la memoria figurativa ROBERTO VENTURI ( ) edizioni aab
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- Rebecca Carlotta Valentini
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1 la memoria figurativa ROBERTO VENTURI ( ) 185 edizioni aab
2 COMUNE DI BRESCIA CIVICI MUSEI D ARTE E STORIA PROVINCIA DI BRESCIA ASSOCIAZIONE ARTISTI BRESCIANI la memoria figurativa ROBERTO VENTURI ( ) mostra a cura di Luigi Capretti e Francesco De Leonardis 185 aab edizioni aab - vicolo delle stelle 4 - brescia dal 3 dicembre 2011 all 11 gennaio 2012 orario feriale e festivo lunedì chiuso
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6 Roberto Venturi, il sogno di un arte colta e popolare, moderna e vera Francesco De Leonardis La formazione artistica di Roberto Venturi fu tutta milanese e sfugge pertanto ai parametri che, usualmente, si applicano agli artisti bresciani della seconda metà dell Ottocento e che comportavano, in un obbligato percorso a tappe, la frequenza alla Scuola Comunale di Disegno, la partecipazione al concorso per la pensione del Legato Brozzoni, l iscrizione ad un Accademia di Belle Arti in un altra città e, almeno per i più dotati, la scelta di un trasferimento lontano da Brescia, dove migliori erano le opportunità professionali. Venturi, nascendo milanese e morendo bresciano, seguì una via diversa. All incontrario. Poco sappiamo dei suoi primi studi, che, a giudicare dallo stile dei suoi scritti e delle buone condizioni economiche della famiglia, non furono certo superficiali e lo portarono ad essere persona colta, amante della letteratura e del teatro; né sappiamo come maturò in lui la decisione di dare seguito alla sua vocazione artistica iscrivendosi alla Regia Accademia di Brera. Non si conoscono aneddoti né eventi emblematici. Certamente però la formazione ricevuta a Brera lo segnò profondamente, tanto che alla lezione lì ricevuta restò fedele per tutta la sua pur breve vita. Venturi arrivò in Accademia nel 1860 e vi rimase, per dieci anni, fino al 1870, quando concluse il suo percorso conquistando la medaglia d oro al concorso triennale di pittura con il quadro Giovanni Bellini, fingendosi un nobile veneto, si fa ritrarre dal pittore Antonello da Messina onde potere così scoprire la nuova maniera di dipingere ad olio, che quell artista aveva appreso da Giovanni da Bruges (cat. n. 15). Il tema era stato estratto a sorte da una quaterna di titoli di argomento storico; al concorso si erano iscritti anche Enrico Cattaneo e Francesco Didioni, che non si presentarono però alla prova. Venturi, seguito da Hayez e Bertini, lavorò con impegno e, alla fine, gli esaminatori lo ritennero meritevole del premio, che consisteva nella commissione di un opera, da parte della stessa Accademia, retribuita con la somma di duemila lire. Era il riconoscimento ufficiale delle qualità e dei meriti del giovane artista e un incoraggiamento a progredire negli studi. Gli anni in cui Venturi frequenta Brera sono assai importanti per l istituzione milanese che, nel 1859, dopo l annessione della Lombardia allo stato sabaudo, si era svincolata dalla dipendenza giuridica dall Accademia di Vienna e, nel novembre 1860, aveva avuto un nuovo regolamento. Era previsto che gli allievi seguissero per tre anni i corsi di Ornato e Figura per acquisire le abilità del disegno e frequentassero poi la Sala delle statue e dei gessi e la Scuola di 5
7 Giovanni Bellini, fingendosi un nobile veneto, si fa ritrarre dal pittore Antonello da Messina onde potere così scoprire la nuova maniera di dipingere ad olio, che quell artista aveva appreso da Giovanni da Bruges (cat. n. 15). La fotografia è pubblicata su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Anatomia, passando infine ai corsi superiori con la possibilità di scegliere tra vari indirizzi. Venturi decise per il corso di Pittura di storia tenuto da Giuseppe Bertini ( ), che era stato chiamato ad affiancare il vecchio Francesco Hayez, avendo come allievi tutti i principali pittori della generazione postunitaria, tra cui si possono ricordare Tranquillo Cremona, Daniele Ranzoni, Angelo Morbelli, Ludovico Pogliaghi, Cesare Tallone, Giuseppe Pelizza da Volpedo, Giovanni Segantini, Achille Beltrame, Antonio Barzaghi Cattaneo, Pietro Michis, Alessandro Rinaldi, Luigi Rossi e Adolfo Feragutti Visconti. Nella gerarchia accademica dei generi la pittura di storia era posta sul gradino più elevato, superiore alla pittura di paesaggio e al ritratto, e Bertini ne era ritenuto un esponente autorevole che aveva preso le mosse dal tardo romanticismo di Hayez, ma stava approdando ad un cauto aggiornamento nel senso di una maggiore adesione al vero, con aperture a tematiche sociali e ad una pittura di storia capace di affrontare anche temi contemporanei derivati dall epopea risorgimentale. Bertini fu fondamentale nella formazione di Roberto Venturi e gli trasmise metodo di lavoro e concezione dell arte 1. (1) Un ampia documentazione sugli artisti bresciani che hanno frequentato l Accademia di Brera è nei tre volumi pubblicati dall Aref: R. FERRARI ( a cura di), Vado a Brera. Artisti, 6
8 Di questi anni di studio ci resta un consistente nucleo di disegni e di bozzetti, sparsi in collezioni private bresciane e perlopiù provenienti dai materiali conservati dalla figlia Ada, attraverso cui si evidenzia il percorso formativo seguito dall artista. Sono studi di prospettiva, copie di statue antiche, studi di nudo tutti rigorosamente maschili, perché a Brera nella Scuola di Nudo non era ancora prevista la presenza di modelle, copie e schizzi di dipinti rinascimentali, che ci dicono dell acquisizione di un metodo di lavoro meticoloso, fondato sul disegno e sulla attenzione al dettaglio realistico. Nella realizzazione delle opere più impegnative che vennero esposte a Brera nel 1870, il Michelangelo davanti alle porte del Ghiberti a Firenze (cat. n. 14) e il Giovanni Bellini, Venturi parte da un idea che viene tradotta in un rapido schizzo, esegue una serie di studi che riguardano le espressioni e le pose dei personaggi, utilizza anche fotografie (nel caso del Michelangelo un immagine fotografica della porta bronzea del Battistero di Firenze), realizza bozzetti per sottoporre a verifica l intonazione cromatica, modifica e corregge procedendo alla costruzione del quadro attraverso l assemblaggio di materiali vari. È il metodo che si apprendeva in accademia e che faceva del pittore - come diceva Carducci a proposito del poeta - «un grande artiere, / che al mestiere / fece i muscoli d acciaio», ovvero una sorta di fabbro, capace di recuperare e legare insieme metalli diversi e di forgiarli in nuove forme. Venturi seguì sempre poi con scrupolo gli insegnamenti appresi. Ce ne rendiamo conto anche attraverso le puntuali notizie contenute nelle lettere che inviò da Milano a Carlo Manziana tra il 1871 e il 1875, quando il carteggio s interruppe in seguito al trasferimento dell artista a Brescia 2. Lo vediamo nel racconto che fa all amico del tortuoso percorso di Gabinetto della Pinacoteca Tosio a Brescia (cat. n. 18), presentato una prima volta a Milano nel 1871 all Esposizione di Brera e, in seguito, più volte rimaneggiato fino a diventare Confidenza nel 1874 (cat. n. 50), e anche nei numerosi ripensamenti che accompagnano la realizzazione di L Innominato (cat. n. 28). Dalle lettere emergono talvolta anche particolari curiosi, come la difficoltà di trovare un autentica veste di frate domenicano che gli serve per La partenza di Fanfulla dal convento di San Marco (cat. n. 61); chiede allora all amico di informarsi presso lo zio di Francesco Rovetta, commerciante di stoffe, «se la tonaca deve opere, generi, acquirenti nelle Esposizioni dell 800 dell Accademia di Brera, Brescia, 2008; R. FERRARI, S. IACOBELLI, M. PENOCCHIO (a cura di), Verso l arte. Artisti bresciani a Brera nell 800, Brescia, 2009 e R. FERRARI (a cura di), La geografia dei sistemi dell arte nella Lombardia ottocentesca, Brescia, (2) Alcune lettere erano state pubblicate già nel 1936 da Nicodemi in Lettere del pittore Roberto Venturi a Carlo Manziana, in Commentari dell Ateneo di Brescia per l anno 1935, Brescia, 1936, pp , ma l intero carteggio è stato ora trascritto da Luigi Capretti in occasione di questa mostra. 7
9 essere di lanetta leggera o pesante» 3 ; o come la richiesta di avere, tramite Carlo Manziana, il piccolo dipinto in cui Francesco Rovetta aveva raffigurato la finestra del suo studio che sappiamo venne poi ripresa nel Violoncellista (cat. n. 64) e in Cimarosa (cat. n. 69) 4. Quello del dare e avere tra Venturi, Manziana e Rovetta è, del resto, un nodo difficile da sciogliere, perché tra i tre ci fu un rapporto artistico molto stretto con continui scambi di idee, di suggerimenti e di notizie: Venturi aveva dalla sua gli studi accademici e il professionismo, Rovetta e Manziana erano dilettanti che dedicavano alla pittura il tempo lasciato libero dalle loro imprese commerciali, ma è certo che Venturi non disdegnava attingere al loro consiglio e considerava le loro opere dei modelli. Non c è infatti solo La finestra dello studio a stabilire una tangenza tra le opere di Rovetta e quelle di Venturi, ma anche il paesaggio del Lago di Ledro (cat. n. 32), il Pittorello (cat. n. 47) e Socrate (cat. n. 48) sono presenti nei cataloghi di entrambi gli artisti. Per quanto riguarda il Lago di Ledro sappiamo che nel 1873 Francesco Rovetta era stato con Giovan Battista Ferrari a dipingere nella valle trentina, ma anche Venturi aveva fatto vacanze in Tirolo ed è difficile rispondere allora alla domanda: «chi è stato il primo?». La produzione di Venturi non è ampia, la brevità della sua vita concentra tutto il suo operare in meno di due ventenni. Il fare grande del quadro di storia restò il suo obiettivo di sempre, declinato in una serie di bozzetti e in tele di grande formato. I soggetti gli venivano, perlopiù, dal romanzo storico: da Manzoni e da Massimo d Azeglio, in particolare. Da I Promessi Sposi trasse nel 1872 un Innominato (cat. n. 28), commissionatagli dall Accademia dopo la vittoria al concorso del 1870, che, nella struttura compositiva, sembra dipendere dall Innominato di Andrea Gastaldi, un quadro del 1866 acquistato dal Comune di Torino che il nostro poteva conoscere. L opera è un passo avanti in direzione verista rispetto alla lezione stilistica di Bertini e rivela l interesse di Venturi nel rendere gli effetti di luce, qui, come in altre opere successive, proveniente da una finestra laterale di ascendenza neofiamminga. In più occasioni s ispirò invece a Niccolò de Lapi ovvero i Palleschi e i Piagnoni, il romanzo medieval-patriottico ambientato durante l assedio di Firenze del 1530, pubblicato da d Azeglio nel 1841 dopo il successo dell Ettore Fieramosca, in cui viene fatto rivivere il fortunato personaggio di Bartolomeo da Lodi, detto Fanfulla, che era stato tra i cavalieri della disfida di Barletta e che è presentato dall autore come un uomo astuto e guascone, gran bevitore, ma coraggioso. Oltre al piccolo dipinto databile intorno al 1875, poco più che un bozzetto, con Niccolò de Lapi (cat. n. 59), in cui Niccolò è raffigurato pensoso e dolente (3) Lettera a Carlo Manziana, 22 luglio (4) Lettera a Carlo Manziana, 6 maggio
10 La partenza di Fanfulla dal convento di San Marco (cat. n. 61) mentre piange l imminente perdita della libertà, dopo aver dato l addio ai figli che sono andati a combattere per la difesa della Repubblica fiorentina, Venturi realizzò due grandi tele che hanno per protagonista il simpatico Fanfulla. La prima, portata nel 1877 all Esposizione nazionale di Belle Arti di Napoli, dove fu premiata, rappresenta La partenza di Fanfulla dal convento di San Marco (cat. n. 61). È attualmente dispersa, ma la si conosce attraverso una fotografia d epoca 5 ; Francesco Netti ne parla recensendo l esposizione napoletana su «L Illustrazione Italiana»: «Il gruppo principale è pieno di vita. Fanfulla, colla sua faccia ossuta, e la sua bocca sdentata, conserva ancora la sua fisionomia di frate sotto l armatura, di una forbitezza dubbia, e troppo larga per la sua persona dimagrita. Sta a cavallo sul suo vecchio ronzino, scarno e scorticato sulle sporgenze delle ossa, e stringe la mano ai suoi confratelli domenicani, che lo circondano con un aria tra il comico e l amichevole. Aggiungete a ciò delle figure piene di carattere, dei tipi ben studiati, come quello che prende tabacco al primo piano, e il frate cieco, che si avanza battendo la terra col bastone» 6. Massimo d Azeglio, nel romanzo, aveva immaginato che Fanfulla, dopo le avventure narrate nell Ettore Fieramosca, si fosse ritirato come converso nel convento domenicano di San Marco a Firenze e che, nel momento di massimo pericolo per la Repubblica, avesse ripreso le armi con il consenso dei suoi confra- (5) Una copia è ancora tra i materiali di lavoro dell artista conservati presso gli eredi; la fotografia fu pubblicata inoltre sull «Illustrazione Bresciana», anno I, n. 14, 1 giugno 1903, p. 3. (6) F. NETTI, Esposizione Artistica Italiana a Napoli. Note d arte. Dieci altri pittori, in «L Illustrazione Italiana», anno IV, 2 semestre, 1877, p
11 telli. La tematica patriottica, sottesa all episodio, si era però stemperata con il trascorrere del tempo, l Italia era ormai fatta e Roma ne era da anni la capitale; Venturi riprese la scena declinandola in una chiave comica, come già notava Netti: il protagonista e i suoi comprimari gli offrirono l occasione di allineare una vivace galleria di ritratti studiati dal vero 7, ma tipizzati quasi al limite della caricatura. Il secondo, più impegnativo, spunto dal Niccolò de Lapi è rappresentato da Fanfulla al sacco di Roma (cat. n. 84), una tela di grandi dimensioni completata dopo una lunga elaborazione nel 1880, quando fu presentata alla IV Esposizione Nazionale di Belle Arti di Torino. Nel romanzo l episodio è contenuto in un flashback in cui si rievocano le trascorse imprese di Fanfulla e d Azeglio narra il provvidenziale intervento del cavaliere che, ridestandosi dalla solita ubriacatura, entra nella chiesa di San Giovanni dei Fiorentini, dove i suoi compagni d arme stanno allegramente gozzovigliando e, avendo catturato un cardinale, lo stanno minacciando di morte per farsi rivelare dove ha nascosto un tesoro. Fanfulla si erge con le braccia alzate nel presbiterio, e, con un suo grido, impedisce che il poveraccio venga ucciso. Anche in questo caso Venturi mette in campo la sua vena comica per realizzare una composizione ricca di dettagli, in cui si dimostra propenso ad una mise en scène teatrale, ben orchestrata nella disposizione, sui diversi piani, delle molteplici azioni che compiono i personaggi e molto attenta, al suo solito, alla verità dell ambientazione e degli oggetti disposti in abbondanza sulla scena. Il teatro e in particolare il melodramma erano, del resto, la sua passione insieme alla pittura. Nel quadro vediamo un agitata gozzoviglia che ha in primo piano, sui gradini dell altare, il cadavere di un frate, prono e di traverso, e i cinque malandrini alle prese con il cardinale, in camicia da notte, terrorizzato; più indietro, presso le balaustre, compare Fanfulla; sul fondo, alcuni soldati s intrattengono con donnine discinte, mentre altri, saliti su un pulpito, fanno scempio degli arredi liturgici. Sparsi sul pavimento ci sono libri, candelabri, spade, pugnali, croci, calici, pistole, fucili, un turibolo e un reliquiario, tappeti, piatti e boccali di peltro, un icona mariana e un fiasco di vino: trovarobato teatrale che al sempre acido Modesto Faustini dava l idea di qualcosa di slegato «nella quantità degli oggetti dipinti troppo separatamente, e disposti quasi a guisa di negozio di antiquariato» 8. Accanto alla storia c è la pittura di genere, con la quale Venturi si collocò nel solco di una maniera, efficacemente mercantile, che rispondeva ai gusti biedermeier del pubblico borghese, proponendo quadri (7) Assai interessante, a questo proposito, è il preparatorio Studio di frati (cat. n. 60), in collezione privata a Brescia. (8) M.F.[AUSTINI], Alla prima esposizione artistica internazionale di belle arti in Roma. Impressioni d un artista. VI, in «La Provincia di Brescia», 12 febbraio
12 di piccolo formato, adatti a case modeste, con soggetti di facile presa: giochi di bimbi, frati e suore, scene d osteria d un fiamminghismo neobarocco, suonatori rococò, esotiche odalische, damine e paggetti. Lo stesso Venturi era consapevole che non era certo questa la strada che la pittura doveva percorrere verso la modernità e lo aveva detto a chiare lettere in un articolo, pubblicato su «La Sentinella Bresciana» nel 1879, il primo di una serie di tre dedicata all Esposizione di Brera, in cui, cogliendo la contraddizione sottesa all operare artistico contemporaneo, arrivava però ad una giustificazione: «Io, disceso nei bassi fondi dell arte scriveva posso, con tutta cognizione di causa, affermare che l artista sarebbe sempre disposto, dispostissimo ad applicare il suo progresso tecnico-morale alla così detta arte seria, nobile, maestosa; ma, dopo tutto, ha bisogno morale e materiale di vendere ecco la gran parola! E perciò stuzzica il pubblico, lo attira col vischio, mette la pania, agita lo specchietto, fa ballare la civetta o, con altre parole, cerca i soggettini attraenti e di dimensioni modeste che possono stare nelle salette a manger dei moderni eleganti; si guarda dal riprodurre cose che possano turbare la digestione agli epicurei, cerca di usufruire dei costumi che ha fatto fare pel quadro antecedente, si tiene lontano dalle intonazioni scure in causa di questi benedetti locali moderni che hanno finestre tanto piccole e che attutiscono la luce fin troppo scarsa. Ecco lo scudo d Achille contro le accuse di coloro che, non vedendo, per mancanza di volontà o di genio, il reale, l indiscutibile progresso dell arte, vi andranno sussurrando all orecchio che questi parti faticosi dei giovani ingegni si riducono ai soliti bimbi che piangono, ai soliti mandolinatori che strimpellano, alle solite odalische dalle babbucce. Non nego che buona parte degli artisti esponenti siano imitatori. Basta che un artista originale abbia scovata una così detta trovata, ed eccoti intorno all alveare uno sciame di api a succhiarne l essenza e concepirne una quantità di derivazioni, ma lo fanno quasi sempre per mancanza di mezzi e quando la trovata è nel campo poco dispendioso; ed allora torno alla mia asserzione primitiva e finalmente concludo: la causa di tutto ciò è l incoraggiamento del pubblico o forse più ancora l ambiente del periodo sociale in cui viviamo. Ma questi tempi chi li generò? Non gli artisti al certo. E il pubblico nemmeno!» 9. Consapevole di operare per il mercato, in stato di necessità, Roberto Venturi nella sua produzione dedica uno spazio quantitativamente importante agli interni conventuali, con l ancor giovanile Monaca al pozzo (cat. n. 10) vibrante d ombra e di luce, e ai musicanti barocchetti riproposti nella serie del Violoncellista (cat. n. 64), del Cimarosa (cat. n. 69) e della Serenata di Cimarosa, nota anche con il titolo di Mandolinata (cat. n. 70), dove i suonatori sono collocati (9) R. VENTURI, L Esposizione a Brera I, in «La Sentinella Bresciana», 24 settembre
13 in uno stanzone presso una finestra da cui spiove la luce secondo un modello probabilmente ricavato da Messonier, ammiratissimo tanto da Venturi quanto dai suoi amici Rovetta e Manziana, che lo consideravano un maestro della realtà 10. E rientrano in questo ambito anche il giovinetto del Ritratto in costume del Settecento (cat. n. 46), la scontata scena d atelier di La pittrice (cat. n. 49), che ci è nota attraverso una fotografia d epoca conservata tra i materiali dell artista presso gli eredi, la sensuale Baccante (cat. n. 77) e Il pittorello (cat. n. 47). Rilievo diverso hanno invece La lettera, esposta dall autore anche con il titolo Una buona notizia e Confidenza (cat. n. 50), e Si aspetta udienza (La vecchia Pretura; cat. n. 100), due opere eseguite a distanza di tempo, la prima nel 1874 e la seconda nel 1882, che sono accomunate però dall idea di calare le figure in un ambientazione reale, riprodotta sulla tela con atteggiamento analitico e documentario. La prima rappresenta due giovani donne che leggono insieme una lettera all interno di un ambiente neoclassico che riproduce esattamente la Sala ovale dell appartamento disegnato da Vantini in Palazzo Tosio, dove, in quegli anni, ancora aveva sede la Pinacoteca Tosio con le collezioni donate dal conte Paolo Tosio alla città. Molto attento ai dettagli d arredo, Venturi ci fa vedere uno dei grandi vasi giapponesi collocati nelle quattro nicchie circolari e, oltre la porta, nel contiguo Gabinetto ottagonale, il famoso busto di Eleonora d Este di Canova. Era, del resto, affezionato a questa sala che già in precedenza, nel 1871, aveva voluto dipingere nel Gabinetto della Pinacoteca Tosio a Brescia (cat. n. 18), un quadro, oggi disperso, in cui al posto delle due lettrici vi era una giovane che si esercitava nel disegno di una statua 11, e, nuovamente nel 1879, chiese alla Direzione della Pinacoteca Tosio l autorizzazione per «poter ristudiare il fondo del Gabinetto ovato per una replica del quadretto Pettegolezzi femminili», che non sappiamo se fu poi effettivamente realizzato 12. L altro ambiente che Venturi riprodusse con atteggiamento fotografico è il salone cinquecentesco di Palazzo Avogadro, affrescato da Lattanzio Gambara. Lo fece in un quadro di sapore verista che ci mostra gente in attesa nel salone da cui si accedeva all aula della Pretura, ospitata fino agli inizi del Novecento nel palazzo: ci sono il vecchio usciere, un carabiniere che sta portando via un condannato, avvocati attorniati dai clienti, due donne intente alla lettura e qualcuno che, per ingannare il tempo, osserva le figure dipinte sulle pareti. Non c è comunque dramma; Venturi non ama alzare la voce né ha intenti di denuncia; gli piace, piuttosto, raccontare con un tono basso e quasi con parteci- (10) Nel 1879, alla mostra organizzata dall Associazione Arte in Famiglia a Palazzo Bargnani, Venturi aveva presentato, tra l altro, uno Studio sopra un quadro di Meissonier (cat. n. 74), di cui non si conosce l ubicazione attuale. (11) Lettera a Carlo Manziana, 29 luglio (12) AMAS, Cartella 9, Museo Patrio, lettera del 4 aprile
14 pazione affettiva i piccoli eventi quotidiani di persone comuni, capitate quasi per caso in uno spazio reso solenne dall arte del passato. Accanto a queste due tele vanno ricordati alcuni disegni, eseguiti con matita a punta fine dal tratto sottile, con vedute di Brescia, in cui ritroviamo la stessa attitudine all indagine dello spazio architettonico, che col trascorrere del tempo sono diventati documenti preziosi del volto storico della città. Di Venturi si conoscono numerosi disegni che, per la maggior parte, La pittrice (cat. n. 49) sono studi fatti in preparazione di dipinti a olio; ma c è un gruppo di fogli, dispersi in diverse collezioni e probabilmente provenienti da uno stesso album, che hanno compiutezza in sé. Vi sono raffigurati, in immagini nitide e precise, monumenti e vedute: la fontana della Pallata (cat. n. XXXXVIII), la facciata della chiesa di San Francesco (cat. n. XXXXIX), il campanile del monastero dei Santi Cosma e Damiano (cat. n. L), il Castello visto da Pontalto (cat. n. LI), il Tiro a segno alla Pusterla (cat. n. LII). Il capitolo, quantitativamente maggiore, nella produzione di Venturi è però quello dei ritratti, in cui, insieme a una notevole capacità di introspezione psicologica, l artista mostra la volontà di innovare la tradizione adottando inquadrature anticonvenzionali, dall alto verso il basso ad esempio, ed una pennellata che, pur mantenendosi sempre al di qua delle dissolvenze scapigliate, si fa moderna e si sfrangia nei tocchi di colore rapidi, nell improvviso rilevarsi di un bianco intriso di luce che emerge da un colletto di pizzo, dalla manica di una camicia o dall abito da sera di una dama adagiata su un sofà. Maestro, anche in questo ambito, era stato per lui Giuseppe Bertini, che nel ritratto, messa da parte ogni eredità purista, aveva percorso la strada della definizione realistica dei moti dell animo, facendo i conti con la fotografia, ma per raggiungere un espressività che oltrepassava quella della tecnica fotografica. Venturi disdegnò tanto il ritratto ambientato quanto la collocazione del personaggio in spazi naturali aperti. Scelse fondi scuri, appena mossi dai decori delle tappezzerie, accomodò spesso i suoi soggetti sul seggiolone barocco su cui aveva fatto sedere L Innominato, li investì con luci di taglio e rivolse loro il suo sguardo malinconico. Ci sono nei ritratti un assorta serietà e un patetismo sottile, manca il sorriso. Non ci si riferisce qui alle prove più ufficiali come il Ritratto del dottor Felice Benedini 13
15 (cat. n. 71) o l elegante Ritratto della contessa Paolina Calegari Torri (cat. n. 86), ma ai ritratti nati nell intimità della famiglia o nella cerchia ristretta degli amici. Nell Autoritratto (cat. n. 11) e nel Ritratto di Carlo Manziana da giovane (cat. n. 12), databili intorno al 1870, non vediamo alcunché della scanzonata personalità dei due amici quale emerge vivacissima dalle lettere, ma un espressione pensierosa e, nell Autoritratto, già carica di consapevoli cupi presagi. Nello splendido ritratto di Annunciata Benedetti, moglie di Carlo Manziana (cat. n. 42), Venturi scelse un impaginazione classica e concentrò l attenzione sul volto della donna, luminoso e compunto; al contrario, nel Ritratto della moglie (cat. n. 44), che avrebbe dovuto essere, nelle intenzioni dell artista, un pendant del precedente e che però ha il carattere del non finito, raggiunse risultati assai moderni inquadrando la figura dall alto e avvolgendola in una luce fioca e densa d ombra, così che la donna, nerovestita ed esangue, sembra risucchiata nel fondo, fino quasi a scomparire. E c è infine la serie dei ritratti delle sue bambine eseguiti alla soglia degli anni Ottanta, atto d amore di un padre che si accingeva al definitivo congedo. Non molto praticato il paesaggio, al quale Venturi sembra essersi dedicato, in particolare, dopo il suo ritorno a Brescia, forse sullo stimolo di un ambiente siamo ormai negli anni Ottanta del secolo più favorevole a questo genere che al fare grande della pittura di storia. Del primo periodo milanese conosciamo infatti solo due prove: il Pescarenico. Lago di Lecco (cat. n. 24) e il Lago di Ledro (cat. n. 32), in cui l interesse dell artista si appunta prevalentemente sullo studio degli effetti di luce sulla superficie dell acqua lacustre. In Pescarenico, quasi un abbozzo fatto di pennellate rapide e larghe, la luce crepuscolare e le nubi che solcano il cielo creano un effetto notturno dove cielo, acqua e montagne si confondono in un grigiore plumbeo e la barchetta che solca silenziosa il lago sarà la suggestione del luogo sembra evocare atmosfere manzoniane, quasi un addio monti se non fosse per la scia di fumo che esce dalla ciminiera di un lontano battello a vapore. Agli ultimi anni va collocato invece un gruppo di opere in cui Venturi si avvicina al paesaggio bresciano e ce ne dà un interpretazione originale. Sono Rustico (cat. n. 95), Il mulino (cat. n. 96), Pecore al pascolo (Paesaggio invernale) (cat. n. 97), Veduta del Castello dalla Conchiglia (Veduta del Ronco) (cat. n. 98), Paesaggio di case sul lago d Iseo (cat. n. 105) e Angelus (Pastore con le pecore davanti ad una santella; cat. n. 109), ai quali andrebbero aggiunti pochi altri titoli di opere note nella letteratura, ma attualmente di ubicazione ignota 13. A caratterizzare il paesaggismo di Venturi sono la luce fredda e cristallina che spegne le (13) Sono Case rustiche (olio su tela, 37 x 28 cm; cat. n. 110) e Ponte Alto (olio su tela, 50 x 71 cm; cat. n. 111) che figurano nel catalogo della Mostra della pittura bresciana dell Ottocento del 1934, p
16 ombre, la cromia chiara, le stesure compatte di colore, il sentimento, al solito, melanconico. Seppur attraverso questo numero limitato di prove, la sua lezione non passò inosservata tanto che se ne può ritrovare traccia in Lombardi e nella prima produzione di Bertolotti. Non è possibile tuttavia comprendere a pieno il ruolo e l influenza che Roberto Venturi ha esercitato nell ambiente artistico bresciano se non si ricordano altri aspetti della sua attività e, in particolare, l incoraggiamento a costituire, nel 1876, l Associazione Arte in Famiglia, modellata sull esempio della Famiglia Artistica milanese, di cui Venturi aveva fatto parte e che era sorta nel 1873, grazie alla volontà di Vespasiano Bignami, con il fine di offrire ai giovani artisti un aiuto mutualistico, fuori dall Accademia, organizzando mostre, corsi, occasioni d incontro, ma anche attività d intrattenimento e momenti conviviali. A Brescia Arte in Famiglia ebbe il merito di promuovere mostre che consentivano di far conoscere al pubblico il lavoro degli artisti e di favorire la nascita di un mercato dell arte, di gestire una scuola di disegno di figura e studio del modello, di facilitare rapporti di amicizia e di confronto tra gli artisti bresciani. Non meno importante fu il ruolo esercitato da Venturi come critico d arte. Lo si vede nei molti riferimenti alle vicende artistiche milanesi contenuti nelle lettere a Carlo Manziana (in particolare nella lettera in cui dà conto della Seconda Esposizione Nazionale di Brera 14 ), nelle due serie di articoli sull Esposizione nazionale delle Belle Arti del 1877 a Napoli e sull Esposizione di Brera del 1879 pubblicate su «La Sentinella Bresciana» 15 e nell intervento Considerazioni sul gusto pittorico de nostri tempi, tenuto nel 1883 all Ateneo 16. Va detto che Venturi non è il solo degli artisti bresciani a recensire mostre nazionali, inviando ampi resoconti che i quotidiani locali pubblicavano a puntate. Lo fecero anche Modesto Faustini su «La Provincia», nel 1877 dall Esposizione di Napoli e nel 1883 dall Esposizio- (14) Lettera a Carlo Manziana, 5 agosto 1872, pubblicata in G. NICODEMI, Lettere del pittore Roberto Venturi a Carlo Manziana, in Commentari dell Ateneo di Brescia per l anno 1935, Brescia, 1936, pp (15) R. VENTURI, L esposizione artistica, in «La Sentinella Bresciana», 29 aprile R. VENTURI, L esposizione artistica di Napoli, in «La Sentinella Bresciana», 5 maggio R. VENTURI, L esposizione artistica di Napoli, in «La Sentinella Bresciana», 7 maggio R. VENTURI, L esposizione artistica di Napoli, in «La Sentinella Bresciana», 9 maggio R. VENTURI, L esposizione artistica di Napoli, in «La Sentinella Bresciana», maggio R. VENTURI, L Esposizione a Brera I, in «La Sentinella Bresciana», 24 settembre R. VENTURI, L Esposizione a Brera II, in «La Sentinella Bresciana», 25 settembre R. VENTURI, L Esposizione a Brera III, in «La Sentinella Bresciana», 26 settembre (16) R. VENTURI, Considerazioni sul gusto pittorico de nostri tempi, in Commentari dell Ateneo di Brescia per l anno 1883, Brescia, 1883, pp
17 ne Internazionale di Roma 17, e Cesare Bertolotti che, sempre su «La Provincia», si occupò nel 1884 dell Esposizione d arte contemporanea di Torino 18 ; nasceva infatti in quegli anni nell ambito della stampa nazionale una critica d arte militante, gestita in prima persona dagli stessi artisti, che trovava modo di far sentire la propria voce soprattutto in occasione delle esposizioni nazionali, nate, dopo il 1861, per superare il chiuso regionalismo degli anni precedenti e favorire la nascita di una nuova arte capace Roberto Venturi di esprimere, in senso unitario, le aspirazioni del paese. Roberto Venturi, in questi suoi interventi, si rivelò persona colta e informata, che sapeva usare una scrittura chiara e vivace per sostenere posizioni nette in cui non è difficile ritrovare le linee di tendenza del suo operare artistico. Il suo impegno di critico era tenuto in considerazione, come risulta anche dalle parole di Gaetano Fornasini nella commemorazione funebre dell artista: «Critico sagace, egli portava nei giudizi d arte una rara sottigliezza ed una originalità di punto di vista, che fanno lamentare non si sia più di proposito applicato a tale studio. Ragionevole ammiratore degli antichi, difendeva strenuamente l arte moderna in quanto essa ha di veramente grande e nuovo nel sentimento della forma e nella poesia del colore: e sdegnavasi contro chi non vede che decadenza nella pittura, laddove vi si riscontrano i segni palesi di un vitale rinascimento» 19. Di particolare interesse è il discorso con cui Venturi intervenne all adunanza del 18 marzo 1883 dell Ateneo, pubblicato poi, in sintesi, sui Commentari dell Ateneo di Brescia di quell anno. Il tema era vasto e impegnativo. Venturi, presentando infatti ai soci le sue Considerazioni sul gusto pittorico de nostri tempi, si chiedeva per quali ragioni «l arte moderna con tutte le sue manifestazioni di verismo intimo e pro- (17) Modesto Faustini inviò a «La Provincia» sette articoli da Napoli, pubblicati dal 28 maggio al 16 giugno, e quindici articoli da Roma, pubblicati dall 1 febbraio al 9 aprile (18) Di Cesare Bertolotti «La Provincia» pubblicò 15 articoli dal 22 luglio al 28 ottobre (19) G. FORNASINI, Commemorazione funebre, in «La Sentinella Bresciana», 7 maggio 1883, pubblicata anche in In memoria di Roberto Venturi, Brescia,
18 fondo [ ] ormai accettata come indiscutibile segno di progresso dal fior fiore della cittadinanza e dai migliori pubblicisti non è medesimamente accettata dal grosso pubblico?» Al grande pubblico italiano rimproverava di andare in solluchero davanti ai soggetti leziosi, al bozzettismo manierato, e di «torcere il viso o per lo meno curarsi assai poco di un bel pezzo di vero, rude e possente, che dia una nota forte e originale e robusta, e costringa a pensare». Il suo ideale era dunque quello di un arte realistica e impegnata che veniva individuata in Francia, con scelte che forse oggi non condivideremmo, nei soggetti popolari e quotidiani di Courbet, negli esotismi truculenti di Henry Regnault, nel lavoro nei campi di Jules Breton, nelle scene di vita paesana e rurale di Jules Bastien-Lepage. Citava inoltre, per la pittura di storia, la rappresentazione scrupolosa della vita militare di Meissonier lodando la piccola tela, oggi al Museo d Orsay, che raffigura La campagna di Francia 1814, «perché nessun pittore antico seppe con egual verità esprimere e que cavalli, dalle cui nari per la faticosa ritirata vedi uscire a larghe ondate la vita, e il dispetto, lo sconforto, la stanchezza de componenti il seguito del vinto conquistatore»; Meissonier gli serviva inoltre per difendere l uso da parte dei pittori del processo fotografico che consentiva di cogliere al volo gesti e movimenti istantanei: «è opinione del volgo falsa che la fotografia uccida la pittura: alla quale neppure i ritratti essa rapì. Li rapì ai pittori mediocri, non ai valenti, non all arte». Tra gli italiani parlava di Michetti, per il quale aveva mostrato entusiasmo già in occasione della mostra di Napoli del 1877, dove era stato esposto Una processione del Corpus Domini: «Michetti! Egli è un mago, uno stregone. Il suo quadro è un mistero, è una fantasmagoria. Al primo vederlo fa pensare ad un sogno; vi passate una mano sugli occhi. Credete di vedere, Dio sa, che buggerio. Noti che non c è ombra di tutto ciò che è prammatica per pretendere un buon quadro. Non effetto di chiaroscuro, non ombre portate, mancanza di piani; ma c è una trovata tanto originale, un colore tanto raffinatamente fine, una stramberia tanto pittorica da far ricordare o per meglio dire dimenticare le più belle cose del compianto Fortuny» 20. Ricordava Domenico Morelli, che fu tra i primi da noi ad utilizzare modelli realistici all interno di quadri di soggetto storico, Bernardo Celentano, ammirando il suo I dieci che si recano al Consiglio, Federico Faruffini, un artista con cui ebbe molta affinità 21. In conclusione, auspicando che l Italia potesse (20) R. VENTURI, L esposizione artistica, in «La Sentinella Bresciana», 29 aprile (21) Lo sottolineano in occasione della Mostra della pittura bresciana dell Ottocento, nel 1934, Enrico Somarè: «Il suo temperamento ha qualche analogia col temperamento di Federico Faruffini: vi si nota una foga e una fierezza similari, un impeto corrispondente, la stessa inclinazione a rompere il chiaroscuro con una bella botta di colore» (E. SOMARÈ, La mostra della pittura bresciana dell Ottocento, in «Brescia», a. VI, aprile 1934, p. 15) e Gior- 17
19 riprendere nell arte il posto che le spettava, Venturi confidava in un progetto di stampo riformista: «ristaurata la pubblica ricchezza, dato maggiore svolgimento alla istruzione letteraria e alla critica artistica, abolite le tasse sulle pinacoteche e sui musei, assodato l ordinamento politico e allontanati i pericoli delle perturbazioni sociali, rese frequenti le pubbliche mostre, si potrà indirizzare il popolo a quel maggior gusto dell arte ch esso già palesò nell epoca di Pericle in Grecia e nel millecinquecento in Italia». Era il suo testamento spirituale. Di lì a poche settimane, il 5 maggio 1883, la tisi pose fine alla sua breve vita. Roberto Venturi era stato sulla scena dell arte per un quindicennio appena. Troppo poco forse per esprimere appieno le sue potenzialità, ma non per lasciarci il segno forte del suo valore ed il sogno di un arte colta e popolare, moderna e vera. gio Nicodemi, che parla di Venturi: «intento a ricercare le interpretazioni della tecnica moderna nel quadro storico con uno spirito affine a quello di Faruffini» (G. NICODEMI, La pittura bresciana dell Ottocento, in «Emporium», vol. 80, n. 475, 1934, p. 39). 18
20 BIOGRAFIA Luigi Capretti Roberto Venturi nacque a Milano il 25 aprile 1846 dal bresciano Gaetano e dalla comasca Carolina Faroni. Il padre, di benestante famiglia borghese, ad altro ramo della quale appartennero personaggi di un certo rilievo (come il naturalista Carlo Antonio, mecenate dell Istituto Musicale che prese il suo nome), si era trasferito a Milano per motivi di lavoro, probabilmente intorno al 1840, e là morì nel A Brescia comunque la famiglia conservava casa, parentela e amicizie. Il figlio Roberto rimase, sia come uomo che come artista, diviso a metà tra Milano e Brescia. A Milano visse fino a 29 anni. Là ebbe luogo interamente la sua formazione artistica: ebbe modo di frequentare l Accademia di Brera 2 precocemente e per lunghi anni e di completare gli studi nel 1870 sotto la guida del professor Giuseppe Bertini, rinomato interprete della pittura di soggetto storico, che continuò a seguirlo anche negli anni successivi. Ebbe come compagni di corsi il bresciano Bortolo Schermini ( ) e il gardesano Andrea Fossati ( ). Negli Roberto Venturi con gli amici Manziana (1871) stessi anni a Brera studiavano Modesto Faustini e Achille Glisenti, con i quali restò legato da uno strano rapporto in cui si alternarono reciproca stima, gelosia, collaborazione, elogi e critiche maligne. Lungo tutti gli anni di studio (dal 1863 al 1874) espose nelle annuali mostre di Brera 3, riportando diversi premi, a cominciare dalla medaglia di rame del 1863 per lo Studio del portico che cinge il Lazzaretto. Come allievo dell Accademia partecipò al concorso triennale bandito nell anno 1870, sviluppando il tema assegnato: Giovanni Bellini, fingendosi un nobile veneto, si fa ritrarre dal pittore Antonello da Messina onde potere così scoprire la nuova maniera di dipingere ad olio, che quell artista aveva appreso da Giovanni da Bruges. Il saggio eseguito gli valse il premio di lire; inoltre gli fu (1) Comune di Brescia, Anagrafe Storica. (2) Accademia di Brera, Registri di iscrizione. (3) M.P.[ENOCCHIO], Roberto Venturi in Verso l arte. Artisti bresciani a Brera nell 800 (a cura di R. FERRARI, S. IACOBELLI, M. PENOCCHIO), Brescia, 2009, pp
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