L EVOLUZIONE NORMATIVA SULL UTILIZZO AGRONOMICO DEI REFLUI IN AGRICOLTURA

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1 CONVEGNO La zootecnia tra realtà ed evoluzione normativa in campo ambientale Mantova, 04 Giugno 2004 L EVOLUZIONE NORMATIVA SULL UTILIZZO AGRONOMICO DEI REFLUI IN AGRICOLTURA Marisa Alice Meda Direzione Generale Agricoltura Regione Lombardia E ormai evidente che una delle problematiche prioritarie che investono il comparto agricolo a livello mondiale è lo sviluppo di sistemi agricoli sostenibili caratterizzati da tecniche e strategie che salvaguardino la qualità delle risorse idriche e dell ambiente nel suo complesso e che nel contempo permettano all azienda agraria di essere competitiva sul mercato. Le più recenti politiche ambientali ed agricole nazionali e dell Unione Europea, si sono posti questi obbiettivi integrando le problematiche ambientali, la gestione delle risorse e lo sviluppo del territorio agricolo. Le linee d azione che concretizzano questo approccio presuppongono pertanto l individuazione delle criticità ambientali e il potenziamento e perfezionamento di azioni risolutive. Un azione di questo tipo presuppone pertanto che si tenga conto di tutte le caratteristiche, peculiari, del territorio lombardo; è attribuita pertanto rilevanza alla zonizzazione del territorio, ovvero all individuazione delle aree dove potrebbero determinarsi rischi per l ambiente e, specialmente, per la qualità delle acque. L obiettivo è dunque quello di identificare i caratteri di criticità ambientale (genericamente vulnerabilità, dovuti a vulnerabilità intrinseca e/o eccessiva pressione sulle risorse idriche) delle diverse zone del territorio regionale, al fine di poter definire ed attuare piani d azione mirati e, più in generale, rendere convergenti e sinergiche le politiche regionali in campo agro-ambientali. La legislazione che affronta tali problematiche può essere così riassunta: Direttiva Nitrati 91/676/CEE; Decreto Legislativo 152/99, recante disposizioni sulla tutela delle acque dall inquinamento, e successive integrazioni disposte con Decreto Legislativo 258/00; 1

2 decreto criteri e norme tecniche generali per la disciplina regionale dell utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento e di acque reflue agroalimentari di cui all art. 38 del decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152 (in fase di definizione) Legge regionale 37/93 in recepimento della Direttiva Nitrati CEE 91/676; Direttiva 96/61/CE; Decreto Legislativo 372/99 recante disposizioni in materia di autorizzazione integrata ambientale; Regolamento CEE 1257/99 sul sostegno allo sviluppo rurale e le sue conseguenti attuazioni a livello regionale; Decreto Legislativo n maggio 1999 Il Decreto Legislativo 152/1999, successivamente integrato con il Decreto Legislativo 258/00, definisce la disciplina generale per la tutela delle acque superficiali, marine e sotterranee con l obiettivo di prevenire e ridurre l inquinamento, risanare i corpi idrici inquinati, migliorare e proteggere i corpi d acqua destinati ad usi particolari, favorire un uso sostenibile dell acqua, soprattutto con riferimento a quella potabile, mantenere le caratteristiche ecologiche naturali di autodepurazione e di sostegno per la fauna e la flora dei corpi idrici. Tra le azioni previste, come esplicitato nel d.lgs 152/99, è compresa l emanazione del decreto applicativo dell art.38 e la designazione o ridefinizione delle zone vulnerabili. Infatti l art. 19, allegato 7, conferisce alle Regioni il compito di delineare, in accordo con l Autorità di bacino, le zone a diversa vulnerabilità. Ogni quattro anni per tali aree, è prevista l attuazione di un programma di controllo per le concentrazione di nitrati nelle acque dolci e il riesame dello stato eutrofico nelle acque dolci superficiali. E pertanto obbligatorio nelle zone così individuate attuare programmi d azione per la tutela e il risanamento delle acque dall inquinamento causato da nitrati di origine agricola. Secondo sempre l articolo 19 e l allegato 7/A a tali aree devono essere applicate anche le prescrizioni contenute nel Codice di Buona Pratica Agricola, mentre, al fine di garantire un generale livello di protezione delle acque si raccomanda di applicare il Codice di Buona Pratica Agricola anche al di fuori delle zone riconosciute vulnerabili. 2

3 Per la definizione della vulnerabilità nel territorio regionale la Regione Lombardia ha tenuto conto della capacità protettiva dei suoli e delle caratteristiche dell acquifero sottostante. In questo modo è stata ottenuta una carta della vulnerabilità intrinseca del territorio lombardo che è stata confrontata con la presenza di effettivo carico zootecnico e con i dati relativi al monitoraggio delle acque superficiali e sotterranee, al fine di ottenere una stima della vulnerabilità integrata del territorio. Il confronto ha per messo di definire all interno del territorio lombardo aree con problematiche differenti in particolare: Aree a vulnerabilità elevata e alto carico zootecnico, Aree con problemi estesi di inquinamento delle falde sotterranee, pur in presenza di bassa o media vulnerabilità e assenza di carico zootecnico, Aree che si presentano critiche per almeno uno dei fattori determinanti la vulnerabilità, ma non per gli altri. I risultati di tale lavoro devono, così come previsto da accordi intercorsi con la Commissione Ambiente dell U.E. prima di essere approvati con atto ufficiale della Regione, essere sottoposti a controllo preventivo ad opera della Commissione stessa. Per quanto attiene invece il decreto applicativo dell art. 38 del d.lgs 152/99, il documento è in fase di concertazione a livello interministeriale per successivo passaggio in conferenza stato/regioni. Con tale decreto verranno dettate le indicazioni a cui gli agricoltori dovranno attenersi, i criteri saranno differenziati tra chi svolge la propria attività in ambiti vulnerabili rispetto a chi opera in ambiti non vulnerabili; sebbene, si evidenzia che gli agricoltori/allevatori lombardi applicano quanto previsto del D.Lgs. 152/99 e dal Codice di buona pratica agricola già a partire dalla emanazione del regolamento attuativo della l.r. 37/93 in quanto i contenuti di tale regolamento sono da considerarsi a tutti gli effetti i medesimi previsti dal programma d azione ai sensi della Direttiva nitrati. Il D.L.vo 152/1999 indica quindi la metodologia e gli strumenti generali attraverso cui dare concreta attuazione ad obiettivi già individuati dalla precedente legislazione, mettendo, di fatto, le Regioni di fronte alla necessità di dotarsi di un sistema di conoscenze ambientali adeguato, aggiornato ed approfondito. 3

4 Legge regionale n. 37 del 15 dicembre 1993 La Regione Lombardia si è adeguata a quanto richiesto dalla normativa comunitaria (Direttiva nitrati 676/91/CEE) già a partire dal 1993 con la legge regionale n. 37 del 15 dicembre 1993 Norme per il trattamento, la maturazione e l utilizzo dei reflui zootecnici. Con la l.r. n. 37/93 la Regione Lombardia ha voluto superare l idea del refluo zootecnico quale sottoprodotto ingombrante e rifiuto da eliminare, fonte solamente di costi di smaltimento e di eventuali problemi giudiziari per l allevatore. La legge infatti sviluppa l idea che il refluo zootecnico sia una risorsa per l agricoltore in quanto fonte di sostanza organica e nutrienti per il terreno e le colture e quindi mezzo per contenere i costi di produzione (in alternativa ed integrazione ai concimi di sintesi). La l.r. n. 37/93 ha quindi lo scopo precipuo di mantenere e migliorare la fertilità dei terreni e di salvaguardare le acque e, a tale scopo, individua le zone vulnerabili per le caratteristiche geopedologiche della Regione nelle quali è necessario attuare un programma di azione mirato. Il Regolamento attuativo della l.r. 37/93 (approvato con Deliberazione della Giunta Regionale n del , pubblicato sul BURL del ) costituisce a tutti gli effetti il Programma di azione di cui alla "direttiva nitrati" per le zone vulnerabili e per le zone potenzialmente a rischio di inquinamento da fonti agricole delle acque superficiali e profonde in conformità con quanto previsto nell allegato III della Direttiva 91/676/CEE. Infatti: classifica come vulnerabili alcune aree del territorio regionale; classifica il territorio regionale in base al potenziale grado di rischio ambientale rappresentato dal complesso degli animali presenti; vincola le aziende zootecniche di consistenza superiore a 8 t di peso vivo (3 t per gli avicunicoli) a dimostrare, attraverso un Piano di utilizzazione agronomica dei reflui zootecnici (PUA), l adozione di misure idonee ad evitare rischi di inquinamento delle acque; stabilisce il carico massimo di reflui applicabile ai suoli adibiti ad uso agricolo che non deve superare il fabbisogno delle colture ed in ogni caso non può superare, nelle zone vulnerabili, il quantitativo corrispondente a 170 kg di azoto ad ettaro; 4

5 stabilisce la capacità minima dei contenitori per lo stoccaggio, ma impone il loro dimensionamento in base al calendario di distribuzione degli effluenti di allevamento compatibilmente in coerenza con l avvicendamento o la rotazione delle colture adottato; stabilisce i vincoli allo spandimento degli effluenti di allevamento in considerazione delle condizioni del suolo, della pendenza, delle condizioni meteorologiche, ecc.. In base alla l.r. 37/93 ogni azienda zootecnica con carico di bestiame superiore a 8 t di peso vivo (3 t per nel caso di allevamenti avicunicoli) è tenuta a presentare un piano di utilizzazione agronomica dei reflui zootecnici (PUA). Il PUA è autorizzato dal Comune ove risiede l azienda agricola dopo aver acquisito il parere agronomico espresso dalla Provincia ed il parere ambientale espresso dall Agenzia per la Protezione dell Ambiente. Le finalità del PUA sono: indirizzare l allevatore verso un corretto utilizzo agronomico dei reflui, evitando situazioni di palese incompatibilità ed in generale verso una corretta fertilizzazione; individuare le carenze strutturali dell azienda relativamente alla gestione dei reflui e adottare soluzioni idonee (ad esempio costruzione delle vasche di stoccaggio dei reflui); analizzare le situazioni più comuni e quelle a maggior rischio ambientale definendo le possibili soluzioni tecniche per ridurre il rischio di inquinamento; creare un archivio delle aziende zootecniche, con informazioni sull allevamento e sui terreni; individuare i periodi in cui lo spandimento dei reflui può essere eseguito e quelli in cui non è ammesso. Regolamento CEE n 1257/1999: Sostegno allo sviluppo rurale e integrazione della dimensione ambientale nella politica agricola comune Il regolamento CEE 1257/1999 definisce le misure per favorire uno sviluppo rurale sostenibile, da introdurre nella politica agraria della Comunità Europea. Tra gli ambiti a cui i sostegni economici della Comunità fanno riferimento, vi è la tutela e la promozione del valore naturalistico e di un agricoltura che rispetti l ambiente. 5

6 Possono accedere a questi finanziamenti le aziende che rispettino, nei loro sistemi produttivi, i requisiti minimi di tutela ambientale, delle condizioni di igiene e del benessere degli animali. Nella normativa sono introdotti incentivi per lo sviluppo delle zone svantaggiate che, oltre a favorire il mantenimento di una comunità rurale vitale, sviluppi un agricoltura compatibile con la salvaguardia dell ambiente. Le misure agro-ambientali prese in considerazione per il sostegno degli investimenti, riguardano: le forme di conduzione dei terreni che mirano al miglioramento e alla tutela dell ambiente; lo sviluppo di sistemi di gestione di pascoli a scarsa intensità; la tutela dell ambiente agricolo ad alto valore naturalistico; la salvaguardia del paesaggio e delle caratteristiche originali del terreno e il ricorso alla pianificazione ambientale nell ambito della produzione agricola. L obiettivo finale dei finanziamenti delle aziende agricole è, sia di aiutare il settore agricolo nello sviluppo del proprio mercato, sia di indirizzare gli sforzi di questo settore anche verso l utilizzo di nuove tecnologie che migliorino la produzione, la qualità del prodotto e le condizioni sanitarie dell ambiente utilizzato. Il Piano di Sviluppo Rurale della Regione Lombardia Il Piano di Sviluppo Rurale rappresenta il documento di programmazione, previsto dal Regolamento CEE n. 1257/99, in cui vengono esplicitate le linee operative di intervento che le Regioni intendono attuare a sostegno dello sviluppo rurale. Di seguito, si farà peraltro esplicito e diretto riferimento al piano della Regione Lombardia che, approvato nel luglio 2000, regola ed armonizza, per 7 anni ( ), le politiche regionali di sviluppo rurale ponendosi tre obiettivi specifici:1) rafforzamento della competitività delle aziende agricole e del comparto agroalimentare; 2) conservazione dell ambiente sociale delle aree rurali; 3) valorizzazione della multifunzionalità dell agricoltura con particolare attenzione alla conservazione dell ambiente e del paesaggio rurale. Il Piano di Sviluppo Rurale dà corpo alle tendenze della politica agricola, ma, contemporaneamente, è complementare al D.L.vo 152/99 e al D.L.vo 194/95, in una generale convergenza di finalità: da una parte la pianificazione e le regole generali applicate al territorio (zone vulnerabili, limitazioni d impiego, monitoraggio, ecc.), dall altra gli strumenti per stimolare, ed anche accelerare, la modificazione dei comportamenti da parte dei singoli agricoltori. 6

7 Se gli obiettivi e i traguardi da raggiungere appaiono ben identificati, il problema è però, come sempre, quello di mettere a disposizione strumenti tecnici e di conoscenza in grado di rendere effettivo e concreto il progresso in questa direzione. Le aziende agricole necessitano di informazioni calibrate sulla specificità della loro realtà economica e territoriale ed è quindi necessario considerare tutti gli elementi che concorrono a determinare una sostenibilità che non sia solo formale, ma che rappresenti una vera evoluzione del modo di fare agricoltura. Un moderno sistema di informazione e di formazione, una capillare ed efficace rete di assistenza tecnica e la disponibilità di evoluti Sistemi di Supporto alle Decisioni divengono perciò fondamentali. Il Piano Stralcio Eutrofizzazione (PSE Autorità di Bacino del Po) L autorità di bacino del fiume Po ha adottato con delibera n 15 del 31/1/2001 il Piano Stralcio Eutrofizzazione (PSE), redatto secondo le finalità e i contenuti della legge 183/89 e della disciplina generale per la tutela delle acque D.l.vo152/99. Il termine eutrofizzazione indica lo stato di un corpo idrico nel quale si manifesta un intensa proliferazione di alghe e di piante acquatiche e il loro accumulo all interno del corpo idrico stesso. Questo accumulo è causa di fenomeni che modificano le caratteristiche degli ecosistemi, impoveriscono la struttura delle componenti biotiche e interferiscono in modo significativo con l uso delle risorse idriche. Il piano di bacino assume valore di piano direttore, orientato a indirizzare la programmazione della tutela delle acque. Esso definisce gli obiettivi a scala di bacino e le priorità di intervento riferite specificatamente al controllo dell eutrofizzazione delle acque interne e del Mare Adriatico, tenendo conto di quanto disposto dalla legge 36/94 in termini di riequilibrio dei prelievi idrici e di riutilizzo delle acque reflue. Le Regioni recepiscono tali obiettivi e priorità nell ambito dei Piani di tutela. Tale connessione tra il Piano e la normativa di settore consente di conseguire, a scala di bacino, l unitarietà dell azione di governo e delle scelte di programmazione, comuni a più regioni e di lasciare all autonoma determinazione delle stesse la scelta delle azioni di specifico interesse per il territorio e per le materie di propria competenza, pur nel rispetto delle condizioni fondamentali definite dagli obiettivi della pianificazione di bacino. Fra le sostanze responsabili dell eutrofizzazione si devono considerare anche i fanghi di depurazione. 7

8 Il loro uso è disciplinato dal Decreto Legislativo del 27/01/1992 n 99 (recepimento della direttiva 86/278/CEE), e l Autorità di Bacino del Po ne propone una stima a livello provinciale, sulla base dei dati ricavati dalle autorizzazioni rilasciate dalle Province per gli spandimenti. Il Codice di buona pratica agricola. In attuazione della Direttiva 91/676/CEE con Decreto Ministeriale 19 aprile 1999 è stato approvato il Codice di Buona Pratica Agricola (CBPA), la cui applicazione da parte dell agricoltore è volontaria. Con il Codice vengono formulate una serie di prescrizioni atte a ridurre l impatto ambientale dell attività agricola attraverso una più attenta gestione del bilancio dell azoto. Per ottenere un rapporto corretto fra agricoltura, fertilizzanti azotati e ambiente è essenziale avere una conoscenza approfondita del contesto agronomico nel quale i prodotti vengono impiegati. Perciò in esso si trovano riferimenti ai diversi fattori produttivi: clima, suolo, colture, sistemi d irrigazione, modalità di allevamento, ai quali ci si deve attenere per produrre in maniera attenta e sostenibile. Il CBPA potrà costituire la base per l elaborazione di codici mirati ad esigenze regionali o locali a discrezione delle competenti amministrazioni; inoltre potrà rappresentare la base anche per l elaborazione di altri CBPA riguardanti i problemi più diversi. Decreto legislativo 372/99. L unione europea ha emanato in data 24 settembre 1996 la direttiva del Consiglio 96/61/CE, avente come oggetto la prevenzione e riduzione integrate dell inquinamento. Lo Stato ha recepito la direttiva solo per gli impianti esistenti (d.lgs 372/99), mentre è in fase di preparazione e imminente approvazione il nuovo decreto per la parte relativa agli impianti nuovi. La regione, in relazione ad incombenze di carattere tecnico amministrativo e alle scadenze fissate dalla normativa ha deciso di intraprendere un percorso sperimentale che prevede la verifica di azioni tecniche, amministrative ed economiche che i soggetti interessati dovranno mettere in campo per dare senso compito a tutte le incombenze derivanti dall applicazione integrata dell inquinamento. 8

9 La messa in atto di questo processo, vuole essere un opportunità unica ed irrepetibile per i soggetti pubblici di affrontare in modo completo ed esaustivo le problematiche ambientali, mirando a raggiungere risultati in linea con lo sviluppo sostenibile, il quale deve tenere conto di ambiente economia stato sociale Contemporaneamente i soggetti privati gestori degli impianti devono cogliere l opportunità di rivedere le loro attività in modo complessivo finalizzato anche alla produzione di beni compatibile con l ambiente circostante l attività. Ovviamente tutti gli interventi, finalizzati alla prevenzione e o riduzione integrata dell inquinamento, dovranno essere in linnee con le condizioni di economicità e concorrenzialità non solo in logica regionale ma inseriti in logica europea. L A.I.A vuole essere il primo passo per una responsabilità condivisa fra tutti, un apertura al confronto su tematiche ambientali che considerino anche l aspetto economico nel vero concetto di Sviluppo Sostenibile. 9

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