Ricerca a cura di Alberto Mirabella

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1 1 IL RUOLO E LA GESTIONE DELL ERRORE IN CAMPO DIDATTICO OVVERO UNA RIVALUTAZIONE PEDAGOCICO- DIDATTICA DELL ERRORE SBAGLIANDO S'IMPARA. UNA RIVALUTAZIONE DELL'ERRORE Ricerca a cura di Alberto Mirabella

2 INDICE: 2 L errore generativo 9 La lettura dell errore 16 Gli eccellenti e gli esclusi 27 Si valuta ciò che si dà 30 Pedagogia dell errore o pedagogia dell uniformismo? 33 Il valore dell errore nel processo di apprendimento 36 Apprendimento per problemi e potere educativo dell errore 40 La scuola come luogo di rielaborazione del sapere 43 La teoria dell errore creativo 46 Programmazione educativo-didattica 47 L errore nell approccio alle difficoltà in matematica 54

3 MEMENTO *LA PEDAGOGIA DELL ERRORE INSEGNA A SBAGLIARE SENZA PAURE. *RICORDIAMO LE PAROLE DI RODARI : "GLI ERRORI SONO NECESSARI, UTILI COME IL PANE E SPESSO ANCHE BELLI : PER ESEMPIO LA TORRE DI PISA". NON DRAMMATIZZARE L'ERRORE, MA UTILIZZARLO PER MODIFICARE I COMPORTAMENTI DELL'ALUNNO *OCCORRE UNA RIVALUTAZIONE CORAGGIOSA DELL'ERRORE, COME NELLA MAIEUTICA SOCRATICA * IN OGNI ERRORE GIACE LA POSSIBILITÀ DI UNA STORIA *OGNI ERRORE PUO ESSERE UN ERRORE CREATIVO 3

4 4 *IL METODO DIDATTICO NON PUÒ FARE A MENO DEL RINFORZO AFFINCHÉ L'ALLIEVO, GRATIFICATO, RITENGA NELLA MENTE CIÒ CHE LO HA GRATIFICATO. DI QUESTO ERA CONVINTO SKINNER, COMPORTAMENTISTA CHE SI È BASATO SULLA CENTRALITÀ DEL RINFORZO, ELEMENTO DI INCORAGGIAMENTO. EGLI EBBE LA ''PRETESA'' DI CERCARE DI ELIMINARE L'ELEMENTO ERRORE NELL'AMBITO DIDATTICO. IN OGNI CASO, BISOGNA ORGANIZZARE UNA PROGRAMMAZIONE DIDATTICA CHE MARGINALIZZI L'ERRORE IN MODO DA PRODURRE ESPERIENZA POSITIVA (NELL'ALLIEVO) E QUINDI RINFORZO, BASARE LA PROGRAMMAZIONE DIDATTICA SULLA CENTRALITÀ DEL RINFORZO (PIANIFICANDOLO). *OCCORRE CONSIDERARE L ERRORE COME OPPORTUNITÀ DI REVISIONE DELLA PROCEDURA E DI. MIGLIORAMENTO... *L errore ci porta sul cammino dell accettazione, dell esplorazione e della mutua correzione nella consapevolezza di non voler fare di ognuno di noi una macchina banale che adotta risposte sempre prevedibili e nella scoperta che ci può e deve essere una sicurezza che si basa non già sul preconfezionamento di risposte banali, bensì sulla meraviglia de il mondo è così e mi sorprende!. (Prof. Paolo Perticari, docente di Pedagogia Generale all Università di Bergamo)

5 *Qual è il ruolo dell'errore nell'educazione linguistica in un contesto scolastico in cui comunque i bambini devono imparare a parlare e a scrivere in modo corretto? L'errore è parte integrante della lingua e soprattutto dell'apprendimento di una lingua. Far finta che l'errore non esista se non per essere corretto è un approccio sbagliato. Questo i nostri grandi autori e pedagogisti l'avevano capito benissimo: Gianni Rodari, Loris Malaguzzi, Bruno Ciari ci hanno costruito sopra una pedagogia. Una pedagogia che non giustifica l'errore, ma che lo considera un aspetto fondamentale della costruzione e della crescita di un linguaggio. Procedere per errori è in sintesi la storia della lingua e della comunicazione. L'errore è occasione di spiazzamento del punto di vista: basta cambiare una vocale e la zuppa diventa la zappa, un'altra cosa. Con gli errori i bambini giocano e si divertono, considerandoli una scoperta, che si porta dietro narrazioni, suggestioni, assonanze Spesso i bambini inventano parole inesistenti che in una scuola tradizionale vengono regolarmente cassate. Invece il mondo linguistico di un bambino contempla anche le parole inventate a partire da un errore. In questo senso lavorare con l'errore non significa mettere in conflitto errore e correzione, anzi se io sbaglio tra zuppa e zappa, è sicuro che quell'errore non me lo scordo più. Ci ho giocato, ho riso, ho costruito con la fantasia, ho immaginato, ho scritto altre parole, mi sono divertito 5

6 6 Errore Lavoro riuscito male o in parte sbagliato. Si sbaglia se si usano idee o informazioni o materiali non adatti. A certi errori si può rimediare, ad altri no. Se un compagno sbaglia, a volte noi lo deridiamo ma anche noi facciamo un errore perché non lo rispettiamo. Chi sbaglia si sente inferiore ed umiliato. Chi continua a sbagliare, si sente incapace ed avvilito. Tutti commettono errori che servono a capire gli sbagli e a migliorare. Per superare gli errori servono la grinta e la consapevolezza do voler risolvere i problemi. Errare è umano. Ma anche e soprattutto la capacità di conoscere a partire dall errore è una competenza umana. Una competenza che si può e si deve affinare; specialmente laddove l errore può avere gravi conseguenze. Per far questo bisogna che tutti accettino l idea che l errore non è solo regressivo ma anche progressivo e addirittura prezioso Mi accorgo che la potenza dell errore è più grande di quella della perfezione, che il riconoscimento reciproco delle nostre umanità che scoprono stupite molte risposte inaspettate e rivedibili è il segreto del nostro rapporto. Mi pare che non ci sia nulla di più alto che il metterci alla prova di fronte alle sfide delle discipline e delle attività che creiamo insieme. La regola va scoperta, ma senza rigidità, senza cura maniacale per i dettagli di essa senza l assillo delle valutazioni sistematiche pena la lontananza. OCCORRE una pedagogia che riscopra l attenzione per l essere umano, per la sua creatività, per la sua ricerca di un ordine "trovato" e non inoculato dall altra/o è sicuramente quella che ci attende nel futuro che vorremmo. E una pedagogia che non teme il dubbio, l imprevisto, che non guarda l orologio, che crede nella scuola come luogo di incontro privilegiato per tutte le tipologie di giovani; è una pedagogia che "comincia a ricominciare" da zero ascoltando le parole preziose di chi non ha ancora tutte le parole per esprimere i concetti che va "conoscendo", che non teme l errore e lo ama perché le svela i percorsi mentali che l hanno prodotto (Claudia Fanti) in

7 Educare un bambino non è riempire un vaso, è accendere un fuoco (Michael de Montaigne) 7

8 8 In una pedagogia del cammino l'errore è parte integrante del processo d'acquisizione. Volere evitare l'errore significa frenare e persino inibire l'apprendimento. Per questo cerchiamo di creare un'atmosfera in cui sia permesso sperimentare senza alcun timore l'emozione e in cui essa venga considerata come mezzo per una presa di coscienza delle possibilità delle peculiarità e dei limiti della lingua straniera. in no/archivio_1.htm AHI! L ERRORE..

9 Un tale mi venne a domandare: quante fragole crescono in mare? E io gli ho risposto di mia testa: quante sardine nella foresta.(g. RODARI) 9

10 INDICE: L'ERRORE GENERATIVO. PEDAGOGIA (DIDATTICA) SCOLASTICA ED ERRORE di Giuseppina Zuccari 2. L ANALISI DELL ERRORE IN CAMPO DIDATTICO di Marco Mezzadri in: 3. IL VALORE DELL ERRORE NEL PROCESSO DI APPRENDIMENTO DI GIUSEPPE ZOLLO 4. LA SCUOLA COME LUOGO DI RIELABORAZIONE DEL SAPERE DI LANFRANCO ROSATI 5. GLI ECCELLENTI E GLI ESCLUSI Giancarlo Cavinato. COSA SI VALUTA, CHI E COME VALUTA? 6. LA PROGRAMMAZIONE DIDATTICA, INTESA COME PROCESSO DI INSEGNAMENTO-APPRENDIMENTO 7. L'ERRORE NELL'APPROCCIO ALLE DIFFICOLTÀ IN MATEMATICA ROSETTA ZAN*

11 11 L'ERRORE GENERATIVO. PEDAGOGIA (-DIDATTICA) SCOLASTICA ED ERRORE di Giuseppina Zuccari da ReS n.4/2003, pp Da una concezione esclusivamente negativa dell'errore nella scuola come azione da sanzionare, ad una visione positiva dell'errore come risorsa e fonte di conoscenza. Nell'esperienza scolastica del passato, l'errore veniva percepito come qualcosa di assolutamente negativo, da evidenziare con segni in blu o in rosso, a seconda della gravità. Tutta la scuola, d'altronde, era organizzata sostanzialmente su due aspetti basilari: l'insegnamento e la valutazione. Questo modello scolastico era sostanzialmente autoreferenziale e poneva al centro dell'attenzione i contenuti da trasmettere e la valutazione dell'alunno, tesa ad evidenziare minuziosamente errori ed incertezze e a verificare che ciò che era stato insegnato fosse stato imparato con meno inesattezze possibili, per essere riutilizzato al momento dell'interrogazione o dell'esecuzione corretta di un esercizio scolastico. L'errore veniva quindi addebitato in toto allo scolaro, alla sua distrazione, alla sua scarsa applicazione In questo modello, naturalmente, non è solo la pratica a rivelarsi parziale e difettosa, ma anche la teoria: il focus non è tanto sull'alunno quanto sul contenuto dell'insegnamento e il compito scolastico viene concepito soprattutto a partire dalle valutazioni, dai momenti in cui si tirano le somme, con quell'effetto inquietante che voti, giudizi e pagelle hanno per le famiglie e gli allievi. L'apprendimento è qui considerato un effetto di insegnamenti deliberati, gestiti in toto dagli insegnanti, con scarsa attenzione all'interazione comunicativa, agli interessi e all'impegno degli studenti. Paradigmatico del modello di insegnamento sopra descritto è il seguente brano, tratto da: D. STARNONE, Solo se interrogato, Feltrinelli, Milano 1995, pp "Ho trovato, tra i miei appunti, ciò che mi disse il collega Carlo Bisocco qualche anno fa a proposito della sua arte di insegnare. Questo collega aveva quarantotto anni, allora, e una fama di insegnante molto esigente. Non conversava volentieri però, sicché riferisco qui seccamente le poche cose che riuscii a strappargli.

12 D.S. Quando hai cominciato a insegnare, avevi in mente un modello? 12 C.B. Nessun modello. Ho fatto quello che mi pareva necessario e ho seguitato a farlo. Io non mi sono mai lasciato incantare da esperimenti all'avanguardia. C'è un unico modo per insegnare che davvero funziona. D.S. Quale? C.B. Tu spieghi sinteticamente, ma con chiarezza, l'argomento che i ragazzi devono studiare. Poi indichi con altrettanta chiarezza le pagine del libro di testo dove l'argomento è esaurientemente affrontato. Quindi assegni un certo numero di esercizi che gli studenti sono tenuti a fare a casa per impadronirsi praticamente dell'argomento. Il giorno dopo scegli un paio di ragazzi a caso e li interroghi. Metti un buon voto se hanno imparato la lezione, un cattivo voto se non l'hanno imparata, senza incertezze. E vai avanti così, fino alla fine dell'anno e del programma ministeriale. D.S. Ma se qualcuno resta indietro, se non ce la fa, se ti vengono dei dubbi? Ricorrere al mastery learning, a percorsi curricolari, a forme di campensazione del normale processo di istruzione? C.B. Mai lasciarsi coinvolgere troppo. Quello che faccio basta e avanza. E poi quali dubbi? Io non sono pagato per occuparmi dei problemi esistenziali, sociali, psicoanalitici dei miei alunni. Lo stato mi paga per insegnare e per accertare chi ha imparato e chi no. Faccio questo accuratamente da venticinque anni. Alla fine dell'anno promuovo o boccio. È un lavoro di responsabilità, ma lineare. Sono le chiacchiere inutili e gli sperimentatori a tutti i costi che lo stanno rovinando. D.S. Ma tu insegni esattamente come insegnavano i tuoi insegnanti! C.B. Beh! Io sono venuto su bene. Vuol dire che il metodo ha funzionato. Perché dovrei cambiare? Cambi chi pensa di essere cresciuto male. Io sono contento di me. Si può dire che questa concezione negativa abbia imperato nella scuola fino agli anni '70, periodo contrassegnato dall'esplosione delle contestazioni che

13 hanno raggiunto anche le scuole di ogni ordine e grado e l'università e che hanno in qualche modo costretto gli insegnanti a rivedere i propri modelli teorici ed operativi. Contestualmente, si andavano diffondendo teorie molto importanti che evidenziavano come l'apprendimento vero, soprattutto nella scuola, che è il luogo specifico e protetto dell'apprendimento, si realizzi nella misura in cui nell'alunno emergono motivazione, interesse, curiosità, emozione; con la conseguente necessità che gli insegnanti non si considerino semplicemente esperti dei contenuti della disciplina, padroni di nozioni. È andata col tempo maturando l'idea dell'urgenza e dell'importanza di una formazione degli insegnanti che li renda capaci di comprendere e riconoscere cosa succede nell'alunno che si mette in contatto con i saperi scolastici, come si possa facilitare la sua capacità di apprendimento e in quali modi si possano raggiungere le mete formative proposte anche dai documenti programmatici ministeriali. In quest'ottica, si è cominciato a ragionare sul problema dell'errore come aspetto connotato di valenza non solo negativa, ma anche positiva. Si è teorizzato infatti anche su una vera e propria pedagogia dell'errore, intesa come una forma di educazione attenta alla partecipe ed attiva costruzione del sé e del proprio sapere da parte dell'alunno, attraverso prove ed errori. Si sono così mano a mano modificate la teoria e la prassi scolastica; a livello teorico, c'è stata una vera e propria svolta epistemologica e, nei processi scolastici, si è passati da una concezione centrata sull'insegnamento ad una concezione di tipo combinatorio, in cui gli aspetti di insegnamento e di apprendimento sono inscindibili ed appartengono all'unico processo formativo scolastico. L'apprendimento si connota di una sua specificità di processo mentale e l'insegnamento si configura come attività di mediazione tra il soggetto che costruisce questi processi e l'oggetto culturale che diviene la fonte ineliminabile di alimentazione di questi stessi processi. In questa logica, l'attenzione è tutta spostata sui processi di apprendimento che l'alunno attiva, sui suoi sforzi, le sue difficoltà, i suoi errori. La sottolineatura dell'errore è di tipo positivo, nel senso espresso dalla frase seguente: "Vedi, hai sbagliato... ma perché hai sbagliato... cos' è che non funziona, che non quadra?". L'insegnante supporta cioè l'alunno nella riflessione su ciò che sta avvenendo nella sua mente mentre sta imparando. Si può sottolineare pertanto come la pedagogia positiva dell'errore si realizzi in questi due aspetti: portare il soggetto-alunno alla riflessione sul suo apprendere e aiutarlo a controllare in modo positivo i suoi sforzi, i suoi insuccessi, le sue insicurezze. Questo vuol dire, per l'insegnante, saper entrare nell'analisi degli errori con competenza e serietà, per poter comprendere cos'è che ha ingenerato l'errore, se l'errore stesso è di nozione o di procedura, e così via. Anche l'insegnante, in questo processo, si mette in discussione circa i propri possibili errori e su come riuscire a prevenire gli errori 13

14 degli alunni, nei processi di insegnamento-apprendimento che attiva. Egli si interroga soprattutto in rapporto al tipo di strategie da attivare per favorire il successo nell' apprendimento, attraverso processi di controllo differenziati, a seconda della difficoltà del compito di apprendimento: "La strategia è un esempio sistematico di processo di controllo; il controllo in generale è rappresentato dal fatto che io controllo le operazioni cognitive che sto facendo". Concretamente, le strategie significative da attivare potrebbero essere le seguenti: - tener conto, nel processo di apprendimento, che è necessario saper soprattutto proporre in modo chiaro ed inequivocabile obiettivi, comportamenti, risultati attesi rispetto al processo attivato. Questo vuol dire che l'attenzione sull'alunno non sarà tanto focalizzata sul fatto che egli sta acquisendo competenze comportamentali, quanto sulle sue modalità di pervenire alla conoscenza, sui procedimenti mentali ed emozionali che lo portano a modificare, in modo flessibile ed articolato, la sua struttura di conoscenza e a sapere di sapere ; ovvero su come sviluppa l'attenzione al pensare sul pensare, al pensare sul proprio apprendere, modificando in tal modo i propri processi mentali; - abilitare alla capacità di transfert, che significa essere attenti non solo all'acquisizione di uno specifico apprendimento, ma soprattutto alla capacità dell'allievo di sfruttare il beneficio dell'apprendimento precedente per estenderlo a situazioni scolastiche ed extrascolastiche nuove; questo è un aspetto davvero importante ai fini della formazione, in quanto consente all'alunno di allargare davvero significativamente il background culturale al quale potersi riferire per percepirsi unito e continuo e non schizofrenico, nel senso espresso dalla frase seguente: "La scuola è una cosa, la vita un'altra..."; - rendere la comunicazione interattiva: maggiore è l'interattività, migliori sono le capacità di riflettere dell'alunno, le possibilità di arricchimento delle sue riflessioni, delle sue strategie, delle sue analisi e del controllo dei propri processi di apprendimento. Questo tipo di comunicazione naturalmente si dilata a tutto campo, per cui diviene importante valorizzare e sfruttare positivamente le dinamiche che si possono sviluppare nella classe, attraverso le quali l'allievo può sentirsi stimolato a mettersi nella testa degli altri, arricchendo ulteriormente la riflessione. Le conoscenze scoperte, contrattate e condivise si integrano più significativamente nel proprio essere, nei propri pensieri che ritornano in modo riflesso dallo rispecchiamento con quelli dei propri simili L'apprendimento si configura così tutto correlato di motivazioni, di tensioni esplorative, di conoscenze acquisite, di stati d'animo. Tutto ciò è davvero importante perché può contribuire non solo ad evidenziare e mettere a nudo gli errori degli altri ed anche i propri, ma soprattutto perché 14

15 rende possibile anche l'apprezzamento per i supporti positivi che vengono da altri punti di vista e che possono aiutare a superare un modo di vedere sbagliato. Le forme di correzione tra pari, in situazione interattiva significativa, dove diventa possibile riconoscere modi diversi di soluzione di un problema e percepire la diversità delle menti in tali processi, risultano a volte molto più incisive di quelle che provengono direttamente dagli adulti, nel nostro caso dagli insegnanti. Certamente l'insegnante assume un ruolo molto importante dentro questi percorsi: egli diviene regista e insieme co-protagonista con gli alunni, sia attraverso la predisposizione di ogni possibile dispositivo didattico finalizzato alla migliore circolazione di idee, proposte, ipotesi di soluzione, sia tramite il suo diretto contributo per la eventuale correzione di errori di percorso e di processo. In quest'ottica, l'insegnante "sdrammatizza, riporta l'insuccesso a un fattore di apprendimento che può essere analizzato ed attribuito a delle procedure meno corrette... aiuta a vivere gli insuccessi in modo accettabile e motivante... creando così un circolo del benessere della conoscenza " by Editrice Queriniana, Brescia Rubrica a cura di Gianni Francesconi Editrice Queriniana, Brescia (UE)

16 Aa. Vv. Pedagogia, Epistemologia E Didattica Dell'errore 16 Editore Rubbettino Data Pubblicazione 01/01/2001 Pagine: ,33 Convergenze Difficoltà in matematica Osservare, interpretare, intervenire / _2 Rosetta Zan Estratto Protagonista indiscusso di questo capitolo è l errore, o meglio, la scelta di assumere l errore come indicatore privilegiato di difficoltà: dato che questa scelta ha un ruolo importante nell approccio standard alle difficoltà in matematica, cercheremo di capire quali possono essere i vantaggi ed i limiti che essa comporta.

17 PRIMA DI INIZIARE AD ANALIZZARE LA LETTURA DELL'ERRORE può essere utile inquadrare il tema da un punto di vista umanisticoaffettivo. La correzione e la valutazione sono spesso vissute come momenti di forte stress emotivo da parte dello studente. 1 La natura dell'errore Un approccio negativo all'errore trova terreno fertile in alcune concezioni della lingua e del suo apprendimento: la tradizione dei vari metodi e approcci di tipo formalistico e strutturalistico crea il retaggio culturale che ancora è proprio di molti studenti, insegnanti e anche sistemi educativi2. Secondo le teorie strutturalistiche, l'apprendimento della lingua è basato sull'acquisizione di abilità molto simili a quelle richieste per attività fisiche e sportive: l'abilità linguistica viene suddivisa in una serie di comportamenti che il discente è chiamato ad apprendere attraverso una sequenza di azioni: stimolo > risposta > rinforzo/correzione. I comportamenti vengono insegnati attraverso fasi controllate che riducono lo spettro dell'azione dello studente in modo tale da evitare il più possibile l'errore. Se si ripensa al tipo d'insegnamento linguistico in voga negli anni '70, ai laboratori linguistici, alle batterie di esercizi strutturali, risulta presto chiaro il ruolo che in quel contesto didattico assume l'errore e la necessità inderogabile di una pronta correzione. Andando oltre: la lingua si apprende attraverso l'acquisizione di una serie di comportamenti, quindi se non si corregge l'errore, esso può creare un comportamento linguistico scorretto che rimane nella mente dello studente ed è alquanto probabile che esso si fissi e venga perpetuato. Questa paura per l'errore è ancora oggi riscontrabile nella diffidenza di molti insegnanti e creatori di materiali che evitano accuratamente qualsiasi esposizione a un input linguistico non corretto o a tipologie di attività basate sulla correzione dell'errore (del tipo Trova l'errore e correggilo). A partire dalla fine degli anni '50 l'affermazione delle nuove teorie linguistiche di Chomsky porta, tra l'altro, a un cambiamento nell'atteggiamento verso l'errore, visto come risultato naturale di un processo di produzione linguistica. Ogni essere umano produce lingua in modo creativo e la sua performance è unica. Le frasi che ogni individuo crea hanno come tratto distintivo l'unicità. Sulla base di una competenza linguistica, che per natura è simile nella lingua madre e nella lingua straniera acquisita, l'individuo produce, crea delle performance che rispondono ai suoi bisogni comunicativi. Un madrelingua italiano, pur avendo perfetta padronanza della propria 17

18 lingua, commette degli errori, che possono essere dovuti a cause diverse: distrazione, concitazione, esitazione, ansia, lapsus e vuoti di memoria, difficoltà a mantenere il filo del discorso, interferenze culturali ecc. Evitare l'errore è spesso considerato una delle priorità del processo d'insegnamento / apprendimento. In realtà se si inserisce l'errore in un approccio alla didattica che ponga tra gli obiettivi primari la serenità dello studente nonché la sua autonomia e la sua corresponsabilità nel percorso d'apprendimento, il discorso si arricchisce di componenti psicologiche e affettive rilevanti. La paura di sbagliare può indurre nello studente uno stato d'ansia che gli fa ergere barriere psicologiche, difese che lo possono preservare dal giudizio dell'insegnante e dei compagni. Questo atteggiamento, che è frequente in special modo in studenti adulti cresciuti in ambienti in cui l'errore era visto in modo negativo, porta alla creazione di filtri affettivi che bloccano l'acquisizione (nell'accezione di Krashen1). È dunque necessario disegnare un nuovo contesto in cui l'errore, la valutazione e l'autovalutazione vengano proposti in modo positivo e naturale, partendo dal concetto che l'errore è parte integrante del processo d'apprendimento e che obiettivo primario dell'insegnante è creare le condizioni per poter vivere questi eventi e processi senza la interposizione di filtri affettivi. Lo studente protagonista del proprio percorso d'apprendimento dovrà essere messo in condizione di gestire l'errore, di saperlo valutare e correggere nel caso in cui non sia causato da mancanza di conoscenze, ma da una errata applicazione di quanto lo studente sa. In quest'ottica la gestione dell'errore diventa una pratica che si dilata nel tempo e che investe molte, se non tutte, le fasi del processo di apprendimento e non solo i momenti della correzione o di feedback La correzione dell'errore 2.1 Il feedback e l'autocorrezione Durante la lezione sono numerose le occasioni in cui il percorso dello studente viene monitorato e la performance linguistica è valutata dall'insegnante. Si tratta di una valutazione che avviene in itinere durante l'esecuzione delle attività o verso la fine di un'unità didattica. La natura della valutazione può essere di vario tipo: si usa spesso la

19 distinzione tra valutazione sommativa (a mezzo di test o altre prove per valutare i progressi dello studente nel percorso concluso) e formativa (che ha lo scopo di tenere sotto controllo il processo d'apprendimento). Risulta evidente che la correzione degli errori non è un'azione che l'insegnante compie solo ed esclusivamente nel momento della valutazione di una verifica sommativa, ma è parte integrante del lavoro in un qualsiasi momento della lezione: l'insegnante di lingue è più che abituato a considerare il feedback parte essenziale del proprio lavoro: ad esempio ogni qualvolta allo studente vengono proposte attività mirate alla verifica della comprensione di un brano scritto o orale si è di fronte a una forma di feedback. È qui opportuno sottolineare che il processo di correzione deve essere collocato in una concezione umanisticoaffettiva della didattica: l'errore è parte naturale del processo d'apprendimento e lo studente deve trovare nell'insegnante, nei compagni, nel sistema educativo in generale la necessaria comprensione affinché l'errore non porti a situazioni d'ansia; l'atteggiamento nei confronti dell'errore non può essere punitivo e quindi bisogna promuovere forme di correzione che portino a incentivare e sviluppare le capacità di autocorrezione dello studente e ad aumentare la sua autonomia critica anche nella gestione dell'errore. Sarà ad esempio importante indurre nello studente modalità di avvicinamento alla correzione sostenute da un atteggiamento induttivo, di riflessione e scoperta dell'errore e dunque di riconoscimento del tipo di errore con conseguente possibile diagnosi, in modo tale che se la performance scorretta è generata da uno sbaglio, esso possa essere riconosciuto come tale e auspicabilmente corretto. Ci pare rilevante una puntualizzazione: nel processo di analisi e correzione dell'errore da parte dello studente va chiarito che è importante riflettere sul perché dell'errore e non soltanto giungere al prodotto finale corretto. A volte riuscire a individuare l'errore e 19

20 ipotizzarne la correzione può risultare essere un'operazione lunga e complessa che diventa parte di una ripresa di ciò che ha portato all'errore, operazione utile per far sì che anche il processo di generazione dell'errore possa essere oggetto di correzione. In una prospettiva d'insegnamento di tipo umanistico-affettivo l'analisi e la correzione dell'errore possono avvenire in modo diversificato ed eclettico a seconda dei momenti, ma ancora una volta il ruolo che assume il docente è prevalentemente quello di un facilitatore del processo di autocorrezione, di un consigliere che indica la via allo studente affinché questi possa porre rimedio all'errore; la vecchia tecnica della ripetizione della spiegazione di quanto è stato sbagliato o la correzione diretta da parte dell'insegnante diventano solamente due delle possibili strategie e non gli unici approcci realizzabili. 2.2 Quando correggere? L'applicazione in glottodidattica delle teorie neurolinguistiche e psicolinguistiche (ad esempio le ipotesi di Krashen7 su acquisizione e apprendimento, la teoria della bimodalità e direzionalità8) porta a forme di intervento che cercano di rispettare i fondamenti di queste teorie. Ad esempio: se l'informazione viene prima elaborata dall'emisfero destro del cervello e poi dal sinistro, un corretto percorso didattico dovrà tener conto delle strategie necessarie per attivare la modalità destra del cervello. L'esposizione globale e l'induttività sono due di queste strategie: dunque si rivela necessario lasciare che gli studenti formulino delle ipotesi nella fase della globalità che verranno poi verificate durante il percorso e saranno trattate dall'insegnante solo nella fase dedicata alla riflessione. Questo schema comporta inevitabilmente il rischio che lo studente possa inizialmente commettere degli errori e induce nell'insegnante la necessità di intervenire solo in determinati casi: ad esempio, nel caso in cui lo studente non riesca a seguire il percorso suggerito dalle attività induttive per la scoperta della lingua oppure se lo studente commette errori/sbagli che riguardano parti già apprese. 20 Spetterà all'insegnante scegliere tra le tecniche a disposizione quelle più adatte e cogliere il momento opportuno per la correzione. Per capire quale strategia di correzione seguire, la distinzione che spesso si fa è tra attività che promuovono l'accuratezza grammaticale e altre che invece hanno come scopo la comunicazione fluente. Nel primo

21 caso l'insegnante sarà indotto a un immediato intervento di correzione mirata, nel secondo l'insegnante non interverrà subito e su tutti gli errori, ma ad esempio potrà annotarsi gli errori che ritiene necessario correggere per passare poi alla fine dell'attività a una fase di feedback. In questo modo gli studenti non vengono interrotti, lo sforzo che stanno facendo è rivolto alla comunicazione senza la paura dell'errore, senza la minaccia dell'intrusione dell'insegnante. L'esperienza didattica porta a individuare due tipi prevalenti di studente, quello che parla spinto da una forte motivazione alla comunicazione e non bada alla correttezza e quello che al contrario tende a parlare poco, ma in modo corretto, bloccato da una certa paura per l'errore. Saper dosare gli interventi di correzione a seconda della natura dell'attività può aiutare i diversi tipi di studente a migliorare le proprie strategie. L'insegnante deve cercare di superare quella che a volte è una vera e propria deformazione professionale: l'aspirazione alla comunicazione perfettamente corretta. Se lo studente impegnato in un'attività comunicativa commette errori di vario tipo, dalla pronuncia alla scelta lessicale e strutturale, non per questo l'insegnante dovrà sentirsi in dovere di correggere tutto, ma interverrà solamente per correggere o far correggere quegli errori che più riguardano l'oggetto, l'obiettivo della lezione, oppure che più rischiano di fossilizzarsi. 2.3 Come correggere? In una situazione didattica ispirata a criteri umanistico-affettivi non ci si stancherà di richiamare l'attenzione sul ruolo primario che ricopre la crescita dell'autonomia dello studente e quindi sulla necessità di considerare lo stimolo dell'autocorrezione come obiettivo dell'azione del docente che si va ad affiancare allo scopo principale, cioè la correzione dell'errore. Non tutte le tecniche o gli atteggiamenti didattici si ispirano a questi concetti, tuttavia non per questo sono da considerarsi tutti negativi per loro natura. Ancora una volta l'atteggiamento più efficace rimane quello che privilegia un approccio eclettico ai problemi e la possibilità di manipolare le tecniche a seconda dei bisogni, coerentemente con le scelte metodologiche di fondo. Osserviamo questi mini-dialoghi. Quali atteggiamenti didattici manifestano? In classe si sta lavorando sulla forma del futuro semplice e il suo utilizzo. 21

22 Insegnante Cosa farai l estate prossima? Studente: Ancora non lo so. Forse anderò a Firenze a fare un corso di italiano e. I.: Non ti ricordi? Andrò non anderò. S. Ah, giusto e spero di conoscere molte ragazze italiane. 22 Insegnante: Cosa farai l estate prossima? Studente: Ancora non lo so. Forse anderò a Firenze e spero di conoscere molte ragazze italiane Insegnante. Cosa farai l estate prossima? Studente: - Ancora non lo so. Forse anderò a Firenze a fare un corso di italiano e.. I.: Ah, un momento come hai detto? S: Forse anderò a Firenze e I: Qualcuno riesce a correggere S2: Andrò a Firenze.. Esatto>: andrò a Firenze a fare un corso di Italiano I: Esatto, ce lo ripeti? S: Andrò a Firenze a fare un corso di Italiano I: Ottimo!. Vai pure avanti: andrai a Firenze e S: Forse andrò a Firenze e spero di conoscere molte ragazze italiane I: L insegnante annuisce e sorride Nei tre esempi siamo di fronte allo stesso errore che l'insegnante giudica essere uno sbaglio momentaneo dello studente e non un errore sistematico. Eppure le strategie adottate sono diverse. 1 La correzione immediata da parte dell'insegnante. Nel primo caso l'insegnante si comporta in modo in parte scorretto e in parte inopportuno in questo frangente. L'intervento è scorretto perché risulta punitivo nei confronti dello studente, accusato di non ricordare: gli viene fatto pesare l'errore. Il clima che ne risulta non è certo positivo e sereno. Prova ne sia la risposta dello studente che continua senza nemmeno ripetere la forma verbale sbagliata: la ripetizione invece può servire a consolidare la forma corretta ed eventualmente risolvere il problema se esso è di natura fonologica. Non viene data la giusta rilevanza all'autocorrezione, l'insegnante non educa gli studenti a queste tecniche. Tuttavia la correzione immediata da parte dell'insegnante non è di per sé negativa se fatta in maniera non punitiva, cioè senza l'aggravante del commento "Non ti ricordi?". Ad esempio può essere

23 utilizzata quando non vi è tempo per una correzione più articolata e lunga o quando l'insegnante vi viene costretto dall'intervento di un altro studente che chiede delucidazioni avendo notato l'errore oppure se l'insegnante non è convinto che lo studente "debole" possa riuscire ad autocorreggersi. 2 La correzione da parte dello studente. In questo caso il docente interviene, ritiene opportuno interrompere lo studente, forse perché si trova in una fase della lezione il cui obiettivo è la pratica controllata delle forme del verbo e non la comunicazione fluente. Interviene stimolando l'autocorrezione attraverso un'interruzione verbale ("Ah, ah, attento "). Avrebbe potuto usare un'espressione facciale corrucciata oppure un segno con una mano per invitare a fermarsi e riflettere, ecc. La tecnica sortisce un'immediata correzione da parte dello studente e quindi risulta essere positiva. Tuttavia in altre circostanze l'effetto potrebbe non essere così immediato, in particolar modo se l'insegnante chiedesse allo studente di correggere in questa maniera un errore sistematico e non un semplice sbaglio momentaneo. Ciò dunque implica da parte dell'insegnante una costante attenzione e una pronta memoria di quanto è stato non solo "fatto" durante la lezione, ma di quanto è lecito aspettarsi che gli studenti abbiano appreso e acquisito. Altra circostanza in cui questa tecnica può dare risultati opposti è nel caso di abuso dell'intervento da parte del docente. 3 La correzione da parte del gruppo. Nel terzo caso l'insegnante decide di coinvolgere gli altri studenti nella correzione. Il risultato è positivo e tutto lascia intendere che il rapporto instaurato in classe sia positivo. Siamo di fronte a una classe in cui si è saputo creare un corretto clima di lavoro collaborativo. Inoltre in questo terzo esempio l'insegnante ha potuto far ricorso a questa tecnica perché sapeva che lo studente non avrebbe subito in modo negativo né l'intervento dell'insegnante, né quello dei compagni. In altre parole: insegnare una lingua oggi non significa solamente saper utilizzare delle tecniche e conoscere la lingua, ma essere anche degli attenti osservatori dei comportamenti non solo linguistici e degli aspetti psicologici e affettivi. In seconda analisi, è ancora una volta opportuno rilevare che lo sviluppo delle strategie di apprendimento, tra cui quelle di correzione, rivestono un ruolo 23

24 determinante e che vanno insegnate in modo integrato con il resto delle componenti dell'educazione linguistica. Questo percorso formativo deve, inoltre, essere condiviso dallo studente: ad esempio, in una situazione collaborativa non vi è spazio per atteggiamenti competitivi e se si dovessero presentare si cercherà di modificarli pian piano in modo consapevole. 2.4 Altre strategie Diametralmente opposti sono due atteggiamenti didattici che a volte possono essere utilizzati, ma sempre in modo consapevole da parte dell'insegnante. L'insegnante non reagisce per nulla. Il docente sente l'errore, ma lascia correre. Se questo atteggiamento può rivelarsi una giusta strategia durante l'esecuzione di un'attività il cui fine è la comunicazione e non l'accuratezza, altrettanto vero è che comportarsi sempre in questo significa da un lato sottovalutare il problema e dall'altro non sfruttare le opportunità che il contesto della classe può offrire. L'errore non è solo un prodotto finale, ma alla sua base spesso vi sono meccanismi che attraverso la correzione in classe possono essere immediatamente e consapevolmente analizzati da parte dello studente ai fini di un loro miglioramento. L'insegnante spiega il perché dell'errore. In questo caso il docente propende per una strategia che non è negativa di per sé, ma che, oltre a essere piuttosto dispendiosa in termini di tempo, toglie allo studente la possibilità di "imparare facendo". Inoltre, non sempre è opportuno che l'insegnante faccia ricorso a riflessioni razionali in merito all'errore, in particolare se la fase della lezione è quella della globalità in cui gli studenti vengono esposti alla lingua non attraverso la riflessione ma in modo spontaneo - e di questa spontaneità fa parte anche l'errore, la formulazione di ipotesi, la scoperta della lingua. 2.5 Correggere lo scritto Anche in questo ambito riteniamo opportuno consigliare forme di correzione che inducano lo studente alla partecipazione. La produzione scritta richiede parecchio tempo e, nella sua versione più consueta cioè la scrittura individuale, toglie allo studente la possibilità di avvalersi della collaborazione, dell'aiuto dei compagni. In questa sede non riflettiamo sul quando e il come effettuare la correzione in 24

25 classe, o se sia più opportuno che il docente corregga gli scritti a casa o durante la lezione, e in questo secondo caso come risolvere la gestione della classe, ci soffermiamo, invece, su alcuni aspetti relativi alle tecniche di correzione. Penna rossa e penna blu, ed errore sottolineato con diversi colori oppure correzione a margine o in interlinea. Queste sono due tecniche che frequentemente sono utilizzate per la correzione della produzione scritta. Entrambe hanno però dei lati negativi. Sottolineare l'errore evidenziandone la gravità può far ricadere nella concezione negativa dell'errore, preludendo alla punizione e può quindi causare demotivazione. Questa tecnica, poi, non porta di per sé all'autocorrezione. Ancor meno la seconda tecnica che induce lo studente, nel migliore dei casi a una riflessione sull'errore commesso, ma non alla elaborazione di un percorso autonomo di correzione. Per favorire un approccio maggiormente basato sull'autocorrezione, l'insegnante potrebbe adottare dei simboli, ad esempio "GR" per "grammatica", "O" per "ortografia", ecc, che inducono lo studente (da solo o in coppia) a riflettere e, in maniera guidata, a cercare di individuare la soluzione o quanto meno l'ambito dell'errore. In tutti i casi, tuttavia, l'attenzione è posta sull'errore e non sulla performance. Sarebbe cioè opportuno che l'insegnante o i compagni chiamati alla correzione dessero prima di tutto un feedback positivo sul lavoro svolto, cioè facessero apprezzamenti su quanto di positivo il testo scritto presenta. Purtroppo la formulazione dei giudizi spesso fa risaltare quanto vi è di positivo attraverso un voto o un laconico giudizio (sufficiente, buono, ottimo), ma sulla pagina del testo viene evidenziato solo l'errore. Una possibile soluzione potrebbe essere la nota a margine del testo con cui l'insegnante, così come rileva l'errore, mette in evidenza anche passaggi particolarmente ben realizzati. Basterebbero dei semplici "Ottimo!", "Espresso molto bene!", "Buona scelta di parole!", "Bravo!" o dei convenzionali punti esclamativi "!!" e il feedback si sposterebbe da un approccio basato sull'errore a una percezione d'insieme in cui anche l'errore non apparirebbe in modo tanto negativo. NOTE 1 La distinzione che fa S. Krashen è tra l'acquisizione, che lui consideraun processo spontaneo e incoscio che crea un produzione linguistica automatica, basata su una comprensioneprofonda e 25

26 l'apprendimento, processo razionale che agisce da monitor dell'apprendimento e della realizzazione linguistica. Si veda KRASHEN, S. e TERRELL T., The Natural Approach, Pergamon, New York, RICHARDS, J.C., Appoaches and Methods in Language Teaching, CUP, 1986, pp SELINKER, L., "Interlenguage", IRAL (10), 1972 e Rediscovering Interlengage, Longman London 1992; ARCANI, E. e PY, B (a cura di), Interlingua, Istituto dell'enciclopedia italiana, Roma Chomsky afferma che ogni essere umano possiede un mecchanismo innato di acquisizione linguistica, il LAD (Language Acquisition Device) basato su universali linguistici, sulla capacità di formulare ipotesi e la possibilità di verificare le ipotesi attraverso il feedback sui risultati prodotti. Bruner affianca al LAD il LASS (Language Acquisition Support Sistem) che da la possibilità di affrontare la performance e quindi validare le ipotesi. E' dato dall'ambiente familiare per i bambini, dall'azione didattica del docente e dei materiali in classe, dall'ambiente che circonda lo studente di L2. 5 Nella terminologia inglese rispettivamente error e mistake. 6 Numerosi rimandi vengono proposti in RICHARDS, J. C., The Context of Language Teacing, CUP, 1985, pp KRASHEN, S., Second Language Acquisition and Second Language Learning, Pergamon Press, Oxford KRASHEN, S. e TERRELL T., op. cit. 8 DANESI, M., Il 9 DANESI, M., Il cervello in aula, Guerra Edizioni, Perugia

27 GLI ECCELLENTI E GLI ESCLUSI Giancarlo Cavinato 27 dividersi per imparare o apprendere cooperando Cosa si valuta, chi e come valuta? Forse non è male, in previsione delle prove standardizzate nazionali, dei bienni con possibilità di arresto, della scomposizione delle classi in gruppi e laboratori (sedicenti tali), porsi queste vecchie-nuove domande. La bidella (oggi si dice: collaboratrice) di una delle prime sedi in cui ho lavorato da maestro, in una scuola, allora, con i doppi turni (in cui, quindi, alla classe del mattino ne subentrava una al pomeriggio), giudicava la qualità dell'insegnante dalla quantità di carta nel cestino e di polvere di gesso che lei raccoglieva da terra al termine delle lezioni. Secondo lei, un buon insegnante scriveva molto alla lavagna e i suoi alunni consumavano molta carta per fare le 'brutte copie' lavorando, rigorosamente in silenzio, ognuno per sé. Mi colpì il fatto che ognuno abbia dei propri criteri di valutazione non coincidenti con quelli altrui. E' questo uno dei ricordi più vividi del primo anno di servizio in ruolo ordinario quando, fresco di letture per il concorso magistrale, avevo la testa piena di idee e di attività che non potevano 'risolversi' nel rapporto con la lavagna e il quaderno. Era, oltre al mio primo anno di servizio, anche il mio primo anno di partecipazione al M.C.E. Colleghi più anziani nel gruppo che frequentavo avevano pronte risposte e soluzioni in gran parte inapplicabili, per noi 'nuovi', ma di grande dignità per i ragazzi, di grande fascino per noi. Non implicavano valutazioni numeriche e forme di competizione, ma la 'fatica' dell'autosservazione, dell'autovalutazione. Ci facevano ascoltare registrazioni di discussioni in classi in cui molti alunni ritenevano ingiusto essere valutati tutti allo stesso modo, perché c è chi dà di più. Gli insegnanti ribattevano che erano i punti di partenza di ciascuno ad essere diversi, e, pretendendo di misurare tutti con lo stesso metro, si sarebbe fatta una grande ingiustizia (come se, in una gara di salto in alto, i giudici di gara avessero preteso le stesse performances da individui con altezze diverse, abilità motorie diverse, handicap fisici, ). L interessante in queste discussioni era che il lavoro svolto dalla classe offriva agganci ed esempi concreti per capire come la valutazione dei risultati di una costruzione comune non potesse essere rigidamente individuale, perché tali risultati erano frutto dell apporto, delle osservazioni, dell elaborazione di tutti. Il sistema di autovalutazione che veniva proposto era quindi omogeneo e coerente con l impianto complessivo dell attività della classe, non risultava estrinseco e dettato solo dal punto di vista dell insegnante.

28 Anche con i genitori si svolgevano gli stessi appassionati dibattiti e c era chi capiva la differenza fra una scuola organizzata per la competizione sociale e una scuola il cui funzionamento non prevedeva una separazione netta fra le prestazioni dei singoli: una scuola basata sulla ricerca, la comunicazione, l assunzione di responsabilità comuni, i piani di lavoro stabiliti com unitariamente. In genere i genitori che capivano e apprezzavano erano intellettuali, professionisti, medio-alto borghesi, come si diceva allora; ostili o muti erano invece gli operai, coloro a cui più che agli altri era rivolto il messaggio della valenza della cooperazione. Inevitabilmente la risposta era: Mio figlio deve andare più avanti di me, non farà l operaio, la donna di servizio; con questi metodi lei lo condanna a non poter emergere ; il procedere di uno contro il procedere insieme di tutti. Ricordo anche assemblee dei miei alunni molto dibattute, la difficoltà a far loro accettare un tipo di valutazione che fosse valorizzante (valutare = azione di dare valore) e non rimarcasse soltanto gli insuccessi; soprattutto, che non si traducesse automaticamente nella separazione dei 'bravi' dagli 'incapaci', dei 'collaborativi' dai 'fannulloni'. Parlavamo di profili, di questionari, di autoritratti, di voto unico non come proposta riduzionistica, 'comoda', 'facile' per l'insegnante, come malignamente insinuava sempre qualche collega nei pochi incontri collegiali. La realtà che conosco oggi, a oltre trent'anni di distanza, é per certi versi più simile alla rappresentazione 'ingenua' della bidella Anna che a quella che avremmo voluto ottenere attraverso la sperimentazione di una serie di strumenti qualitativi di valutazione. Tuttavia, anche nell ambito di uno schema preordinato come una 'lezione' (più o meno interattiva) qualche elemento di riflessione potrebbe essere indotto. Ad insegnanti giovani ad esempio si potrebbe proporre un auto-questionario. Il gioco delle sette differenze - Avete già 'fatto' una lezione? - Avete già osservato i vostri alunni durante la lezione? - Avete già contato il numero di alunni che si mostravano attenti? - Avete già notato che non si tratta sempre degli stessi? - Avete già osservato che tutti attraversano dei momenti di disattenzione (o forse dovremmo dire di 'inattenzione'?) - Avete già distinto fra gli 'autenticamente attenti' e quelli che 'fanno finta'? - Avete già riflettuto sul tempo d'attenzione dei bambini nell'arco di tempo di una mezz'ora di lezione? - Avete già provato la fatica dell'insegnante che 'tira' per mezz'ora di seguito con la classe? MA C E UN ALTRO MODO 28

29 A tali interrogativi può essere affiancata la presentazione di un altro modello, di altre modalità, nella fattispecie di un modo cooperativo ed 'ecologico' di operare tenendo insieme all'apprendimento la lettura, l'analisi dei processi, dell'esperienza nel suo farsi. La pedagogia Freinet, in particolare la classe cooperativa e il lavoro personalizzato, suggeriscono modi di rendere utili i momenti rari, dispersi, soggetti a fluttuazioni, durante i quali i ragazzi sono attenti, cercando di prolungare i 'gesti' mentali e sociali che connotano l'attività di apprendimento. I fenomeni connessi all attenzione/disattenzione, in un quadro istituzionale in cui l accento è sulle relazioni, e non sulle esecuzioni e reazioni dei singoli, assumono una connotazione e delle valenze profondamente diverse. C è un quid, un valore aggiunto, che fa scrivere a F. Oury, maestro Freinet, uno dei fondatori della corrente francese della pedagogia istituzionale : i rapporti umani sono educativi. (1) I problemi motivazionali e l organizzazione della classe sono strettamente correlati e, in un ottica sistemica ed ecologica, scrive Jean Oury, psichiatra, fratello del maestro, ad essi è strettamente connesso anche l affaticamento in ambiente scolastico, in quanto c è una relazione tra la regolazione del lavoro in un collettivo scolastico e fattori come l angoscia, le relazioni interindividuali, l isolamento nel gruppo, l accumulo di conflitti irrisolti, le inibizioni trattenute, le umiliazioni subite, le competizioni inutili. Attenzione, memoria, condizionamenti, apprendimento, non nascono in un vuoto pedagogico ma in una cura delle relazioni, degli spazi, dei tempi, dei simboli, dei rituali, dei gruppi, dei ritmi di lavoro, che fanno sì che ad organizzazioni e istituzioni della classe diverse corrispondano atteggiamenti e livelli di partecipazione diversi, maggiore o minore attribuzione di valenze positive alle attività. Afferma J. Oury che la mancanza di interesse è una delle fonti di affaticamento e produce disinvestimento libidico, caduta del tasso di energie mobilitate per sostenere un lavoro e un apprendimento. Lasciandosi andare a uno sforzo di routine, fastidioso, l individuo può sentirsi stanco dopo un tempo relativamente breve, mentre può non sentirsi affatto esaurito da un lavoro intensivo se vi si interessa vivamente. (2) Accanto alle identificazioni e ai fantasmi personali, dice J. Oury, l appartenenza ad un gruppo classe mette in gioco l individuo sottoponendolo ad effetti di gruppo (le affinità fra personalità diverse, i gusti comuni o divergenti, il piacere di fare o meno una cosa con qualcuno con cui si è in sintonia, l approvazione o la disapprovazione del gruppo, ) Un ragazzo va a scuola non per riempirsi di sapere, ma per modificarsi, per far funzionare in modo più elastico il suo sistema neuro-corticale e la classe è il luogo di formazione, di apprendimento, di condizionamento, di allenamento a un tale funzionamento con gli altri. Vi sono delle tecniche privilegiate, come la tipografia Freinet, come la 29

30 cooperativa, particolarmente ricche di significati al riguardo. Esse determinano una struttura sociale, un ambiente, un atmosfera, uno sfondo. Lo scopo della pedagogia istituzionale è di creare dei sistemi di mediazione fra individui e fra questi e gli oggetti di conoscenza. La tipografia, la corrispondenza, il giornale, sono mediazioni, che mettono in gioco gli individui a proposito di, non in rapporto a un verbo che viene dall alto, dal di fuori, ma di qualcosa che viene interiorizzato a livello profondo. L essere in gioco a proposito di è in rapporto con dei ruoli che vengono assunti in forma mobile in una classe che impiega delle tecniche. Quando il gioco funziona, ciascun soggetto vede nell altro un immagine di sé, sviluppa competenze di anticipazione, aspettative: si vede chi stampa, ma dopo si stamperà noi, e quindi si vede una scena, ci si vede in un ruolo. L altro non è più un rivale, ma un cooperatore. Si stabiliscono quindi degli anticorpi alla fatica, alla demotivazione. Se cambiano i tempi e cambiano le tecniche, questo sottofondo va mantenuto, pena la ricaduta in forme tradizionali e trasmissive. Un insegnante che sa predisporre e valutare tali momenti non si esaurisce più nel tentare inutilmente di concentrare l'attenzione di tutti nello stesso istante; rimane piuttosto disponibile per ognuno/a, suggerisce come procedere, a quali risorse/fonti/punti di riferimento personali attingere, predispone contesti e oggetti di mediazione. Deve aver chiaro se il suo proposito è di mettere in atto delle strutture e delle attività che favoriscono la cooperazione piuttosto che la competitività, la reciprocità piuttosto che l'aggressività. 30 SI VALUTA CIO CHE SI DA Un criterio per sfuggire a forme di conflittualità, ad accuse reciproche, a un consenso al ribasso rispetto a personalità docenti più 'forti', é quello di interrogarsi spesso se l'organizzazione, i piani di lavoro, sono co-costruiti assieme agli alunni. Cioé: di quali strumenti poco a poco dotiamo i nostri alunni per 'leggere' l'evoluzione della loro situazione? quali attività, quali cambiamenti possono proporre? quale autonomia acquisiscono, in quali terreni? Possono scegliere fra più attività loro proposte? Hanno occasione di discutere dei rapporti fra di loro e con l'insegnante? Nella pedagogia Freinet le tematiche forti- organizzazione cooperativa, libera espressione, comunicazione, tentativi sperimentali, lavoro personalizzato, progetti cooperativi-, sono strettamente legati e interdipendenti. Ogni aspetto é indispensabile ai fini di uno svolgimento armonico, equilibrato e coerente della classe. Ogni qualvolta si introduce un nuovo strumento, un nuovo progetto, un nuovo modo di fare, bisognerà porre attenzione all'insieme dell'organizzazione

31 della classe e controllare se la 'novità' é coerente con l'intero impianto. Gli insegnanti che intendono sviluppare in classe uno spirito di ricerca hanno molteplici modi a loro disposizione per rilevarne la presenza e l'evoluzione: ricerche collettive, di gruppo, personali; loro visualizzazione in pannelli, cartelloni, giornali murali, giornalini e dossiers; ricerche in biblioteca ed esposizione dei risultati individuale, a coppie, a gruppetti. I campi di sviluppo di tale 'spirito di ricerca' riguardano non solo la storia, la geografia, le scienze, ma anche aspetti come la filosofia, l'etica, l'iniziazione alla vita sociale. Ancora, un obiettivo che gli insegnanti possono porsi per attivare competenze è quello di valorizzare quanto nell'espressione/creazione dei bambini è veramente 'libero' e non riproduzione di modelli e stereotipi. L'organizzazione cooperativa è l'elemento centrale che agisce da collante di tutto il lavoro scolastico fin dall'avvio. Per permettere flessibilità e libertà di ricerca e di lavoro in classe, ma altresì chiarezza e rigorosità, bisogna darsi dei punti di riferimento nel tempo: dei riti, delle istituzioni che costituiscano dei punti fissi, dei riferimenti nell'arco della giornata. Un aspetto sovraordinato rispetto alla valutazione di singoli aspetti del rendimento individuale é senz'altro quello, che 'colora' di sè tutta la vita della classe, della sua apertura all'esterno: il collegamento, la corrispondenza con altre classi, con altre persone, le uscite, la visita a mostre, a botteghe artigiane, a fabbriche, l'invito a scuola di persone con una propria esperienza di vita da condividere con i ragazzi, da trasmettere loro. La valutazione, come ogni attività umana, non può occuparsi di tutto, rispondere di tutto. Nella pedagogia Freinet essa consta di una varietà di azioni messe in atto dagli insegnanti, che si fondano su presupposti quali l'instaurarsi nella classe di regole di vita (sentite cioè come necessarie e pertanto vitali), il creare spazi di responsabilità e di libertà nella scuola. Così pure essa stimola gli alunni, attraverso la loro libera espressione-creazione (una pedagogia dello stimolo anziché del modello precostituito) a produrre, nei quaderni di racconti, di scrittura, nel 'quaderno di vita' personale e della classe, una varietà e pluralità di testi e materiali che non possono, tutti, essere controllati. Bisognerebbe, per adeguarsi a una valutazione standardizzata, trattenere dallo scrivere, censurare, ritardare il bisogno di apprendere. Bisognerebbe adeguarsi a modelli riconosciuti socialmente (la tentazione, a volte, é forte). Spesso si propongono forme di valutazione rigida e programmi imposti dall'alto che dovrebbero consentire di uscire da forme di soggettività. Si perde, però, di vista l'essenziale: come il bambino ha appreso, come si è o non si è appropriato di ciò che si valuta sul lungo periodo? (4) Come può mettere quanto ha appreso al servizio di un progetto in cui egli è interprete, attore e non subordinato? Come può trasferire quelle stesse conoscenze in altri ambiti, quando la situazione lo richieda? (5) 31

32 32 STORIA DEL SINGOLO E STORIA DELLA CLASSE Un primo criterio di valutazione è allora analizzare, di tutto il lavoro svolto nella classe, cosa rimane e si configura come competenza che permette al ragazzo fin d'ora di svilupparsi per e nel proprio ambiente circostante; ciò che gli consente di essere attivo assumendo delle iniziative sociali e culturali, personali e collettive. Una valutazione non sanzionatoria ha come orizzonte appunto l'individuazione di operazioni via via più 'fini' fondate su funzioni che si instaurano, su competenze che maturano. Aspetti da depositare mano a mano che si evidenziano in un 'quaderno' delle competenze (occorre proprio utilizzare il termine 'portfolio' scimmiottando altri e impiegando sempre più il linguaggio d impresa?). Le proposte di Freinet (quaderno di vita dell alunno, libro di vita della classe), della pedagogia istituzionale, la monografia e la 'valigia' quali strumenti di connessione rispetto all'esperienza del bambino proposti da A. Canevaro, G. Lippi, E. Cocever, possono essere collocate lungo una filiera il cui orizzonte è la pedagogia dell ascolto e della documentazione. (6) Destinazione e finalità sono profondamente diverse da quelle che la riforma Moratti assegna ai piani personalizzati e al portfolio, che più che all ascolto e all osservazione partecipante sembrano sovrapporre all immagine di alunno quale il singolo ragazzo/a restituisce, con i suoi sbalzi e andirivieni, un cammino già predefinito. Non è pertanto indifferente e separato da procedure significative di valutazione formativa quanto l'insegnante, gli insegnanti, mettono in atto, le loro strategie, i loro investimenti nella classe, anche se un modello docimologico 'puro' tenderebbe a negare l'influenza di tali fattori qualificati come 'affettivi' o come 'ideologici'. (7) L insegnante deve abituarsi a leggere il proprio intervento come parte in causa nel processo di formazione degli alunni, e l organizzazione del lavoro che imprime alla classe come fondante la valutazione stessa; a considerarsi lui stesso soggetto a valutazione in forma compartecipata in quanto elemento perturbante le situazioni con cui entra in contatto; a sapere che si riceve, si coglie, nella misura in cui si dà, si offre, si organizza, non solo in base a quanto si registra dall esterno. La scarsa adesione a modelli ecologici di valutazione non fa altro che mettere in evidenza una terribile carenza di formazione all'insegnamento cooperativo e a quello personalizzato. In effetti, se si propone ai propri alunni 'adesso ci organizzeremo insieme per imparare', bisogna aver chiaro da subito, e chiarirsi con loro, su cosa questa assunzione comporta per una valutazione (autovalutazione) conseguente, che sappia interrelare e far interagire fra loro le diverse componenti e che sappia esigere da ognuno azioni coerenti. C'è una parte che compete all'insegnante, una parte che compete ad ogni

33 alunno, una parte del gruppo, un lavoro con gli altri colleghi, un rapporto con le famiglie e altre istanze sociali. La valutazione ha senso se riesce a connettere e a far interagire tali diverse componenti. Agli alunni che presentano problematiche comportamentali o di lavoro gli insegnanti possono proporre di scegliersi un tutor: termine, anche questo, un po' generico e ambiguo, che richiama i college e un'esperienza un po' aristocratica... Io ritengo che, se tutor ci deve essere, é bene appunto che emerga da un'interazione biunivoca o meglio pluriunivoca e non da una scelta unilaterale. Ed é altresì opportuno che l'assistenza, il tutoraggio, siano su ambiti delimitati e non sull'intero arco delle possibili forme di apprendimento scolastico del soggetto, si esercitino in forme e tempi diversi e definiti. Mi pare anche produttivo per gli alunni stessi che vengano messi in situazioni in cui osservandosi fra loro nello svolgimento di particolari compiti sperimentino attività diverse con compiti diversi all'interno di gruppi diversi e consegne diverse. I 'tutors' che di volta in volta coordineranno i gruppi saranno più o meno collaborativi, più o meno rigidi o flessibili nelle consegne, si porranno 'alla pari' o in posizione 'up' così da consentire di rilevare differenze significative nella produzione e nello svolgimento dei compiti. Solo così le energie mentali potranno mobilitarsi e si potranno instaurare competenze di autosservazione. I dubbi, i successi, i fallimenti, gli interrogativi non possono non appartenere alla storia cooperativa della classe e alla rilevazione dei risultati. Un elemento di valutazione della storia e della dinamica della classe é indubbiamente il coinvolgimento della stessa in uno o più progetti collettivi e individuali, e che questi coinvolgano tanto i ragazzi che gli insegnanti che tentano assieme di trovare delle risposte. Un elemento, se si vuole, più rispondente al piano della personalizzazione, é la possibilità, data ai singoli, di lavorare da soli negli ambiti che li interessano maggiormente o che padroneggiano meglio. Quindi un macroindicatore dello 'stato di salute' della classe é l'equilibrio fra questi due aspetti, collettivo e personale, in un dato periodo di tempo. Ma siamo interessati tenerli sotto controllo, di farne l'oggetto delle ore di progettazione dei team o dei consigli di classe? Perchè non c'é valutazione senza controllo incrociato. Questo tipo di valutazione coincide con quella che oggi viene definita 'ricercaazione'. Un attività che richiede progettualità e attività diretta degli insegnanti anche nella fase della valutazione, che non può essere ridotta a una pratica passiva di registrazione ma deve costituire un intervento specificamente progettato secondo quello che De la Garanderie chiama il dialogo pedagogico (8). PEDAGOGIA DELL ERRORE O PEDAGOGIA DELL UNIFORMISMO? 33

34 Se riconosciamo negli alunni (se.) il diritto all errore come spiraglio, traccia, di ipotesi di ricerca, deve per forza mutare il nostro atteggiamento verso la valutazione dell errore. Così, se riteniamo che l esistenza di una dissonanza cognitiva tra vecchie e nuove informazioni che producono ristrutturazioni del quadro mentale provocando un disagio psicologico spingerà l individuo a tentare di ridurla per ottenere la consonanza (cioè la corrispondenza con il proprio quadro cognitivo - cfr. 4), dobbiamo ritenere che tale processo non è puntuale e istantaneo ma richiede dei tempi di adattamento e ristrutturazione del quadro non misurabili né definibili una volta per tutte con crocette, lettere, numeri, indicatori; trattandosi appunto di una processualità, solo una descrizione evolutiva è in grado di cogliere andirivieni, soste, progressi. E qui, spiace dirlo, ma crolla tutta l impalcatura dei LARSA (laboratori di recupero e sviluppo), dei portfolio, del P.E.C.U.P., dei piani individualizzati (ben diversi quanto a intenti e conseguenze dalla personalizzazione del proprio stile e sapere). Non dev essere il dividere per imparare la filosofia che governa l azione educativa, ma come mettere insieme e sfruttare al meglio i potenziali e le zone prossimali di sviluppo di ognuno. Ogni alunno/a, bambino/a, é, ovviamente unico nel comportamento, nel modo di reagire, di apprendere, di applicarsi, nelle abitudini mentali. Proprio questa differenziazione consente alla classe come gruppo stabile (con tutte le articolazioni interne e in orizzontale e verticale e gli intergruppi che vogliamo: dalla legge 517 in poi esistono le classi aperte) di essere luogo di apprendimento, perché è dalle differenze che si apprende, non dal mettere insieme le eccellenze e le miserie. I 'sistemi operatori mentali', ci dice Brissard (8), cioé il modo in cui codifichiamo e decodifichiamo la realtà, si definiscono precedentemente all'ingresso a scuola; in molte situazioni entrano, come si è visto, in contrapposizione con quelli che verranno posti come codici dominanti a scuola; ma una valutazione e una raccolta di osservazioni sui soggetti che ignori alla radice tale variabilità rende a tutte le intelligenze una ingiustizia, non consente di inquadrarne e leggerne correttamente le prestazioni. Visivi o uditivi, pratici o teorici, analitici o sincretici, gerarchici o lineari, e tante altre possibili classificazioni non rigide...ci ricordano che plurali sono le intelligenze, i modi di elaborare e conservare, rievocare e riflettere-rielaborare, e che una scuola, una classe, è tanto più in grado di rispettare le unicità, le diversità, le differenze, quanto più offre una pluralità di forme e modi di appropriazione-elaborazione della realtà, non un unico modo per di più proposto come 'modello'; perchè in questo caso la valutazione dei risultati non potrebbe che essere inficiata, 'misurando' solo il grado di adeguatezza e corrispettività fra il docente e l'alunno depositario delle stesso 'stile' di elaborazione. A soggetti plurali, forme di insegnamento plurali e valutazione pluridimensionale. 34

35 35 Note 1) A.Vasquez, F.Oury, L educazione nel gruppo classe, ed. Dehoniane, Bologna, ) J. Oury, Psichiatria e psicoterapia istituzionale, ed. Marsilio, Venezia, ) M.G. Berlini, A.Canevaro (a cura di), Potenziali individuali di apprendimento, La Nuova Italia, Firenze, 1996; 4) G. De Vecchi, N. Carmona-Magnaldi, Faire construire des savoirs, Hachette, Paris,1996 5) V. Severi, P. Zanelli, Educazione, complessità e autonomia dei bambini, La NuovaItalia, Firenze, ) A.Canevaro, Handicap e scuola. Manuale per l integrazione scolastica, La Nuova Italia, Firenze, ) M.C.E., La valutazione, quaderno di Cooperazione Educativa, La Nuova Italia, Firenze, ) A. De La Garanderie, Profili pedagogici. Scoprire le attitudini scolastiche, La Nuova Italia, Firenze ) F. Brissard, Visuali o uditivi?, RED, Como, 1988 Giancarlo Cavinato, Dirigente Scolastico Istituto Comprensivo Carlo Goldoni, Martellago (VE), fa parte della Segreteria Nazionale del MCE e della redazione dei Quaderni di Cooperazione Educativa.

36 36 Il valore dell errore nel processo di apprendimento di Giuseppe Zollo E sorprendente vedere come gli studenti possano perdere una parte della loro paura di sbagliare, profondamente radicata in loro, quando si trovano con un insegnante che non chiede loro di essere nel giusto, ma soltanto di unirsi a lui nella ricerca dell errore: del suo come del proprio (Postman, 1981) L errore come radice antropologica dell apprendimento E stato acutamente osservato che il piccolo dell uomo, per effetto della sua riduzione degli istinti e per la sua manchevolezza biologica, è costretto, a differenza di tutti gli altri animali, ad apprendere, fin dalla più tenera età, tutti quei gesti che gli saranno utili per assicurarsi l esistenza, per prepararsi a conquistare un posto nel mondo. Ma questo handicap, a ben riflettere, finisce per tramutarsi, per il piccolo dell uomo, in un vero e proprio vantaggio, in quanto ogni atto o comportamento appreso non resta fine a se stesso: gli serve per apprendere altre cose e lo mette in condizione di acquisire l abitudine ad apprendere; gli fa imparare ad apprendere (Dewey, 1916). Presentato semplicisticamente, come necessità della condizione umana, in relazione alla mancanza di capacità regolative naturali ed innate, l apprendimento sembra assumere da una parte le caratteristiche di un atto di compensazione e dall altra quelle di un vero e proprio handicap rispetto agli altri esseri animali viventi; handicap che, a prima vista, ben si attaglia alla fittizia connotazione di uomo come essere essenzialmente imperfetto (Rombach, 1969). La prima sarebbe una operazione estremamente riduttiva, poiché l uomo, nemmeno nella sua comprensione esclusivamente biologica, può essere determinato soltanto dalla mancanza di capacità regolatrici naturali ed innate. Egli, infatti, nella scala degli esseri viventi è l unico che riesce a sentire l insufficienza del suo equipaggiamento biologico, non solo, ma anche a riconoscerla, per avvertire la necessità di una compensazione ( Ibidem, p. 49). Questo sentire la carenza di un equipaggiamento biologico insufficiente, poterla riconoscere per compensarla, consente all uomo, e per effetto dell apprendimento, di non scomparire come specie, come è avvenuto per tanti

37 animali vissuti prima di lui e di provvedere alla propria autoconservazione e al proprio autosviluppo come individuo, come non avviene, a volte, per gli altri animali, singolarmente considerati. L essere umano, pertanto, e proprio in virtù dell apprendimento, è in grado di assumere un qualche comportamento di fronte alle evenienze della vita; prende una posizione nei loro riguardi e quasi sempre riesce a fronteggiarle. Gli altri animali, al contrario, proprio perché non filtrano i loro gesti o comportamenti attraverso un apprendimento consapevole, non avendo capacità di sentire le proprie insufficienze e riconoscerle per compensarle, finiscono, a volte, per lasciarsi distruggere da esse. L uomo, quindi, in virtù dell apprendimento, che fa parte della condizione umana, riesce a riscattarsi dall essere considerato essenzialmente imperfetto (se lo fosse, la specie si estinguerebbe rapidissimamente); sopravvive come individuo e non si estingue come specie. Nella ricerca delle radici antropologiche dell apprendimento, connaturato, come si è sottolineato poco sopra, all essere umano come tale, non si può tralasciare di considerare, accanto agli apprendimenti pragmatici dell esistenza dell uomo, quell insieme di atti di apprendimento trascendentali, che si identificano con la sua umanità, anzi che gli schiudono la sua via all umanità, in qualunque modo possa poi decidere e comportarsi in questa sua condizione ( Ibidem, pp ). Se i primi servono ad attrezzare l essere umano di fronte ai bisogni indotti dalle condizioni esistenziali date alla nascita, e fornirgli le competenze e la capacità per sopravvivere dal punto di vista pratico, i secondi ( gli atti di apprendimento trascendentali ) servono per aiutarlo a realizzare un disegno esistenziale superiore, ma contemporaneo e complementare al primo, e cioè quello del mondo della coscienza. Gli atti di apprendimento trascendentali sono quelli che permettono all uomo di trascendere la totalità degli avvenimenti portandosi sopra un piano religioso, mitico, metafisico o etico e assumendosi consapevolmente un impegno di natura universale, per lo meno quello della verità e dell onestà ( Ibidem, p. 50). Rivolto a soddisfare il duplice bisogno fondamentale dell esistenza, che si sostanzia di necessità biologiche e di slanci trascendentali, l apprendimento non può essere considerato soltanto un atto di compensazione, ma diventa per l uomo un mezzo per interpretare la sua esistenza e la sua coscienza: è un elemento esistenziale, vale a dire una di quelle costituenti fondamentali per la comprensione di sè nell esistenza umana ( Ibidem, p. 51). Né l apprendimento può essere considerato soltanto un handicap per l essere umano. 37

38 38 Questi, infatti, pur svantaggiato rispetto agli altri animali, poiché deve apprendere tutti i suoi gesti e comportamenti fin dalla nascita (e lo farà con fatica, a volte con sofferenza), da questo handicap ricava anche un qualche vantaggio. In primo luogo, l apprendimento lo mette in condizione di appropriarsi di tutte quelle condotte che gli consentono di soddisfare i bisogni; di utilizzare il saper fare appreso, in situazioni diverse; di tentare, sulla base degli apprendimenti precedenti, di dare soluzione a problemi diversi; di esercitare tutti i suoi poteri creatori e ricreatori che lo mettono in condizione di saper fare e di saper essere; di impegnare, infine, in ogni saper fare e in ogni saper essere tutta intera la sua persona. Il saper fare, in tal modo, da padronanza di una tecnica si traduce in padronanza di se stesso (Reboul, 1980). Ma, come avviene per tutte le espressioni e le costituenti fondamentali dell esistenza umana, anche il processo di apprendimento, sia quello del saper fare che quello del saper essere, è accompagnato da tentativi ed errori, da sbagli e colpi che raggiungono il segno, da insuccessi e riuscite. L errore, quindi, connaturato all esistenza umana, tanto che può essere considerato un suo tratto caratteristico, fa parte delle radici antropologiche dell apprendimento; esso è funzionale all esistenza umana, in quanto rappresenta i momenti necessari, e quindi utili, di un lungo cammino, di quel processo attraverso il quale ci si avvicina sempre più alla verità. L errore e il vero, in definitiva, fanno tutt uno con l essere umano, anzi gli appartengono e costituiscono entrambi fatti logici positivi, nel senso che rappresentano le esperienze e i fatti attraverso i quali egli forma la sua personalità e dai quali trae forza ed energia per cogliere le soluzioni dei suoi problemi e procedere, così, nella ricerca della verità. La metafora di Einstein e l ameba: l uomo e l animale di fronte all errore Fra i vari tipi di apprendimento, quello per prove ed errori ( trials and errors ) è comune all animale e all uomo. Questa particolare forma di apprendimento consiste nel procedere, sul piano

39 della conoscenza, come su quello del comportamento, ciecamente e a tentoni. Il soggetto si affida esclusivamente a prove, che comportano, ovviamente, di incorrere in errori ed ignora qualunque imitazione e ogni pratica metodica. Il soggetto che procede per tentativi, apprende passando da una prova all altra, durante le quali elimina progressivamente gli errori e conferma i tentativi utili che, molto lenti all inizio, si verificheranno in seguito con sempre maggiore facilità e sicurezza. Esempi classici dell apprendimento per prove ed errori sono quelli del labirinto e di Skinner. Secondo K. Popper, il metodo per prove ed errori, che abitualmente viene adottato dagli organismi viventi nel processo di adattamento e dallo scienziato che, di fronte a un determinato problema, propone, a titolo di prova, un qualche tipo di soluzione-teoria, è essenzialmente un metodo di eliminazione. Eliminazione di che cosa? Degli errori di adattamento da parte degli organismi viventi, i quali in tal modo scelgono e fissano le condotte utili, dopo aver scartato quelle parassite, assicurandosi così la sopravvivenza e lo sviluppo; eliminazione delle teorie erronee da parte degli scienziati i quali, sottoponendole a severi controlli, a prove prolungate, quando si accorgono che non reggono all indagine, le scartano perché non più utili a spiegare un fenomeno o a risolvere un problema. L eliminazione di una teoria erronea può, con un po di fortuna, aprire la strada ad una teoria più adatta a spiegare quel problema o quel fenomeno; e non lo farà mai definitivamente, ma fino a quando non si porranno in evidenza anche i suoi caratteri vulnerabili (Popper, 1969). Questo procedimento è peculiare del metodo scientifico; anzi, come vedremo in seguito, è il motore del progresso scientifico, anche se non può assicurare nessuna certezza scientifica. Scrive a tal proposito Popper: Per noi, dunque, la scienza non ha niente a che fare con la ricerca della certezza, della probabilità o dell attendibilità. Non siamo interessati allo stabilimento di teorie scientifiche in quanto sicure, certe o probabili. Consapevoli della nostra fallibilità, siamo soltanto interessati a criticarle e a controllarle con la speranza di scoprire dove sbagliano, di apprendere dagli errori e, se abbiamo fortuna, di pervenire a teorie migliori ( Ibidem, ). Ad ogni buon conto, continua Popper, tutti gli organismi viventi utilizzano il metodo del tentativo e dell errore, quando adattano il loro comportamento al cambiamento della situazione; ma precisa, subito dopo, che l essere umano e l animale hanno un diverso atteggiamento nei riguardi delle soluzioni sbagliate: 39

40 l uomo impara dai propri errori, l animale ne rimane vittima. 40 Einstein e l ameba - scrive Popper - procedono alla stessa maniera e cioè per prove ed errori, ma sono guidati nelle loro azioni da una diversa logica: Einstein cerca i propri errori, impara dalla loro scoperta ed eliminazione e grazie ad essi si assicura la sopravvivenza, l ameba muore con le sue soluzioni sbagliate (Popper, 1972). L uomo, quindi, pur utilizzando lo stesso tipo di apprendimento degli animali, procede sul piano della conoscenza (di quella scientifica in particolare) sorretto da un atteggiamento critico che gli permette di ravvisare le false soluzioni, di cogliere ed eliminare gli errori all interno delle sue congetture, di sostituirle con altre, nuove e migliori di quelle confutate. Einstein fa morire le soluzioni sbagliate invece di morire lui stesso; l ameba si affeziona tanto alla soluzione prescelta che, continuando ad adottarla, muore insieme ad essa. Apprendimento per problemi e potere educativo dell errore Le riflessioni degli epistemologi richiamati, oltre ad indicare il ruolo che l errore svolge nel processo di accrescimento della scienza, non mancano di sottolineare, esplicitamente o implicitamente, l importanza che esso riveste nel processo educativo, ritenendolo anche in questo caso: normale, positivo, utile : normale perché fa parte della esperienza e dell attività dell essere umano; positivo perché con la sua correzione permette di far giungere il soggetto a conoscenze più prossime alla verità; utile perché lo mette in condizione di imparare dagli errori. Tale pedagogia e prassi educativa, che traggono fondamento dalla negazione di ogni rigida metodica e sono improntate al dinamismo creativo, alla

41 cooperazione fattiva, alla ricerca perenne, sono basate sull esperienza per tentativi: esperienza, cioè, rivolta alla ricerca di soluzioni soddisfacenti dei problemi che la viva realtà pone continuamente (cfr. Freinet, 1963). Questa ricerca comporta, per sua natura, di incorrere continuamente in errori, che volta a volta vengono eliminati, spianando così la strada verso la conoscenza, alla cui base, pertanto, c è una forte motivazione e alla cui scoperta concorre certamente una buona dose di immaginazione e di creatività, disciplinate poi da un lucido rigore logico. In uno dei suoi libri, o meglio racconti di fatti, come egli polemicamente tiene a precisare: I detti di Matteo, evidenzia la forza dell errore, dell esperienza per tentativi. Il Freinet racconta che un giorno gli alunni si trovarono di fronte al problema di darsi conto perché le mosche camminano sul soffitto senza cadere. Si incomincia a fare delle ipotesi: forse hanno dei ganci alle zampe; poi delle esperienze utilizzando materiali e strumenti adeguati: microscopio e schedario; l insegnante li aiuta a trovare un metodo di ricerca e fornisce loro, se necessario, tutta la documentazione pertinente. In buona sostanza la scuola viene trasformata in laboratorio, in un centro vero e proprio di ricerca della soluzione di un problema avvertito come tale e per il quale si fanno tentativi per fornire la risposta (Freinet, 1962). Su questa linea viene a porsi l istanza pedagogica di Bruner, il quale nel rivalutare le capacità intuitive dell individuo, quelle cioè che permettono di congetturare, formulare ipotesi anche azzardate e temerarie per risolvere un problema, percependolo nella sua totalità, mette in guardia chi pensa in modo intuitivo... che può spesso raggiungere soluzioni errate, ma può anche accorgersi di avere sbagliato, da solo o grazie all intervento altrui. Questo procedimento di pensiero quindi comporta la possibilità consapevole di commettere degli errori, in tutta onestà, nell intento di risolvere problemi (Bruner, 1966, p.105). La Montessori, infine, dedicando largo spazio e interesse al problema dei premi e dei castighi, delle lodi e delle punizioni, di conseguenza porta la sua attenzione nei riguardi dell errore che chiama: Signor Errore (Montessori, 1970). La pedagogista italiana sostiene che una scuola che vuole rendere possibile e difendere la spontaneità del bambino non può ricorrere ai premi o ai castighi, in quanto escluderebbe a priori la capacità da parte del bambino di guidarsi, anzi autoguidarsi, dovendosi egli continuamente rimettere alla direzione dell insegnante. Ma la Montessori è ben consapevole che una educazione che 41

42 si prospetta come autoeducazione, comporta maggiori possibilità di incorrere in errori. Tanto meglio, ella aggiunge, perché l autoapprendimento e l autogoverno si realizzano anche con il controllo individuale dell errore. E lo stesso bambino che utilizza il materiale strutturato ad accorgersi di aver commesso un errore, come ad es. quello di non aver incastrato tutti i cilindri nei fori corrispondenti e di correggerlo sia con più attenti controlli sensoriali, sia mettendo in funzione il proprio pensiero critico e cioè con la scelta di un criterio diverso per risolvere quello stesso problema. Ma l incontro (come pratica e scoperta) e il superamento dell errore, il controllo dell errore, come dice la Montessori, individuale o collettivo che sia, può essere produttivo di nascita e sviluppo di sentimenti che attengono alla sfera morale e sociale dell essere umano. Il bambino che ha dimestichezza con l errore, sia nel commetterlo che nel correggerlo, e osserva il suo simile che viene a trovarsi nelle sue stesse condizioni, si sente a lui affratellato e legato per qualcosa che fa parte della loro natura e della loro formazione. Su di un piano diverso, che non interessa soltanto i rapporti fra bambini né quelli tra bambini e adulti, ma degli esseri umani in quanto tali, che poi in ultima analisi si traduce sempre in atto e fatto pedagogico, questo problema dell errore ben lo aveva capito il Papa dell Enciclica Pacem in Terris, distinguendo fra errore ed errante. Egli, infatti, dopo aver specificato che al fine della costruzione della pace, bisogna avviare tutto un insieme di stati d animo e di azioni per il controllo degli errori e non insistere sterilmente nella condanna dell errante, aggiungeva che se gli errori dividono gli uomini, il loro controllo li affratella e li unisce. Gli errori pertanto, che in campo pedagogico e didattico sono strumenti di formazione e di crescita, perché momenti costitutivi dell apprendimento, si rivelano, sul piano morale e sociale, col loro superamento, fautori di coesione, collaborazione e coesistenza pacifica fra i popoli. 42

43 LA SCUOLA COME LUOGO DI RIELABORAZIONE DEL SAPERE 43 E la scuola, infatti, il luogo di ricerca naturale in cui il fanciullo costruisce il sapere e si cimenta nella ricerca dei simboli significanti presenti nella realtà e nella cultura. Al sapere egli giungerà, in una scuola motivante appagante e varia, attraverso i procedimenti della scoperta e dell'invenzione. Ma, anche, attraverso un lavoro lento, personalizzato e impegnativo, dì costruzione, di ricerca, di prova, di controllo degli elementi che, volta a volta, andrà assumendo nel colloquio fitto e costante con la cultura. Se la scuola, ìn una ìnterazione costante con la società, con la famiglia, con gli altri ambienti di vita e di apprendimento, sarà capace di riflettere le tensioni e di interpretarne le aspirazioni, essa sarà anche il contesto naturale di sviluppo delle potenzialità dell'alunno chiamate ad espandersi in libertà ed autonomia, Il cammino, naturalmente, non è facile. Se la didattica sarà caratterizzata da quei principi che propri della costruzione scientifica, essa recupererà in positìvo l'errore e si definirà come «didattica dell'errore», perché sull'errore è possibile costruìre le condízioni di crescita e di sviluppo, nella ricerca costante dell'eliminazione degli errori contenuti in ogni produzione dell'uomo. L'uomo e fallibile e da tale fallibilità sono segnati i suoi prodotti,

44 le sue azioni, le sue costruzíoni, le sue realizzazioni nell'ambito dell'espressione, della comunicazione, dell'osservazione, della sperimentazione, della contemplazione, della rappresentazione, della proiezione in avanti e della rilettura del passato. La scoperta dell'errore costituisce la molla per andare oltre, per superare l'errore stesso e gli scarti di approssimazione che si rilevano nelle opere ai fini dell'edificazione di teorie sempre nuove (e migliori) in cui l'ambito di errore è ridotto, ma pur sempre presente, perché condizione del miglioramento e dello sviluppo. L'epistemologia esercita così il suo peso sulla didattica. E la scuola, se non vuol essere luogo noioso e triste, preludio ad una esistenza ancora più noiosa e triste in un ufficio o in una fabbrica, come aveva osservato Alexander Neill, deve farsi laboratorio di ricerca, luogo di riflessione e di discussione, contesto culturale di sviluppo e di perfezionamento del sapere. La scuola, difatti, ha un primato da vantare: quello di essere, rispetto alle altre agenzie educative, l'ambiente in cui l'alunno formerà il pensiero critico. La critica, per formarsi, deve essere esercitata: lo dovrà essere su contenuti non assoluti, non dogmatici, ma esposti essi stessi a falsificazione. 44 A ben pensarci, le discipline di studio (che sono i contenuti sui quali si esercita l'apprendimento) sono fatte apposta: sono il territorio di esercizio delle attività intellettuali, affettive, mentali, razionali, percettive dell'alunno. Fanno conoscere all'alunno ciò che conferisce loro intrinseca bellezza, ciò che motiva l'attività di ricerca. Svelano la struttura interna che è indispensabile possedere e che diviene fattore di crescita intellettuale. Tutte le funzioni psicologiche del soggetto, in sinergia, funzionano in questa

45 direzione: onde dilatare i poteri della persona; farla bella nella realtà dell'esistenza; farla forte davanti alle sfide del pensiero e del sentimento. 45

46 46 LA TEORIA DELL ERRORE CREATIVO Contemporaneamente dal nostro grande autore italiano (GIANNI RODARI) ho mutuato la teoria dell errore creativo ( In ogni errore giace la possibilità di una storia ). Siccome molti bambini avevano difficoltà a trascrivere nel carattere corsivo le vocali a ed o confondendole, ho fatto loro notare che, scambiandole, cambiavano le cose e nascevano delle storie assurde: il sole diventava il sale e dal cielo scendeva nella pasta, la nonna diventava la nanna e così via. Avendo colto il meccanismo, nei bambini più attenti è scattata una rincorsa per individuare nuovi vocaboli fin quando uno di loro ha riflettuto dicendo: Maestra, se ci sbagliamo Marta diventa morta?. Nello stesso modo ho proceduto per un altro errore ricorrente e cioè l omettere una vocale o una consonante (per cui salita diventava salta, carne diventava cane), per gli errori relativi alle doppie e all uso dell h nei digrammi ch e gh e per gli altri digrammi, per gli accenti (es. il papà diventava il papa di Roma). E avvenuto così un approccio larvato ed inconsapevole ai cosiddetti giochi linguistici.

47 Programmazione educativo-didattica: linee generali 47 La programmazione didattica, intesa come processo di insegnamentoapprendimento, viene definita dal Consiglio di Classe, sulla base delle indicazioni offerte dal Collegio dei Docenti. Tale programmazione si esplicita nell organizzazione consapevole degli interventi a sostegno del processo, che ha come fine ultimo la crescita intellettuale e culturale dell allievo. Il POF indica sinteticamente le fasi più significative della programmazione dei Consigli di Classe, articolandole come segue: 1 diagnosi della classe e individuazione dei livelli di partenza (classi primeterze) 2 definizione degli obiettivi educativi e didattici del Consiglio di Classe 3 definizione delle metodologie e dei comportamenti comuni che i docenti devono assumere nei confronti della classe 4 individuazione di strumenti di osservazione sui comportamenti degli alunni 5 calendarizzazione delle verifiche, al fine di ottenere una più razionale distribuzione dei carichi di lavoro 6 definizione delle prove di verifica comuni 7 criteri di valutazione 1. Individuazione della situazione iniziale I questionari ed i test proposti dai CdC per verificare il possesso dei prerequisiti mettono in luce gravi carenze nella preparazione di base relative al possesso di corretti strumenti linguistici, sia a livello di lettura e comprensione del testo che di produzione scritta. Risultano inoltre carenti le capacità logico-matematiche e una metodologia di studio. La complessità del curricolo, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo, insieme alle problematiche precedentemente descritte, sono state probabilmente le cause dell'alto tasso di abbandono e di ripetenza e dell assenteismo che sembra caratterizzare non solo il nostro istituto ma tutta la scuola contemporanea. Le informazioni necessarie per la definizione della programmazione dei Consigli di Classe vengono ottenute per mezzo di prove d ingresso, costruite dai docenti delle varie discipline o predisposte dal Ministero della Pubblica Istruzione o da altri enti. All inizio di ogni anno scolastico, in particolare nelle classi iniziali di ogni ciclo (classi prime e terze), agli studenti vengono sottoposte alcune prove, o "test d ingresso", uno di tipo storico-linguistico e geografico, l altro inerente le materie

48 dell'area scientifica. Lo scopo di questi test non è quello di effettuare una prima valutazione dello studente, ma quello di evidenziare eventuali lacune o disparità di preparazione tra studente e studente e progettare, di conseguenza, gli interventi didattici necessari per mettere rapidamente tutti gli allievi nelle medesime condizioni di partenza. 2. Obiettivi educativi e formativi Ai Consigli di Classe è stato affidato il compito di definire gli obiettivi cosiddetti trasversali, cioè gli obiettivi comuni a tutte le aree disciplinari. Gli obiettivi trasversali proposti per il biennio sono i seguenti: esprimersi in modo chiaro e corretto, utilizzando anche il linguaggio specifico delle varie discipline comprendere un semplice testo, individuare i punti fondamentali e saperne esporre le parti più significative applicare principi e regole collegare argomenti della stessa disciplina o di discipline diverse e coglierne le relazioni semplici stabilire relazioni fra causa ed effetto interpretare fatti e fenomeni ed esprimere giudizi personali Metodologie e comportamenti comuni Varie sono le metodologie da utilizzare in riferimento alle diverse situazioni che si possono verificare nel processo di insegnamento-apprendimento. Se bene utilizzate, esse agevolano il conseguimento degli obiettivi prefissati. La definizione dei comportamenti comuni da parte dei docenti del Consiglio di Classe consente di ottenere migliori risultati nel processo di apprendimento dell'allievo, in quanto il comportamento del docente suscita sempre particolari esperienze socio-emotive di significato motivante o ostacolante nei giovani. I comportamenti comuni individuati nel POF sono i seguenti: mantenere la massima trasparenza nella programmazione e nei criteri di valutazione favorire la partecipazione attiva degli alunni e incoraggiare la fiducia nelle proprie possibilità non drammatizzare l'errore, ma utilizzarlo per modificare i comportamenti dell'alunno utilizzare metodologie e strumenti diversificati e funzionali agli obiettivi da raggiungere correggere gli elaborati scritti con rapidità, in modo da utilizzare la correzione

49 come momento formativo favorire l'autovalutazione esigere la puntualità nell'esecuzione dei compiti pretendere rispetto nei confronti delle persone che lavorano dentro la scuola, dell'ambiente esterno e dei beni comuni (attrezzature, suppellettili, strutture) Strumenti di osservazione sui comportamenti comuni Il Consiglio di Classe, attraverso apposite griglie predisposte, verificherà il raggiungimento o il mancato raggiungimento dell'uniformità dei comportamenti indicati al punto 3. 1, e soprattutto ai punti 7 e 8 del medesimo. La valutazione dei risultati costituirà la base per eventuali correttivi o modifiche all'azione dei Consigli di Classe. 5. Calendarizzazione delle verifiche Il Consiglio di Classe, nei limiti del possibile, cercherà di coordinare la scansione delle verifiche, sia scritte che orali, in modo da evitare che più prove si accumulino nello stesso giorno e/o periodo, causando un eccessivo carico psicologico e fisico sull'allievo. 6. Strumenti di verifica Il Consiglio deciderà sull'utilizzazione dei vari strumenti di verifica. Il numero delle medesime è determinato in base alle ore che ciascuna disciplina ha a disposizione nel trimestre/quadrimestre. Le prove oggettive saranno variate (di tipo strutturato, semistrutturato e aperto) e saranno condotte in modo da permettere di assumere indicazioni precise riguardanti il raggiungimento degli obiettivi disciplinari ed educativi fissati dal Consiglio. Il colloquio orale, opportunamente condotto, resterà sempre un valido strumento di valutazione di più ampie e complesse capacità. E' intendimento dell'istituto arrivare alla individuazione di griglie comuni per le prove di verifica orali e scritte, utili anche per classi parallele.

50 7. Criteri di valutazione 50 La valutazione è parte integrante e imprescindibile della programmazione. Il Collegio dei Docenti ha il compito di fissare i criteri per la valutazione, cosi da consentire al vari Consigli di Classe di adottare gli stessi criteri e di rendere omogenea, a livello di istituto, la valutazione delle prestazioni scolastiche degli studenti. Nell'intento di facilitare la ricerca di un linguaggio comune, si propongono all'insegnante delle linee guida che riguardano i criteri di valutazione del profitto, ma anche della partecipazione, dell'impegno e del metodo di studio di ciascun alunno. Per quanto riguarda alcuni aspetti del linguaggio utilizzato in queste linee guida, si sottolinea che, con il termine "livello minimo", si intende il livello neutro, il punto zero, il confine tra il positivo ed il negativo; in altre parole, quel giudizio che usualmente viene espresso con un 6". Per valutazione globale si intende sostanzialmente l'insieme, opportunamente vagliato, di tutti i dati sul comportamento, la partecipazione, l'impegno, il metodo di studio, il profitto, raccolti durante il corso dell'anno scolastico. Essa pertanto non si limita alla valutazione del bagaglio di conoscenze acquisito, ma investe l'intera personalità dell'alunno, almeno per gli aspetti evidenziati nel curricolo scolastico. Griglia di valutazione Impegno: rispettare gli impegni, mostrare volontà di migliorarsi, prestare la propria azione per progetti, assumere e portare a termine iniziative Acquisizione dei contenuti: conoscere comprendere fatti, terminologie, sequenze, classificazioni, criteri, metodi, principi, concetti, proprietà, teorie, modelli, uso di strumenti attraverso la trasposizione (tradurre, dire con parole proprie, spiegare un grafico) attraverso l'interpretazione (spiegare, dimostrare) attraverso l'estrapolazione (estendere, prevedere, indicare possibili implicazioni, conseguenze ed effetti) Elaborazione dei contenuti: applicare analizzare leggi, metodi, procedimenti, generalizzare, astrarre sapendo ricercare gli elementi e le relazioni di un aggregato di contenuti, di un sistema Autonomia critica: sintetizzare valutare dedurre principi di organizzazione, produrre un'opera personale organizzando il contenuto ed individuando elementi fondanti, elaborare piani, brevi saggi capacità di esprimere giudizi critici, di valutare, di decidere autonomamente assumendo un quadro di riferimento

51 Abilità linguistiche ed espressive usare la lingua in modo corretto e appropriato, rispettando i legami logicosintattici possedere un lessico ampio e preciso utilizzare linguaggi settoriali e registri linguistici in modo adeguato 51

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