Immobile di Antonella Mattei (keiko) Published by ZeugmaPad at Smashwords Copyright 2015 ZeugmaPad. Smashwords Edition, License Notes

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1 Immobile di Antonella Mattei (keiko) Published by ZeugmaPad at Smashwords Copyright 2015 ZeugmaPad Smashwords Edition, License Notes Thank you for downloading this free ebook. You are welcome to share it with your friends. This book may be reproduced, copied and distributed for non-commercial purposes, provided the book remains in its complete original form. If you enjoyed this book, please return to Smashwords.com to discover other works by this author. Thank you for your support.

2 Questo racconto è opera della fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il prodotto dell inventiva dell autore o, se reali, sono utilizzati in modo fittizio. Ogni riferimento a fatti o persone viventi è del tutto casuale. I matrimoni senza amore sono orribili. Ma vi è qualcosa di peggiore di un matrimonio assolutamente senza amore. È il matrimonio in cui vi sono amore, fedeltà, devozione, ma solo da una parte: uno dei due cuori si spezzerà sicuramente. Oscar Wilde Non mi va, non mi va di riempire e comporre di nuovo queste borse come un rituale ancestrale, un puzzle con scadenze annuali, valigie che ancora conservano granelli di sabbia antica nelle pieghe e il sentore di mare e salsedine. Non mi va di recitare ancora per un estate il ruolo di tua moglie, compagna di un percorso che ormai diverge. Tu, a questo punto, sei così lontano che misurare in anni luce la nostra distanza sarebbe riduttivo. Dove sei andato? Dove si materializza l amore perduto? Ti ho cercato ovunque, in tutti i modi, ma sei diventato ormai impercettibile, evanescente, come un ombra, il movimento leggero di una tenda sospinta dal lieve zefiro fresco. A volte percepisco il profumo del tuo dopobarba. Ti parlo, mi guardi, ma non ci sei. Sei altrove. In un luogo tra il nulla e il niente in cui non potrò mai raggiungerti, perché hai interrotto ogni collegamento. Piego con cura e sistemo in valigia la tua polo azzurra, quella che tanto ti piace e con i jeans sta benissimo; esalta l abbronzatura. Staremo distesi sotto lo stesso sole, lo stesso cielo, la stessa sabbia, ma non saremo insieme, solo affiancati, come due persone qualunque in una striscia di terra troppo frequentata. Non è nato all improvviso questo distacco: è stato lento, graduale, sottile ma doloroso, come un coltello che gira e rigira dentro le viscere. Ho fatto di tutto per riportarti da me e sono inesorabilmente scivolata nell abisso della depressione. Ho preso un periodo di pausa solo per me: dovevo pensare, dovevo capire. Possibile trovare un punto d incontro tra la Fossa delle Marianne e l Everest? Esiste un modo, una possibilità per tornare ad averti come una persona e non un ectoplasma? Quell estate, ricordo benissimo, sono partita da sola per il Trentino, non è stato facile decidere di lasciarti, ma le cose facili a me non piacciono: preferisco andare sempre controvento. Mi torna alla mente sempre. Come fosse ieri. Come fosse oggi. Socchiudo gli occhi, mi vedo, riesco persino a sentire i profumi Era estate, la seggiovia saliva lentamente in quota, oltrepassava le cime degli abeti che oscillavano languide, mentre il vento sibilava leggero nelle orecchie. Me ne stavo seduta su un sasso che emergeva a stento dalla neve, in cima a un ghiacciaio; intorno a me solo vette ancora più alte e, sopra, ancora solo cielo. Inalavo profondamente dal naso e cristalli di ghiaccio mi salivano alle narici portando sentori di terra, neve e resina; abbassai lo sguardo e un movimento rapido catturò la mia attenzione, furtivi ammassi di pelo bruno entravano e uscivano veloci da tane sotterranee. Presi il binocolo e scoprii, meravigliata e incredula, che erano timide marmotte, sorridevo deliziata dalla scena. Un suono stridulo attirò lo sguardo verso

3 l alto, una vela d ali nere girava in tondo sopra le marmotte. Mi stesi leggera sulla neve sprofondando, guardavo il cielo; le nuvole bianche, spumose come panna montata, e l aquila che volteggiava abbassandosi sempre più. Forse ero ancora viva, forse quel dolore che scavava nel cuore e nelle ossa avrebbe cessato di crescere d intensità, forse c era ancora spazio per me in questo mondo. E forse ancora spazio per noi. Ma era tanto tempo fa. Inizio spesso i miei vagabondaggi mentali con: C era una volta Una volta c eravamo noi, pazzi uno dell altro, febbrili se non potevamo unirci in un tempo infinitesimale, i nostri pensieri viaggiavano all unisono, i nostri corpi si fondevano voraci in uno solo e i nostri cuori i nostri cuori avevano lo stesso battito. Dove sono andati quei due ragazzi? Dove è finita tutta quella passione? Possibile che sia rimasta solo cenere dentro un vecchio piatto? Nostro figlio ci osserva, giudica, pensa che io sia afflitta dalla sindrome di Penelope; ma tu non sei Ulisse, non manchi da casa da oltre dieci anni, non stai solcando mari tempestosi e terre insidiose. Sei qui con me, ma dove? Anche lui pensa tu sia così: immobile. I ricordi tornano come quei ritornelli che ti entrano nella testa e non se ne vanno più per giorni. Tra un costume sbiadito, le infradito fluò e i miei caftani da hippy, non posso non pensarci. Mi siedo sul bordo del letto, il fresco delle lenzuola appena lavate lenisce il calore sulle gambe, magre e nervose come allora. E sono di nuovo lì, come trasportata da una finestra spazio-temporale. Quante notti, quante lune, quanto cielo. Mi ricordo. E tu, ricordi? È l alba di un giorno qualunque, l insonnia, con cui combatto da tutta la vita, mi fa compagnia; l ho accettata come si accetta una compagna silenziosa e saggia. Esco sul balcone, è buio pesto, non sono ancora le cinque. L aria gelida di gennaio rende tutto ovattato, le finestre intorno sono ben serrate, nessuna luce trapela. Bene, è quello che volevo. Il buio quasi totale rende ancora più splendente Venere Lucifera, la stella del mattino che a quest ora sviluppa la sua massima luminosità e ne prende il nome: portatrice di luce. Sembra così vicina da poterla toccare con la mano e ghiacciarti le dita con la sua luce gelida; mi capita spesso di alzarmi a un ora assurda solo per poterla guardare, splendente e intoccabile. Non puoi avvicinarla ma non riesci a toglierle gli occhi di dosso. Ti fissa altezzosa e maliarda, ti toglie il respiro con la potenza che emana, e quando ti sei perduta nel suo splendore, ai primi chiarori dell alba, si allontana inesorabile. Perde la sua luce prepotente e sparisce in alto nel cielo, mentre il nostro pianeta impietoso le volta le spalle. Questa notte sono più insonne di altre, esco sul balcone quando il buio si taglia ancora col coltello; l aria è talmente gelida che il torace fa fatica a immetterla nei polmoni. Mi chiudo più stretto il giubbotto di pile sul pigiama, rientro in casa per prendere una sciarpa e me la avvolgo sulle spalle. Passo davanti alla stanza di mio figlio, il suo respiro è profondo, lo zaino buttato per terra è già pronto per il giorno che arriverà. I jeans spiegazzati riposano sopra la spalliera di una sedia, le scarpe da ginnastica gettate agli angoli della stanza, le foto di costellazioni attaccate al muro, alternate a bellezze da calendario. I grossi tomi di astronomia posati sulla scrivania denotano tutto il potenziale di cui è dotato. Chiudo la porta per non disturbarlo, anche se mi succede spesso di avvertire la sua presenza silenziosa alle mie spalle, sul terrazzo all alba. Allora ascolto estasiata le mille spiegazioni che m impartisce sulle stelle, gli asteroidi, i pianeti e tutto l universo visibile. Rimango incantata, capisco la metà delle cose che dice, ma rimirare le stelle insieme a lui è una

4 delle poche ragioni della mia vita. Esco di nuovo sul balcone, fumetti di vapore mi escono dalla bocca, metto le mani sotto le ascelle per scaldarle un po e alzo il viso al cielo. Eccola lì. Altera. Indifferente ai miseri tormenti umani. Intoccabile. Vorrei essere io quell astro e guardare le miserie umane con lo stesso distacco per poi allontanarmi con noncuranza. Stasera la Luna invidiosa scosta le nubi per farsi ammirare e la notte si rischiara di una luce pallida ed evanescente. Lo scintillio di Venere perde un poco di splendore, solo il tempo di abituare gli occhi al bagliore della Luna. Nascosta tra i rami degli alberi una civetta avvisa della sua presenza; tutti odiano le civette, io invece le adoro. Sono creature discrete, silenziose, molte notti ho passato in compagnia di una pennuta presenza. Non portano sfortuna come molti sostengono, come si fa a credere a queste idiozie. Rimiro per un ultima volta quello spettacolo celestiale e rientro in casa, nel nostro letto. Sono ghiacciata, tu nel dormiveglia te ne accorgi e mi abbracci, socchiudo gli occhi respirando quel calore che mi scalda più il cuore che il corpo. Torno in me, nella mia pelle, non c è più la Luna, non è inverno, non ci sei tu. Finisco di riempire queste stupide borse piene di abiti che non userò mai: al mare sono una specie di selvaggia, i capelli spettinati, le lunghe tuniche di lino a coprire la pelle diafana in luoghi poco frequentati e selvaggi come me. Metto insieme pinne, maschere e boccagli e chiudo definitivamente una borsa. La morsa allo stomaco mi fa piegare in due dal dolore, mio figlio si ferma sullo stipite della porta, mi guarda silenzioso e chiude la sua borsa piena di libri e con pochissimi abiti. Come me. Essenziale. Eppure so con certezza che non c è nessun'altra donna, è solo che quella scintilla si è esaurita, si è spenta. Non so cosa darei per poterla riaccendere, ma suppongo che non esistano formule magiche, solo la volontà. Io le ho provate tutte, ma mi sembra di parlare con il vento. Sembra che tu non soffra, mi dici che è normale, la normale evoluzione di un rapporto di coppia, ma io non voglio questa involuzione, voglio essere felice. E lo voglio insieme a te. Non dobbiamo esistere per forza d inerzia. Rivoglio quello che la vita mi ha tolto. Oppure oppure non voglio più niente. Sono già alcuni giorni che ci troviamo in questo pezzo di terra e mare che tanto amiamo, pineta e sabbia e cielo e acqua a perdita d occhio. Ho una forte inquietudine che mi divora, anche se mangio, rido e scherzo, quella lama mi trapassa sempre più l anima. O forse l anima ce l ho sulla pelle, perché ti vedo lontano, ci sei, ma non hai intenzione di far collaborare anche il tuo cervello. Stanotte l ho passata sulla terrazza a guardare il cielo, ma Venere non c era, si fa vedere solo d inverno e solo in una determinata direzione. Qui non mi so orientare. Il richiamo del mare mi ha distratto: ruggiva e mormorava, poi cantava, a volte taceva. Che sia io l Ulisse perduto? A giorno fatto ero così scossa che non capivo nemmeno mi stessi chiedendo quale maschera indossare. Forse hai pensato che avessi preso troppa valeriana. In realtà non avevo fatto altro che riflettere. Sono stesa sotto il sole implacabile di luglio; la spiaggia è quella che amo: poco frequentata, difficile da raggiungere. Lasciata la macchina ci si deve inoltrare in una fitta macchia mediterranea per circa un chilometro seguendo un sentiero, passando sotto i possenti pini marittimi piegati dal vento sembra di entrare in un altra dimensione, uno spazio incantato. Il frinire incessante delle cicale fa da sottofondo a rumori improvvisi, fruscii incorporei dietro imponenti cespugli di rosmarino, fronde smosse da presenze

5 invisibili, lunghissimi aculei d istrici lasciati sul terreno rivelano la presenza di una vita notturna laboriosa e forse impetuosa. Lungo il sentiero s incontrano persone che fanno jogging, vanno in bici o riposano tranquille e i nitriti dei cavalli uniti alle loro orme sul cammino raccontano di passeggiate d uomini e animali. Alla fine del sentiero succede qualcosa di magico. La terra battuta s interrompe d improvviso e lascia il posto a un piccolo dirupo, sotto il quale inizia la spiaggia vera e propria. Gli occhi abbandonano il verde e la terra, l odore di resina e animali selvatici e si lasciano catturare dalla veduta di mare e cielo in un tutt uno a perdita d occhio. In lontananza, quasi al limite dell orizzonte, un insieme di piccole isole crea un gioco di correnti che dona al mare un incredibile varietà di blu. Gabbiani volano rasentando l acqua o se ne stanno semplicemente a galla lasciandosi trasportare, turbini bianchi e neri sorvolano stridendo la sabbia, decine e decine di piccole rondini in cerca di cibo. Non un bar o una cabina, nessun tipo d insediamento umano. È un posto per pochi eletti, per chi decide di godere unicamente del cielo, del vento e del mare. Io ho bisogno di tutto questo come l ossigeno, non potrei stare in nessun altro posto; il pensiero di avere accanto un ombrellone con gente che parla, fuma, usa il cellulare come si trovasse nel salotto di casa, mi rende insofferente. Chi frequenta questa spiaggia cerca le stesse cose sicuro di trovarle. Niente costumi alla moda, odore dolciastro e nauseante di lozioni solari, niente chiacchiere da bar. Oggi, a parecchi metri di distanza, un gruppo di ragazzi stranieri ride sommessamente e prepara le pinne, una giovane famiglia cerca di far addormentare una bimba dai capelli color del sole e un ragazzo gioca in riva al mare col suo cane. Osservo mio figlio disteso poco lontano. I capelli nerissimi e mossi sono spettinati dalla brezza marina tanto non si pettina mai, come me le gambe lunghissime, magre e nervose, le mani adagiate lungo i fianchi uguali alle mie, così sottili che sembrano doversi spezzare. Il corpo, plasmato da anni di attività agonistica è asciutto e muscoloso, la carnagione, già scura, è adesso color cioccolato. La bocca carnosa e sensuale, ereditata dal padre, si muove silenziosa ripetendo il canto che gli arriva nelle orecchie dalle cuffiette dell ipod. Passano delle ragazze, dietro i miei occhiali scurissimi osservo il loro sguardo malizioso e le loro risatine, si soffermano un po, ridono a voce più alta e si allontanano ancheggiando palesemente. Sorrido. Giro la testa per guardare più indietro e incontro il tuo sguardo che mi sorride prima di ricominciare le parole crociate. Accendo il mio ipod e mi metto più comoda, con la schiena rialzata per guardarmi intorno. Una coppia attira la mia attenzione, non sembrano appartenere al target del posto. La donna cammina traballando issata su zatteroni da discoteca, l improbabile copricostume di seta cangiante e maculata stride come le unghie sul vetro; gli strass, che circondano i suoi occhiali da sole, li fanno sembrare dei catarifrangenti. L abbronzatura color cuoio conciato, regalo di estenuanti sedute di solarium, le evidenzia le rughe, ma deve essere intorno ai cinquanta, le unghie finte lunghe oltre quattro centimetri rendono la sua gestualità quasi aliena. Allunga la mano in cerca di sostegno dal suo compagno, che imbraccia ad armacollo un ombrellone in contrasto con la polo dal coccodrillo ben in vista. Ai piedi scarpe da vela, che lasciano intendere una personalità del tipo vorrei ma non posso. La stabilità della donna è resa più precaria dalla borsa trasparente, delle dimensioni di un trolley, portata come una Kelly di Hermes. Immagino custodisca i suoi prodotti di bellezza e un innumerevole e imprecisato agglomerato di oggetti: riviste di gossip, tre o quattro cellulari, salviette disinfettanti e flaconi di spray contro ogni specie di insetto volante o strisciante. Usciti indenni da un'ardua discesa sulla sabbia degna della fatica di Ardito Desio riescono ad approdare in un posto che sembra soddisfarli, ma si guardano intorno smarriti. Dopo aver aperto l ombrellone e disteso gli asciugamani con la griffe bene in vista, si tolgono gli abiti abbagliando i vicini: i gioielli che indossano possono far concorrenza al tesoro della Casa Reale Inglese. La collana di lui, spessa come il collare di un rottweiler, gli fa pendere sul petto, tristemente depilato,

6 una croce di Cristo e il simbolo della sua squadra del cuore; braccialetti di varia foggia accompagnano un orologio, magnum ma non subacqueo, nonché un anello da mignolo a forma di leone con gli occhi di rubino. La sua compagna non può essere da meno, orecchini a cerchio dove un pappagallo potrebbe comodamente riposare. Comincia un rito che varrebbe la pena di contemplare, anche pagando. Lui, come un sultano, si distende sul prezioso asciugamano, mentre lei inizia a cospargerlo di una crema diversa per ogni zona del corpo. Presto i loro teli si riempiono di ogni genere di boccetta, flacone e barattolo. La gestualità è fortemente esasperata, i risolini maliziosi e i massaggi unti denotano il loro bisogno di farsi guardare. Come se non bastasse, lei si muove a favore di altri occhi, facendo sfoggio di uno spettacolare bikini maculato modello dietro liceo davanti museo abbinato a una fascia impreziosita di paillettes per raccogliere la chioma ossigenata e cotonata. Poi il rito si ripete al contrario. Lei viene massaggiata e amalgamata come la pasta sfoglia, emettendo una serie di mugolii che sarebbero ridicoli se non fossero patetici. D improvviso il gioco godurioso viene interrotto da una suoneria che assomiglia a un orchestrina messicana, i due si guardano in una muta domanda: chi prende il cellulare? Al momento sfuggirebbe dalle loro mani anche un cactus. La suoneria aumenta di volume come il suo ritmo, l immane borsa nasconde il telefonino tra gli altri suoi simili, i due si agitano sgusciando come anguille tra giornali, flaconi, oli e misteriose borsettine. I ragazzi stranieri ormai sghignazzano senza più nascondersi. La coppia è chiaramente imbarazzata, conscia dell ilarità generata, maledice l albergatore e i suoi consigli su quella spiaggia sperduta e da pezzenti. I due ripongono a fatica tutti i loro averi nel borsone, asciugandosi le mani nei preziosi teli griffati. L ombrellone, richiuso in fretta e imbracciato, lascia una striscia diagonale di unto sulla polo. Se ne vanno mentre l orchestrina messicana continua a seguirli dentro la fitta pineta. Questo è quel che si dice sentirsi fuori posto. La spiaggia si riappropria della sua identità e si offre di nuovo ai suoi ospiti. Mio figlio si è alzato dal telo, sta giocando con il cane e il suo padrone in riva al mare, il vento mi porta le loro voci; parlano in tedesco. Sono felice che il mio ragazzo stia bene in qualsiasi posto, la cultura lo aiuta a interagire con le persone ma sono ancora più felice che amiamo lo stesso mare, lo stesso cielo, le stesse stelle. Mi sdraio, chiudo gli occhi e mi arriva nelle orecchie la voce profonda di un interprete che amo; sta cantando per una donna parole dolcissime. È una registrazione live, la musica della Duke Orchestra è potente, l intensità della voce arriva dritta al cuore; se qualcuno mi fosse stato vicino come alla protagonista della canzone forse la mia strada sarebbe stata meno aspra, meno faticosa da percorrere. Assaporo un lento dolore dentro lo stomaco, godo assurdamente di quella malinconia, sfioro il tasto repeat e la musica ricomincia. Ascolto ancora più attentamente le parole. Inizia dicendo: Questo è per te. So benissimo che è per gli spettatori paganti di un teatro, ma se fossero davvero per me? Cosa sarebbe successo se qualcuno mi avesse detto che le stelle cadono giù dal cielo ogni volta che cammino e c è sempre qualcuno vicino a me? Non lo saprò mai, non è più tempo per porsi domande, non si può mai tornare indietro. Che peso ha l assenza? Specialmente quando il soggetto è fisicamente presente davanti a te? Inizia un altra melodia, come ci godo a farmi del male. La colonna sonora del film Lezioni di piano mi riempie le orecchie e il cuore. Michael Nyman è riuscito a tradurre in musica stati d animo che conosco alla perfezione, la disperata richiesta d aiuto di una donna muta è identica alla mia sofferenza di fronte all assoluta immobilità emotiva che devo affrontare. La musica mi trascina lontano, le scene del film mi scorrono sotto le palpebre chiuse, due grosse lacrime rotolano lungo le guance,

7 lascio che scivolino via, vicino alla bocca e poi giù sotto al mento, per sparire inghiottite dalla sabbia. Il brano che mi provoca quel forte turbamento è finito; non spengo nemmeno l ipod, mi tolgo gli auricolari e li butto sulla sabbia insieme agli occhiali da sole, prendo la maschera e mi dirigo verso il mare. L acqua è fresca, quasi fredda, limpida più del solito, mi sistemo la maschera ben stretta dietro la nuca e m immergo. Il fondale è della stessa sabbia scura, la forte presenza di ferro la rende quasi nera; banchi di piccoli pesci mi scivolano intorno e furtivi granchi sgattaiolano veloci in cerca di un riparo. Riemergo per prendere aria e vedo sulla superficie, poco distante, alcuni gabbiani occupati a pescare; voglio guardarli da sotto e m immergo di nuovo cercando le sagome degli uccelli. Li osservo, distorti dal vetro della maschera; sono stupendi mentre affondano il becco e la testa per catturare le prede, inalo ancora aria e procedo a rana per diverse bracciate, forse troppe perché mi accorgo che il fondale sembra distante anni luce dalle mie gambe. Il mare, poco mosso, forma delle piccole onde rapide che, per chi non è esperto nel nuoto, creano difficoltà per riprendere aria. Riemergo, mi sono spinta più lontano di quanto potessi; ho perso anche il mio punto di riferimento. Non ho tenuto conto delle forti correnti e mi ritrovo spostata di alcune decine di metri. Stranamente non ho paura, in un altra vita il panico mi avrebbe vinta, mentre ora resto lì, in balia della corrente come i gabbiani. Sembra un mondo perfetto: il cielo turchese velato da nubi di zucchero filato, il vento leggero che porta con sé suoni e odori straordinari, l acqua che mi racchiude e mi attira promettendomi una pace che quel coltello nelle viscere mi toglie. Un idea malsana m assale, ma in fondo so che è sempre esistita dentro di me; ricordo perfettamente quante notti sono rimasta con gli occhi spalancati pensando quale fosse il male minore, ricordo le mie albe solitarie e gelide a interrogare una stella lontana e silente, unica confidente di dubbi e domande senza risposte. Sarebbe davvero tremendo finire così? Adesso, senza dolore, lasciarsi finalmente trasportare, non opporre più resistenza; mettere a tacere tutto, non porsi più dilemmi, non elemosinare attenzioni. Far finta che davvero sia una naturale evoluzione la fine di un amore. Forse ne vale la pena. Forse, alla fine, una piccola parte di me potrà stare vicino a quella stella, lassù nel cielo. Mi tolgo la maschera, la guardo galleggiare e allontanarsi mentre il mare decide la sua sorte; prendo aria e torno sotto, l acqua salata brucia forte gli occhi ma non li chiudo, devo vedere tutto finché posso. Non sono abituata a immergermi senza maschera, l acqua s insinua impertinente nel naso; non oppongo alcun tipo di resistenza, solo qualche colpo di gambe per andare sempre più giù. Butto fuori l aria dalla bocca per cercare di sollevare l oppressione del torace; il fondale sembra più vicino, ma guardando verso l alto mi rendo conto che mi sono allontanata. Mi sto lasciando andare, è come un viaggio all indietro nel tempo, il destino decide per me. Sto affogando. Tutt intorno solo acqua, conchiglie, qualche pesce e null altro. La pressione sul torace è diventata insopportabile, tanto vale aprire la bocca e finire in fretta; anche la vista comincia ad annebbiarsi, immagini evanescenti mi appaiono davanti. Improvvisamente il panico mi travolge: annaspo, cercando inutilmente un po di aria, scalcio con tutta la forza che mi rimane e spingo verso l alto producendo un piccolo vortice di bollicine e sabbia che cela una sagoma sconosciuta e ancora irreale. Spingo ancora più forte con le gambe verso quella forma, mentre gli occhi sono ormai quasi ciechi; allungo un braccio e una mano forte afferra il mio polso trascinandomi in alto, verso la superficie. Il primo respiro sembra quello di un neonato, tutta l aria del mondo è mia, poi riprendo il mio ritmo regolare e mi accorgo che, lentamente, sto guadagnando la riva abbracciata a mio figlio che tiene infilata al polso la mia maschera. Ci sediamo sulla sabbia, lui inganna la paura con un sorriso, senza farmi domande, persino sotto la selvaggia abbronzatura

8 trapela un pallore inconsueto; gli appoggio la testa sulla spalla e riposo scaldandomi al calore feroce del sole, poi mi guardo intorno e tu sei lì. Immobile. Sorseggio un caldissimo vin brulé, è un balsamo per il corpo e l anima. Il rifugio è pieno di persone gioiose in cerca di calore e spirito alcolico, sorrido mentre la cameriera mi consiglia una torta di mirtilli appena fatta, che mangio con gusto. Dei turisti austriaci mi coinvolgono in un brindisi del quale non capisco una parola ma che condivido con gioia. Mi allontano dalla folla, mi siedo a un tavolino in disparte davanti a una veduta mozzafiato e ti penso. Ormai avrai capito benissimo che, in fondo, chiedevo sempre e solo una cosa. Amore. Siamo grandi, quasi troppo ormai, sapremo e potremo entrambi perdonare i nostri errori. Ti sto aspettando, se vorrai; il biglietto per il treno è lì, sopra il comò e la camera del nostro solito albergo è prenotata per due. Sono sicura che domani arriverai e sono certa che saprai dove cercarmi. Sarò lì, sopra quel masso che sporge a stento dalla neve e guarderò il volo delle aquile, inebriandomi di vento e cielo, con la consapevolezza che, per volare così in alto, si ha sempre bisogno di vento contrario.

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