, castagne, fichi, legumi, ecc. -, nonché, e tassativamente, della fava sia secca che fresca (divieto che Cocchi giudica però «allegorico» e «di segreto significato»), della cipolla, dell aglio e, più in generale, di «tutto ciò che è pingue, glutinoso e gonfiante, cioè duro e resistente al disfacimento». Mentre proibisce tutte le carni, comprese quelle dei pesci, accetta invece il latte, che - spiega Cocchi - «non ha ancora deposto tutte le qualità del vegetabile», e i formaggi, purché non stagionati. Tollerante con il latte e i latticini, la dieta pitagorica è invece severissima con le uova. Quanto alle bevande, l acqua di fonte è prescritta, il vino proscritto e l aceto, chissà mai perché, calorosamente consigliato. Al vitto pitagorico si accoppia l abbigliamento pitagorico, favorevole ai tessuti d origine vegetale e ostile alla lana. Ai rigidi precetti della dieta pitagorica stretta, che arriva a ridurre a quaranta il numero delle piante commestibili, si affiancano quelli, fin troppo indulgenti, della dieta pitagorica allargata, che

9 novembre 2015 la Biblioteca di via Senato Milano 7 ammette, se assunta con moderazione, la carne di animali giovani, teneri e sani - tolte però la cacciagione e le frattaglie -, il vino, i legumi e perfino l esecrata fava, a patto che sia fresca. Cocchi ammette che Pitagora in persona, «come si può massimamente vedere in Laerzio, Gellio ed Ateneo, mangiava per sé, e consigliava anco gli altri a mangiare di quando in quando senza scrupolo alcuno de pollastri, de capretti e de teneri porcelli, della vitella di latte e de pesci, e non aborriva né le fave né altro verun legume». Sicché Bianchi ha buon gioco a chiosare malignamente che «la tanto decantata dieta pitagorica di soli vegetabili» si ridurrebbe, in fin dei conti, all astensione «dai galli vecchi, dai buoi aratori, dal selvaggiume, dalle ghiandole, dalle viscere degli animali e dalle uova»: un regime alimentare di modestissimo impegno, diciamolo, che assomiglia al proverbiale topolino partorito dalla montagna. Che la controversia sul vitto pitagorico sia una delle tante epifanie dello scontro fra Ragion pratica e Ragion pura, pensiero debole e pensiero forte, buon senso empirico e fumisterie ideologiche, mentalità laica e integralismo? Se così fosse, tutto porterebbe il sottoscritto a simpatizzare con Bianchi, non ultimo il fatto che, corpulento come ce lo raffigurano i ritratti e carnivoro confesso e orgoglioso, campò fino a ottantun anni, mentre il morigerato Cocchi non andò più in là dei sessantatré. In realtà i duellanti, oltre a essere su posizioni molto meno distanti di quanto non sembri dai fendenti polemici, hanno entrambi ottime ragioni dalla loro: Cocchi nel mostrare i pericoli di un alimentazione carnea smodata (esemplificati dall aneddoto del medico pisano Matteo Curzio, suicidatosi a colpi di piccione), nell anteporre la dieta e la vita sobria ai farmaci, ossia la prevenzione alle cure, e nel concepire la salute, «base dell umana felicità», come un «armonia», una «corrispondenza de moti e delle forze», e le malattie come altrettante incrinature e rotture degli equilibri; Bianchi nel puntare il dito contro i danni provocati dal vegetarianismo forzato in coloro che «per la povertà non possono nutrirsi e corroborarsi lo stomaco con buone carni e con il loro brodo», nel predicare un allargamento, piuttosto che un restringimento, dell area del commestibile (e se l idea di ricorrere alla carne degli asini, dei cani e delle volpi lascia perplessi, appare invece previdentissimo il consiglio di introdurre «semi forestieri come il mayz, chiamato ora volgarmente gran turco o formentone»), nel denunciare tutte le prevenzioni, superstizioni e tabù alimentari, e nell appellarsi alla «Ragione, che è più antica degli uomini e della medicina, e di qualunque altra scienza o professione». Più spiccio e irruente di quello di Cocchi, l atteggiamento di Giovanni Bianchi è anche più compassionevole. I malanni dei poveri lo preoccu-

10 8 la Biblioteca di via Senato Milano novembre 2015 Sopra da sinistra: Antonio Cocchi, in una incisione di Gaetano Vascellini (1745 ca.-1805); Vincenzo Corrado, ritratto all eta di 40 anni, in una incisione di fine Settecento pano almeno quanto i fastidi grassi dei ricchi: quei ventri gonfi di «flati» e perennemente borbottanti, quegli scioglimenti di corpo, quella «copia maggiore del dovere d orine», e quelle «febbri putride, febbri terzane, febbri quartane, diarrea, dissenteria, tisichezza e simili mali» che affliggevano i seguaci coatti del vitto pitagorico. Fernand Braudel sostiene che in Europa le età carnivore si siano avvicendate con le età frugivore. Ai «mille anni di macelleria», che saranno pur valsi a rischiarare un poco i proverbiali secoli bui del Medioevo, succederanno, a partire dal 1550, trecento anni di dieta essenzialmente vegetale; poi, pian piano, la carne ricomparirà sulle mense europee. Braudel ha in mente, beninteso, l alimentazione della stragrande maggioranza povera, e non quella, elettivamente quando non sfrenatamente carnea a prescindere dall epoca, della minoranza privilegiata. Ebbene, il cinquantennio che precede il dibattito sul vitto pitagorico vede una diffusa reazione della scienza medica al carnivorismo: se Forestus, a Leyda, scopre la cura dello scorbuto nel lontano 1587, buona parte della letteratura sullo scorbuto, in effetti, sta a cavallo tra il XVII e il XVIII secolo; nel 1702 Luis Lemery predica la più scrupolosa moderazione nell assunzione della carne; negli stessi anni Tyson osserva che l apparato digerente dell uomo è più simile a quello degli animali frugivori che a quello dei carnivori; nel 1728

11 novembre 2015 la Biblioteca di via Senato Milano 9 Sopra da sinistra: frontespizio della prima edizione de Il cibo pitagorico di Vincenzo Corrado (Napoli, Fratelli Raimondi, 1781); Frontespizio della terza edizione de Il cuoco Galante di Vincenzo Corrado (Napoli, Stamperia Raimondiana, 1786) Jacopo Bartolomeo Beccari, maestro di Galvani, isola il glutine dal frumento. Gli effetti delle micidiali diete delle classi alte (agli inizi del Seicento, per esempio, i nobili convittori del Collegio Borromeo di Pavia si spolveravano razioni quotidiane da calorie) avranno pur indotto a qualche ravvedimento, per quanto graduale e controvoglia. Chi fruga negli archivi può toccare con mano quanto numerosi fossero gli aristocratici e i benestanti che soffrivano e schiattavano di podagra, apoplessia e altre malattie da sovralimentazione. E tuttavia si fatica a credere che il nuovo atteggiamento verso la carne sia frutto esclusivo dell autonomo progresso della dietetica. Gli è che intorno alla metà del XVIII secolo si registrano i primi, flebilissimi segnali di una ricomparsa della carne (seppure quella salata e affumicata, e solo in alcuni Paesi, quali l Inghilterra e la Germania) sulle sconnesse tavole dei più. Ma questa quasi impercettibile avvisaglia di un livellamento alimentare di là da venire basta a ingenerare sazietà e distacco. «I ricchi» osserva Braudel «sono condannati [ ] a provare piaceri di cui la massa si impadronirà prima o poi». Come ogni altro piacere, quello del mangiar carne esige, per essere compiutamente apprezzato, di essere poco condiviso. Quando si

12 10 la Biblioteca di via Senato Milano novembre 2015 Jacopo Bartolomeo Beccari, in un dipinto d autore ignoto (Bologna, Quadreria dell'università) legge nella dissertazione di Cocchi che «la nostra plebe» aborrisce in cuor suo i vegetali, e che «chi per lungo tempo s astiene [...] da cibi di molto sapore, s acquista il gusto più delicato e più fino», si ha il fondato sospetto che la carne, come cibo di élite, si avvii a fare il suo tempo. Lo confermerebbe anche la pronta ricezione della dieta pitagorica da parte della letteratura gastronomica. È del 1781 il trattato Del cibo pitagorico ovvero erbaceo, opera di Vincenzo Corrado ( ), capo dei servizi di bocca del principe di Francavilla e già autore del più noto Cuoco galante che, pubblicato per la prima volta nel 1773, Bibliografia G. BIANCHI, Se il vitto pitagorico di soli vegetabili sia giovevole per conservare la sanità e per la cura d alcune malattie, Venezia, Pasquali, A. COCCHI, Del vitto pitagorico per uso della medicina, Firenze, Moucke, V. CORRADO, Del cibo pitagorico ovvero erbaceo per uso de nobili, e de letterati, Napoli, Fratelli Raimondi, a Napoli, toccherà nel 1806 la sesta edizione. Il complemento del titolo («per uso de nobili, e de letterati») non lascia dubbi circa la condizione aristocratica dei destinatari, sia essa di sangue o di spirito. Per i quali, d altro canto, ci si propone di «inventar nuovi modi a poter preparare e condire radici ed erbe per mezzo di altri simili vegetabili, onde non solamente grato al palato si renda il semplice pitagorico cibo, ma eziandio possa soddisfarsi al lusso nell imbandire laute mense». Non i rozzi piatti di verdure della tradizione popolare, dunque, ma preparazioni inedite e d alta cucina. Il libro, che nasce dalla convinzione che «l uomo naturalmente non sia carnivoro», si articola in una sessantina di capitoletti, ciascuno dei quali tratta di un particolare vegetale (ortaggi, legumi, erbe aromatiche, ecc.), illustrandone prima le qualità nutritive e poi proponendo varie ricette, tutte chiare e sintetiche. Notevole, per la sua precocità, è la presenza del pomodoro, pianta americana che diverrà d uso comune, ma non dovunque, solo nella seconda metà dell Ottocento. Di questo ortaggio, non ancora rosso, ma di un bel colore giallo zafferano, vengono fornite dodici ricette. Trascrivo quella, semplicissima e pienamente attuale, dei Pomidoro all italiana: «Levata via la pellicola alli pomidoro e divisi per metà, se ne cavano i semi e si riempiono con un composto di altra polpa di pomidoro trita con un senso d aglio, acciughe, petrosemolo, origano, sale e pepe. Si dispongono in una tortiera coverti di pane grattato e sbruzzati d olio; così si fan cuocere al forno e, caldi, si servono sopra crosta di pane».

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15 novembre 2015 la Biblioteca di via Senato Milano 13 Editoria IL RAFFINATO BARTLEBY DELL EDITORIA ITALIANA 50 anni fa scompariva Roberto Bazlen, homo nullius libri MASSIMO GATTA Non il grillo ma il gatto del focolare or ti consiglia, splendido lare della dispersa tua famiglia. La casa che tu rechi con te ravvolta, gabbia o cappelliera?, sovrasta i ciechi tempi come il flutto arca leggera e basta al tuo riscatto. (Eugenio Montale, A Ljuba che parte) mercuriale» «Genio 1 e «grande talpa taoista dell editoria italiana», 2 Roberto (Bobi) Bazlen (Trieste, Milano, 1965) ha magnificamente racchiuso in un appunto manoscritto (nel quaderno E ) il senso carsico della sua non-scrittura: «Io credo che non si possa più scrivere libri. Perciò non scrivo libri. Quasi tutti i libri sono note a piè di pagina gonfiate in volumi (volumina). Io scrivo solo note a piè di pagina». 3 Intorno al non pubblicato di Bazlen si è A sinistra: Bobi Bazlen ( ) costruita come un epica, una leggenda; invero il suo fu, molto probabilmente, il convincimento profondo circa l inutilità di fondo del pubblicare (e anche una «ben avvertibile insofferenza per la scrittura» in generale 4 ), che ben si accordava, del resto, col suo spirito taoista (lo stesso che ai materialisti dell Einaudi faceva storcere il naso, ma recuperato da Luciano Foà, lo «scriba egizio», 5 per impreziosire l architettura adelphiana 6 ), che coinvolgeva l intera esistenza, non una parte, come poteva esserlo lo scrivere. Sulle tracce di questa assenza, di questo rifiuto, e nel tentativo di venirne in parte a capo, si mise perfino un celebre scrittore, Daniele Del Giudice, con una sorta di inchiesta letteraria sul perché di quel silenzio : Lo stadio di Wimbledon 7 (libro però «fondato su una idea totalmente errata, che è quella secondo cui Bazlen sarebbe stato in un certo modo uno scrittore fallito» 8 ), che segnò l inizio di un interesse più vasto per lo scrittore triestino, maturato forse anche all ombra del personaggio imprendibile, «uno dei più intriganti letterati del Novecento italiano. Uno stravagante che sapeva tutto, scrittore senza aver scritto libri, splendido letto-

16 14 la Biblioteca di via Senato Milano novembre 2015 re, che lasciò soltanto lettere, schede editoriali e note a piè di pagina». 9 Agli occhi di una nazione di aspiranti Grandi Scrittori, col mito dell Opera, della Casa Editrice, del Bestseller milionario, del Premio Letterario, doveva sembrare assurdo e incomprensibile quell uomo così totalmente disinteressato a pubblicare alcunché. Viene in mente la frase di Cocteau cara a Pasolini, «I gesti dell equilibrista devono sembrare assurdi a coloro che non sanno che egli cammina sul vuoto e sulla morte», 10 applicabile al quel suo epicureo láthe biôsas, vivi nascostamente, che in lui poteva essere piegato in un vivi la letteratura nascostamente. Del resto il nome di Bazlen, associato a quello di Luciano Foà (che conobbe Bazlen nel 37) 11 nella fondazione della Adelphi, 12 lo riconduce agli albori e alla nascita della casa editrice Adelphi. Ma sbaglierebbe chi pensasse che quel ruolo, in ambito editoriale, fosse il solo da lui impersonato (e benché il termine ruolo sia quanto di più lontano ed estraneo dal suo finissimo sentire editoriale). La personalità intellettuale di Bazlen, «squisito pioniere» 13, è infatti vasta e composita, dispiegandosi in attività pulviscolari nelle quali si susseguivano, ininterrotti, suggerimenti e proposte editoriali alle tante case editrici per cui operò, libri consigliati agli amici, progetti, in un susseguirsi di idee, note, appunti, brogliacci, marginalia, lettere, nel flusso ininterrotto fatto di una scrittura impubblicabile, appunto. Un lavorio condotto artigianalmente al di qua e al di là del libro, nei suoi dintorni, nei margini, nelle fessure; un lavorio oscuro, silente e imprendibile fatto di un niente assolutamente necessario, lontano anni luce dal roboante scalpiccio dello Scrittore, dell Autore. Un lavorio compiuto in nome dell assoluta qualità del testo, e spesso anticipando di molto il destino di classico affibbiato in seguito ad uno scrittore (come fu per Svevo, da lui scoperto). Un lavorio minuzioso compiuto ai fianchi della scrittura altrui, mai della propria, 14 della quale supponiamo potesse tranquillamente fare a meno. Ma anche un lavorio attento a quanto avveniva fuori dei confini nazionali, in quella Mitteleuropa da lui amata e trasportata di peso nel catalogo Adelphi. Ma Bazlen viene da lontano. Pochi ricordano la straordinaria collaborazione con le Nuove Edizioni Ivrea di Olivetti confluite nelle successive Edizioni di Comunità, 15 oppure con l Agenzia letteraria internazionale di proprietà di Erich Linder (ma fondata nel

17 novembre 2015 la Biblioteca di via Senato Milano 15 Sopra: Bobi Bazlen, in una foto dei primi anni Sessanta 1898 da Augusto Foà, padre di Luciano, che vi lavorò fin dal 33), con la casa editrice Astrolabio di Ubaldini o il lungo sodalizio, anche epistolare, con l Einaudi (della quale fu consulente editoriale dal 51 all estate del 62, casa editrice che raramente, peraltro, accolse le sue proposte editoriali) 16 e infine consulente dell Adelphi, definendone il programma del primo e decisivo triennio ( ). Bazlen viene da molto lontano. La mole enorme delle sue traduzioni, dal tedesco, delle tante Collane progettate (per Olivetti, Einaudi, Bocca), la collaborazione e consulenza con Bompiani, 17 Frassinelli e Boringhieri. Bazlen viene da molto lontano, da quella Trieste da cui principia lo splendido ritratto che ne fece una NOTE 1 Così lo definisce Roberto Calasso nell intervista 50 anni di Adelphi, visionabile al link watch?v=raxt-laujdg (consultato il 2 settembre 2015). 2 Cfr. Franco Marcoaldi, Bobi Bazlen - Roberto Calasso. L uomo che sapeva troppo, «La Stampa-Tuttolibri» [Maestri di oggi- Maestri di ieri], Ora in Roberto Bazlen, Note senza testo, a cura e con uno scritto di Roberto Calasso (Da un punto vuoto), Milano, Adelphi, 1970 [Quaderni di Roberto Bazlen, 2], p. 70, corsivo nel testo. Il libretto è stato quindi ristampato in Roberto Bazlen, Scritti, a cura di Roberto Calasso, Milano, Adelphi, 1984 [Biblioteca Adelphi, 136], la citazione è a p Roberto Calasso, L impronta dell editore, Milano, Adelphi, 2013, p. 16, che così continua: [ ] Paradossalmente, considerando che aveva passato la vita sempre e soltanto fra i libri, il libro era per lui un risultato secondario, che presupponeva qualcos altro, corsivo mio. Non è casuale, infatti, che Enrique Vila-Matas inserisca centralmente Bazlen nel meccanismo della sua fascinosa indagine su una inquietante tendenza della creatività contemporanea, quella della pulsione negativa di chi smette di scrivere o non inizia nemmeno. Vedi Enrique Vila-Matas, Bartleby e compagnia, Milano, Feltrinelli, 2002, pp Cfr. Roberto Calasso, Luciano Foà. Lo scriba egizio, «la Repubblica», 27 gennaio 2005, p Per quanto riguarda le accuse mosse all Adelphi di aver riproposto testi iniziatici o di gnosi pagana si rimanda, comunque, al discutibile pamphlet di Maurizio Blondel, Gli «Adelphi» della dissoluzione. Strategie

18 16 la Biblioteca di via Senato Milano novembre 2015 Sopra: un disegno di Bobi Bazlen donna eccezionale come Anita Pittoni, che di lui scrisse: «non poteva nascere che triestino»; 18 quella stessa Trieste di Giorgio Voghera, e anche a lui dobbiamo un lungo e appassionato ricordo di Bazlen. 19 Ma lui viene da lontano; dal circolo formatosi a Torino intorno alla rivista «Primo Tempo» ( ), insieme a Giacomo Debenedetti, Sergio Solmi, Saba 20 e Montale. Le sue tante collaborazioni editoriali, forse l unico, grande libro da lui realizzato, sono state oggetto di interessanti biografie intellettuali del triestino, passate entrambe del tutto inosservate. Nel 1994 è Manuela La Ferla a incrociare la vita e l opera bazleiana con un bel saggio evocativo fin dal titolo, Diritto al silenzio, 21 che tentava una prima ricognizione critico-biografica in un momento nel quale, di Bazlen, erano stati pubblicati tre libretti postumi 22 e una raccolta completa dei suoi scritti. 23 Ad esso seguirà una documentata tesi di laurea di culturali del potere iniziatico, Milano, Ares, 1994, sul quale vedi Paolo Mauri, Adelphi e i balilla dell Opus Dei, «la Repubblica», martedì 27 marzo 2001, pp Come spesso ripetuto da Calasso, infatti, l Adelphi non nacque da una costola dell Einaudi ma in opposizione secca ad essa, che si basava sulla linea De Sanctis-Gramsci-Lukàcs- Brecht. In questa linea non era contemplato il Nietzsche, architrave della prima Adelphi, di cui non si poteva parlare per una congiura del silenzio che accomunava liberali, marxisti e cattolici (Calasso). 7 Torino, Einaudi, 1983 [Nuovi Coralli, 350]. 8 Così Roberto Calasso nella conversazione con Antonio Franchini del 2013 visionabile al link watch?v=sgl7jdw0g38 (consultato il 2 settembre 2015), idea che in parte potrebbe scaturire da quanto detto da Ljuba Blumenthal a Del Giudice, vedi nota Giuseppe Marcenaro, Gerti Tolazzi, la minuscola musa, sensuale e perfida, in Idem, Ammirabili & Freaks, Torino, Nino Aragno, 2010 [Biblioteca Aragno], p. 52. Per il nostro discorso segnalo, nello stesso volume, lo scritto Luciano Foà, il «signor Adelphi», pp ; su Foà rimando anche a Roberto Calasso, Luciano Foà, in Idem, L impronta dell editore, cit., pp , a Mario Andreose, Foà e l Adelphi. La magica scrivania di Luciano, in Idem, Uomini e libri, Milano, Bompiani, 2015, pp (articolo uscito in prima edizione sul «Sole 24 Ore- Domenica», 30 gennaio 2005, p. 31), e infine a Ernesto Ferrero, Il signore degli Adelphi. Luciano Foà racconta la sua vita di editore, «La Stampa-Tuttolibri», Da lui utilizzata nell articolo che dedicò a Esercizi di Giovanna Bemporad, ora citata appunto nel risvolto di copertina di

19 novembre 2015 la Biblioteca di via Senato Milano 17 Valeria Riboli (2010), trasformata quindi in saggio ma disponibile solo in digitale. 24 Il ritratto di un Bazlen giovane (23 anni), incredibilmente concentrato a imparare a scrivere a macchina per un improbabile, e per lui improponibile, ruolo di impiegato emerge da una raffinata pubblicazione che l Adelphi stampa nel per festeggiare i propri 30 anni di vita e, nello stesso tempo, ricordare il suo fondatore occulto, quel genio mercuriale ricordato da Calasso. In questa lotta impari («Sarò molto intelligente, ma a macchina non so scrivere») tra colui che di suo non volle pubblicare nulla e lo strumento principe degli scrittori, la macchina da scrivere, in questi fogli (pagine da lui conservate e chiamate «La lotta con la macchina da scrivere», risalenti al ) ristampati anastaticamente per evidenziare gli errori di battitura, le incertezze e goffaggini, la sbadata, incerta e traballante battitura bazleiana, i singhiozzi dei tasti, emerge in tutta la sua forza simbolica ed evocatrice la personalità di quest uomo coltissimo, lettore di Giovanna Bemporad, Esercizi. Poesie e traduzioni, Milano, Garzanti, Cfr. Roberto Barbolini, Fratelli di carta. Intervista a Luciano Foà, «Panorama», 7 gennaio 1994, pp Fondai l Adelphi, con i consigli di Bobi Bazlen, per rompere la monotonia dell ideologia editoriale di sinistra, per scegliere autori che uscissero fuori dai binari codificati di una visione del mondo esosa in senso deteriore. Qui pubblichiamo i libri che più ci piacciono, solo quelli, con rischi e soddisfazioni, in Ranieri Polese, Addio a Luciano Foà, l editore nemico delle ideologie, «Corriere della Sera», mercoledì 26 gennaio 2005, p Giorgio Zampa, Bobi, squisito pioniere, «Panorama», 7 gennaio 1994, p Dico: «Come prendeva il fatto di non scrivere? Voglio dire il fatto che scriveva solo in privato?». Ha alzato le spalle, ha detto: «Faceva vedere che non gli interessava. Tante volte ripeteva: scrittori mediocri è meglio che non ce ne siano, e forse lui stesso sentiva che non sarebbe stato uno scrittore di primissima fila. Forse, come dicono, non ha pubblicato perché non gli interessava, può darsi che sia vero; forse lui scriveva per sé, poi aveva dei momenti in cui desiderava pubblicare, ma poi, magari, pensava che le sue cose in fondo non erano supreme, e ci passava sopra, ecco. Perché non abbia potuto fare di meglio, non saprei. Però ci aspettavamo tutti che da lui uscisse qualcosa di molto buono», Daniele Del Giudice, Lo stadio di Wimbledon, cit., p Cfr. Marina Valensise, Per Luciano Foà, austero postmoderno di pochi sorrisi, i libri dovevano essere unici, «Il Foglio», 29 gennaio Cfr. Franco Marcoaldi, Bobi Bazlen - Roberto Calasso. L uomo che sapeva trop-

20 18 la Biblioteca di via Senato Milano novembre 2015 tutti i libri, conoscitore come pochi della letteratura europea, psicoanalitica e psicologica, lettore di Freud (da lui tradotto, ma che non lo convincerà mai) e di Jung, di filosofia (Nietzsche in testa, e che di fatto inaugurò l Adelphi 27 ), poesia (lungo fu il suo sodalizio intellettuale con Montale, conosciuto grazie a Solmi, attestato dalla corrispondenza e dalla poesia, A Ljuba che parte, 28 ne Le occasioni, che Montale dedicò alla donna che fu più vicina a Bazlen, la Ljuba Blumenthal con la quale stabilì un legame karmico testimoniato dalle oltre mille lettere, ancora inedite) e scopritore di talenti letterari (Svevo e Musil tra gli altri), traduttore plurilingue; ma rimasto un enigma, una leggenda, una figura chiaroscurale che pochi, di certo, ricorderanno nell anniversario della morte, 29 come del resto avvenne per il centenario della nascita. 30 E Sergio Solmi ricordava come Bazlen, negli ultimi anni, gli diceva che la letteratura non lo interessava più ma soltanto, in essa e oltre di essa, «l antropologia», cioè «una libera e avventurosa conoscenza degli uomini, dei singoli, con le ineffabili striature del loro carattere, ambiente e stopo, cit. 17 Di Valentino Bompiani tradurrà in tedesco la commedia Albertina e con l editore si conserva un suo carteggio relativo ai problemi riscontrati nel lavoro di traduzione, cfr. per questo Irene Piazzoni, Valentino Bompiani. Un editore italiano tra fascismo e dopoguerra, Milano, LED, 2007, p. 362 e nota Cfr. Anita Pittoni, La città di Bobi (agosto 1965), in Eadem, L anima di Trieste. Lettere al professore, con documenti rari e inediti, Firenze, Vallecchi, 1968, pp , la citazione è a p Giorgio Voghera, Ricordo di Bobi (Roberto Bazlen), in Idem, Gli anni della psicanalisi, Pordenone, Studio Tesi, 1980, pp Bazlen ha solo 17 anni quando, a Trieste, entra nella Libreria Antica e Moderna gestita da Saba per cercarvi cataloghi sul futurismo. 21 Manuela La Ferla, Diritto al silenzio. Vita e scritti di Roberto Bazlen, Palermo, Sellerio, 1994 [Prisma]; il libro si segnala anche per una articolata e ampia bibliografia finale, pp Dell autrice segnalo anche Bobi Bazlen. Il consigliere nell ombra, «La Stampa-Tuttolibri», sabato 22 giugno 2002, p. 12, scritto in occasione del centenario della nascita. 22 Roberto Bazlen, Lettere editoriali, con una nota introduttiva di Sergio Solmi, Milano, Adelphi, 1968 [Quaderni di Roberto Bazlen, 1], si tratta di lettere-pareri di lettura inviate a Luciano Foà (Einaudi e Adelphi) e a Sergio Solmi; parte della Nota di Solmi è stata ristampata in Adelphiana , introduzione di Roberto Calasso (Pubblica-

21 novembre 2015 la Biblioteca di via Senato Milano 19 ria, quali si rivelavano nei loro scritti, o dietro di essi». 31 Forse - rifletto - il suo capolavoro non scritto è stata la sua vita, così com era oppure, e qui è Ljuba Blumenthal a suggerirlo: «c è un punto della vita in cui va presa una decisione fondamentale. In quel punto le cose cambiano, o debbono cambiare, e non si può più andare avanti per aggiustamenti progressivi, automatici. Ecco: molte persone, arrivate a quel punto, hanno incontrato lui. E lui le ha aiutate a cambiare, o a decidere. Io credo che questa era la sua passione, e il suo capolavoro. Nient altro». 32 Così Sopra: Bobi Bazlen con Roberto Calasso come quel che resta della sua biblioteca, con i suoi taccuini, «un tesoro inesauribile», 33 migrati alla sua morte nelle stanze dell Adelphi, dove ancora illuminano l ambiente. 34 In fondo tutto quel silenzio, quella rinuncia, provenivano da lontano, e Bazlen così li condensò: «Un uomo può essere grande anche in quanto realizza un tipo nuovo, la sua grandezza può stare nella rinuncia, la sua grandezza può stare nel silenzio». 35 zione permanente e sporadicamente visibile), Milano, Adelphi, 2013, p. 85, alle pp uno scritto di Calasso su Bazlen. Roberto Bazlen, Note senza testo, cit. e Idem, Il capitano di lungo corso, a cura di Roberto Calasso, con 14 disegni e acquarelli dell autore (su un totale di 193), Milano, Adelphi, 1973 [Quaderni di Roberto Bazlen, 3]; il romanzo venne scritto in tedesco e tradotto in italiano da Calasso. Nel 1971, intanto, nel primo numero di «Adelphiana» erano state pubblicate tre lettere di Bazlen, due a Montale (01/9/1925 e 25/9/1928), e una a Ferdinand Lion (01/12/1956); sulla rivista vedi Paolo Mauri, Il coraggio di essere inattuali, «la Repubblica», mercoledì 26 giugno 2002, pp Sui tre libretti postumi così si espresse Gerti Tolazzi: Lui ha capito di sé che tutto è niente, ha capito che alla fine non avrebbe lasciato nemmeno una traccia. Niente. Scrivere non ha scritto niente. Oh sì, io ho quei tre libretti. Non servono a nulla. Se fossero stati pubblicati mentre era vivo, non si sarebbe più fatto vedere in giro, non sarebbe più uscito di casa. L unica cosa che resta di lui sono gli amici che gli hanno voluto bene, e nei quali lui esiste ancora, come in me, in Daniele Del Giudice, Lo stadio di Wimbledon, cit., p Idem, Scritti, cit. Il volume contiene Il capitano di lungo corso, Note senza testo, Lettere editoriali e, per la prima volta, le Lettere a Montale. 24 Valeria Riboli, Roberto Bazlen un editore nascosto, prefazione di Giulia de Savorgnani, Roma, Fondazione Adriano Olivetti, 2013 [Intangibili-Tesi]. 25 La lotta con la macchina da scrivere di Roberto Bazlen, Milano, Adelphi, 1993, edi-

22 20 la Biblioteca di via Senato Milano novembre 2015 Sopra: Bobi Bazlen (a sinistra) con Adriano Olivetti zione stampata fuori commercio in 799 esemplari numerati. 26 Cfr. Daniele Del Giudice, Lo stadio di Wimbledon, cit., p All inizio si parlava di libri unici. Adelphi non aveva ancora trovato il suo nome. C erano solo pochi dati sicuri: l edizione critica di Nietzsche, che bastava da sola a orientare tutto il resto. [ ] Per Bazlen, che aveva una velocità mentale come non ho più incontrato, l edizione critica di Nietzsche era quasi una giusta ovvietà. Da che cosa si sarebbe potuto cominciare altrimenti?, Roberto Calasso, I libri unici, in Idem, L impronta dell editore, cit., p. 13; e ancora Quando Bazlen mi parlò per la prima volta di quella nuova casa editrice che sarebbe stata Adelphi posso dire il giorno e il luogo, perché era il mio ventunesimo compleanno, maggio 1962, nella villa di Ernst Bernhard a Bracciano, dove Bazlen e Ljuba Blumenthal erano ospiti per qualche giorno [ ], ibidem, p In Eugenio Montale, Tutte le poesie, a cura di Giorgio Zampa, Milano, Mondadori, 1984, p Cfr. Cristina Battocletti, L uomo con le qualità, «Il Sole 24 Ore-Domenica», 23 agosto 2015, p. 20. In occasione dei 45 anni dalla morte segnalo invece un breve ricordo di Bazlen a firma MG [Massimo Gatta], Anniversari editoriali, «Cantieri», n. 8 (2010), p Il dieci giugno scorso ricorreva il suo centenario, ma sono pochi a essersene ricordati. Roberto Bazlen avrebbe gradito, Manuela La Ferla, Bobi Bazlen. Il consigliere nell ombra, cit., p Sergio Solmi, Nota, in Roberto Bazlen, Lettere editoriali, cit., pp In Daniele Del Giudice, Lo stadio di Wimbledon, cit., p Manuela La Ferla, Bobi Bazlen. Il consigliere nell ombra, cit., p A fine giornata, Calasso, questa volta nello studio in casa editrice, di fronte alla libreria che contiene ciò che rimane della biblioteca di Roberto Bazlen, l uomo all origine di Adelphi [ ], in Wlodek Goldkorn, Catalogo i libri in ordine geologico. Roberto Calasso parla della sua raccolta di cinquantamila titoli, «la Repubblica», giovedì 26 marzo 2015, p. 35; e ancora: [ ] I libri che si trovano nel mio studio in casa editrice sono ciò che resta della preziosa biblioteca di Bazlen. La biblioteca di un uomo che comprava i libri di Kafka e di Joyce nel momento in cui uscivano, per il seplice fatto che erano gli scrittori del momento. Fu lui a scoprire Svevo e a ordinare al suo amico Montale di leggere quello scrittore totalmente ignoto, in Lila Azam Zanganeh, Quando nasce un editore. Intervista a Roberto Calasso, mercoledì, 26 settembre Riportato in Manuela La Ferla, Bobi Bazlen. Il consigliere nell ombra, cit., p. 12.

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24 22 la Biblioteca di via Senato Milano novembre 2015

25 novembre 2015 la Biblioteca di via Senato Milano 23 Magia e Rinascimento DELLA PORTA: IL MAGO DELL ARCANA SAPIENZA Una riflessione, a 400 anni dalla morte GUIDO DEL GIUDICE sta passann `o mago!». Con un inchino tra l ossequioso e l intimorito il volgo napoletano salutava «Zitt, don Giambattista Della Porta ( ), che dopo la passeggiata mattutina per Via Toledo, tornava a rintanarsi nella wunderkammer del suo palazzo, nei pressi di Largo della Carità. Ma guai a fargli sentire quella parola, «mago»! Nonostante rivendicasse con orgoglio l antica sapienza e alimentasse con le sue predizioni sul destino di nobili e sovrani, quell aura di mistero che lo circondava, egli ci teneva a distinguersi dai negromanti. Quando Jean Bodin, nella sua Démonomaniae des sorciers, lo accusò di essere un «mago venefico», per aver descritto nella Magia naturalis la ricetta dell unguento delle streghe, tra i cui ingredienti figurava la puerorum pinguedo, il grasso di bambini, egli reagì con violento sdegno: «calunnie oppostemi da ignoranti e vilissimi uomini, & invidiosi, i quali assai immodestamente e barbaramente mi offendono, i quali stimano ch io sia Mago, il qual nome ebbi in orrore, & odio da che nacqui, giudicandolo vanità». Anzi, con il caratteristico temperamento napoletano, passò al contrattacco: «Di grazia in che ho io peccato? Perché mi attribuisce quel nome di Mago? [.] un Heretico, il quale Giovanni Battista della Porta, incisione (1682), di Nicolas de Larmessin ( ) nella festa di S. Bartolomeo, nel qual giorno gli volevano uccider tutti, si buttò per una fenestra per non essere ucciso, e scampò dal periglio». Il volgo, sensibile al soprannaturale, al miracolo apparente, tendeva a identificare il mago con il teurgo, colui che pratica operazioni demoniche. Per Della Porta, invece, il mago è il sapiente dotato di capacità operative, che conosce i processi nascosti e reputa la magia soltanto opera di natura: «Nil aliud magiae opera credatis, quam Naturae opera» (Magia naturalis). Lo spirito con cui si faceva avvisare dal boia di Napoli, Antonello Cocozza, quando deponeva gli impiccati dalle forche per esporli al Ponte Ricciardo, era lo stesso di quello di Vesalio, che andava nel Cimetière des Innocents per procurarsi i corpi dei condannati a morte. La differenza è che Vesalio descriveva l anatomia di quei corpi per indagare il funzionamento della Humani corporis Fabrica, mentre Della Porta ne studiava le linee delle mani e dei piedi per leggervi l impronta del destino. Il metodo è esattamente uguale, diverso è il patrimonio sapienziale di riferimento, ancorato al passato quello del filosofo napoletano, proiettato nel futuro quello dei novatores. La sua ricerca dei fisici fondamenti si concentrò su discipline non propriamente moderne quali fisiognomica, fitognomonica, chirofisonomia, astrologia. Un tentativo velleitario, spesso imbarazzante, di sperimentalizzare il magico, alla ricerca

26 24 la Biblioteca di via Senato Milano novembre 2015 delle signatura rerum, della presenza dell assoluto nei multiformi e meravigliosi aspetti della natura: uomini, animali, minerali, vegetali (si avverte l eco del natura est deus in rebus bruniano). La convinzione che nelle cose naturali esistano virtù che i nostri sensi non sono in grado di rilevare (vedi il magnetismo), se non per opera di magia naturale, precorre la constatazione dei fenomeni cosiddetti paranormali. Ammirevoli intuizioni come questa si accompagnano, nelle opere di Della Porta, ad affermazioni talmente superstiziose e credule da metterci a disagio. Per superare questo falso pudore basta semplicemente accettare che non esiste un limite netto di demarcazione tra magia e scienza in epoca rinascimentale, bensì un graduale passaggio dall una all altra. Non è un caso che grandi scienziati, abbiano coltivato, più o meno segretamente, un interesse per elementi ermetici e alchemici. Tycho Brahe, accanto alle osservazioni astronomiche, compilava almanacchi. Una copia della Magia naturalis è stata trovata nella biblioteca di Newton, che si divertiva a far volare di notte l aquilone luminoso costruito seguendo le istruzioni contenute nel libro, facendo gridare al prodigio tutto il vicinato. Non si sa esattamente se Della Porta nacque a Napoli, oppure a Vico Equense, nella villa delle Pradelle, tra ottobre e novembre del Di famiglia nobile ma decaduta, per aver appoggiato la rivolta di Ferrante Sanseverino contro il viceré Pietro di Toledo, ebbe un ottima educazione curata dallo zio materno, il celebre studioso di antichità Adriano Guglielmo Spadafora, insieme al fratello maggiore Giovan Vincenzo, col quale condivise la passione per l astrologia e l indagine naturale su base magica. Pubblicò, ad appena quindici anni, la prima edizione della Magia naturalis, dopo di che se ne andò in giro per l Europa, raccogliendo, a spese dello scarso patrimonio personale, libri e curiosità rare. Ispirandosi all accademia di Girolamo Ruscelli, in cui fu accolto giovanissimo, fondò quella de Secreti, la cui base operativa è stata individuata recentemente da speleologi urbani nei sotterranei di un palazzo del Borgo Due Porte all Arenella, dove sorgeva la villa in collina dei Della Porta. Qui si svolgevano le riunioni esoteriche, a sfondo ermetico e rosacrociano, di cui abbiamo parlato in un precedente articolo su questa rivista. 1 Il limite tra magia lecita e illecita, tra astrologia giudiziaria e «celeste fisionomia» era molto tenue ed egli fu costretto a spostarlo ripetutamente, per sfuggire all occhio vigile dell Inquisizione, che lo seguì con attenzione per tutta la vita. Già nel 1584, ancor prima dello scontro con Bodin, l in-

27 novembre 2015 la Biblioteca di via Senato Milano 25 flessibile cardinale Scipione Rebiba ne reclamò l arresto «per cose concernenti la fede». La salute cagionevole gli evitò la tortura, permettendogli di cavarsela con la purgazione canonica e un fermo invito a tenere a freno la sua «impia curiositas» per dedicarsi al teatro, in cui pure riscuoteva lusinghieri apprezzamenti. Egli seguì il consiglio con una vasta produzione di commedie e tragedie (presso la Biblioteca di via Senato sono conservate due prime edizioni, molte rare, di due di esse: La Trappolaria, stampata a Napoli da Stigliola nel 1595; e La Turca, impressa a Venezia nel 1606) usate anche come paravento per le sue ricerche, come nel caso de Lo astrologo in cui mette in ridicolo quelle stesse virtù divinatorie che più volte gli erano state contestate. Il tormentato rapporto con l Inquisizione costituisce, per questi geni del Rinascimento, il distintivo della libera ricerca, perseguita con mezzi spesso criticabili, ma con quello spirito di indipendenza intellettuale, che andava fatalmente a impigliarsi nelle strette maglie della censura teologica e del suo braccio armato. A differenza di Bruno e Campanella che scelsero di portare avanti le proprie idee, opponendosi al potere religioso, Della Porta vi si conformò, non per opportunismo o pavidità, ma per autentico disinteresse alle dispute dottrinali, completamente estranee al suo mondo fatato di raccoglimento nello studio. Non esistono prove certe dell incontro con Giordano Bruno, ma le numerose sintonie culturali e filosofiche rendono probabile un influenza sulla formazione del Nolano, in particolare nei campi della fisiognomica e dell arte della memoria. Alle eccezionali capacità mnemoniche di quel piccolo frate avido di sapere egli sembra accennare in un passo de L arte del ricordare: «Si vanta Seneca aver recitato duecento versi latini, ch allora gli fussero stati detti, dove alcuni n han recitato le migliaia a Nella pagina accanto: vignetta ritraente Giovan Battista della Porta ( ). Sotto da sinistra: Giovan Battista Della Porta, Phytognomonica (Rouen, Ioannis Berthelin, 1650); le linee della mano. (tavola tratta dalla Chirofisonomia, nell edizione del 1677); Giovan Battista Della Porta, Della Magia naturale (Napoli, Antonio Bulifon, 1677)

28 26 la Biblioteca di via Senato Milano novembre 2015 Sopra da sinistra: Giovan Battista Della Porta, Della celeste fisonomia (Padova, Pietro Paolo Tozzi, 1616); Giovan Battista Della Porta, De Humana Physiognomonia (Vico Equense, Joseph Cacchius, 1586); Giovan Battista Della Porta, De ziferis (Napoli, Jo. Baptistae Subtilis, 1602). Qui accanto: Napoli, S. Lorenzo Maggiore. Lapide sepolcrale di Della Porta. Nella pagina accanto: Napoli, targa commemorativa sul Palazzo Della Porta dritto, a roverso, e interpellati e di quel modo che gli son stati chiesti». La frequentazione di Campanella, invece, è riferita direttamente dallo Stilese, col quale Della Porta, nel 1590, ebbe perfino una disputa pubblica, nell aula San Tommaso del convento di San Domenico Maggiore, proprio intorno al concetto di magia. Non c è da stupirsi della mancanza assoluta di riferimenti espliciti ai due frati domenicani, considerato il loro triste destino. Giambattista pagò comunque l incolumità fisica con una punizione per lui ancora peggiore: la proibizione di pubblicare le sue opere. Con poche eccezioni essa durò per tutta la vita, malgrado protezioni illustri, come quelle del cardinale Luigi d Este, che lo volle al suo servizio, e di Federico Cesi, il fondatore dell Accademia dei Lincei, col quale stabilì, nonostante la differenza di età, un imperituro rapporto di stima e amicizia. A causa dell interdetto inquisitoriale, non ebbe il piacere di veder pubblicata la summa delle sue fatiche, la Taumatologia, evoluzione e completamento della Magia naturalis, come pure la Chirofisonomia e la versione in volgare della Fisonomia umana, che dovette far circolare sotto falso nome. Le sue opere ebbero, comunque, una larghissima diffusione in tutta Europa, facendone uno dei sapienti più ammirati del tempo, ricercato da sovrani, cardinali e uomini di scienza. Famosa la missione affidata dall imperatore Rodolfo II al suo cappellano Christian Harmius, al fine di convincere Della Porta a recarsi a Praga, o perlomeno a mandare in sua vece un di-

29 novembre 2015 la Biblioteca di via Senato Milano 27 scepolo a conoscenza degli esperimenti sul lapis philosophorum. La sua attività, eccessivamente dispersiva, si esauriva nell approvazione o nel rigetto di un secreto, senza trarne nulla di sistematico, che non fosse un catalogo o un atlante di curiosità e meraviglie. Ciò non toglie che, tra le centinaia di mirabilia esaminate, venissero fuori delle originali osservazioni, come accadde per la camera oscura, il microscopio, il telescopio, il magnete. La priorità nella progettazione del telescopio è un fatto assodato, per averlo Della Porta descritto nei particolari (anni prima che Galilei lo presentasse), e sancito dai versi che Giovanni Fabri, cancelliere dei Lincei, premise all edizione del 1655 del Saggiatore: «Porta tenet primas, habeas Germane secundas: sunt Galilaee tuus tertia regna labor». Ciò avviò un accesa polemica sull attribuzione della scoperta, anche se con un ammirevole onestà intellettuale, Della Porta riconobbe che, da quella «minchioneria», il Pisano aveva saputo trarre mirabili osservazioni, di cui lui non era stato capace, pur essendone l inventore. Lo stesso accadde nel caso del magnetismo, quando William Gilbert, nel De magnete, lo criticò ferocemente, tacciandolo d incompetenza. Anche in questo caso, Della Porta, dopo aver riconosciuto correttamente il debito nei confronti dell amico Paolo Sarpi, che lo aveva messo a parte delle sue osservazioni sul fenomeno, rivendicò con fermezza il suo primato: «Un barbaro Inglese, il quale del mio settimo libro della calamita, essendo io il primo che abbia manifestato al mondo da centocinquanta meraviglie; egli trascrivendo tutte le mie, come fussero le sue ne compone un libro, e per non far conoscere il furto, e che non abbia tolto dal mio, mi và offendendo di passo in passo, che sian false l esperienze, ò che egli non intende, ò con furfanteria mentisce, e se vi è alcuna cosa del suo, tutto è mentita, vanità e melanconia; all ultimo dà in mattezze, e cose da ridere». A quel tempo le accuse di plagio erano frequenti, a causa dell estremo individualismo degli eruditi, che custodivano gelosamente le proprie scoperte cercando, al contempo, di carpire i segreti di quelle altrui. Il principale veicolo di scambio delle idee era costituito dai libri, ai quali però non tutti avevano accesso (specie per la severa censura ecclesiastica), sia per quanto riguarda la pubblicazione, che la consultazione. Della Porta aveva una visione molto moderna della comunità scientifica, convinto del ruolo delle accademie nel favorire il lavoro di equipe. Con estremo pragmatismo, sosteneva che il sapere ha bisogno di denaro: «Difficile operare senza il supporto di mezzi finanziari, bisogna arricchirsi per poter filosofare e non filosofare per arricchirsi». Ecco perché, in disaccordo col Cesi, fu del parere che nell accademia dei Lincei, di cui fu ispiratore e personaggio di spicco, dovessero essere accolti non solo eruditi, ma anche principi ed ecclesiastici in vena di mecenatismo. Ne aveva fatto esperienza a sue spese: per fronteggiare i debiti contratti per viaggi di ricerca o per pubblicare le sue opere, aveva perfino dovuto ordinare la vendita di parte del palazzo avito. Fu il matrimonio della figlia Cinzia con un discendente della nobile famiglia Di Costanzo di Pozzuoli a salvarlo dalla rovina e fu a loro che, con riconoscenza, nonostante le pressioni di Federico Cesi che

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