numero 5 anno VII 4 febbraio 2015

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1 numero 5 anno VII 4 febbraio 2015 edizione stampabile

2 CASE ALER, PRIMA DI OGNI COSA SALVARE LE CLIENTELE Luca Beltrami Gadola Il fronte ALER è sempre caldo e l ultima querelle sulle occupazioni e gli sgomberi la dice lunga sulle difficoltà di gestire il patrimonio di edilizia residenziale pubblica. Non è questa la notizia più preoccupante ma quella del piano di vendita di unità immobiliari tra appartamenti, villette, box e negozi per chiudere i buchi di bilancio: con questa vendita si prosegue in maniera lineare nella direzione dell ingiustizia sociale. Uno dei problemi milanesi più acuti in questo momento è proprio quello della casa: dare un tetto a circa famiglie che non possono andare sul mercato della vendita o della locazione per mancanza di reddito e di risparmio. Aler, l operatore istituzionale, per risolvere il problema in casa sua ha solo due strade: costruire nuovi alloggi e liberare quelli di edilizia pubblica dagli inquilini che avendo migliorato la loro capacità di reddito possono andare sul mercato. Quest ultima operazione - far uscire da un regime di aiuto chi non ne ha più bisogno - è uno dei tabù della politica italiana sulla casa che non può sconfessare mai una sua caratteristica fondamentale: essere una politica clientelare su grande scala. Tutte le leggi in materia di agevolazioni all accesso alla casa hanno questo connotato: il reddito preso in considerazione per acquisire il diritto all aiuto è quello dell entrata in possesso del bene, eventuali aumenti di reddito successivi, anche considerevoli, sono ininfluenti. Siamo l unico Paese in Europa che ha legiferato in questo senso. Le ultime mosse della Regione vanno in quella medesima direzione con un aggravante che la vendita è fatta sulla spinta di un buco sulle cui reali cause non si vuole dire nulla se non generiche accuse di sprechi e cattiva gestione. Io credo che sul cosiddetto buco qualche domanda dovrebbero farsela Formigoni e le sue Giunte e i suoi assessori alla casa, tutti al potere in Lombardia dal 1995 al 2013 e precisamente dall entrata in vigore della Legge Regionale Lombardia del 1996 n 13 che trasformava gli IACP in Aziende regionali: dunque competeva a loro, onori e oneri, la gestione di Aler Milano. Chi ha dunque con mano ferma tenuto la barra del timone spingendo Aler verso il baratro? Chi ha chiuso gli occhi di fronte a 18 bilanci che con estrema chiarezza uno dopo l altro indicavano il formarsi della voragine provocata da morosità crescente e interessi sul debito per investimenti fatti su indicazioni regionali (Pieve Emanuele) o contratti di quartiere ai quali era richiesto di partecipare senza fornire mezzi aggiuntivi e sopportando un carico di imposte e di interessi insostenibile? Perché disinteressarsi di Aler? La ragione è semplice. All edilizia residenziale pubblica non si sono assegnate negli ultimi anni che scarsissime risorse e dunque nessuna possibilità di avere nuovi alloggi, dunque nessuna disponibilità a procurarsi nuove clientele elettorali. A meno di vendere, come vedremo tra poco. Solo uno sprovveduto poteva pensare che le vendite imposte dalla legge 560 del 1993 che obbligava a vendere gli immobili posseduti in misura non inferiore al 50% avrebbero permesso di pareggiare i conti e, se anche il risultato a oggi fosse stato raggiunto, avremmo visto calare lo stock di appartamenti di edilizia residenziale pubblica in maniera drammatica perché, ammesso di reinvestire i ricavi nel medesimo comparto (ERP), le vendite erano effettuate a prezzi pari a circa la metà del costo di sostituzione del venduto. Di quest ultima questione vale la pena di parlare. Le vendite promosse oggi da ALER alle condizioni previste dalla legge prevedono un ricavo medio di euro al metro quadro. Ovviamente meno della metà di un qualunque prezzo si costruzione. A queste condizioni possono acquistare gli attuali locatari e i loro parenti in linea diretta fino alla seconda generazione. Chiunque acquisti per dieci anni non potrà rivendere ma alla fine dei dieci anni si troverà un bene che varrà almeno il doppio. Si prosegue così la politica di garantire privilegi sulla casa a prescindere da situazioni di necessità e consentendo ad alcuni un arricchimento irragionevole. Ma si ritrova spazio per clientele elettorali, questo sì. Da ultimo, tanto per capirci, per coprire anche solo 50 milioni all anno di mancati incassi da morosità, 30 milioni tra Imu e altre imposte, almeno una decina di milioni di interessi, bisognerà vendere nell anno circa 900 appartamenti e il buco pregresso rimarrà eguale. Alla fine si venderà, ammesso di riuscirci, il penultimo appartamento per mantenere l ultimo. Tutte le manovre per far pareggiare i conti senza metterci un soldo di denaro fresco sono come la ricetta della Troika per la Grecia, pareggiare i conti, costi quello che costi: la cura che ammazza il cavallo. Ma l obbiettivo non dovrebbe essere dare la casa a chi non ce l ha? PISAPIA SINDACO: SÌ, NO, COME E PERCHÉ Paolo Hutter Caro LBG, sono sorpreso da quello che hai scritto a proposito dell'obbligo che Pisapia avrebbe di ricandidarsi e non lo condivido. Forse non ne sei del tutto convinto neanche tu.... Personalmente non sono neanche convinto del contrario - cioè che dovrebbe non ricandidarsi - e ritengo che capirsi sui contenuti giova e gioverebbe anche al dibattito sulle persone. Innanzitutto seguendo io anche la vita torinese trovo assurdo che ci sia tutta questa attenzione già oggi sulla eventuale ricandidatura di Pisapia a Milano mentre a Torino ancora saggiamente non si parli di quella di Fassino. Si vota tra 16 mesi, è presto per decidere. Non si sa neanche quando si voteranno le politiche, non si sanno ancora tante cose. Comprese le leggi elettorali. Tu scrivi: "Quello che si poteva fare in questo clima si è fatto, in particolare mettendo in campo tutte le opportunità non finanziarie in mano alla Giunta come l assegnazione di edifici comunali per attività assistenziali, sociali e di incentivo all innovazione. Alcune auspicabili rotture con il passato morattiano non erano praticabili, vedi il caso Expo, o politicamente impercorribili vista la maggioranza, come avere una mano più ferma sulla vicenda M4. Le vicende non sono ancora concluse e sul dopo Expo la partita è ancora tutta da giocare.. Mah.... Premesso che stiamo parlando di una giunta di centrosinistra, n.5 VII 4 febbraio

3 che il clima in città è cambiato, che il Pgt è stato ridimensionato, che tante piccole buone cose sono state fatte... quello che vedo per certo è che anche fondamentali scelte promesse e dichiarate sulla mobilità non sono state rispettate: mi riferisco al rispetto dei referendum ambientalisti che in primis prevedevano l'estensione dell Area C alla 90, mi riferisco alle domeniche a piedi prima sperimentate felicemente e poi semplicemente abrogate. Sull Expo sei convinto che non si potesse cambiare localizzazione? Non si poteva farlo su aree pubbliche come proponeva Boeri? Comunque non se n'è neanche discusso, così come, tre anni dopo, ci siam trovati la scelta su M4, senza discussione alcuna. Sull'inutile canale Expo la Giunta ha insistito fino all'ultimo. Non ho capito quante e quali persone hanno discusso a tempo debito di quelle scelte, certo non si è realizzata partecipazione neanche nel senso di formare un gruppo dirigente un po' largo. Colpa di Pisapia? Difficile a dirsi. Quando queste cose vanno così la colpa (o il merito, a seconda dei punti di vista) non è mai di uno solo. È anche di chi non ha dato battaglia. Ma ora - a rischio di sembrare ingenuo - prima di pronunciarmi/ci sulle candidature sarebbero da discutere le critiche e le opzioni programmatiche. E si dovrebbe capire quali sono le alternative a Pisapia, senza farsi prendere dall'incubo di una improbabilissima vittoria del centro destra. Allo stato mi sembra che l'ipotesi di una vittoria del centro destra possa solo essere agitata strumentalmente o vissuta inconsciamente come alibi per accontentarsi di soluzioni al ribasso. (O il centro destra ritorna molto forte sul piano nazionale o non sarà minimamente competitivo a Milano.) Il dovere morale di ricandidarsi non esiste, in particolare superati i 60 anni, e in particolare in questo caso. Pisapia infatti ha vinto le primarie 2010 in un contesto in cui era parso a molti l'unico in grado di farci uscire dalla Moratti, e/o il miglior garante di una coalizione pluralista. Ora - a parte che si dovrebbe aspettare la fine di Expo - i problemi sono tutt'altri e non c'è bisogno di stressare Pisapia su un presunto obbligo di ricandidarsi se comprensibilmente è stanco. C'è una questione invece che mi pare più urgente e sulla quale Pisapia - il più importante sindaco non Pd d'italia eletto da una coalizione egemonizzata dal Pd - avrebbe oggi un ruolo importante: la legge elettorale dei Comuni resta uguale se si afferma il nuovo Italicum che non prevede più le coalizioni? Che senso ha escludere le coalizioni a livello nazionale? La politica impazzisce definitivamente - o almeno fa impazzire chi la segue - prevedendo contemporaneamente le coalizioni nei Comuni e nelle Regioni ed e- slcudendole per il Parlamento. E magari si fa anche l'election day nello stesso giorno! Proprio da Milano dovrebbe partire un appello contro di questa forzosa e non necessaria "semplificazione" dei rapporti politici, che in realtà li complica. DOPO EXPO: UNA INESORABILE VERGOGNA? Marco Vitale Finalmente anche il commissario Giuseppe Sala si è accorto che c è un problema del dopo-expo (c.d. legacy), tema che, invano, alcuni grilli parlanti hanno sollevato da alcuni anni, sottolineando che l esperienza dimostra che i problemi del dopo-expo (ma anche di altre analoghe grandi manifestazioni) si possono risolvere positivamente solo se vengono pensati e programmati all inizio della manifestazione e non dopo. Il tema della legacy è essenziale, anche se non è nuovo e ne ho già parlato su queste colonne. In un articolo su Repubblica di martedì 27 gennaio 2015 Giuseppe Sala lancia, dunque, l allarme ( Rischiamo il deserto ) e propone, per il dopo Expo, un uso transitorio delle strutture. Come la saggezza popolare dice: meglio tardi che mai. La proposta merita attenzione, come soluzione transitoria, ma è molto italiana nel senso che, alla fine, non sappiamo mai proporre progetti organici ma solo cose transitorie, destinate per lo più a durare per l eternità. Ma il rischio maggiore è quello di ripetere anche per il dopo-expo lo stesso errore fatto all inizio: e cioè, mettere al centro dell interesse e del dibattito il destino delle aree e degli immobili che al termine dell Expo insisteranno sulle stesse. Mentre il tema centrale è ben diverso, ed è quello di creare un percorso di sviluppo per la città metropolitana preferibilmente in continuità con i temi dell Expo. Il problema dell utilizzo delle aree e degli immobili nel sito Expo, che pure esiste ed è tutt altro che semplice da risolvere va a questo subordinato. E questo è anche l unico modo per diluire nel tempo, come è proprio delle grandi opere pubbliche, anche il problema, altrimenti insolubile, del valore di carico, platealmente eccessivo, delle aree stesse. L eredità tematica dell Expo: Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita, deve rimanere la bussola e la guida centrale per il dopo-expo, per trarre dall esperienza Expo il massimo vantaggio con un azione in continuità e perché il tema è e resterà tra i più importanti del mondo anche dopo il Consegue che la guida strategica dell intero sito deve essere caratterizzata da questo tema e, perciò, deve rimanere a maggioranza pubblica, anche se singole articolazioni possano, in una certa misura, essere diverse e debbano essere concesse a privati per la realizzazione, il finanziamento e la gestione. Si pone però l esigenza che tale guida strategica unitaria possa esprimersi con efficienza e flessibilità e sfuggire alle note rigidità e pericoli di una gestione pubblica. Perciò essa deve, inequivocabilmente, porsi fuori dal diritto amministrativo pubblico. La forma più adatta per conciliare le due esigenze (unitarietà strategica ed efficienza operativa) è quella della fondazione di partecipazione dove gli enti pubblici principali vengono affiancati dalla partecipazione di altri soggetti pubblici e privati (università, imprese, altre fondazioni). Il progetto organico di sviluppo dell intero ambito di intervento deve essere glocal, cioè sviluppare attività di rilievo nazionale e internazionale ma, al tempo stesso, realizzare uno stretto e nuovo legame con il territorio per dare una risposta innovativa e decisiva ai temi di riequilibrio ambientale e sociale oggi cruciali per la città di Milano e per la regione urbana di sette milioni di abitanti, che è quella che consente di definirla una metropoli. Il percorso da intraprendere è dunque la costruzione di un progetto culturale e sociale condiviso e partecipato che consenta a Milano e alla Lombardia di inaugurare per il 2015 una nuova fase del proprio sviluppo sociale, economico e urbano. n. 5 VII - 4 febbraio

4 L elemento unificante deve essere la conoscenza. Per questo abbiamo parlato di Parco Urbano della Conoscenza. Ma è necessario concentrare le forze. A noi sembra che il progetto Parco della Conoscenza debba concentrarsi sulla ricerca applicata nelle filiere della nutrizione (agroalimentare) e dell energia. E questo non solo perché queste filiere derivano dal tema dell Expo, ma perché: * queste aree pur di significato globale trovano nel contesto storico e naturalistico di Milano una base molto solida; * comprendono attività che hanno un grande potenziale di sviluppo; * si riferiscono ad attività di ricerca e produttive colpevolmente trascurate nel recente passato. Queste sono le idee di fondo che un gruppo di lavoro (1) del quale faccio parte, presentò come manifestazione di interesse all indagine esplorativa promossa da Arexpo nel novembre E su tali idee di fondo elaboravamo una serie di prime proposte concrete come semplice avvio di un ampio dibattito cittadino. Sembra che a oggi questo filone di pensiero e di lavoro risulti, con il passare del tempo, rafforzato. Lo stesso incarico pensato, ma non ancora assegnato all Università Statale e al Politecnico di elaborare un disegno complessivo per l intera a- rea si muove in analoga direzione. Piuttosto di niente è meglio qualcosa, diciamo in Lombardia. E anche questo incarico fantasma è meglio di niente. Ma è una manifestazione di grande debolezza intellettuale e politica, di un disarmante vuoto d idee, di una grande viltà. La programmazione urbanistica di un area così strategica è atto politico nel più alto senso del termine. È chi ha la responsabilità politica dello sviluppo cittadino e dell urbanistica della città metropolitana che deve fare le sue scelte e proporle, come gesto politico e non tecnico, alla città. Naturalmente gli organi istituzionali che hanno questo compito che deriva dai voti dei cittadini potranno (anzi dovranno) servirsi di tutti i consulenti tecnici (Università o meno) che possano essere utili. Ma dare a questi, per prestigiosi che possano essere, delega aperta, cioè senza inserirli nella pianificazione urbanistica economica e civile della città, di disegnare lo sviluppo di una grande fetta di città, è atto di estrema viltà. È atto da vergognarsi! Tanto è vero che l incarico non è ancora stato dato perché sembra che per darlo sarebbe necessario una gara. Cioè per scegliere una svolta urbanistica importantissima per la città la si affida a una gara e non come avverrebbe in una città normale, all assessore all urbanistica in unione con l assessore allo sviluppo e magari a quello della cultura e con la sintesi finale del sindaco. Ma noi non siamo più una città normale e non siamo più un Paese normale. Siamo soprattutto un paese di vili. Tanto è vero che sembra che la cosa sia stata rimessa nelle mani dell Autorità Nazionale anticorruzione Raffaele Cantone. Tutto ormai conferisce sul suo tavolo e per fortuna che si tratta di una persona di valore e per bene. (1) Emilio Battisti, Francesca Battisti, Fiorello Cortiana, GiovanBattista Costa, Gianfausto Ferrari, Carlo Montalbetti, Pier Paolo Poggio, Giorgio Spatti, Marco Vitale LUOGHI DI CULTO ISLAMICI: LEGGE REGIONALE O CAPIRE IL PROBLEMA? Paolo Branca La più che trentennale inerzia che ha caratterizzato in tutta Italia la gestione del complesso e delicato tema dei luoghi di culto islamici ci ha portati ad averne circa 800 sul territorio nazionale, sale di preghiera 'camuffate' per forza maggiore in circoli culturali o associativi, quasi sempre in collocazioni fortunose e poco dignitose, dirette da persone spesso volonterose ma non di rado inadeguate, con legami più o meno evidenti con movimenti o correnti religiose dei paesi d'origine spesso appiattite su una visione ideologica della fede che determina molte opacità. Il mio profondo rispetto per una nobile tradizione religiosa cui siamo legati per radici condivise quasi quanto all'ebraismo, unitamente all'amore per la mia città e al comune destino che già stiamo condividendo nella nostra ormai pluralistica società non mi consentono più di tacere, di fronte ai possibili rischi, ma ancor più davanti alle potenzialità positive che potrebbero derivare da imminenti scelte su un tema di tale e cruciale rilevanza. Non solo è auspicabile, ma inevitabile un netto salto di qualità. Mi rendo conto della complessità e della delicatezza della questione, ma ciò che temo di più è il perpetuarsi di una mancata gestione del fenomeno la quale non può e non deve incagliarsi in logiche meramente e falsamente securitarie. Quello che si decide di non gestire, infatti, diventa inevitabilmente qualcosa che si subisce: mantenere fuori dall ufficialità e in uno stato di totale deregulation le sfide che una realtà religiosa già e irreversibilmente pluralistica ci pone davanti, finisce per favorire un enorme area grigia che col tempo si consolida come fosse un corpo estraneo o una sorta di società parallela di cui alla fine ci si vedrà costretti a prendere atto, seguendo logiche emergenziali o di sanatoria purtroppo già sperimentate in altri campi e rivelatesi sempre fallimentari. Naturalmente resta aperto il dossier della regolarizzazione di tutti gli altri luoghi di culto, e non solo di quelli musulmani, sul nostro territorio. I due livelli non vanno confusi anche per evitare ulteriori alibi che ci condannerebbero a restare nella medesima palude ancora a lungo, a discapito delle giuste aspirazioni e delle legittime preoccupazioni degli uni e degli altri. A differenza degli altri sistemi politici, la democrazia è costretta a funzionare per non compromettere la sua stessa legittimità: essa si caratterizza più per le buone pratiche che sa promuovere, sostenere e premiare che per le necessarie ma mai esclusive azioni di prevenzione e repressione di possibili irregolarità e disfunzioni. Il mio è in definitiva un accorato invito affinché ci si decida a fare, e bene, finalmente qualcosa. Esortazioni e critiche non le risparmio certamente neppure agli amici musulmani, sia quelli strutturati in forme associative, sia quelli facenti parte di una larghissima maggioranza silenziosa che potrebbe essere indotta a ridurre la propria identità religiosa al rango di una questione puramente rituale e individualistica, quasi da dissimulare anche a motivo di potenti pregiudizi che sempre più spesso si configurano come e- spressioni di vera e propria islamofobia. Sono certo che in luoghi di culto dignitosi e ben gestiti, la gran parte di costoro troverebbe finalmente quel rispetto e quel riconoscimento senza i quali nessuna autentica integrazione potrebbe mai avvenire e contribuirebbe a rendere le moschee normali centri di aggregazione e di spiritualità come sono le sinagoghe e le chiese. n. 5 VII - 4 febbraio

5 Pur senza negare le peculiarità della fede islamica e perfettamente consapevole delle tensioni che a essa sono legate soprattutto nei paesi d origine, resto convinto che lasciare le cose come stanno o renderle ancor meno gestibili con ulteriori appesantimenti burocratici o labirintiche regolamentazioni sia la prospettiva meno efficace, anche sul decisivo versante della sicurezza che anzi si aggraverebbe fino alla paralisi totale se ancora una volta un eccezionalismo troppo sbrigativamente e meccanicamente attribuito a tutti i musulmani indistintamente continuasse a tenerci tutti, noi e loro, in ostaggio. Le condizioni affinché ciò possa accadere, a mio parere, sono con tutta evidenza le seguenti: accanto a una regolarizzazione dell esistente (della quale possono ovviamente far parte anche provvedimenti di chiusura di luoghi che per varie ragioni non potranno perdurare) e senza forzature che riducano il sano pluralismo delle comunità musulmane presenti sul nostro territorio, sarebbe auspicabile almeno un grande centro di studi e iniziative culturali qualificato con sala di preghiera annessa, ma la cui mission principale sia quella di far conoscere e valorizzare, non solo per i musulmani ma per tutti, la ricchezza spirituale e l'eredità culturale di una delle più grandi civiltà del Mediterraneo e del mondo intero; il partner principale dovrebbe essere un'istituzione culturale islamica di livello internazionale alla quale potranno affiancarsi le organizzazioni musulmane territoriali che purtroppo non possiedono ancora né i requisiti, né il personale, né il coordinamento necessario, ma anzi sono spesso tra loro concorrenti, con leadership talvolta inamovibili, litigiose e carenti sia dal punto di vista della trasparenza che da quello del pluralismo (durante il travaglio egiziano, e non solo, si son verificate gravi frizioni interne tra fedeli di diverso orientamento politico durante gli stessi riti del Ramadan 2013). LA CITTÀ NON È UN CAMPO DISPONIBILE ALL ATTIMO FUGGENTE Cristoforo Bono Traendo spunto da una riflessione recente, fatta su queste colonne da Giuseppe Longhi, osservavo come in realtà la crisi degli architetti e del loro mestiere fosse duplice: sia di prestazioni, sia di ruolo. Tutto quanto attenga la competenza tecnica dell architetto, così come la modalità del suo lavoro, riguardano una cultura diffusa (o non ancora diffusa) del sostenibile, cioè del progresso durevole: cultura della quale l architetto deve partecipare. Tutto ciò che invece può favorire un riavvicinamento tra la cultura dell architetto e quella della città, oggi in contraddizione o non coincidenti, è da interpretare o sperimentare con spirito critico. Molti amici hanno però riscontrato nelle mie precedenti note una critica solo negativa, dovuta a certo pessimismo. Provo a correggermi, anche se, nella situazione data, per essere ottimisti, e per dirla con il Porta, ghe voer on bell talent. Lo faccio ovviamente come cittadino tra tanti, e non ancora con la sicurezza dell architetto nuovo, individuando nell esempio milanese sia il positivo nascosto, e ritrovabile, dentro l occasione perduta (sino a ora), sia quanto di positivo sia già emerso dall esperienza. Per Expo, l occasione fino a ora perduta, ma ritrovabile ex post, è quella del che fare dopo. Molti sono intervenuti con proposte, tra le quali quella stimolante e ragionevole di Ada Lucia De Cesaris; ed è anche un bene che più ipotesi restino aperte. Ciò che era chiaro (e anche dichiarato) prima, e che a- vrebbe potuto orientare meglio l occasione di breve durata, era la certezza che ogni proposta per il futuro, si sarebbe comunque inserita in una logica e in una dominante (durevole) di parco. Di parco metropolitano. Se il dibattito fosse stato più forte, e gli equivoci sull acqua dei Navigli minore, si sarebbe orientato diversamente il progetto. Come fu per l Esposizione del 1906 nel Parco Sempione, dove il tema di riferimento lontano non era l acqua dei Navigli, ma il treno del nuovo traforo. Si sarebbe (faccio una ipotesi) potuto imporre a ogni padiglione il segno comune e permanente di una nuova Arena, entro cui ognuno avrebbe potuto incastonarsi, e quale origine di una presenza perenne. Invece si è scelta la suggestione del campo castramentato, dove o- gni tenda ha la sua effimera bizzarria: e il segno forte del parco è ancora da costruire. Insomma: la città non è ancora concepita come approdo di un mondo più vasto e necessario, ma come campo disponibile all attimo fuggente: e anche alle mode che come si sa non hanno niente a che vedere con l architettura. Nel primo caso si sarebbe potuto pensare a un maggiore accordo tra la città e la sua storia, anche quella più recente rispetto allo stesso Parco Sempione: ad esempio (ed è un esempio positivo) quella del Parco Nord. Si tratta di una storia significativa, nella quale, per la prima volta, alla metà degli anni 70 del secolo scorso, il parco fu concepito appunto come un approdo, e non come una semplice attrezzatura della città. Nel caso del Parco Sempione, secondo il progetto riduttivo dell Alemagna, e con un passo indietro rispetto alla magnificenza teresiana dei Giardini di Porta Venezia, così bene completati del Balzaretto, si diede forma sostanzialmente al giro delle carrozze a uso del quartiere borghese di Via XX Settembre; e ormai tramontati gli usi del patriziato milanese nell Antico regime, quando la domenica mattina le signore si incontravano in carrozza sui bastioni di Porta Venezia. Incontri poi disertati per le troppe correnti d aria imputate a Napoleone, che aveva aperto lo Stradone nella direzione della Francia (lo racconta lo Stendhal). Nell originario progetto direttore, di quegli anni, per il Parco Nord, dovuto a Virgilio Vercelloni, la storia del verde milanese era addirittura incorporata nell idea stesa di parco, e riportata per intero nella Legge regionale istitutiva, pubblicata per e- steso nel Bollettino ufficiale. Tale consapevolezza storica - che poi è la capacità di distinguere caso per caso, con le dovute gerarchie di importanza - non agì più tardi nella multiforme vicenda delle aree dismesse (se non in parte per la Bicocca prima e per il Portello nord poi), per le quali ci si attenne invece allo standard uniforme, ma meno significante, sintetizzato nella regola del cinquanta per cento: parte parco e parte costruzioni. Il Parco Nord istituì un principio di logica metropolitana, quello stesso che venne poi ripristinato, con l efficace lavoro della Assessora De Cesaris, per il Parco Sud, agricolo e di carattere diverso, correggendo le devianze di un (proposto) Piano di governo del territorio, che si era ancora mosso nella vecchia logica n. 5 VII - 4 febbraio

6 della città che avanza consumando il suolo agrario. In questo momento si vedono tanti legittimi ottimismi, attinenti l istituzione della Città metropolitana, tra cui il recente articolo qui pubblicato in questa sede di Salvatore Crapanzano. In verità, su certa inadeguatezza del suo Statuto e sul possibile funzionamento della stessa, mi sembra di concordare con i rilievi fatti dai consiglieri Biscardini e Cappato; mentre sul piano dei contenuti credo che la strategia urbana di grande e lungo respiro dovrà essere quella della Città mondiale dei sette-otto milioni di abitanti: cioè la Città Lombardia. Il governo metropolitano potrà essere proprio funzione di tale grande visione, incentrandosi sui due grandi temi che abbisognano di una profonda rifondazione: appunto il sistema dei parchi da un lato, e la riscoperta della casa dell uomo (come la chiamò Ernesto Rogers) dall altro. Cioè la costruzione o ricostruzione dei diffusi modi di abitare, che non siano soltanto l espressione della tracimazione urbana fuori dei confini municipali, ma la realizzazione di un policentrismo identitario e riconoscibile, capace di intrecciarsi con la persistente, anche se labile, tessitura dell antico Contado milanese, ricco si segni, di presenze: vasto deposito delle umane fatiche. Su una tale storia dell hinterland (ecco un altro fatto positivo), abbiamo sia una tradizione virtuosa di quelle Amministrazioni comunali che negli anni ruggenti della immigrazione seppero fare città, sia una tradizione di studi, che sempre devono guidare il progetto, come quelli, tra gli altri, contenuti nelle annate della rivista (appunto intitolata Hinterland) che fu fondata e diretta da Guido Canella. (Che il tema della casa, delle difficoltà, dello straniamento o emarginazione urbana sia oggi generalizzato e scottante, e non localistico, è dimostrato dalle vicende anche le più drammatiche, non solo la nostra Milano, ma anche nella Parigi capitale del Mondo, con le sue banlieue). Insomma: nella nostra storia o tradizione, non vi sono soltanto i facili (e vagamente modaioli) diamanti delle Varesine, ma anche le tante pietre miliari di un possibile percorso. Non saranno le magnifiche sorti, ma la visione potrà essere comunque progressiva. Per non essere invece come l angelo del Porta nel giudizzi del bagaj, pass con giò i al come on osell che cova. DOPO JE SUIS CHARLIE. MILANO IN PIAZZA È BELLA, SE LA ROUTINE NON CI CATTURA Eleonora Poli È un inizio d anno già caldo per la città che scende in piazza: esprimendo vicinanza e solidarietà dietro alla scritta Je suis Charlie o protesta e dissenso, per il diritto alla casa e al lavoro, contro l omofobia, il job act, il razzismo, le mafie... C è sempre una Milano che manifesta. Meno di venti, trent anni fa - sostiene chi ha ricordi più lontani eppure il senso delle grandi iniziative collettive non è cambiato. Forse. Rimane questo uno dei modi più immediati di partecipare, fare politica dal basso; ma nei palchi improvvisati, negli slogan, nei cartelli, nelle note di Bella ciao, nelle istantanee su Facebook si nasconde un rischio: la trappola dell abitudine, e della autoreferenzialità. Ansia da flash-mob a ogni costo. Quel ritrovarci sempre tra noi, noi di sinistra (in genere il sabato pomeriggio, nelle strade del centro) nasconde un compiacimento che persino nei momenti peggiori incoraggia, riscalda. E che cosa c è di male in questo? Dobbiamo proprio essere autocritici su qualcosa di bello? Sì, in effetti dobbiamo. Sia una manifestazione o un grande convegno - come quello di Human Factor, poco più di una settimana fa - questi sono gli spazi, peculiari, della sinistra. Chi sta dalla parte opposta ha cercato di copiare la formula, ma proprio non sta nella cultura e nello stile del centrodestra e dei suoi elettori. Per chi è di sinistra riunirsi in un assemblea pubblica o manifestare significa partecipare, soprattutto esserci. Essere nel cuore del problema, nel mezzo della battaglia, nel flusso del divenire, animati da una forte empatia. Sempre così? È utile però, alla lunga, parlarsi tra gli stessi, in cerca di conferme? Un po ci si sente appagati di far parte di una minoranza, un eletta cerchia di consiglieri, assessori, segretari di circolo, militanti; e di cittadini impegnati, naturalmente. Ci sono però tanti altri che di questo ambiente non fanno parte, di questo mood; magari non perché la pensano diversamente, o per una generica mancanza di interesse. È piuttosto che dell impegno attivo non conoscono le dinamiche, lì in mezzo non stanno a proprio agio, neppure tra le bandiere familiari del partito che votano o i cartelloni sandwich che avrebbero potuto scrivere loro stessi. I perché di questa rinuncia a esporsi non andrebbero liquidati in fretta. C è una parte troppo grande della città che dalla piazza non si sente rappresentata, nei suoi bisogni e nelle sue urgenze, e questo è un grosso limite, sottovalutato. A ogni corteo, presidio, fiaccolata, convegno o flash mob le new entry sono poche. Si rilevano di volta in volta assenze eclatanti, tante presenze sicure ma pochi mutamenti sostanziali che portino questo strumento a evolvere, espandere le sue potenzialità. Ci sono pomeriggi e serate che ottengono un successo strepitoso, l attenzione dei giornali, della tv, dei social network. I Sentinelli contro l omofobia hanno avuto per esempio un idea geniale, contrastare l intolleranza ponendosi in direzione ostinata e contraria, con un messaggio rovesciato: bello, efficace, intelligente. L attenzione deve rimanere alta, però, perché il demone dell abitudine è in agguato; meglio che gli eventi mantengano un accezione di straordinarietà, se si trasformano in una sorta di routine le persone vengono colte da saturazione, stanchezza. Ci sono giorni che la piazza sembra più un appuntamento prefissato che un espressione di indignazione e speranza, più uno specchio di se stessi che un mezzo per farsi ascoltare. Al popolo di sinistra, come lo definiscono con poco velata ironia i titolisti dei quotidiani, piace vedersi, rivedersi ed essere visto; un po ci si assuefa, al limite, anche a non essere ascoltati dal vero interlocutore finale, da chi ha il potere di decidere e cambiare il corso delle cose. Ci si dimentica, nell entusiasmo del fare, che la protesta e la moltitudine che la anima sono un punto di partenza e non d arrivo. Come diceva Paola Natalicchio, sindaco di Molfetta, nel suo intervento a Human Factor non possiamo più permetterci di passare di convegno in convegno (e di manifestazione in manifestazione?): ne perdiamo la metà la prossima volta. Ecco, non possiamo permettercelo. Oggi il cartello sul petto dice Je suis Charlie, domani io sono un pirla, per fare il verso a Maroni; e n. 5 VII - 4 febbraio

7 poi io sono greco, dopo la vittoria di Tsipras. Ma la piazza è sempre territorio condiviso? Chi non ci crede continua a non crederci, e chi ci crede ci crede fin troppo. È questo il vero problema. Si manifesta troppe volte per difendere i diritti di qualcuno che nemmeno lo sa, e non è giusto che non lo sappia. Ci sono mondi in teoria simili che non comunicano e non instaurano un dialogo. Ci sono i cortei della Cgil, c è la piazza universale del 25 aprile; ma più di frequente in prima fila è una classe medio - alta con esigenze e aspettative che altri non arrivano a riconoscere perché le differenze sociali sono ancora grandi, nella Milano Tutto altro pubblico partecipa alle assemblee di quartiere sul futuro delle case Aler, da Giambellino a Corvetto. Si parla un altra lingua, si racconta altra storia: decine di persone, anziani e famiglie, seduti ad aspettare il rappresentante delle istituzioni che andrà lì per spiegare, informare; pronte le domande. Questi cittadini - obietterà qualcuno - non fanno però politica, stanno ad aspettare risposte. Ma la politica, dal basso o in alto che sia, non è forse cercare, guidati dalle idee, risposte e soluzioni alle questioni che altri pongono? Ci sono moltissimi cittadini milanesi che in Duomo o in Cairoli non ci vanno, mai: il gap si tocca con mano ed è stridente. È È innegabile, esistono dei temi che per una concomitanza di circostanze fanno notizia, trascinano anche chi non è coinvolto in prima persona. Sembra facciano volare alto, lottare per un mondo migliore. Altre cause aperte e irrisolte non godono dello stesso destino: se ne riconosce l importanza, e tuttavia rimangono ostiche, spinose, frenate da mancanza di risorse economiche; richiedono un impegno maggiore anche solo per decidere da quale parte stare ed esigono un risvolto pratico immediato. Paradossalmente diviene più facile fare ascoltare la propria voce contro l omofobia e favore dei matrimoni gay, sul testamento biologico o contro il razzismo che non sull assegnazione delle case, la disoccupazione over 40 o la riqualificazione delle periferie. E se in alcuni casi la possibile via d uscita segue una linea retta, in altri è invece un groviglio di tentativi che cadono nel vuoto. Condannare il terrorismo, chi non sarebbe d accordo? Mentre far uscire allo scoperto un problema dal quartiere in cui è confinato e farlo arrivare a tutti, questa sembra un impresa titanica. Più difficile in certe situazioni essere autoreferenziali, e tanto più inutile. Ancora non è cambiato abbastanza, a Milano come ovunque. Non ci sono solo le periferie, ci sono anche le manifestazioni periferiche. L impressione è che non si riescano a recepire abbastanza le singole storie, quelle vicine ancora meno di quelle lontane, e che impegnarsi per i diritti possa finire per diventare un astrazione. Non da tutta la realtà, ma da certe realtà. Qualche settimana fa ero davanti al consolato francese, domenica pomeriggio: tutti lì per ricordare, lasciare una frase, un bel momento. Incontro tra gli altri un ex collega che a queste iniziative non c è mai. Bello, vero?, le chiedo. E lei, perplessa: Sì un po fighetta, però, questa cosa. La guardo con una certa indignazione e la saluto in fretta per evitare di avviare una discussione impervia. Ma mentre mi allontano, con la soddisfazione di essere stata lì, ecco che un po ci ripenso. Non faremo un passo avanti se continueremo a parlarci tra noi, se non prenderemo in considerazione critiche e impressioni esterne. Un po fighetta, dici? Ci rifletteremo. MONTE STELLA: MALUMORI INEVITABILI? Enrico Fedrighini* Partecipazione, decentramento e coinvolgimento dei territori nelle scelte : se questi impegnativi slogan elettorali non si traducono sistematicamente in azioni conseguenti, rischiano di apparire agli occhi dei cittadini come un amara presa per i fondelli. Con tutte le conseguenze inevitabili del caso. Soprattutto se in gioco ci sono questioni di grande rilievo urbano, come la collocazione di funzioni di elevato impatto all interno di grandi parchi pubblici che fanno parte del patrimonio storico e ambientale della città, come il parco Monte Stella. Questioni forse un po più importanti della coltivazione di qualche cavolfiore condiviso all ombra del Duomo. L Amministrazione comunale, in primis l assessore Del Corno, vorrebbe trasferire la stagione dei concerti City Sound all interno del parco Monte Stella. Le motivazioni pubblicamente espresse dall assessore a sostegno del progetto sono tre: portare la musica nelle zone trascurate della città ; non si può bollare come demoniaco un festival del rock (?) e infine, come se non bastasse: è stata la società a individuare il pratone del Monte Stella, altre con le stesse caratteristiche non ce ne sono (a parere della società che organizza l evento, ovviamente). Oggi, come negli anni Ottanta, Milano è priva di uno spazio urbano open polifunzionale, da dedicare in estate a eventi musicali e concerti (a parte lo stadio Meazza, che per capienza e costi è vincolato a specifiche categorie di eventi). In ogni città europea esistono spazi open dedicati ai concerti rock, e presentano precise caratteristiche: si tratta di aree molto ampie, ben accessibili, senza interferenze con aree residenziali, lontane da luoghi già congestionati, dove i flussi di pubblico provenienti da un area vasta possono essere agevolmente assorbiti dalla capacità di carico della rete di trasporto pubblico e privato. Sono spazi pensati, realizzati a questo scopo, individuati attraverso una analisi territoriale. E funzionano, senza sollevare problemi né conflitti, perché non interferiscono con la normale vita urbana e con l ordinaria fruibilità degli spazi pubblici esistenti. Tutto questo avviene in città governate da amministrazioni che, al di là del colore politico, riescono a svolgere il minimo sindacale. Potremmo copiare, sarebbe già qualcosa. E invece no. A Milano la geniale pensata degli assessori Del Corno, D Alfonso e Bisconti è di concedere una delle aree verdi pubbliche maggiormente fruite dai milanesi, il parco Monte Stella, agli organizzatori dei concerti estivi della rassegna City Sound, sottraendola all uso ordinario dei cittadini. Una porzione del parco verrebbe recintata per l intera durata della rassegna (gli eventi sono ovviamente a pagamento); i concerti potrebbero attirare fino a spettatori da varie parti della regione; nuovi flussi di traffico privato invaderebbero la viabilità locale residenziale, già gravata nei restanti mesi dal maggior carico di traffico a livello urbano. Oggi il Parco Monte Stella è uno dei parchi urbani più intensamente frequentati, specie nella stagione estiva: è mèta quotidiana di corridori e n. 5 VII - 4 febbraio

8 ciclisti (runners e bikers per gli a- manti degli inglesismi); di praticanti di nordic walking; di giocatori di calcio sui manti erbosi; di proprietari di cani; di squadre di cultori del Tai Chi; di istruttori e allievi di orienteering; di famiglie e di intere comunità. È una palestra verde a cielo aperto e a ciclo continuo, uno dei parchi periferici maggiormente fruiti da tutti i milanesi. È anche sede del Giardino dei Giusti, funzione nobile e prestigiosa degna penso - di una qualche forma di riguardo. Quando l assessore Del Corno dice che realizzare City Sound al Monte Stella significa portare la musica in zone trascurate della città, ho la sgradevole sensazione di essere amministrato da chi conosce poco o nulla della nostra città (intesa come qualcosa di più esteso della cerchia dei Bastioni), e che proprio questa profonda non conoscenza sia alla base di simili decisioni. Quando dice non si può bollare come demoniaco un festival del rock, Milano non può diventare Beaumont City (citazione colta: riguarda la cittadina che bandì la musica rock nel film Footlose, un pilastro della storia del cinema), non capisco di cosa parli: in discussione non è la realizzazione dell evento, ma la sua localizzazione. E quando afferma che il Monte Strella è l unica localizzazione possibile perché rappresenta la soluzione migliore per i promotori dell evento (e ci mancherebbe), mi chiedo: quale concezione di interesse pubblico ha l assessore alla cultura? Ma c è un altro aspetto grave in questa vicenda: il metodo seguito. Il Consiglio di Zona 8 avrebbe potuto illustrare, preventivamente, i problemi e le criticità legate a questa. E invece gli assessori hanno preferito inviare il tecnico del settore verde a effettuare sopralluoghi nel parco insieme ai promotori (è previsto l accesso di TIR e mezzi pesanti per carico / scarico di palchi e attrezzature, strutture, ecc.), tenendo accuratamente all oscuro proprio il Consiglio di Zona 8. Alcune persone, che a quella di private servant antepongono la funzione di civil servant, hanno informato la Zona 8 di quanto stava accadendo; la Zona 8 ha quindi deliberato un no deciso a tale progetto, ricordando che proprio il parco Monte Stella è oggetto di una richiesta di vincolo paesistico deliberata dall attuale amministrazione comunale (dove forse la mano destra e la mano sinistra potrebbero iniziare a comunicare). Proposte alternative ne esistono: la Zona 3 ha chiesto di poter ospitare eventi musicali al Parco Lambro (questo si che rivitalizzerebbe zone trascurate); esiste l Idroscalo, esiste l Arena. Risultato della brillante operazione di sordità politica: è nata una forte opposizione al progetto da parte della Zona 8 e dei residenti; si stanno organizzando forme di mobilitazione, con un trasferimento inevitabile della conflittualità già sperimentata sul territorio contro il progetto Via d Acqua sul versante Monte Stella. Complimenti: forse questa è l unica forma di partecipazione davvero praticabile e utile alla città. *Presidente della Commissione Ambiente e Mobilità del Consiglio di Zona 8 PERIFERIE SPIAZZATE : LA DISCUTIBILE GESTIONE DELLO SPAZIO PUBBLICO A MILANO Francesco Vescovi È di pochi giorni fa la notizia del nuovo concorso per la migliore qualificazione (sic!) di piazza della Scala, finanziato da Banca Intesa con due milioni di euro. Sulla pagina Facebook del Comune si possono leggere al riguardo dozzine di commenti di cittadini concordi nel definire uno spreco di risorse - quantunque devolute da privati - un tale intervento su di uno spazio già riqualificato (nel 2000, su un precedente progetto di Paolo Portoghesi), rivendicando piuttosto un maggiore impegno per gli spazi delle periferie. Non è un caso che il Corriere della Sera di Milano del 30 gennaio abbia accompagnato in prima pagina la notizia del concorso con una foto del 1959 della piazza, ridotta - come allora molti altri luoghi del centro storico - a parcheggio. I casi sono due: o i giornalisti non frequentano questo posto da circa sessant anni oppure erano troppo imbarazzati a illustrare con una foto recente il titolo via le auto: un isola dei musei in Piazza della Scala. Per altro, a leggere l articolo per intero, si scopre che, per stessa ammissione dell assessore De Cesaris, la pedonalizzazione di via Manzoni non sarà comunque possibile.... Davvero appare uno spreco intollerabile investire ulteriori soldi, risorse e intelligenze in uno spazio che, sebbene non del tutto risolto (un articolo sul Corriere del 1999 di Carlo Castellaneta per esempio stigmatizza, non senza ragione, l introduzione dei gelsi), non appare certo come una priorità. Ecco, appunto: quali sono le priorità dell amministrazione in tema di spazio pubblico e qualità dei luoghi? Forse andrebbe discussa una strategia e divulgato un programma in proposito. Quanti soldi e progetti sono stati destinati agli spazi del centro e quanti a quelli della periferia? Per fare solo uno dei tanti esempi possibili, la Bovisa, così sagacemente descritta da Renzo Riboldazzi in un recente articolo su questa testata, versa in uno stato indegno, soprattutto considerando il numero (e il tipo: studenti, studiosi e professionisti da tutto il mondo) di persone che la attraversano quotidianamente e il ruolo, prestigioso e simbolico, che dovrebbe rivestire il Politecnico in questo quartiere. Risulta per altro irritante constatare che la stessa Banca che qui ha congelato ingenti investimenti in aree di trasformazione ancora oggi in stato di degrado e abbandono, in centro possa decidere, con il supporto del Comune, di finanziarsi a piacimento - per adeguarlo probabilmente al rango della sua bellissima sede - il proprio spazio pubblico già riqualificato a spese dei contribuenti meno di vent anni fa. O forse è solo una disfida tra istituti di credito: dopo che Unicredit ha costruito la sua piazza di successo a Porta Garibaldi, Banca Intesa non vuole sembrare da meno. E se si vincolasse ogni intervento di 'maggiore qualificazione' del centro alla riqualificazione di un luogo in periferia? Facciamo almeno un po per uno.... È chiaro che questa città, nonostante il teorico dna politico degli attuali reggenti, ha un rapporto alquanto conflittuale con il concetto di piazza e spazio pubblico. In altre metropoli - certamente anche per opportunistiche ragioni di marketing urbano - lo spazio pubblico di strade e piazze è oggetto di particolari attenzioni in funzione del livello di urbanità e di sostenibilità sociale che ne derivano. A Milano si fatica ad affrontare un tale argomento, anche perché per i milanesi - come conferma uno dei quattro dimenticati referendum - lo spazio pubblico, quando non è adibito a strade carrabili e parcheggi, è sinonimo di verde, e quindi viva alberi e giardini e abbasso la pietra, con buona pace della tipica piazza italiana, per secoli lo spazio pubblico per antonomasia delle nostre cit- n. 5 VII - 4 febbraio

9 tà (anche se poi, constatando il desolante deserto della nuova piazza Gino Valle, si può pensare che i vincitori del referendum non abbiano poi tutti i torti...). Sarà quindi anche per via di questa scarsa dimestichezza che l amministrazione si è andata a impelagare in quer pasticciaccio brutto (come titola l articolo di Claudio Bacigalupo su questa testata) di Atelier Castello? Una vera contraddizione: sbandierato come frutto di un processo partecipativo inedito, il progetto scelto per la pedonalizzazione di Piazza Castello non è stato quello più votato online dai cittadini bensì quello indicato da una ristretta giuria di 4 persone, dopo che il Comune aveva coinvolto ben 11 studi di architettura e organizzato altrettanti incontri con la cittadinanza (un defatigante tour de force per i partecipazionisti più convinti!). E tutto questo poi solo per decidere come allestire temporaneamente (?) - e fino a nuovo concorso internazionale (!) - l arredo urbano di 500 metri di strada; mentre il progetto (forse di più lunga durata?) col maggiore impatto sullo spazio pubblico e sull immagine del centro - i controversi caselli dell Expo Gate - è stato sottratto al dibattito cittadino e scelto da un altra giuria ristretta di 7 persone. Curare il centro non significa dimenticare le aree più periferiche perché... non esiste alcuna contrapposizione fra centro e periferia controbattono un po' retoricamente, quasi tra il piccato e il pedante, i curatori della pagina Facebook del Comune di Milano a quanti, protestando per l ultimo bando, propongono piuttosto di dedicare risorse e progetti ad altre aree più bisognose. Piacerebbe anche a noi! Scommetto però che i costruttori milanesi - i cosiddetti sviluppatori (dove mai si va a cacciare lo sviluppo!) finanziati, tra gli altri, dalla Banca Intesa di cui sopra - avrebbero difficoltà a sottoscrivere questa presunta uguaglianza tra centro e periferia. Come del resto i molti che vivono in quest ultima. DIMENTICARE IL PASSATO: UN OBBROBRIO A NORMA DI LEGGE Giulia Mattace Raso Il limite del buongusto credo lo si sia superato da un po : siamo all eutanasia del decoro urbano, alla sua morte legalizzata. C era una volta lungo i Bastioni di Porta Volta il capolinea di numerose linee tramviarie intercomunali: fu creata una stazione che serviva a dare riparo e a o- spitare, in una grande sala chiusa e riscaldata, i passeggeri in partenza. Nelle sale d attesa è collocato un bar". Siamo nei primissimi anni 50. Passano gli anni le linee del tram sono dismesse, qualche capolinea resta e così il bar. Il bar dell Atm. Uno dei primi a proporre il rito dell aperitivo, quando ancora l happy hour non era di moda, uno dei locali storici della movida milanese. Molto amato nei primi 2000 da architetti e designer milanesi e stranieri (come recitano le guide francesi dell epoca). Enormi ponteggi lo coprirono a lungo, veniva quasi da pensare che il cantiere fosse finanziato dalla pubblicità, in uno dei punti di maggior visibilità della cerchia dei Bastioni. E poi la sorpresa una volta scoperchiato: in copertura una massa volumi tecnici spropositata, e una nuova pensilina metallica strallata a parziale protezione del nuovo roof garden. (I volumi tecnici, si sa, non vengono conteggiati nella slp, perché lesinare?) La pensilina funziona da parasole d estate, ma d inverno compaiono, dopo qualche stagione, tendoni grigi scorrevoli con pois arancioni a guisa di finestre, sostituiti di recente da serramenti fissi, marroni, a riquadri. Evidentemente lo spazio non basta proprio mai: quel che resta del roof garden è attualmente coperto da un gazebo "gonfiabile", contornato di pinetti e lampioncini in stile ottocento. Ultima novità una nuova rampa di scala esterna, sulla coda dell edificio, che atterra nei pressi di un improvvisato locale pattumiera a vista, delimitato (?) da grigliati metallici, a fianco dell altro deposito spazzatura contornato da vasi e rampicanti. Non poteva mancare (per necessità reale ma non progettata) un prefabbricato per una toilette provvisoria dedicata agli autisti in pausa. E credo tanto potrebbe bastare per cercare di capire come si creino queste zone franche del decoro urbano. Ma la riflessione si spinge oltre sapendo che quello di partenza non era un edificio qualunque: Piero Bottoni lo inserisce nella sua Antologia di edifici moderni in Milano nel 1954, è un bell oggetto che racconta bene la Milano del dopoguerra. E scopriamo che a progettarlo fu Arrigo Arrighetti nel 1951, come progettista dell Ufficio tecnico del Comune di Milano. È lo stesso autore che, senza saperlo, abbiamo conosciuto e apprezzato frequentando la piscina del Parco Solari, le scuole materne di via Pier Capponi, Santa Croce, Comasina, l istituto Cesare Correnti, e quelli di via Clericetti, la Biblioteca Sormani. Il lavoro di Arrighetti si distingue per ricchezza e versatilità nella realizzazione di centri religiosi, piscine, scuole di ogni grado e di edifici pubblici in generale, oltre che edifici residenziali. ( ) Un architetto che ha pensato la città che risorgeva dalle macerie della guerra come un luogo ospitale in cui la socializzazione e i contatti umani avessero diritto a luoghi atti ad accoglierli e a favorirli, facendo della sperimentazione la guida della propria ricerca progettuale (1). Non un edificio qualunque, non un progettista qualunque, che ha distinto gli uffici tecnico e urbanistico del Comune di Milano per quasi quarantanni (2). La città di Milano dovrebbe avere più cura del suo patrimonio del contemporaneo: come può altrimenti tutta la vulgata su Milano capitale del progetto, della buona architettura e del design non suonare come vuota retorica? Per altri versi questa storia sollecita la riflessione sul senso e la qualità di un ufficio tecnico comunale formato da progettisti con la matita in mano, il cui ruolo non era solo quello di vidimatori a norma di legge, probatori di conformità. In tempi di competenze sovrane e spezzettate, la sistemazione della rinnovata piazza XXIV Maggio lo testimonia, è sempre più viva la necessità di un architetto della città. (1) Claudio Camponogara Arrigo Arrighetti e Milano, AL, 2002, n.4, pag n4_52-55.PDF (2) Arrigo Arrighetti nasce a Milano il 17 ottobre del 1922; nel 1940, dopo gli studi tecnici, viene assunto dal Comune di Milano. Si laurea in Architettura nel Dal 1956 al 1961 è dirigente dell Ufficio Tecnico del Comune di Milano. Dal 1961 al 1970 è direttore dell Ufficio Urbanistico. ibidem n. 5 VII - 4 febbraio

10 I POSSIBILI PERCHÈ DI UNA MILANO MAI VISTA Paolo Favole Milano mai vista è una delle esposizioni ora in Triennale: mi aspettavo una mostra invece è un film documentario (breve) su alcuni progetti dell ultimo secolo non realizzati. Non si tratta in realtà di una Milano mai vista perché i progetti presentati sono quasi tutti conosciuti, ma di una Milano non realizzata, presentati senza commenti, come una descrizione, più che una denuncia, con qualche amarezza, forse come un invito a conoscere di più e riflettere. Difficile un giudizio, ma diversi sono gli interrogativi. I progetti non visti riguardano l area intorno al Castello, l asse del Sempione, la stazione e la sua piazza, Brera, San Babila, piazza Duomo, alcuni assi stradali, piazza San Fedele, l area della Fiera, e qualche altro. La prima domanda è il perché della scelta: infatti i progetti -sempre noti- ma mai visti cioè mai realizzati, sono assai più numerosi: dai molti recenti concorsi regolarmente svolti, premiati (pubblicati) e rimasti nei cassetti, citando a caso il parco Forlanini o molte piazze o i rilevati ferroviari, ai tantissimi progetti in trent anni per l area Garibaldi Repubblica, o gli innumerevoli per piazza Duomo, ecc. Il motivo della scelta non è dichiarato nel filmato e neanche nel piccolo catalogo, che ha però alcuni testi significativi. La seconda domanda è perché tutti quei progetti siano rimasti sulla carta. Dei progetti mai visti posso essere contento che in piazza Duomo non si siano realizzati quelli di Mari (che apprezzo moltissimo come designer) ben tre ma uno solo è presentato, voluti da Tognoli con un incarico diretto (costati se non sbaglio 350 milioni) e l aiuola alberata di Piano, irrealizzabile, perché posta sulla soletta della metropolitana, declamata dal Corriere come la soluzione definitiva del progetto incompiuto (?) della piazza, se non con un impresentabile enorme contenitore di cemento alto un metro e mezzo. E sono contento che non si sia realizzata la Beic, la strapubblicizzata biblioteca, che era un organismo inutile con l evoluzione delle biblioteche e dell informazione, e anche un brutto progetto di architettura non connesso per esempio alle infrastrutture o al parco di quell area, come avevo detto in allora in un dibattito pubblico, con forti reazioni contrarie. Mi spiace invece che sull area della Fiera non si sia realizzato il progetto di Piano, con un unico grattacielo di grande qualità, un vero parco, invece della frammentazione degli spazi del progetto ora in attuazione, ma la scelta fu fatta non per la qualità del progetto, ma per la maggiore offerta economica. Così abbiamo già alcune motivazioni del non visto : l irrealizzabilità o la finanza o il superamento dei tempi. Gli altri progetti non attuati mi lasciano sinceramente indifferente. Altri temi come Brera sono ancora in progress, altri ormai sono inattuabili. Un altra motivazione, sapendo che potrei trovare molti in disaccordo, è la modestia di molti progetti, che dovrebbe far riflettere sui limiti della cosiddetta scuola milanese di architettura, se poi c è mai stata una scuola milanese, di certo non al livello internazionale dello stesso periodo, salvo qualche esplicito riferimento come la Milano verde del 1938 alla Ville radieuse e agli altri progetti di città di Le Corbusier di dieci anni prima. Con un ritorno attuale di fatto, cui assistiamo con reazioni divergenti, che molti progetti importanti ora sono di architetti stranieri: Isozaki, Pei, Pelli, Perrault e altri, tutti scelti da committenti italiani. Se non sbaglio le ultime grandi opere di italiani sono la nuova fiera di Fuksas e di recente tutti gli edifici del Portello di autori vari, mentre le residenze della Merlata sono in parte ancora in realizzazione. L altro aspetto è che la maggior parte dei progetti riguarda spazi o edifici pubblici, commissionati quindi dal Comune o da enti pubblici rimasti inattuati come se non ci sia stata, in un tempo lungo, una regia pubblica continua nel tempo, convinta delle proprie scelte, degli obiettivi e dei mezzi per realizzarli o in alternativa capace di gestire le proposte private. per cui la città è cresciuta per spot. Un fenomeno che non so se sia solo milanese, perché visto da una ottica interna, a differenza di quello che sembra di vedere in città straniere che sembrano avere o almeno avere avuto una continuità di decisioni e scelte sul tempo lungo. Come scritto nel catalogo Milano mai vista non è però la Milano nascosta. è una Milano che avrebbe potuto essere, se le porte scorrevoli della storia si fossero aperte o chiuse con un tempo diverso. È una Milano sognata o solo auspicata: il filo rimasto sotto traccia di una trama che tutti sembrano ingannevolmente conoscere (F. Irace). Ecco che la Milano mai vista mi ha fatto fare molte riflessioni: con un invito a tutti a guardare le parti di Milano rimaste incompiute e in vista e a cercare le loro motivazioni, per risolverle, e a sperare che qualcuno dei temi sollevati sia ancora risolvibile. Scrive Emilio Vimercati a proposito del prossimo sindaco Per la riconferma del sindaco suggerisco ad arcipelago di promuovere subito una raccolta di firme. Le nostre due già ci sono. Ovvero la continuazione del suo mandato per portare a termine il programma fino al termine consentito dalla legge è nella natura politica di un sindaco. L uscente inoltre ha sempre un vantaggio sul traino e regalarlo alla ds è tafazziano. E non potremo che regalarci una bella figura a risparmiarci primarie lacerate da suddivisioni enfatizzate dai media. Per carità al solo pensarci Pisapia forever Scrive Andrea Caroppo a proposito dell editoriale scorso di LBG n. 5 VII - 4 febbraio

11 Forse chi scrive l articolo non si rende conto in che stato si trovi la nostra Milano! Sporco, criminalità, multe selvagge, scuole materne gestite con risorse ridicole00 euro il (io il primo giorno di scuola materna del mio piccolo ho dovuto portare anche la carta igienica) e pagando circa 500 euro il mese ecc. Aumento di tasse incondizionato con addizionali comunali mai avute a Milano, IMU ad aliquota piena e massima, Tasi aliquota piena e massima, Tari aliquota piena e massima e riduzione dei servizi! Che sono comunque un aumento di tasse ovvero non cambio l aliquota ma riduco i servizi. Ma di cosa stiamo parlando??? Di una persona il cui primo pensiero appena eletto è stato bloccare il nuovo PGT bloccando l edilizia per tre anni in un periodo che già l edilizia arrancava per sistemare i suo amici, mettere le mani su EXPO sempre per sistemare i soliti amichetti del quartierino!!!!!! Ricordo a chi scrive l articolo che il nostro purtroppo sindaco (scritto in minuscolo volontariamente) non vale molto ed è dove si trova forse con il consenso iniziale di uno sparuto 20/22% dei milanesi, visto le elezioni svolte nel mese di luglio quando tutti erano in ferie o via per il fine settimana. MUSICA questa rubrica è a cura di Paolo Viola rubriche@arcipelagomilano.org Die Soldaten, parte seconda Nell annunciare l opera di Zimmermann alla Scala, la settimana scorsa, ho affermato che essa fa parte di quegli spettacoli compravenduti da Pereira appena indicato Sovrintendente a Milano ma ancora in carica a Salisburgo. Ci ha fatto gentilmente notare Cristina Jucker ( solo per amor di precisione ) che invece Die Soldaten è stata coprodotta dalla Scala con Salisburgo su decisione di Lissner e poi da lui portata alla Scala. La ringrazio molto della doverosissima precisazione e mi scuso con i lettori per l informazione sbagliata e fuorviante. Veniamo all Opera, che ha suscitato molto interesse nelle sue sei recite (in due settimane l hanno vista circa dodicimila persone!) ma in modo sorprendente perché, a quanto si è capito dai tanti commenti, il pubblico ha molto apprezzato molto più la scenografia e la regìa e molto meno per non dire pochissimo la musica. Si sa che la musica cosiddetta colta del novecento (quest opera, come ho ricordato, è del 1965) è spesso ostica, si rivolge in modo quasi esclusivo a un pubblico sofisticato di intellettuali (o addirittura di snob!), non è entrata nel cuore degli ascoltatori ed è - soprattutto l opera lirica - ancora lontana dall aver conquistato la benché minima popolarità. Ma avrei immaginato che questa di Zimmermann, nata con gli stessi presupposti ideologici, poetici, musicali del Wozzeck (andato in scena nel 1925) e della Lulù (terminata nel 1935) di Alban Berg, avrebbe costituito come quelle una eccezione nel panorama musicale del secolo scorso, e colpito positivamente lo spettatore di questo secolo, ormai assuefatto al linguaggio seriale o dodecafonico. La sensazione che si è avuta in sala, invece, è che la musica sia stata mal recepita e che il fascino della regìa tedesca ancorché ideata da un lettone in terra austriaca sia piaciuta assai di più. Cominciamo allora proprio dalla musica. Già quell attacco con l assordante, lunghissimo accordo costituito da un infinito numero di note e di timbri che si spengono poco a poco, con il quale Zimmermann annuncia la morte del mito borghese di un mondo giusto ( e dovrebbero tremare coloro che subiscono l ingiustizia, mentre gli unici a godere sarebbero quelli che commettono l ingiustizia...") descrive fin da subito il pathos che dominerà l intera opera e sembra anticiparne i temi e i possibili sviluppi; meravigliosamente qui, come in Berg, non è il linguaggio a prevaricare e a dettar legge, ma è la musica che si serve del linguaggio per descrivere sentimenti e atmosfere. Come Wagner usava i leitmotive e Bach costruiva mastodontiche fughe su un semplice soggetto e controsoggetto, in Die Soldaten la serie viene usata per dare compattezza e per rendere monolitico l impianto musicale (Bach, Mozart, Mendelsshon, Wagner si sentono ovunque, in filigrana, nel tessuto armonico e contrappuntistico dell opera) mentre il vezzo con cui Zimmermann, nel libretto, antepone a ogni scena il titolo della forma musicale adottata nella scrittura (Toccata, Ricercare, Ciaccona, Notturno, Couplet, Refrain, ecc.) testimonia la classicità e la limpidezza compositiva dell opera. Si esce da due ore di musica con la sensazione di essere stati in un luogo - tragico, cinico, disperato - in cui tutto torna, si lega, sta insieme per farci capire come purtroppo anche l inferno sia uno dei mondi possibili. Ed eccoci alla accuratissima regìa del lettone Alvis Hermanis, alla grandiosa scena della tedesca Uta Gruber-Ballehr e ai dimessi costumi di Eva Dessecker (tedesca anche lei), ai quali non si può negare considerevole fascino e forte coerenza, tanto da risultare a loro modo molto convincenti. Ma se si legge il libretto dell opera - e non ci si limita al testo riprodotto dai display posti sulle poltrone del teatro - si capisce quanta esso sia stato tradito in questa edizione: i soldati non sono soldati ma poveri diavoli, male in arnese, che passano il tempo oziando in un ambiente più simile a un ospedale o al dopolavoro di una fabbrica anziché a una caserma (ma ci sono i cavalli e la scritta Felsenreitschule che allude al seicentesco maneggio - ora sede del Festival salisburghese - a farci credere di essere alle prese con un reggimento di cavalleria); la mancanza di unità di tempo, di luogo e di azione viene interpretata come integrazione, nella stessa scena, di più tempi, più luoghi e più azioni, quanto basta per complicare la comprensione della trama; una quantità inverosimile di accadimenti sulla scena, in massima parte non richiesti dall autore, distraggono l ascoltatore dalla musica impegnandolo a cercar di comprendere cosa vi succede. E così di seguito fino ai timidi accenni a improbabili trasgressioni erotiche (una masturbazione collettiva, il rotolarsi nella paglia per alludere ad amplessi, un lugubre aborto volontario della protagonista, ecc.) di cui non esistono traccia o allusione nel testo: e dire che Zimmermann, nella descrizione n. 5 VII - 4 febbraio

12 con la quale introduce la scena del secondo atto, scrive addirittura che la disposizione proposta dall autore dovrebbe essere mantenuta con la maggiore fedeltà possibile! Se oggi è da considerare più che acquisito il diritto dei registi ad attualizzare il racconto o trasportarlo in un epoca o ambiente diversi, per dimostrarne l universalità e la freschezza, non se ne può più, invece, della cattiva abitudine di reinventare la trama, di raccontare una storia diversa da quella scritta dall autore, specialmente quando si tratta di un opera poco nota che l ascoltatore vorrebbe conoscere nella sua originalità, così come fu pensata. Bravi tutti i cantanti, dalle voci molto articolate richieste dall autore: un soprano drammatico di coloratura, un contralto drammatico, un baritono acuto e un tenore molto acuto (ma c è anche un tenore lirico molto acuto ), due baritoni eroici e così via per un totale di 18 cantanti, 4 ballerini e 25 attori in parti solo recitate. Scrive Enzo Beacco nella sua Offerta Musicale che nei Soldaten è l architettura musicale che determina l aspetto visivo e il flusso narrativo ed è anche per questo che chi l ha vista non è riuscito a sottrarsi al fascino di un opera tanto complessa e a una musica tanto suggestiva. Straordinaria ed esemplare infine la prestazione di Ingo Metzmacher, direttore d orchestra non ancora cinquantenne di Hannover, specialista di musica contemporanea (portò a Salisburgo Al gran sole carico di amore di Luigi Nono) e autore del noto volume Keine Angst vor neuen Tönen (Niente paura per i nuovi suoni), che ha condotto l orchestra della Scala in un opera tanto impervia con una sicurezza e una precisione assolutamente prodigiose; e lo dico con immenso piacere credo che l orchestra gli abbia dato grande soddisfazione senza fargli rimpiangere i mitici Wienerphilharmoniker che tre anni fa lo avevano seguito a Salisburgo. ARTE questa rubrica è a cura di Benedetta Marchesi rubriche@arcipelagomilano.org A pranzo con il soldato: Razione K alla Triennale di Milano La razione K (ingl. K-Ration) è una razione da combattimento individuale giornaliera introdotta negli Stati Uniti d'america nel 1942 nel corso della seconda guerra mondiale. Era inizialmente intesa come razione da utilizzarsi per brevi periodi da parte di unità mobili (truppe aviotrasportate, corpi motorizzati) ed era suddivisa in tre moduli separati per colazione, pranzo e cena. RAZIONE K è anche il titolo della mostra a cura di Giulio Iacchetti allestita negli spazi della Triennale di Milano fino al 22 febbraio dove sono messi a confronto 20 kit alimentari per i militari provenienti da altrettanti paesi diversi. L allestimento nell ingresso del Palazzo consta di 10 grandi tavoli sui quali sono disposti con simmetrie ed equilibri i contenuti delle razioni, suddivisi per nazionalità e corredati da un pannello che ne e- nuclea il contenuto nel dettaglio e l apporto calorico. Per chi non si sia mai posto il problema dell alimentazione del soldato in azione, come recita il sottotitolo della mostra, l esposizione apre gli occhi su un mondo dove cucina, design ed ergonomia si fondono: piccole scatole, sacchetti e sacchettini contengono quello che ciascun paese ritiene essenziale per il proprio soldato (chi per un solo pasto, chi per le intere 24 ore). Non solo alimenti, c è chi fornisce anche posate, fiammiferi, fazzoletti, gomme da masticare o spazzolini da denti (per ricordare che l igiene dentale è importante) o chi il kit lo prepara a prova di forza di gravità. Chi come la Nuova Zelanda si distingue per l omogeneità del packaging (tutto è color sabbia), gli italiani per l inserimento di caffè, ravioli al ragù e caramelle, chi invece per l esiguità del quantitativo di cibo (Thailandia). Indipendentemente dall interesse personale per le questioni militari e tutto ciò che concerne si tratta di una mostra curiosa e interessante, oltretutto gratuita, e utile per cominciare ad allenare lo sguardo sulle mille declinazioni sul tema alimentazioni che nel 2015 in occasione di Expo ci sommergeranno. Razione K - Triennale di Milano, viale Alemagna 10 Orari Martedi - Domenica Giovedi Ingresso Libero Quando arte e senso civico si fondono Una mostra e a seguire un asta negli spazi del MUBA, due i famosi street artist coinvolti, due le giovanissime volontarie che hanno dato vita al progetto con un obiettivo: quello di sensibilizzare ed educare i milanesi, giovani e meno giovani, ad aprire gli occhi su ciò che accade di notte per le strade della loro stessa città. Un progetto decisamente ambizioso che porta dal 20 gennaio al 5 febbraio negli spazi della Rotonda della Besana una selezione di opere di Flycat e OZMO in una mostra il cui allestimento prende vita tra vecchi copertoni e sacchi di iuta, a sottolineare quanto in strada possano esserci interessantissime realtà celate e tutte da scoprire. In comune hanno questo il CISOM (Corpo Italiano di Soccorso dell'ordine di Malta) e gli street artist, non solo di vedere là dove altri non vedono ma di cercare di rendere quel là un luogo meno triste. Jean Blanchaert, critico d arte e gallerista, commenta nel catalogo che accompagna la mostra «Così cantava Giorgio Gaber nel 62 in una bellissima canzone Le strade di notte diventano più grandi ed anche un poco più tristi, è perché non c è in giro nessuno. Ma 43 anni dopo, nel 2015, nelle strade, di notte, c è in giro qualcuno e le strade diventano meno tristi». Giorgia Baruffaldi Preis e Giulia Solaro del Borgo, le due volontarie che hanno ideato il progetto, raccontano con entusiasmo a chi visita gli spazi all interno del Museo dei Bambini che Rise Up! La città che non dorme non è solo una mostra finalizzata a raccogliere fondi, è un atto volto a porre luce sul lavoro che il CISOM compie nella città sensibilizzando soprattutto i più giovani. È in questo senso che è stato scelto il Museo dei Bambini come spazio che ospita la mostra, non solo contenitore ma ripetitore del messaggio educativo e n. 5 VII - 4 febbraio

13 facilitatore nella diffusione di esso. Durante la mostra sono stati organizzati infatti, con il supporto del dipartimento educativo del museo, otto laboratori che coinvolgono altrettante scuole medie e istituti superiori della città dove Flycat spiegherà ai ragazzi l importanza di e- sprimersi in modo corretto mediando tra creatività e rispetto delle infrastrutture cittadine. A conclusione del progetto giovedì 5 febbraio ci sarà un doppio appuntamento: alle OZMO eseguirà un live painting sul tema della carità, mentre alle Clarice Pecori Giraldi, Senior Director, Private Sales di Christie's Europa, batterà all asta Quando il cibo si fa mostra Food La scienza dai semi al piatto, non è solo una mostra dedicata all alimentazione: è un percorso di avvicinamento e scoperta del processo di produzione di ciò che mangiamo. Anche questa definizione è riduttiva: le quattro sezioni accompagnano il visitatore dalla scoperta dei cibo, dall origine quando è seme fino alle reazioni chimiche che sottendono la cottura, passando attraverso dettagliate spiegazioni su provenienza storico-geografica, suggerimenti sulle modalità di conservazione o exhibit interattivi. La mostra, in corso fino al 28 giugno 2015 e allestita nelle sale del Museo di Storia Naturale Milano, rappresenta il più importante e- vento di divulgazione scientifica promosso dal Comune di Milano sul tema di Expo Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita e costituisce una delle più importanti iniziative del programma di Expo in Città. Tutto nasce dai semi è il titolo della prima sala, nella quale vengono raccontate le diverse classi e famiglie con caratteristiche, provenienza e utilizzo. Decine e decine di barattoli mostrano, portando, in alcuni casi per la prima volta, e- semplari che appartengono alle più importanti banche dei semi italiane. Si prosegue poi con Il viaggio e l evoluzione degli alimenti dove mele, agrumi, riso, caffè e cacao non avranno più segreti: tra giochi interattivi e alberi genealogici, tutto è facilmente accessibile e non superficiale. Grande elemento positivo della mostra è infatti la capacità di rendere fruibili le nozioni più scientifiche a un pubblico differenziato, senza per questo incorrere nel rischio di semplicismo. Che la cucina sia un arte è risaputo da tempo, ma che alla base di tante ricette vi siano principi di chimica e fisica passa spesso i- nosservato: la terza sezione della mostra illustra come funzionano alcuni degli elettrodomestici più comuni, con consigli sulla conservazione degli alimenti (sapevate che i broccoli hanno un metabolismo più veloce delle cipolle e che i lavori che i due street artist coinvolti hanno donato per la causa. Rise Up! La città che non dorme 20 gennaio - 5 febbraio 2015 MUBA - Museo dei Bambini Via Enrico Besana, 12 Milano Ingresso gratuito per meglio conservarli andrebbero avvolti in una pellicola di plastica?!) e soluzioni fisico-chimiche ai problemi di chi cucina (cosa fare se la maionese impazzisce?). Quando poi sembra che niente in materia di cibo possa più sorprenderci si giunge all ultima sala I sensi. Non solo gusto ovvero niente è come sembra: vista, olfatto e tatto anche nel mangiare giocano un ruolo determinante, al punto talvolta di allontanare il gusto dalla reale percezione. Il costo del biglietto è medio alto (12/10 euro), ma la visita merita davvero il prezzo d ingresso se non altro per cominciare ad affacciarsi nel tema che, grazie ad E- xpo, ci accompagnerà per tutto il Food. La scienza dai semi al piatto fino al 28 giugno 2015 Lunedì / Martedì, Mercoledì, Venerdì, Sabato e Domenica / Giovedì Biglietto 12/10/6 euro L arte di costruire relazioni: Céline Condorelli all Hangar Bicocca Se un pomeriggio d inverno un viaggiatore avesse voglia di scoprire Milano attraverso uno dei luoghi simbolo della storia industriale e artistica della città, potrebbe recarsi all Hangar Bicocca. Una delle mostre recentemente inaugurate nello spazio è la personale di Céline Condorelli, un artista che vive e lavora fra Londra e Milano. L esposizione ha un titolo che non passa inosservato: bau bau. L espressione, che ludicamente richiama al verso di un cane, è anche un omaggio al significato della parola in lingua tedesca, costruzione, e all esperienza della scuola del Bauhaus. Effettivamente, superate le difficoltà iniziali di approccio all apparente incomunicabilità dell arte contemporanea, il percorso espositivo si rivela ricco di spunti sul tema della costruzione e dell amicizia, sviluppati attraverso sculture, installazioni, video e scritti. L artista ha una formazione relativa all architettura e alla cultura visuale, e ha riflettuto a lungo sulle strutture di sostegno, ovvero su ciò che supporta, sostiene, appoggia e corregge, sia in senso strutturale che relazionale. L amicizia diventa per l artista una dimensione di lavoro e una forma d azione. I suoi pensieri sull amicizia sono condensati nel libro The company she keeps, offerto ai visitatori su una scrivania: chiunque può accomodarsi e leggerlo, e chi vuole può anche salire sul tavolo per osservare dall alto la visuale all esterno, attraverso l unica finestra dell ambiente espositivo, aperta appositamente dalla Condorelli in occasione della mostra. Un altro tema forte è infatti il dialogo con gli spazi dell Hangar. La mostra è stata pensata in relazione alle precedenti esposizioni (il pannello di legno all ingresso è lo stesso della mostra precedente di Gusmão e Paiva, e Céline vi ha posto una ventola che produce un vento che sospinge lo spettatore attraverso la scoperta delle opere; i video in onda su una piramide di televisori ricordano la babelica torre di Cildo Meireles) così come l installazione Nerofumo è stata appositamente prodotta attraverso la collaborazione con lo stabilimento Pirelli di Settimo Torinese. Musica che fa da sottofondo nell ingresso e nei bagni, installazioni che diventano sedute su cui i visitatori possono accomodarsi e colloquiare, tende dorate mosse dal vento: bau bau è una mostra irripetibile in qualsiasi altro luogo, in grado di seminare silenziosi spunti di riflessione negli interessati, curiosità negli scettici, stupore negli appassionati. Giulia Grassini n. 5 VII - 4 febbraio

14 Céline Condorelli, bau bau Hangar Bicocca via Chiese 2, Milano fino al 10 maggio 2015 da giovedì a domenica 11:00 23:00 Ingresso gratuito Nel Blu di Klein e Fontana al Museo del Novecento Uno straordinario racconto di un dopoguerra animato da artisti, collezionisti, intellettuali e mercanti è lo scenario che si immagina faccia da sfondo alla relazione di amicizia tra Yves Klein e Lucio Fontana raccontata nella mostra in corso al Museo del Novecento e che immergono chi vi è coinvolto con stimoli visivi e suggestioni intellettuali. Due città, Milano e Parigi, e due artisti, distanti per età anagrafica, provenienza, formazione e stile ma con in comune la ricerca artistica che si articola verso nuove dimensioni spaziali e concettuali. Ripercorrendo il tradizionale allestimento cronologico del Museo ci si accosta progressivamente al rapporto tra i due: più questo si fa intenso e più aumenta la densità di opere che si incontrano dei due artisti. L apice del sodalizio si raggiunge quando si spalanca la vetrata sopra piazza del Duomo con la Struttura al neon di Lucio Fontana sul soffitto e la distesa blu di Pigment Pur di Klein. Un dialogo straordinario all interno del quale il visitatore non può che sentirsi coinvolto ed estasiato ammiratore. Cinque sono gli anni cui la mostra è dedicata: dal 1957, anno in cui Yves Klein espone per la prima volta a Milano alla Galleria Apollinaire una serie di monocromi blu, al 1962, anno della morte dello stesso Klein. L inaugurazione della mostra in Brera è l occasione in cui i due artisti si incontrano per la prima volta e Fontana è tra i primi acquirenti di un monocromo dell artista francese, diventando poi uno dei suoi più importanti collezionisti in Italia. Nell esposizione sono documentati cinque anni di lettere, incontri, viaggi e condivisione di due artisti che hanno segnato profondamente, o- gnuno a modo proprio, la storia dell arte novecentesca. L affinità intellettuale e artistica emerge laddove le aperture spaziali di Fontana (fisiche e concettuali) trovano corrispondenza nel procedere di Klein dal monocromo al vuoto. Entrambi perseguono uno spazio immateriale, cosmico o spirituale, che forse appartiene a un altra realtà. Una mostra da non perdere Yves Klein Lucio Fontana, Milano Parigi , che per la ricerca storico-artistica e le scelte curatoriali non appaga solo la fame conoscitiva del visitatore, ma soprattutto fa sì che venga immerso in un mondo blu splendente che offre un profondo godimento emozionale. Klein Fontana. Milano Parigi Museo del Novecento piazza Duomo fino al 15 marzo 2015 lunedì martedì, mercoledì, venerdì e domenica giovedì e sabato Biglietti :10/8/5 euro Tra Leonardo e Milano prosegue felicemente il sodalizio Se in una pigra domenica sera e- merge nel milanese un incontenibile voglia di visitare una mostra, quali sono le proposte della città? Intorno alle non molte in realtà: Palazzo Reale così come i grandi musei del centro sono già in procinto di chiudere. Una però attira l attenzione, sarà per la posizione così centrale o forse proprio per il fatto che è ancora aperta. Quella dedicata al genio di Leonardo Da Vinci, affacciata sulla Galleria Vittorio Emanuele, è una mostra in continua espansione che periodicamente si arricchisce di nuovi elementi frutto delle ricerche dal Centro Studi Leonardo3, ideatore e organizzatore della mostra nonché gruppo attento di studiosi. Se Leonardo produsse durante la sua vita un infinità di disegni e schizzi, L3 si pone come obiettivo quello di studiare a fondo la produzione del genio tostano e renderla fruibile a tutte le tipologie di pubblico con linguaggi comprensibile e divulgativi offrendo un momento ludico di intrattenimento educativo, adatto sia per bambini che per adulti. Quasi 500 mq ricchi di modelli tridimensionali e pannelli multimediali che permettono realmente di scoprire le molteplici sfaccettature del pensiero e dell operato leonardesco: macchine volanti o articolati strumenti musicali possono essere smontate e rimontate; riproduzioni del Codice Atlantico e di altri manoscritti sono tutte da sfogliare, ingrandire e leggere; ci sono giochi di ruolo a schermo nei quali i visitatori vestono i panni dello stesso Da Vinci. La produzione artistica non è dimenticata, anzi: un intera sala è dedicata ai più famosi capolavori dell artista con un grande pannello e due touchscreen dedicati al restauro digitale dell Ultima cena, alla Gioconda e a due autoritratti dell autore. Inaugurata nel marzo 2013, prorogata prima fino a febbraio 2014 e ancora fino al 31 ottobre 2015, la mostra ha superato le 250 mila visite imponendosi come centro attrattivo per turisti e cittadini. Un buon risultato, ma forse basso considerando l alta qualità della mostra e la posizione decisamente strategica. Il successo di pubblico sarebbe stato migliore (forse) con un maggiore rilievo dato dalla stampa e dei social network, e da un costo del biglietto più calmierato. Ma c è ancora tempo, e l occasione giusta è alle porte: non perdiamola e anzi, dimostriamo che anche a Milano ci sono centri di ricerca capaci di produrre mostre interessanti senza necessariamente creare allestimenti costosi ed esporre opere o modelli originali. Leonardo3 - Il Mondo di Leonardo 1 marzo ottobre 2015 Piazza della Scala, Ingresso Galleria Vittorio Emanuele II Aperta tutti i giorni, dalle 10:00 alle 23:00 compresi festivi Biglietti: 12/10/9 euro Il re delle Alpi conquista anche Palazzo della Ragione Quella al Palazzo della Ragione non è solo una mostra di fotografia sui grandi spazi, come riporta il titolo, è un ode alle avventure e alle montagne di Walter Bonatti. 97 gli scatti presentati in quella che si sta imponendo sempre di più come una sede espositiva di valore della città di Milano. Ma alle grandi fotografie del mondo, alle riproduzioni audio e video si affiancano alcuni degli oggetti che hanno da sempre accompagnato Bonatti: gli scarponi di cuoio oramai n. 5 VII - 4 febbraio

15 consunti, la Ferrania Condoretta, una piccola macchina fotografica che usò sul Petit Dru, e la macchina per scrivere: una Serio, modello E- verest-k2, che gli venne regalata dalla stessa azienda produttrice perché raccontasse la vera storia di ciò che successe sul K2 nel È forse grazie a quel dono che Bonatti prese ad affiancare all alpinismo e all esplorazione delle vette anche la narrazione. Acuto e attento osservatore del mondo, Bonatti attraverso i suoi reportage darà voce a realtà lontane appassionando i lettori delle più grandi riviste italiane, prima tra tutte Epoca. Un uomo decisamente in controtendenza rispetto al contesto nel quale viveva: nell Italia post-bellica del boom economico Bonatti sceglie l allontanamento dalla realtà per andare a scoprire mondi nuovi e inesplorati. Mai lo sfiora il pensiero di rimanere, anzi torna sempre a casa per raccontare il suo vissuto: da ciascun viaggio porta con sé racconti, riflessioni e tante, tantissime immagini per far sognare chi non riesce a partire con lui. Le immagini in mostra raccontano dei grandi viaggi, della sua capacità di errare solo e della sua grande ammirazione per la potenza della natura. Emerge anche una certa consapevolezza di sé: durante i suoi viaggi Bonatti escogita una serie di tecniche con fili e radiocomandi che gli consentono di essere non solo parte delle proprie fotografie, ma romantico protagonista, quasi ultimo e affascinante esploratore del mondo.una mostra che coinvolge il visitatore mescolando avventura, fotografia e giornalismo, giungendo a delineare il profilo di un grande uomo che ha contribuito a fare la storia del Novecento. Walter Bonatti. Fotografie dai grandi spazi Palazzo della Ragione Milano fino all'8 marzo Orari Tutti i giorni: // Giovedì e sabato: La biglietteria chiude un ora prima dell orario di chiusura Lunedì chiuso Ingresso 10 euro LIBRI questa rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero rubriche@arcipelagomilano.org Roberto Ippolito Abusivi Chiarelettere editore, Milano, 2014 pp. 144, euro 13,00 Ci sono temi che scottano e pochi autori che hanno il coraggio di parlarne. Non è così per Roberto Ippolito, che, dopo Evasori, Il bel paese maltrattato e Ignoranti, ritorna nelle librerie con un nuovo libro inchiesta: Abusivi, pubblicato da Chiarelettere. Ma chi sono gli abusivi? Sono cittadini, lavoratori, professionisti, imprenditori e artigiani che agiscono ignorando le regole e non disponendo dei requisiti e dei permessi necessari dice Ippolito, sgomento per aver raccolto, inaspettatamente, così tanto materiale per la stesura del saggio. È palese che, in questa nostra nazione, le regole non sono fatte per essere rispettate. E chi lo fa si autoloda. Pochi giorni fa, mentre ero all ufficio postale, una signora si vantava di pagare le bollette entro la data di scadenza, dicendo io sono una persona puntale e corretta, me lo ha insegnato mia madre. Mi chiedo se si sono estinte le mamme o i papà che insegnano a rispettare la società in cui viviamo. Ippolito ci mostra il numero degli abusivi smascherati dai carabinieri. I dati sono spaventosi. Il fenomeno alimenta l evasione fiscale e il lavoro nero. Non investe soltanto il sud, ma, per alcune truffe, è più diffuso al nord. Parliamo del Nord, una volta tanto. L EU.R.E.S., un importante istituto di ricerca economica e sociale, ha evidenziato il primato negativo della Lombardia per l esercizio abusivo di una professione per la quale è prevista l iscrizione ad albi o elenchi. Si registra, infatti, una denuncia ogni quattro giorni. Dentisti, medici, psicologi, veterinari fanno ricette utilizzando il numero di tessera dell iscrizione all albo professionale di un altro professionista della loro categoria, e si fanno pubblicità su internet. Sono così sicuri di farla franca che portano avanti il lavoro abusivo giorno dopo giorno, anno dopo anno, approfittando degli ammalati, i più deboli della società, e degli animali, che di certo non possono parlare. Ma ci sono anche i dottori delle case e delle macchine che sono abusivi: gli agenti immobiliari e le officine meccaniche. Di queste ultime, a Verona, nel solo mese di marzo 2014, ne sono saltate fuori tre. E, rimanendo in tema di motori, ci sono italiani che viaggiano senza assicurazione dell auto e autisti di pullmini delle scuole senza patente. Sulle strade non si può stare tranquilli, ma nemmeno in cielo. Anche tra le nuvole, ci sono voli, per il trasporto di passeggeri e merci, non autorizzati. Se l abusivismo nel settore della bellezza (parrucchieri ed estetiste) e dei venditori ambulanti non ci sconvolge più, perché la notizia è diventata un abitudine, non possiamo rimanere indifferenti quando scopriamo che perfino i morti non risposano in pace, e i parenti dei defunti sono costretti a procedere penalmente per soppressione e vilipendio di cadavere trafugato. E non possiamo stare sereni nemmeno quando sentiamo che un gruppo di persone, mosso dallo stesso interesse, ha deviato un torrente per costruire strade più consone alle loro necessità. Peccato che quando arriverà la stagione delle piogge - evento non più solo equatoriale il letto del torrente non sarà più sicuro. Che fare dunque? Per fortuna dalla nostra parte abbiamo la forza della legge e ci sono ancora genitori che esortano i propri figli ad avere comportamenti corretti e autori, come Roberto Ippolito, che scuotono le nostre coscienze. Cristina Bellon SIPARIO questa rubrica è a cura di E. Aldrovandi e D.Muscianisi rubriche@arcipelagomilano.org n. 5 VII - 4 febbraio

16 Il balletto di Milano danza il milanese verdi Forse dopo la Madunina il milanese non è attaccato a niente più che a Giuseppe Verdi e alle sue opere. Commovente l aneddoto che vuole che l attuale via Manzoni fosse riempita di paglia, perché gli zoccoli dei cavalli e le ruote delle carrozze non disturbassero la malattia, l agonia e la morte del compositore. Quale migliore vetrina dell Expo 2015 per presentare al pubblico milanese e mondiale una rivisitazione di Verdi, come cultura ed elemento di carattere milanese (per ricorrere a una terminologia coreutica)! Con una nuova rappresentazione di W Verdi danzerà sulle musiche del compositore milanese d adozione il Balletto di Milano (BdM), compagnia fondata da Renata Bestetti e Aldo Masella - direttori del Centro Studi Coreografici del Teatro Carcano a Milano - e dal 1998 diretta da Carlo Pesta in collaborazione con Agnese Omodei Salè, stabile presso il Teatro di Milano. Il BdM è un fiore all occhiello della cultura italiana e specificatamente milanese: è stata la prima compagnia italiana a esibirsi sul palco del Bol šoj di Mosca nel 1999 e poi nel 2011, anno della cultura italiana in Russia. Lo spettacolo W Verdi è una creazione coreografica di Agnese Omodei Salè e Federico Veratti, concepita come un antologia dei ballabili e delle arie di Giuseppe Verdi, presentate dallo stesso compositore interpretato dall attore Enrico Beruschi. Le opere di Verdi prevedevamo molte parti di danze e oppure molte partiture erano scritte per danza, i ballabili per l appunto. L omaggio W Verdi si apre con le danze dell Aida (i Nubiani nel Trionfo, cf. il mio articolo ); a seguire la Danza delle Streghe dal preludio del Macbeth, Brindisi o Libiamo ne lieti calici e altri brani dai due preludi della Traviata che, pur non essendo ballabili, si prestano bene alla danza. Seguono le Quattro stagioni dai Vespri siciliani, opera riadattate peraltro interamente a balletto, che fa parte del repertorio degli enti lirici del Teatro San Carlo di Napoli e del Teatro Massimo di Palermo. Le coreografie si configurano per lo stile neoclassico e in parte contemporaneo, verrà per lo più abbandonata la punta in favore della mezza punta, ma i costumi resteranno nell ambito del tradizionale accademico oppure in chiara citazione dei costumi d opera originali. Domenico G. Muscianisi In scena a Milano al 6 all 8 febbraio 2015 al Teatro di Milano (via Fezzan 1) CINEMA questa rubrica è curata da Anonimi Milanesi rubriche@arcipelagomilano.org Still Alice di Richard Glatzer e Wash Westmoreland [USA, 2014, 99 ] con Julianne Moore, Kristen Stewart, Alec Baldwin, Kate Bosworth Alice ha poco più di cinquant anni, insegna linguistica alla Columbia University, ha avuto e fatto ciò che ha sempre voluto, carriera universitaria e famiglia compresi. È brillante, determinata, bella, ha un marito che la ama e tre figli grandi che le riconoscono, ognuno a suo modo, di essere una buona madre e un riferimento importante nel loro universo. A metà della vita, Alice che si è sempre definita in base alla sua intelligenza e alla sua proprietà di linguaggio, si accorge che le parole le galleggiano davanti e con dolorosa consapevolezza comprende che qualcosa non funziona davvero. Si sente persa. È persa, e con coraggio affronta la diagnosi terribile di un Alzheimer precoce. Con caparbietà impara a confrontarsi con l'arte del perdere ogni giorno parole, cose, orientamento, ricordi, conservando fin che può lucidità e sguardi intensi dentro e fuori di sé, mentre diventa ogni giorno più certo ch tutto ciò che ha raccolto e accumulato nella vita le verrà portato via. Sa essere lucidissima quando si accorge che cambia la percezione, quella che gli altri hanno di me e quella che abbiamo di noi stessi, tanto da desiderare di avere un altra malattia che devasta il corpo ma non la mente. È dolorosamente lucida quando, davanti a una platea di malati e familiari, compresi i suoi, legge il suo intervento, costato tre giorni di lavoro sul testo, e ripassa con un evidenziatore le righe da leggere per non ripeterle. E ammette che l Alzheimer rende ridicoli agli altri, ma rivendica che è la malattia e non siamo noi quello che gli altri vedono. Il film racconta attraverso le espressioni e i gesti sofferti e intensi di una straordinaria Julianne Moore, l altalena tra rabbia verso se stessa e ricerca di tenerezza e comprensione, in una strenua lotta per restare parte della realtà, per restare attaccata a quello che era una volta. Per questo passa tanto tempo con il suo telefono, per ricordarsi di ricordare e per imparare l'arte di perdere. Per questo usa il suo computer, lasciando istruzioni alla nuova Alice, quando la memoria l avrà lasciata, quando, non avrà più ricordi e non saprà da sola scegliere cosa fare di sé. Si segue con apprensione la scena concitata in cui cerca di obbedire alle istruzioni, e si partecipa con una struggente commozione quando non le porta a compimento, perché è inconsapevole nel fare ciò che la Alice consapevole avrebbe voluto che facesse. È un film sul tornado che si abbatte su rapporti familiari solidi quando arriva la malattia che rende irriconoscibili e incapaci di riconoscere, dove la comprensione si trova nella figlia, una giovane e sensibile Kristen Stewart, che è sempre sembrata la più distante da sé, quella che ha scelto la sua strada malgrado la madre ne volesse un altra per lei. Il film si chiude con un ultima parola potente e liberatoria, consolatrice, pronunciata prima che lo schermo diventi di un bianco abbagliante con la scritta STILL ALICE che galleggia in trasparenza. Film che colpisce e lascia scossi, molto personale e vero, dove tutto ruota intorno a una magnifica interprete come Julianne Moore, che non si è mai sottratta a ruoli difficili e dolenti, sempre capace di levare più che aggiungere, che ha meritato con Alice il Golden Globe. Adele H. n. 5 VII - 4 febbraio

17 IL FOTO RACCONTO DI URBAN FILE LA CITTÀ CHE SI RINNOVA: GLI UFFICI GIUDIZIARI DI VIA PACE MILANO ZONA 5 secondo [ Aldo ] Aldo Ugliano TRE PROBLEMI DA RISOLVERE PRIMA DELLE MUNICIPALITÀ n. 5 VII - 4 febbraio

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