ELISABETTA SGARBI FERDINANDO CITO FILOMARINO GOURMET GHETTO GIOVANNI PALOMBARINI PAUL WELLER RICKIE LEE JONES, L INTERVISTA

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1 ELISABETTA SGARBI FERDINANDO CITO FILOMARINO GOURMET GHETTO GIOVANNI PALOMBARINI PAUL WELLER RICKIE LEE JONES, L INTERVISTA RAFFAELE K. SALINARI FRANKENSTEIN RELOADED

2 (2) ALIAS QUI SORGEVA IL PALAZZO DELLA GESTAPO Il programma «Hotel Metropole. Il futuro della memoria» del festival di Vienna per penetrare nel cuore insanguinato e dolente della città Tempo di ricordare Into the City di ANGELA MAYR VIENNA della tavola Metropole. Seconda generazione, di professione insolita, pastore viandante, unico Arrivato all'aeroporto di Vienna, l'autobus per il centro ti porta dritto al Morzinplatz, lungo il canale del Danubio. Sembra un posto qualunque, solo più indefinito e anonimo, insomma, un non luogo urbano. Non a caso, gradualmente lo scopri «luogo contaminato» così definito e reso visibile dal progetto artistico «Hotel Metropole. Il futuro della memoria» un programma dei Wiener Festwochen (Festival di Vienna), nel filone specifico «Into the city» che si è concluso a fine giugno. Luogo contaminato, da ferocia inimmaginabile: «Qui sorgeva il palazzo della Gestapo, per molti austriaci era l'anticamera dell'inferno» informa un monumento diventato paradigma di controversie sulle omissioni di memoria in Austria. Infatti il primo blocco l'hanno posto le associazioni di deportati nel '51 illegalmente, dopo un'inutile attesa di iniziativa da parte pubblica. Il palazzo del comando della Gestapo, la sede più grande dopo Berlino è sparito, bombardato e distrutto nel '45. Negli anni sessanta, nello spazio vuoto rimasto, è stato costruito un grande palazzo residenziale, cancellando così ogni traccia visibile della storia. Dimenticato anche cosa c'era in quel posto prima della Gestapo. «Volevamo ridare visibilità alle persone e alle cose sparite o marginalizzate, del passato e del presente in questa città, con un progetto artistico sulla cultura della memoria e la politica della storia» spiega Wolfgang Schlag, curatore di Into the city «un progetto aperto, partecipativo, di facile accesso, dove tanti filoni e snodi storici si incontrano». Con quattro settimane di performances, mostre, visite guidate e dibattiti tra artisti, storici, testimoni e discendenti, attivisti e giovani. Partendo da questa piazza, tentando, come voluto dai più recenti approcci storiografici, a «far parlare i luoghi», destinati sempre di più a coprire la funzione dei testimoni diretti. Al centro della piazza è allestito un cartellone gigantesco di Oliver Ressler, dal titolo Sommergere. Ritrae il grande edificio residenziale, ma dalla sua immagine riflessa nell'acqua risorge un bellissimo palazzo, il dimenticato Hotel Metropole. Era stato costruito per l'expo 1873, un grande albergo di lusso, con 460 stanze, molte col telefono, e alta cucina. Chiamato anche il Sacher ebraico per via dei suoi ultimi proprietari. Il 25 marzo 1938, solo 10 giorni dopo l'anschluss, l'annessione dell'austria alla Germania nazista fu requisito su ordine di Himmler e trasformato in comando della Gestapo, la polizia politica nazista. (L'ultima scena di Grand Budapest Hotel si ispira al Metropole, citato nella Novella degli scacchi di Stephan Zweig). «Avevamo giusto 48 ore di tempo per prendere delle cose private nostre e fuggire» racconta Marianne Schulze pronipote di una delle ultime proprietarie dell'albergo, oggi avvocata e attivista per i diritti civili. Ed ecco nel quadro le fughe del presente, il muro della fortezza Europa fiancheggia il palazzo, in cima persone che cercano di scavalcarlo. Come va a finire si vede, nell'acqua che lo inonda galleggia un cadavere a testa in giù. «Ho lasciato l'acqua volutamente indefinita -spiega Ressler, artista che sperimenta forme di resistenza artistica e politica nei luoghi di conflitto, tra Vienna, Atene, Madrid, NewYork e Venezuela per rievocare le torture della Gestapo, quando affondava la testa dei prigionieri in vasche da bagno, e gli immigrati che muoiono nel mediterraneo. Volevo indicare il parallelo, non l'equazione tra le due cose». Viene in mente anche il vicino canale del Danubio, dove migliaia di ebrei cacciati da Vienna si imbarcarano per raggiungere la Palestina, su navi, manche a dirlo, vecchie e scadenti, erranti in gran parte senza possibili approdi. Hotel Metropole. Un pranzo di gala speciale. Ragazzi della vicina scuola alberghiera, in divisa d'epoca mettono in scena una cena con piatti tratti da un menù del Metropole ritrovato, per tre serate. Ospiti testimoni, discendenti, oltre al pubblico. «Non è stato un progetto nostalgico su un albergo, il tema erano i crimini dei nazisti» spiega Martin Krenn artista visivo che ha concepito il progetto tavola da pranzo. «Né si è trattato semplicemente di scovare dei reperti storici e di metterli in scena. L'ambizione è di scrivere in modo nuovo la politica della memoria col supporto dell'arte, questo è il progetto di «Into the city». Certo non si può fare in un unico programma all'interno del festival di Vienna. È l'inizio di una ricerca di approccio nuovo coinvolgendo posizioni artistiche molto avanzate. Mostrano come si può fare una politica della memoria senza che questa diventi solo pathos o una farsa». I suoi modelli artistici? «Discendono dall'esperienza dadaista, il cabaret Voltaire di Zurigo, o la marcia funebre dadaista di Berlino per Rosa Luxenburg». Incontriamo Hans Breuer. 60 anni, tra gli ospiti protagonisti in Austria, attraversa i pascoli cantando canzoni in jiddish, che negli ultimi anni scrive anche, fa dei concerti e cd. Alle spalle un l'album di famiglia fatto di lotte epiche e durissime persecuzioni. La madre Rosa Grossmann Breuer è stata torturata nell'ex albergo centrale di persecuzione. «Sono cresciuto sentendo ogni notte le urla di mia madre che riviveva il terrore delle torture» racconta «cercavo di calmarla, mio padre non reggeva l'impatto». Il padre, ebreo, militante del Vsm (studenti socialisti) illegale durante il regime austrofascista, nel '38 riuscì a fuggire in Italia con l'ultimo trasporto legale, prima che tutte le frontiere si chiudessero. Il nonno ha partecipato all'insurrezione socialista contro il fascismo del '34 finita nel sangue. Dopo divenne comunista, nel '38 deportato in campo di concentramento. Il partito comunista (Kpoe) clandestino organizzò atti di resistenza e sabotaggio e distribuiva materiale di propaganda contro il regime, azioni di alto rischio in gran parte pagate con la vita. La figlia Rosa, madre di Hans, aveva 23 anni quando nel '43 l'arrestarono. Sveniva durante la tortura, «purtroppo però mi risvegliavo» scrive. «Mi portarono in una delle camere di lusso dell'albergo... dietro le tende pesanti spuntavano gli uomini della Gestapo... Mi mettevano nello spazio in mezzo alla porta doppia. Lì sotto i piedi ho riconosciuto i vestiti pieni di sangue di mio padre che sentivo urlare da fuori». Per porre fine alle torture e per non tradire Rosa si gettò dalla finestra del quarto piano, riuscendo miracolosamente a sopravvivere. Dopo la guerra fu saggista e giornalista, direttrice di La Voce della donna. Un giorno, a un incrocio del centro storico Rosa Grossmann Breuer ha riconosciuto uno dei suoi torturatori di allora. Lo ha seguito fino in periferia, davanti alla sua bella villa. Due giorni dopo organizzò una veglia davanti a casa sua insieme a donne exdeportate a Ravensbrueck. «Qui abita un assassino» e «nessuna amnistia per i criminali nazisti» gli striscioni. L'amnistia come è noto ci fu. «Gli assassini sono tra di VIENNA noi», derivato dal film omonimo del '46, è il titolo dell'istallazione che mostra gli assassini nazisti ricercati dal tribunale di Vienna nel '46. Un altra mostra propone un approccio particolare all'archivio di Simon Wiesenthal che aveva il suo ufficio nel palazzo sorto al posto del Metropole. Torniamo a Hans Breuer, sconsolante il clima della società austriaca postbellica che racconta: «A quattro anni chiedevo a casa cosa vuol dire Jud, ebreo. Me lo avevano gridato dietro, col tono poco gentile. A scuola l'insegnante si presentava in classe ogni mattina col saluto hitleriano, e noi dovevamo scattare in piedi. Mi sentivo circondato da un mondo di nemici, così fin da piccolo ho fatto degli esercizi per allenarmi alla lotta partigiana». Bollato diverso e ribelle, nel '68 diventa improvvisamente in, agli occhi dei compagni di classe, ma viene espulso dalla scuola. «Ho scelto di fare il pastore perché non volevo appartenere a questa società» spiega Hans che a tutt'oggi vive in roulotte, con la sua nuova compagna e 2 figli piccoli «Ma non solo per questo, volevo un altra vita, libera e non legata al denaro». E oggi? «Sono molto preoccupato per il nuovo fascismo incombente sull'europa. Voler distruggere le navi di chi vuole fuggire per me è fascismo puro». Nestroyplatz, teatro Hamakon. In scena The white elephant archive di Eduard Freudmann, 35 anni, terza generazione, famiglia ebraica e comunista, è cresciuto «ossessionato» dalla storia della sua famiglia. Ossessione ulteriormente alimentata, racconta da un pacco ricevuto da suo zio, contenente l'archivio di

3 ALIAS (3) sua nonna. Lo spettacolo inizia col pugno chiuso della nonna ritratto sulla copertina di un libro di storia del partito comunista austriaco, proponendo un teatro di documenti. Non manca lo scontro duro a sinistra, tra la nonna e il figlio, e un eredità donata ai palestinesi dell'olp per solidarietà. Il nonno era fuggito in Belgio, raggiunto anche lì dai nazisti nel '42 fu deportato. È sopravvissuto ai campi di sterminio, dove scriveva poesie e testi di teatro. Ha cominciato a scrivere l'esperienza del campo, ma arrivato al punto del momento della selezione, dove perse sua moglie, destinata al gas subito, mentre lui al lavoro, si è bloccato, non scrivendo né parlandone mai più. «Ho impiegato 15 anni per elaborare e fare i conti con questo materiale, tirarlo fuori. Volevo darne una rappresentazione artistica» racconta Eduard. «A lungo ho tenuto tutto per me, non mi sembrava mai il momento giusto per l'ambiente intorno. Da parte mia ero molto scettico, per molto tempo. Durante un soggiorno in Israele mi sono sbloccato, sentivo vicine le persone nel modo di affrontare questo problema, da pari a pari. Alle persone, non alla politica israeliana - precisa - che non condivido. Ora ho trovato un ambiente favorevole anche a Vienna». Piazza dell'albertina, dietro l'opera. Ecco ben visibile il monumento contro il fascismo di Alfred Hrdlicka: Una figura di bronzo mostra l'umiliazione imposta alla popolazione ebraica di Vienna da subito nel 1938: pulire i marciapiedi in ginocchio con uno spazzolino da denti, sotto gli occhi di folle di bravi viennesi che ne godevano, tra risate e insulti. Dovevano cancellare le scritte del precedente regime, con liquidi corrosivi che li veniva anche versato addosso. Il divertimento si chiamava Reibpartien, partite di spazzolata. Di queste crudeltà mancano i colpevoli. Il monumento, costruito nell 88, al culmine del dibattito sul passato nazista dell ex presidente austriaco Kurt Waldheim non li mostra. «Lasciato così il monumento rischiava di riproporre l'umiliazione. L'ho criticato dall'inizio» ci dice Ruth Beckermann, nota cineasta e autrice di libri sulla vita ebraica a Vienna. Da pochi mesi gli aguzzini sono visibili, una grande istallazione video The missing immages integra il monumento, basata su materiali originali prodotta da Beckermann. La abbiamo incontrata al Morzinplatz, dove ha presentato il suo film homemad(e) che racconta il microcosmo del quartiere intorno. Sguardo acuto puntato anche verso il presente: «Non bisogna cadere nell'ossessione della memoria, dice, è preziosa quando si interroga sulle continuità del passato oggi, sulle cose al margine che non vediamo, puntando ogni volta il dito sulle ferite di oggi». La maggiore, che in questo contesto specifico tocca tutti, è la questione dei rifugiati: «Trovo vergognoso che una nazione ricca come l'austria non riesca a sistemare i rifugiati in arrivo come si deve, e li tiene in tende, e che la ministra degli interni abbia sospeso le pratiche d'asilo» accusa Beckermann che loda invece una parte dell Italia: «Sono fortunati i migranti di approdare a Lampedusa. Le guardie costiere italiane salvano ogni giorno migliaia di persone. Non so se gli austriaci lo farebbero, ne dubito. Meriterebbero il premio Nobel per la pace. In realtà anche in Austria c'è della solidarietà: un albergatore ha messo a dispozione gratuitamente un intero hotel, nel Vorarlberg un intero paese compreso il sindaco hanno lottato per impedire l'espulsione di un gruppo di immigrati. Nessuno lo sa, bisognerebbe dare molto più risalto a queste esperienze». INTERVISTA HEIDEMARIE UHL, STORICA Dove la memoria si presenta come cantiere al lavoro di A.M. VIENNA Il confronto col passato nazista in Austria è a tutt'oggi oggetto di controversia, che spesso si accende intorno ai monumenti, presenti o mancanti, o intorno ai nomi di strade e piazze, messi in discussione da gruppi di società civile. «Il mito dell'austria prima vittima del nazismo nel '38 è ormai morto» ci dice Heidemarie Uhl, storica all'accademia delle scienze di Vienna «ma a livello popolare continua l'altra narrazione di vittima, quella legata al 1945, quando Vienna fu liberata dall'armata rossa». A livello di rappresentanza pubblica più ufficiale, la memoria si presenta come cantiere. Lo evidenzia la vicenda dei monumenti nella cripta del Burgtor (porta del castello) in Piazza degli eroi. Da un lato c'è un monumento dedicato alla resistenza, dall'altro uno ai caduti della prima e seconda guerra mondiale. Per il secondo un cartello e un depliant avvisano: rappresentazione ritenuta non più adeguata, perciò in via di ristrutturazione. La Fpoe, di H.C. Strache, successore di J. Haider, partito di estrema destra, ogni anno l'8 maggio depositava al monumento una corona per i caduti della Wehrmacht. Celebrazione molto contestata, dal 2012 è stata vietata. Dal 2013 l'8 maggio si celebra in piazza la fine del nazismo con una festa della gioia. Per parlarne abbiamo incontrato Heidemarie Uhl, che fa parte della commissione incaricata a ridefinire il monumento, e che ha partecipe anche ai dibattiti organizzati dal festival nel suo ufficio all'accademia delle scienze. Quali gli effetti delle rimozioni storiche, e qual è la funzione sociale della memoria? Il confronto col passato nazista in Austria è stato tardivo, avrebbe dovuto creare una cultura politica e un clima che fossero un antidoto contro il razzismo e l'antisemitismo. Significava assumersi delle responsabilità dicendo: questo è stato il worst case, la nostra società si è sviluppata verso un negativo assoluto, e questo worst case va impedito. Dopo il 1945 ogni paese europeo ha affrontato il passato partendo da una prospettiva nazionale, e da quel punto di vista prevaleva lo status di vittima dell'occupazione nazista, che era giustificato nella maggioranza dei casi, in parte anche per l'austria. Poi in tutta l'europa c'è stato un cambiamento dalla prospettiva nazionale verso l'analisi della società e quindi il riconoscimento della responsabilità: questa era la nostra società, quella in cui viviamo ancora e nella quale tutte queste cose sono accadute. Un mutamento di approccio si riscontra anche rispetto al monumento sulla violenza antiebraica, da pochi mesi un'istallazione video mostra «the missing immages», le masse complici che stanno a guardare. Il fatto è che l'olocausto non è avvenuto unicamente dietro i fili spinati di lontani campi, solo le misure di persecuzione sul posto hanno reso possibile la realizzazione dell'omicidio di massa. Ciò che si studia ora è l'inserimento dei campi di concentramento nel loro contesto storico, il loro intreccio con la società. Si studia in modo molto più intenso e questo è un fatto nuovo, il coinvolgimento dei Taeter, dei perpetratori. Non come bestie brutali cadute dal cielo ma nel senso di una storia dei perpetratori intesa come geografia di gruppo dove uno si domanda chi è quella gente, da dove esce fuori quella élite dei perpetratori o gente come le guardie di campo ad Auschwitz, Ravensbrueck, Sachsenhausen. Può esistere una memoria collettiva condivisa? La cultura delle memoria non è fatta da sedimentazioni sociali e biografiche contrastanti? La risposta è sì e sì. Da un lato c'è una memoria collettiva, ma non nel senso che tutti pensano la stessa cosa del passato, ma nel senso che c'è qualcosa come le gerarchie. Che vuol dire, cosa è la memoria Bisogna fare parlare il luogo, questa è l'idea di fondo di tutti i nuovi monumenti, i luoghi dov'è successo qualcosa. Il luogo fa scoprire la storia ufficiale, cosa sono i «collettivi» di memoria in una società. Altrimenti non ci sarebbero dibattiti e conflitti e si tratterebbe di un sapere morto. E questi piani di trattativa sono costantemente in tensione o anche non in tensione, ma possono esplodere. Guardando la situazione postbellica lo si vede in ogni società. Soprattutto gli ex prigionieri hanno insistito come gruppi specifici sulla memoria dei campi di concentramento. In Austria stessa, nella memoria ufficiale, era invece completamente marginale, o considerato comunista e perciò fuori da quello che era accettabile. La guerra fredda qui aveva naturalmente un grande ruolo. C'erano gruppi diversi nella società che bisogna vedere in relazione, cosa c'è nella memoria ufficiale, qual è lo stato delle trattative, su quale discorsi e concetti ci si mette d'accordo. Se lei pensa che in Austria fino ai giorni nostri si è continuato a litigare se parlare di stato corporativo o di austrofascismo ( , periodo precedente all'annessione tedesca ndr) si vede come c'è ancora un contrasto particolarmente forte. Nel dopoguerra esisteva un mainstream che si è sviluppato in ambito popolare, un amalgama del «noi siamo tutti vittime» dove tutto si è mischiato, nel quale potevano integrarsi molto bene anche gli ex nazisti. È stata la narrazione non controversa, mirata al consenso, Non era la liberazione dal nazionalsocialismo, questa è stata la narrazione dei resistenti e delle vittime. Se si diceva liberazione si aprivano subito le linee di conflitto del 1945 nella società austriaca. Se si diceva occupazione c'era la costellazione noi il popolo austriaco, la vittima innocente, e là gli occupanti da fuori. Recentemente l''edificio del comando del campo di Belzec doveva essere messo all'asta, è stato impedito all'ultimo momento. Auschwitz era a rischio di supermercato...come legge questi segnali? Ci sono stati dei dibattiti esemplari proprio nel caso di Auschwitz Birkenau. Il fatto è che se uno guarda gli anni 80 queste deturpazioni erano pratiche normali. Hartheim ha un luogo di commemorazione dentro un palazzo residenziale per privati, a nessuno interessava che lì si ammazzava la gente, il palazzo della conferenza di Wannsee, solo nel 1988 è diventato un luogo di commemorazione, era un istituto per scuole. Questa sensibilità per i luoghi è una cosa nuova. Come si può raccontare la storia ai giovani fuori da ritualità e logiche istituzionali? La nuova sfida non è più tanto far emergere il passato e il rimosso, tutto è già stato ricercato e raccontato, ma il come farlo, come trasmettere in maniera viva ciò che già c'è. Esiste una nuova cultura della memoria, con giovani che dal basso costruiscono progetti partendo dai luoghi. Il progetto modello topografia del terrore di Berlino è nato così, come contromemoria. Bisogna fare parlare il luogo, questa è l'idea di fondo di tutti i nuovi monumenti, i luoghi dov'è successo qualcosa. Il luogo fa scoprire la storia, indagando il contesto e le sue correlazioni si apre un accesso diretto al passato. I luoghi concreti diventano testimoni del coinvolgimento della propria società nell'apparato di dominio nazista. in alto: The White Elephant Archive (Eduard Freudmann); a sinistra: Hans Breuer; al centro monumento alla memoria; a destra: Exibition of crime (Ayre Wachsmuth, Sophie Lillie) GERENZA Il manifesto direttore responsabile: Norma Rangeri a cura di Silvana Silvestri (ultravista) Francesco Adinolfi (ultrasuoni) in redazione Roberto Peciola redazione: via A. Bargoni, Roma Info: ULTRAVISTA e ULTRASUONI fax tel e redazione@ilmanifesto.it impaginazione: il manifesto ricerca iconografica: il manifesto concessionaria di pubblicitá: Poster Pubblicità s.r.l. sede legale: via A. Bargoni, 8 tel fax poster@poster-pr.it sede Milano viale Gran Sasso Milano tel fax tariffe in euro delle inserzioni pubblicitarie: Pagina ,00 (320 x 455) Mezza pagina ,00 (319 x 198) Colonna ,00 (104 x 452) Piede di pagina 7.058,00 (320 x 85) Quadrotto 2.578,00 (104 x 85) posizioni speciali: Finestra prima pagina 4.100,00 (65 x 88) IV copertina ,00 (320 x 455) stampa: LITOSUD Srl via Carlo Pesenti 130, Roma LITOSUD Srl via Aldo Moro Pessano con Bornago (Mi) diffusione e contabilità, rivendite e abbonamenti: REDS Rete Europea distribuzione e servizi: viale Bastioni Michelangelo 5/a Roma tel Fax In copertina: una scena da "Las brujas de Zugarramurdi" (Le streghe son tornate, 2013) di Alex de la Iglesia

4 (4) ALIAS Un anticipazione dalla prima monografia pubblicata in Italia sul celebre regista spagnolo che a Gorizia riceve il premio Opera d Autore di SARA MARTIN*...I fratelli di Álex, Agustin e Javier, lo iniziano alla passione per i fumetti, i disegni e per Tintin. Álex comincia a disegnare fumetti a dieci anni. I suoi padri spirituali sono Álex Raymond, Stan Lee e Vázquez. In Spagna i comics della Marvel, venivano stampati e pubblicati su carta economica, in bianco e nero e in formato «libro», dove c era spazio solo per due vignette per pagina (le tavole originali ne hanno molte per ogni pagina). Inoltre venivano ampliate le vignette aggiungendo dei disegni di dettagli a quelli originali e ingrandendo il balloon. Lo facevano per ottenere le dimensioni di un libro a partire da un semplice fumetto. Al liceo (nel collegio San Luis di Bilbao) de la Iglesia comincia a disegnare le sue prime vignette e a fotocopiarle per venderle ai suoi amici. Durante l adolescenza si guadagna da vivere disegnando per diversi periodici e riviste. La sua prima rivista di cinema è Famosos monsters del cine, una versione spagnola di Famous Monsters of Filmland di Forrset J. Ackerman che era il più grande collezionista del mondo di foto grafiee oggetti di cinema horror del passato. De la Iglesia, durante gli anni del liceo, inizia a collaborare con diverse riviste come Trokola, El Correo Español, Tribuna Vasca, Euskadi, La Ría del Ocío. Si laurea in filosofia all università dei gesuiti di Deusto. Durante gli anni dell università fa diverse conoscenze e amicizie tra cui il professore di filosofia antica, Jesús Igal. Il professore era un grande studioso del filosofo Plotino e aveva tradotto la sua opera completa, le Enneadi. Igal è di grande ispirazione per de la Iglesia e proprio a partire dalla sua figura costruirà il personaggio principale del suo secondo film, El dia de la bestia (Il giorno della bestia, 1995), un prete fuori dal mondo e dalla realtà, che, prima di arrivare nella metropoli di Madrid per combattere l Anticristo, aveva sempre vissuto di studio e di preghierra. Anche Jesús Igal viveva all interno dell Università di Deusto, e non conosceva la televisione, la strada, il mondo. Eppure, aveva una visione del cosmo impressionante, frutto dello studio di elementi micorscopici della realtà che, per lui, erano macroscopici. Deciso a inserirsi nel mondo dello spettacolo, Álex de la Igle sia lavora in televisione come scenografo ed è production designer della crime-comedy nerissima Todo por la pasta (1991) Alex de la Iglesia l imprevedibile opera seonda del regista basco Enrique Urbizu. Da questa esperienza raccoglie le conoscenze necessarie per mettersi dietro la macchina da presa. (...) El dia de la Bestia vince sei Goya, di cui uno per la miglior regia, e viene premiato ai festival di Gérardmer e Bruxelles. A Venezia e Toronto è accolto con l applauso unanime di critica e pubblico e ottiene considerevoli incassi nelle sale europee durante la stagione cinematografica Il lungometraggio parla dell idea, presente in altre opere successive come per esempio La comunidad, che il demonio non è quell essere terribile e pericoloso che ci hanno insegnato a temere, il IL PREMIO AMIDEI Si svolge dal 10 al 16 luglio il Premio Internazionale alla Migliore Sceneggiatura Cinematografica Sergio Amidei. Giunto alla 34 edizione porta al Palazzo del Cinema - Hiša Filma e al Parco Coronini Cronberg di Gorizia il meglio della sceneggiatura internazionale dedicata al mondo del cinema, aprendo per la prima volta anche all indagine della sceneggiatura televisiva e web con la sezione «Scrittura seriale». Premio Opera d Autore 2015 Alex de la Iglesia, Premio alla Cultura Cinematografica 2015 Irene Bignardi, Racconti privati, memorie pubbliche. Il cinema di Alan Berliner, Piccola antologia dello humor nero, Spazio Off. La giuria composta da i registi Ettore Scola e Marco Risi, gli sceneggiatori Francesco Bruni, Massimo Gaudioso, Doriana Leondeff, l attrice Giovanna Ralli e la produttrice Silvia D Amico. assegnerà il premio alla migliore sceneggiatura. demonio è il tuo vicino di casa. L inferno sono gli altri, la gente comune. La città di Madrid diventa per la prima volta teatro del mistero, regno delle fantasie gotiche. Le fermate della metropolitana nella Gran Via, con i loro lividi annunci luminosi o le torri di KIO portano con loro un inquietudine degna dell unica capitale europea che ha una statua dedicata al maligno, il monumento all angelo caduto (ángel caído). L anticristo nasce nelle torri KIO, simbolo tanto del potere finanziario come della dittatura franchista e nel film diventano poi, piegate dagli sceneggiatori, anche simbolo di antiche premonizioni. Il film raccoglie, in una certa misura, un clima apocalittico che vive in quel periodo la Spagna, ma la sua genesi è piuttosto complicata: inizialmente de la Iglesia e Guerricaechevarría volevano realizzare un horror. Il film non aveva niente a che vedere con El dia de la Bestia e si chiamava El beso negro. In questo copione i due autori mescolavano i miti di Cthulhu con le loro esperienze come studenti di filosofia all università, nel ricordo del professor Jesús Igal, specializzato in Plotino, che aveva segnato il loro percorso di studi. Il protagonista era una persona anziana, armata fino ai denti, un personaggio completamente lovercraftiano. El beso negro si svolgeva a Sestao. Il prete si spostava da Deusto a Sestao e in quel luogo c era l inferno dove si sarebbe incontrato con l anticristo. El dia de la Bestia invece lavora di più sulla contaminazione dei generi e si prende bonariamente gioco dello spettatore. Il film usa il «genere puro» per lanciare un tema politico che dimostra, senza demagogia né moralismo, che il «male» autentico si trova all interno della nostra società. Uno dei riferimenti più importanti, per la costruzione dell atmosfera è L inquilino del terzo piano (Le locataìre, Roman Polanski, 1976), anche se evidentemente diventerà un omaggio diretto nella realizzazione de La comunidad. In El dia de la Bestia i personaggi, sia quelli principali che quelli secondari, giocano un ruolo fondamentale: Álex Angulo, nella miglior performance di sempre, Santiago Segura, Terele Pávez, Armando de Razza, Jaime Blanch costruiscono una costellazione scoppiettante di personalità borderline. De la Iglesia e Guerricaechevarría si ispirano alla loro esperienza non priva di difficoltà nel trasferimento dai Paesi Baschi alla capitale spagnola dove vivono in una pensione modesta all interno di un quartiere popolare che vede convivere le umanità più variegate. Personaggi e scenografie sono sovraccarichi, debordanti. Il regista teme l horror vacui e vuole riempire il set e il copione di persone e di cose. Devono esserci azioni secondarie, devono esserci personaggi che vivono altre avventure mentre si svolge la narrazione principale. Commedia, humour nero, tradizioni ispaniche, immaginario satanico, estetica heavy metal, cinema del terrore: de la Iglesia riesce a controllare il mescolamento vorticoso dei generi ancora meglio di quanto non ha fatto nella sua opera prima. Il richiamo principale è a Lovercraft non direttamente come scrittore quanto come riferimento del gioco di ruolo Call of Chtulhu. Il gioco, che si basa sui racconti di Lovercraft, genera personaggi stravaganti. Il giocatore, per vincere, deve far uso di moltissime armi da combattimento e avere informazioni su tutto, deve conoscere qualsiasi cosa, anche le lingue più remote come il sumero. Ma c è un paradosso: se il giocatore è molto erudito, allora non sarà abbastanza abile e forte e quindi si trova costantemente a dover compiere una scelta tra sapere e forza. Questa contrapposizione ha generato l idea narrativa del film: un personaggio che sa moltissime cose, che si arma fino ai denti, ma non ha alcuna capacità di autodifesa. Il film è cromaticamente dominato dai colori nero e rosso con forte valenza simbolica. Denuncia l intolleranza, il razzismo, la violenza politica, la televisione spazzatura, le sette sataniche, i programmi esoterici. De la Iglesia fa nomi e cognomi dei personaggi che disprezza nella società contemporanea (...) *Un estratto dal libro di Sara Martin «Streghe, pagliacci, mutanti, Il cinema di Álex de la Iglesia» (Mimesis editore) che sarà presentato nel corso del Premio Amidei In alto: Carolina Bang, Carmen maura e Terele Pavez in «Las brujas de Zugarramurdi» (Le streghe son tornate, 2013) di Alex de la Iglesia, sotto: il regista sul set di Las Brujas de Zugarramurdi

5 ALIAS (5) IL FILM INTERVISTA ELISABETTA SGARBI Per soli uomini, «eremiti selvatici» sul Delta del Po di MATILDE HOCHKOFLER FASSINA, IL CONFORMISTA «Non lo capisco quando parla, Fassina. È fumoso, è astratto. Mi ricorda troppo il comunismo polacco, rivoltato da Solidarno 25 anni fa eppure ben presente nell economia e nella politica e nella cultura nostra: è ancora vivo l homo sovieticus». Chi mi dice queste parole è S awomirm. Stasiak, un polacco di mezza età laureato in storia a Firenze e oggi, imprenditore e letterato, mio interprete al Gda sk DocFilm Festival2015. Mentre parla, i suoi occhi brillano di rabbia impotente. Quel ramo del Po di Maistra che corre senza sosta verso il mare con i colori ocra di un tramonto autunnale racchiude dall'inizio alla fine la valle e le vicende di chi fa un mestiere antico quanto il mondo: i pescatori. Preserva e avvolge come in un abbraccio l antico e il moderno nel bellissimo film Per soli uomini di Elisabetta Sgarbi. Gli odierni pescatori che abitano le valli del Delta convogliano i pesci d acqua salata in modernissime vasche di allevamento dove seguono la loro crescita con amorevole sollecitudine e con l aiuto dei più moderni sistemi elettronici. La loro vita si svolge solitaria in un tempo sospeso che segue il ritmo della natura. La narrativa cinematografica della Sgarbi parte dal documento per arrivare a una modernità essenziale e provocatoria. Sembra sempre che non succeda nulla quando Gabriele, Claudio e Bertinotti sbrigano le pratiche di allevamento del pesce, raccolgono le uova delle galline, danno un occhiata agli anatroccoli, preparano la colazione, mangiano con la gatta che gli salta sulle ginocchia, giocano a carte, camminano lungo l argine compiacendosi per i carciofi che maturano. Invece ogni gesto, ogni momento, ogni sorriso malizioso di Gabriele, ogni abbandono malinconico di Claudio, ogni ricordo di Bertinotti acquistano la forza della rivelazione, epifanie di un modo di vivere che sembra estraneo ai cambiamenti, colto nel momento stesso in cui si rivela. L eterno presente ha in realtà accenni, folgorazioni, battute che rievocano il passato dei protagonisti vissuto sempre in quei luoghi. Recupera la memoria di un fiume dove anni prima esisteva una pluralità di aziende che pescavano e allevavano il pesce. Di alcuni ricordano i nomi, di altri soltanto la statura. Bertinotti è in pensione ma non riesce a stare lontano dal Delta e quando è in città a casa di suo figlio si sente fuori posto. Il senso profondo dell appartenenza al fiume, al Delta, agli attrezzi, agli animali domestici, a una vita da eremiti, viene fuori in ogni momento assieme alla bellezza incantata, ma non più incontaminata dei luoghi, al guizzare dei pesci vivi nella rete, agli uccelli che sfrecciano nel cielo secondo il ritmo delle stagioni. Al silenzio. La quotidianità colta nei piccoli particolari che restituiscono la concretezza del vissuto di questi uomini soli è vista e restituita dall occhio femminile della regista che tende sempre di più al racconto, a un cinema che non è interessato all inchiesta, ma vuole lasciar affiorare quello che non si vede, al sottile legame tra l uomo e il suo ambiente, all interferenza continua tra i due mondi. Totalmente affacciato sulla realtà, le panoramiche, i primissimi piani, i piani sequenza celebrano ora con solennità, ora con sobrietà la bellezza della natura, sembra sempre più rivolto verso una sottile testimonianza dell invisibile, con echi e risonanze di una cultura orientale che tende a un cinema di ascolto e di visione, come se ci muovessimo lungo la traiettoria dello sguardo con la macchina da LA MILANESIANA Un festival dalla decisa personalità «La Milanesiana» giunta al sedicesimo anno, ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi tra letteratura, filosofia, musica, cinema, scienza, arte e teatro. Il titolo del festival quest anno, (22 giugno-19 luglio) è «Manie e ossessioni». Chiediamo a Elisabetta Sgarbi quali eventi della manifestazione giunta a metà dello svolgimento vuole in particolare segnalare: «Molti appuntamenti, perché la Milanesiana e' ancora nel pieno delle sue ramificazioni. La lectio di Claudio Magris che mi ha suggerito il tema. John Coetzee e Mauro Covacich. Il ciclo pensato insieme a Banca Intesa sul tema dell'ossessione tra arte e scienza, con Melania Mazzucco, Jean Claire e Piergiorgio Odifreddi. La lectio di Scurati su Leone Gonzburg e poi l'ultima settimana, con Konchalowski e Turowskaya, Bela Tarr, Salvatores, il duetto tra Tamaro e Tosca, Zygmumt Baumann e Nesi». presa che cammina con noi. «Per soli uomini» è il primo di una trilogia dedicata al Po anche se il grande fiume era già presente in «Racconti d amore» e in «Quando i tedeschi non sapevano nuotare». Come è nato il film? Il film nasce da una indicazione di Rai Cinema che mi chiese di lavorare sul fiume e sul Delta del Po dal punto di vista storico e dal punto di vista antropologico. Così sono nati Quando i tedeschi non sapevano nuotare che tenta di raccontare la Resistenza nei luoghi del Polesine, e, appunto, Per soli uomini che racconta il presente della vita quotidiana in una valle del Delta di tre valligiani. La valle è un mondo a sé, un ecosistema tenuto in vita dal movimento interno dell acqua e dalla vigilanza ossessiva di questi valligiani, dal loro moto continuo, vaghi ma attenti camminatori del fiume. La prima impressione vedendo il film è che si svolga tutto in un presente sospeso nel tempo senza mediazioni. L immediatezza diretta e coinvolgente era uno dei tuoi obiettivi? Il tempo qui coincide con lo spazio rappresentato. Il tempo è la pura presenza della vita. O meglio delle vite che si sciolgono, entrano in consonanza o in conflitto con il mondo che questi valligiani «eremiti selvatici» (come si definiscono) abitano da sempre, che hanno scelto o da cui sono stati scelti, ma da cui non potranno mai distanziarsi perché quegli uomini sono parte di quel mondo. Sono uomini i valligiani, ma sono anche mamme, padri, fratelli maggiori dei pesci, amanuensi del fiume che accudiscono giorno e notte una miriade di innominati e innominabili esseri viventi. Volevo restituire il senso di quel tempo, di questa appartenenza, con tutte le sfumature che la vita offre: la malinconia, la comicità, l orgoglio. Con rare o rarissime intromissioni del mondo esterno; ma è anche una esistenza sorniona, capace di ironia e sarcasmo verso un mondo, il nostro, che guardano da lontano, ma neppure troppo. Dei tre protagonisti, Gabriele guarda a se stesso e agli altri con ironia. Claudio incarna la nostalgia della moglie che non lo vuole seguire nell isolamento e ripete in cucina gesti e azioni che farebbe lei. Entrambi vivono Due scene del film "Per soli uomini" e un ritratto di Elisabetta Sgarbi Lavoratori del fiume, la sacralità del gesto e dello scorrere del tempo, il ritmo della vita colto dal battito dello sguardo nell assoluto presente. Solo Bertinotti rievoca il passato, incarna la memoria del Delta. Che ruolo ha la memoria in questo film e in generale nel tuo cinema? C è un certo scarto tra i discorsi di Bertinotti e di Gabriele e la vita che vediamo. C è la nostalgia di un passato, che però fa parte più di un naturale atteggiamento verso la vita e il tempo che scorre. Perché poi, nella vita che i tre pescatori conducono, sono pienamente coinvolti nelle loro attività e nei loro gesti. Sono gesti perfetti, che arrivano al proprio esito senza troppi intoppi, come previsto. Loro mi pare vivano nel presente, nella «persuasione», direbbe Michaelstadter. E questo è un aspetto molto bello. La memoria, la conservazione della memoria, non sono questa volta la mia intenzione primaria, perché Per soli uomini guarda in faccia la vita. Però il cinema è già memoria, è già naturalmente conservazione del passato. Anche in questo film, segnato dal rapporto uomo-ambiente, dalla celebrazione della bellezza della natura, parti in qualche modo dal documento per trasfigurarlo in racconto, alla ricerca dell invisibile. È così o no? Beh, se lo fosse, ne sarei felice. Il documento non è, come per la memoria, il mio primo intento in Per soli uomini, che si risolve fin dall inizio in una fenomenologia di situazioni e di gesti che catturano la vita nel suo farsi anche di quello che ha di solenne e di rituale. Non a caso Franco Battiato, che mi conosce ed è estremamente intuitivo, nelle musiche scelte per il film ha colto molto bene l aspetto del sacro che attraversa non tanto il film quanto la vita, allargando le risonanze liriche e ampliando il significato antropologico. Stefano Fassina, questo avversario sinistro di Renzi (il quale, lo dico a scanso di equivoci, a mio parere, non è un riformatore bensì un razionalizzatore dell esistente), lo incrocio spesso di corsa nei dintorni del Parco del Colle Oppio di Roma (di corsa lui in tuta, io cammino a passi lenti, alla Grouco Marx). E sempre mi domando: non condivide la teoria e la prassi di governo di Renzi e dei suoi colonnelli, bene, ma perché non avanza altre proposte economiche e politiche e culturali chiare e concrete? Sì, lo so, Fassina critica osteggia il segretario del PD ripetendo che «chi guida il partito non può pretendere soltanto conformismo», e Fassina è uomo d onore, ma non basta. Non pretendo che costituisca un governo ombra, ma che manifesti l ombra di un idea. Ora, S awomiresagera quando, pensando a lui, evoca l homo sovieticus, il tipo sociologico coniato dallo scrittore e sociologo Aleksandr Aleksandrovi Zinov'ev. Fassina non è Gennadij Andreevi Zjuganov (esponente del Partito Comunista della Federazione Russa e avversario sinistro di Vladimir Putin). Fassina a me ricorda piuttosto l homo ingraianus. Qualche anno fa, alla vigilia della pubblicazione della propria autobiografia, Pietro Ingrao, intervistato da Simonetta Fiori per la Repubblica, ha confessato di aver «amato troppo l applauso» e aver «assorbito un fondo chiesastico». Insomma, di essere stato un conformista. Conformista, Fassina? Proprio lui che accusa di conformismo i dirigenti e i diretti del PD che s inchinano alle decisioni del capo? E se non s inchina al capo, a chi conformisticamente Fassina s inchina? «Fassina è un economista? Elabori soluzioni concrete ai problemi reali. Invece è un demagogo, un opportunista, uno che si conforma ai desideri dei nostalgici del Piccì, che compiace gli impiegati e i professori della CiGiElle». Chi mi parla così è Raffaele Abbattista, un italiano di mezza età, laureato in macelleria a Roma. Lo frequento spesso, il negozio suo e di suo padre Alessandro, in via Labicana, la carne è eccellente, il prezzo onesto, e acute le loro notazioni popolane. Quando dico ad Alessandro che Fassina ha lasciato il PD annunciando di voler fondare, con Civati e Pastorino e Cofferati, «un nuovo soggetto politico», e gli leggo le sue parole dalla Rete: «Con loro ci ritroveremo per avviare un percorso politico sui territori, plurale, che possa raccogliere le tante energie che sono andate nell'astensionismo. Vogliamo provare a ricoinvolgerle per una sinistra di governo ma con una agenda alternativa» noto con la coda dell occhio che i suoi occhi si velano di rabbia impotente.

6 (6) ALIAS ESORDIO L Associazione Trait d Union Onlus presenta «Surplace» (La foto è di Camilla Borghese), il progetto di Mario Airò per l edizione 2015 di «Toccare l arte», rassegna sensoriale di arte contemporanea per una cultura senza barriere. Lo storico giardino di Sant Alessio all Aventino, ottenuto in adozione da Roma Capitale dal 2010 al 2014, sottoposto a un intervento di restauro, pulizia e ripristino del decoro, è divenuto un luogo di incontro e di scambio culturale, ospitando eventi e installazioni di arte pubblica site specific. Quella di Mario Airò (visitabile fino al 10 luglio) è una installazione aerea sospesa, costituita da foglie di magnolia vetrificate disposte nel cielo come uno stormo di uccelli migratori, ordinate lungo un telaio e libere di ondeggiare armonicamente nel vento. Rappresenta il tema dell abbandono forzato della propria terra d origine e della perdita/conservazione delle proprie radici. INTERVISTA FERDINANDO CITO FILOMARINO Antonia Pozzi, avere due lunghe ali d ombra È in programma questa sera, unico film italiano in concorso al festival di Karlovy Vary: accompagna con passo lieve una breve vita per non disperdere le sue parole e i suoi gesti di SILVANA SILVESTRI Antonia, esordio di Ferdinando Cito Filomarino ci riporta parole e gesti di Antonia Pozzi, poeta che rivive tra pareti, vetrate e prati nella Milano degli anni Trenta, la città del regista, il suo «motore nascosto». Il film prende le distanze sia dai versi che dalla fisicità quasi avesse la certezza che la poesia possa sgretolarsi. Ma ecco poi afferrarla in un sollevare di braccia, in un passo di danza, in un disco appena posato sul piatto, nel sussurro percepito nel salone della sua abitazione di quella Milano «che nasce», impenetrabie come una gabbia. Nella società patriarcale del fascismo si sovrappone la supponenza del predominio degli intellettuali che a stento percepiscono le giovani donne. Produce Luca Guadagnino (come già i primi corti Diarchia e L inganno), interpreta Linda Caridi diplomata alla Paolo Grassi a cui è stato concesso quel lieve tocco mediterraneo in più già in suo possesso. È l unico film italiano in concorso, in programma stasera al prestigioso e maestoso festival di Karlovy Vary (3-11 luglio). Stazione termale mitteleuropea ricca di hotel barocchi e art nouveau che un tempo si alternava con Mosca nel presentare tutta la produzione cinematografica dei paesi comunisti, quest anno oltre agli esordi dei giovani cineasti dell est e a un ricco programma internazionale, offre al pubblico anche star come Richard Gere o Harvey Keitel. Parliamo con Ferdinando Cito Filomarino del suo film. Troviamo che ci sia stata una particolare attenzione a scegliere il tuo film La decisione di andare a Karlovy Vary è dovuta al fatto che il direttore Karel Och ha amato moltissimo il film e ci ha scritto personalmente una mail in cui ci invitava immediatamente al concorso (mentre in genere gli altri direttori di festival in genere tergiversano, dicono di dover vedere, capire). Lui ha scritto con grande entusiasmo: mi piace, lo voglio in concorso. Da uno che dirige un festival e reagisce così non c è altro posto migliore dove andare, è la casa ideale per il film. È difficile mettere in scena la poesia. Come hai organizzato questa traposizione, questa traduzione? Un po come la scena dell Odissea recitata in classe che si vede nel film. La prima volta il professore recita in greco e poi si sente un po di traduzione in italiano. Questa idea rispetto alla poesia è interessante perché nella sua immediatezza rimane questa cifra e in seguito quello che uno percepisce nella traduzione. Il punto di partenza, l idea del film è fare il ritratto di un artista e della sua arte, non tanto fare il ritratto di Antonia Pozzi, ma fare un ritratto di Antonia Pozzi e della sua poesia. Anche perché le poesie di Antonia Pozzi, come molte altre poesie - ma la sua lo è esplicitamente - è legata e fusa in mnodo intrinseco alla sua vita, alla quotidianità, alla relazione con le persone, ma anche al modo in cui si muovono le foglie, ogni singola cosa ed è tutto legato insieme. Questa è la forza e la bellezza della sua poesia per cui nel concepire un ritratto su di lei e sulla sua arte fuse insieme, la prima cosa è stata assorbire tutta insieme l essenza della sua poesia, anche attraverso le sue lettere e le fotografie da lei scattate, non soltanto la lettura delle poesie. E una volta percepito il mondo attraverso i suoi occhi, solo da lì partire a concepire le scene come parte dell universo di Antonia Pozzi dal suo punto di vista, non obiettivo ma profondamente soggettivo. Che inevitabilmente sarebbe poi il mio sguardo, il modo in cui io interpreto il suo sguardo. È come una metamorfosi, come se tu avessi inglobato la sua personalità. La poesia di Antonia nei dieci anni della sua attività si trasforma molto velocemente e alla fine diventa un altra cosa. Anche un po il modo come lei è presente nel corpo del film e il film stesso cambia corpo per come si esprime nel corso del passare questi dieci anni. È un mio tentativo, va di pari passo con lo sviluppo della sua poesia e della sua vita. Il modo in cui vive le cose, il suo entusiasmo, così cambia l universo poetico intorno a lei. Il mio tentativo era di non separare la vita e la poesia ma di unirle in un unico flusso. Nelle scene si percepisce la sua presenza fantasmatica, come evocata. Lei stessa viveva in questa dimensione dell evocazione, come nella poesia Convegno che c è nel film quando lei è di fronte a Remo Cantoni, perché a lui è dedicata: mentre lui la guarda in viso e lei percepisce uno sguardo di amore, non riesce neanche a vivere il presente di quello che sta vivendo, ma già pensa a quando nel futuro ricorderà questo momento in cui lui la guardava per cui ha questo inevitabile trasporto verso l astrazione di se stessa. È l atteggiamento comune agli intellettuali, più inclini a elaborare che vivere. Ma i poeti hanno un trasporto naturale per fare questo sia in chiave di emozione che di filosofia, anche formale e linguistica per concretizzare poi tutto questo in una pagina di carta che è la parte che mi affascina di più. Resta il mistero della sua morte. Non credo che tu ti sia voluto addentrare in questo momento della sua vita. Mi sono voluto addentrare invece, ma non credo che i suicidi siano riducibili. Penso che alla domanda: perché si è suicidata Antonia Pozzi - ma è applicabile a qualsiasi altro suicidio - sia ingiusto rispondere con un unica frase. Io ho studiato il suo suicidio in particolare, ma ne ho studiato anche altri. Nel suo caso, di sicuro da un punto di vista clinico e psicanalitico non era una depressa. Era una persona sana estremamente sensibile. È stato un confluire di tanti, tanti elementi che hanno coinciso. E lei comunque un pensiero sulla morte, una riflessione su questo argomento se lo portava dietro da anni, ma proprio in quei mesi tante cose hanno coinciso che l hanno portata a prendere questa decisione. Non c è chiarezza, c è comunque un aura di mistero e di ambiguità in una persona che decide di uccidersi. E così giovane. Oltre al fatto scientifico che mancano molte lettere che il padre ha bruciato. Con le poesie suo padre è stato ugualmente violento, ma meno definitivo. Lui stesso, bisogna riconoscerlo, ha pubblicato le poesie per la prima volta, anche se in edizione privata, però le ha modificate a suo piacimento, ha «censurato» le dediche e anche alcune delle poesie che non gli sembravano decenti dal suo punto di vista. Voleva apparire religioso, perbene agli occhi di una certa società milanese di cui faceva parte. Però grazie a studi e a suor Onorina Dino che aveva l archivio Pozzi molte cose sono state salvate e ripristinate. Le era stato affidato dalla madre di Antonia, Lina Cavagna che era andata dalle suore del Preziosissimo sangue quando era rimasta vedova. Si trattava di lettere, quaderni e album di tremila fotografie, non tutte scattate da lei, anche foto di famiglia. Onorina Dino e altri nel corso degli anni hanno fatto investigazioni vere e proprie su questi materiali, come scoprire pagine segrete incollate tra loro a celarne altre. La poca considerazione, il paternalismo con cui era trattata non le aveva forse provocato un certo disgusto? come fosse già stata cancellata? Fin da quando aveva 12 anni viveva nel regime fascista. È entrata nell età della ragione sotto un regime e ha imparato che la realtà funzionava in un certo modo, che era un modo molto alterato rispetto alla realtà che conosciamo noi, perché il fascismo «ti entrava in casa» come si dice. Lei non è che percepisse un rifiuto, ma un «impossibilità». Sentiva che quello che lei faceva era semplicemente incompatibile, che non poteva esistere nel presente. Ed è per questo che uno arriva ad uccidersi, perché un conto è il rifiuto, un conto è sentire che non c è posto per te. Anche Montale la loda, ma con un certo paternalismo Antonia era nella generazione degli studenti che seguivano Banfi, tutti diventati dei poeti, dei filosofi, persone importanti, lei era l unica donna e io ho percepito leggendo degli incroci di lettere, come elementi di resistenza nei suoi confronti il fatto che lei veniva da una buona famiglia, era ricca, era donna. Ma non vorrei ridurre a questo il suo senso di impossibilità, penso che sia più profondo. Il genere sessuale penso sia solo una parte del discorso. Cosa ti fa somigliare più ad Antonia? Forse la fascinazione verso l ascesa in montagna. Le vie che abbiamo ripreso le conosco, anche io arrampico. Per me è poesia anche vedere il famoso scalatore Hervé Barmasse quando si arrampica sulla roccia. Nel film lo vedi per pochissimo, ma è come una danza. Mi aveva ispirato Emilio Comici che era una grande guida e alpinista dell epoca che conosceva Antonia Pozzi, sono usciti anche insieme in montagna, alla Grignetta vicino a Pasturo dove la famiglia Pozzi aveva una casa, quella che lei considerava più sua. Dalla cima di quella montagna dove abbiamo girato si vede Milano, non ho potuto riprendere questo per una serie di ragioni, ma del resto per Antonia l importante era l ascesa e il silenzio e rimanere da soli con la natura. In pagina Linda Caridi in alcune scene di «Antonia», in basso sul set con il regista Ferdinando Cito Filomarino e il manifesto del film

7 ALIAS (7) IL LIBRO di BEATRICE ANDREOSE PADOVA Un secolo prima di quel 7 aprile 1979 il giurista liberale Francesco Carrara scriveva che in materia politica le regole del diritto criminale si trasformano sempre in una poesia arcadica. Ipse dixit. Quasi cento anni dopo il Pubblico Ministero Pietro Calogero nella sua requisitoria finale del 23 gennaio 1978, definì Autonomia Operaia come un movimento reazionario costituito da emarginati della classe borghese la cui ideologia non era altro che «un nuovo fascismo». Un giudizio quantomai singolare per un magistrato, che rivelava un malcelato livore tendente ad escludere dal novero della sinistra i movimenti antagonisti comparsi ormai da anni nello scenario politico padovano e nazionale. Un giudizio non giuridico ma politico che coincideva esattamente con quello del PCI. Gli esponenti più in vista del partito parlavano di «nuovo squadrismo» e di «diciannovismo» e furono parte attiva nella costruzione di quella operazione politico-giudiziaria che criminalizzò il movimento dell'autonomia Operaia associandolo alle BR, costringendo al carcere preventivo per molti anni decine di persone risultate alla fine innocenti. Ma non c'era solo il PCI a sostenere la tesi del PM, tranne pochissime eccezioni infatti vi era anche buona parte della stampa che dieci anni prima aveva già sperimentato, col processo Valpreda per la strage di piazza Fontana, il ruolo colpevolista di appoggio alla tesi dell'accusa diventandone spesso portavoce e megafono. Improvvisamente i giornalisti dell'unità, di Paese Sera e dell'avanti sino allora emarginati dagli uffici giudiziari e polizieschi ottenevano notizie inedite, primizie, confidenze. In coro riportavano le tesi inquisitorie ampliandole e sottolineando al contempo le «presunte debolezze ed incertezze dei giudici istruttori». Nessun dubbio sul «partito calogeriano dell'insurrezione» come invece non mancavano di sottolineare i media internazionali. In questo clima niente affatto tranquillo, dunque, si trovò ad operare Giovanni Palombarini che, a 36 anni di distanza, è tornato a scrivere di quel processo nel volume Il processo 7 aprile nei ricordi del giudice istruttore Giovanni Palombarini, Il Poligrafo editore. Il magistrato, già presidente di Magistratura Democratica, confronta tra loro atti giudiziari, ricostruzioni giornalistiche e lucidi ricordi personali in un imprevedibile intreccio che tra le righe rivela anche fatti sorprendenti rimasti sinora sconosciuti. Uno colpisce tra i tanti. Un giorno Palombarini riceve dal PM un fascicolo zeppo di documenti. Al suo interno trova una busta inviata a Calogero dal Procuratore Generale di Catanzaro nella quale, con una breve lettera di accompagnamento, era contenuto un rapporto del Sisde sullo stesso Palombarini. Evidente il tentativo di delegittimare il giudice istruttore accusato dagli ambienti del PCI padovano di essere vicino al mondo dell'autonomia. Le divergenze tra Pietro Calogero ed i giudici istruttori Giovanni Palombarini e Mario Fabiani sono note. Il primo riteneva che lo scioglimento di Potere Operaio nel 1972 non ci fosse mai stato e che Autonomia Operaia Organizzata operasse per l insurrezione attraverso il partito armato. I secondi sostenevano invece che non esistevano risultanze processuali che dimostrassero un legame associativo fra Autonomia e Br. Ritenevano inoltre che ci fosse una profonda differenza fra la linea strategica e l iniziativa concreta espressa dai primi e quelle dell organizzazione clandestina. Il giudice istruttore nel suo libro ricostruisce meticolosamente le diverse ed intricate fasi dell'inchiesta che iniziò due anni prima quando nel marzo del 1977 Calogero spiccò mandati di cattura contro giovani aderenti ai Collettivi Politici Veneti accusati di azioni come le occupazioni delle mense universitarie, le interruzioni delle lezioni universitarie, aggressioni a docenti e così via. L'accusa di associazione per delinquere viene mossa anche ad alcuni docenti e tecnici della facoltà di Scienze Politiche tra cui Antonio Negri. Curiosità: Palombarini ricorda che proprio nel novembre di quell'anno a Padova si tenne un convegno sul tema «Operaismo e centralità operaia» organizzato dall'istituto Gramsci Veneto a cui parteciparono Giorgio Napolitano, Massimo Cacciari, Alberto Asor Rosa, Mario Tronti e Aris Accornero. Nell'aprile del '78 il giudice istruttore Palombarini dichiarò non provata l'esistenza di una organizzazione centrale veneta dell'autonomia Operaia e quel primo processo si concluse col rinvio a giudizio di qualche imputato per reati specifici, mentre cadde per strada l associazione per delinquere. Ma anziché chiudere la partita il PM nel '79 ritorna ad accusare di sovversione gli stessi imputati ipotizzando che a Padova si celasse il vertice del terrorismo italiano che legava tra loro Autonomia Operaia e Brigate Rosse. In un delirio colpevolista militanti del PCI ritennero di riconoscere le voci di Toni Negri e del giornalista dell'espresso Giuseppe Nicotri come quelle dei telefonisti delle BR durante il sequestro Moro. Così alle 10 di quel famoso 7 aprile 1979 un «Il processo del 7 aprile nei ricordi del giudice istruttore Giovanni Palombarini», tutti gli imputati assolti dal reato di insurrezione armata La tenuta della democrazia aereo atterra al «Marco Polo» di Tessera, una cinquantina di ufficiali della Digos arrivano a Padova su due pullman e mezz'ora dopo assediano la città con mezzi blindati. L'operazione fu mastodontica: 22 ordini di cattura, 70 ordini di comparizione e un centinaio di perquisizioni domiciliari. Tra gli arrestati Antonio Negri, ordinario di Dottrina dello Stato all'università di Padova; Luciano Ferrari Bravo, assistente; Emilio Vesce, direttore di Radio Sherwood e della rivista Autonomia; Oreste Scalzone, fondatore dei Comitati comunisti rivoluzionari; Mario Dalmaviva, leader torinese di Potere operaio. Il 16 aprile da Roma, ritenuta territorialmente competente, arriva un altro mandato di cattura contro Antonio Negri, accusato di essere (insieme a Moretti, Alunni, Micaletto, Peci, Faranda, Morucci e altri 16) l'assassino di Moro e dei cinque uomini della sua scorta. A Padova rimangono gli imputati «minori», quelli per cui non scatta il coinvolgimento nell'insurrezione armata. Dopo cinque anni, il 12 giugno 1984, viene emessa la sentenza di primo grado del troncone padovano. E mentre nel '79 il procuratore della Repubblica di Padova Aldo Fais aveva assicurato la stampa dicendo che se non avessero avuto prove sicure «mai e poi mai saremmo usciti con così gravi provvedimenti», cinque anni dopo tredici imputati vengono assolti per insufficienza di prove, uno con formula piena; 34 sono giudicati colpevoli di reati associativi; 21 di reati specifici. Il processo si chiuderà due anni dopo con l'assoluzione di quasi tutti. Anche la sentenza di secondo grado della Corte d'assise d'appello romana nel 1987 riduce vistosamente le pene e propone nuove assoluzioni. Sentenza confermata l'anno dopo in Cassazione. Tutti gli imputati vengono assolti del reato di Insurrezione armata. Ma mentre a Roma è la stessa Procura della Repubblica a chiedere il proscioglimento con formula piena di Negri del reato di associazione sovversiva e banda armata, a Padova le cose vanno diversamente. Tra Procura e giudice istruttore volano scintille. Già nel '79 Calogero chiedeva che nel collegio istruttore non ci fosse Giovanni Palombarini che accusava di aver incontrato Negri almeno quattro o cinque volte. In realtà si era trattato di incontri legati ad udienze. Il giudice piduista Antonio Buono parla di colleganze ideologiche e la stampa vicina al PCI accentua la sua ostilità nei confronti del giudice. Palombarini sottolinea la mancanza o l'insufficienza di prove specifiche relative ai vari capi di accusa. Definisce le prove testimoniali molto spesso generiche e caratterizzate da valutazioni, impressioni e riferimenti a cose dette da terze persone quasi mai indicate nominativamente. Gli vengono sottratti persino i collaboratori di giustizia. Nel dicembre del '79 Carlo Fioroni ex militante di Potere Operaio, ad esempio, depose a Roma, Milano e Padova, ma i giudici istruttori Palombarini e Fabiani non furono avvertiti del pentimento e l'interrogatorio del collaboratore si svolse a loro insaputa. Questo ultimo inoltre quando Palombarini si recò a Roma per sentirlo si rifiutò, in qualità di imputato, di rispondere. Fu grazie alle sue dichiarazioni che Antonio Negri fu accusato del sequestro e dell'omicidio di Carlo Saronio oltreché dell'omicidio del magistrato milanese Emilio Alessandrini. Continue nuove imputazioni che costeranno agli imputati una ulteriore estensione fino ad altri quattro anni della carcerazione preventiva. Ad indignarsi però c'è solo Amnesty International che interviene nell'agosto del 1983 con un durissimo comunicato. Calogero non arretra nemmeno dopo l'interrogatorio del brigatista Patrizio Peci che negherà ogni legame con Autonomia Operaia e tantomeno con Toni Negri. I contrasti col giudice istruttore si protrarranno fino alla fine, causando così una lunga sequenza di provvedimenti giudiziari contrastanti tra loro, un balletto di impugnazioni e di scarcerazioni degli imputati, alcuni dei quali non potranno che scegliere di fuggire in Francia. Ma a supportare le perplessità dei giudici istruttori ci sono anche i giudici. Basti pensare che nella stessa severa sentenza del 26 luglio 1980 dopo un processo per direttissima il Tribunale scriveva che si metteva sotto accusa non tanto la dinamica dei fatti ma «soprattutto la sua genesi politica». Quella sentenza venne accolta dagli imputati presenti in aula con il canto dell'internazionale e dopo pochi mesi Palombarini riconoscerà la libertà provvisoria a dodici dei ventisette imputati condannati a meno di due anni di reclusione revocando anche i provvedimenti restrittivi nei confronti dei latitanti Roberto Ragno e Pietro Maria Greco. Questo ultimo dopo due anni ritornò latitante per un altro mandato di cattura spiccato dalla procura veneziana e venne ucciso dalla polizia nel 1985 a Trieste mentre, disarmato, tentava di fuggire. I poliziotti responsabili vennero assolti nel 1986, in quella occasione il poeta Franco Fortini scrisse una lettera al Ministro della Giustizia Mino Martinazzoli che venne poi pubblicata dal settimanale L'Espresso. Stefano Rodotà commenterà dalle pagine del Manifesto le scarcerazioni per mancanza di indizi e la sentenza di proscioglimento con formula piena del 4 settembre 1981 di Del Re, Bianchini e Serafini parlando di assoluta inconsistenza delle prove. Nel suo libro Palombarini non si sottrae dal fare alcune interviste a Severino Galante, Gianni Riccamboni, Giorgio Tosi e Giovanni Valentini testimoni del tempo ed esponenti della società civile percorsa da laceranti fratture ieri come oggi. Ma ciò che più preme al giudice è come un approccio deduttivo quale quello del PM che partiva da «verità precostituite» abbia posto il problema di «drammatica rilevanza» della carcerazione preventiva. Nell'ultima pagina del libro Palombarini scrive infatti «nel succedersi di innumerevoli provvedimenti di carcerazione e scarcerazione - in qualche caso di imputati che ad un certo punto si sono rifugiati all'estero ma che comunque hanno inizialmente sofferto di periodi non trascurabili di custodia cautelare, e in altri casi di persone trattenute costantemente in carcere con imputazioni clamorose - è avvenuto che alla fine, dopo anni, accuse gravissime si siano dissolte in numerose sentenze di assoluzione. È possibile su questo oggi sviluppare una riflessione?». Un nodo ancora irrisolto che riguarda non solo il processo penale ma soprattutto i fondamenti della nostra civiltà giuridica e la stessa tenuta della democrazia. In alto: un particolare della copertina del libro di Giovanni Palombarini, in basso una manifestazione di Potere Operaio a Milano

8 (8) ALIAS Frankenstein reloaded di RAFFAELE K. SALINARI «Ti chiesi io, Creatore, dall argilla di crearmi uomo, ti chiesi io dall oscurità di promuovermi...?». Così parla Adamo dopo la Caduta nei versi del Paradiso Perduto di Milton. Oggi questa relazione tra creatore e creatura torna prepotentemente di attualità, specie se l agente causale della creazione è l uomo stesso. È recente, infatti, la notizia del riuscito trapianto, per la prima volta in Europa - in Inghilterra - di un cuore espiantato da un cadavere, di un organo cioè clinicamente morto, consentito da una tecnica di «ricondizionamento» dei tessuti. Una metodica che apre la porta all entrata nella vita reale di quell archetipo dell immortalità fisica attraverso la rivitalizzazione della materia organica, già magistralmente illustrato dal Frankenstein o il moderno Prometeo di Mary Shelley. Il Golem era ritenuto incapace di pensare, di parlare e di provare qualsiasi tipo di emozione perché privo senza scampo di anima I Prometei del passato Prometeo: il Titano che rubò il fuoco dagli dei per donarlo all umanità; da sempre il simbolo della liberazione dalla schiavitù dell ignoranza e l anelito alla conoscenza come fonte di libertà. Ma anche la metafora della hýbris, dell orgoglio che vìola leggi immutabili, con la conseguente némesis, la punizione divina, in questo caso per una conoscenza di forze superiori che si possono rivoltare contro chi non è in grado di gestirle, perché il livello evolutivo non è ancora in grado di disperdere le ombre che scaturiscono dalla loro luce. E così, prima del mostro gotico per eccellenza, la Creatura di Mary Shelley, altri antecedenti mitologici e letterari ci narrano della volontà dell uomo di ricreare la vita imitando il suo stesso Creatore. Già nella Bibbia, nel Salmo infatti, compare la figura del Golem. Il termine deriva probabilmente dalla parola ebraica gelem che significa «materia grezza» o «embrione», che gli Ebrei accomunano ad Adamo prima che gli fosse infusa l anima. Secondo la tradizione cabalistica, dai poteri legati alla meditazione sui nomi di Dio si può fabbricare un Golem di argilla che può essere usato come servo. Si dice che il Golem sia stato creato attraverso le formule contenute nel Sefer Yetzirah - «Libro della formazione» o «Libro della Creazione» - il più importante testo di riferimento dell esoterismo ebraico risalente alla sapienza di Avraham, Abramo, che si distingue per l esegesi dell alfabeto e della corrispondenza tra la dieci Sefirot e l anatomia del corpo umano. Le Sefirot nella Cabala ebraica sono le dieci «emanazioni» divine, cioè le modalità o gli «strumenti» attraverso cui Dio si rivela e continuativamente crea sia il Regno fisico che la Catena dei Reami metafisici superiori (Seder hishtalshelus). Il Golem era ritenuto incapace di pensare, di parlare e di provare qualsiasi tipo di emozione perché privo di un anima che nessuna magia fatta dall uomo sarebbe stata in grado di fornirgli. Questo sottile diaframma separa, almeno nella tradizione cabalistica, il Creatore dall uomo, incapace di generare la coscienza di sé: ciò che distingue in essenza la vita superiore da quella inferiore. Nelle storie narrate da Ahimaaz ben Paltiel, cronista medievale del XII secolo, si narra come nel IX secolo il rabbino Ahron di Bagdad, scoprisse un Golem a Benevento: era un ragazzo cui era stata donata la vita per mezzo delle formule magiche contenute nel Sefer Yetzirah. Sempre alla fine del IX secolo, secondo Ahimaaz, nella città di Oria, in Puglia, risiedevano dei sapienti ebrei capaci di creare il Golem. È interessante notare come le lettere, che per la tradizione cabalistica potrebbero essere utilizzate per creare un Golem, sono le stesse conservate nelle piccole Mezuzah - contenitori del deuteronomio - simboli di alleanza con Dio, che si trovano presso le porte di ingresso delle case ebraiche. Ancora oggi, ad esempio nel ghetto di Venezia, è possibile osservarle. La Mezuzah viene fissata obliqua, come la vita. La sua funzione è rendere coscienti dei propri doveri. Per i mistici ebrei, dunque, la vita non si illumina se non c è volontà consapevole. I cabalisti dicono che solo così si può varcare Malkhut: la sefirà ove la luce cambia direzione, passando dalla discesa alla salita. In chi non ha meriti è il luogo ove si fa esperienza della Caduta; per chi esercita la retta intenzione è invece l inizio della trasfigurazione; evidentemente tra le rette intenzioni non rientra la volontà di ricreare la vita. Tutte le leggende inerenti il Golem, infatti, hanno in comune sia la volontà creatrice dell uomo che si vuole elevare a Demiurgo, sia la punizione divina per un opera prometeica che travalica le sue capacità. Non a caso la figura del Golem viene richiamata nel romanzo della Shelley come ispirazione del dottor Frankenstein sia dal punto di vista dei limiti della creazione umana, anche la Creatura è apparentemente senza anima, sia dal punto di vista della particolarissima nemesi divina che si manifesta attraverso l attivazione di una oscura forma di coscienza da cui l essere creato dall uomo è comunque in qualche modo animato e che finisce, proprio per questo, per rivoltarsi contro il suo creatore che non lo riconosce per ciò che egli sente di essere: un entità forse non umana e tuttavia dotata di una consapevolezza propria che vuole essere gratificata. Tutti questi elementi sono magistralmente riassunti nella vicenda del Golem creato da Rabbi Loewe ( ), celebre rabbino in Praga, costruttore, secondo la leggenda, di un potentissimo essere di fango, usato come schiavo ma che, ad un certo punto, si ribella al dominio del suo dispotico creatore. La storia narra come il Golem si rivoltasse proprio perché non era riconosciuto in lui lo «spirito», la sua vita equivalente. Nel XII secolo esisteva una versione della leggenda secondo la quale, per animare il Golem, veniva scritta sulla sua fronte la parola «verità», in ebraico emet; quando veniva cancellata la lettera iniziale, l Aleph, restava la parola «morte», met, ed egli si disanimava. Un giorno il rabbino lasciò il servo di fango da solo; arrivata la sera il Golem trovò una sua forma di esistenza e libertà tra le polarità opposte della vita e della morte. Inebriato da questa nuova sensazione fuggì seminando panico tra gli abitanti del ghetto ed alla fine solo la presenza di un bambino, un essere come lui innocente, lo fermò. La scena finale è questa: il Golem si inchina dinanzi al bambino che, invece di cancellargli la lettera, accarezza tutta la parola, così che egli possa finalmente morire, come un essere che ha veramente vissuto. Una versione della leggenda, illustrata da Dino Battaglia e pubblicato sulla rivista Linus nel maggio del 1971, finisce con questa frase illuminate: «Chi potrà dirci cosa pensava Dio nel guardare il suo rabbino in Praga?». Altro essere creato dall uomo attraverso le arti arcane è l Homunculus attribuito, tra gli altri, a Paracelso, il celebre medico ed alchimista svizzero ( ), il cui vero nome era Philipp Theophrast von Hohenheim. Nel testo del suo De natura rerum, per la verità più probabilmente un testo pseudoparacelsiano, troviamo una ricetta in proposito, che parte da uno spermatozoo (la fonte di vita), opportunamente allevato: «Se la fonte di vita, chiusa in un ampolla di vetro sigillata ermeticamente, viene seppellita per quaranta giorni in letame di cavallo e opportunamente magnetizzata, comincia a muoversi e a prendere vita. Dopo il tempo prescritto assume forma e somiglianza di essere umano, ma sarà trasparente e senza corpo fisico. Nutrito artificialmente con arcanum sanguinis hominis per quaranta settimane e mantenuto a temperatura costante prenderà l aspetto di un bambino umano. Chiameremo un tale essere Homunculus, e può essere istruito ed allevato come ogni altro bambino fino all età adulta, quando otterrà giudizio ed intelletto». Questa trasfigurazione guiderà anche la creazione dell Homunculus nel Faust II di Goethe. A questo proposito Pietro Citati, nel suo Goethe, osserva che la meta che Faust si propone è la più alta meta simbolica che Goethe abbia mai proposto agli uomini: redime e salvare la natura. Da notare anche in Paracelso, come poi sarà in Frankenstein, il riferimento alla «magnetizzazione» come forza agente della rivitalizzazione di sostanze organiche, che troviamo già nel 700 ad animare un «falso automa» per eccellenza, il Turco del barone ungherese Wolfgang Von Kempelen. Anche questa fantastica macchina, infatti, capace di giocare a scacchi e di sconfiggere i più grandi scacchisti europei ed americani di quel secolo, si diceva fosse animata dal «magnetismo animale» studiato da Franz Anton Mesmer ( ) e dunque noto con il nome di «mesmerismo». La notorietà del «mesmerismo» è tale che Mozart, nel finale del primo atto della sua celebre opera Così fan tutte, fa «resuscitare» Ferrando e Guglielmo dalla cameriera Despina la quale, travestita da medico, rianima i due servendosi di una calamita, mentre canta: «Questo è quel pezzo di calamita: pietra mesmerica, ch ebbe l origine nell Alemagna, che poi sì celebre là in Francia fu». Va detto che anche E. A. Poe, indagatore del segreto del Turco, era un seguace del «mesmerismo», tanto da scrivere alcuni celebri racconti sull argomento, tra i quali Rivelazione Mesmerica (o Magnetica), in cui racconta di un soggetto «mesmerizzato» che, in punto di morte, comincia a descrivere la vita nell aldilà. Qui lo scrittore dei più avvincenti racconti dell orrore senza nome rovescia, in questo modo, l archetipo delle creazione della vita mondana in quella dell aldilà. Galvani e Volta Ma, oltre a queste ascendenze leggendarie o mistiche presenti nel romanzo, al tempo della concezione del Frankenstein furono ben più attuali ed influenti le evidenze scientifico sperimentali, dato che sin dalla metà del XVIII secolo diversi studiosi stavano esplorando la concreta possibilità di rivitalizzare la materia inerte rendendogli quel «fluido vitale», come si pensava allora, che distingueva la vita organica da quella inorganica. La lunga serie di tentativi concreti di dare nuova vita ai tessuti morti nasce con il «galvanismo», termine derivato dagli esperimenti di Galvani e di Volta. Lo scienziato bolognese studiò in particolare il cosiddetto fenomeno dell elettricità animale sviluppando, sulla base di questo assunto, la teoria secondo la quale gli esseri viventi fossero in possesso di una sorta di elettricità intrinseca prodotta dal cervello, propagata al corpo tramite i nervi, ed infine immagazzinata nei muscoli. Gli esperimenti del padre della neurofisiologia nascono dalle osservazioni di Benjamin Franklin che, nel 1750, aveva dimostrato come nell atmosfera fosse presente una carica elettrica naturale che genera i lampi. Così Galvani nel 1786 cercò di capire se e come l elettricità presente nell atmosfera potesse generare contrazioni muscolari; si accorse ben presto, però, che i due fenomeni, quello naturale cioè estrinseco e quello endogeno, intrinseco ai corpi - in questo caso delle famose «rane preparate» - erano sì di natura simile, ma diversi per generazione. Lo scienziato, come spesso succede, ebbe l intuizione fondamentale durante un ennesimo esperimento per collegare l elettricità naturale al fenomeno delle contrazioni: era il 1781;

9 ALIAS (9) Galvani, aveva «preparato» una rana, con i nervi crurali e il midollo spinale isolati, e l aveva posta ad una certa distanza da una Bottiglia di Leida, il primo rudimentale generatore di energia elettrica messo a punto, nell omonima città, dall olandese Pieter van Musschenbroek nel Durante lo scocco di una scintilla un assistente toccò per distrazione con la pinza il nervo crurale scoperto e questo provocò un intensa contrazione delle cosce dell animale. Galvani rimase impressionato dall evento la possibilità cioè che esistessero altre forme di elettricità, oltre quella naturale estrinseca - e decise di approfondire l intuizione. Dopo diversi esperimenti riuscì finalmente ad ottenere delle contrazioni collegando, attraverso un conduttore metallico, le strutture nervose, nervi o midollo spinale, ai muscoli delle zampe. In questo modo Galvani aveva creato un sorta di circuito simile a quello che si formava proprio nella Bottiglia di Leida. Nel suo De viribus electricitatis in motu musculari commentarius del 1791, il bolognese illustra le sue conclusioni: esiste negli animali una elettricità intrinseca che egli chiama «elettricità animale». Negli animali, dunque, esiste la capacità di immagazzinare il fluido elettrico e di mantenerlo in uno stato di eccitazione potenziale che l arco conduttivo è in grado di mettere in movimento producendo la contrazione muscolare. Questa teoria fu poi contestata da Volta che iniziò a considerare l idea che l elettricità potesse derivare dai metalli stessi. Benché Galvani dimostrasse, nel 1797, che la contrazione poteva essere provocata connettendo direttamente due nervi dell animale senza l utilizzo dell arco metallico, questo esperimento, considerato come fondante l elettrofisiologia, non venne compreso nelle sue implicazioni poiché Volta era riuscito nel frattempo a creare una macchina che poteva generare energia: la pila. Il successo di questa invenzione portò in auge Volta e l ipotesi dell elettricità animale venne accantonata. Tuttavia qualche decennio dopo, quando si comprese che a generare l elettricità della pila erano gli ioni presenti nella soluzione salina e che il ruolo dei metalli era solo quello di trasformare l energia chimica di questi ioni in energia elettrica, le intuizioni di Galvani furono rivalutate. Frankenstein Junior In tutto questo la parte di comprimario venne giocata dal nipote di Galvani, Giovanni Aldini, una sorta di Frankenstein Junior che, tra il 1802 e il 1803, a Londra, eseguì degli esperimenti su cadaveri umani e animali con l esplicito intento di riportarli in vita: collegava alcuni elettrodi a teste mozzate ottenendo così delle contrazioni dei muscoli pellicciai (quelli che generano le varie espressioni del volto) e, mirabile visu, a volte l apertura delle palpebre, con effetti sugli spettatori che si possono immaginare. Se poi gli elettrodi venivano collegati ai corpi decapitati si avevano vere e proprie convulsioni e movimento degli arti che, per un momento, davano l illusione di una possibile rinascita. Come ci ricorda Alex Boese nel suo documentatissimo Elefanti in acido, la dimostrazione più celebre rimane quella svoltasi a Londra, al Royal College of Surgeons, il 17 gennaio 1803: «L assassino ventiseienne George Forster, impiccato per l omicidio di moglie e figlio, appena staccato dalla forca fu portato nella sala del collegio. Aldini collegò i poli di una batteria rame-zinco da 120 volt a diverse parti del corpo di Forster: al volto innanzitutto, quindi alla bocca e alle orecchie. I muscoli della mascella ebbero uno spasmo e l espressione dell assassino divenne una smorfia di dolore. L occhio sinistro si aprì, fissando sbarrato il suo torturatore. Aldini divenne l onnipotente burattinaio di quella marionetta disarticolata: fece battere un braccio sul tavolo, inarcare la schiena, fece aprire i polmoni in un angosciato respiro. Poi, il gran finale: collegò un polo ad un orecchio e infilò l altro nel retto. Il cadavere cominciò una danza grottesca e terribile. Scrisse l inviato del London Times che la mano destra si era alzata stringendo il pugno, mentre le gambe e i fianchi avevano iniziato a muoversi. Agli spettatori non informati su quel che stava succedendo sembrò davvero che il corpo di quel disgraziato fosse sul punto di riprendere vita». Non sappiamo se Aldini abbia anche tentato di rigenerare stabilmente un singolo organo morto, cosa improbabile per quei tempi senza trapianti, ma sappiamo per certo che proprio dai suoi esperimenti Mary Shelley trasse ispirazione per il personaggio del dottor Frankenstein. Altro essere creato dall uomo attraverso le arti arcane è l Homunculus attribuito, tra gli altri, a Paracelso, il celebre alchimista svizzero L intelligenza del cuore Dagli esperimenti di rianimazione dell 800 dovremo attendere un centinaio di anni prima di arrivare alle tecniche trapiantistiche attuali, favorite nel tempo da una maggiore conoscenza sia della neurofisiologia e dell immunologia, sia da un avanzamento tecnologico in vari campi correlati. Si arriva così al primo intervento, quello operato da Christian Barnard nel lontano 1967, con tutti gli interrogativi che poneva la nuova tecnica: cos è una persona, cosa ne forma l individualità unica ed irripetibile, è possibile «restare se stessi» ricevendo organi di un altro individuo, soprattutto il cuore, vaso simbolico dei sentimenti e delle regioni più profonde dell essere? Ma Barnard, e molti altri dopo di lui, aveva trapianto un cuore pulsante, vivo. Oggi, con il «ricondizionamento» di un cuore morto trapiantato su un vivo, questi interrogativi si espandono ulteriormente: è ammissibile rianimare un cadavere, cioè resuscitarlo? Porsi cioè alla stessa stregua della divinità, per chi ci crede almeno, che ne ha decretato la morte? In questa serie di questioni, da cui ovviamente ne conseguono molte altre prima tra tutte la definizione stessa di morte - risiede il senso di un dibattito che ondeggia tra psicologia, etica, medicina e religione. Nessun organo come il cuore, infatti, assomma in sé sia la simbolica del principium individuationis cioè dell unicità identitaria di un individuo, sia quello di una «intelligenza superiore», l intelligenza del cuore appunto, in grado di far risuonare il nostro organo con quello della Creazione e del suo Creatore stesso, simboleggiato nell iconografia cristiana, dal Cuore di Gesù o da quello della Vergine dei sette dolori, trafitto di spade. «Il cuore e non la ragione sente Dio» dice Pascal. Ma è certamente S. Agostino il fondatore del primato del cuore: «Non corporis voce, quae cum strepitu verberati aeris promitur, sed voce cordis, quae hominibus silet, Deo autem sicut clamor sonat»... non con la voce del corpo, la cui sonorità risulta dalla vibrazione dell aria, ma con la voce del cuore, che è silenziosa per gli uomini, ma innanzi a Dio risuona come un grido. Una visione religiosa avvalorata poi sul piano laico dall avvento dell Amor Cortese di cui Dante, suo seguace, si servirà nel descrive il Paradiso. Ma la supremazia del cuore in quanto organo centrale dell individualità, più fondante in questo senso del cervello, la troviamo già in Aristotele che, nel suo De generatione animalium ci dice come sia il cuore che primo si sviluppa e poi, a sua volta, sviluppa l embrione, arrivando ad affermare che «il principio naturale è nel cuore». Anche Isidoro di Siviglia, l enciclopedico saggista medioevale, nel suo monumentale trattato Etymologiarium sive Originum afferma che: «Cuore è nome derivato dal greco kardias, ovvero dal sostantivo cura: nel cuore, infatti, risiedono ogni sollecitudine e causa di conoscenza (causa scientiae)». James Hillmann nel suo L anima del mondo ed il pensiero del cuore sostiene che l inizio del processo di «ricomposizione» della scissione che esiste tra il mondo dentro e quello fuori di "Prometeo", Rubens ( ); "Golem", Murnau 1920; una stampa raffigurante Paracelso; "Frankenstein", James Whale (1931), una stampa raffigurante la macchina del barone von Kempelen; ritratto di Luigi Galvani noi muove dalla consapevolezza di una comune appartenenza. Per renderla effettiva è necessario «scrutare consapevolmente l abissale che esiste dentro-fuori di noi, restando in equilibrio, soffermandoci in questo pensiero». L abissale, secondo Hillmann è il nostro stesso cuore, la nostra essenza più contraddittoria ed inesplorata. Evidentemente il cuore del quale parla lo psicanalista del Puer Aeternus è quello simbolico, sede della forza vitale che ci collega con l anima del mondo. «È questo il cuore che vogliamo in petto», continua Hillmann, «non la mera pompa che si guasta in-farcita dello stress cui ci sottopone la vita nella modernità». L immagine che abbiamo del nostro cuore è dunque fondante, perché ce lo restituisce come visione di qualcosa che è precisamente dentro-fuori di noi, che lega il nostro corpo particolare con il resto del mondo, pompando il fluido vitale che collega, attraverso l ossigeno, ogni singola cellula proprio a quella atmosfera che ci consente la vita. Questa capacità del cuore di immaginarsi nel mondo allo stesso tempo immaginando il mondo, cioè creandolo dalla natura stessa della sua propria natura, è detta himma dal poeta-filosofo Ibn Arabi. Certo il cuore è anche l organo delle passioni più feroci, basti pensare all episodio del Decamerone in cui Messer Guiglielmo Rossignone dà in pasto a sua moglie il cuore di Messer Guardastagno, ucciso da lui perché amante da lei. L antropofagia poi, in ogni tempo e cultura, ed ancora oggi negli episodi più barbari delle guerre attuali, vede l atto di strappare e poi mangiare il cuore del nemico sia come forma di appropriazione delle sua forza vitale sia come estremo sfregio al suo cadavere. Anche nella Vita nuova, però, sempre in omaggio alla visione «cordiale» dell Amor Cortese, Dante sogna che la sua amata gli mangi il cuore, volendo con questo simboleggiare il rapimento spirituale che lo coglie alla vista della figura di Beatrice. Arrivando ai nostri tempi, basti riferire l inquietudine della signora Washkansky, moglie del primo trapiantato che, alle domande dei giornalisti sul suo stato d animo rispondeva: «Quello che realmente mi preoccupa è che mio marito non mi ami più». Ancora più sottile, però, fu il senso della risposta alla domanda posta al trapiantato stesso che aveva, da ebreo, avuto in dono dalla chirurgia il cuore da un «gentile»: Washkansky disse che «si sentiva» benissimo, come pure il secondo trapiantato da Barnard che ricevette, da bianco nel Sud Africa razzista, il cuore di un nero, con la conseguenza di una lunga diatriba filosofico-politica sulla possibilità che il cuore di un nero potesse entrare, con il suo nuovo corpo, nei locali per soli bianchi! Infine vale la pena ricordare un topos della miracolistica cristiana: il trapianto ad opera dei Santi Medici Cosima e Damiano, nel III secolo d. C., della gamba di un nero su un bianco. E dunque, anche se la scienza avanza di buon passo, le ascendenze filosofiche e simboliche resteranno permanenti per molto altro tempo mettendo il nostro cuore al posto giusto, facendone sempre cioè il luogo dell identità sentimentale, anche quando, forse un giorno non lontano, saremo tutti delle nuove Creature perché, nonostante le diverse parti possano provenire da corpi diversi, come diceva già Nietzsche, «ciò che pensa ed ama è il nostro corpo nel suo insieme».

10 (10) ALIAS CIBO di BEATRICE CASSINA BERKELEY Poco più di cinquant anni fa a Berkeley, la cittadina californiana universitaria che si affaccia sulla baia di San Francisco, era nato il Free Speech Movement come risposta di forte protesta al divieto di diffusione di letteratura politica nel Campus. Era il Era nata così, come in molte altre città universitarie americane, la controcultura americana. Contro: contro la guerra in Vietnam, contro la censura. Ma per i diritti della donna, per i diritti della popolazione nera, per le lotte dei Black Panthers. E anche per i capelli lunghi dei ragazzi, per la libertà sessuale e anche per quella musica che era poi arrivata fino al concerto di Woodstock. Una controcultura e autocoscienza crescente, che aveva cominciato ad opporsi sempre più consapevolmente a ogni manifestazione collegata al mondo spesso indisciplinato del capitalismo e delle corporation. La controcultura di quegli anni stava cominciando a cambiare la vita di tutti. «Quello che è personale, è politico» e «Sei quello che mangi» erano gli slogan di quei giorni che, ancora oggi, non vengono dimenticati. Era stata una rivoluzione in molti ambiti e, in modo silenzioso ma certamente non timido né incerto, anche in quello del cibo e dell alimentazione. I primi pionieri nell ambito dell alimentazione erano stati, proprio a Berkeley nel 1967, due negozi. Peet s Coffee, Tea and Spices ( con il primo negozio su Shattuck e Vine, che oggi contiene un piccolo museo sulla propria storia. Era stato l antesignano, grazie alla preparazione data direttamente da Alfred Peet, di quello Stabucks che avrebbe poi aperto a Seattle solo quattro anni dopo. Il secondo tassello era stata la cooperativa Cheese Board ( dove la collezione di formaggi non aveva - e non ha tuttora - davvero niente da invidiare ai nostri negozi gourmet. Già, erano stati i due primi coraggiosi tentativi di spiegare all America, abituata a caffè industriale e a formaggi, spalmabili e non, di grandi aziende alimentari, che c erano altri modi per gustare e apprezzare il profumo di un caffè o assaporare il gusto dei tanti e diversi formaggi del mondo. A poche fermate di metropolitana da San Francisco, per pochi blocchi lungo Shattuck avenue, tra Rose e Hearst street, c è il ghetto tra i più appetitosi e consapevoli, per quanto riguarda l alimentazione, dell intera California. Il cibo aveva assunto sempre più importanza e si era sempre più curiosi di conoscere altri cibi e altri modi di cucinare. Nel 1971 Alice Waters, ispirata dal cibo e dalla vita della Provenza francese che aveva visitato, aveva aperto con degli amici il piccolo ristorante Chez Panisse ( che, negli REPORTAGE DALLA CALIFORNIA Gourmet Ghetto, l anima culinaria di Berkeley anni, è diventato tra i più rinomati della Bay Area. Ristorante esclusivo che i grandi appassionati di cucina sentono l obbligo di visitare almeno una volta nella vita. Di sicuro nessuno resta deluso, anche perché il cliente può scoprire, grazie ai racconti del personale, tanti piccoli segreti dell arte culinaria. Per prenotare una cena al ristorante, che non è a la carte e quindi ogni giorno propone un unico piatto, a volte, soprattutto nei weekend, si aspetta per qualche settimana. Ma, in caso si fallisse con il ristorante, c è sempre il Café al piano superiore, più informale e con un menù à la carte. Anche qui, come per il ristorante al piano inferiore, cibo ottimo, privo di Ogm, biologico, di stagione, di provenienza locale. Il neo un poco fastidioso è però che il prezzo fisso a Chez Panisse ristorante non è particolarmente rivoluzionario, se si considera che, dal 18 maggio di quest anno, solo sedersi a uno di questi tavoli nei weekend costa, bevande, mancia del 17% e tasse del 9.5% escluse, 125 dollari. A volte sembra che la famosa e illustre Nel 1971 Alice Waters, ispirata dal cibo e dalla vita della Provenza francese aveva aperto il piccolo ristorante «Chez Panisse! che, negli anni, è diventato tra i più rinomati della Bay Area proprietaria, che qualcuno chiama la «madre del cibo americano», più che una vera rivoluzionaria, sia in realtà una bravissima imprenditrice con ottime capacità comunicative. La signora Waters infatti, nonostante abbia vinto molti premi e riconoscimenti per la cucina sana, nonostante abbia scritto molti libri di cucina e organizzato molti eventi nel mondo del cibo, e nonostante sia la vice presidente di SlowFood International, si presenta al controverso Expo 2015 con un video (con tanto di logo ufficiale dell evento milanese alle spalle) che, ci dicono dal suo quartier generale di Berkeley (perché dall ufficio stampa Expo purtroppo nessuno ha dato cenno di risposta), è stato probabilmente girato a Torino l anno scorso durante Terra Madre. Forse, almeno per essere comunque gentilmente presente... Ma la sua filosofia «rivoluzionaria e sessantottina», almeno così ci sembrava e speravamo, non dovrebbe essere in disaccordo con molte iniziative e nomi che sostengono l evento milanese? Sfortunatamente non c è stato modo di intervistarla per il manifesto, nonostante l intervista fosse stata chiesta già da febbraio e sembrasse quasi confermata. Il 16 marzo abbiamo ricevuto, mentre eravamo proprio a Berkeley, l annullamento per ogni possibile incontro e intervista, perché Alice Waters sarebbe stata molto impegnata in Italia (forse anche con un esclusiva con Repubblica). Peccato. Non si sa bene cosa sia successo riguardo agli impegni e alle esclusive, ma di certo la possiamo vedere promuovere la sua alimentazione e i suoi progetti sani per le scuole americane, sul sito di Expo 2015 con il video di cui sopra ( ponet/it/taste/interview-with-alice-w aters). Ci dice di lavorare nel sistema di scuole pubbliche a Berkeley da vent anni, anche con il progetto Edible Schoolyard Project ( Aggiunge poi che «parte del problema (sull alimentazione n.d.r.) ha a che fare con le grandi corporation che posseggono il nostro sistema-cibo. Dobbiamo trovare la strada per tornare all orto». E allora è davvero una situazione un po particolare, quasi paradossale. La domanda è facile: perché un attivista che promuove l uscita dal sistema delle corporation, racconta la sua «battaglia» all interno di un evento sostenuto anche e soprattutto da due delle più grandi corporation e multinazionali alimentari del mondo, che si chiamano McDonalds e Coca Cola? Ma tant è, ha amici che contano e, tra le molte altre cose, ha convinto Michelle Obama a fare e promuovere l orticello casalingo mentre la Berlinale, festival del film di Berlino, l ha appena premiata, insieme a Carlo Petrini, con il Camera Award per essere attivisti del cibo «buono, pulito e giusto». Bello. Gourmet Ghetto era ed è comunque davvero una filosofia di vita, d amore per la terra, soprattutto per il cibo di qualità e da molte parti del mondo, che vuole mantenersi sempre lontano da qualsiasi cibo spazzatura di cui non si conosca la storia (da tener presente che, anche nella democratica California, per legge, non si può sapere dalle etichette degli alimenti se un prodotto contiene o no OGM). Comunque, negli anni della vera controcultura il Gourmet Ghetto si preparava a diventare una vera istituzione. E ancora oggi infatti non è solo un centro per trovare cibo e ristoranti sani e di qualità, ma soprattutto un modo di essere e vivere il cibo che non deve e non può essere politicizzato e monopolizzato dai grandi nomi dell alimentazione veloce e approssimativa. Quindi anche alla faccia di quell Expo milanese che ha come sponsor ufficiali i due colossi mondiali Coca Cola e McDonald s. Ma alla fine, politica, controsensi, possibili ipocrisie, malintesi e Waters a parte, per chi vuole conoscere la dedizione con cui questo piccolo angolo di California illuminata si impegna costantemente nel culto del cibo buono e sano (che qui va difeso molto più di quanto si debba fare a casa nostra), da più di dieci anni esiste Edible Excursions ( Tour organizzati accompagnano visitatori curiosi lungo Shattuck avenue alla scoperta del cibo di qualità. E, anche se a un italiano può fare un po ridere, si deve riconoscere che questa America ha l entusiasmo sincero di chi ha scoperto qualcosa In pagina Tea Garden e Chocolate che non conosceva e a cui ha voglia di dedicarsi seriamente. Qui tutto è biologico (che è l unico modo per saper se quello che mangi non contiene OGM), di stagione e connesso a piccoli commerci locali. Lungo il giro di tre ore si passa da un gelato a un pastrami, tutto sempre spiegato dalle esperte guide del gusto. Da Soop, ( si provano zuppe in versione vegana, vegetariana, con carne o con pesce con il motto Eat Soup. Be Happy. Grégoire Restaurant ( è aperto tutti i giorni e, tra le specialità, c è Crispy Potato Puffs, una specie di nuvole croccanti di patate che si sono guadagnate i complimenti di molti critici culinari della Bay Area. Incontriamo anche sapore italiano da Alegio Chocolate ( dove il cioccolato e il cacao africano di Claudio Corallo, insieme a Lush Gelato ( stanno all ingresso del negozio-tempio della cucina Epicurious Garden ( Qui si trovano molti altri piccoli imprenditori del cibo, come la cucina giapponese di Kirala ( o i tè di Imperial ( t.asp). C è anche una sosta in una della vinoteche più apprezzate della città: Vintage Berkeley ( dove bottiglie di qualità e da tutto il mondo sono generalmente sempre sotto i 25$. Per chi poi vuole davvero indagare e conoscere fino in fondo l anima culinaria di Berkeley e del Gourmet Ghetto, il giovedì pomeriggio c è il Farmers Market su Rose street, con gruppi che suonano musica e dove ogni germoglio, foglia, frutto e verdura sono tutti, ovviamente, biologici.

11 ALIAS (11) SINTONIE A CURA DI SILVANA SILVESTRI CON ANTONELLO CATACCHIO, ARIANNA DI GENOVA, GIULIA D AGNOLO VALLAN, MARCO GIUSTI, GIONA A. NAZZARO, CRISTINA PICCINO IL FILM '71 DI YANN DEMANGE, CON JACK O'CONNELL, PAUL ANDERSON. UK Inghilterra La recluta Gary Hook viene inviato in Irlanda del Nord. Ma all interno dell Ira ci sono due fazioni in lotta tra loro. L accoglienza non è ovviamente delle migliorie le cose si aggravano per il soldato quando scopre casualmente che alcuni ufficiali dell esercito sono coinvolti nella fabbricazione di ordigni per gli attentati. GIOVANI SI DIVENTA DI NOAH BAUMBACH, CON NAOMI WATTS, BEN STILLER. USA Ben Stiller e Naomi Watts sono Josh e Cornelia Srebnick, una coppia di quarantenni newyorkesi felicemente sposati e impegnati in campo artistico. Un giorno fanno conoscenza con una giovane coppia Jamie (Adam Driver) e Darby (Amanda Seyfried) liberi e disinibiti IL NEMICO INVISIBILE CON NICOLAS CAGE, IRÈNE JACOB, ADETOMIWA EDUN. USA Dopo essere stato costretto a mettersi in pensione l ex agente della CIA Evan Lake (Cage) scopre che il suo vecchio nemico, il terrorista Muhhamed Banir, è stato trovato vivo dopo due decenni. Lake non esegue l ordine dei superiori e inizia una missione per eliminare il nemico. TERMINATOR GENISYS (3D) DI ALAN TAYLOR, CON EMILIA CLARKE, ARNOLD SCHWARZENEGGER. USA John Connor (Jason Clarke), leader della resistenza umana spedisce il sergente Kyle Reese (Jai Courtney) indietro nel 1984 per proteggere Sarah Connor (Emilia Clarke) e per salvaguardare il futuro, ma un evento inaspettato crea una frattura nella linea temporale. Il sergente Reese si troverà in una nuova e sconosciuta versione del passato, dove si troverà di fronte come alleato il Guardiano (Arnold Schwarzenegger) e nuovi pericolosi nemici. BACKSTREET BOYS: SHOW 'EM WHAT YOU'RE MADE OF DI STEPHEN KIJAK. DOCUMENTARIO. USA UK Docufilm che racconta la storia della celebre band della fine degli anni 90, oggi tornati in voga grazie alla reunion del Oggi quarantenni, raccontano 20 anni di carriera, vendite record e droga. BABADOOK DI JENNIFER KENT, CON ESSIE DAVIS, NOAH WISEMAN. AUSTRALIA Horror australiano. Amelia (Essie Davis) è riasta vedova dopo la morte violenta del marito, alle prese con l educazione del figlio che continua a fare incubi su un mostro che li vorrebbe morti entrambi. La paura si concretizza quando da un libro di favole si materializza una violenta creatura che nulla ha di onirico. SPY PAUL FEIG, CON MELISSA MCCARTHY, JUDE LAW. USA Susan Cooper lavora duramente dietro le quinte delle missioni più pericolose della Cia. Quando il suo partner (Jude Law) è disperso si offre volontaria per infiltrarsi sotto copertura nel mondo di un commerciante di armi. Commedia di spionaggio che unisce ancora una volta regista e protagonista dopo Le amiche della sposa e Corpi da reato. THE REACH - CACCIA ALL'UOMO DI JEAN-BAPTISTE LÉONETTI, CON MICHAEL DOUGLAS, JEREMY IRVINE. USA Un giovane idealista accompagna i turisti nel deserto del Nevada, ma quando è ingaggiato da un uomo d affari (Michael Douglas) che ha ucciso un uomo per sbaglio, si rifiuta di nascondere il cadavere e tra i due inizia un duro confronto. DIAMANTE NERO DI CÉLINE SCIAMMA, CON KARDJA TOURÉ, ASSA SYLLA. FRANCIA L adolescenza e le sue sfide: Bande des filles era arrivato come una folgorazione un anno fa, titolo di apertura alla Quinzaine, un film da non perdere, trasconante copme la sua musica, commovente, scanzonato, che ci fa conoscere delle ragazzine adolescenti delle periferie da vicino, contro gli stereotipi in cui vengono solitamente imprigionate. Lo sguardo della regista cerca erca la dimensione quotidiana della lotta per la libertà di Marianne, sguita con amore. Dall autrice di Tomboy, la ragazzina che si fa passare per maschietto. (c.pi.) EINSTEIN IN MESSICO DI PETER GREENAWAY, CON ELMER BÄCK, ALAN DEL CASTILLO. MESSICO FINLANDIA FRANCIA OLANDA L immagine che avevamo di Ejzentejn, filosofo e studioso enciclopedico, viene stravolto da Greenaway che vuole colmare il vuoto del film girato in Messico che non poté montare con la sua ridondante fantasia applicata ad alcune invenzioni sceniche che avrebbero destato perplessità nel regista sovietico. Il terribile Sergej spogliato -è il caso di dirlo - di tutta la sua perizia teorica e tecnica è offerto in balia del Mezcal, del tripudio dei sensi, del calore messicano, della scoperta del sesso, benché abbia alle costole i finanziatori Upton Sinclair e consorte. Certo scuote lo spettatore addormentato. (s.s.) IO ARLECCHINO DI GIORGIO PASOTTI, MATTEO BINI, CON GIORGIO PASOTTI, ROBERTO HERLITZKA. ITALIA Garbato esordio di Giorgio Pasotti che firma con Matteo Bini, montatore e autore di corti, omaggio alle sue origini bergamasche e alla sua passione attoriale. Un conduttore televisivo torna al paese per assistere il padre ricoverato in ospedale, grande interprete di Arlecchino che ancora vorrebbe portare in teatro. Si mettono a confronto i temi del talk show contro il fascino del palcoscenico, la metropoli e il paese d origine, il conflitto genitori e figli. Arlecchino inoltre bene incarna anche oggi l italiano misero e pronto alle ingegnose trovate. (a.ca.) JURASSIC WORLD DI COLIN TREVORROW, CON CHRIS PRAT, BRYCE DALLAS HOWARD. USA Tutto è minuziosamente organizzato in Jurassic World anche la paura. Ma per mantenere alto l appeal c è bisogno di continue novità come Indominus Rex, dinosauro programmato per uccidere. Quarto episodio della saga di cui Spielberg mantiene la produzione esecutiva, ma la patina vintage non basta a sottrarre il film dalla stanchezza della serialità forzata e nonostante le meraviglie della tecnologia digitale l irriverenza inventiva sembra essersi evaporata. Quello che manca è uno spazio ambiguamente visionario. (c.pi.) NESSUNO SIAMO PERFETTI DI GIANCARLO SOLDI. DOCUMENTARIO. ITALIA «Io sono totalmente privo di talento. E di fantasia». Si presenta così Tiziano Sclavi, creatore di Dylan Dog, il maggiore successo editoriale del fumetto italiano degli ultimi decenni. Giancarlo Soldi, che nel 1992 porta sul grande schermo Nero, romanzo di Sclavi, conosce bene l universo dello scrittore e vanta una frequentazione continuativa con la nona arte come testimoniano i suoi film Nuvole parlanti (2006), Graphic Reporter (2009) e Come Tex nessuno mai (2012). Così, mentre la Bonelli tenta il rilancio editoriale nelle edicole, Soldi, grazie all accessibilità concessagli da Sclavi, tratteggia in Nessuno siamo perfetti il ritratto di un uomo che in realtà non ha fatto altro che raccontarsi attraverso le maschere delle finzioni delle storie più famose dell Indagatore dell incubo. (g.a.n.) PREDESTINATION DI THE SPIERIG BROTHERS, CON ETHAN HAWKE, SARAH SNOOK. AUSTRALIA Ethan Hawke è l agente che sfida il tempo all inseguimento di un assassino senza scrupoli soprannominato «il terrorista dilettante». Poi dovrà andare in pensione per non compromettere il cervello. Di film con viaggi temporali ne abbiamo visti parecchi, Predestination condivide con questi l espediente narrativo del passato da aggiustare per evitare un disastro, qui però si punta su una dimensione più esistenziale e individuale, assume il tono di una riflessione sull individuo e la sua intima pluralità, sul femminile-maschile e sulla conflittualità e aderenza che questa diade produce. (m.m.) TOMORROWLAND DI BRAD BIRD, CON GEORGE CLOONEY, BRIT ROBERTSON. USA Disastro ambiziosissimo ma affascinante, omaggio al 60 anniversario dell inaugurazione di Disneyland e a una delle sue attrazioni, il futuribile Tomorrowland. Lo studio ha preso le distanze dal film che porta la firma di uno dei grandi geni della Pixar, Brad Bird (Il gigante di ferro). Il piccolo Frank (che diventerà poi il cinico Clooney) è trasportatp da una bambina robot dal parco in un mondo parallelo del futuro governato da tutti gli effetti positivi della modernità. Su sfondi meravigliosi e rassicuranti si tesse l omaggio all utopia disneyana. Come nei Sixties, il futuro è una promessa in questo kolossal convinto e molto scombinato. (g.d.v.) LA VITA OSCENA DI RENATO DE MARIA, CON CLEMENT METAYER,ISABELLA FERRARI. ITALIA Un oggetto mutante, stridente che plana a volo radente sul cinema italiano, tratto dal libro di Aldo Nove, è un esempio di ciò che si sarebbe detto una volta «cinema impuro». Di fronte alla difficoltà di mediare fra voce della scrittura e voce del film De Maria ha scelto di ricorrere a una lingua eccessiva, un controcanto continuo e ossessivo rispetto al corpo delle immagini. È la storia di un adolescente che tenta di scomparire completamente penetrato da una voce che sembra un flusso di coscienza. Ferocemente scinde il corpo di CLément Métayer dalla voce narrante di Fausto Paravidino. E se la traccia visiva del film rimanda ad altre storie del paese e del cinema italiano, la voce si smarrisce nei meandri di un vocabolario e di costruzioni fin troppo dense. (g.a.n.) BJORK 3D IN ISLANDA STONEMILKER Usa/Islanda, 2015, musica: Bjork, regia: Andrew Huang, fonte: Youtube 8Ennesimo clip tratto dall album Vulnicura, Stonemilker è stato concepito in modo interattivo, per essere fruito su smartphone e tablet: ruotando il dispositivo a 360 ruota anche il paesaggio marino islandese davanti agli occhi dello spettatore; Bjork, di giallo vestita, si sdoppia e si triplica. La tecnologia della realtà virtuale ci consente di entrare ormai dentro il videoclip, sostituendoci alla stessa popstar, guardando dal suo punto di vista ciò che la circonda: il cielo sopra la sua testa, la terra sotto i suoi piedi. La visione oggettiva diventa soggettiva fino ad escludere la cantante dalla scena. Il pregio del video di Huang è anche l essenzialità (un semplice piano-sequenza) che non diminuisce l emozione di trovarsi, come dicevano i futuristi «al centro del quadro». Stonemilker ha anche l opzione per essere visto su un visore 3D in modo da essere ancora più immersivo. LO STADIO Italia, 2015, 4, musica: Tiziano Ferro, regia: Gaetano Morbioli, fonte: MTV 6Fusione tra videoclip e lyric video, Morbioli filma in bianco e nero Tiziano Ferro in mezza figura o figura intera su fondo bianco, intarsiandolo con un gioco continuo di grafica e lettering colorato. Opera piuttosto di routine questo promo de Lo stadio, condito qua e là con qualche interessante soluzione di graphic design. NOCTURNAL EMISSION Usa, 2012, 7 10, musica: Shilpa Ray, regia: Maria Gigante, fonte: Youtube 1Scritto e prodotto dalla stessa cantautrice di Brooklyn, Nocturnal Emission inizia (forse non casualmente) come Fireworks di Kenneth Anger, ma è poi costruito rigorosamente in bianco e nero come un mix di cinema muto (con tanto di didascalie) e found-footage. Plot: un maschio, anzi «il maschio» per antonomasia (interpretato da John Conor Brooke), è ridotto a oggetto sessuale nonché costretto alla procreazione forzata da un movimento femminile piuttosto violento (Labia), la cui leader è naturalmente Shilpa Ray. Canzone e clip affrontano in modo ironico e provocatorio la violenza sessuale, ribaltando i ruoli maschio/femmina: lo spunto sono le dichiarazioni dementi del senatore repubblicano Todd Akin riguardo al numero esiguo di donne incinte a seguito di stupro. Diretto dalla regista italo-americana Maria Gigante, Nocturnal Emission strizza l occhio all underground sia classico, sia più contemporaneo, alla Kern (vedi epilogo) o alla Maddin. MAGICO BUON GIORNO DI YASUJIRO OZU, CON KEIJI SADA, YOSHIKO KUGA, CHISHÛ RYÛ, KUNIKO MIYAKE, HARUKO SUGIMURA, KÔJI SHITARA. GIAPPONE 1959 Considerato un remake di Sono nato ma..., un film di Ozu del 1931, ma in mezzo c è stata la guerra e l americanizzazione del paese. Dopo Tokio monogatari (Viaggio a Tokio) è il secondo film del grande regista distribuito nelle sale questa estate. Ambientato nella periferia della città dove due ragazzini invece di andare a lezione di inglese si fermano dai vicini che hanno la televisione per guardare un incontro di sumo. Anche loro vogliono l apparecchio e cominciano uno sciopero «della parola» per convincere i genitori. Film a colori, di genere contemporaneo, in cui il regista era specializzato, di quelli che si giravano a Tokio dove il regista voleva continuare a vivere (mentre a Kioto si giravano i film in costume), e che hanno come tematiche l ufficio, i capi, la disoccupazione, la scuola e gli studenti, le casalinghe. Sotto il suo sguardo attento ai dettagli, si segue la rottura delle regole e la loro ricomposizione, mentre si trasmettono i codici di comportamento e la vita riprende il suo corso. I film di Ozu sono distribuito grazie a un progetto della Tucker Film in collaborazione con la storica Shochiku di Tokyo e con FICE Federazione italiana dei cinema d essai. Restaurati e digitalizzati dalla Shochiku, che ha prodotto la maggior parte dei film di Ozu sono in programma a seguire Fiori di Equinozio, Tardo autunno, Il gusto del sake, Tarda primavera. (s.s.) IL FESTIVAL SABAUDIA FILM FEST ARENA DEL CINEMA, VIALE UMBERTO I, LUGLIO Prima edizione del festival dedicato alla commedia italiana promosso e organizzato dal comune di Sabaudia, diretta da Franco Montini presidente del Sindacato critici cinematografici (Sncci): in programma otto film della stagione e cinque opere prime, una retrospettiva del genere «balneare» e una serie di incontri. Tra gli ospiti Paola Cortellesi, Riccardo Milani, Luca Argentero, Anna Foglietta, Edoardo Leo, Vincenzo Salemme, Paolo Genovese, Sabrina Impacciatore, Paolo Giaccio, Paolo Mieli, Andrea Purgatori, Francesco Bruni, Margherita Buy, Marco Giallini, Simona Izzo, Luca Miniero, Maria Sole Tognazzi. I film votati dal pubblico: Scusate se esisto! di Riccardo Milani, Noi e la Giulia di Edoardo Leo, E fuori nevica di Vincenzo Salemme, Il nome del Figlio di Francesca Archibugi, Fino a qui tutto bene di Roan Johnson, Latin Lover di Cristina Comencini, La scuola più bella del mondo di Luca Miniero, Sei mai stata sulla luna? di Paolo Genovese. Una giuria presieduta da Walter Veltroni e composta da Paola Casella, Andrea Purgatori, Giacomo Scarpelli e Piero Spila, premieranno la migliore opera, il miglior attore, la miglior attrice e l attore e l attrice rivelazione. LO SPORT MONDIALI ANTIRAZZISTI CASTELFRANCO EMILIA (MODENA) Si concluderanno domani i Mondiali Antirazzisti organizzati dall Uisp, in collaborazione con Rete Fare (Football against racism in Europe) a Castelfranco Emilia (Mo). Da ieri 200 squadre di cui 170 di calcio e 30 tra di pallavolo, basket, rugby e tchouckball sono impegnate in una non stop sino alle finali. Gli incontri, prevedono squadre miste tra migranti, ultrà di numerose tifoserie straniere e italiane. Scenderà in campo anche una rappresentativa dell Associazione nazionale calciatori, guidata da Damiano Tommasi, ex calciatore della Roma, che sarà affiancato da Renzo Ulivieri presidente dell Associazione italiana allenatori: «Mai come quest'anno i Mondiali Antirazzisti toccano un tema di stretta attualità afferma Carlo Balestri vera anima della manifestazione ogni giorno assistiamo a mille forme di discriminazione, lo sport e il calcio con questa manifestazione dimostrano di lanciare segnali a tutti i cittadini, sui temi della dignità umana e del rispetto». Alla manifestazione inaugurale, oltre al presidente dell Uisp Vincenzo Manco, è intervenuta l europarlamentare Cécile Kyenge Kashetu. Oggi e domani workshop su fumetti e cinema e concerti. Info: (p.c.) L ANIMAZIONE EUGANEA FILM FESTIVAL MONSELICE ESTE (PADOVA) 2-19 LUGLIO Peter Lord (nella foto) è l ospite d eccezione del primo fine settimana dell Euganea Film Festival dedicato al cinema di animazione. Il tradizionale weekend che Euganea Film Festival dedica al cinema d animazione si terrà ad Este dal 3 al 5 luglio. In programma numerosi cortometraggi di animazione in Concorso, un film documentario incentrato sulla figura di Simone Massi e un omaggio alla Aardman Animations. Peter Lord, regista, produttore e co-fondatore del leggendario studio di animazione inglese, vincitore di più premi Oscar e famoso per la tecnica della claymation, l animazione a passo uno di pupazzi in plastilina, incontrerà il pubblico anche sabato 4 luglio, alle nella Sala Tortolina del Centro Culturale Altinate/San Gaetano di Padova nel corso del convegno «Aardman Animations: A Portrait of a Studio» organizzato in collaborazione con Scuola Internazionale di Comics Padova. Lord racconterà come una piccola casa di produzione fondata più di 40 annifa insieme al migliore amico del liceo sia diventato il più importante studio di animazione europeo. Nella splendida cornice dei Giardini del Castello di Este verranno proiettate alcune delle più belle e importanti produzioni Aardman.

12 (12) ALIAS di VILMO MODONI Sono ormai trascorsi quasi quarant'anni da quando i Jam, la prima band di Paul Weller, fecero da spalla ai Sex Pistols durante uno dei loro concerti a Londra. In quell'occasione tra i giornalisti era presente anche Caroline Coon, del Melody Maker, fulminata dalla scoperta del punk (e più tardi dai musicisti punk, nello specifico il bassista dei Clash Paul Simonon, col quale avrà una lunga relazione). Caroline va al concerto attratta dalla novità musicale del momento e squadra diffidente i tre ragazzotti in giacca e cravatta immersi nella loro allucinazione stile Who. Nella recensione dello show li bolla con un ignominioso «revivalisti». Nel concerto successivo Paul si presenta sul palco con un cartello attorno al collo con scritto: «How can I be a fuckin' revivalist if I'm only 18?». E se nostalgico non lo era allora, non lo è certo neppure oggi, a 57 anni suonati (li ha compiuti lo scorso 25 maggio), 19 album a suo nome tra studio, live e raccolte (senza contare quelli licenziati sotto la ditta Jam o Style Council), l'ultimo, Saturns Pattern, da poche settimane nei negozi. Per lui il termine più corretto è «classico». Come la sua musica, calibrata sintesi di rock d'epoca, soul, funk e pennellate folk. Della vecchia leva emersa nel '77, solo Elvis Costello e, in parte, Joe Jackson, possono vantare un curriculum paragonabile a quello di Weller, passato dai Jam agli Style Council, alla carriera solista senza - quasi mai - sbagliare un colpo. Figlio della middle class, Paul inizia da bambino a respirare musica. Il padre suona il piano a livello amatoriale, mentre la giovane madre è appassionata di pop e compra una quantità incredibile di 45 giri. Tutta roba di buona qualità: Beatles, Elvis, Shadows, Hollies. In un'intervista concessa a Carlo Bordone confessa di aver cominciato a capire che per lui la musica era una cosa seria già a dieci anni: «Accendevo la radio e sentivo quei singoli fantastici degli Small Faces, LIVE IL MUSICISTA INGLESE PUBBLICA UN NUOVO DISCO E AVVIA IL TOUR ITALIANO A «mod» mio, torna Paul Weller dei Kinks, degli Who. E poi Strawberry Fields Forever, Penny Lane, Sgt. Pepper's... la mia venerazione per i Beatles è iniziata allora e mi ha accompagnato per tutta la vita. Ancora oggi ascoltare la voce di Lennon mi commuove e c'è stato un periodo, subito dopo il loro scioglimento, in cui ero totalmente ossessionato: non potevo credere che non ci sarebbe mai più stato un nuovo 45 dei Fab Four. Ero a tal punto disperato che per anni ho comprato i peggiori dischi di Ringo Starr per consolarmi». Gli anni solisti di Paul Weller iniziano davvero in solitudine. Dopo i pruriti adolescenziali sfogati con i Jam e la successiva dimensione soul jazz, colta e impegnata, degli Style Council, che si sono sciolti nell'indifferenza generale, il Cappuccino Kid (lo pseudonimo con cui Paul firmava le note di copertina degli album dei Council) pare davvero a un passo dall'essere ai margini della scena musicale britannica. Il colpo peggiore alla sua autostima arriva dalla cancellazione da parte della Polydor di Modernism: A L autore di «My Ever Changing Moods» porta sul palco i brani dell ultimo lavoro, «Saturns Pattern». A Gardone Riviera (Bs) domani, a Brugnera l 8 e a Roma il 9 luglio New Decade, l'album a base di synth e ritmi campionati nato dalla sbandata per la prima house e il garage di Chicago, nuove tendenze che Paul vede come naturali aggiornamenti della sua infinita passione per il r n b. Il disco avrebbe dovuto uscire sotto il marchio Style Council nel 1990, ma l'inizio dell'ultima decade del secolo scorso vede il Cappuccino Kid chiuso in casa a badare ai figli piccoli, incerto sul futuro e senza più un contratto discografico. Dal Giappone, dove Weller conta un seguito consistente fin dai tempi dei Jam, arriva però la spinta che lo fa ripartire. Prima con un contratto per l'etichetta Pony Canyon; poi con un tour accolto trionfalmente proprio mentre in Inghilterra il pubblico sembra avergli voltato le spalle. Grazie al finanziamento della casa discografica giapponese, nel 1992 esce l'omonimo esordio solista (preceduto, l'anno prima, da un singolo, Into Tomorrow, enfaticamente attribuito al Paul Weller Movement), poi pubblicato in Europa dalla Go!Disc. Per certi versi si tratta del lavoro più importante della carriera di Weller, vuoi perché tra la fine del progetto Style Council e l'uscita del primo disco solista Paul è stato davvero a un passo dallo scivolare nel dimenticatoio, vuoi perché traccia in modo netto la direzione lungo cui si avvierà la sua imperiosa rinascita artistica e commerciale. Nel disco ci sono sempre le sonorità sixties, ci sono sempre i Beatles, ma ci sono anche Crosby, Stills, Nash & Young. Ci sono le consuete influenze soul e r n b, ma si sente anche l'eco di Traffic, Van Morrison e degli Humble Pie. Per spiegare il nuovo approccio alla scrittura, Paul se ne esce con un'immagine divertente e arguta: «Mi sono messo ad ascoltare gli artisti che odiavo da giovane, quelli con la barba». Subito dopo la fine degli Style Council si avvicina a certo rock classico dei primi anni Settanta che da giovane non aveva proprio considerato: «A dire il vero, non che li odiassi, quei musicisti; è che a diciott'anni avevo troppa frenesia in corpo per fermarmi ad ascoltarli. È musica che richiede concentrazione, dedizione, e io all'epoca non potevo concedergliene. Sto parlando di Neil Young, dei Traffic, di Van Morrison, di Nick Drake. Soprattutto Drake, che per me è stata una tardiva ma bellissima scoperta. La prova che la grande musica può cambiarti la vita anche molto dopo l'adolescenza». I due album successivi a quello omonimo d'esordio, Wild Wood del 1994 e Stanley Road (la via dove era cresciuto a Woking, cittadina a poche decine di km da Londra) del 1995, confermano l'ottima vena creativa di Paul e lo rilanciano nella stratosfera dal punto di vista commerciale, soprattutto il secondo che rimane nei piani alti delle classifiche inglesi per circa un anno e si rivela una vera e propria miniera da cui i discografici estraggono una lunga serie di singoli piacevolissimi. In entrambi i dischi Weller associa ballate strepitose (Wild Wood, Porcelain Gods, Broken Stones e la stupenda You Do Something to Me) a canzoni tiratissime (Has My Fire Really Gone Out, Shadows of the Sun, 5th Dimension). Dopo il formidabile terno di dischi iniziale, l'avventura solista di Paul Weller continua fino ai giorni nostri, diradando le uscite e scendendo di qualche gradino nella scala della qualità musicale. Parrebbe quasi che in Heavy Soul (1997), Heliocentric (2000) e Illumination (2003) si sia accontentato del mero esercizio di stile. Tutti dischi formalmente indiscutibili, molto eleganti a partire dalla copertina, ben suonati anche grazie alla presenza di validi ospiti, ma persino troppo precisi nel ripetere il consolidato mix tra rock bianco e influenze black, ormai stabile marchio di casa Weller. As Is Now del 2005, pur frizzante e graffiante, non aggiunge niente di nuovo. Discorso diverso per 22 Dreams, uscito nel 2008 in occasione del cinquantesimo compleanno del Cappuccino Kid. Nelle 22 canzoni che compongono l'album, c'è di tutto: pezzi in stile mod, brit pop, atmosfere indiane, orchestrazioni alla Bacharach, sentori di Springsteen, psichedelia, l'immancabile mistura rock-soul-funky. Dopo il rientro negli abituali schemi compositivi con Wake Up the Nation (2010), due anni dopo Weller pubblica Sonik Kicks, dimostrando di volersi ancora rimettere in gioco cercando di combinare le sue tipiche sonorità con la kosmiche musik tedesca degli anni Settanta. In molti passaggi il disco lascia piuttosto disorientati, ma bisogna dare atto a Weller del tentativo di reinventare il proprio suono. Lontano dal mainstream sfiatato e bollito di troppi suoi coetanei, grazie alla profonda conoscenza di ogni piega della cultura pop degli ultimi cinquant'anni, Paul Weller è ormai diventato un'istituzione grazie a un talento compositivo che ha pochi eguali nella musica pop britannica.

13 ALIAS (13) Alcune immagini di Paul Weller. Sotto il titolo e al centro (in basso ) con i Jam; in alto a destra con Mick Talbot (Style Council). Nel riquadro a destra la copertina del suo ultimo album «Saturns Pattern» BIOGRAFIA «IN THE CITY», «THIS IS THE MODERN WORLD», «CAFÉ BLEU» Furori e ambizioni del Cappuccino Kid. Dai Jam agli Style Council alle incursioni soliste di V. MO. Prima dell'avventura solista, la carriera di Paul Weller era già decollata sulle ali di due gruppi di grande impatto artistico e commerciale. Nel pieno della deflagrazione punk, non ancora ventenne vara i Jam (assieme al bassista Bruce Foxton, al batterista Rick Buckler e al chitarrista Steve Brokes, che però lascia subito la partita). Il gruppo cucina con intelligenza punk e pop, beat e r n b. Principale punto iniziale di riferimento, oltre al furore punk del periodo, è il revival mod che fa il verso a Who e Small Faces, abilmente servito su un letto di soul Tamla Motown. La pietanza, disco dopo disco, diventa meno pepata, evolvendo verso sonorità più pop e testi più ponderati e impegnati, con un deciso cambio di rotta verso i Kinks di Village Green Preservation Society. Sbarcati a Londra e diventati subito un'attrazione nel circuito punk cittadino, Paul Weller e i suoi due scudieri firmano un contratto con la Polydor nel febbraio 1977 e iniziano a sfornare lp e 45 giri. Si parte con In the City, incendiario debutto del trio, cui fa seguito, appena sei mesi dopo, il poco convinto This Is the Modern World. I Jam intanto prendono le distanze dal movimento punk e Weller se ne esce con una dichiarazione ad effetto, soprattutto considerando il suo impegno politico negli anni a venire: «Tutta questa storia di cambiare il mondo sta diventando una moda, alle prossime elezioni voteremo conservatore». Joe Strummer non gradisce e, dopo la vittoria tories alle elezioni del '79, spedisce a Weller un ironico telegramma: «Maggie Thatcher vi aspetta a Downing Street la prossima settimana per la messa a punto degli obiettivi del governo». Weller si riscatta subito col terzo album All Mod Cons, dove, per la prima volta, rivela la capacità di dire la sua sui temi sociali con l'anti-razzista Down in a Tube Station at Midnight e mostra talento per la ballata lieve (English Rose). All Mod Cons apre la stagione dei capolavori. A ruota infatti arrivano Setting Sons, che vive tra echi della arrembante new wave (Eton Rifles ricorda i Joy Division) e i soliti rimandi stilistici (formidabile la cover di Heat Wave di Martha and the Vandellas), e lo strepitoso Sound Affect, quello di That's Entertainment, Man in the Corner Shop, Pretty Green e Start!, tutti brani che sbancano la classifica inglese dei 45 giri. Sono anni di grande successo, musica, concerti, notevoli risultati sul lato delle vendite (i Jam sono il primo gruppo dopo i Beatles ad esibirsi a Top of the Pops con due singoli in contemporanea in classifica), bevute, scazzottate (addirittura con mezza nazionale di rugby australiana in un hotel di Leeds), fotografie sotto il Big Ben vestiti come gli Who e prime INCONTRI «I FAB FOUR HANNO INVENTATO E CAMBIATO TUTTO» Anatomia di un ragazzo che sognava i Beatles di SERENA VALIETTI MILANO Prima di guadagnarsi l appellativo di Modfather, prima degli Style Council, prima di Stanley Road, prima di diventare l icona di un Inghilterra che ha saputo raccontare per oltre tre decenni, prima di tutto ciò Paul Weller era John William, un giovane del Surrey, che sognava Londra e i Beatles e che mai si sarebbe immaginato di trovarsi quarant anni dopo a presentare il suo ultimo disco solista, Saturns Pattern all undicesimo piano di un grattacielo di Milano. E nel suo ultimo album ritorna ancora quel suo primo amore, la Londra di In the City, singolo di debutto di Weller e i suoi Jam datato 1977, diversa eppure uguale da quella che ritrova in These City Streets nella traccia di chiusura del nuovo lavoro «stavo sicuramente pensando a Londra quando l ho scritta. Credo ancora sia la più bella città del mondo», la sua Londra, quel West End di fine anni Settanta in cui è arrivato da diciottenne, «in un piccolo appartamento vicino a Baker Street: dietro l angolo c era la boutique dei Beatles». «All epoca ricorda - ovunque andassi in città c era un riferimento storico per me (...) Londra non mi ha mai stancato, è un posto magico, mi ci sono allontanato per qualche tempo nei Novanta, ma ero tristissimo e dopo non molto sono ritornato». Nelle sue parole sembrano riecheggiare altre, più antiche, «Quando un uomo è stanco di Londra è stanco della vita» un celebre passaggio di Samuel Johnson di tre secoli prima, ma ancora attuale per Weller, «anche se quello che potrei dire nelle mie canzoni di oggi riguardo alla situazione politica del paese non è molto diverso da quello che potevo dire trent anni fa. Certo il popolo inglese è migliore, siamo molto diversi, c è più integrazione e meno razzismo, ma il sistema politico è peggiorato: il senso di unità che legava la classe operaia è morto, smantellato dalla Thatcher negli anni Ottanta e oggi abbiamo ancora i suoi eredi al governo». E mentre tutto cambia e niente cambia, Paul Weller oggi può finalmente affermare di «essere nient altro che me stesso», di trovarsi esattamente «dove avrei dovuto», come recita il titolo della sua I m where I Should Be, «Ci sono degli aspetti positivi Le frizioni con Joe Strummer, i fine settimana nei bistrot di Parigi, l impegno labour, le svolte funk e i recenti ritorni «al rock» pagine sui giornali (famosissima quella del Melody Maker, dove sotto il titolo The Punk and the Godfather, il «padrino» Pete Townshend dà la sua benedizione all'erede Paul Weller). Dopo la pubblicazione dell'album The Gift, primo lp della band a raggiungere il numero uno trainato dai brani A Town Called Malice e Precious, Weller decide di scendere dalla giostra. Ultima data di un trionfale tour d'addio, l'11 dicembre 1982 un concerto al Conference Centre di Brighton fa calare per sempre il sipario sui Jam. La seconda vita di Paul Weller inizia com'era finita la prima: con un concerto. Il 5 gennaio 1983 è ospite degli Everything But The Girl durante uno show a Londra, a duettare con Tracey Thorn sulle nell invecchiare: non me ne frega più niente dell opinione degli altri e mi comporto solo come mi va», nessun vincolo, né etichetta nella vita come nella musica: «non ho pregiudizi su quello che sto per fare quando vado in studio - spiega - ascolto molti generi musicali, vedo tutto come un unica cosa», tant è che le chitarre di alcuni suoi brani come White Sky e Saturns Pattern richiamano sonorità metal. «Ormai abbiamo cinquanta, quasi sessant anni di musica pop e rock su cui riflettere, direi che non mi colpisce più lo stile, quanto la grandezza del musicista». E nel sound di Weller i Beatles fanno spesso capolino... «Loro hanno inventato e cambiato tutto: sono un riferimento costante per generazioni di artisti inglesi e non solo». note di The Girl from Ipanema e Night and Day, bel cambio di prospettiva rispetto a quando strapazzava la chitarra saltando sul palco con i Jam. Due mesi dopo quella serata, lui e Mick Talbot (pianista ex Merton Parkas e Dexy's Midnight Runners, già chiamato a collaborare coi Jam nell'ellepì Setting Sons) esordiscono con la nuova ragione sociale: The Style Council. Oggi come allora, il progetto Style Council lascia non del tutto convinti. Dal punto di vista estetico, Weller pare deciso a spogliarsi di tutti i simboli della retorica rock e indossa i panni dell'intellettuale perso tra cool jazz e fine settimana trascorsi a Parigi, a bere cappuccini in qualche bar del quartiere latino (si firmerà The Cappuccino Kid quando scriverà le note di copertina dei dischi degli Style Council). Per inciso, questo è anche il periodo del Weller socialmente consapevole e più politicizzato, che mette risolutamente in soffitta le avventate dichiarazioni filo Thatcher del passato schierandosi senza se e senza ma coi laburisti. Gli album degli Style Council rappresentano un coacervo di pop raffinato, echi Motown, ballate intense ed eleganti, jazz e bossanova, e fin qui niente da dire; però giri l'angolo di Comes to Milton Keynes, uno dei brani più belli di Our Favourite Shop (secondo album del duo Talbot-Weller), e ti imbatti in Internationalist, un pretenzioso funky patinato e iper prodotto tipico degli anni Ottanta; in Cafè Blue (disco del 1984, senza dubbio il migliore del gruppo) si scorre tra perle come My Ever Changing Moods, You re the Best Thing e l'incantevole Paris Match (con la voce da brividi di una Tracey Thorn mai così ispirata), giù giù sino al futile esperimento jazz di Dropping Bombs on the White House e all'obbrobrioso rap di A Gospel. Dopo il mediocre The Cost of Loving, massacrato dalla critica ma ancora sostenuto dal pubblico, arriva anche il tempo del flop commerciale di Confessions of a Pop Group. La Polydor respinge la pubblicazione di Modernism: A New Decade e questo segna la fine dell'avventura Style Council. Un progetto che ha fatto rinascere Paul Weller dopo l'ubriacatura dei Jam, indicandogli nuove strade da percorrere prossime a certo successivo acid jazz e alla rielaborazione in chiave anni Ottanta di quel soul pop che vede in Marvin Gaye e Curtis Mayfield due giganti indiscussi. Un progetto però ancora troppo confuso: la rotta verso il sound che rimane il suo indiscusso marchio di fabbrica Paul la troverà solo nel decennio successivo.

14 (14) ALIAS RITMI UMBRIA JAZZ di ROBERTO PECIOLA Nata nel 1973, la manifestazione musicale perugina si è guadagnata nel tempo la palma di una tra le più prestigiose della Penisola. Nel tempo ha visto la presenza dei più grandi nomi della musica afroamericana, ma negli ultimi anni ha allargato i suoi orizzonti anche alle contaminazioni fra i generi. L edizione 2015 partirà il prossimo 10 luglio con lo show di Paolo Conte e andrà avanti fino al 19, con la chiusura affidata a Taylor McFerrin, Orlando Julius & The Heliocentrics e al dj set di Gilles Peterson feat Mc Earl Zinger. Ogni giorno uno o più appuntamenti ell Arena Santa Giuliana: Subsonica UJ Special Project con ospiti E. Cisi, F. Boltro e M. Ottolini; Brass Bang (P. Fresu, S. Bernstein, G. Petrella, M. Rojas) e Stefano Bollani (foto) in Sheik Yer Zappa; The Bad Plus & Joshua Redman e Snarky Puppy; Chick Corea & Herbie Hancock; Tony Bennett & Lady Gaga; Robert Glasper Trio e Cassandra Wilson; Caetano Veloso & Gilberto Gil e Spokfrevo Orquestra; The Brand New Heavies e Incognito. di V. MO. Nel 1979 Rickie Lee Jones ha venticinque anni quando l omonimo disco d esordio le regala le parti alte delle classifiche, recensioni debordanti di superlativi e un grammy. Il disco (splendida la copertina, con un suo primo piano mentre si accende un cigarillo, basco rosso sulle ventitre, su una cascata di lunghi capelli biondo castano) arriva alla fine di un anno incredibile. Lowell George rimane a tal punto colpito da una canzone che gli ha cantato al telefono, Easy Money, da includerla in quello che resterà il suo unico lavoro da solista messi da parte i Little Feat; Lenny Waronker, presidente della Warner, resta ipnotizzato da uno spettacolo al Troubadour di Los Angeles e poi da un demo, e prontamente le offre il contratto che frutterà i primi cinque capitoli di una produzione discografica sempre su livelli di assoluta qualità. Delle sue composizioni raffinate a cavallo tra soul, jazz e folk, del suo stile vocale inconfondibile, hanno preso nota in molte, da Natalie Merchant a Edie Brickell, da Sheryl Crow a Lisa Germano, da Susanne Vega a Polly Paulusma. Dopo un decennio trascorso senza comporre nuove canzoni (a parte dischi di cover o basati su vecchio materiale), Rickie Lee Jones è tornata con The Other Side of Desire, opera che ce la riconsegna al massimo del suo standard compositivo, ridefinito alla luce del poderoso influsso che New Orleans (città dove si è stabilità dal 2013) esercita sui musicisti di ogni estrazione. Nel nuovo album la voce di Rickie Lee Jones suona sempre affascinante, come ai tempi dei primi dischi. Nel nuovo lavoro le lunghe e ammalianti Infinity e Haunted riecheggiano i brani più acclamati del passato. E proprio dalla sua originale vocalità iniziamo un intervista con la cantante Usa. Qual è il segreto per riuscire a cantare in un modo ancora così fantastico dopo tutti questi anni di carriera? Il mio modo di cantare non è molto faticoso, e questo probabilmente mi ha permesso di mantenere un alto livello di prestazione vocale. Per me è importante cantare quando sono rilassata, non nervosa, e questo fa sì che le mie corde vocali non siano troppo stressate. Nel tempo c è stato un po di abbassamento di tonalità, ma non molto: il timbro in effetti è ancora quello di una volta, e così pure il controllo vocale. Non so dirne il motivo. Probabilmente è perché amo cantare e sono felice che possa ancora farlo. Hai detto che «The Other Side of Desire» non si sarebbe potuto realizzare senza il «fondale» di New Orleans, la città dove vivi dopo aver abbandonato Los Angeles. Che cosa ti sta dando, come musicista, New Orleans? Come musicista la città mi ha restituito il sorriso. Qui la gente suona tutto il tempo, e non suonano per guadagnare soldi, lo fanno perché adorano la musica; non suonano i generi che oggi vanno per la maggiore, suonano le canzoni che amano, non importa se il sound è di qualche vecchio musicista di quaranta o più anni fa. In questo New Orleans è molto differente dal resto degli Stati Uniti. È vero. L idea che la musica sia legata anche alle generazioni precedenti e che tutto non debba essere pensato esclusivamente per un pubblico di quattordicenni è una cosa che manca da molto nella cultura statunitense. La gran parte del pop sta rappresentando solo i giovani e, per di più, di recente sta raccontando anche troppa violenza. Qui a New «The Other Side of Desire» è un «omaggio alla città che mi ha ridato il sorriso. Dove la musica domina e non è pensata solo per i 14enni» INCONTRI IL NUOVO DISCO DELLA CANTANTE DI «CHUCK E.'S IN LOVE» Rickie Lee Jones, piccoli sogni sopra New Orleans Orleans posso ancora interpretare canzoni gentili e armoniose con persone che vogliono solo fare musica per il piacere di farlo. Persone che amano stare con me, senza avere un loro cd da darmi perché lo proponga a qualche discografico, che non usino la mia fama per raggiungere i loro scopi, che non mi considerino un vascello verso una vita migliore. Questa cosa è andata avanti per anni ed è davvero umiliante e deprimente. Così, ripeto, la cosa più importante che la città mi regala è il sorriso: sorrido ovunque vada, ascoltando tutta quella gente che si cimenta con i propri strumenti. È rivitalizzante, ridà speranza. Comunque la tua figura è ancora molto legata a Los Angeles. Cosa rimane di quella città, di quel periodo della tua vita? Non è da molto che mi sono allontanata ed è difficile fare una valutazione spassionata. In ogni caso, già quando ancora vivevo lì, la Los Angeles che conoscevo era scomparsa. La gente che amavo frequentare o è morta o ha tradito la nostra amicizia. Sembrava che l arco della mia carriera, con i suoi successi e fallimenti, avesse preso il soppravvento sulle relazioni personali che intrattenevo. E poi è diventato tutto molto costoso lì, uno schifo di casa costa mezzo milione di dollari. Troppe auto, troppa gente. È vero che porto sempre con me il ricordo di quei tempi, è vero che ho vissuto e scritto di quelle strade, ma non credo tornerò mai più a Los Angeles. Perché hai smesso di scrivere canzoni per dieci anni, e cosa ti ha fatto riprendere? La principale ragione è perché avevo una figlia di cui prendermi cura. Avevo davvero poco tempo per comporre. E, in questo tempo, sono stata anche coinvolta in una relazione malsana, che spegneva la fiducia in me stessa e l autostima. Ho dovuto fare i conti con tutti questi aspetti negativi. Venire a New Orleans è stata l occasione per lasciarmi alle spalle un periodo difficile, rilassarmi e trovare nuovi impulsi. Ho ricominciato a scrivere e pian piano sono tornati stimoli e ispirazione; e, come spesso capita, più componevo e più mi veniva voglia di farlo. In questi dieci anni per la verità non sei rimasta del tutto inattiva: hai pubblicato un album di cover, il terzo della tua discografia. Le versioni di brani di altri artisti hanno sempre avuto una parte importante nel tuo repertorio. Quali sono le ragioni di questa scelta e come selezioni le canzoni altrui da interpretare? Io non ragiono in termini di canzoni mie, canzoni di altri. Amo la musica e non separo la mia da quella altrui, viviamo tutti in un mondo dove la musica contribuisce a rendere più bella la vita di tutti, a prescindere da chi la compone. Se trovo una canzone che risuona positivamente in me è naturale abbia voglia di interpretarla. Scelgo i pezzi per come mi fanno sentire, e per come credo si sentirà il pubblico se li ascolta cantati da me. Devo creare un nuovo arrangiamento che intrighi il pubblico? Devo cantare in un modo nuovo così che l ascoltatore percepisca qualcosa di diverso rispetto all originale? Sono domande che ovviamente mi pongo, ma quello che conta è ciò che provo quando reinterpreto un brano, le emozioni che mi regala. Nel precedente album, «The Sermon on Exposition Boulevard» hai esplorato la parte religiosa e spirituale dell esistenza umana. Il nuovo disco invece sembra più terreno, mondano. Concordi? Sì, è così, il nuovo disco rappresenta una sorta di reportage sulla mia quotidianità, su ciò che accade attorno a me. Per la verità, anche The Sermon on Exposition Boulevard era un disco molto più «terreno» di quanto sia apparso. Un concept album sulla vita e l insegnamento di Gesù Cristo è difficile non legarlo alla trascendenza, no? Il disco in effetti si incentra sulla figura di Cristo, ma è un Cristo molto umano, che ride, beve, scherza. Non credo sarà mai utilizzato in nessuna chiesa per spiegare chi fosse Gesù. È un disco di cui sono molto orgogliosa, ma l hanno sentito davvero in pochi. Non era certo mia intenzione fare proselitismo, non sono neppure cristiana, piuttosto m interessava porre l accento su alcune assurdità. In California è ok dirsi indù o buddista, ma se dici che sei cristiano le persone si allontanano. Ridicolo, no? O il paradosso più grande: il cristianesimo è stato una nuova e ribelle idea che progressivamente si è rivelato l opposto di ciò che era in origine. Torniamo a «The Other Side of Desire». Quali sono gli obiettivi che ti sei posta quando sei entrata in studio di registrazione? Volevo scrivere alcune canzoni semplici come si faceva negli anni Sessanta, dire quello che avevo da dire in meno di un minuto. Desideravo onorare il luogo in cui attualmente vivo, New Orleans, e l'eco dei suoi tanti musicisti e stili. Sognavo di scrivere alcune canzoni che potessi suonare per il resto della mia vita, che possano essere ancora valide tra altri dieci anni o giù di lì. Ho avuto questi obiettivi, mossa dalla sensazione che avevo bisogno di uscire, di guardare verso nuovi orizzonti. Una nuova città dove vivere. Un album nuovo di zecca. Probabilmente nuove attese e nuove speranze. «The Other Side of Desire» può essere considerato un nuovo inizio? Più che il disco, credo che New Orleans rappresenti la possibilità di una nuova vita. Per quanto tempo mi piacerà questo posto? Chi lo sa! Chiedo solo di fare rotta verso tempi felici. Soprattutto per mia figlia, che è il mio cuore.

15 ALIAS (15) Eagles of Death Metal Una delle varie emanazioni del leader dei Queens of the Stone Age, Josh Homme (foto). Sesto San Giovanni (Mi) LUNEDI' 6 LUGLIO (CARROPONTE) Of Monsters and Men La indie pop band islandese ha un grandissimo seguito. Segrate (Mi) MARTEDI' 7 LUGLIO (MAGNOLIA-UNALTROFESTIVAL) Roma MERCOLEDI' 8 LUGLIO (AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA-LUGLIO SUONA BENE) Paul Weller L artista inglese, ex Jam e Style Council, ha una lunga carriera alle spalle. Gardone Riviera (Bs) DOMENICA 5 LUGLIO (TEATRO DEL VITTORIALE) Brugnera (Pn) MERCOLEDI' 8 LUGLIO (PARCO DI VILLA VARDA) Roma GIOVEDI' 9 LUGLIO (AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA-LUGLIO SUONA BENE) Eaves L'interessante cantautore inglese torna dopo aver aperto i concerti dei Mumford & Sons. Segrate (Mi) MERCOLEDI' 8 LUGLIO (MAGNOLIA-UNALTROFESTIVAL) Bologna GIOVEDI' 9 LUGLIO (BOLOGNETTI ROCKS) Ancona SABATO 10 LUGLIO (MOLE VANVITELLIANA-SPILLA FESTIVAL) Noel Gallagher Torna in Italia il chitarrista e ex co-leader degli Oasis con i suoi High Flying Birds (foto). Assago (Mi) LUNEDI' 6 LUGLIO (SUMMER ARENA) Piazzola sul Brenta (Pd) MERCOLEDI' 8 LUGLIO (COMPANY ARENA- HYDROGEN FESTIVAL) Roma GIOVEDI' 9 LUGLIO (IPPODROMO DELLE CAPANNELLE-ROCK IN ROMA) Blonde Redhead Il trio composto dai fratelli Amedeo e Simone Pace e la giapponese Kazu Makino. Arezzo VENERDI' 10 LUGLIO (PARCO VIA ALFIERI) Padova SABATO 11 LUGLIO (PACHEGGIO NORD STADIO EUGANEO-SHERWOOD FESTIVAL) Kasabian Una realtà consolidata del pop rock inglese. Andria (Bt) SABATO 11 LUGLIO (L'ALTRO VILLAGGIO) BRNS Si legge Brains, arrivano dal Belgio e suonano un pop sperimentale sulla scia degli Alt-J. Bologna GIOVEDI' 9 LUGLIO (GIARDINI DI VIA FILIPPO RE) The Fratellis Tre date italiane per la indie rock band scozzese. Senigallia (An) SABATO 4 LUGLIO (MAMAMIA) Hozier Indie gospel, blues, soul e rock nella musica del performer irlandese. Pistoia MARTEDI' 7 LUGLIO (PIAZZA DUOMO-PISTOIA BLUES) Segrate (Mi) MERCOLEDI' 8 LUGLIO (MAGNOLIA-UNALTROFESTIVAL) Billy Idol Torna il punkster degli anni Ottanta. Lucca VENERDI 10 LUGLIO (PIAZZA NAPOLEONE-SUMMER FESTIVAL) St. Vincent La cantautrice statunitense Annie Clark torna in Italia per presentare il suo quarto e omonimo lavoro. Sesto al Reghena (Pn) LUNEDI 6 LUGLIO (PIAZZA CASTELLO-SEXTO'NPLUGGED) Sestri Levante (Ge) MARTEDI' 7 LUGLIO (CONVENTO DELL'ANNUNZIATA) Roma MERCOLEDI' 8 LUGLIO (LAGHETTO DI VILLA ADA-ROMA INCONTRA IL MONDO) God Damn Il duo inglese, tra hard rock, metal e grunge. Collalbo (Bz) VENERDI' 10 LUGLIO (ROCK IM RING) Pinarella di Cervia (Ra) SABATO 11 LUGLIO (ROCK PLANET) AC/DC La band heavy metal australiana vanta un grande seguito e torna in Italia per una sola data ormai da tempo sold out. Imola (Bo) GIOVEDI' 9 LUGLIO (AUTODROMO ENZO E DINO FERRARI) Xavier Rudd Un nuovo talento in arrivo dall Australia. Roma MARTEDI' 7 LUGLIO (LAGHETTO DI VILLA ADA-ROMA INCONTRA IL MONDO) Sestri Levante (Ge) MERCOLEDI' 8 LUGLIO (TEATRO ARENA CONCHIGLIA) Sesto San Giovanni (Mi) GIOVEDI' 9 LUGLIO (CARROPONTE) Micah P. Hinson L indie pop «american style» del cantante/autore originario di Memphis, dalla travagliata adolescenza. Napoli SABATO 4 LUGLIO (RIOT STUDIO) Roma LUNEDI' 6 LUGLIO (MONK, CON FYFE) Badly Drawn Boy Torna in Italia l artista britannico. Segrate (Mi) MERCOLEDI' 8 LUGLIO (MAGNOLIA-UNALTROFESTIVAL) Bologna GIOVEDI' 9 LUGLIO (BOLOGNETTI ROCKS) Ancona VENERDI' 10 LUGLIO (MOLE VANVITELLIANA-SPILLA) Cogoleto (Ge) SABATO 11 LUGLIO (MOLO FRANCESCO SPECA) The Fleshtones Torna il garage rock della band newyorkese. Salsomaggiore Terme (Pr) SABATO 4 LUGLIO (AREA PONTE GHIARA) The Libertines La band di Pete Doherty e Carl Barat di nuovo insieme. Milano SABATO 4 LUGLIO (FABRIQUE) Spandau Ballet Una data per i rivali dei Duran Duran. Verona LUNEDI' 6 LUGLIO (ARENA) Fyfe Un nome nuovo della chill wave/nu soul britannica. Lucca DOMENICA 5 LUGLIO (PIAZZA NAPOLEONE-SUMMER FESTIVAL) Roma LUNEDI' 6 LUGLIO (MONK, CON MICAH P. HINSON) Segrate (Mi) MARTEDI' 7 LUGLIO (MAGNOLIA-UNALTROFESTIVAL) Suzanne Vega La cantante e autrice americana in Italia. Catania SABATO 11 LUGLIO (MERCATI GENERALI) Ben Seretan Arriva in Italia questo chitarrista, cantante e sound designer di New York, poco conosciuto ma da tenere d'occhio. Sezzadio (Al) SABATO 11 LUGLIO (BLISS BEAT FESTIVAL) Christopher Paul Stelling Il giovane cantante e autore statunitense. Segrate (Mi) MARTEDI' 7 LUGLIO (MAGNOLIA-UNALTROFESTIVAL) Bologna MERCOLEDI' 8 LUGLIO (BOTANIQUE) Roma GIOVEDI' 9 LUGLIO (MONK) Greg Haines Sonorità classiche e elettroacustiche per l'artista inglese di stanza a Berlino. Milano VENERDI' 10 LUGLIO (MUSEO DELLA SCIENZA E TECNOLOGIA LEONARDO DA VINCI) Max Richter Il compositore e pianista per un'unica data italiana. Siena VENERDI' 10 LUGLIO (TEATRO DEI RINNOVATI) Ibeyi Il duo franco-cubano in Italia. Sestri Levante (Ge) LUNEDI' 6 LUGLIO (TEATRO ARENA CONCHIGLIA) Segrate (Mi) MARTEDI' 7 LUGLIO (MAGNOLIA-UNALTROFESTIVAL) Tricky Torna il re del trip hop britannico. Roma VENERDI' 10 LUGLIO (ANDREA DORIA CONCERT HALL) Neneh Cherry La vocalist afroamericana è di nuovo in pista con l'aiuto del duo elettronico Rocketnumbernine. Bologna VENERDI' 10 LUGLIO (BOLOGNETTI ROCKS) Roma SABATO 11 LUGLIO (ANDREA DORIA CONCERT HALL) Holly Herndon La musicista elettronica del Tennessee ha da poco publicato il suo nuovo album, Platform. Foligno (Pg) SABATO 4 LUGLIO (DANCITY FESTIVAL) D'Angelo and The Vanguard Il performer neosoul statunitense. Roma LUNEDI' 6 LUGLIO (AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA-LUGLIO SUONA BENE) Milano MARTEDI' 7 LUGLIO (ESTATHE MARKET SOUND) Damian «Jr. Gong» Marley In Italia il più giovane tra i figli del re del reggae. Piazzola sul Brenta (Pd) LUNEDI' 6 LUGLIO (COMPANY ARENA- HYDROGEN FESTIVAL) Brass Bang Un quartetto di ottoni che vede insieme Paolo Fresu, Steven Bernstein, Gianluca Petrella e Marcus Rojas. Asti LUNEDI' 6 LUGLIO (PIAZZA CATTEDRALE) Alghero MARTEDI' 7 LUGLIO (CASA GIOIOSA PARCO REGIONALE DI PORTO CONTE) Bologna MERCOLEDI' 8 LUGLIO (SALOTTO DEL JAZZ VIA MASCARELLA) Castionetto di Chiuro (So) GIOVEDI' 10 LUGLIO (PALAZZETTO SALA) Roma VENERDI' 10 LUGLIO (GIARDINI DI VILLA PAMPHILJ) San Giovanni Valdarno (Ar) SABATO 11 LUGLIO (PIAZZA MASACCIO) Dub Inc. La reggae, e non solo, band francese è nel nostro paese. Parabiago (Mb) SABATO 4 LUGLIO (CAMPO SPORTIVO VENEGONI-MARAZZINI) Verdena La rock band bergamasca è tornata dopo cinque anni con un nuovo disco, Endkadenz Vol. 1. Montevarchi (Ar) SABATO 4 LUGLIO (NE PAS COUVRIR FESTIVAL) ONTHEROADESTATE a cura di Roberto Peciola (segnalazioni: rpeciola@ilmanifesto.it) Eventuali variazioni di date e luoghi sono indipendenti dalla nostra volontà Caparezza Il rapper di Molfetta ancora on the road. Marina di Terragrande (Or) SABATO 4 LUGLIO (SPIAGGIA) Collegno (To) SABATO 11 LUGLIO (PARCO DELLA CERTOSA REALE) Paolo Benvegnù L'ex leader degli Scisma con la band che porta il suo nome di nuovo live. Vittorio Veneto (Tv) SABATO 11 LUGLIO (BIANCONIGLIO) Rock in Roma Il festival rock della Capitale, che porterà i maggiori headliner dei principali festival internazionali, questa settimana ha in programma il binomio rap italico J-Ax e Fedez, il ritorno dell'ex Take That Robbie Williams e, dopo il forfait di Stromae, il nuovo progetto dell'ex leader e chitarrista degli Oasis, Noel Gallagher's High Flying Birds. Roma SABATO 4, MARTEDI' 7 E GIOVEDI' 9 LUGLIO (IPPODROMO DELLE CAPANNELLE) Luglio Suona Bene La prestigiosa rassegna dell'auditorium romano ospita: Counting Crows; Toto; D'Angelo and The Vanguard; Of Monsters and Men; Paul Weller; The Kolors; Burt Bacharach. Roma DA SABATO 4 A LUNEDI' 6 E DA MERCOLEDI' 8 A SABATO 11 LUGLIO (AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA) Pistoia Blues La rassegna toscana giunge alla 36esima edizione e ha in cartellone il concerto di Hozier. Pistoia MARTEDI' 7 LUGLIO (PIAZZA DUOMO) Lars Rock Fest Due serate con la psichedelia sperimentale degli Unknown Mortal Orchestra (in apertura Drink to Me e Crayon Made Army) e il visionario Luis Vasquez, in arte Soft Moon (in apertura Go!Zilla e Squadra Omega). Chiusi (Si) VENERDI' 10 E SABATO 11 LUGLIO Sexto'nplugged Compie dieci anni l'interessante festival che quest'anno ha un cartellone di tutto rispetto. Si parte con gli Einsturzende Neubautene e St. Vincent. Sesto al Reghena (On) DOMENICA 5 E LUNEDI' 6 LUGLIO (PIAZZA CASTELLO) Spilla Nona edizione del festival rock. Sul palco: Eaves e Badly Drawn Boy; Be Forest e His Clancyness. Ancona VENERDI' 10 E SABATO 11 LUGLIO (MOLE VANVITELLIANA) Roma Incontra il Mondo L'edizione 2015 del festival sulle sponde del laghetto di Villa Ada ha in cartellone Roberto Angelini; Nina Zilli; Xavier Rudd; St. Vincent; Paola Turci; Sud Sound System & Bag a Riddim Band; Roma Brucia Festival. Roma DA DOMENICA 5 A SABATO 11 LUGLIO (LAGHETTO VILLA ADA) Eutropia Questa settimana sono attesi: Fluido Rosa; Tarrus Riley + Dean Fraser & Black Soil Band; Urock + The Bastard Sons of Dioniso; Musica Nuda; Claudio Simonetti's Goblin; la serata Twist and Shout; Latte e I Suoi Derivati. Roma SABATO 4, DOMENICA 5 E DA MARTEDI' 7 A SABATO 11 LUGLIO (CAMPO BOARIO) Magnolia Estate Per i live si segnalano: Datura; «Unaltrofestival» conof Monsters and Men, Ibeyi, Cristopher Paul Stelling, Fyfe e Dardust (il 7), Hozier, Badly Drawn Boy, Eaves, Be Forest, Brothers in Law (l'8); tre giorni dedicati ai 10 anni del circolo con Giraffage; Pional, Aucan, Uabos e Sbtrkt dj set; Giuliano Palma, Selton e altri. Segrate (Mi) SABATO 4 E DA MARTEDI' 7 A SABATO 11 LUGLIO (MAGNOLIA) Lucca Summer Festival La rassegna propone: John Legend, Fyfe; Los Lobos; Paolo Nutini, Alabama Shakes; The Script; Billy Idol; Elton John. Lucca DOMENICA 5 E DA MARTEDI' 7 A SABATO 11 LUGLIO (PIAZZA NAPOLEONE) Rock Im Ring Il festival rock in provincia di Bolzano. Sui due palchi, tra i tanti, gli svedesi In Flames, i tedeschi Kraftklub e il duo power rock inglese God Damn, e il giorno successivo l'hardcore punk degli svedesi Refused e degli americani Terror. Collalbo (Bz) VENERDI' 10 E SABATO 11 LUGLIO (VARIE SEDI) Goa Boa Festival La diciottesima edizione ha in cartellone: Fedez + Mental Slug + Dala; FFS + George Ezra + The Sleeping Trees; Jimmy Cliff + Mellow Mood + Raphael; Caravan Palace + The Sweet Life Society; Dubioza Kolektiv + Espana Circo Este; Bluvertigo + Dardust + Luminal. Genova DA LUNEDI' 6 A SABATO 11 LUGLIO (ARENA DEL MARE PORTO ANTICO) Sherwood Festival Il festival ha in cartellone un doppio concerto con Blonde Redhead e il post rock dei God is an Astronaut. Padova SABATO 11 LUGLIO (PARCHEGGIO NORD STADIO EUGANEO) Con>ergenze Festival La prima edizione della rassegna ospita il chitarrista tuareg Bombino e domani Meg e Frankie Hi-Nrg Mc. Masnago (Va) SABATO 4 E DOMENICA 5 LUGLIO (PARCO MANTEGAZZA) Just Like Heaven Il festival padovano propone Jens Lekman (unica data italiana), Grimoon, Miles Cooper Seaton, Hund; Be Forest, Alice Boman, Barbarism, Sleep Thieves. Galzignano Terme (Pd) SABATO 4 E DOMENICA 5 LUGLIO (ANFITEATRO DEL VENDA) TimeKode Una rassegna dedicata ai suoni della club culture. Sui vari palchi si alterneranno Mount Kimbie dj set, Koreless, Moiré, Throwing Snow, Harptical; Legowelt, Lock Eyes dj set, Santo dj set, Thanksmate dj set, Chrome Surgery dj set; Zippo dj set. Castellana Grotte (Ba) SABATO 11 LUGLIO (MASSERIA PAPAPERTA) Strade Blu La rassegna itinerante propone: Jolie Holland (Faenza, Complesso ex Salesiani); Marc Ribot (Santarcangelo di Romagna); Frankie Chavez e Rudi Marra (Massa Lombarda). Provincia di Ravenna SABATO 4, MERCOLEDI' 8, VENERDI' 10 E SABATO 11 LUGLIO Monfortinjazz Primo appuntamento per la rassegna con il gruppo Los Lobos. Monforte d'alba (Cn) VENERDI' 10 LUGLIO (AUDITORIUM HORZOWSKY) Il Ritmo della Città Il Festival jazz propone i suoni latin del progetto Volcan (G. Rubalcaba, H. «El Negro» Hernandez, D. Hidalgo, A. Gola) e A Bite of Baltic Jazz con il pianista estone Holger Marjamaa & Chamber Project e il Roy Assaf NY Connection. Milano MARTEDI' 7 E GIOVEDI' 9 LUGLIO (ORTO BOTANICO) Colosseo Jazz Fest Una rassegna jazz «all'ombra del Colosseo». In cartellone il batterista Roberto Gatto col suo PerfecTrio. Roma MERCOLEDI' 8 LUGLIO (PARCO DEL CELIO) I Suoni delle Dolomiti In cartellone: Mario Brunello, Ivano Battiston e Gabriele Ragghianti (oggi, Rifugio Contrin, Marmolada, Val di Fassa); Quartetto Jerusalem (l'11, Passo Bregn de L'Ors, Val Rendena). Dolomiti SABATO 4 E SABATO 11 LUGLIO Festival delle Colline Giunto alla trentaseiesima edizione il festival prende il via con Don Backy feat. Filarmonica Verdi di Poggio a Caiano e Marc Ribot's Ceramic Dog. Poggio a Caiano e Prato MERCOLEDI' 8 E GIOVEDI' 9 LUGLIO (VILLA MEDICEA; CENTRO ARTE CONTEMPORANEA LUIGI PECCI) Casa del Jazz Il festival della struttura capitolina ospita Orchestra Operaria di Massimo Nunzi meets La Batteria; Fabio Zeppetella Quartet; Enzo Pietropaoli Quartet; Hamilton De Holanda & Diogo Nogueira; Mike Stern/Didier Lockwood Band; Paolo Damiani New Band; Marc Ribot Ceramic Dog. Roma SABATO 4, DOMENICA 5 E DA MARTEDI 7 A SABATO 11 LUGLIO (CASA DEL JAZZ) Bari in Jazz Si chiude con Luca Aquino; Kristin Asbjorsen-Olav Torget Duo e Bluebeaters. Giovinazzo e Molfetta (Ba) SABATO 4 E LUNEDI' 6 LUGLIO Vox Mundi Il festival dedicato ai suoni del mondo. Si parte con il folk irlandese dei FullSet e la taranta del Canzoniere Grecanico Salentino. Follonica (Gr) GIOVEDI' 9 E SABATO 11 LUGLIO (PIAZZA MARE; LE FERRIERE) Folkest Il festival folk friulano ha in programma: Morrigan's Wake; Goitse; Celtic Pixie; Maria Laura Ronzoni; Elliott Murphy & Olivier Durand; Maurizio Geri Swingtet; Neri Marcorè in Folk Express (Piazza Castello, Udine). Comuni del Friuli DA SABATO 4 A GIOVEDI' 9 E SABATO 11 LUGLIO Orientoccidente Il festival ha in cartellone un appuntamento con Massimo Zamboni (Castelnuovo dei Sabbioni) e Note Noire (Loro Ciufenna). Provincia di Arezzo SABATO 4 E MERCOLEDI 8 LUGLIO Acque Dotte In calendario il duo Cesare Picco e Taketo Gohara. Salò (Cr) SABATO 11 LUGLIO (PIAZZA DELLA VITTORIA)

16 ALIAS (16) GRAPHICNOVEL Un libro di storia a fumetti corale, didattico, ambientato in Toscana, nella Napoli delle Quattro giornate, in Jugoslavia sere i più adatti per la trasposizione illustrata. L'idea era inizialmente quella di concentrarsi sulla Toscana, ricca di storie di resistenza, ma poi abbiamo allargato il raggio d'azione: così accanto a episodi di resistenza civile in Toscana, appare una storia ambientata durante le quattro giornate di Napoli (Fuorigrotta disegnata da La Tram) e una ambientata nella Jugoslavia occupata dai nazifascisti nel 41 (Maciste, disegnata da Emanuele Tonini). In un paio di casi, ci siamo ispirati a racconti adattati, e in altri ad episodi tramandati che abbiamo ascoltato direttamente dai protagonisti». La struttura narrativa della cornice a colori rispetta l ispirazione didattica del libro: come i giodi VIRGINIA TONFONI Ci sono libri che raccontano storie e libri che raccontano la storia e Bandierine, fumetto pubblicato da Barta, editore pisano di narrativa, sembra soddisfare perfettamente entrambe le definizioni. Coordinato da Tuono Pettinato (autore di biografie su Garibaldi, Alan Turing e Kurt Cobain) e dallo storico Stefano Gallo, il libro riunisce sette storie a fumetti ispirate ad altrettanti episodi della Resistenza italiana al nazifascismo. Come spiega Tuono Pettinato, il progetto nasce da una necessità precisa: «L'idea è stata di Silvia Barsotti della libreria Fumettando di Pisa, alla quale molti giovani lettori e molti genitori andavano chiedendo un libro a fumetti sulla storia del 900, su temi storici come seconda guerra mondiale e resistenza. La libreria è un vero e proprio punto di aggregazione, uno spazio per fumetti coscienziosi anche per chi progetta e vuole portare avanti progetti insieme: una specie di isola felice del fumetto. Silvia ne ha parlato con me e con Stefano Gallo, storico e ricercatore indipendente, anche lui appassionato di fumetti. Bandierine nasce come fumetto a km zero, c'erano molti illustratori in zona che potevano essere coinvolti nel progetto». Un libro creato per rispondere a una necessità espressa da parte degli stessi lettori, che ha tutte le caratteristiche per divenire un'autoproduzione, ma che presto solletica l'interesse di Andrea Settis, editore di Barta. «Cosa ci ha convinto? La portata politica del progetto - spiega Settis - sorto per raccontare la Resistenza ai giovanissimi senza le imbalsamazioni della retorica di sinistra e di centro, che spesso uccidono la memoria nel tentativo di celebrarla, e contro le denigrazioni interessate della destra, che sulla scorta di sporadiche efferatezze commesse anche dai partigiani, vuole equiparare buoni e cattivi. No e poi no: c'era chi combatteva per la libertà e chi contro la libertà. Il fascismo era atrocità eretta a sistema. Inoltre FUMETTI «BANDIERINE» A CURA DI TUONO PETTINATO E STEFANO GALLO Un liceale sulle tracce del nonno. Sette racconti di Resistenza la caratura delle persone impegnate ha funzionato per noi come una garanzia: Tuono Pettinato, - per dirne una - premiato anche a Lucca e a Treviso come miglior autore unico; Stefano Gallo, storico di vaglia, dotato di gran sensibilità anche narrativa e Silvia Barsotti, della libreria Fumettando che conosco e stimo da anni». Il libro ha una struttura precisa: una cornice narrativa, illustrata da Francesco Guarnaccia, in cui un giovane studente, nipote di un expartigiano, vede accendersi la sua passione storica dopo l incontro con un combattente, compagno del nonno che non ha mai conosciuto. L emozione del narrato lo coinvolge così tanto che riuscirà a rimediare il brutto voto in Storia. Nella cornice si incastonano con naturalità le sette storie scritte e disegnate da Lorenza De Luca, La Tram, Sakka, Fabio Ramiro Rossin, Emanuele Tonini ed Emanuele Messina con stili completamente diversi, che rispettano il tono degli episodi storici ai quali si ispirano. Un libro corale che stupisce per la freschezza e per l equilibrio tra le intenzioni didattiche e il risultato artistico: ma come si lavora a un progetto così ambizioso? Tuono Pettinato racconta: «Stefano Gallo che è uno storico, ma anche un grande appassionato di fumetti, ha preparato una scelta degli episodi, basandosi su quelli più significativi che pensava potessero es- vani lettori che sfoglieranno le pagine, avvicinandosi alle storie della resistenza, il protagonista scopre questo intenso e leggendario periodo della storia italiana attraverso il racconto del Sig. Consani. In questo contenitore le storie della resistenza, disegnate invece in bianco e nero, vengono messe in relazione con l oggi, attraverso il personaggio creato da Francesco Guarnaccia. Tuono Pettinato, sceneggiatore della storia, spiega: «Ho lavorato con una sceneggiatura base e un mini storyboard, perché Guarnaccia ha un segno molto personale ed ero molto curioso di vedere come avrebbe tradotto il senso e il messaggio che volevamo trasmettere. Per la scelta degli episodi invece ho lavorato a braccetto con Stefano Gallo, fine conoscitore di questo affascinante periodo storico. Da parte sua, il giovane illustratore pisano, proveniente dal collettivo Mammaiuto, racconta così il suo impegno «Quando Tuono Pettinato mi propose di fare questa storia ero in quinta liceo e non avevo mai neanche lontanamente pensato alla possibilità di fare una storia per un libro vero, con autori veri, e perfino un piccolo editore (vero). Quindi la prima reazione fu di totale entusiasmo. In più, quando seppi che la mia «cornice» avrebbe parlato di un liceale contemporaneo mi trovai molto a mio agio, mi sarebbe bastato romanzare una storia personale, infilarci due riflessioni sui partigiani anche se all inizio, proprio come il mio personaggio, non ne sapevo granché. E invece fu molto di più. Nel documentarmi, nell'ascoltare le storie dei miei nonni, di altri vecchietti partigiani, mi sono ritrovato a fare lo stesso percorso di formazione che fa il mio personaggio. Tolti i «quattro» a storia e le visioni sui nazisti, ho raccontato una storia praticamente autobiografica». Nonostante la giovane età, Guarnaccia dimostra uno stile personalissimo, accoglie la scommessa di Tuono Pettinato e si confronta con la storia dello studente che scopre il fascino delle storie vere ed eroiche con un immaginazione sfrenata. «Se avevo vissuto un esperienza già così vicina a ciò che si voleva raccontare nel libro - racconta Guarnaccia - perché non aggiungere elementi di fantasia, quasi onirici? Unastoria di formazione classica poteva essere senz altro funzionale, ma sarebbe stata accattivante? Così il mio personaggio nella sua personale battaglia scolastica, vive anche un avventura. Non bastano le strampalate imprese al quale lo costringe il signor Consani, ma c è anche da sconfiggere il proprio subconscio e il proprio senso di colpa. Mi sono divertito a farlo tormentare da dei «nazisti immaginari» che gli rapiscono il nonno e che lui riesce a sconfiggere senza violenza, ma solo con la cultura. Una piccola storia d avventura, alla fine molto quotidiana, dove il successo sta nel rimediare un brutto voto a storia ma anche, e soprattutto, nel capire che ci sono delle persone che hanno fatto tanto per noi nel passato ed è doveroso ricordarle». Il risultato è una strabiliante narrazione giocata su molteplici livelli, lontana da una semplice agiografia degli eroi partigiani: nel libro non si racconta solo dei combattenti costretti a sparare, ma anche di un nonno che tiene in piedi una rete di contatti che attraversa tutta la penisola, di un docente di storia che combatte dalla cattedra dell'università occupata dai tedeschi, di una bambina che salva un intero condominio dalla ferocia dei tedeschi. Episodi tratti dalla realtà, in alcuni casi romanzati e un fine gioco narrativo che porta illustratori e sceneggiatori a ricucirli nelle fila della storia. Un accurato spazio dedicato alle fonti e alla bibliografia di ognuna delle storie chiude il libro, rendendolo perfetto per essere proposto nelle scuole medie (inferiori e superiori) ed essere utilizzato come approfondimento didattico nei corsi di italiano e storia. Una piccola gioia di narrativa illustrata capace di sposare la letteratura col senso civico e di portare, in modo finalmente non scontato, la memoria sui banchi di scuola.

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