Più che celebrare la memoria del cardinal Martini, è importante. Carlo Maria Martini, un eredità da non disperdere.

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1 Carlo Maria Martini, un eredità da non disperdere Bartolomeo Sorge SJ Direttore emerito di Aggiornamenti Sociali Il costante riferimento alla Scrittura, l amore e l impegno per il dialogo, all interno della Chiesa e verso l esterno, sono la preziosa eredità personale, ecclesiale e civile del card. Martini. Così p. Bartolomeo Sorge ha spiegato lo scorso 30 ottobre, in occasione della commemorazione del gesuita e Arcivescovo di Milano, organizzata dalla Città di Torino, che al card. Martini diede i natali, nell aula del Consiglio comunale. Pubblichiamo qui il testo completo della lectio magistralis del Direttore emerito della nostra Rivista. Più che celebrare la memoria del cardinal Martini, è importante raccoglierne l insegnamento, in modo che il suo retaggio non vada disperso ma continui a operare anche dopo la sua morte. Il fatto che egli ci abbia lasciati alla vigilia del 50 anniversario dell apertura del Concilio Vaticano II rende ancora più significativa la sua eredità personale, ecclesiale e civile, che come vedremo coincide pienamente con quella del Concilio Vaticano II. L eredità personale Non c è dubbio che il primato della Parola di Dio sia la prima grande eredità del Concilio. Infatti, la riscoperta della Sacra Scrittura è all origine di tutto l aggiornamento da esso promosso. Tanto che, a cinquant anni di distanza, si può ben dire, senza temere 830 Aggiornamenti Sociali dicembre 2012 ( )

2 smentite, che il documento conciliare più importante non è né la costituzione dogmatica Lumen gentium, né quella pastorale Gaudium et spes, bensì la costituzione dogmatica Dei Verbum. Nello stesso tempo, è noto a tutti che l eredità principale del card. Martini sta appunto nell amore appassionato alla Sacra Scrittura. A fondamento della libertà interiore, della parresia evangelica e della lungimiranza che hanno contraddistinto la sua personalità, si ritrova, come per il Concilio, l amore alla Bibbia. Martini non è stato solo un testimone illuminato della Parola di Dio nella sua vita personale di sacerdote e di studioso, ma l ispirazione biblica ha segnato profondamente tutta la sua straordinaria attività. In fondo, il vero guaio del card. Martini sta tutto qui: meditando costantemente la Parola di Dio, egli ha finito per guardare il mondo, la storia e i problemi umani attraverso gli occhi stessi di Dio. Lo testimonia la frase che egli ha voluto scolpita sulla sua pietra tombale: «Lampada per i miei passi è la tua Parola, luce sul mio cammino» (Salmo 118, 105). Non è dunque un caso se, appena giunto a Milano, la sua prima iniziativa fu quella di istituire la Scuola della Parola, intesa non come fredda accademia di esegesi, ma come calda esperienza di vita. Lo scopo spiegò egli stesso fu quello di fare rivivere ai cristiani di oggi e specialmente ai giovani «quell esperienza del fuoco nel cuore che fecero i due discepoli sulla strada di Emmaus»; e aggiungeva, fondandosi sulla sua stessa esperienza, che egli considerava la Bibbia «letta e pregata da soli, nei gruppi e nelle comunità», in particolare dai giovani, come «il libro del futuro» (2002, 9). Si comprendono perciò le parole dette al padre Georg Sporschill nell ultima intervista, pochi giorni prima di morire, destinata a rimanere il suo testamento spirituale: «Il Concilio Vaticano II ha restituito la Bibbia ai cattolici [ ]. Solo chi percepisce nel suo cuore questa Parola può far parte di coloro che aiuteranno il rinnovamento della Chiesa e sapranno rispondere alle domande personali con una giusta scelta. La Parola di Dio è semplice e cerca come compagno un cuore che ascolti [ ]. Né il clero, né il diritto ecclesiale possono sostituirsi all interiorità dell uomo. Tutte le regole esterne, le leggi, i dogmi ci sono dati per chiarire la voce interna e per il discernimento degli spiriti» (Martini 2012). In altre parole spiega Martini solo una Chiesa che, alla luce della Bibbia, guarda il mondo con gli occhi di Dio e pensa in grande, con i pensieri di Dio, può generare quei cristiani liberi, necessari perché la Chiesa e il mondo si rinnovino: «uomini che siano liberi e più vicini al prossimo. Come lo sono stati il vescovo Romero e i martiri gesuiti di El Salvador. Dove sono da noi gli eroi Carlo Maria Martini, un eredità da non disperdere 831

3 832 Bartolomeo Sorge SJ a cui ispirarci? Per nessuna ragione dobbiamo limitarli con i vincoli dell istituzione» (ivi). Solo una Chiesa che pensi in grande, come pensa Dio, può far rinascere la fede e l entusiasmo in tanti cristiani spenti e delusi. «Io vedo nella Chiesa di oggi commenta Martini amaramente così tanta cenere sopra la brace che spesso mi assale un senso di impotenza. Come si può liberare la brace dalla cenere in modo da far rinvigorire la fiamma dell amore? [ ] Abbiamo bisogno del confronto con uomini che ardono in modo che lo spirito possa diffondersi ovunque» (ivi). Solo una Chiesa che guarda il mondo con gli occhi di Dio e pensa la storia con i pensieri di Dio, come insegna la Bibbia, può trovare il coraggio di condurre a termine l aggiornamento iniziato dal Concilio. Infatti, per riprendere con coraggio il cammino di rinnovamento, che oggi appare fermo e interrotto, «la Chiesa deve avere la forza di riconoscere i propri errori e deve percorrere un cammino radicale di cambiamento, cominciando dal Papa e dai vescovi. Gli scandali della pedofilia ci spingono a intraprendere un cammino di conversione. Le domande sulla sessualità e su tutti i temi che coinvolgono il corpo ne sono un esempio. Questi sono importanti per ognuno e a volte forse sono anche troppo importanti. Dobbiamo chiederci se la gente ascolta ancora i consigli della Chiesa in materia sessuale. La Chiesa è ancora in questo campo un autorità di riferimento o solo una caricatura nei media?» (ivi). Occorre dunque imparare a pensare in modo aperto, in modo biblico. Infatti insiste Martini «non pensare in modo biblico ci rende limitati, ci impone dei paraocchi non consentendoci di cogliere l ampiezza della visione di Dio» (2008, 20). Il pericolo nel quale si può incorrere (anche nella Chiesa) è quello di lasciarsi condizionare dalla mentalità ristretta dell individualismo imperante, dalla paura del diverso e dall indifferenza per i bisogni dell altro, preoccupati soltanto di guardare a se stessi, fino a fare di se stessi un assoluto. La Bibbia, invece, insegna ad amare gli stranieri, ad aiutare i deboli, a soccorrere e servire in modi diversi tutti gli uomini. Secondo la Bibbia, neppure le istituzioni, comprese quelle ecclesiali, sono un assoluto; certo, ne abbiamo bisogno, ma Dio non si può ridurre a esse: «Non puoi rendere Dio cattolico. Dio è al di là dei limiti e delle definizioni che noi stabiliamo [ ]. Per proteggere questa immensità [di Dio] non conosco modo migliore che continuare sempre a leggere la Bibbia» (ivi, 21). In conclusione, se «dobbiamo aiutare il mondo a trovare una direzione [ ], [se] dobbiamo decidere dove la società debba andare», non possiamo fare a meno che «pensare in modo aperto», in

4 modo biblico; altrimenti si rimane asserviti alle mode culturali del momento e a tendenze ideologiche, che rendono incapaci di discernimento e di iniziative efficaci (cfr ivi). L amore alla Parola di Dio dunque è la prima eredità, la più personale, che l Arcivescovo di Milano ci ha lasciato, in piena coincidenza con il retaggio del Concilio. L eredità ecclesiale Accanto al primato della Parola di Dio, il Concilio ha lasciato un altra eredità, di natura ecclesiale: il dialogo fraterno tra tutte le componenti della comunità cristiana, nello spirito della collegialità e della sinodalità. Il card. Martini ha fatto suo questo orientamento del Concilio e si è speso con coraggio per attuarlo. Esso scrive fu accolto e seguito con tanta speranza nei primi anni del post-concilio; oggi, però, l entusiasmo si è spento e non sono pochi i cristiani che non credono più all aggiornamento della Chiesa su questo punto nella sua vita interna e a livello ecumenico. «Posso ben comprendere le loro preoccupazioni riflette il card. Martini se solo penso a quanti in questo periodo hanno abbandonato il sacerdozio, a come la Chiesa sia frequentata da un numero sempre minore di fedeli e a come nella società e anche nella Chiesa sia emersa una sconsiderata libertà» (2008, 103). Tuttavia, i limiti e gli errori del primo post-concilio non tolgono nulla all importanza di questa eredità ecclesiale. Nonostante tutto conclude l Arcivescovo «dobbiamo guardare avanti. [ ] credo nella prospettiva lungimirante e nell efficacia del Concilio» (ivi). Perciò, reagendo al clima di sfiducia e di rassegnazione che oggi blocca molti cristiani, Martini ha operato intensamente perché crescesse l amore al dialogo, sia all interno della Chiesa, sia tra le Chiese sorelle, fomentando come ha potuto lo spirito collegiale auspicato dal Concilio. L intervento più noto in questa direzione fu il sogno del quale egli parlò nel 1999 al Sinodo dei Vescovi d Europa. Martini, di per sé, non chiedeva un Concilio Vaticano III, ma proponeva la convocazione, di tempo in tempo, di assemblee sinodali, rappresentative di tutto l episcopato, per affrontare i nodi che il Concilio non aveva risolto, anche perché molti di essi sono nati dopo. Egli stesso fece una lista delle principali questioni che attendono ancora di essere chiarite: la posizione della donna nella società e nella Chiesa, la partecipazione dei laici ad alcune responsabilità ministeriali, la sessualità, la disciplina del matrimonio, la prassi penitenziale, i rapporti con le Chiese sorelle dell ortodossia e, più in generale, il bisogno di ravvivare la speranza ecumenica, il rapporto tra democrazia e valori, tra leggi civili e legge morale. E concludeva: ci vuole uno strumento collegiale, universale Carlo Maria Martini, un eredità da non disperdere 833

5 834 Bartolomeo Sorge SJ e autorevole, dove questi temi si possano affrontare con libertà, nel pieno esercizio della collegialità episcopale, in ascolto dello Spirito e guardando al bene comune della Chiesa e dell umanità intera. Nello stesso tempo, accanto al dialogo interno l eredità ecclesiale di Martini comprende pure l esortazione ad accogliere con fede la purificazione a cui oggi è sottoposta la Sposa di Cristo: il fatto cioè che la Chiesa si ritrovi in minoranza ed emarginata nella vita sociale, politica e culturale. Non ci dobbiamo scoraggiare, ripeteva. Infatti, la condizione nativa della Chiesa è di essere un piccolo gregge ; la sua missione è di essere lievito e sale della società, piccolo seme di nuovi germogli. È questo un compito in apparenza modesto, ma di fatto molto esigente e necessario. Martini, nello sforzo di aiutare la Chiesa a riprendersi, arriva a concedere che la nostalgia del vecchio regime di cristianità, tuttora presente in diverse frange della comunità ecclesiale, non manca di qualche giustificazione. Infatti dice «il voler essere a ogni costo, pur nelle circostanze attuali, una forza rilevante nel quadro politico della società, operante sullo stesso piano delle altre forze e in concomitanza e concorrenza con loro, ha una sua tradizione antica di secoli, che ha contribuito a forgiare la società europea, con i suoi valori e le sue conquiste. È anche attraverso questi modi di presenza, giustificati dalle condizioni e necessità di altre epoche, che un certo patrimonio di valori cristiani è diventato dote civile della società» (1999, 160 s.). Ciò detto aggiunge, bisogna però prendere atto che il mondo è cambiato e che le acquisizioni teologiche e pastorali del Concilio Vaticano II hanno posto fine per sempre al regime di cristianità, non solo sul piano storico, ma anche su quello teologico. Il superamento definitivo della cristianità, operato dal Concilio, non è un male, ma un bene, perché «una Chiesa che è conscia della sua minorità ha più vivo il senso della testimonianza, coglie meglio le differenze in sé e attorno a sé, è più aperta al dialogo ecumenico e interreligioso, vive con più scioltezza la sinodalità e la collaborazione tra le Chiese locali» (ivi, 161). Ecco perché la Chiesa per usare le parole di Paolo VI deve «essere pronta a sostenere il dialogo con tutti gli uomini di buona volontà, dentro e fuori l ambito suo proprio. Nessuno è estraneo al suo amore. Nessuno è indifferente per il suo ministero. Nessuno le è nemico, che non voglia egli stesso esserlo [ ]. Dovunque è l uomo in cerca di comprendere se stesso e il mondo, noi possiamo comunicare con lui» (Ecclesiam suam, n. 192). In altre parole, il dialogo intraecclesiale e il dialogo ecumenico non sono fine a se stessi, ma devono aprirsi al dialogo con il mondo.

6 L eredità civile Il dialogo della Chiesa con il mondo è, dunque, l altra grande eredità del Concilio Vaticano II, che il card. Martini ha condiviso pienamente e ha fatto sua. La necessità del dialogo ad extra spiega il Concilio non nasce solo dalla necessità di venire incontro a un bisogno evidente del nostro tempo, all interno dell umanità globalizzata. È una istanza intrinseca alla natura stessa del rapporto religioso tra Dio e l uomo. «La rivelazione, cioè la relazione soprannaturale che Dio stesso ha preso l iniziativa di instaurare con l umanità commenta papa Montini, può essere raffigurata in un dialogo, nel quale il Verbo di Dio si esprime nell Incarnazione e quindi nel Vangelo. [ ] Bisogna che noi abbiamo sempre presente questo ineffabile e realissimo rapporto dialogico [ ], per comprendere quale rapporto noi, cioè la Chiesa, dobbiamo cercare d instaurare e di promuovere con l umanità» (Ecclesiam suam, n. 193 s.). Proprio per questo, i problemi della liberazione e della promozione umana non sono estranei alla missione della Chiesa: «Non si salva il mondo dal di fuori; occorre come il Verbo di Dio che si è fatto uomo, immedesimarsi, in certa misura, nelle forme di vita di coloro a cui si vuole portare il messaggio di Cristo, occorre condividere, senza porre distanza di privilegi o diaframma di linguaggio incomprensibile» (ivi, n. 198). Con queste parole, dette all inizio della seconda sessione del Concilio, Paolo VI veniva a rafforzare il passaggio centrale del discorso di apertura, nel quale Giovanni XXIII spiegava le ragioni che l avevano spinto a convocarlo. Lo scopo disse papa Roncalli l 11 ottobre 1962 non era, come per i 20 concili precedenti, né la condanna dell una o dell altra eresia, né la definizione dell una o dell altra verità di fede, né la preoccupazione di far fronte a movimenti scismatici. Il Vaticano II è stato convocato al fine di ridire la natura e la missione della Chiesa e quasi a ridefinire l identità cristiana, presa nel suo insieme e nei suoi aspetti principali, nel contesto storico e culturale dell umanità globalizzata 1. Rappresenta, quindi, un unicum nella storia dei concili. La Chiesa, all interno di un mondo profondamente cambiato, non poteva non interrogarsi su come annunziare il Van- 1 «Lo scopo principale di questo Concilio non è, quindi, la discussione di questo o quel tema della dottrina fondamentale della Chiesa, in ripetizione diffusa dell'insegnamento dei Padri e dei Teologi antichi e moderni [ ]. Per questo non occorreva un Concilio [ ], lo spirito cristiano, cattolico ed apostolico del mondo intero attende un balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale e una formazione delle coscienze; è necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo» (Giovanni XXIII, Gaudet Mater Ecclesia, 1962, 54*s.). Carlo Maria Martini, un eredità da non disperdere 835

7 836 Bartolomeo Sorge SJ gelo a un umanità globalizzata e unificata, ma nello stesso tempo multietnica, multiculturale e multireligiosa. Come dialogare con un mondo per molti aspetti postcristiano, di cui, nonostante tutto, la Chiesa condivide la sorte, le speranze e i problemi? A questo si ricollega l eredità che Martini ci ha lasciato del dialogo in campo civile, culturale e politico. Nella nuova situazione secolarizzata del mondo dice l Arcivescovo di Milano, non basta proclamare i principi assoluti, discendenti dal patrimonio di fede, riguardanti la vita, la famiglia e altri valori fondamentali. La Chiesa deve illuminare e formare le coscienze. Quindi, non deve temere di dare un giudizio profetico circa la maggiore o minore coerenza con il Vangelo delle differenti culture o dei programmi politici che oggi si confrontano tra loro: «non è dunque questo [per la Chiesa] un tempo di indifferenza, di silenzio, e neppure di distaccata neutralità o di tranquilla equidistanza. Non basta dire che non si è né l uno né l altro, per essere a posto [ ]. È questo un tempo in cui occorre aiutare a discernere la qualità morale insita non solo nelle singole scelte politiche, bensì anche nel modo generale di farle e nella concezione dell agire politico che esse implicano. Non è in gioco la libertà della Chiesa, è in gioco la libertà dell uomo; non è in gioco il futuro della Chiesa, è in gioco il futuro della democrazia» (Martini 1996, 171). La difficoltà di un dialogo franco e aperto con il mondo e con la cultura puntualizza Martini viene anche dal fatto che le categorie filosofiche e teologiche neoscolastiche, usate ancora largamente dalla Chiesa, si rivelano insufficienti per parlare con gli uomini di oggi. Anche il metodo con cui affrontare i nuovi problemi va ripensato. Come fa la Bibbia, occorre enunciare con chiarezza i grandi principi, ma riferirsi poi alla responsabilità dei singoli per accompagnarli, nel rispetto della loro libertà di coscienza, verso la verità. Il Cardinale è convinto che la valorizzazione della responsabilità della coscienza personale faciliterà il dialogo e la mutua comprensione con le diverse culture. È molto diverso intendere la nuova evangelizzazione come mero adeguamento della verità rivelata (intesa come un sistema dottrinale astorico) al linguaggio e ai problemi del mondo moderno; oppure intenderla nel senso biblico del pensare in modo aperto. Questo consentirà, da un lato, di conoscere meglio la verità rivelata, dall altro, di ampliare gli orizzonti e di facilitare il dialogo con la cultura dei nostri giorni. Il Vangelo, infatti, fa conoscere meglio la storia, e la storia fa conoscere meglio il Vangelo. Qui possiamo notare tra parentesi che le novità di alcune prese di posizione di Martini, sulle quali tanto hanno insistito i mass media, non stanno nel supposto tentativo di prendere le distanze dalle posizioni ufficiali della Chiesa, bensì nel ripensarle prendendo a

8 punto di riferimento la Sacra Scrittura, più che la teologia scolastica, e renderle così meglio comprensibili alla cultura moderna. Martini ci ha lasciato un esempio convincente di questo modo nuovo (biblico) di dialogare con il mondo contemporaneo, istituendo la Cattedra dei non credenti. Questa iniziativa nacque dalla medesima convinzione che stava all origine della Scuola della Parola, dal fatto cioè che tutti, credenti e non credenti, siamo alla ricerca della verità e non possiamo dare nulla per scontato. Ogni credente porta in sé il germe della non credenza e ogni non credente porta in sé il germe della fede. È possibile, dunque, un incontro tra credenti e non credenti, purché gli uni e gli altri siano pensanti. È il criterio che Martini applica anche alla vita sociale e politica. Non basta proclamare i cosiddetti valori non negoziabili ed esigere che la legislazione li promuova, «se non ci si fa carico di una ricerca paziente di soluzioni pratiche che tengano conto anche di chi ha concezioni diverse» (ivi, 174), se non si cercano strade politiche condivise. «Questo della mediazione antropologico-etica» precisa Martini è forse uno dei lavori più importanti e urgenti per i cristiani impegnati in politica, ed è uno dei contributi più fecondi che le comunità cristiane possono dare alla società civile oggi»; i principi della fede, lungi dal trasformarsi in motivo di conflitto e di contrapposizione all interno della convivenza civile, «devono risultare vivibili e appetibili anche per gli altri, nel maggior consenso e concordia possibili» (ivi). È la natura stessa dell arte politica a non consentire che i cosiddetti valori non negoziabili si traducano immediatamente in leggi, ma a imporre una paziente gradualità, condizionata dall evoluzione del consenso e del costume della gente. «Occorre spiega Martini distinguere innanzi tutto tra principi etici e azione politica. I principi etici sono assoluti e immutabili. L azione politica, che pure deve ispirarsi ai principi etici, non consiste di per sé nella realizzazione immediata dei principi etici assoluti, ma nella realizzazione del bene comune concretamente possibile in una determinata situazione. Nel quadro di un ordinamento democratico, poi, il bene comune viene ricercato e promosso mediante i mezzi del consenso e della convergenza politica. Nel fare ciò non è mai possibile ammettere un male morale. Può però accadere che, in concreto quando non sia possibile ottenere di più, proprio in forza del principio della ricerca del miglior bene comune concretamente possibile si debba o sia opportuno accettare un bene minore o tollerare un male rispetto a un male maggiore» (Martini 1998, 715). Più che di accettazione del male minore (che rimane pur sempre un male) si deve parlare dunque del maggior bene possibile: «Vale più la proposta di cammini positivi, pur se graduali, che non la chiusura Carlo Maria Martini, un eredità da non disperdere 837

9 su dei no che, alla lunga, rimangono sterili [ ]. Non ogni lentezza nel procedere è necessariamente un cedimento. C è pure il rischio che, pretendendo l ottimo, si lasci regredire la situazione a livelli sempre meno umani» (Martini 1996, 174). Occorre, dunque, ripensare il compito dell etica pubblica. «Sembra invece che, nell accettare le leggi del consenso, il cristiano si senta in colpa, come se affidasse al consenso democratico la legittimazione etica dei propri valori. Non si tratta di affidare al criterio della maggioranza la verifica della verità di un valore, bensì di assumersi autonomamente una responsabilità nei confronti della crescita del costume civile di tutti, che è il compito dell etica politica. Tale compito perciò sta a cuore alla Chiesa nel suo operare come seme e lievito all interno della società» (Martini 1999, 164) 2. Per questo occorre distinguere tra il compito della Chiesa in quanto tale e il compito dei fedeli laici. «Il compito della Chiesa è mediato, in quanto le spetta di contribuire alla purificazione della ragione e al risveglio delle forze morali»; nello stesso tempo, però, accanto al contributo mediato, proprio della gerarchia, è compito dei fedeli laici operare immediatamente per un giusto ordine nella società: «Come cittadini dello Stato tocca ad essi partecipare in prima persona alla vita pubblica e, nel rispetto delle legittime autonomie, cooperare a configurare rettamente la vita sociale, insieme con tutti gli altri cittadini, secondo le competenze di ognuno e sotto la propria autonoma responsabilità» (Deus caritas est, n. 29). È evidente a tutti, 50 anni dopo l inizio del Concilio, che su questo punto rimane ancora molta strada da fare. Siamo fermi e in ritardo. Il giudizio del card. Martini è sferzante: «La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio [ ]. Solo l amore vince la stanchezza. Dio è Amore» (Martini 2012) 3. 2 È quanto insegna anche la dottrina sociale della Chiesa: «Il fedele laico è chiamato a individuare, nelle concrete situazioni politiche, i passi realisticamente possibili per dare attuazione ai principi e ai valori morali propri della vita sociale. [ ] la fede non ha mai preteso di imbrigliare in un rigido schema i contenuti socio-politici, consapevole che la dimensione storica in cui l uomo vive impone di verificare la presenza di situazioni non perfette e spesso rapidamente mutevoli» (CDSC 1994, n. 568). 3 A conferma che «la Chiesa è rimasta indietro di 200 anni» basti citare la recente sentenza con cui Paolo Gabriele è stato condannato per aver divulgato documenti riservati del Papa: «In nome di Sua Santità Benedetto XVI gloriosamente regnante, il Tribunale, invocata la Santissima Trinità ha scandito il Presidente, Giuseppe Della Torre [ ] condanna [l'imputato] alla pena di anni tre di reclusione» (cfr il testo integrale in Avvenire, 7 ottobre 2012). Evidentemente questa formula era appropriata 200 anni fa, quando «gloriosamente regnante» era Pio IX, l'ultimo papa re. Non meno stupefacente è il fatto che questo ritorno allo stile di 200 anni fa non abbia suscitato nessuna reazione. 838 Bartolomeo Sorge SJ

10 Come si vede, è notevole la coincidenza tra l eredità del Concilio e quella del card. Martini. Perciò assume un significato particolare la domanda finale con cui il Cardinale conclude la sua intervista-testamento, chiedendo all intervistatore: «che cosa puoi fare tu per la Chiesa?» (ivi). Con questa semplice domanda rivolta chiaramente a tutti, il cardinal Martini consegna a ciascuno di noi l eredità sua e del Concilio. Ora tocca a noi fare in modo che essa non vada dispersa, ma viva e sia feconda di frutti. Magistero Benedetto XVI, enciclica Deus caritas est, 2005, in < CDSC 1994, Pontificio consiglio della giustizia e della pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano. Giovanni XXIII, discorso d apertura del Concilio, Gaudet Mater Ecclesia (11 ottobre 1962), in Enchiridion Vaticanum, 1, EDB, Bologna. Paolo VI, enciclica Ecclesiam suam, 1964, in < Testi di Carlo Maria Martini Martini C. M. (1996), «C è un tempo per parlare e un tempo per tacere. Discorso di S. Ambrogio (1995)», in Aggiornamenti Sociali, 2, Martini C. M. (1998), «Alcune riflessioni sulla nota Le comunità cristiane educano al sociale e al politico», in Aggiornamenti Sociali, 9-10, (1999), «Il seme, il lievito e il piccolo gregge. Discorso di S. Ambrogio (1998)», in Aggiornamenti Sociali, 2, (2002), La Parola di Dio nel futuro dell Europa, Incontro di studio su «Cristianesimo e democrazia nel futuro dell Europa», Camaldoli, luglio 2002, in Il Regno, supplemento al n. 4 del 15 febbraio (2008), Conversazioni notturne a Gerusalemme sul rischio della fede, Mondadori, Milano. (2012), «L ultima intervista. Chiesa indietro di 200 anni. Perché non si scuote, perché abbiamo paura?», a cura di G. Sporschill e F. Radice Confalonieri, in Corriere della Sera, 1 settembre risorse Carlo Maria Martini, un eredità da non disperdere 839

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