y = f(x), x B R, x = h(y), y B R.
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- Raffaella Bosco
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1 1 Funzioni implicite 1.1 Introduzione. Consideriamo l equazione F (x, y) = 0, (1.1) con F : A R 2 R una funzione reale di due variabili reali. Siamo interessati a descrivere l insieme delle sue soluzioni (o zeri di F ) E 0 = E 0 (F ) = {(x, y) A F (x, y) = 0} (1.2) In alcuni casi fortunati si può esplicitare una delle due variabili in funzione dell altra, cioè si può riscrivere (1.1) equivalentemente nella forma oppure nella forma In tali casi si ha rispettivamente oppure y = f(x), x B R, x = h(y), y B R. E 0 = {(x, f(x)), x B} = gr(f), E 0 = {(h(y), h), y B} = gr(h). Si dice anche che (1.1) definisce implicitamente la funzione y = f(x) (o x = h(y)) o, equivalentemente, che y = f(x) (o x = h(y)) è definita implicitamente da (1.1). Vediamo alcuni esempi. Esempio 1.1. Sia F (x, y) = ax + by + c, con a 2 + b 2 > 0. E 0 è una retta e (1.1) definisce implicitamente una funzione y = f(x) o x = h(y). Esempio 1.2. Sia F (x, y) = xe y 3y Possiamo facilmente esplicitare x in funzione di y: x = (3y 2 1)e y. E possibile esplicitare anche y in funzione di x? Esempio 1.3. Sia F (x, y) = x 2 +y 2 1. E 0 è la circonferenza di centro l origine e raggio 1. Non è il grafico di alcuna funzione nè del tipo y = f(x), nè del tipo x = h(y). Possiamo però definire y = f(x) = 1 x 2, per x [ 1, 1] e y = f(x) = 1 x 2, per x [ 1, 1]. Si ha che E 0 = gr(f) gr( f), cioè E 0 è unione di due grafici. Un analisi più dettagliata mostra che per ogni punto P 0 E 0 non appartenente agli assi cartesiani, esiste un suo intorno 1
2 U in cui si può esplicitare ciascuna variabile in funzione dell altra, mentre i quattro punti in cui E 0 interseca gli assi hanno un intorno in cui si può esplicitare una variabile, ma nessun intorno in cui si possa esplicitare anche l altra variabile. In conclusione per ogni punto P 0 E 0, esiste un suo intorno U tale che E 0 U è il grafico di una funzione. Definizione 1.4. Diremo che E 0 è localmente grafico se P 0 E 0, U intorno di P 0 : E 0 U è il grafico di una funzione (1.3) Esempio 1.5. Sia F (x, y) = x 2 + y E 0 =. Esempio 1.6. Sia F (x, y) = x 2 + y 2. E 0 = {O = (0, 0)}, è un punto isolato. Esempio 1.7. Sia F (x, y) = x 2 y 2. E 0 è unione di due rette passanti per l origine (dette rami). Non è localmente grafico perchè non è grafico di una funzione in nessun intorno dell origine (appartenente ad E 0 ). In questo caso diremo che (1.1) definisce implicitamente due funzioni in ogni intorno dell origine. Esempio 1.8. Sia F (x, y) = xe y + ye x. Non si vede come esplicitare una variabile, si nota facilmente che F (0, 0) = 0, cioè che P 0 = (0, 0) E 0. Come sarà E 0 in un intorno dell origine? Per rispondere a questa domanda avremo bisogno di concscere la teoria delle funzioni implicite. 1.2 Il teorema di Dini. Definizione 1.9. Sia F : A R 2 R. Diremo che una funzione y = f(x), x I R (x = h(y), y J R) è definita implicitamente dall equazione (1.1) se (x, f(x)) A per ogni x I ((h(y), y) A per ogni y J) e se F (x, f(x)) = 0 per ogni x I (F (h(y), y) = 0 per ogni y J). Quanto sopra equivale a dire che gr(f) E 0 (gr(h) E 0 ). Notazioni. Sia A un aperto di R n. Definiamo C 0 (A) = C(A) = {f : A R f continua}, C k (A) = {f : A R f dotata di tutte le derivate parziali fino all ordine k, continue in A}, C (A) = {f : A R f dotata delle derivate parziali di ogni ordine, continue in A}. 2
3 Si ha ovviamente C (A) C k+1 (A) C k (A) C 0 (A), k N. Per semplicità, denoteremo le derivate parziali indicando le variabili rispetto alle quali si deriva a pedice della funzione, ad esempio F = F x x, 2 F = F xy xy. Teorema 1.10 (Teorema del Dini (o delle funzioni implicite)). Sia F : A R 2 R, con A aperto e F C 1 (A). Sia P 0 (x 0, y 0 ) A tale che F (x 0, y 0 ) = 0 (ovvero P 0 E 0 ) e F y (x 0, y 0 ) 0. Allora esistono un intorno U di x 0 ed un intorno V di y 0 tali che per ogni x U esiste un unico y V tale che F (x, y) = 0. Indicato con f(x) tale y, resta definita una funzione f : U V, tale che f C 1 (U) e f (x) = F x(x, f(x)), per ogni x U. (1.4) F y (x, f(x)) Osservazioni. 1) Il significato geometrico del teorema è che E 0 (U V ) è il grafico di una funzione y = f(x) di classe C 1, ovvero una curva. Si ha ovviamente che f è definita implicitamente dall equazione F = 0. 2) Poichè P 0 (x 0, y 0 ) E 0 (U V ), si ha che f(x 0 ) = y 0, ovvero il grafico di f passa per P 0. Si può quindi calcolare f (x 0 ), ma in generale, non essendo nota la funzione f(x), non si potrà calcolare f (x) usando la (1.4), per x x 0. Dimostrazione. Supponiamo ad esempio che F y (x 0, y 0 ) > 0 (nel caso F y (x 0, y 0 ) < 0 si ha dimostrazione analoga oppure ci si riconduce a questo caso operando con F, dato che E 0 ( F ) = E 0 (F )). Essendo F y continua, per il teorema di permanenza del segno esiste un rettangolo chiuso R = W V = [x 0 k, x 0 + k] [y 0 h, y 0 + h] tale che F y > 0 in R. Quindi per ogni x W la funzione F (x, ) : V R y F (x, y) è strettamente crescente. In particolare, per x = x 0, si ha F (x 0, y 0 h) < F (x 0, y 0 ) = 0 < F (x 0, y 0 + h) Applicando il teorema della permanenza del segno a F, si ha che esiste un intorno U = [x 0 l, x 0 + l] W tale che F (x, y 0 h) < 0 e F (x, y 0 + h) > 0 per ogni x U. Applicando il teorema dell esistenza degli zeri a F (x, ) in V e ricordando che F (x, ) è strettamente crescente in V, si ha che per ogni 3
4 x U esiste un unico y V tale che F (x, y) = 0. Resta così definita la funzione f. Proviamo che f è continua. Dati x 1, x 2 U, consideriamo i punti P 1 = (x 1, f(x 1 )) U V e P 2 = (x 2, f(x 2 )) U V. Il segmento chiuso [P 1, P 2 ] è contenuto nel rettangolo R (che è convesso). Per il teorema della media, esiste un punto (ξ, η) [P 1, P 2 ] tale che ovvero F (P 2 ) F (P 1 ) = F (ξ, η) (P 2 P 1 ), 0 = F (x 2, f(x 2 )) F (x 1, f(x 1 )) = F x (ξ, η)(x 2 x 1 ) + F y (ξ, η)(f(x 2 ) f(x 1 )), da cui f(x 2 ) f(x 1 ) = F x(ξ, η)(x 2 x 1 ) F y (ξ, η) Siano M = max R F x e m = min R F y. Tali massimo e minimo sono assunti per il teorema di Weierstrass applicato alle funzioni F x e F y, continue sul compatto R. Inoltre m > 0 per la scelta compiuta di R. Si ha f(x 2 ) f(x 1 ) M m x 2 x 1 Abbiamo così provato che f è continua. Consideriamo ora il rapporto incrementale f(x 2 ) f(x 1 ) = F x(ξ, η) x 2 x 1 F y (ξ, η) Per la continuità di f, se x 2 tende a x 1 si ha che f(x 2 ) tende a f(x 1 ), cioè P 2 tende a P 1 e quindi anche (ξ, η) [P 1, P 2 ] tende a P 1. Dunque, per la continuità di F x e F y, lim x 2 x 1 f(x 2 ) f(x 1 ) x 2 x 1 = F x(x 1, f(x 1 )) F y (x 1, f(x 1 )), x 1 U. Vale quindi la (1.4), dalla quale è evidente la continuità di f. Osservazioni. 1) E evidente che se l ipotesi F y (x 0, y 0 ) 0 è sostituita da F x (x 0, y 0 ) 0, allora, invertendo il ruolo delle variabili x e y, si ha una seconda versione del teorema di Dini, simmetrica alla precedente, e cioè in tal caso esistono un intorno U di x 0 ed un intorno V di y 0 tali che per ogni y V esiste un unico x U tale che F (x, y) = 0. Indicato con h(y) tale x, resta definita una funzione h : V U, tale che h C 1 (V ) e h (y) = F y(h(y), y), per ogni y V. (1.5) F x (h(y), y) 4
5 2) Se F C 1 (A), P 0 = (x 0, y 0 ) E 0 (F ) e F (x 0, y 0 ) 0, allora, in un opportuno intorno di P 0, E 0 (F ) è il grafico di una funzione. 3) Se F (x 0, y 0 ) 0, per ogni P 0 E 0 (F ), allora E 0 (F ) è localmente grafico. Si rivedano gli esempi 1.3, 1.7, 1.8, alla luce del teorema di Dini. Corollario 1.11 (Regolarità delle funzioni implicite). Se, nelle ipotesi del teorema di Dini, F C n (A), con n 1, allora f C n (U); se F C (A), allora f C (U). Dimostrazione. La dimostrazione procede per induzione. Per n = 1 la tesi è vera, per il teorema di Dini. Supponiamo che sia vera per n e proviamolo per n + 1. Se F C n+1 (A), ovviamente F C n (A) e, per l ipotesi induttiva, f C n (U). Da (1.4) si ha che f C n (U), da cui f C n+1 (U). Possiamo in particolare usare la (1.4) per esprimere la derivata seconda di f, nel caso in cui F C 2 (A), ottenendo f (x) = F y 2 F xx 2F x F y F xy + Fx 2 F yy Fy 3 (x,f(x)), per ogni x U. (1.6) In alternativa, si può usare il metodo di derivazione implicita, che consiste nel partire dall identità F (x, f(x)) = 0, per ogni x U, (1.7) e nell osservare che anche le derivate successive di (1.7), quando esistono, sono identicamente nulle in U. Ad esempio, derivando una volta, ed omettendo per brevità l argomento (x, f(x)) delle derivate di F, si ha F x + F y f (x) = 0, per ogni x U. (1.8) Con riferimento all esempio 1.8, si calcolino le derivate prime e seconde della funzione y = f(x) definita implicitamente dall equazione xe y + ye x = 0 in un intorno dell origine. Si ottiene f(x) = x + 2x 2 + o(x 2 ). Si noti che, essendo f di classe infinito, si può scrivere la formula di Taylor di qualunque ordine di f con punto iniziale 0. Da (1.8) si vede che il gradiente di F è ortogonale al vettore tangente al grafico di f in ogni suo punto (x, f(x)). Si dice anche che il gradiente di F è ortogonale alla curva gr(f) = E 0 (F ) (U V ). Si noti che, dato che il gradiente individua la direzione di massima crescita di F, è naturale che esso sia ortogonale alla curva su cui F è costante (F = 0). 5
6 Considerazioni del tutto analoghe valgono ovviamente nel caso in cui si esplicita la variabile x (derivate successive, derivazione implicita, ortogonalità del gradiente di F alla curva x = h(y)). Ad esempio, se F C 2 (A) e F x (x 0, y 0 ) 0, si ha h (y) = F y 2 F xx 2F x F y F xy + Fx 2 F yy Fx 3 (h(y),y), per ogni y V. (1.9) Definizione Un punto P 0 E 0 (F ) si dice punto regolare di E 0 se F (P 0 ) 0. Un punto P 0 E 0 (F ) si dice punto singolare di E 0 se non è regolare cioè se F (P 0 ) = 0. Se tutti i punti di E 0 (F ) sono regolari allora E 0 (F ) è localmente grafico di una funzione, quindi è una curva piana, eventualmente sconnessa. Inoltre E 0 (F ) è un insieme chiuso essendo F continua. In un punto singolare P 0 possono verificarsi varie situazioni: P 0 può essere un punto isolato di E 0 (v. esempio 1.6); P 0 può essere l intersezione di due o più rami di E 0 (v. esempio 1.7); ma può anche esistere un intorno di P 0 in cui E 0 è grafico di una funzione! (ad esempio F (x, y) = (y x 2 ) 2, P 0 = (0, 0)) Il teorema di Dini si estende, con dimostrazione analoga, al caso in cui F sia una funzione di 3 o più variabili. L enunciato in dimensione 3 è il seguente. Teorema 1.13 (Teorema del Dini (caso 3D)). Sia F : A R 3 R, con A aperto e F C 1 (A). Sia P 0 (x 0, y 0, z 0 ) A tale che F (x 0, y 0, z 0 ) = 0 (ovvero P 0 E 0 ) e F z (x 0, y 0, z 0 ) 0. Allora esistono un intorno U di (x 0, y 0 ) ed un intorno V di z 0 tali che per ogni (x, y) U esiste un unico z V tale che F (x, y, z) = 0. Indicato con f(x, y) tale z, resta definita una funzione f : U V, tale che f C 1 (U) e f x (x, y) = F x(x, y, f(x, y)) F z (x, y, f(x, y)), f y(x, y) = F y(x, y, f(x, y)), (x, y) U. F z (x, y, f(x, y)) (1.10) Osservazioni. 1) Il significato geometrico del teorema è che E 0 (U V ) è il grafico di una funzione z = f(x, y) di classe C 1, ovvero una superficie. Il piano tangente π a tale superficie in un suo punto P (x, y, z = f(x, y)) ha equazione π... z = f(x, y) + f x (x, y)(x x) + f y (x, y)(y y), ovvero, tenendo conto di (1.10), π... F x (P )(x x) + F y (P )(y y) + F z (P )(z z) = 0, 6
7 da cui F (P ) (P P ) = 0, P π. Quindi F (P ) è ortogonale al piano tangente π. Si dice perciò che il gradiente di F è ortogonale alla superficie gr(f). 2) Valgono le versioni analoghe del teorema nel caso in cui l ipotesi F z (P 0 ) 0 sia sostituita da F x (P 0 ) 0 o da F y (P 0 ) 0. Si dà, similmente al caso bidimensionale, la definizione di punti regolari e singolari di E 0. 3) Si è fin qui considerato l insieme degli zeri di F, ma in generale interessa descrivere gli insiemi di livello E c = E c (F ) = {F = c} = {F c = 0} = E 0 (F c). Applicando il teorema di Dini a F c, al variare di c R, si ottengono informazioni sugli insiemi di livello di F (detti curve di livello nel caso bidimensionale e superfici di livello nel caso tridimensionale, si pensi alle isobare o alle isoterme). Da quanto sopra si ha che in ogni punto regolare di un insieme di livello di F, il gradiente di F è ortogonale all insieme di livello. Facciamo ora un ulteriore passo, considerando un sistema di due equazioni in tre variabili { F (x, y, z) = 0, (1.11) G(x, y, z) = 0, le cui equazioni F = 0 e G = 0 rappresentano dei vincoli imposti alle variabili spaziali x, y, z e le cui soluzioni costituiscono l insieme E 0 = E 0 (F ) E 0 (G). Possiamo immaginare di esplicitare una variabile dalla prima equazione, ad esempio la z in funzione di x e y, sostituire nella seconda equazione, ottenendo una equazione nelle variabili x e y e da essa ricavare ad esempio y in funzione di x; in tal modo, sostituendo ancora, anche z sarà espressa in funzione della sola variabile x. Ci si aspetta quindi in generale che il sistema (1.11) rappresenti una curva nello spazio, ad esempio di equazioni z = z(x), y = y(x), x I. Adottando un altro punto di vista, se F e G sono di classe C 1 su un aperto A e se P 0 (x 0, y 0, z 0 ) E 0 è punto regolare sia per E 0 (F ) che per E 0 (G), allora in un intorno di P 0 l insieme E 0 è intersezione di due superfici di tipo grafico, quindi ci aspettiamo che sia una curva. Come esempio, consideriamo due punti P 1 (x 1, y 1, z 1 ) e P 2 (x 2, y 2, z 2 ) aventi distanza d, d > 0. Il sistema { F (x, y, z) = (x x1 ) 2 + (y y 1 ) 2 + (z z 1 ) 2 r 2 = 0, G(x, y, z) = (x x 2 ) 2 + (y y 2 ) 2 + (z z 2 ) 2 r 2 (1.12) = 0, dove r > 0, d 2r, rappresenta l intersezione di due sfere i cui punti sono tutti punti regolari, come si verifica facilmente. Se d = 2r, le due sfere 7
8 sono tangenti nel punto medio P 0 del segmento [P 1, P 2 ]. Pur essendo P 0 punto regolare sia per E 0 (F ) che per E 0 (G), l insieme E 0 = E 0 (F ) E 0 (G) è costituito dal solo punto P 0. Se invece d < 2r, allora il sistema rappresenta una circonferenza. Se si osservano i vettori F (P 0 ) e G(P 0 ) in un punto P 0 E 0, si nota che nel primo caso essi sono paralleli, mentre nel secondo caso non lo sono. Ed in effetti si può verificare, utilizzando il teorema del Dini in due e in tre variabili, che una opportuna versione del teorema del Dini si applica a sistemi della forma (1.11) in un punto P 0 E 0 se sono verificate le ipotesi seguenti: F C 1 (A), G C 1 (A), F (P 0 ) e G(P 0 ) sono linearmente indipendenti. Si osservi che l ultima condizione implica che F (P 0 ) 0 e G(P 0 ) 0 ed è equivalente a chiedere che sia massimo, cioè uguale a 2, il rango della matrice Jacobiana ( Fx (P 0 ) F y (P 0 ) F z (P 0 ) ) G x (P 0 ) G y (P 0 ) G z (P 0 ) Sotto queste ipotesi, in un intorno opportuno di P 0, E 0 è una curva, grafico di una funzione di una variabile spaziale a valori in R 2, ad esempio f(x) = (y(x), z(x)), x I. Per enunciare il caso generale del teorema di Dini, che comprende anche il caso di sistemi di due equazioni in tre incognite sopra menzionato, introduciamo alcune notazioni. Consideriamo un sistema di n equazioni nelle m + n variabili x 1,..., x m, y 1,..., y n F 1 (x 1,..., x m, y 1,..., y n ) = 0, F n (x 1,..., x m, y 1,..., y n ) = 0. (1.13) Denotiamo x = (x 1,..., x m ) R m x, y = (y 1,..., y n ) R n y, e F = (F 1,..., F n ), F : R m x R n y R n. Con queste notazioni, il sistema si scrive in forma compatta come F (x, y) = 0. La matrice Jacobiana di F F 1 F x 1 1 F 1 F x m y 1 1 y n JF = F n F x 1 n F n F x m y 1 n y n 8 (1.14)
9 si riscrive nella forma JF = ( F x F y ) (1.15) Teorema 1.14 (Teorema del Dini (caso generale)). Sia F : A R m x R n y R n, con A aperto e F C 1 (A). Sia P 0 (x 0, y 0 ) A tale che F (x 0, y 0 ) = 0 e det( F (x y 0, y 0 )) 0. Allora esistono un intorno U di x 0 in R m ed un intorno V di y 0 in R n tali che per ogni x U esiste un unico y V tale che F (x, y) = 0. Indicato con f(x) tale y, resta definita una funzione f : U R m V R n, tale che f C 1 (U) e ( ) 1 F F Jf(x) = (x, f(x)) (x, f(x)), per ogni x U. (1.16) y x Talora indicheremo anche f(x) = y(x) e Jf(x) = f. x Osservazioni. 1) f(x 0 ) = y 0. 2) Poichè f è funzione di m variabili, il suo grafico che, in U V, coincide con E 0, è detto m-superficie; m rappresenta la dimensione dell oggetto geometrico ed è uguale alla differenza tra il numero delle variabili (gradi di libertà) e il numero di equazioni (vincoli). 3) Per semplificare la notazione si suppone nell enunciato del teorema che le ultime n colonne della matrice Jacobiana siano linearmente indipendenti, in modo da esplicitare le ultime n variabili. Ma naturalmente la tesi sussiste ancora nel caso in cui la matrice Jacobiana abbia n colonne linearmente indipendenti; basta infatti cambiare l ordine delle variabili per ricondursi al caso sopra enunciato. Quindi la condizione generale sotto la quale vale il teorema è che la matrice Jacobiana abbia rango massimo (uguale a n) in P Il teorema della funzione inversa. x = y Definizione Siano A e B aperti di R n. Una funzione f : A B si dice diffeomorfismo (diffeomorfismo C k, diffeomorfismo C ) se 1) f C 1 (A)(C k (A), C (A)) 2) f è biettiva 3) f 1 : B A C 1 (B)(C k (B), C (B)) Definizione Siano A un aperto di R n, f : A R n e x 0 A. Si dice che f è un diffeomorfismo locale in x 0 se esistono un intorno U di x 0 ed un intorno V di f(x 0 ) tali che f U : U V sia un diffeomorfismo. Si dice che f è localmente invertibile se è un diffeomorfismo locale in ogni x A. 9
10 Osservazione. Se f : A B è un diffeomorfismo tra gli aperti A e B di R n, allora si verifica facilmente che per ogni x A la matrice Jacobiana Jf(x) è invertibile e Jf 1 (f(x)) = (Jf(x)) 1, per ogni x A. Infatti si ha che f 1 f = Id A, da cui f f 1 = Id B, J(f 1 f)(x) = J(f 1 (f(x)) Jf(x) = J(Id A )(x) = I n, J(f f 1 )(f(x)) = Jf(f 1 (f(x))) J(f 1 (f(x)) = J(Id B )(f(x)) = I n. Quindi Jf(x) è invertibile e Jf 1 (f(x)) = (Jf(x)) 1. In realtà la condizione che Jf(x) sia invertibile è condizione non solo necessaria ma anche sufficiente per l invertibilità locale, come enunciato nel seguente teorema, che non dimostriamo. Teorema 1.17 (Teorema della funzione inversa). Sia A un aperto di R n e sia f C 1 (A, R n ). Sia x 0 A. Se det (Jf(x 0 )) 0, allora f è un diffeomorfismo locale in x 0, cioè esistono un intorno U di x 0 e un intorno V di f(x 0 ) tali che f U : U V è un diffeomorfismo e (Jf 1 )(y) = (Jf(f 1 (y)) 1, y V. Osservazioni. 1) Gli enunciati del teorema delle funzioni implicite e del teorema della funzione inversa sono equivalenti, nel senso che a partire da uno di essi si può dimostrare l altro. 2) Ci si può chiedere come mai si sia data la definizione di diffeomorfismo solo tra aperti di spazi euclidei aventi la stessa dimensione. Si può agevolmente verificare, seguendo le linee della verifica svolta all interno della precedente osservazione, che, supponendo che f sia un diffeomorfismo tra un aperto di R k e un aperto di R m, si ha necessariamente k = m. A titolo di curiosità, vale un risultato molto più generale: se f è un omeomorfismo (mappa continua con inversa continua) tra un aperto di R k e un aperto di R m, necessariamente k = m, ma la dimostrazione di tale risultato è estremamente complessa e profonda! 3) E possibile fornire controesempi che testimoniano che l ipotesi f C 1 (A) non può essere rilassata a f differenziabile in A. 10
11 1.4 Estremi vincolati. Considereremo ora situazioni in cui si ricercano gli estremi (massimo/minimo) di una funzione le cui variabili non sono indipendenti l una dall altra, ma devono soddisfare una o più equazioni o disequazioni, dette di vincolo. Ad esempio, massimizzare f(x, y, z), soggetta a F (x, y, z) = 0, minimizzare f(x, y, z, w), soggetta a F (x, y, z, w) = 0, G(x, y, z, w) = 0, massimizzare f(x, y, z), soggetta a F (x, y, z) 0. Considereremo prima il caso in cui i vincoli siano costituiti da equazioni. In questo ambito una strategia naturale è quella di esplicitare un numero di variabili pari al numero di equazioni e ridurre il problema di estremo a un problema di estremo senza vincoli in un numero minore di variabili. Spesso però ciò o non è possibile o non è conveniente ed allora si ricorre al metodo dei moltiplicatori di Lagrange, che si basa sul teorema delle funzioni implicite. Sia A un aperto di R m, con m 2. Siano f : A R m R e F : A R m R n, con n < m. Dunque F = (F 1,..., F n ). Sia E 0 (F ) = {x A : F (x) = 0} = n i=1e 0 (F i ). L insieme E 0 (F ) è detto vincolo. Il termine vincolo è utilizzato anche per indicare l equazione F = 0 o la funzione F. Definizione Un punto x 0 A si dice punto di massimo vincolato (o condizionato) per f con vincolo F = 0 se F (x 0 ) = 0 ( x 0 E 0 (F )), f(x) f(x 0 ), x E 0 (F ). (1.17) Un punto x 0 A si dice punto di massimo vincolato (o condizionato) relativo (o locale) per f con vincolo F = 0 se F (x 0 ) = 0 ( x 0 E 0 (F )), un intorno U di x 0 : f(x) f(x 0 ), x E 0 (F ) U. (1.18) Il valore f(x 0 ) è detto massimo vincolato. Analoghe definizioni si danno per i punti di minimo vincolati. Un punto di estremo vincolato è un punto di massimo o minimo vincolato (assoluto o relativo). Per distinguere questo concetto di estremo da quello di estremo usuale, i punti di estremo in assenza di vincoli vengono detti punti di estremo liberi. 11
12 Teorema 1.19 (Teorema dei moltiplicatori di Lagrange). Sia f : A R m R, differenziabile su A, con A aperto e m 2. Sia F : A R m R n, con n < m, F C 1 (A). Sia x 0 A un punto di estremo relativo vincolato per f con vincolo F = 0, tale che rank(jf (x 0 )) = n. Allora esistono n numeri reali λ 1,...,λ n, detti moltiplicatori di Lagrange, tali che F (x 0 ) = 0, f(x 0 ) + n i=1 λ i F i (x 0 ) = 0, (1.19) ovvero, posto λ = (λ 1,..., λ n ), si ha che (x 0, λ) R m+n verifica il sistema di m + n equazioni in m + n incognite F 1 (x 1,..., x m ) = 0, F n (x 1,..., x m ) = 0, (f + n i=1 λ if i ) x1 (x 1,..., x m ) = 0, (f + n i=1 λ if i ) xm (x 1,..., x m ) = 0. (1.20) Osservazioni. 1) Il numero dei moltiplicatori è uguale al numero dei vincoli. La seconda delle (1.19) esprime f(x 0 ) come combinazione lineare dei vettori (linearmente indipendenti per ipotesi) F i (x 0 ). Perciò i moltiplicatori di Lagrange sono univocamente determinati. 2) La condizione di estremo vincolato relativo è meno restrittiva rispetto a quella di estremo libero relativo e, corrispondentemente, questo teorema fornisce una condizione necessaria affinchè un punto sia di estremo vincolato relativo, che è meno restrittiva rispetto alla condizione necessaria f(x 0 ) = 0 soddisfatta dagli estremi liberi. 3) Un metodo per ricordare il sistema (1.19) consiste nell introdurre la funzione ϕ(x, λ) = f(x) + n i=1 λ if i (x) e imporre ϕ = 0. 4) Il teorema fornisce una condizione necessaria, che è utile per cercare gli estremi vincolati assoluti (quando esistono). Precisamente si determinano le soluzioni del sistema (1.20) oltre agli eventuali punti di E 0 (F ) in cui non è soddisfatta la condizione di rango massimo. Dal confronto dei valori assunti da f in tali punti, si determinano gli estremi assoluti. Dimostrazione. Il teorema delle funzioni implicite garantisce che si possono esplicitare n variabili in funzione delle rimanenti m n in un intorno di x 0. Poniamo k = m n, (k è la dimensione del vincolo in un intorno di x 0 ), così che m = n + k. Supponiamo che sia, ad esempio, ( ) (F1,..., F n ) det (x k+1,..., x m ) (x 0) 0. (1.21) 12
13 Poniamo x k+i = y i, i = 1,..., n, e cambiano le notazioni come segue. Riscriviamo il generico punto x = (x 1,..., x k, x k+1,..., x m ) nella forma (x, y) = (x 1,..., x k, y 1,..., y n ). In tal modo il punto x 0 viene riscritto come (x 0, y 0 ) e la condizione (1.21) diventa ( ) F det y (x 0, y 0 ) 0, (1.22) dove si è posto Jf(x 0, y 0 ) = ( F x (x 0, y 0 ) ) F y (x 0, y 0 ). Per il teorema delle funzioni implicite, esistono un intorno W di x 0, un intorno V di y 0 ed una funzione g : W R k V R n, g C 1 (W ), tale che g(x 0 ) = y 0 e F (x, g(x)) 0 in W. Equivalentemente, (x, g(x)) E 0 (F ) per ogni x W. Essendo (x 0, g(x 0 )) punto di estremo relativo vincolato per f con vincolo E 0 (F ), allora x 0 è punto di estremo relativo libero per la funzione ϕ(x) = f(x, g(x)), definita in W. Quindi ϕ(x 0 ) = 0, ovvero 0. Dal teorema delle funzioni implicite abbiamo che g ( [ ] 1 f per ogni x W e quindi f F F x y y x ( f + f x y [ = x F y ) (x 0, y 0 ) = ] 1 F x (x,g(x)) g x ) (x 0, y 0 ) = 0. Dunque (x 0, y 0 ) risolve un sistema di k equazioni in m incognite, ma, se aggiungiamo le n equazioni contenute nella condizione F = 0, otteniamo il seguente sistema di m equazioni in m incognite ( f x f y [ F y F (x 0, y 0 ) = 0. ] ) 1 F (x x 0, y 0 ) = 0, (1.23) Questa formula ha vari svantaggi: comporta il calcolo dell inversa di una matrice e del prodotto di tre matrici; inoltre essa è stata ottenuta supponendo che, riutilizzando la notazione iniziale, il minore costituito dalle ultime n righe della matrice JF (x 0 ) avesse determinante non nullo e, nell applicazione pratica del teorema (vedi ossevazione 4)) tale minore può variare al variare del punto x 0 A, modificandosi di conseguenza la formula (1.23). Ci troveremmo quindi, in generale, a dover risolvere più di un sistema di tale tipo. Conviene allora procedere definendo λ = (λ 1,..., λ n ) = f y 13 [ ] 1 F (x0,y0), (1.24) y
14 da cui ( ) f y + λ F (x 0, y 0 ) = 0. (1.25) y Inoltre la prima equazione di (1.23) si riscrive come ( ) f x + λ F (x 0, y 0 ) = 0. (1.26) x Passando dalla notazione matriciale compatta a quella per componenti e ritornando alle notazioni iniziali per le variabili, si ottiene la tesi. 1.5 Estremi assoluti. Sia B un sottinsieme compatto (chiuso e limitato) di R n e sia f : B R n R una funzione continua. Il teorema di Weierstrass garantisce che f assume massimo e minimo (assoluti) su B. Per determinarli si cercano i candidati punti di estremo: 1) tra i punti interni a B: 1a) punti critici, 1b) punti in cui f non è differenziabile; 2) tra i punti di B appartenenti alla frontiera di B: 2a) punti di estremo vincolato (con il metodo dei moltiplicatori di Lagrange o utilizzando parametrizzazioni del vincolo), 2b) punti di intersezione di vincoli (spigoli) Se B non è compatto, ovvero non è chiuso o è illimitato (eventualmente entrambe le cose) non si può garantire l esistenza degli estremi, dato che non vale il teorema di Weierstrass. Sono comunque definiti l estremo inferiore inf B f e l estremo superiore sup B f, finiti o infiniti. Soffermiamoci sull estremo inferiore, considerazioni analoghe varranno per l estremo superiore. Se esiste P 0 B : f(p 0 ) = inf B f allora f assume il minimo, altrimenti no. Per determinare inf B f e vedere se esiste il minimo, si ricercano i candidati punti di minimo come indicato sopra per il caso B compatto ed inoltre si studia il comportamento di f in prossimità degli eventuali punti di frontiera di B che non appartengono a B (se B non è chiuso) e all infinito, cioè per P. Se ad esempio si riesce a dimostrare che lim P f(p ) = + oppure che tale limite è maggiore del valore di f in un particolare punto di B, allora l inf non è assunto all infinito. Per chiarire questa affermazione, si consideri una successione minimizzante, cioè {P n } B, tale che lim n f(p n ) = inf B f, che esiste sicuramente per definizione di estremo inferiore. Dal comportamento di f all infinito descritto sopra, si ha che P n è 14
15 limitata, quindi, per il teorema di Bolzano-Weierstrass, ha una sottosuccessione convergente a un punto P B. Se P B allora il minimo è assunto e si determina, come descritto sopra, valutando f nei punti elencati nello schema introdotto per il caso B compatto; altrimenti si deve studiare il comportamento di f intorno ai punti di frontiera di B che non appartengono a B. Un trucco che si rivela utile talvolta consiste nell estendere la funzione f ad una funzione continua su B, quando ciò sia possibile, eliminando in tal modo le difficoltà legate alla non chiusura di B. Comunque non esiste un unico modo di procedere, si deve valutare il da farsi volta per volta. 15
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