LUCIANA CAPRETTI, TEVERE
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- Mauro Neri
- 8 anni fa
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1 LUCIANA CAPRETTI, TEVERE Clara ha un taglio lungo e sottile sulla guancia, ma ha un taglio molto più profondo dentro, una ferita che ha radici ancestrali e lo sguardo torvo del destino. L ultima delle sue piaghe, anche se non la peggiore, è un marito che la tradisce, proprio lui che poteva essere la sua ultima possibilità di redenzione e che invece non c è mai, né per lei né per i figli, e quando c è, non si accorge di nulla. Si erano amati alla fine della guerra, quando Roma era in fase di ricostruzione, si girava in bicicletta o in tram, i film erano in bianco e nero e la gente pensava a colori. Forse è anche per questo che, per raccontare la storia di Clara, Luciana Capretti sceglie di intitolare i capitoli con una scansione cromatica: il nero evidenzia l infanzia fascista, il bianco il vuoto della vita adulta e il giallo i contorni del mistero, perché a tanta disperazione si aggiunge un mistero: Clara è sparita, ha lasciato dietro di sé solo un biglietto che dice: Perdonatemi, 50 anni bastano, mi troverete nel Tevere, però sulle rive del fiume ci sono i suoi documenti assurdamente asciutti dopo una notte di pioggia e il corpo non si trova. Bianco, giallo e nero. Sono i colori del buio di Clara, che i figli, Giovanni e Virginia, fanno l impossibile per rischiarare. Virginia le chiede di raccontare di quando era piccola, e quando Clara le chiede perché le piaccia tanto quel racconto, la figlia risponde: perché allora ridevi. E Giovanni fa tenerezza, quando si nasconde dietro un filo d erba e dice: mamma, non vogliamo sapere, vogliamo solo indietro la nostra famiglia. Clara sa che non è possibile, certe storie sono segnate dal principio, hanno la parola fine già nei titoli di testa, senza conforti evangelici né colpi di scena da fiaba antica. No, in questo terribile e bellissimo romanzo non c è ombra favolistica, anzi, la storia di Clara è tutta vera. Nessuna finzione. Anche per questo Luciana Capretti dà vita a un commissario che rimane sempre sullo sfondo e non diventa mai protagonista, come accade solitamente nei gialli. Come a dire: in questo libro niente e nessuno può togliere spazio a chi ne ha avuto così poco in vita. Ecco perché Tevere è un romanzo di dolore sì, ma soprattutto di restituzione.
2 IL CORPO UMANO, PAOLO GIORDANO C è un recinto di sabbia esposto alle avversità nel deserto del Gulistan, dove molti andranno a morire. C è un plotone di ragazzi e uomini e donne comandato dal maresciallo Antonio René. Ci sono soldati in missione, tutti nudi davanti a qualcosa, perché in Afghanistan azione fa sempre rima con privazione, i codici sono basici ma le lacerazioni altissime. Alessandro Egitto è la piramide che tiene insieme il vertice e la base di questo romanzo: è un tenente medico che riassume tutta la forza e le debolezze dei soldati, che vivono una guerra una volta tanto non metafisica (perché non c è, come in molti romanzi, una netta distinzione tra il bene e il male), ma strisciante: non è un caso che lo scherzo più crudele abbia a che vedere con un serpente. Ogni cosa, ogni persona, ogni elemento striscia e sì infila, dentro qualcosa o dentro la metafora: strisciano la paura e l odore dei corpi quando sono attaccati in troppo poco spazio, strisciano la cattiveria gratuita e la frustrazione, striscia Irene nel letto di Egitto, strisciano al telefono la risata di Agnese che fa rabbrividire Cederna e la vergogna di Ietri nel dire la verità a sua madre; striscia anche il senso della vita, che si infila però dalla parte sbagliata, e per questo ci sono straordinari dialoghi a riassumere tutto, quello tra il colonnello Ballesio e Irene e quelli tra i soldati sopravvissuti e lo psicologo Finizio, uno che puzza di compromesso e di piscio. Quello che succede dopo la maledetta spedizione li cambierà per sempre, quel giorno diventa la linea di ombra che separa la giovinezza dalla maturità e che convince tutti a prendere in mano i propri anni, anche a costo di sentirne troppo il peso sulle spalle. E forse non è un caso che il simbolo di questo passaggio sia un altalena improvvisata tra due camion, che appare come un sogno nella base americana, e Giulia Zampieri ci sale sopra per tornare indietro anche solo per un secondo, illudendosi che sia ancora una bambina nel suo giardino e non una soldatessa nell aria stagnante, tiepida e nera. Non solo: mentre fuori è inferno e i nemici sparano e sparano e sparano, Ietri ricorda la notte in cui suo padre lo svegliò per portarlo a vedere le stoppie del grano bruciare, prima di andare a morire per salvare Torsu, in un collegamento ancestrale che unisce l infanzia alla morte, la prima luce all ultimo buio. Paolo Giordano porta alla luce un rimosso che molti hanno dentro, quello dell irrisolto familiare e lo fa nel modo più crudo e al tempo stesso poetico, ambientando il conflitto personale all interno di un contesto bellico, dove anche le preghiere sono diverse: Proteggi la mia famiglia. Proteggi mia madre, soprattutto lei. Proteggi i miei compagni, perché sono bravi ragazzi. A volte dicono cose stupide e volgari, ma sono buoni, tutti quanti. Proteggili dalla sofferenza. E proteggi anche me. Proteggimi dai kalashnikov, dai mortai, dagli ordigni improvvisati, dagli shrapnel e dalle granate. Se devo proprio morire, però, meglio una bomba, una carica grossa, fa che io salti su una bomba e non senta dolore. Ti prego, non lasciarmi ferito, senza una gamba o una mano. E non farmi ustionare, non sul viso, almeno. Morto sì, ma non sfigurato a vita. te ne prego, ti scongiuro.
3 MICHELE MARI, RODERICK DUDDLE In questo romanzo che sembra un Monopoli, ci sono milioni di imprevisti e probabilità, accanto a una sola certezza: un orfano che potrebbe ereditare un immensa fortuna. Il percorso narrativo è inverso rispetto a quello del thriller, dove da una massa complicata si estraggono via via i fili giusti che consentono di semplificare e arrivare alla soluzione. Qui, invece, la trama si complica a ogni paragrafo con progressione geometrica, secondo i modi accumulativi tipici del romanzo d appendice. Sembra quasi che l autore, invece di preoccuparsi del sovraccarico narrativo, si sia comportato come il protagonista del libro, che, dopo essersi allontanato per la prima volta dall Oca Rossa, aveva deciso di affidarsi alla direzione del primo gabbiano che avesse visto. A complicare deliziosamente il tutto ci sono personaggi che cambiano abito, o che assumono nomi che già appartengono ad altri o che svelano improvvisamente aspetti nascosti e imprevedibili, come Jones il cattivo, che nel corso della narrazione diventa quasi candido e puro. Spesso i nomi raccontano i personaggi prima ancora del loro ingresso in scena: aiutano l identificazione, il carattere, la tempra, persino il destino. Li senti soffiare sulla storia, senti l aria che si muove attorno a loro quando camminano. C è un altro esercizio che il lettore può compiere ed è identificare i numi tutelari, le fonti, al di là degli evidentissimi richiami a Dickens nella prima parte e a Stevenson nella seconda. Ma dentro ci sono, almeno così a me pare, anche il Conrad del Tifone e lo Steinbeck di Uomini e topi, Cormack MacCarthy e Diderot, persino il Manzoni della Monaca di Monza e il Jules Renard di Pel di carota. E chissà quant altro ancora. Rodderick Duddle (che a me sembra più un romanzo di informazione che uno di formazione) è esattamente come il devil stick dei marinai della Rebecca: un bastoncino di carne secca che non puoi mordere sennò ti spezzi un dente; va succhiato fino a quando si smolla. Ma quando accade, il gusto è buonissimo.
4 PAOLA MASTROCOLA, NON SO NIENTE DI TE Anche se non sembra, questa è una doppia storia. Da un lato c è quella di Fil, un ragazzo di assoluto talento e di fascino mesmerico, che lascia tutto, ma proprio tutto quando decide che l unica cosa che conta nella vita è vivere il suo tempo, cullarlo, respirarlo, seguirlo con il battito del cuore anche solo per osservare un calabrone in una biblioteca; quando decide che anche di lato si vede bene, anzi, si vede meglio, a patto che sia stato tu a scegliere il punto giusto da cui guardare un po come succede a sua zia Giuliana, a metà tra Don Chisciotte e la Bella Addormentata, che sceglie di lavorare in una biblioteca, lei che avrebbe potuto fare qualsiasi cosa, solo per il panorama che si può gustare dal suo gabbiotto, perché l ha scelto lei, quel panorama. Dall altro lato c è la storia dei genitori di Fil, che non capiscono, che pretendono che il loro figlio li continui, li completi, che non solo erediti il testimone ma che corra con le stesse magliette, gli stessi pantaloncini, per arrivare allo stesso traguardo, perché sono genuinamente convinti che sia naturale agire così, perché tutto è fatto per il bene del figlio, ma chi può stabilire qual è il bene di qualcuno se non la persona stessa? Tra questi due lati scorre un romanzo meraviglioso, che commuove e muove alla risata, che fa riflettere e a volte ferma il respiro e ti spinge a chiudere il libro, per lasciar respirare i fogli o forse solo per lasciar respirare meglio te. Dentro a questo scorrere ci sono personaggi indimenticabili come Malmecca che pesca le foglie, ci sono 168 pecore che in apparenza invadono un college ma che in realtà hanno impedito ad altri di invadere la vita di Fil. C è un personaggio apparentemente secondario ma che secondario non è: il Duca che illumina i lato oscuri della vita, perché se non vediamo è perché non abbiamo occhi buoni, come quando vediamo solo la luna a metà, ma mica significa che si sia dimezzata. Dentro Non so niente di te c è soprattutto la corrente della vita che cerca di portarti al largo e noi che proviamo a trovare un riparo. Ma prima di trovarlo, è importante decidere che vogliamo trovarlo.
5 CLAUDIO PAGLIERI, L ENIGMA DI LEONARDO Il commissario Luciani è alto due metri ed è magro come un filo d erba, anche se non ha la consistenza lieve delle foglie. Ecco perché, quando arriva una cesta con dentro un bambino e un biglietto dove gli si dice che è suo dovere prendersi cura di lui, non ci pensa due volte e diventa padre o, almeno, qualcosa che ci assomiglia. È anoressico di carne e sentimenti, non ama il cibo e ha paura di buttarsi in amore, forse perché, quando l amore è arrivato, non si è fermato mai abbastanza; forse perché i baci delle sue donne sanno sempre di fragola e caffè e rimpianto. Il commissario Luciani ha un caso strano da risolvere, con morti in serie e un disegno che sembra portarsi dietro una dannazione: chi lo tocca muore. La trama è avvincente, le indagini appassionanti, i colpi di scena numerosi, ma la bellezza del libro non è solo nella strada che corre verso la soluzione. È nella commedia umana che abita le pagine. Claudio Paglieri non ha solo scritto un libro come fosse un film, con un testo già pronto alla trasposizione, facendoci dunque vedere i personaggi come li avessimo inventati noi; Paglieri li ama i suoi personaggi, li tratteggia con quella benevolenza che accoglie tutti, alla De Andrè, perché se non sono gigli son pur sempre figli, vittime di questo mondo. C è una carezza anche per chi sbaglia, un pugno anche per chi non deraglia mai, perché questa in fondo è la vita, dolcetto o scherzetto. Ci sono Fiammetta e Sofia, così diverse e così uguali; Maria Antonietta Calabrò e l ispettore suo marito, così diversi e così uguali a molte coppie che conosciamo. C è Donna Patrizia, che ritaglia annunci mortuari con i nomi più strani e li mette in un bel quaderno dalla copertina nera. Ci sono il conte Guinigi e la sua serva polacca, gli ultras del calcio e i vicoli di Genova. C è l ombra del passato che a tratti avanza e bussa alle porte. Ci sono risate e pudori molto liguri. Tutti camminano su illusioni fragilissime, tutti sanno che basterebbe anche solo il suono di un unica parola sbagliata a farle deragliare. Arrivi alla fine delle 400 pagine con la voglia di leggere ancora e ti chiedi: perché finisce così presto?
6 ANTONIO PASCALE, LE ATTENUANTI SENTIMENTALI In questo romanzo deliziosamente labirintico o se non altro a incastri, conviene dare almeno un punto fermo, una minima istruzione per l uso. Ed è l incipit: Antonio Pascale, protagonista che ha lo stesso nome del suo autore, per fuggire l insonnia si compra una bicicletta, convinto che questo lo aiuti in molti campi: nelle riflessioni filosofiche quotidiane, a scrivere un romanzo, a portare a termine un documentario, in sintesi a farlo sentire meno mancato, lui che è, nell ordine: un musicista mancato, un giocatore di basket mancato, un romanziere mancato. Non è una storia classica con inizio svolgimento e fine. Stavolta tre atti non bastano. La trama di questo libro è come l insonnia quando piove: non pesa, o pesa di meno. Quello che conta sono le fughe di pensiero di Antonio. Quello che conta è non cadere nell errore di leggere d un fiato oppure trattare le parole allo stesso modo. Quello che fa la differenza, in questo romanzo, sono le sfumature, le nuances. Il lettore deve diventare parte attiva, scegliere dal buffet le portate giuste. L ironia stempera la drammaticità dei grandi temi e, anche se è un paradosso dirlo, il caos esistenziale del protagonista costruisce un ordine diverso, superbamente alternativo, al nostro pensiero. Antonio non riesce a stabilire delle priorità, si illude che la bicicletta possa dargli una visuale diversa, almeno parziale, invece no: la bicicletta scompagina ulteriormente. Forse è come dice Barbara: non ci provi abbastanza. E forse il personaggio-chiave del libro è l anonimo motociclista che grida ad Antonio: Oh, deciditi, dove vuoi stare?. Questo è il problema di Antonio: scegliere dove stare. Crede di saperlo, ma poi, come tutte le persone intelligenti e anche un po dissociate, si lascia conquistare dai dubbi, anzi, ci si butta dentro lui stesso, così, per portarsi avanti. Urla come un ossesso anche quando ha ragione e dunque, come dice Marianna, la ragione con conta nulla se ti comporti come un isterico. Antonio è un po così, sveglia sua figlia per farle vedere un documentario sulla raccolta delle olive o costringe il figlio a leggere un improbabile articolo sui broccoli, arriva a Termini alle 5 per prendere un treno per Fiumicino, dove ha un aereo che parte alle Un giorno che deve fare il relatore, sbaglia sala e finisce per parlare di dolore a un convegno sulle ristrutturazioni civili nelle città di origini medievali. È, insomma, un personaggio così assurdo da essere incredibilmente vero e da rappresentare, in fondo, ognuno di noi. Tra intrusioni di Milan Kundera e lampi di Cechov, tic assortiti e momenti di irresistibile comicità, tra molteplici nevrosi e assecondabili follie, sesso sempre solo sfiorato e citazioni di grande musica (da Nina Simone ai Portishead), Antonio Pascale porta il suo alter ego a spasso per le nostre vite. La conclusione, dopo tanto vagare? Che c è sempre una buca, prima o poi. Anche se non vai in bicicletta.
7 FRANCESCO PECORARO, LA VITA IN TEMPO DI PACE Ivo Brandani è un uomo dalla formazione doppia: umanistica e tecnica. E anche se rifiuta la sola ombra di ipotesi di essere considerato un filosofo, perché si considera a tutti gli effetti un ingegnere, ha la capacità di vedere la realtà con le lenti giuste, di cogliere l essenza profonda del quotidiano, la bellezza del mondo articolato e non un solo strato, non un solo abito. Ivo Brandani ha 69 anni ed è fermo in un aeroporto, il luogo più asettico del mondo, un non-luogo, una parentesi quadra sistemata a metà fra il punto di partenza, nel caso specifico l Egitto, e quello d arrivo, nel nostro caso Roma, l Italia. Due luoghi forse non scelti a caso, perché rappresentano la Storia e la loro parziale decadenza, la grandezza inarrivabile del passato e l incertezza totale del presente. Ivo Brandani, perennemente perseguitato dal senso di una possibile catastrofe ma incapace di evitarla, comincia a ricordare, nell illusione che ricostruire il suo passato possa essere davvero un ri-costruire, costruire di nuovo, da capo. Guarda fuori dalla finestra, dove tutto è polvere, proprio come le nostre vite, e parla a se stesso, lui che da anni non dice più quello che pensa, perché sarebbero solo insulti e violenza. In questo vagare a ritroso, rivede non solo gli anni dell università e quelli dell amore, un incredibile viaggio in barca con il suo capo e una donna che è di tutti e di nessuno. Rivede la follia dell uomo che distrugge il pianeta ma poi si affanna per museificarlo, per metterlo in teca, quando sarebbe bastato proteggerlo. Lo struggente dolore che ti coglie quando ti guardi allo specchio e vedi non il tuo riflesso, ma quello di tuo padre. La rivelazione, sconcertante per uno come lui cresciuto in tempo di pace nei racconti della Seconda guerra mondiale, che le guerre non finiscono mai, al massimo si cambiano nome e divisa, e vengono combattute senza arrivare mai a un vincitore, a una conquista, a un trionfo assoluto. O forse sì, solo che a noi non è dato rendercene conto. Finché può, Ivo Brandani vive e ricorda tutto, fino all ultimo respiro. In tutti i sensi.
8 MARCO POLILLO, IL CONVENTO SULL ISOLA La tradizione è quella anglosassone, il giallo è quello a enigma dove, prima di notare quel che c è ti accorgi di cosa manca: non ci sono toni cruenti e sangue come piovesse, tecnologie avanzate di ricerca del colpevole, adesioni alla malavita organizzata e metropoli dove ci si può perdere. C è invece un luogo piccolo, nel caso specifico un isola con un convento che regola i silenzi e dove, per trovare l assassino, conta ancora quello che dice la gente, non solo quello che la gente fa. C è un commissario troppo aperto alla bontà e 70 suore troppo chiuse a tutto, anche alla giustizia degli uomini. C è un quadro che appare e riappare e giornate dove tutto può accadere. La trama accarezza volti e caratteri quasi scolpiti dal vento, in un percorso dove il numero ricorrente è il 2: 2 i morti, 2 le donne che si contendono Enea, 2 gli uomini che vorrebbero Giulia, 2 i membri maschi della famiglia Zilloni al centro delle chiacchiere di paese, persino dietro Emma Zilloni si nascondono le intenzioni e i voleri di Ottavia, come se lei fosse anche un altra persona. Tutto è doppio, in un modo o nell altro. Normale, forse, in un luogo dove è l acqua a muovere i destini, l acqua che riflette e raddoppia ogni cosa, anche le strade di chi pensava di aver perso l amore per sempre e adesso lo ritrova, anche se il finale lascia un residuo di dubbio, anche qui la verità non è una. Marco Polillo non cede alla tentazione d onnipotenza del giallista che si agita da gran burattinaio. Qui sembra persino che a volte i personaggi si muovano di mano propria, in quel margine di libertà consentito da chi sa scrivere e da chi, dunque, non ha l ansia di governare ogni cosa. Per questo il lettore, prima ancora che scoprire il colpevole non vede l ora di sapere come vanno a finire i destini degli uomini e delle donne che vivono all ombra del convento sull isola.
9 HANS TUZZI, MORTE DI UN MAGNATE AMERICANO Lui ha proiettili al posto degli occhi, baffi come manubri, intelligenza acuta come un angolo, spregiudicatezza da antico condottiero. Lui è raffinato nei gusti, vorace in certi appetiti, non si limita a fumare i sigari prodotti all Avana appositamente per lui: li massacra e avrà certo mille segreti, ma l unico che lascia trapelare, almeno agli occhi fidati, è una collezione di libri erotici dissimulata nel suo studio. Lui è stato Re del Mondo, amato e odiato, ma capace di accogliere odio e amore alla stessa maniera fedele al vecchio detto egizio che dice: I sassi si tirano alla palma colma di datteri, non alla palma sterile. Lui è JP Morgan, l uomo che ha creato la più potente rete di banche mai esistita, uno degli uomini più ricchi al mondo, geniale finanziere e collezionista d arte e del bello. La sua storia è raccontata a due voci. La prima è quella del suo segretario, figura storicamente verosimile ma inventata dall autore, che scrive da una stanza della suite reale del Grand Hotel di Roma e prova a ricostruire la grandezza del magnate. La seconda è quella dello stesso JP, sul letto di morte, a pochi giorni dal grande passo. Morgan sa che la fine è vicina e si abbandona ai ricordi. Nel crollo progressivo del suo corpo rievoca i tempi in cui i suoi anni stavano tutti nelle sue piccole mani, quando gli oggetti importanti erano quaderni di carta pesante, quando non c erano i migliori ristoranti del mondo, ma meravigliose frittelle di grano. E poi, le donne come fiumi carsici attraverso il deserto degli anni, le collezioni di libri che ha accumulato senza leggere, perché c è sublime bellezza anche nella forma, non solo nella sostanza. I libri, la sua ossessione, consentono a Tuzzi una straordinaria definizione, da gustare e mettere nel cassetto per i giorni di pioggia: I libri sono come la luna, non come il sole: non brillano di luce propria, bensì della luce riflessa di un astro più grande. In questo lirico sognare, in bilico estremo tra vita e morte, JP non ha rimorsi e coltiva un solo rimpianto: non morire come Astor e Guggenheim sul Titanic, in abito da sera, in piedi sul ponte, finché fu possibile rimanere in piedi. O come Moore e Ryerson, anche loro sul Titanic, che, una volta appurato che le scialuppe di salvataggio erano finite, si sedettero tranquilli al tavolo da gioco, per un ultima partita a carte. Morgan arriva all appuntamento non in piedi né seduto. È l unica grazia non concessa dalla vita a uno che ha avuto tutto, anche il gusto di ricordare prima di svanire.
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