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- Leonora Giuliani
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2 I edizione: maggio Sara Blædel 2012 Fazi Editore srl Via Isonzo 42, Roma Tutti i diritti riservati Titolo originale: Aldrig mere fri Traduzione dal danese di Bruno Berni ISBN
3 Sara Blædel Mai più libera traduzione di Bruno Berni
4 Per Adam
5 La donna giaceva coricata sulla schiena, con le braccia allargate e la testa piegata sulla spalla. La gola era attraversata da un lungo squarcio dritto e il sangue aveva intriso i capelli biondi che si allargavano in una massa vischiosa sopra il lato sinistro del busto. L ispettrice di polizia Louise Rick si drizzò e fece un respiro profondo. Ci si abituava mai a tutto questo? In qualche modo sperava di no. Una pesante oscurità avvolgeva Kødbyen, il mercato della carne. Erano quasi le due di notte e la domenica stava diventando lunedì mattina. L aria notturna di aprile incombeva umida su Vesterbro, anche se la pioggia della sera precedente era cessata. Il lampeggiatore della polizia e lo sbarramento verso Skelbækgade avevano spaventato la maggior parte delle persone, ma alcuni curiosi stavano ancora lì a chiacchierare sommessamente seguendo il lavoro degli agenti. Sul gradino davanti allo Høker Café un ubriacone solitario non si preoccupava affatto del massiccio spiegamento di forze. Continuava a cantare, lanciando qualche grido quando qualcuno passava. Le ragazze che in genere passeggiavano in quella strada non si vedevano da nessuna parte. Dovevano essersi spostate sul 7
6 Sønder Boulevard o dietro l angolo di Ingerslevgade. I grandi proiettori della Scientifica gettavano la loro luce fredda che creava contrasti netti nell oscurità. Come prima cosa avevano passato il nastro sulla superficie del cadavere per assicurarsi ogni fibra o capello, poi con dei batuffoli di ovatta appena inumiditi raccoglievano DNA. Il medico legale Flemming Larsen si voltò verso Louise e il capo della Omicidi Hans Suhr. «Il taglio è di circa venti centimetri e ha lasciato una grossa ferita aperta di traverso sul collo. È profondo, ha un bordo irregolare che dimostra che il coltello è stato passato sul collo rapidamente, una sola volta». Si tolse i guanti di gomma e la mascherina, fece un cenno col capo ai tecnici per fargli capire che aveva finito e potevano continuare le ricerche intorno alla donna uccisa. «Non ci sono altri segni di violenza, perciò è stata una cosa rapida. Non si è neanche resa conto di cosa stesse accadendo, perché non ci sono lesioni da difesa sulle mani e sulle braccia. Scommetterei che è accaduto nelle ultime tre ore», disse. «Sei in grado di dirmi qualcosa sull identità?», chiese Louise. Non avevano trovato documenti sulla donna. «Non credi che si tratti di una prostituta?». Il medico legale si soffermò sulla corta gonna di cotone e sul top attillato, poi aggiunse che in considerazione del mediocre stato dei denti dubitava che si trattasse di una danese. «Sicuramente non è una congettura sbagliata», ammise il capo della Omicidi facendo un passo indietro per far spazio ai tecnici della Scientifica. Ora la luce sotto la quale aveva lavorato il medico legale fu spostata, per cercare tracce in tutta l area del cortile. Louise si accovacciò di nuovo accanto alla donna. 8
7 La ferita al collo era profonda, arrivava fino alle vertebre. Al buio le era difficile distinguere i lineamenti, ma era chiaro che era giovane, forse intorno ai vent anni. Percepì dei passi alle sue spalle, ma non fece in tempo ad alzarsi che il collega Michael Stig si era piazzato dietro di lei appoggiandole le mani sulle spalle. Si chinò in avanti e osservò il cadavere. «Puttana dell Europa dell Est», valutò rapidamente, mentre lei si staccava da lui in modo da potersi alzare. «Cosa te lo fa credere?», gli domandò, allontanandosi di un passo per interrompere l intimità con cui l aveva avvolta. «Il trucco. Si truccano ancora come facevano le danesi negli anni Ottanta. Troppo trucco e troppo pesante. Cosa abbiamo su di lei?», chiese infilandosi le mani nelle tasche degli ampi jeans. Louise percepì l odore di capelli appena lavati e del deodorante. Dormiva da appena un ora quando il capo della Omicidi aveva telefonato svegliandola. Era uscita dall appartamento di Frederiksberg ed era arrivata sul luogo del delitto in venti minuti. Dopo cinque anni come detective nella Omicidi aveva ormai una certa pratica, quando arrivavano le telefonate notturne. «Niente», rispose brevemente. «Il commissariato City ha ricevuto una chiamata anonima riguardo a una donna morta fra i banchi dei macellai dietro la scuola alberghiera. Poi hanno riattaccato». «Perciò era una persona che conosceva bene la parte meno elegante di Copenaghen», constatò il collega. «In altre parole, uno che frequenta questi luoghi quotidianamente». Lei sollevò un sopracciglio, e lui le spiegò cosa intendeva: «Solo quelli che conoscono a fondo la zona 9
8 sanno distinguere le varie aree del mercato della carne, i banchi dei macellai, quelli dei salumieri ecc.». Evidentemente sei anche tu uno di quelli, pensò Louise, e si voltò per raggiungere gli altri. Il suo compagno di squadra, Lars Jørgensen, era andato in giro insieme ai colleghi del commissariato City a suonare ai campanelli dei palazzi di Skelbækgade le cui finestre davano sul mercato della carne. Un altra squadra si occupava delle persone che erano nella strada e in quelle vicine. Anche se la chiamata era stata ricevuta dal City, ovvero l ex commissariato 1 di Halmtorvet, il caso era stato passato rapidamente alla Omicidi della Centrale di polizia di Copenaghen, e Suhr aveva deciso di chiamare alcuni dei suoi in modo che fossero coinvolti fin dall inizio. Ma aveva risparmiato Toft, che quel fine settimana era stato alle nozze d argento della sorella nello Jutland. Il capo pensava che fosse meglio lasciarlo dormire dopo i festeggiamenti. «Nessuno sa dire niente», comunicò Lars Jørgensen. «O forse non hanno il coraggio di parlare. Ed è strano che nessuno sia stato nelle vicinanze di Skelbækgade per tutta la giornata. Nemmeno quelli che Mikkelsen ha visto con i suoi occhi ieri sera». Scosse la testa sbadigliando. Mikkelsen era il collega del commissariato di Halmtorvet con maggiore esperienza di quanto accadeva fra prostitute, spacciatori e drogati intorno al quartiere di Istedgade. Era un uomo basso e tarchiato sopra i cinquant anni, e per tutto il tempo trascorso in polizia aveva lavorato a Vesterbro, con un intervallo di tre anni all antisommossa, dopo i quali aveva fatto domanda per tornare alla sua occupazione e al suo ufficio. «E il tipo laggiù sui gradini?», chiese Louise. «Quello non ha visto altro che il fondo dell ultima 10
9 bottiglia che ha svuotato», le rispose il collega, ripetendo la frase un attimo dopo, quando il capo gli fece la stessa domanda. «Va bene, nessuno vuole dire niente, in questo quartiere le cose vanno sempre come al solito», disse Suhr dopo aver fatto cenno anche a Michael Stig di avvicinarsi. «Per noi in questo momento non c è altro da fare. Mikkelsen e i suoi continuano a interrogare in giro, ma dubito che riusciremo a far parlare qualcuno stanotte. Se uno degli habitué ha visto qualcosa, sappiamo per esperienza che ci vorrà tempo prima che parli, perciò andiamo un po a dormire. Ricominciamo domattina presto». «E Willumsen?», chiese Louise mentre andavano verso le macchine. Si stupì di non avere ancora visto il capo dell ufficio indagini. «Lo coinvolgerò domattina», disse il capo della Omicidi con un sorriso storto. «Può essere un vantaggio lasciarlo dormire stanotte». Louise annuì. Avevano provato tutti cosa voleva dire Willumsen che scendeva dal letto col piede sbagliato e contagiava ciascuno di loro col suo cattivo umore. Quando, dopo quattro ore di sonno, si alzò, Louise aveva mal di gola e si sentiva il corpo pesante. Si era svegliata più volte con l immagine della ragazza sconosciuta negli occhi. Perché era stata uccisa in quel modo? La profonda ferita alla gola era indice di un aggressione, ma lei non aveva combattuto per la vita, perché non aveva fatto in tempo a percepire l arrivo l assassino alle sue spalle. I pensieri affioravano e si ammassavano mentre si sovrapponevano le immagini del luogo del delitto. Continuava a vedere le facciate basse e bianche del mercato della carne nel buio, dove ma- 11
10 cellai e grossisti di alimentari attiravano gente solo durante il giorno. Andò in cucina, mise su l acqua per il tè e si diresse verso la doccia. Rimase sotto il getto caldo così a lungo che il bagno si riempì di vapore prima che si sentisse pronta a uscire. Poi crollò sulla sedia della cucina col bicchiere del tè fra le mani. L ultima cosa che aveva detto il capo della squadra Omicidi prima che si separassero era che alle nove ci sarebbe stata una riunione sul caso. Il reparto aveva ritrovato la tranquillità dopo che la grande riforma della polizia aveva scosso con forza la Centrale di Copenaghen. Erano state eliminate la sezione A, ovvero la squadra Omicidi, e la C, che si occupava delle indagini sulle rapine. Adesso erano state accorpate, molte carte erano state mescolate, delle distinzioni erano state cancellate e alcuni dei detective più esperti erano stati spostati altrove. Non c era più spazio per tutti i vicecommissari che dirigevano i vari uffici e Louise aveva perduto Henny Heilmann, che si era vista offrire il posto di capo dell ufficio centrale per le indagini e ora stava al servizio radio e spostava le auto di pattuglia. Louise sapeva che ci aveva messo un po di tempo a farsi andare giù quell incarico. Andò in camera da letto e dall armadio tolse un maglione pesante. Era tentata di prendere l autobus sulla Gammel Kongevej, ma all ultimo momento si fece forza e decise di andare in bicicletta. Il traffico mattutino sulla pista ciclabile era intenso, ma all incrocio con la H.C. Ørstedsvej si mise nella corsia di sorpasso e spinse sui pedali, col casco abbassato sugli occhi per proteggerli dalla forte luce primaverile che spuntava all improvviso dagli squarci tra le nuvole gonfie di pioggia. 12
11 «Lasciate che il commissariato City vada avanti con gli interrogatori nel quartiere, soprattutto nelle strade delle prostitute, dove passano i clienti. Noi intanto ci concentriamo sull identificazione della donna e sulle tracce della Scientifica. C è un limite alle energie che hai intenzione di impegnare su questo caso?». Il commissario Willumsen rivolse a Suhr uno sguardo interrogativo. Il capo della Omicidi la tirò un po per le lunghe e Louise fece ondeggiare indietro la sedia, appoggiandosi alla parete. Ormai era passato un anno da quando Suhr aveva messo Willumsen a capo delle indagini del gruppo di cui faceva parte anche lei. Era odiato da molti per il suo atteggiamento arrogante e sfacciato. Se ne fregava di tutti quelli che aveva intorno, anche dei superiori e dei colleghi, ma in fondo quell uomo le piaceva. Era stato Willumsen a insegnarle a suo tempo che si diceva: sì, no o vaffanculo. Messaggi chiari, senza giri di parole. Hai capito o non hai capito, oppure non te ne frega niente di quello che ti sto dicendo. Ma era stato sempre lui che qualche anno prima l aveva mandata a un corso del gruppo mediatori della polizia. Suhr fece un passo indietro e si appoggiò alla parete, come se raccogliesse le forze per rispondere al colpo. «Avrai le risorse che saranno necessarie. In questo momento si tratta dei quattro detective del tuo gruppo: Rick e Jørgensen, Toft e Michael Stig. Più l assistenza che abbiamo già da Mikkelsen e dai suoi di Halmtorvet». Dopo aver fatto la sua comunicazione, il capo della Omicidi mise giù il braccio. Willumsen aveva abbassato lo sguardo fissandosi l unghia del pollice destro. La pulì accuratamente con la punta della matita, ma sembrava riflettere su come 13
12 disporre al meglio dei suoi uomini. Infine gettò via la matita e decise che Toft e Michael Stig avrebbero tenuto i contatti con la Scientifica, per essere al corrente di quanto veniva scoperto, e avrebbero assistito anche all autopsia della sconosciuta. Poi spostò lo sguardo su Louise e il suo collega. «Voi andate da Mikkelsen e vi concentrate sull ambiente», decise, e chiuse la riunione. 14
13 La sveglia aveva suonato alle sei e mezzo. Durante la notte e nelle prime ore del mattino era piovuto parecchio, perciò Camilla Lind decise di saltare la corsa, che sarebbe stata la prima di un nuovo programma di allenamento che aveva in progetto di iniziare. Preferì invece andare alla piscina di Frederiksberg, a due strade da casa sua. Avrebbe fatto almeno venti vasche e un po di sauna, e in quel modo sperava di liberarsi del fine settimana, che si era concluso con un po troppi mojito e troppo poco sonno. Suo figlio era stato col padre da giovedì a domenica e poi era andato direttamente a casa di un compagno, dove avrebbe dormito. Lunedì mattina la classe doveva fare una gita al Frilandsmuseet e gli alunni si sarebbero incontrati alla stazione di Nørreport alle dieci, visto però che il padre del compagno era un pastore e comunque stava a casa, le aveva assicurato che si sarebbe preso la responsabilità di mandare tutti e due i ragazzini all ora giusta. Lunedì alle dieci, infatti, lei sarebbe stata alla riunione settimanale della redazione di cronaca nera del «Morgenavisen». Camilla tirò fuori il costume e l asciugamano. Non le capitava spesso di andare in piscina, ma quel giorno le sue ambizioni sportive dovevano trovare uno sfogo. 15
14 Era patetico pensare a quante volte aveva cominciato ed era sempre finita con un buco nell acqua e con un gran senso di colpa, tanto che alla fine doveva ammettere di non averne proprio voglia. La redazione di nera era vuota quando, due ore dopo, aprì la porta del suo ufficio con le guance rosse e la voglia di affrontare quella nuova settimana di lavoro. Trenta vasche e una sauna l avevano riempita di nuova energia. Mancava un ora all inizio della riunione e il suo blocchetto delle idee era vuoto. A causa dell appuntamento di quel sabato un certo Kristian, che solo domenica le aveva annunciato di aver promesso di andare a prendere la sua ragazza che tornava da un viaggio a Londra con le amiche Camilla aveva trascurato completamente le notizie del fine settimana e non aveva letto i giornali né visto la televisione per due giorni. Lo aveva incontrato per caso da Magasin. Erano stati in classe insieme alle elementari, ma non lo aveva riconosciuto quando l aveva afferrata in fondo alla scala mobile. Solo dopo che aveva cominciato a elencarle gli altri compagni di classe, qualcosa si era illuminato. Si era scoperto che abitava anche lui a Frederiksberg, e lei aveva accettato quando le aveva chiesto di cenare insieme al Belis Bar sabato sera. Dopo un paio di grossi drink erano finiti a casa di lei, ma il giorno dopo era stata contenta quando le aveva detto che doveva andare via. Camilla accese il suo computer e uscì per mettere su il caffè. Raccolse il mucchio di giornali che era stato gettato sul pavimento fuori dalla porta della modesta sala meeting della redazione. Avrebbe fatto in tempo a sfogliarli prima della riunione, ed entrò anche nel sito dell agenzia stampa Ritzau per vedere se avevano 16
15 materiale di cronaca nera del fine settimana. Una grande rissa con qualche coltellata ad Ålborg e un violento incidente stradale in Fionia con tre vittime, annotò sul blocchetto mentre sentiva una porta che si apriva e fece un cenno col capo allo stagista della redazione che le lanciò un saluto. Continuò a cercare, poi scorse rapidamente gli altri giornali online e controllò Danmarks Radio e TV2, ma c era poco, niente che andasse bene per la prima pagina. Camilla prese il telefono e guardò l orologio. Si erano fatte le nove e un quarto e il caporedattore, Terkel Høyer, fece un cenno con la testa passando davanti alla sua stanza. Lei si alzò e chiuse la porta, poi telefonò a un paio dei commissariati più grandi per sentire cosa avevano nei rapporti quotidiani del fine settimana. «Allora, cosa abbiamo?», esordì Terkel Høyer quando Camilla e il suo collega, Ole Kvist, si furono seduti insieme a Jakob lo stagista, che offrì loro le girelle alla cannella che aveva comprato. Era la sua ultima settimana in redazione prima di tornare alla scuola di giornalismo. Camilla abbassò gli occhi su una delle storie che aveva sul blocchetto, la rissa e l incidente stradale li aveva scartati. Kvist sfogliava i ritagli che aveva davanti. Il suo collega aveva preso l abitudine di passare alla redazione centrale ogni lunedì mattina, prima di salire al secondo piano dove si trovava la cronaca nera: laggiù erano abbonati a tutti i piccoli quotidiani del paese, dai quali ritagliava rapidamente tutto il materiale rilevante, e solo al momento di esporre le proposte alla riunione valutava di cosa valesse la pena occuparsi. Sembrava sempre tanto materiale, anche se al massimo ne venivano fuori un paio di notizie, perché quando ar- 17
16 rivavano alle pagine di nera del «Morgenavisen» non potevano essere più considerate novità. «C è una banda di ladri di opere d arte, nella zona di Silkeborg». Kvist lesse il primo ritaglio, fece una pausa e guardò con la coda dell occhio il caporedattore, per vedere se l argomento destava il suo interesse. «Sembra che vadano in cerca di quadri costosi. Nel fine settimana, in una villa hanno rubato un grosso Per Kirkeby e altri due dipinti di un artista norvegese dello stesso valore. La polizia stima che solo lì siano state trafugate opere d arte per diversi milioni. E ci sono stati parecchi furti simili negli ultimi due mesi». La sua voce si faceva più decisa man mano che si scaldava nel racconto. «Ma non è una cosa per noi», azzardò Camilla. «È una storia già avviata». «Ci sarebbe qualcosa se potessimo contribuire a catturare la banda amplificandone l eco», replicò lui appellandosi con lo sguardo a Terkel Høyer. «Da quale giornale l hai presa?», chiese il caporedattore allungando la mano per avere il ritaglio. «Dal Midtjyske, perciò di sicuro non è ancora passata a nessuno dei giornali più grandi», rispose Kvist proponendo di fare qualche telefonata in giro. Camilla staccò un pezzo di girella. In quella storia non c era niente, finché la polizia non avesse trovato i ladri, ma non si sarebbe stupita Se Terkel avesse permesso a Kvist di starsene seduto a girare intorno a quella storia senza combinare niente. «È lì che abitano tutti i commercianti di auto, con le case che danno sui laghi di Silkeborg e abbastanza soldi per potersi permettere quei quadri alle pareti», ricordò Kvist. «Perciò i ladri non avranno difficoltà a 18
17 trovare gli indirizzi e tenerli d occhio quando quelli vanno a una festa dai vicini. E allora non devono fare altro che agire». Camilla indirizzò un pensiero ai poliziotti che si occupavano del caso. Chissà se avevano pensato anche loro la stessa cosa. «Be, dagli uno sguardo», disse Terkel interrompendo i suoi pensieri. «Hai altro?». Kvist scosse la testa e spinse i restanti ritagli sotto la storia che era passata. Terkel guardò Camilla, che si pulì rapidamente la bocca. «Lind, tu cos hai?», le chiese il capo. «Un omicidio. Una giovane donna è stata uccisa stanotte a Vesterbro». Terkel Høyer sollevò un sopracciglio con interesse. «Non c è ancora molto da raccontare. Una chiamata anonima alla polizia. L hanno trovata a Skelbækgade, da qualche parte nei dintorni della scuola alberghiera». «Perciò è una puttana», la interruppe Kvist, appoggiandosi alla spalliera. Camilla lo ignorò. «Le hanno tagliato la gola e Suhr ha messo una squadra sul caso. Ancora non l hanno identificata, ma ufficiosamente dicono che sia dell Europa dell Est». «Di quelle ormai ce ne sono parecchie», disse il suo collega e propose al caporedattore di andare a Silkeborg per parlare con qualche vittima dei furti milionari. «Io vorrei andare avanti con questa storia». Camilla alzò la voce nel tentativo di conservare l attenzione del suo capo. «Non aveva più di vent anni». Il caporedattore rimase un po in silenzio mentre annuiva e rifletteva. «Scrivimi due colonne». 19
18 «Sembra si sia trattato di una brutale esecuzione», continuò Camilla, frustrata perché il suo capo pensava che la storia non valesse di più. «Potrebbe diventare una cosa grossa, soprattutto se non abbiamo altro». «Ma abbiamo altro», esclamò Kvist dall altra parte del tavolo, e Terkel Høyer sembrava d accordo. «Vado a telefonare al medico legale che ha fatto l autopsia stanotte. Se è stata liquidata». Camilla fu interrotta dagli squilli del suo cellulare. Voleva spegnerlo per continuare a convincere il capo ed evitare che la storia fosse soppiantata dai furti d arte, ma quando vide che era suo figlio Markus si allontanò dal tavolo e lo pregò di essere rapido. Intanto teneva lo sguardo su Terkel che stava chiedendo a Jakob se aveva qualche proposta per il giornale. «Che bambino?», chiese lei, pregando il figlio di parlare un po più forte. «In chiesa quando siete usciti per andare a Nørreport?». Camilla si rese conto di essere brusca, ma le parole di Markus continuavano a incespicare, così fece un profondo respiro e gli chiese di ripetere tutto con calma. Sentì che Kvist aveva nuovamente tirato fuori la storia dei furti d arte, ma si voltò verso la parete e si concentrò ad ascoltare il figlio. Solo allora si rese conto di quanto fosse sottile la sua voce e di quanto sembrasse scosso. Lo lasciò parlare finché non ebbe finito. «Arrivo subito», disse e chiuse il telefono. Gli altri avevano colto il suo cambiamento e la guardarono incuriositi quando rivolse di nuovo l attenzione al tavolo delle riunioni. «Devo andare. Mio figlio e il suo amico hanno trovato un neonato abbandonato sul pavimento della Stenhøj Kirke». 20
19 Giunta sulla Gothersgade, Camilla agitò il braccio per fermare un taxi. I primi tre erano occupati e tirarono dritti, così cominciò a trotterellare lungo il parco di Kongens Have verso Nørreport, mentre teneva d occhio la strada. «Stenhøj Allé», disse nel momento in cui un taxi con l insegna accesa accostò al marciapiede e la fece salire. Quando partirono in direzione di Frederiksberg il traffico del mattino era diminuito, ma le sembrava comunque che andasse a rilento. Sapeva che avrebbe dovuto sfruttare il tempo per chiamare l Istituto di Medicina legale e trovare il medico che quella notte era andato a Skelbækgade, ma non riusciva a concentrarsi, con l adrenalina che pompava nelle vene. Era partita subito, quando aveva percepito l agitazione di Markus. Immaginava il suo volto chiaro, i capelli corti e ispidi, sistemati ogni giorno con la gelatina. Si era fatto grande, con i suoi undici anni, ma non tanto da non telefonare alla mamma se gli succedeva qualcosa che lo turbava. Quando arrivarono alla chiesa era pronta col portafogli in grembo. «Doveva dirmelo all inizio della corsa che avrebbe 21
20 pagato con la carta», disse l autista e la guardò irritato dallo specchietto quando gliela porse. «Vuole o no i soldi?», chiese lei, raccogliendo la borsa dal pavimento. Un attimo dopo era scesa e camminava lungo il muro della chiesa, quando fu superata da una macchina della polizia che si infilò nel parcheggio accanto al cimitero. Camilla continuò per il viottolo sul retro ed entrò nel cortile davanti alla canonica, dove fu accolta sulla porta della cucina dal pastore, Henrik Holm, che aveva in braccio un piccolo fagotto. Markus si alzò di scatto da una sedia e le andò incontro, seguito a ruota dall amico, Jonas, che la salutò con quella voce un po roca che a suo figlio sembrava così interessante. Il pastore cercò di calmarli, appena cominciarono a raccontare che quella mattina, mentre stavano uscendo, avevano sentito il pianto di un bimbo. La loro spiegazione infervorata fu interrotta dal campanello della porta. I ragazzini si precipitarono fuori dalla cucina diretti all ingresso principale per andare incontro alla polizia. «Cosa è successo?», chiese Camilla una volta rimasta sola col pastore, che era ancora seduto e cullava il fagotto con movimenti lenti e calmi. «Ho mandato via i bambini un po prima delle nove e mezzo e sono rimasto a osservarli mentre attraversavano il cortile. Improvvisamente si sono fermati, poi hanno cominciato a correre verso la chiesa. Io sono uscito per dirgli di andare, se non volevano arrivare tardi alla gita, ma in quell istante si sono precipitati fuori dalla chiesa gridando che per terra c era un bambino che piangeva». Camilla si chinò sul piccolo fra le braccia del pastore. Un volto minuscolo che dormiva tranquillo, i capelli scuri e folti, ma sporchi e incollati alla testa. 22
21 «Maschio o femmina?», chiese. «È una femminuccia», rispose lui e guardò verso il soggiorno, perché in quel momento si sentirono dei passi sul pavimento di legno della canonica. «Metto su un po d acqua per il caffè mentre tu accogli la polizia», propose lei e salutò i due agenti che entravano. «Buongiorno», disse loro il pastore in un sussurro. «Si è appena addormentata, ha pianto ininterrottamente da quando i ragazzi l hanno trovata». Gli agenti annuirono con tale comprensione che Camilla capì che avevano dei figli e sapevano quanto fosse importante evitare di disturbare quel sonno pacifico. «Dove l avete trovata?», chiese uno dei due voltandosi verso Jonas e Markus, che improvvisamente sembrarono timidi e insicuri. «Nel vestibolo», risposero, e visto che non aggiunsero altro intervenne il pastore. «I bambini stavano andando a scuola quando l hanno sentita», spiegò, e fece un cenno col capo a Camilla che gli chiedeva del caffè indicando uno sportello della credenza. «Era sul pavimento di pietra, proprio all interno della porta, avvolta qui», disse sollevando un po l asciugamano di spugna blu scuro intorno al corpo della neonata. La bambina si mosse inquieta quando l agente cominciò ad aprire il fagotto blu, ma non si svegliò. «Credo sia sfinita per aver pianto tanto», disse il pastore. Poi raccontò che era riuscito a calmarla solo quando gli era tornato in mente come calmava Jonas, tanti anni prima, carezzandogli le guance in piccoli cerchi. «Ha molta fame, ma si è tranquillizzata quando è su- 23
22 bentrato il riflesso della suzione, e mi ha succhiato avidamente il mignolo finché non si è addormentata», aggiunse, spostandosi un po indietro per potersi appoggiare la bambina in grembo mentre gli agenti si avvicinavano per guardarla bene. Camilla li seguì. Aveva al massimo un giorno di vita, pensò, forse meno. Sembrava davvero appena nata, era nuda e col lungo cordone ombelicale insanguinato che le pendeva sul fianco, sporco di sangue e grasso fetale. «Comunque non è stata pulita dopo la nascita. Sembra un parto avvenuto in condizioni primitive, senza l aiuto di un ostetrica», constatò uno degli agenti studiando il cordone ombelicale. «Suppongo sia stato strappato. È sfilacciato, perciò non hanno usato coltello né forbici quando è stata separata dalla madre». Guardò il pastore. «Il parto può essere avvenuto in chiesa?», chiese. Henrik Holm scosse la testa, ma allo stesso tempo si strinse nelle spalle. «Naturalmente non sono in grado di dirlo», ammise. «Non c era alcun segno, ma non ho guardato in giro». Camilla mise sul tavolo caffè e tazze ed esitò solo un istante quando l agente le chiese se poteva tenere la bambina finché non fosse arrivata l ambulanza. «Sicuramente non ci vorrà più di qualche minuto, e vorremmo andare in chiesa con lei e i bambini per vedere dove l avete trovata», disse rivolto a Henrik Holm, che avvolse l asciugamano intorno alla piccola per poi sollevarla e adagiarla nelle braccia di Camilla. La porta della cucina si chiuse alle loro spalle e lei si sedette sulla panca. Non aveva il coraggio di versare il caffè mentre teneva in braccio la neonata e restò completamente immobile a osservarla. Sentì qualcosa den- 24
23 tro di sé che si apriva e non fu difficile capire di cosa si trattasse. La fragilità che irradiava dalla piccola era così grande che aveva notato le stesse sensazioni nei due agenti di polizia. Con la mano libera avvicinò la borsa e prese il cellulare. Attivò la funzione di macchina fotografica e fece in tempo a scattare un paio di foto della bambina addormentata, ma quando bussarono alla porta della cucina gettò il telefono nella borsa e gridò: «Avanti». Un attimo dopo entrarono due addetti dell ambulanza e le chiesero se la neonata dormiva ancora. «Andiamo a prendere la culla», disse uno di loro. Camilla annuì e si alzò con cautela. Mentre aspettava che tornassero, strinse a sé la bambina e la sentì respirare con piccoli movimenti calmi. Rimase immobile e lasciò che quella sensazione penetrasse dentro di lei, finché non sentì dei passi in cortile e Henrik Holm rientrò con un agente. Dalla finestra vide che Markus e Jonas erano rimasti accanto all ambulanza a guardare curiosi mentre gli infermieri aprivano il portellone e tiravano fuori la culla. «Cosa succederà ora?», chiese il pastore voltandosi verso l agente. Quando tornarono gli addetti dell ambulanza si spostarono un po, e Henrik Holm fece rapidamente spazio sul tavolo della cucina per consentirgli di posare la culla. Era dello stesso tipo che aveva Markus quando era appena nato, di plastica trasparente, foderata con una spessa coperta bianca e un asciugamano pulito. «Verrà portata al Frederiksberg Hospital dove le daranno da mangiare, poi verrà pulita e visitata», disse l agente. «Dovranno prelevarle dei campioni di sangue per fare un esame del DNA, e dopo sarà tenuta sotto osservazione». 25
24 In cortile era arrivata la Scientifica e l agente spiegò al pastore che avrebbero portato l asciugamano blu al reparto tecnico per esaminarlo meglio, una volta finito l esame dentro e intorno alla chiesa. La culla era pronta e Camilla rivolse un ultimo sguardo alla bambina, poi la consegnò, ma nell istante in cui la lasciò quella ricominciò a piangere. Forte, da strappare il cuore. Il volto della neonata si contraeva e le manine strette a pugno si agitavano. Il giovane dell ambulanza fece un passo indietro spaventato e chiese a Camilla se voleva metterla lei nella culla. «All ospedale si prenderanno cura di lei», aggiunse per tranquillizzarla. Camilla guardò i due ragazzini mentre la culla veniva portata verso l ambulanza. Erano chiaramente impressionati dal pianto violento della piccola e i loro volti cupi seguirono la scena finché l ambulanza non si immise sulla strada. Poi si sedettero tutti intorno al tavolo e Camilla versò il caffè nelle tazze offrendolo in giro, mentre al pastore e ai bambini veniva chiesto di raccontare l accaduto. «Nessuno di voi ha visto o sentito niente questa mattina nei dintorni della chiesa?», esordì l agente. Scossero tutti la testa. «Che ore erano quando è sceso in cucina?», chiese al pastore. «Mi sono alzato alle sette meno un quarto ed ero qui dalle sette per preparare la colazione e le merende», spiegò Henrik Holm indicando col capo il tavolo della cucina. «Dalla finestra si vede la chiesa». L agente annuì. Era già passato davanti alla finestra e aveva constatato che c era una buona visuale sulla chiesa e su tutto il cortile. «I ragazzi dicono che la porta del vestibolo era ac- 26
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