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1 L'Osteoporosi (prima parte) L Osteoporosi è una progressiva malattia dello scheletro caratterizzata da una riduzione della massa ossea e da un deterioramento della struttura microarchitettonica dell osso, con aumentata fragilità ed un conseguente aumentato rischio di fratture. Nel 1991 l OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha posto l osteoporosi fra le malattie sociali al pari di altre patologie quali il diabete, le malattie cardiovascolari ed il cancro. Dati riferiti alla fine degli anni 90 mostrano che negli Stati Uniti vi sono circa 25 milioni di soggetti affetti da osteoporosi, ed ogni anno questa malattia causa almeno fratture, delle quali più di tre quarti sono da schiacciamento vertebrale o del collo del femore. Tali dati assumono un rilievo ancor maggiore se si tiene in considerazione che nell anziano la mortalità da fratture femorali si aggira intorno al 15-20% dei casi. In Italia ogni anno si verificano almeno fratture del femore in soggetti al di sopra di 50 anni, e, di queste, circa l 80% interessa soggetti di sesso femminile. Questo dato diventa ancor più significativo quando rapportato ai 700 miliardi l anno necessari per l assistenza sanitaria di questi pazienti, cifra destinata ad aumentare di pari passo con l aumento della popolazione anziana. Per meglio comprendere i fenomeni che conducono all osteoporosi, richiameremo alcuni brevi concetti di anatomia e fisiologia dell osso; All esame macroscopico si possono distinguere nell osso due differenti aspetti che ne costituiscono la struttura di primo ordine: l osso compatto e l osso spugnoso. L osso compatto o corticale si trova nelle diafisi delle ossa lunghe, sulla superficie delle epifisi delle ossa lunghe e sulla superficie delle ossa brevi e di quelle piatte. L osso spugnoso o trabecolare si mostra in forma di trabecole che circoscrivono piccole cavità e si dispongono secondo determinate linee di forza in modo da conferire all osso maggiore resistenza laddove esso deve subire compressioni o trazioni e si trova nelle metafisi delle ossa lunghe e tra le superfici corticali delle ossa piatte (per es. pelvi) e delle ossa corte (per es. vertebre). Componenti del tessuto osseo: La componente extracellulare dell osso è formata dalla matrice organica (detta tessuto osteoide) e dalla fase minerale ossea. La matrice organica è costituita per il 90% da collagene, una proteina che conferisce una grande resistenza alla tensione e per il restante 10% da mucopolisaccaridi, altre proteine non collageniche, peptidi e lipidi. La fase minerale ossea consiste di cristalli di idrossiapatite e di fosfato di calcio amorfo, oltre ad altri ioni. Le ossa contengono il 99% del calcio corporeo, l 88% del fosfato inorganico, il 50% del magnesio, il 35% del sodio ed il 9% dell acqua. La componente cellulare è costituita da diversi tipi di cellule tra cui i più importanti sono gli osteoblasti che sono elementi osteoformativi e gli osteoclasti deputati alla distruzione dell osso. Infatti il tessuto osseo è ben lungi dall essere una struttura statica ed inerte, come la sua funzione di sostegno potrebbe far pensare, ma piuttosto è sottoposto ad una continua attività di rimodellamento lungo tutto l arco della vita. Durante le fasi dell accrescimento scheletrico i processi di sintesi ossea prevalgono su quelli osteolitici per poi progressivamente equilibrarsi all età di anni, età in cui si raggiunge il cosidetto picco di massa ossea. Dai 40 anni in poi l attività osteoclastica inizia progressivamente a superare quella osteoblastica, portando ad una lenta riduzione del patrimonio osseo di ciascun individuo, favorendo quindi l insorgenza dell osteoporosi. L omeostasi di questo processo è mantenuta da un complesso sistema endocrino che vede coinvolti diversi ormoni e lo stesso calcio. Il paratormone, secreto dalle paratiroidi è un ormone ipercalcemico, che viene secreto ogni qualvolta si abbia un abbassamento della calcemia al fine di ripristinare i livelli ematici del calcio. Tale effetto si esplica a livello renale, favorendo il riassorbimento del calcio a livello dei tubuli renali ed a livello osseo, promuovendo l attivazione degli osteoclasti e quindi la rimozione del calcio dall osso; la calcitonina, secreta dalle cellule parafollicolari della tiroide, contrasta l azione del paratormone, riducendo i processi demolitivi dell osso, inibendo l attività degli osteoclasti; la Vitamina D, introdotta con la dieta e attivata nella cute dalla irradiazione solare, svolge un importante ruolo a livello intestinale promuovendo la sintesi di una proteina che lega il calcio favorendone l assorbimento; gli estrogeni, inibiscono l attività osteoclastica; gli androgeni favoriscono la formazione della matrice proteica; i glucocorticoidi (ormoni

2 surrenalici) hanno un azione depressiva sulla formazione dell osso; inibiscono la maturazione degli osteoblasti, inibiscono l assorbimento intestinale del calcio antagonizzando l azione della vitamina D, e stimolano la secrezione del PTH; gli ormoni tiroidei aumentano sia il riassorbimento che la costruzione di tessuto osseo, ma il risultato finale è una decalcificazione; l insulina promuove la captazione degli aminoacidi a livello delle cellule ossee e stimola la sintesi del collagene osseo. Alla luce di quanto detto finora, si comprende come qualunque patologia comporti una alterazione endocrina che coinvolge i suddetti ormoni possa essere una causa di osteoporosi, ma la forma più frequente è certamente la osteoporosi post-menopausale dovuta alla carenza di estrogeni. Il quadro clinico dell osteoporosi è dominato dal dolore che quasi esclusivamente localizzato al rachide, è presente in altre sedi solo in rapporto ad un evento fratturativo. Il dolore, che gioca un ruolo non indifferente sulla qualità della vita della paziente, è la conseguenza della stimolazione meccanica o chimica dei nocicettori presenti nel tessuto osseo, nei vasi, nei dischi intervertebrali, nelle faccette e nelle capsule articolari e nei legamenti, nonchè della stimolazione dei tessuti molli e dei muscoli viciniori che vanno incontro a contrattura dolorosa secondaria. Il dolore è per lo più localizzato a livello dorso-lombare e si accentua con la posizione eretta prolungata, mentre si riduce con il riposo a letto. Esso è generalmente sordo, continuo, rendendo difficile non solo l esecuzione di esercizi fisici, ma anche di semplici atti di vita quotidiana. Nei casi molto gravi, il ripetersi di microfratture vertebrali, generalmente molto dolorose, provoca un atteggiamento cifotico dorso-lombare che produce un calo staturale e che può arrivare a compromettere la funzione cardio respiratoria della paziente. Le fratture sono dovute alla riduzione della massa ossea, colpiscono prevalentemente il collo del femore e la colonna; come ricordavamo prima, il 20% delle fratture del collo del femore, porta nell anziano a morte entro il primo anno dalla frattura; ed inoltre più del 50% di coloro che sopravvivono non riescono a ritornare ad una condizione di autosufficienza. Accanto ai quadri sintomatici, vanno però ricordati tutti i quadri subclinici che non sono necessariamente meno gravi. Fortunatamente, comunque la massa ossea può facilmente essere misurata con mezzi diagnostici appropriati (basti pensare alla M.O.C.) e può essere preservata ed addirittura incrementata con opportune strategie terapeutiche L'Osteoporosi (seconda parte) La diagnostica La misurazione della massa ossea svolge un ruolo essenziale nella valutazione clinica del paziente osteoporotico, in quanto può fornire la migliore stima del rischio futuro di frattura, oltre ad essere uno strumento di monitoraggio terapeutico. Le nuove metodologie introdotte negli ultimi anni hanno notevolmente migliorato l'approccio diagnostico all'osteoporosi ed hanno consentito di ottenere una definizione quantitativa della massa e della densità ossea assai migliore rispetto alla diagnostica radiologica tradizionale che non di rado fornisce, per la sua scarsa accuratezza, indicazioni non del tutto corrette; esse permettono anche di stimare la probabilità del rischio assoluto di frattura determinando il contenuto minerale scheletrico a vari livelli ed in particolare nelle sedi considerate a maggiore rischio di frattura (collo femorale, colonna lombare, polso). Densitometria ossea Fra i differenti tipi di strumentazione disponibili, quelli che utilizzano la tecnica DXA sono considerati quelli dotati di un migliore rapporto costo/benefici in quanto non sono gravati da rilevanti costi di gestione e presentano una variabilità analitica assai contenuta. Per quanto attiene alle sedi da esaminare, le valutazioni a livello lombare in pazienti di età inferiore ai 65 anni ed a livello femorale o dell'avambraccio dopo tale età sono quelle che, a causa della maggiore incidenza di fratture tipiche da osteoporosi in quelle sedi, possono fornire le maggiori informazioni di ordine clinico. La scansione "Total Body" è considerata di minore utilità nella valutazione del rischio di frattura, mentre può risultare utile per valutare le rare forme di osteoporosi localizzata. Numerose tecniche possono essere utilizzate per valutare la massa ossea, mentre la densità reale, intesa come rapporto fra massa e volume, può essere misurata solo dalla

3 TC; le altre metodologie, in considerazione delle loro caratteristiche strutturali, forniscono un dato di densità "convenzionale", ricavato cioè dal rapporto fra la massa e l'area del segmento scheletrico esaminato: esse sono tuttavia in grado di determinare il contenuto minerale di tutto lo scheletro o dei segmenti ritenuti di maggiore interesse clinico in quanto a maggiore rischio di frattura. Nella scelta della tecnica e della strumentazione è infine di fondamentale importanza privilegiare quelle dotate di alta accuratezza e precisione: l'accuratezza, definibile come la capacità di una tecnica di fornire misure il più possibile corrispondenti al vero, è essenziale per diagnosticare correttamente l'osteoporosi e per definire il rischio futuro di frattura, mentre la precisione, intesa come la capacità di riprodurre il dato sul medesimo campione, assume particolare importanza negli studi di follow-up la Densitometria viene oggi usualmente praticata ricorrendo alla tecnica DXA (Dual X Ray absorptiometry) oppure alla tecnica QCT (Quantitative Computed Tomography): entrambe utilizzano i raggi X, ma si fondano su principi fisici differenti. La DXA è fondamentalmente in grado di fornire due distinti dati numerici: Il contenuto minerale osseo (BMC) che può essere considerato un indice ponderale (espresso in grammi) del segmento osseo sottoposto a scansione: esso è certamente un dato assai riproducibile, ma presenta uno scarso valore diagnostico; la densità minerale ossea (BMD), che esprime (in gr/cm2) il rapporto fra la massa e l'area del segmento osseo esaminato. È di fatto un indice di densità ed è considerata la misura più utile dal punto di vista diagnostico. Sul piano pratico la tecnica DXA è unanimemente considerata quella dotata del migliore rapporto costo/benefici in quanto presenta un contenuto costo di esercizio ed un coefficiente di variazione assai soddisfacente (in vitro del % ed in vivo del 1-1.5%); espone infine il paziente ad un'esposizione radiologica assai contenuta (da 1 a 5 usv). Per quanto riguarda l'interpretazione e l'attribuzione del significato clinico ai dati forniti dalla densitometria, si è convenzionalmente definita a priori una soglia di frattura al di sotto della quale si collocano i livelli di BMD che comprendono la maggior parte dei pazienti con fratture osteoporotiche. Questa soglia è stata stabilita, limitatamente al periodo postmenopausale, a livello di 2.5 deviazioni standard al di sotto della media del range di riferimento dei giovani adulti. Secondo i criteri suggeriti dall'organizzazione Mondiale della Sanità, la diagnosi di osteoporosi si basa sulla valutazione della densitometria ossea raffrontata a quella media di donne adulte sane (Picco di massa ossea) espressa in deviazioni standard (SD) rispetto al picco medio di massa ossea (Tscore) o in relazione al valore medio di soggetti di pari età e sesso (Z-score). È stato osservato che il rischio di frattura inizia ad aumentare in maniera esponenziale con valori densitometrici di T-score < -2.5 SD, che secondo la WHO rappresenta la soglia per diagnosticare la presenza di osteoporosi. Densitometria ad ultrasuoni L uso di ultrasuoni rappresenta una tecnica recentemente proposta per la valutazione della massa scheletrica. Gli ultrasuoni sono vibrazioni meccaniche che si propagano attraverso i materiali. Attraverso il tessuto osseo, che è molto denso, è consentito solo il passaggio di onde a bassa frequenza ( MHz per le misurazioni al calcagno e 1.25 MHz per le misurazioni alle falangi). La trasmissione degli ultrasuoni attraverso una struttura porosa come l'osso non dipende solo dalle proprietà del materiale, ma anche dalla sua struttura di tipo spugnoso e dall'architettura. La peculiarità delle tecniche ad ultrasuoni è rappresentata dalla capacità di fornire indicazioni di tipo qualitativo sul segmento osseo esaminato, laddove la densitometria ossea fornisce solamente informazioni quantitative. È noto come il rischio di frattura osteoporotica sia legato non solo alla densità, ma altresì alla fragilità e ad alterazioni architetturali dell'osso. Quasi tutti gli attuali apparecchi ad ultrasuoni non forniscono immagini della regione analizzata, bensì parametri numerici ricavati dall'interazione tra il fascio ultrasonoro e l'osso in esame. I parametri misurabili sono la velocità con cui l'onda ultrasonora attraversa l'osso (Speed Of Sound, SOS) e l'attenuazione degli ultrasuoni attraverso l'osso (Broadband Ultrasound Attenuation, BUA espressa in db/mhz).

4 I vantaggi della tecnica ad ultrasuoni comprendono l assenza di radiazioni, il basso costo e la trasportabilità dell apparecchio, oltre a dare informazioni quantitative e qualitative sull osso. Gli svantaggi risiedono nella limitazione delle sedi esaminabili (Calcagno, falangi, rotula) ed alla scarsità di dati relativi all accuratezza diagnostica. Tomografia assiale computerizzata (TAC) In confronto con le tecniche densitometriche, la TAC consente la valutazione separata dell osso corticale e di quello trasecolare. Tale tecnica, pur fornendo importanti contributi alla comprensione della fisiopatologia dell osteoporosi è limitata nella pratica clinica per la necessità di strumenti molto sofisticati e di alto costo e per l esposizione del paziente a dosi elevate di radiazioni. La diagnosi di laboratorio Anche se piuttosto raramente, possono essere presenti, in un paziente con osteoporosi, importanti modificazioni dei più comuni parametri di laboratorio: pertanto una valutazione biochimica può fornire utili informazioni per identificare le non infrequenti forme di osteoporosi secondaria (Iperparatiroidismo, Ipertiroidismo, Ipercorticosurrenalismo, Malassorbimento intestinale, Insufficienza renale cronica, Cirrosi biliare primitiva, Mieloma, ecc.) e soprattutto per valutare la risposta ad un trattamento farmacologico. In considerazione della loro ampia variabilità analitica, gli esami di laboratorio sono di scarsa utilità per definire il rischio di fratture o per la scelta di un trattamento specifico.gli esami di primo livello che devono sempre effettuati sono quegli esami che mirati ad escludere le più comuni cause di osteoporosi secondarie quali: l'iperparatiroidismo, la malnutrizione proteico-calorica da varie cause e altre patologie dello scheletro che non vengono differenziate all'esame densitometrico o coesistono con l'osteoporosi come: l'osteomalacia, il mieloma multiplo e, talora, il Morbo di Paget osseo. Questa prima valutazione comprende: calcemia e fosforemia; esame emocromocitometrico; quadro proteico elletroforetico (QPE); dosaggio della fosfatasi alcalina totale (ALP). A questi esami va aggiunta, già in prima battuta, una valutazione ormonale nei pazienti di sesso maschile nei quali andrebbe dosata la quota di Testosterone libero. Inoltre nelle donne in pre-menopausa, se presente rilievo anamnestico di periodi di amenorrea, andrebbero dosati i livelli di 17bEstradiolo ed i livelli di ormoni tiroidei; infatti tra le cause di osteoporosi secondaria di tipo endocrino vanno annoverate le osteoporosi in corso di ipogonadismo e di ipertiroidismo.per quanto riguarda gli esami di "secondo livello", cioè i markers disponibili per la valutazione del turnover scheletrico questi possono essere suddivisi in: markers di neoformazione: valutano l'entità della deposizione della matrice ossea attraverso la quantificazione dell'attività osteoblastica e il dosaggio di componenti della matrice ossea che vengono rilasciati in circolo durante tale fase: Fosfatasi alcalina isoenzima osseo (BAP), Osteocalcina (OC), Propeptide aminoterminale del collagene di tipo I (PINP), Propeptide carbossiterminale del collagene di tipo I (PICP) markers di riassorbimento: valutano l'entità del riassorbimento della matrice ossea attraverso la quantificazione dell'attività osteoclastica e il dosaggio di componenti della matrice ossea che vengono rilasciati in circolo durante tale fase: Fosfatasi acida tartrato resistente (TRAP), Telopeptide carbossiterminale del collagene di tipo I (ICTP),Piridinolina e deossipiridinolina Oltre ai suddetti markers che possono essere dosabili su siero, esistono markers markers dosabili nell urina urina, quali Idrossiprolina libera e totale (Pyd). In generale l'uso clinico dei markers sembra, per ora, limitato al follow-up del paziente in terapia con agenti potenti quali bisfosfonati ed estrogeni per valutarne l'efficacia e/o la compliance del paziente. Anche nell'ambito del follow-up, tuttavia, la validità del loro impiego è piuttosto controversa sia per quanto riguarda la loro effettiva utilità nel singolo, sia per quanto riguarda quale marker usare ed a quale intervallo di tempo effettuare i dosaggi. Dr. Salvo Mazzarino Tremestieri Medicina Catania Piazza Nettuno 16 Roma Villa Borghese Institute Via S. Mercadante, 16

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