Spunti su Job insecurity, crisi della leadership e neomercenarismo

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1 Spunti su Job insecurity, crisi della leadership e neomercenarismo professionale 1. Introduzione. Ripartiamo da Marienthal (Jahoda, Lazarsfeld, Ziesel, 1971): a quel tempo Paul [Lazarsfeld] pensava che noi avremmo dovuto indagare come i lavoratori usavano il tempo libero da poco conquistato [il contesto è l Austria dell inizio degli anni trenta e l occasione dello studio dei ricercatori verificare sui lavoratori l impatto del tempo libero connesso alla approvazione di una legge che riduceva le dieci ore della allora giornata lavorativa] Quando Paul riferì il suo progetto a Bauer, il dotto e ascetico leader del partito socialdemocratico austriaco reagì con rabbia: che presa in giro studiare il tempo libero in un paese che soffre di disoccupazione cronica con tassi del 10%. Quello era il tempo libero da studiare: gli effetti sociali e psicologici della disoccupazione di lunga durata. E questo è ciò che facemmo a Marienthal (Ziesel, 1979) 2. La crisi degli anni trenta sconvolse per la prima volta profondamente gli assetti della nuova e crescente occupazione della industria di massa. Dimostrò come sia in Europa sia negli Stati Uniti l incertezza del lavoro e la sua perdita potessero durare anni e avere caratteristiche così strutturali e profonde (Crepet, 1990) da incidere sulla riconfigurazione della quotidianità e sulle rappresentazioni collettive dei decenni successivi. Oggi in qualche modo si ripete quella stessa ambivalenza schizofrenica sottolineata da Ziesel in quanto, accanto agli innegabili benefici, appare anche evidente il lato oscuro dell innovazione tecnologica e delle information and communication technologies. Il mercato del lavoro ne viene sconvolto nelle sue stabilità acquisite ed è crescente una dimensione di alienazione e di stress, in particolare proprio in quei contesti caratterizzati da una elevata tecnologia (Camussone, Biffi, 1998). Così, se gli ottimisti ci dicono che ci si potrebbe avviare verso un epoca felice (De Masi, 2002) della fine del lavoro, contestualmente cogliamo anche gli umori che hanno ispirato un certo catastrofismo ed una sua sottesa apocalittica fine nell ambito di un futuro tecnologico salvifico (Rifkin, 2000) ma non esente da rischi per l umanità (Rifkin 1995, Gallino 1998). Più in generale, si assiste, oggi, alla fine del legame sociale imposto dal lavoro all inizio del Novecento. Come osserva ancora Gallino, (Gallino, 1998), la disoccupazione non è più vista come un fatto transitorio legato ad un rallentamento dell economia, ma come uno stato profondo di malessere sociale, come lo fu nella lunga crisi conseguente alla caduta di Wall Street. Infatti, se il tasso di disoccupazione coinvolge i quattro quinti della popolazione, non può che comportare conseguenze drammatiche. 1 Relativamente alla parte sulla job insecurity alcuni elementi sono stati ripresi da un articolo di Riccardo G. Zuffo, intitolato Alle origini dello studio sulla job insecurity e sui survivors: i modelli di Greenhalgh e Brockner, presente all interno di un volume, curato da Luigi Ferrari, in corso di pubblicazione presso Franco Angeli. Relativamente alla parte sulla crisi della leadership alcuni elementi provengono dal testo di Riccardo G. Zuffo, Apprendimento manageriale ed evoluzione organizzativa. La qualità della relazione tra crisi e sviluppo aziendale pubblicato in Immagini emergenti della leadership nelle organizzazioni a cura di C. Kaneklin e M.C. Isolabella, Vita e Pensiero, Milano, Infine, relativamente alla parte conclusiva i contenuti sono maggiormente frutto di pratiche professionali, di diverse piste iniziali tracciate da alcune tesi di laurea e di alcune lezioni per gli studenti di Psicologia dell Organizzazione della Facoltà di Psicologia dell università Gabriele d Annunzio di Chieti. Il saggio vuole quindi essere un work in progress su tematiche che verranno approfondite in futuro. 2 Lo studio sugli abitanti della cittadina austriaca di Marienthal, realizzato nel 1932 dal dipartimento di psicologia dell Università di Vienna, è il primo studio di importanza storica relativo alla disoccupazione. La sua complessità, la durata, l articolazione dei risultati, la multidimensionalità ne hanno fatto la pietra miliare degli studi degli anni e dei decenni successivi e ha rappresentato il riferimento fondamentale nella psicologia della disoccupazione e del disagio lavorativo. 1 di 20

2 La differenza strutturale tra la situazione odierna e quella degli anni 30 è sinteticamente riassumibile così: a quei tempi la disoccupazione colpiva quote elevate di popolazione, in particolare i cosiddetti lavoratori salariati, soprattutto dove gli insediamenti industriali e produttivi erano maggiormente sviluppati e la divisione del lavoro socialmente meglio definita. Oggi l elemento caratterizzante è, invece, la dimensione magmatica del lavoro, che può assumere maggiore o minore criticità ambientale, ma percorre trasversalmente le classiche aree funzionali delle aziende, le professioni, le aree di business, i prodotti, i mestieri, i settori, o perchè avanzati o perché arretrati; la magmaticità rappresenta quindi un elemento costante e crescente, una specie di rumore di fondo della quotidianità (Sennet, 1999). Ciò che ne consegue, con altrettanta chiarezza, è l incertezza del lavoro degli uomini, da cui deriva una generale insicurezza a livello psicologico. Le élite di potere o meglio i loro top manager, consiglieri di amministrazione, banche d affari, società di consulenza strategica, fondi finanziari ed investitori istituzionali vanno sempre di più verso un nervosismo ed una crescente instabilità. Questa situazione ha una ragione strutturale forte, indotta dall insieme e dalla complessità dei fattori messi in gioco per sopravvivere in sistemi finanziari e competitivi, che riconfigurano continuamente le diverse logiche di generazione del valore (Hammer, Champy, 1993). C è, però, una più profonda difficoltà che emerge e appare progressivamente più chiara nelle organizzazioni mature, quella relativa sia al governo delle organizzazioni che alle potenziali contraddizioni e conflitti di interessi, sempre più endemici, che le caratterizzano (Rossi, 2003). Questa difficoltà si riflette nelle incertezze decisionali e organizzative con effetti variegati su una flessibilità elevata a ideologia del presente, così come la razionalizzazione lo era del fordismo considerata come sintesi operativa talvolta irragionevole e non finalizzata né all etica degli affari né agli affari stessi. La suggestione che ne dimensiona alcuni contorni, non suffragata scientificamente ma incontrata spesso nella quotidianità della pratica, rimanda a quella che Di Chiara definisce sindrome psicosociale (Di Chiara, 1994; 1999) che, se da una parte richiama all oscurità dell inconscio, dall altra non solo suggerisce la fine della razionalità limitata delle organizzazioni, ma apre dubbi sulla perdita delle dimensioni valoriali fondanti la condizione stessa del profitto di un capitalismo, come dice Albert, lasciato solo a governare il mondo. Nel quadro di uno scenario così complesso ed originale, il nostro sforzo, pur non riducendo a semplice sfondo le organizzazioni, al cui interno il lavoro si materializza e si decompone, si focalizza soprattutto sul processo concreto che coinvolge sempre più rapidamente e trasversalmente sia i lavoratori quelli di basso livello, gli atipici, il management, i professionals sia le organizzazioni i CEO, gli azionisti, i clienti, il sistema sociale ed economico di riferimento e le loro missioni. Gli epici studi sulla disoccupazione condotti nel 1932 sulla comunità di disoccupati della cittadina di Marienthal acquistano analogicamente una loro attualità e ci consentono di comprendere, sul piano del merito, gli effetti dell insicurezza lavorativa nella loro complessità: dalla loro genesi, alle caratteristiche indotte dalla lunga durata, sino alla dimensione sistemica dell individuo con la famiglia e la comunità. Oggi è certamente più chiaro il nesso tra finanziarizzazione dell economia, globalizzazione, evoluzioni tecnologiche e lavoro (Sennet, 1999). Ci pare però di cogliere ancora poco, in gran parte della letteratura manageriale di carattere divulgativo, su quale e quanto sia il disagio sociologico e psicologico nel rapporto individuo-organizzazione. E così la fertile antinomia olismo-individualismo proposta da Serafino Balduzzi (Balduzzi, 2006) in questo volume, pur se suggestiva nella sua rappresentazione, diventa quasi inafferrabile, ma anche fondante nella sua pregnanza quotidiana e nella contrastante attribuzione di valore e di significato. 2 di 20

3 Ci sembra, pertanto, interessante cogliere alcune contraddizioni che animano le realtà organizzative. Esse sono ancora poco delineate nella loro configurazione e connessione sistemica, anche se si riflettono e minano, sottili ma inesorabili, la stessa identità aziendale e la grande funzione di stabilizzatori dei sistemi sociali che le organizzazioni hanno avuto. La prima contraddizione è riconducibile alla necessità, nelle organizzazioni, di richiedere ai collaboratori un elevato livello di commitment e contestualmente, però, di proporre un elevata instabilità lavorativa. La job insecurity caratterizza, ormai, l intera popolazione aziendale e non soltanto i livelli organizzativi marginali, rapidamente sostituibili come gli uomini alla catena semovente, o, in opposizione, il top management, per definizione espressione e portatore del rischio professionale. Riguarda tutti, anche il middle management, che esprime il collante organizzativo, oppure i tecnici e i ricercatori, che riescono ad ottenere e a stabilizzare i risultati tecnico-scientifico-applicativi che consentono la sopravvivenza organizzativa. La seconda contraddizione rimanda alla crescente criticità del ruolo del management di livello medio e medio-alto, ad esclusione della ristrettissima cerchia del top management, dove sono concentrate le vere decisioni strategiche. Il management intermedio è il reale gestore delle persone, delle loro motivazioni, il contenitore delle ansie primarie e delle attribuzioni di senso e, con la sua presenza fisica, la materializzazione dell identità aziendale e della complessità del rapporto fiduciario e del commitment. Contestualmente è anche il gestore dei processi di downsizing e di layoff e, spesso, il propositore e realizzatore delle economie aziendali e dei saving nei processi che rimodellizzano i sistemi organizzativi. Il manager è, però, anche colui che contemporaneamente non conosce più le vere decisioni strategiche e subisce le conseguenze delle azioni e dei progetti in essere. Queste conseguenze coinvolgono la complessità del suo ruolo, la sua stessa futura utilità ed, in ultima istanza, la sua stabilità occupazionale: un management non più garante e non più garantito. La terza contraddizione, infine, rimanda al potenziale conflitto di interessi, che incide più profondamente sul rapporto tra il top management, altre élite di potere, come ad esempio banche d affari, azionisti manager, advisor, società di revisione e di consulenza strategica e il sistema degli stake-holder/azionisti. La configurazione del conflitto si attua a molti livelli, ma trova certamente nelle stock-option la sua espressione più emblematica e per alcuni versi paradossale. Queste tre contraddizioni prese nel loro insieme segnalano una difficoltà ed un nervosismo crescente del sistema delle imprese mature nel loro rapporto con le persone che vi lavorano. Da parte loro le persone segnalano un insieme di comportamenti e di stati psicologici potenzialmente nefasti per la funzionalità organizzativa. Accanto a fenomeni di grande fatica psicologica, di cinismo, di ripiego, di conformismo e di perdita di fiducia emergono così comportamenti opportunistici di neo-mercenarismo professionale, ritenuti in qualche misura di legittima difesa, ma indicatori della possibile deriva del rapporto individuo-organizzazione. Job insecurity e commitment. La prima contraddizione è relativa all impossibilità di assicurare ai collaboratori, da parte delle organizzazioni, una stabilità ed una sicurezza lavorativa, che viene progressivamente sostituita da una crescente incertezza job insecurity e, contestualmente, di richiedere un elevato e crescente livello di commitment. Questa necessità è indotta da dinamiche competitive sempre più esasperate che caratterizzano le attuali organizzazioni e la divisione del lavoro a livello internazionale. Nel corso degli ultimi due decenni la job insecurity è passata dall essere una specifica connotazione di una congiuntura economica sfavorevole, o una caratteristica delle 3 di 20

4 organizzazioni in declino, all essere un elemento caratterizzante del lavoro e delle sue nuove articolazioni. Il panorama contemporaneo ha assunto come normale una situazione di incertezza progressivamente generalizzata e tale da coinvolgere gli ambiti tradizionali del lavoro e di alimentare a dismisura quelli definiti come atipici. Il nostro focus è costituito dal cosiddetto lavoro tradizionale o, meglio, da quello ad alto valore aggiunto: quel lavoro che richiede elevati impegno e commitment. Quanto detto vale però anche per i lavoratori atipici, prevalentemente giovani e donne, per i quali gli effetti psicologici dell insicurezza sono più oggettivi ed intrinseci nella natura stessa del loro contratto lavorativo. La sensazione prevalente, in questo caso, rimanda ai vissuti di disagio e ansia, connessi all impossibilità di formulare previsioni e progetti sia di breve che di lunga durata per il futuro e alla difficoltà reale di accumulare una significativa esperienza professionale (Gallino, 2001). Le prime esperienze lavorative costituiscono infatti un momento di sperimentazione del sé e delle identità professionali possibili, una sorta di esplorazione, di moratoria dell identità (Marcia, 1966), un tentativo di costruirsi un identità sociale e professionale sostenibile (Orsenigo, 2001; Sainsaulieu, 2002). I luoghi a cui era tradizionalmente affidato il sentimento di appartenenza lavoro, famiglia, vicinato o non sono ormai più disponibili o, quando lo sono, risultano inaffidabili e perciò incapaci di placare la sete di socialità e di calmare la paura della solitudine e dell abbandono. L uso/logorio delle relazioni umane che si consuma in questi contesti - e quindi anche delle identità - assomiglia sempre di più all uso/logorio delle automobili, a imitazione di quel ciclo che comincia con l acquisto e finisce con la discarica (Bauman, 2003). Relativamente al lavoro stabile e tradizionale il concetto di insicurezza lavorativa inizia a configurarsi nel contesto degli Stati Uniti della fine anni settanta, quando si verifica la più grande crisi americana dai tempi di Wall Street, che proseguirà fino all inizio degli anni ottanta. Leonard Greenhalgh è stato tra i primi, nel 1984, a definire un modello organico di job insecurity (Greenhalgh, Rosenblatt, 1984). Fino ad allora la letteratura scientifica, psicologica e manageriale era infatti incentrata sul generico concetto di sicurezza e sulla implicita rappresentazione di una organizzazione stabile nel tempo. Le prime concettualizzazioni della job insecurity ne analizzarono gli effetti sui lavoratori, proponendo un modello interpretativo della insicurezza lavorativa che includeva la natura, le cause e le conseguenze del fenomeno e coglieva l importanza delle differenze individuali. Su questa stessa linea, e sostanzialmente nello stesso periodo, si definisce anche il contributo di Joel Brockner (Brockner, 1988), docente della Columbia University, che pone al centro dell attenzione dei programmi di ricerca i survivor, cioè coloro che rimangono nell organizzazione una volta esaurita l azione specifica di riduzione di forza lavoro. I layoff i licenziamenti collettivi costituiscono l atto paradigmatico e tangibile della nuova dinamica organizzativa. Il merito di queste prime analisi è stato quello di sviluppare conoscenze, riflessioni e considerazioni su aspetti specifici, nello sforzo di definire meglio anche i comportamenti manageriali e di gestione dell impresa relativamente alla nuova condizione di incertezza assunta ormai come strutturale. Il downsizing ed il licenziamento diventano così eventi indesiderati, ma ineludibili, connessi alla usuale attività di manager o di lavoratore, catalogabili ormai come un rischio professionale intrinseco alla condizione lavorativa. È interessante evidenziare come la job insecurity si presenti, oltre che in situazioni di licenziamenti, anche in occasioni di fusioni. Marks e Mirvis (Marks, 1982; Marks, Mirvis 1985; 1986) parlano, a tale proposito, di sindrome da fusione che provoca nei lavoratori, a tutti i livelli organizzativi, sentimenti di incertezza e di insicurezza. Schweiger e coll. (Schweiger, 1987), associano le reazioni psicologiche dei manager della impresa acquisita alle reazioni degli individui che si trovano in situazioni di abbandono e di lutto con 4 di 20

5 connotati di ansia e traumi, in buona analogia e sostanziale simmetria con quanto si osserva nei survivor (Schweiger, Ivancevich, Porter, 1987). Lo scenario creato dai layoff risulta essere interessante per indagare in particolare gli stati psicologici e i comportamenti organizzativi che ne derivano. Il licenziamento dei colleghi induce differenti stati psicologici nei survivor (Brockner e al, 1997) rimasti in seno all organizzazione, soprattutto in funzione di come il management gestisce il processo di downsizing. Questi differenti stati psicologici e comportamenti organizzativi dei soggetti possono essere spiegati alla luce delle differenze individuali. I sopravvissuti presentano stati psicologici come ansia, paura, rabbia, sollievo che, a loro volta, indurranno comportamenti organizzativi diversi. Tra questi comportamenti possiamo citare la propensione a lasciare. Questo comportamento avviene in maggior misura in aziende con culture organizzative più familistiche, che riscontrano maggiori difficoltà rispetto ad altre ritenute meno partecipative e caratterizzate da una minore disponibilità globale, come confermato da uno studio sul campo in Kodak (Brockner, 1992). Si nota, inoltre, come le dimissioni riguardino anche coloro che sono stati rassicurati perché ritenuti dotati di alto potenziale o collaboratori importanti per l azienda. Le uscite proseguono per un lungo periodo di tempo dopo la fine delle operazioni di downsizing, nonostante le rassicurazioni del management e le oggettive opportunità di carriera possibili per coloro che sono rimasti. L aumento del turnover viene ampiamente confermato anche da osservatori coinvolti direttamente nei processi di merger & acquisition (Kay, Shelton, 2000) o da società di consulenza di management come Watson Wyatt, che evidenziano come uno degli elementi critici delle fusioni sia riconducibile alla fuga dei talenti e dei manager chiave (Walsh, 1988; Walsh, 1989; Cannella e Hambric, 1993; Krishnan, Miller, Judge, 1997). Accanto alla tendenza a lasciare si individua nei survivor anche una certa resistenza al cambiamento. Greenhalgh (Greenhalgh, 1983) sottolinea come coloro che si trovano in situazione di insicurezza lavorativa tendono a non accogliere positivamente cambiamenti aziendali, anche se questi potrebbero migliorare la loro situazione mentre, al contrario, tendono ad assumere comportamenti statici e conservativi. In tale senso l incertezza ha una funzione paralizzante, che si riflette negativamente sulla funzionalità organizzativa. I layoff hanno un forte impatto su coloro che restano nell organizzazione, la cui performance lavorativa viene pregiudicata da diversi fattori. L elemento principale su cui si basa l analisi di questi diversi fattori è la considerazione dell incertezza lavorativa come fattore stressogeno e maggiormente destabilizzante dell attività lavorativa (Hartley, Jacobson, Klandermans, Van Vuuren, 1991; Brockner, 1988; Buono, Bowditch, 1989; Schweiger, Weber, 1989). Brockner (Brockner, Wiesenfeld, 1996) analizza come l autostima possa influenzare la performance post-licenziamento. I survivor con bassa autostima incrementano il proprio impegno, quasi a voler realizzare un gap di performance con l espulso e dimostrare di meritare il lavoro che svolgono. Quelli con alta autostima, invece, ritengono di aver lavorato bene fin dall inizio e mantengono quindi inalterata la propria performance. Nei casi in cui, invece, l organizzazione proponga un premio extra per continuare il lavoro dopo la fase di layoff, l autostima incide sulla performance lavorativa in senso contrario: coloro i quali possiedono un elevata autostima incrementano la propria performance per conseguire il premio, mentre coloro i quali sono caratterizzati da una bassa autostima si sentono annichiliti in seguito al presunto ingiusto licenziamento del collega e non riescono a reagire generando una migliore performance. Accanto all autostima, anche il processo di identificazione dei sopravvissuti con i licenziati risulta essere una variabile significativa da prendere in considerazione. I sopravvissuti sono, infatti, portatori di un insieme di relazioni e di valori (Brockner, Grover, Reed, De 5 di 20

6 Witt, O Malley, 1987; Brockner, 1990) importanti ai fini dell impatto sulle performance della situazione di layoff. In questo caso il comportamento manageriale diviene cruciale nel condizionare le reazioni dei sopravvissuti, nel momento in cui questi riconoscano degli elementi di identificazione con un collega dimesso. I sopravvissuti focalizzeranno la propria attenzione sulla legittimità della soluzione proposta, sull informazione fornita in merito, sulla giustizia distributiva e procedurale ed infine sulla ricompensa offerta ai licenziati. La severità di giudizio nei confronti del comportamento del management dipenderà dal grado di identificazione dei sopravvissuti con alcune caratteristiche salienti degli espulsi. Se essi si percepiranno come molto simili al collega licenziato, sentiranno la propria posizione lavorativa e la propria identità sociale messe maggiormente in discussione. Quanto più alta sarà l identificazione con il licenziato tanto più scarsa risulterà la performance e il comportamento del management verrà ritenuto ingiusto. Il giudizio dei survivor è più severo quando la condizione sembra annientare maggiormente la dignità dell altro. Il processo di identificazione influenza anche il commitment (Allen, Meyer,1990, ; Meyer, Allen, 1997) nei confronti dell organizzazione, intendendo con questo la fiducia e l impegno riposti in essa in virtù di un contratto psicologico tacito stipulato al momento dell assunzione. Il commitment diminuisce quando il sopravvissuto percepisce come iniquo il trattamento di licenziamento riservato ad un collega con cui il sopravvissuto può potenzialmente identificarsi (Brockner, Grover, O'Malley, Reed, Glynn, 1993). L effetto della diminuzione della performance si acuisce ulteriormente, così come avviene per l identificazione, se il collega licenziato fa parte della sfera di vicinanza emotiva del sopravvissuto, se è cioè amico o conoscente di quest ultimo. Le reazioni dei sopravvissuti dipendono così in parte dal trattamento riservato ai licenziati. In questo senso, il management ha l opportunità di conservare un discreto commitment e una buona performance dei survivor a patto di utilizzare le regole basilari di equità distributiva e procedurale. L importanza della relazione tra sopravvissuti e management (Brockner, Grover, Reed, De Witt, 1990) è, naturalmente, ancora più critica quando la percezione di insicurezza lavorativa è connessa alla probabilità di ulteriori licenziamenti. Tale insicurezza è definita da alcuni fattori, quali l inusualità, l evitabilità, la mancanza di chiarezza su chi licenziare e chi tenere, l iniquità nel licenziamento di alcuni rispetto ad altri e l adeguatezza percepita delle azioni di presa in carico da parte dell azienda di coloro che verranno licenziati. La reazione dei lavoratori va spesso a manifestarsi a livello del commitment. La presenza o l assenza di una spiegazione adeguata del management circa le scelte fatte in tema di licenziamenti può giocare un ruolo di primo piano nella percezione dell incertezza e quanto più è elevata l incertezza tanto più è bene permettere ai lavoratori di venire a conoscenza dei meccanismi e delle ragioni sottostanti al processo di licenziamento, in modo da facilitarne la loro comprensione (Slowinski, Rafil, Tao, Gollob, 2000; Schweiger, DeNisi, 1991; Marks, Mirvis, 1992; Tetenbaum, 1999). L importanza del commitment (Brockner, Tyler, Cooper-Schneider, 1992) precedente al licenziamento è un altro fattore cruciale che influisce sulla performance. Brockner e colleghi analizzano due importanti aspetti per la comprensione della dinamica organizzativa. Il primo è riferibile al modello dei valori di gruppo, inteso come il fatto che le persone danno valore non solo a ciò che il rapporto con l organizzazione può offrire in termini strumentali, ma anche alle informazioni che ricevono e che aiutano a definire se stessi e ad avere una visione positiva del sé. Il secondo aspetto è riferibile al rapporto tra il commitment ed il contratto psicologico (Robinson, Rousseau, 1994). In base al commitment iniziale con l organizzazione le persone tendono a reagire in modi diversi di fronte ai licenziamenti. Un lavoratore che presenti un elevato livello di commitment precedente ai layoff tende a giustificare maggiormente l organizzazione se essa usa una 6 di 20

7 politica equa, anche se il licenziamento va a toccare lui stesso o qualcuno inserito nella propria sfera di inclusione. Nel caso in cui l organizzazione dovesse invece trattare in maniera iniqua i colleghi, la delusione dei survivor sarà superiore rispetto a quella di una persona emotivamente distaccata dall organizzazione e di conseguenza il commitment ne risentirà maggiormente. L attenzione del lavoratore per un lavoro diverso o più interessante in una situazione di post layoff (Brockner, Konovsky, Cooper-Shneider, Folger, Martin, Bies, 1994) o di downsizing è un ulteriore fattore che può contribuire ad aumentare la sua motivazione. L appetibilità della nuova mansione dipende dalla capacità dell organizzazione e del management di mettere in risalto determinati aspetti del mutato contesto lavorativo. Uno degli elementi delle riorganizzazioni consta nella ri-suddivisione del lavoro secondo nuovi criteri funzionali. Per questo motivo, il lavoratore sopravvissuto può trovarsi a ricoprire un ruolo differente o anche solo ad occuparsi di nuovi aspetti. Questo potrebbe essere così appagante, per lui, da ridurre l ingiustizia percepita nei confronti dei licenziamenti, pur rimanendo viva la solidarietà nei confronti degli ex colleghi. Assunto che certe modalità di licenziamento compromettono fortemente il futuro clima dell organizzazione, Brockner sottolinea come esistano alcune dimensioni contraddittorie tra processi di identificazione e interessi più specificatamente personali. Benché, infatti, l interesse lavorativo possa attenuare la percezione di iniquità nei confronti dell organizzazione, l inclusione del licenziato nella sfera delle proprie amicizie ha comunque un effetto potenziale negativo molto più elevato delle proprie nuove configurazioni professionali e di ruolo. Legata al commitment si individua la problematica della giustizia procedurale. Brockner e Wiesenfeld (1996) sottolineano come la giustizia procedurale, quando venga percepita come iniqua, ha delle ripercussioni sulle persone, che si affideranno allora alla percezione di equità distributiva; qualora però anche essa sia sentita iniqua, le loro reazioni saranno particolarmente negative nei confronti dell organizzazione. Si registrano reazioni negative da parte dei lavoratori anche quando essi percepiscono l esistenza di alternative altrettanto valide, ma per loro più favorevoli, rispetto alle scelte effettuate dall organizzazione; se considerano le procedure attuate come inique, di conseguenza anche le scelte organizzative vengono delegittimate. Molte reazioni negative registrate nei sopravvissuti sono da attribuire alle mancanze del management, che tende a sottovalutare i rischi dell iniquità esercitata all interno dell organizzazione. Questa superficialità del management può intaccare profondamente il rapporto di fiducia tra l organizzazione e il dipendente. La problematica della fiducia (Brockner, Siegel, Daly, Tyler, Martin, 1997) è messa in relazione con la giustizia procedurale e il commitment. Quando vi siano situazioni sfavorevoli per i lavoratori la fiducia di cui gode eventualmente il management consente di rendere più ponderate le reazioni. Poiché il legame fiduciario può attenuare l eventuale insoddisfazione, sta all organizzazione creare un ambiente in cui l equità e la corretta giustizia procedurale siano pratiche abituali. Il risultato di un clima soddisfacente facilita l instaurarsi del commitment e la ripetuta esperienza della giustizia procedurale, anche quando non tutti i risultati sono favorevoli, rende più probabile la creazione di una base di fiducia nei confronti dell autorità ( Brockner, Siegel, Daly, Tyler, Martin, 1997). Tutto questo ci porta alla seconda contraddizione, precedentemente evidenziata. Crisi della leadership e gestione del downsizing. La seconda contraddizione si basa sul fatto che il manager responsabile di una specifica unità organizzativa deve garantire al sistema, e chiedere ai propri collaboratori, un elevata performance, senza però essere in grado di garantire sicurezza, futuro e prospettive, in 7 di 20

8 quanto il controllo della situazione aziendale trascende spesso ed in buona misura la sua visibilità aziendale. Nel recente passato l'identificazione con l azienda sia del management sia dei lavoratori di buona qualificazione era elevata e l'appartenenza ad una condizione rispettabile di "status" sociale, come la centralità dell'azienda, scontata; il rapporto individuoorganizzazione era caratterizzato da una bassa differenziazione e da una limitata distanza psicologica, in un rapporto di dipendenza quasi fusionale. Il lavoro qualificato del manager, connesso alla sicurezza economica e di status, presentava un rischio limitato e la sua competenza era rivendibile sul mercato con una relativa facilità. La perdita del lavoro in una azienda, per ragioni di crisi congiunturali o di declino, era temporanea e la qualificazione era di fatto recuperabile in altri contesti organizzativi (Zuffo, 1997). Oggi la situazione è notevolmente mutata sia per le logiche organizzative sia per la rappresentazione che l azienda propone di sé. Nelle grandi corporation, o più semplicemente nelle multinazionali dimensionalmente significative, le decisioni strategiche sono prese da gruppi di top manager molto ristretti che operano in chiave di allocazione e distribuzione planetaria delle risorse e delle localizzazioni: le decisioni sono, così, prese alla luce di molte variabili, spesso non controllate o sconosciute a livello locale. Anche i livelli manageriali medio alti non decidono e non possono spesso influenzare le decisioni prese, per esempio, per il singolo paese. A livello di rappresentazione l azienda forte, monolitica, vincente, maschile, garante della continuità lavorativa in cambio di dipendenza e fedeltà, non esiste più. A differenza del passato, l'organizzazione non svolge più la funzione di difesa contro le ansie primarie e i manager non possono più svolgere la funzione di leader e di espressione quasi indifferenziata dell azienda. Il leader del gruppo o il manager, anche di medio livello, perde le valenze dell'onnipotenza, della garanzia e della sicurezza. Di conseguenza, l'"assunto di base della dipendenza" (Bion, 1961) nei confronti di un leader capace di garantire sicurezza perde parte del suo significato originario (Zuffo, 1997). Il manager, in sostanza, si trova a gestire dei sottosistemi organizzativi dove spesso non sono neppure a lui stesso chiare le evoluzioni strategiche decise dall'impresa, le implicazioni delle grandi scelte imminenti e le conseguenze sulla propria area operativa. Il manager non è più espressione forte dell organizzazione: deve indubbiamente garantire efficienza, disponibilità, coesione, identificazione, ma non può più assicurare continuità e futuro (Kaneklin, Isolabella, 1997). Il leader deve attivare energie positive per poter motivare, far crescere, consentire che gli obiettivi assegnati siano raggiunti, ma nello stesso tempo lui stesso ha un minore controllo e visibilità della situazione futura: quanto accadrà sarà spesso in buona misura indipendente dai risultati specifici della sua unità operativa. Inoltre, i risultati richiesti sono spesso di saving, di gestione di riduzioni di risorse, di progetti che implicano maggiori efficienze operative attraverso la riduzione della forza lavoro assegnata. I capi sono, in tal modo, imbrigliati in una condizione esistenziale ineludibile, si trovano ad essere esecutori di mandati aziendali e, insieme, spesso testimoni impotenti di una ristrutturazione che li trascende e che li coinvolge emotivamente facendone contemporaneamente degli esecutori-carnefici e delle vittime (Zuffo, 1997) Sono esposti all'angoscia del doppio legame asimmetrico che li lega, da una parte, al proprio gruppo di lavoro e alle singole persone secondo modalità sempre più profonde e, dall'altra, al commitment con i propri vertici organizzativi (Zuffo, Bernardoni, 1996). Questa contraddizione, insieme ad una strutturale crisi della leadership tradizionale (Kaneklin, Isolabella, 1997) a favore di modalità organizzative più fluide ed evolute, genera un tipico modello comunicativo distorto nella gestione del downsizing. Queste situazioni sono, così, spesso contrassegnate da sottocomunicazione, da indizi organizzativi non intenzionali, che sembrano anticipare ulteriori riduzioni di personale, e da rumors, che alimentano un senso di minaccia percepita nei sopravvissuti (Brockner, 1988). 8 di 20

9 Se l'azienda si rappresenta e si propone come debole e non in grado di garantire più nessuno, il contratto psicologico originario, fatto di prestazioni elevate in cambio di fiducia e di attenzioni, tutela e garanzia delle proprie aspettative future, si modifica (Robinson, 1996; Morrison, Robinson, 1997; Rousseau, 2000; Robinson, Morrison, 2000). L azienda propone ora una maggiore differenziazione; l'enfasi aziendale viene posta sempre più sullo sviluppo delle competenze, sul perfezionamento continuo delle prestazioni individuali e su sistemi di valutazione apparentemente oggettivi e, soprattutto, baricentrati sulla durezza di un mercato che sarà giudice di ogni nuova decisione. Il manager si trova, così, in una situazione molto particolare: quella di garantire qualcosa ed insieme di non assicurare nulla. Quanto più vi è incertezza, tanto più l azienda perde progressivamente i caratteri di garante della sicurezza e della continuità lavorativa (Morrison, 1994) e tanto più rilevante diviene la centralità del sistema microorganizzativo. Il capo, nella sua soggettività e nella sua situazionalità, diventa quindi il garante dell affidabilità lavorativa futura. Si configura una situazione contrassegnata dalla ecologia dei contratti psicologici (Rousseau, 1995), definizione usata per intendere la provvisorietà e la complessità del rapporto sistemico che intercorre tra i soggetti dell organizzazione e la mutazione dei contesti culturali e socio-economici di riferimento. Appare, così, in tutta evidenza la centralità, ma anche i limiti, dell'azione manageriale. Il manager può farsi garante non solo e non tanto attraverso l'organizzazione, ma in qualche misura partendo ed arrivando a sé. Si configura, dunque, una garanzia limitata che indubbiamente pone anche una complessità ed una qualità della relazione più evoluta e sofisticata (Zuffo, 1997) Le risposte non possono più essere predefinite e confezionate solo da obsoleti interpreti dei vertici aziendali, ma richiedono un doppio movimento: da un lato un management che offre una prospettiva, un senso, una sfida aziendale, che vale la pena accettare e raccogliere, dall'altro un uomo che possiede la capacità di contenere le ansie e le preoccupazioni individuali così da stimolare delle elaborazioni mentali che diventino precondizione per avere sistemi efficienti ed in grado di produrre innovazione. Nel passato l organizzazione si fondava sulla competenza della specializzazione funzionale e, a livello soggettivo, sulla scissione come necessaria all imitazione e al conformismo imposto da una elevata divisione del lavoro e dal rispetto delle procedure. Le organizzazioni di oggi richiedono sempre di più la ricomposizione della scissione tra sé e la pratica professionale, ma anche tra un sé adulto, che dia risposte evolute e non predeterminate dall organizzazione, e un soggetto differenziato, che abbia chiara la necessità di difendersi e di proteggersi sul piano psicologico e concreto (Zuffo, 1997) Nel momento in cui la soggettività e l'individuo assumono maggiore centralità, il gruppo ne diventa la condizione operativa e la possibilità concreta di una nuova comunicazione e di una buona efficienza; in pratica, il gruppo diviene l'unità di base dei sistemi organizzativi sia sul piano concreto sia su quello più profondo dell attribuzione di senso (Weick, 1995). Il middle management in quanto appartenente, nello stesso tempo, e strutturalmente, a gruppi differenti, si trova costretto ad operare come team leader, muovendosi tra i mandati di un top management lontano e la realtà spesso caotica di una prima linea operativa in trincea (Nonaka, 1995). Questa difficoltà richiede alle persone di essere sempre più autoefficaci e di essere baricentrate sul "sé", consapevoli di essere il reale fattore critico di successo delle performance organizzative e della continuità lavorativa del proprio gruppo di lavoro. I manager sono più credibili della azienda stessa e naturalmente imparano che il loro potenziale potere di riconoscibilità va speso con attenzione e tempismo, consapevoli che essi stessi domani potrebbero rivelarsi inutili. Il sistema organizzativo, in questo modo, diminuisce le sue reali possibilità di controllo ed insieme incrementa le capacità di apprendimento e di risposta personale e dei micro-gruppi di lavoro. La nuova gestione o, 9 di 20

10 se si preferisce, la nuova leadership, consiste nel saper convivere con questa condizione di antinomia profonda tra esigenza di esercitare potere e controllo da un lato e necessità di "vincere" nel proprio sistema competitivo dall altro, tra la necessità di garantire appartenenza e protezione e, al contempo, di essere "soli" nella provvisorietà di un divenire imprevedibile (Zuffo, 1997) Come si è delineato fin ora la strada diventa stretta; i leader e i componenti dei gruppi dovranno essere forti e maturi, ma, naturalmente, cercheranno anche di allearsi o di combattersi con intensità maggiori che nel passato. Le persone possono crescere nella loro collusione con rapporti sempre più individualistici e superficiali caratterizzati da alleanze, cordate ed accordi extraorganizzativi. In altri termini, nel corso della diverse pratiche professionali consulenza organizzativa, selezione, formazione - che consentono esplorazioni disorganiche ma anche estremamente ricche, si segnalano sempre più spesso forme di rinuncia e di ripiego psicologico, ma al contempo anche inquietanti strategie individualistiche, definibili come forme di neo-mercenarismo professionale. L organizzazione non rappresenta più, quindi, il riferimento etico fondamentale della propria professionalità e dell azione manageriale ma semplicemente un contesto dove proteggersi dalle minacce e perseguire risultati anche potenzialmente dissonanti con l interesse organizzativo (Pugh, Sarlicki, Passell, 2003) Queste particolari forme di comportamento ci portano ad evidenziare la terza contraddizione. Conflitto di interessi e stock-option. Adam Smith aveva ben espresso il nesso tra egoismo individuale e bene collettivo scrivendo che non è certo dalla benevolenza del macellaio, del birraio, o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo ma dal fatto che essi hanno cura del proprio interesse. Noi non ci rivolgiamo alla loro umanità, ma al loro egoismo e con loro non parliamo mai delle nostre necessità, ma dei loro vantaggi (Smith, 1776, p18; 1973, p. 18). Il capitalismo moderno poteva garantire e questa è stata la sua grande utilità storica l interesse collettivo, rendendo utile e miracoloso alla collettività anche il più spietato istinto di avidità e di cupidigia. Questa sintesi tra egoismo individuale e bene collettivo è stata alla base delle teorie liberiste e ha reso possibile il grande sviluppo economico della società e dell impresa occidentale. Oggi però questo equilibrio, peraltro molto instabile, sembra vacillare a favore dell individualismo. Guido Rossi, ex presidente della Consob, ha scritto recentemente un interessante saggio (Rossi, 2003) in cui viene delineato lo scenario generale che ci consente di spiegare, almeno in parte, quei comportamenti organizzativi opportunistici che si realizzano a livello sia macro che microorganizzativo. La tesi sostenuta da Rossi è che il conflitto di interessi storicamente endemico si stia trasformando in un fattore epidemico. Se storicamente le crisi avevano riguardato la scorrettezza di qualche specifico protagonista, le banche ad esempio, oggi comportamenti potenzialmente rischiosi caratterizzano tutti gli attori dei nostri mercati. Rossi ricorda come John Rawls, noto studioso di contrattualismo sociale, abbia riconosciuto l importanza delle cosiddette psicologie speciali : invidia, avidità, dominio, gelosia costituiscono le strutture base del mercato ed insieme un formidabile collante sociale (Rossi, 2003). Il rapporto tra economia reale e mercati finanziari diventa sempre più stretto e nelle aziende di dimensioni rilevanti (multinazionali e globalizzate) il rapporto con la Borsa diventa centrale rispetto ad altre forme di generazione del valore economico nella determinazione del risparmio e nel rapido cortocircuito tra società, famiglie e imprese. Gli enti istituzionali dei singoli paesi non solo sono incapaci di esercitare un controllo sistematico, ampio ed organico, ma spesso possiedono essi stessi interessi specifici legati o allo sviluppo di affari nazionali o a ragioni politiche poco connesse alla trasparenza (per 10 di 20

11 esempio, richiamo di capitali, tassazioni privilegiate, minori controlli, legislazioni più favorevoli). Le banche d affari sono poi spesso possedute dalle banche di sportello che sono a loro volta promotori di fondi comuni di investimento, e così via Il conflitto di interessi coinvolge quindi in primo luogo proprio gli stessi organismi di controllo. Senza fare esempi e riferimenti alla cronaca è apparso evidente come alcuni comportamenti recenti degli organi di vigilanza possano lasciare dubbi in occasione di OPA, di merger e di definizione più precisa di azioni antitrust. Ancor più nello specifico, e più vicini all oggetto di interesse del saggio che rimanda alle forme di neo-mercenarismo, sono apparsi evidenti i conflitti di interessi delle società di revisione che se da una parte certificano i bilanci, dall altra vendono, con qualche foglia di fico più o meno grande, attività di consulenza legale, fiscale e finanziaria. Analogo discorso, anche se più sottile e meno manifesto, può essere fatto per altri attori istituzionali. Le società di consulenza strategica hanno avuto ed hanno una funzione importante nel favorire lo sviluppo di alcuni settori o più in generale nel favorire lo sviluppo dei loro clienti attraverso strategie articolate e le conseguenti crescite negli affari. Così, accanto ad un innegabile funzione sociale di acceleratori di un economia competitiva, che si sviluppa in modo sano, si sono potute cogliere anche collusioni con i Ceo e orientamenti che hanno dimostrato di non far crescere di valore l impresa, o ancor peggio di interpretare in modo poco limpido i bisogni variegati che i vertici aziendali possono avere nei confronti dei loro azionisti o dei sistemi istituzionali di finanziamento. I rimandi alla new-economy sono certamente sufficienti. Inoltre, i senior partner di queste società sono persone caratterizzate da orientamenti imprenditoriali, interessate a sviluppare commesse remunerative e di continuità con i loro clienti, in quanto i profitti delle società di consulenza sono nella sostanza i loro compensi. Sono, però, anche figure cresciute nell ambito di un contesto manageriale, in quanto i modelli di riferimento culturali e gestionali di queste società sono tipicamente manageriali e le loro storie professionali sono spesso realizzate in percorsi iniziali di carattere professionale e manageriale. Anche gli analisti finanziari, coloro che valutano le società per centri studi o per banche d affari, possono essere coinvolti in valutazioni non sempre limpide o perché lavorano in organizzazioni di proprietà delle banche o perché vengono scelti al posto di altri per la loro maggior disponibilità verso il sistema cliente. Infine esistono, più marginali, ma non meno interessate, altre figure di professionisti, quali gli avvocati di studi internazionali, che partecipano ad operazioni di merger & acquisition, scorpori ed altre operazioni aziendali. Generalmente sono orientati a favorire gli interessi dei loro clienti, intesi come persone fisiche, e non gli interessi delle loro aziende clienti, da cui possono ricavare informazioni utili per il loro interesse o quello dei loro studi professionali. Controllori e controllati, clienti e fornitori, decision taking e decision making si confondono facilmente. Ciò che li unifica è la stessa cultura manageriale, che li ha visti crescere nelle organizzazioni, la stessa cultura universitaria, gli stessi master e le stesse business school e non ultimo il fatto che nella loro storia professionale sono stati talvolta clienti e talaltra fornitori. Tutti hanno informazioni sensibili ma diverse; nella sostanza sono una lobby fortissima. I processi di identificazione, le solidarietà gruppali (Tajfel, 1978, 1981; Turner, 1982; Turner, Hogg, Oakes, Reicher, Wetherell, 1987), gli scambi di favori, la fiducia reciproca maturata al golf e nelle lunghe notti di lavoro sullo stesso progetto con un panino per cena sono gli ingredienti di base del micidiale mix del conflitto di interesse. E la faccia perversa del knowledge-management e dello sviluppo delle competenze, che sostituisce sia la creatività corsara e sincretica dell imprenditore di prima generazione sia quella del management tradizionale proposto dai modelli fordisti. Tutti costoro non sono comunque portatori di denaro se non in taluni casi particolari e comunque solo marginalmente rispetto ai capitali che muovono. Come aveva detto Martin Lutero, citando una lettera di San 11 di 20

12 Paolo, ripresa da Guido Rossi per concludere il suo lavoro (Rossi, 2003), radice di tutti i mali è l avidità del denaro e, potremmo aggiungere, degli altri. Come sembra ormai acquisito dalla guerra per l acquisizione dei giovani talenti alle sirene delle stock-option per i manager di elevato livello la centralità delle risorse umane è data per scontata ed è il fattore chiave e fondamentale della moderna economia globalizzata. Se ciò è profondamente vero significa che il potere negoziale del management non è mai stato così elevato nella storia della impresa moderna; ed è fortissimo. (Davis, Meyer,2000 ) Si configura in questo modo un paradosso: i sistemi di retribuzione variabile, nati per stimolare il management ad assumersi dei rischi (Gualtieri, 1993; Airoldi, Zattoni, 2001) e, conseguentemente, per orientarlo a migliori performance in una logica, però, di identificazione, partecipazione e appartenenza diventano progressivamente qualcosa di potenzialmente diverso e pericoloso. Anzi, l orientamento al rischio di una nuova generazione manageriale appare essere ormai fuori controllo e diminuisce a favore di una gestione più tranquilla ed ortodossa. Le stock-option l assegnazione, come parte del compenso, di diritti di opzione sulle azioni della società che i manager e gli amministratori governano rappresentano il fattore più emblematico e critico del potenziale conflitto di interessi (Rossi, 2003). Il cosiddetto share-holders value dipende dalla quotazione in borsa della società e, quindi, tanto più esso sarà rilevante tanto più alto sarà il guadagno al momento della possibilità di esercitare l azione e subito rivenderla al mercato con le relative plusvalenze, per massimizzare il risultato di utile personale. Non è interessante entrare, per ora, nel merito dei tecnicismi delle stock-option o di altre formule connesse alla modalità di riscatto dell azione al mercato, né della ampia letteratura che ha cercato di minimizzare il rischio aziendale massimizzando contestualmente la prestazione ed il coinvolgimento manageriale. La letteratura e le pratiche di incentivazione dimostrano come alla finalità di orientare maggiormente il management al rischio che dipende, peraltro, in larga misura da variabili personali si sommano esigenze progressivamente diverse. Si configurano, allora, possibilità tese a favorire l attraction di manager ritenuti di valore e la retention di squadre manageriali o professionali che possano garantire continuità. In taluni casi sono diventate le regole usuali caratterizzanti alcuni settori in forte crescita, o da newco, per contenere il costo del lavoro manageriale. Il fenomeno è in progressiva crescita anche se la crisi di questi anni ne ha spesso invalidato i meccanismi e raffreddato parzialmente le speranze. Nel 2000 le stock-option negli Stati Uniti rappresentavano il 58% dello stipendio dei CEO delle maggiori 200 aziende e l 87% per i CEO delle prime 100 dotcom, mentre i lavoratori interessati alle stock-options, che erano un milione nel 1991, sono cresciuti a 10 milioni (Marchesi, Brero, 2001). Le indagini di Watson Wyatt di questi ultimi anni confermano come il valore medio delle assegnazioni di stock-option sia un multiplo non irrilevante del salario base e come alcuni casi segnalati anche dalla stampa su situazioni italiane confermino la tendenza a far apparire il salario una forma di argent de poche. Contestualmente si vanno progressivamente configurando rischi, potenzialmente pericolosi per lo stesso equilibrio dell impresa, connessi alle derive opportunistiche e mercenarie. Se le stock-option sono un fattore che incentiva a rimanere nell organizzazione una specie di manette dorate favoriscono però anche una progressiva differenziazione tra il sé, il manager, e l altro da sé, cioè l azienda. Questo vale, naturalmente, a tutti i livelli organizzativi ma soprattutto ai livelli intermedi delle filiere organizzative, dove l identificazione costruttiva con l azienda, il gruppo, le altre persone con le quali si lavora sono i fattori critici che favoriscono la permanenza. Sono, infatti, i rapporti di fiducia ed il grado di soddisfazione professionale che influenzano la retention e 12 di 20

13 fanno aumentare la motivazione a restare; è un accettabile benessere organizzativo a permettere una progettualità di autorealizzazione individuale, anche se, talvolta, questa non è chiara neppure allo stesso individuo. A rapporti anche conflittuali, ma lineari, si sostituiscono rapporti più politici e meno finalizzati all interesse collettivo, perché orientati alla difesa di interessi che spesso sono di tipo personale e che non sempre sono in sintonia con i sistemi, non tanto di assegnazione, quanto piuttosto di evoluzione delle dinamiche di mercato e delle conseguenti ricadute organizzative. Per esempio le aziende che utilizzano le stock-option sono orientate maggiormente verso operazioni finanziarie di natura straordinaria, ad impegnarsi in operazioni fittizie (Sanders, 2001) o a realizzare più numerose operazioni di merger & acquisition rispetto a quelle dove non è presente questa formula. Purtroppo circa la metà di queste operazioni non produce a distanza di alcuni anni - valore per gli azionisti (McKinley, Mone, Baker, 1998; Edwards, 2000), pur avendo, in una fase iniziale, un grande impatto sui giudizi degli operatori, della stampa specializzata e quindi sui corsi di borsa. I rumors generano sollecitazioni borsistiche e inducono, infatti, strappi nei prezzi. I fenomeni dell insider trading sono oggi, così, più scontati ed usuali e le normative e i regolamenti nati per contrastarli e ovviare alle specifiche disfunzioni hanno dimostrato un utilità solo marginale mentre i volumi trattati crescono e assumono dimensioni sospette. I processi di merger & acquisition, gli scorpori, i downsizing realizzati, d altro lato, hanno impatti sulle regole precedentemente definite per le assegnazioni delle stock-option. Dopo una operazione straordinaria di solito si richiede una ridefinizione delle logiche e del merito delle assegnazioni e, spesso, anche una risoluzione dei piani in essere con una liquidazione del pregresso o una nuova riconfigurazione prevedibilmente favorevole al management. Chi ha più informazioni, o meglio chi le produce, vince. Rossi è pessimista circa l utilità sia dei codici etici sia della possibilità per il legislatore di realizzare nel governo societario sistemi giuridici in grado di contrastare la dimensione epidemica. Ipotizza, quindi, la necessità di favorire lo sviluppo di una cultura della vergogna che sia in grado di far nascere regole e comportamenti collettivi tendenti alla emarginazione delle persone che derogano, anche se la globalizzazione induce una cancellazione dei valori sui quali ogni singola cultura basa la propria etica. Molte delle cose dette sono riconducibili al top management, ma hanno anche effetti sui livelli intermedi dell organizzazione, in quanto i rumor, le opacità, le comunicazioni ridotte o incerte generano nel sistema percezioni di minacce ed insicurezze che rimandano alla prima contraddizione trattata (Moore, Grunberg, Greemberg, 2004). Anche al livello intermedio del management c è, quindi, lo sforzo di tutelare se stessi in una sorta di riconfigurazione del contratto psicologico, in una caduta della fiducia ed in una crescita del cinismo organizzativo (Pugh, Skarlicki, Passel, 2003). Questo ultimo costrutto inizia ad avere un attrazione crescente nell ambito della letteratura scientifica, segno di recenti attenzioni in termini strettamente psicologici. Il cinismo organizzativo 3, infatti, è un fenomeno sempre più diffuso nelle realtà organizzative. Viene considerato un 3 Il cinismo organizzativo è classicamente configurato in cinque declinazioni: 1. Cinismo di personalità, definibile come percezione negativa e ostilità innata verso gli altri (Cook e Medley, 1954); 2. Cinismo sociale, inteso come sfiducia nella società in generale causata da aspettative deluse da parte della società civile, delle istituzioni e di altre autorità (Kanter e Mirvis, 1989); 3. Cinismo dell impiegato, atteggiamenti negativi nei confronti delle organizzazioni, dei dirigenti e del posto di lavoro in generale (Andersson, 1996); 4. Cinismo verso il cambiamento organizzativo, inteso come sfiducia nella possibilità che i previsti cambiamenti organizzativi portino realmente dei miglioramenti (Reichers, Wanous e Austin, 1997); 5. Cinismo verso il proprio lavoro, tipico di lavori ad alto contenuto internazionale, poliziotti e infermieri, che rischiano di generare burn-out o ostilità nei confronti dell oggetto del proprio lavoro (Neiderhoffer, 1967). 13 di 20

14 atteggiamento negativo dovuto alla convinzione che la propria organizzazione abbia perso la sua integrità (Dean, Brandes, Dhwardkar, 1998; Abraham, 2000). La combinazione di questo tipo di atteggiamento con forti reazioni emotive negative dà luogo a comportamenti critici nei confronti della propria organizzazione. Le persone si convincono che i principi di onestà, lealtà, sincerità vengano sacrificati, nell organizzazione, a favore del perseguimento di interessi individuali. A causare il cinismo (Mirvis e Kanter, 1991) sono, fondamentalmente, alcuni fattori, quali il nutrire elevate e irreali aspettative su se stessi e sugli altri, ma soprattutto, nel nostro caso, l esperienza dell essere stati delusi e ingannati. Il cinismo sarebbe, in definitiva, un modo per affrontare ciò che è percepito come un mondo ostile, instabile e incerto. L atteggiamento cinico, infatti, fornisce una facile spiegazione alle continue delusioni e frustrazioni subite dall individuo nell ambiente organizzativo, ma allo stesso tempo si accompagna a rabbia e risentimento. Gli effetti possono essere molto distruttivi, anche e soprattutto se ad essere cinici sono gli stessi manager (Mirvis e Kanter, 1989), che possono determinare un ambiente di lavoro in cui prevale la provvisorietà rispetto a una visione a lungo termine degli obiettivi e dell identità dell azienda e, inevitabilmente, uno stesso atteggiamento di tipo cinico nei subordinati e una diminuzione dei nei sentimenti di cittadinanza organizzativa (Abraham, 2000). L insieme delle contraddizioni evidenziate non sono, naturalmente, la normalità organizzativa e non vorremmo neppure apparire a nostra volta portatori di una visione cinica e distruttiva. Tuttavia, ci sembra un inequivocabile segno di tendenza l adozione di pratiche professionali deontologicamente discutibili, i molti episodi che hanno arricchito le cronache giudiziarie non solo italiane, l ampio dibattito sui codici etici, e infine, i continui sforzi delle normative e delle leggi per regolare i processi di governance e di controllo dei mercati finanziari. 14 di 20

15 Bibliografia. Abraham, R. (2000) Organizational cynicism: bases and consequences. Genetic, Social and General Psychology Monographs, 126 (3), Airoldi G., Zattoni A. (2001) Piani di stock option. Egea, Milano. Allen N.J., Meyer J.P. (1990). The measurement and antecedent of affective, continuance, and normative commitment to the organization. Journal of Occupational Psychology, 63. Allen N.J., Meyer J.P. (1993) Organizational commitment: evidence of career stage effects? Journal of business research, 26, Allen N.J., Meyer J.P. (1996) Affective, continuance, and normative commitment to the organization: An examination of the construct validity. Journal of vocational behaviour, 49, Andersson, L. (1996) Employee cynicism: An examination using a contract violation framework. Human Relations, 49: Bauman Z. (2003) L intervista sull identità, Laterza, Bari. Beatty R. P., Zajac E.J. (1994) Managerial Incentives, Monitoring, and Risk Bearing: A study of Executive Compensation, Ownership, and Board Structure in Initial Public offerings. Administrative Science Quarterly, vol.39, n.2, pp Bion W., (1961), Esperienze nei gruppi, Armando editore, Milano. Brockner J., Grover S., Blonder M.D. (1987) Factors predicting survivors reactions to work layoffs: a field study, Manuscript under editorial review. Brockner J., Grover S., Reed T., DeWitt R., O Malley M. (1987) Survivors reactions to layoffs: we get by with a little help for our friends, Administrative Science Quarterly, (32), pp Brockner J., Grover S., O'Malley M., Reed T., Glynn M.A. (1993) Threat of future layoffs, self esteem and survivor reactions: evidence from the laboratory field, Human Research Management, pp Brockner J., Siegel P.A., Daly J.P., Tyler T., Martin C. (1997) When trust matters: the moderating effect of outcome favorability, Administrative Science Quarterly, (42), pp Brockner J., Wiesenfeld B.M. (1996) An integrative framework for explaining reactions to decisions: the interactive effects of outcomes and procedures, Psychological Bulletin, 120, pp Brockner J., O'Malley M.N, Grover S., Esaky N., Glinn M.A, Lazarides S. (1987) The effects of layoffs, Job insecurity, and self-esteem on survisors' work performance and attitudes, manuscript under editorial review. 15 di 20

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