Cristallizzazione di Macromolecole Biologiche A.A

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1 di Macromolecole Biologiche A.A Marco Nardini Dipartimento di Scienze Biomolecolari e Biotecnologie Università di Milano

2 Cristalli proteici: molecola cella elementare unità asimmetrica elemento di simmetria cristallografica cristallo

3 Cristalli proteici: unità asimmetrica unità di cella volume 0.1 mm3 periodicità del reticolo cristallino > 100 Å contenuto solvente 30% - 80% v/v interazioni non covalenti; bassa stabilità meccanica (E stab. <10 kcal/mol) inferiore al ΔG FOLDING

4 Idratazione dei cristalli proteici: I cristalli proteici sono caratterizzati da un alta percentuale di solvente, presente (1) in parte sotto forma di molecole d acqua ordinate (cioè a posizione definita) interagenti all interno o sulla superficie della proteina, (2) per la maggior parte come molecole d acqua disordinate (cioè a posizione non definita) che sono localizzate in canali/cavità presenti negli spazi interproteici del cristallo. - Le molecole d acqua ordinate danno un contributo alla diffrazione e possono essere individuate con precisione nella densità elettronica calcolata. - Le molecole d acqua disordinate contribuiscono al rumore di fondo dell esperimento di diffrazione e non sono individuate nella densità elettronica calcolata (le zone del cristallo dove sono localizzate appaiono vuote ).

5 Idratazione dei cristalli proteici: Vantaggi: - Piccole molecole (ligandi, atomi pesanti, substrati, inibitori, ecc) possono diffondere nel cristallo e reagire con le proteine che li costituiscono. - Gli enzimi sono ancora attivi nello stato cristallino (posto che il sito attivo non sia bloccato da contatti cristallini. - I residui ionizzabili possono cambiare il loro stato di carica attraverso un cambio di ph del mezzo. - Nel cristallo le proteine possono subire moderate variazioni conformazionali.

6 Idratazione dei cristalli proteici: Svantaggi: - I cristalli si disintegrano se sottoposti a forte disidratazione. - Le forze reticolari che stabilizzano i contatti cristallini sono deboli. - I cristalli proteici sono soffici ed a bassa stabilità meccanica. - Mediamente i cristalli proteici non diffrangono ad alta risoluzione. Un alta percentuale di solvente correla con una riduzione del potere diffrattivo del cristallo stesso.

7 Interazioni non covalenti: Interazioni fra atomi che non sono legati da legami covalenti. Le interazioni non covalenti sono molto meno intense rispetto alle interazioni covalenti (poche kcal/mol rispetto a 83 kcal/mol per un legame C C). Questi legami deboli possono formarsi sia fra parti diverse della stessa macromolecola (intramolecolari), sia fra parti di macromolecole diverse (intermolecolari). Essi giocano un ruolo fondamentale in molti processi biologici, fra cui la fedele replicazione del DNA, il folding delle proteine, il riconoscimento specifico di substrati da parte di enzimi, il riconoscimento di molecole segnale.

8 Interazioni non covalenti: Le interazioni non covalenti si possono classificare in: - interazioni elettrostatiche - legami idrogeno - interazioni di van der Waals - effetto idrofobico Energie di legame associate alle principali interazioni non covalenti: Tipo di interazione non covalente Energia di legame (kcal/mole) Interazioni elettrostatiche Legame idrogeno Interazioni di van der Waals

9 Interazioni non covalenti: Nel considerare i vari contributi energetici che stabilizzano una proteina non si può prescindere dal fatto che la proteina è immersa in un solvente, che è costituito principalmente da acqua. Le proprietà fisiche del solvente sono estremamente importanti per la stabilità della proteina. Interazioni elettrostatiche Due gruppi elettrostaticamente carichi si attraggono o si respingono con una forza: Legge di Coulomb F = q 1 q 2 r 2 D dove q1 e q2 sono le cariche (Coulomb) dei due gruppi, r è la distanza tra q1 e q2, D è la costante dielettrica del mezzo in cui si trovano le cariche. Il solvente acquoso diminuisce l intensità delle interazioni elettrostatiche di un fattore di circa 80 rispetto alle stesse interazioni nel vuoto.

10 Interazioni non covalenti: Lisina, Arginina e Istidina Sono tre amminoacidi basici, carichi positivamente a ph fisiologico. Acido aspartico e Acido glutammico Sono due amminoacidi acidi, carichi negativamente sopra ph = 4 Le interazioni elettrostatiche ( ponti salini ) sono poco numerose nelle proteine e si hanno prevalentemente sulla superficie proteica. Ponti salini interni alle proteine spesso si verificano per amminoacidi carichi coinvolti nel meccanismo catalitico di un enzima.

11 Interazioni non covalenti: Legami a idrogeno D H A δ - δ + δ - Il legame a idrogeno può essere formato sia tra molecole non cariche che cariche. In un legame a idrogeno un atomo di idrogeno viene condiviso da due atomi. L atomo di idrogeno è legato covalentemente a uno dei due atomi, chiamato donatore (D) di idrogeno, ed interagisce con l altro atomo, chiamato accettore (A) di idrogeno. In una molecola nella quale uno o più atomi di H sono legati covalentemente ad un elemento più elettronegativo, si genera un dipolo in cui l atomo/gli atomi di H rappresentano la parte positiva:

12 Interazioni non covalenti: H F (δ + ) (δ - ) H (δ + ) (δ - ) H O H H N H (δ + ) (δ - ) Se l elemento è fortemente elettronegativo (F, O, N) la protonazione dell atomo H è tale da permettergli di legare elettrostaticamente un altro atomo elettronegativo della stessa o di un altra molecola. Le piccole dimensioni dell atomo di H e la presenza in esso di un solo elettrone (assenza di elettroni di schermo) rendono particolarmente intenso il campo elettrico dell atomo H protonizzato rendendo possibile la formazione di un legame elettrostatico con un altro atomo che disponga di un lone pair (orbitale completo di 2 elettroni).

13 Interazioni non covalenti: In sistemi biologici il donatore in un legame idrogeno è un atomo di ossigeno o azoto con un atomo di idrogeno legato covalentemente. L accettore può essere sia un atomo di ossigeno che di azoto. I legami idrogeno sono altamente direzionali. I legami idrogeno più intensi si hanno quando A e D sono colineari (legame fortemente direzionale). Affinchè si formi un legame a idrogeno fra due gruppi appartenenti alla proteina, si devono prima rompere i legami a idrogeno che ciascun gruppo fa con una molecola d acqua. I legami a idrogeno sono fondamentali nelle strutture proteiche. L abilità degli ossigeni carbonilici della catena principale di formare legami a idrogeno con i gruppi amminici della catena principale permette e stabilizza la formazione delle strutture secondarie come eliche e foglietti β.

14 Interazioni non covalenti: α-elica foglietto β

15 Interazioni non covalenti: Interazioni di van der Waals Sono interazioni attrattive aspecifiche fra molecole non cariche, che giocano un ruolo quando gli atomi distano tra loro 3-4 Å. Forze di London o di dispersione Esprimono il fatto che esiste una mutua attrazione fra molecole o atomi anche uguali fra loro ed elettricamente simmetrici. Tale simmetria è però presente solo da un punto di vista statistico e l origine di queste forze attrattive è dovuta all effetto di spostamenti temporanei di carica elettronica che generano dipoli transienti nell atomo o nella molecola considerata. A loro volta tali dipoli transienti generano dei dipoli transienti indotti nelle molecole più vicine e quindi forze attrattive di natura elettrostatica.

16 Interazioni non covalenti: Le interazioni di van der Waals sono spesso rappresentate da un energia potenziale E(d), funzione della distanza d, che include sia la forza attrattiva, sia quella repulsiva a corto raggio. Questa energia è rappresentata dal potenziale di Lennard-Jones: E(d) 1/d 12 E (d) termine repulsivo B A = - d 12 d 6 termine attrattivo 1/d 6 d A e B sono delle costanti empiriche La distanza in corrispondenza della quale si ha la migliore interazione fra due atomi, data dal minimo del potenziale, corrisponde alla somma dei rispettivi raggi di van der Waals.

17 Interazioni non covalenti: Effetto idrofobico Le interazioni fra acqua e superfici non polari non sono favorevoli: proprio come l olio disperso nell acqua tende a raccogliersi in un unica goccia, anche i gruppi non polari nelle proteine tendono ad aggregarsi, per ridurre la superficie apolare a contatto con l acqua. Questa preferenza di specie non polari per ambienti non acquosi viene detto effetto idrofobico: esso è uno dei principali fattori di stabilità delle proteine. L effetto idrofobico fa sì che sostanze non polari minimizzino il loro contatto con l acqua, e molecole anfipatiche (come per esempio i detergenti) formino micelle in soluzioni acquose. Il meccanismo fisico per cui entità non polari sono escluse da soluzioni acquose è di carattere entropico.

18 Interazioni non covalenti: L introduzione di una molecola non polare nell acqua liquida crea una sorta di cavità nell acqua, e temporaneamente rompe alcuni legami a idrogeno fra le molecole d acqua, poiché un gruppo non polare non può né accettare né donare legami idrogeno con le molecole d acqua. Le molecole d acqua spostate si riorientano per formare il maggior numero di nuovi legami a idrogeno, creando una struttura ordinata, una specie di gabbia, detta clatrato, intorno alla molecola non polare. Poiché il numero di modi con cui le molecole d acqua formano legami idrogeno sulla superficie di un gruppo non polare è inferiore a quello che farebbero in sua assenza si ha una diminuzione di entropia del sistema. ΔG = ΔH TΔS

19 Interazioni non covalenti: ΔG = ΔH TΔS L aggregazione di gruppi non polari minimizza l area superficiale della cavità occupata dal gruppo apolare e quindi la perdita di entropia del sistema. Effetto idrofobico & Folding La catena polipeptidica contiene sia gruppi polari che non polari, per cui si avrà un diverso comportamento dei residui nell acqua. Si osserva, infatti, che i gruppi apolari sono in gran parte raccolti nella parte interna (core) e idrofobica della proteina, mentre i residui polari sono esposti al solvente.

20 Interazioni non covalenti: Ribosoma Proteina estesa (unfolded) (U) Unfolded Molten globule Proteina globulare (folded) Folded (F) ΔG FOLDING = G F G U = (ΔH TΔS) < 0 processo spontaneo di folding > 0 processo non spontaneo

21 Interazioni non covalenti: ΔG FOLDING = G F G U = ΔH TΔS ΔH = variazione di entalpia fra stato finale ed iniziale (interazioni di van der Waals, elettrostatiche, legami idrogeno). ΔH << 0 (T = temperatura assoluta (K)). ΔS = variazione di entropia (disordine del sistema) fra stato finale ed iniziale. Poiché S U >> S F ΔS << 0 Nel ΔG FOLDING il contributo TΔS è positivo e sia ΔH che TΔS assumono valori grandi (migliaia di kcal/mol). Al contrario ΔG FOLDING ha valori piccoli: ΔG FOLDING = -10, -15 kcal/mol Quindi il processo di folding avviene grazie ad un minimo prevalere di ΔH su TΔS; è sufficiente un piccolo aumento di T per causare denaturazione della proteina.

22 Interazioni non covalenti: ΔG FOLDING = G F G U = ΔH TΔS ΔS FOLDING = S F S U = ΔS CATENA + ΔS SOLVENTE sempre < 0 C 6 H 14 2xC 6 H 14 acqua C 6 H 14 acqua L effetto idrofobico rappresenta una interazione chiave per il folding delle proteine, in cui residui con catene laterali idrofobiche si ripiegano verso l interno della proteina lasciando esposti al solvente in superficie residui polari.

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24 La crescita e la stabilità di un cristallo proteico è quasi esclusivamente dovuta alla formazione di legami non covalenti intermolecolari. Nel caso di interazioni non covalenti polari, tali interazioni possono essere mediate da molecole d acqua o da ioni presenti in soluzione. Si cerca di evitare che si formino ponti disolfuro (interazioni covalenti) inter-molecolari. In presenza di cisteine libere esposte al solvente è facile che le proteine in soluzione tendano a precipitare in modo non cristallino: - utilizzo di reagenti riducenti (DTT, β-mercapto etanolo) - mutazioni sito-specifiche delle Cys libere (es: Cys Ser), specialmente nel caso in cui siano presenti e strutturalmente rilevanti ponti disolfuro intramolecolari

25 Metodi fisico-chimici per la crescita di cristalli Procedura empirica in cui una proteina viene lentamente fatta precipitare formando un precipitato cristallino (non amorfo) - interazioni intermolecolari di superficie - purezza ed omogeneità del campione - grandi quantità di proteina (mgs) - scegliere un buffer in cui la proteina è sia solubile che stabile - diminuzione della solubilità della proteina, cioè portare la soluzione proteica in condizioni si supersaturazione (nucleazione spontanea)

26 Purezza, omogeneità, stabilità Sorgenti di eterogeneità (oltre a possibile presenza di contaminanti quali altre proteine o acidi nucleici): - prodotti di proteolisi limitata - ossidazione delle cisteine - deamidazione di Asn e Gln a formare Asp e Glu - modificazioni post-traduzionali - oligomerizzazione - presenza di isoforme - popolazione misfoldata - flessibilità strutturale - domini intrinsecamente disordinati Alle volte è possibile aumentare la stabilità di una proteina e/o la sua omogeneità aggiungendo opportuni additivi (detergenti, agenti riducenti, cofattori ecc)

27 Variabili chimico-fisiche che influenzano la solubilità - forza ionica -ph - temperatura - costante dielettrica del solvente - concentrazione macromolecola / concentrazione reagenti

28 Variazione della Forza Ionica La solubilità di una proteina solitamente aumenta quando vengono aggiunti sali alla soluzione acquosa e poi comincia a diminuire quando la concentrazione del sale è sufficientemente alta da fare in modo che i sali competano con la proteina per l idratazione (interazione con le molecole d acqua). HbCO (carbossiemoglobina) solubilità in funzione della forza ionica in presenza di diversi sali

29 - aumento graduale della concentrazione del sale Salting out Log S - competizione fra ioni e proteina per il solvente interazioni proteina-proteina (cinetica del fenomeno importante) - interazione ioni-residui carichi superficiali Salting in Salting out S = solubilità proteina I = forza ionica sale ( I = 1/2 Σ i c i z i2 ) I - interazione con siti di legame proteici

30 Variazione del ph - modificazione della distribuzione di carica superficiale della proteina Tali modificazioni possono influenzare l impaccamento cristallino delle proteine, cioè la disposizione spaziale delle molecole proteiche nel cristallo, con particolare riferimento alle loro reciproche interazioni. Le interazioni idrofobiche, seppur presenti, sono in generale meno determinanti nell impaccamento cristallino rispetto alle interazioni elettrostatiche

31 Variazione della Temperatura - solubilità proteica in funzione della temperatura bassa forza ionica solitamente la solubilità aumenta all aumentare di T (es: PEG, MPD) alta forza ionica minor solubilità a 25 C che a 4 C - la temperatura ha effetti sulla stabilità della proteina ed anche sulla dinamica con cui la soluzione proteica raggiunge la supersaturazione. Idealmente: - la cristallizzazione deve avvenire a temperatura costante - ciascuna potenziale condizione di cristallizzazione dovrebbe essere testata a temperature diverse (normalmente si provano T= 4 C e T= 21 C)

32 Variazione della costante dielettrica - aggiunta di solventi organici es: glicerolo (HOCH 2 (CHOH)CH 2 OH, D=42.5), glicole etilenico (HOCH 2 CH 2 OH, D=37.7), metanolo (CH 3 OH, D=32.8), etanolo (CH 3 CH 2 OH, D=24.3) Due gruppi elettrostaticamente carichi si attraggono o si respingono con una forza: q 1 q 2 F = Legge di Coulomb r 2 D dove q1 e q2 sono le cariche (Coulomb) dei due gruppi r è la distanza tra q1 e q2, D è la costante dielettrica del mezzo in cui si trovano le cariche. L interazione è maggiore nel vuoto (D = 1), minore in un mezzo come l acqua (D = 80).

33 Uso di PEGs HOCH 2 (CH 2 -O-CH 2 ) n CH 2 OH - gomitolo statistico in soluzione - competizione con le proteine per il legame del solvente - diminuzione della costante dielettrica - effetto di volume escluso

34 Concentrazione Proteina Per una buona riproducibilità dell esperimento di cristallizzazione è necessario utilizzare un sistema affidabile per determinare in modo preciso la concentrazione del campione proteico: - coefficiente di estinzione del triptofano - metodo di Bradford (BSA utilizzata come standard) I sistemi di espressione in E. coli sono fra i più comunemente usati dai cristallografi. In questi sistemi si possono avere problemi di bassa espressione proteica dovuti a: - citotossicità (la proteina in esame è tossica per E. coli) - instabilità del plasmide - la proteina non è foldata correttamente - alcuni codoni comuni negli eucarioti sono rari in E. coli

35 Cristallizzazione attraverso 3 fasi: C PROT nucleazione (N): la soluzione è portata in condizione di supersaturazione (zona termodinamicalmente instabile) crescita (C): il grado di saturazione diminuisce (sovrasaturazione) cessazione della crescita: raggiungimento della curva di solubilità (equilibrio cristalli-soluzione) sottosaturazione supersaturazione N sovrasaturazione (C) curva di solubilità C PREC

36 Nucleazione (N): Fenomeno in cui un nucleo (un granello di polvere, un piccolo seme cristallino o un piccolo aggregato proteico) comincia il processo di cristallizzazione. La nucleazione possiede un alta barriera energetica che può essere facilmente superata ad alti livelli di supersaturazione. Difficoltà: - se la supersaturazione è troppo alta, si possono formare troppi nuclei e quindi una sovrabbondanza di piccoli cristalli - nelle soluzioni supersature in cui non avviene nucleazione spontanea, la crescita dei cristalli spesso avviene solo in presenza di nuclei addizionati dall esterno ( semi di nucleazione )

37 Crescita (C): Aggiunta di molecole singole alle superfici del reticolo cristallino che si è formato. Fasi di crescita ed unità di crescita del Lisozima. L unità minima di crescita per questa fase è un tetramero, corrispondente ad una simmetria 4 3 Immagine di AFM di molecole di lisozima su una faccia (110) del cristallo tetragonale

38 Cessazione della Crescita: Oltre che da raggiungimento della curva di solubilità (equilibrio cristallisoluzione), la crescita del cristallo può aver luogo a causa dello sviluppo di difetti nel reticolo cristallino e/o all incorporazione di contaminanti.

39 Metodo della Diffusione di vapore: C PROT supersaturazione N sottosaturazione sovrasaturazione (C) curva di solubilità C PREC - hanging drop (goccia sospesa) - sitting drop (goccia seduta)

40 Metodo della Diffusione di vapore: - hanging drop 1. Soluzione di cristallizzazione (precipitante) nel pozzetto (reservoir solution ml) 2. La goccia ( sospesa su un vetrino siliconato) è formata da 1/2 di soluzione proteica e 1/2 soluzione di cristallizzazione (6-10 μl totale). 3. Il vetrino viene capovolto sul pozzetto. Vetrino e pozzetto vengono siliconati fra loro (sistema chiuso) 4. La concentrazione del precipitante nella goccia si equilibrerà con la concentrazione del precipitante nel pozzetto attraverso la diffusione di vapore

41 Metodo della Diffusione di vapore: - sitting drop Stesso principio base dell hanging drop, a parte che la goccia viene seduta su un ponticello sistemato sopra il pozzetto (sistema chiuso). Ciò permette di poter utilizzare gocce più grandi (20-40 ml), di poter manipolare meglio gli eventuali cristalli, e di avere un migliore isolamento termico

42 Metodo della Micro-Dialisi: C PROT supersaturazione N sottosaturazione sovrasaturazione (C) curva di solubilità C PREC In un esperimento di dialisi, la soluzione proteica è di solito introdotta in bottone immerso in una soluzione precipitante che si equilibra nel tempo passando attraverso la membrana semipermeabile che chiude il bottone. (~ μl) Nel caso in cui la concentrazione salina sia maggiore nella soluzione proteica che nel reservoir si lavora in salting in.

43 Metodo del Micro-Batch : gocce μl C PROT Al s oil Paraffin oil sottosaturazione supersaturazione N sovrasaturazione (C) curva di solubilità C PREC In un esperimento di micro-batch, l olio di paraffina che ricopre le gocce di cristallizzazione (1/2 proteina, 1/2 precipitante) non permette diffusione di acqua attraverso l olio. Quindi la concentrazione dei reagenti nella goccia rimane pressochè costante. Nel caso si usi l Al s oil (miscela 1:1 di olio di silicone e paraffina) si ha diffusione di acqua attraverso l olio e le concentrazioni dei reagenti nella goccia aumentano nel tempo. (~ μl)

44 Protein crystallization is a trial & error procedure Cristallizzazione (~ μl)

45 Automazione degli esperimenti di cristallizzazione (~ μl)

46 Microgravità: Miglioramento della qualità dei cristalli: - assenza di sedimentazione e di - movimenti convettivi (mezzo di - crescita più omogeneo) miglior grado di ordine dei cristalli riduzione nucleazione secondaria minore incorporazione di contaminanti nel reticolo cristallino

47 Interpretazione dei risultati sperimentali di cristallizzazione

48 Consigli utili (1): Cristallizzazione

49 Consigli utili (2): Cristallizzazione

50 Cosa fare se una proteina non cristallizza: - nuovi costrutti (domini isolati, forme troncate, proteolisi limitata) - mutazioni sito-specifiche - complessi con ligandi (substrati, inibitori, cofattori, ) - complessi con frammenti Fab di anticorpi - proteine omologhe - cambiare progetto!!

51 Preparazione di complessi proteina-ligando: (1) Soaking: consiste nell immergere i cristalli della proteina nativa in una soluzione madre contenente il ligando. I cristalli di proteina contengono di solito canali di solvente sufficientemente larghi da permettere al ligando di diffondere all interno dei cristalli Vantaggi: - è relativamente rapida - richiede piccole quantità di composto - non causa variazioni nelle condizioni di cristallizzazione Svantaggi: - il ligando deve essere un molecola relativamente piccola - il reticolo cristallino potrebbe essere incompatibile con il binding del ligando, provocando rottura e/o dissoluzione dei cristalli a seguito di impregnazione, oppure non legare affatto il ligando.

52 Preparazione di complessi proteina-ligando: (2) Co-cristallizzazione: il complesso si forma in soluzione addizionando il ligando (conc» 1mM) alla soluzione della proteina e successivamente il complesso viene cristallizzato Vantaggi: - Si possono ottenere cristalli del complesso per ligandi ad alto peso molecolare - eventuali variazioni conformazionali indotte dal ligando non sono ostacolate dalla struttura cristallina, poiché il complesso si forma in soluzione - la qualità di diffrazione dei cristalli non è compromessa dalla procedura di soaking

53 Preparazione di complessi proteina-ligando: (2) Co-cristallizzazione: Svantaggi: - a volte le condizioni di cristallizzazione sono leggermente diverse o perfino completamente diverse dalle condizioni di cristallizzazione dei composti puri (proteina, ligando), costringendo a ricominciare daccapo la ricerca delle condizioni di cristallizzazione - la co-cristallizzazione dei complessi impiega da alcune settimane ad alcuni mesi e non tutti i ligandi sono stabili per tempi cosi lunghi

54 Proteine di Membrana: - Le proteine inserite in membrana sono mediatori altamente attivi fra la cellula e il suo intorno o fra l interno di un organello e il citosol - catalizzano il trasporto specifico di metaboliti e ioni - convertono l energia della luce del sole in energia chimica ed elettrica - agiscono come recettori di segnali (neurotrasmettitori, fattori di crescita, ormoni, stimoli luminosi o chemiotattici), che trasmettono attraverso la membrana - nel caso della membrana del plasma, le proteine sono anche coinvolte nel riconoscimento cellula-cellula - le proteine di membrana sono target molto importanti per lo studio di possibili nuovi farmaci

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57 Proteine di Membrana: - Nel Protein Data Bank (PDB) sono depositate circa 233 (160 nel 2008) strutture di proteine di membrana, rispetto alle oltre (49000 nel 2008) strutture di proteine solubili (~ 0.004; ~ nel 2008) - 30% dei genomi sono relativi a proteine associate alle membrane cellulari - Grossi problemi di solubilizzazione per le proteine di membrana

58 a) La catena polipeptidica può attraversare la membrana solo una volta: tali proteine formano domini funzionali globulari almeno su un lato della membrana. Questi domini vengono tagliati da enzimi proteolitici. b-c) La catena polipeptidica attraversa la membrana diverse volte (di solito con α eliche e talvolta anche con filamenti β). Le zone idrofiliche sono le estremità della catena polipeptidica e i loop. d) In alcuni casi le proteine non attraversano la membrana, ma sono attaccate ad un suo lato attraverso un elica, parallela alla superficie della membrana, oppure attraverso acidi grassi, legati covalentemente alla proteina, che penetrano nel doppio strato lipidico della membrana.

59 Cristallizzazione di Proteine di Membrana: - Solubilizzazione delle proteine di membrana in solventi organici, seguita da cristallizzazione - Proteolisi limitata, per ottenere specie proteiche solubili - Interazioni con frammenti Fab di anticorpi e cristallizzazione del complesso - Solubilizzazione delle proteine di membrana in detergenti e cristallizzazione mediante rimozione del detergente - Solubilizzazione delle proteine di membrana e cristallizzazione in detergenti

60 di Proteine di Membrana: Cristallizzazione

61 Cristallizzazione di Proteine di Membrana: - proteine solubilizzate in detergenti (che mimano i lipidi di membrana interagendo con zone superficiali idrofobiche della proteina) - verifica della struttura e della funzione nativa della proteina di membrana solubilizzata in detergente - scambio detergenti (per dialisi o su colonna). Il detergente usato per la purificazione (bassa CMC) è di solito diverso da quello usato per la cristallizzazione) - stessi principi di cristallizzazione di proteine solubili - l entità da cristallizzare è la proteina + il detergente

62 Cristallizzazione di Proteine di Membrana: a) i contatti cristallini interessano solo le superfici idrofiliche della proteina di membrana (il detergente previene contatti di tipo idrofobico proteina-proteina) b) le micelle di detergente devono adattarsi perfettamente allo spazio interproteico cristallino (ignoto a priori) - detergenti non ionici con corta coda alifatica - concentrazione detergente prossima ( ) a CMC (CMC è inversamente proporzionale alla lunghezza delle code alifatiche e dipende da T e dalla conc. dei sali)

63 Cristallizzazione di Proteine di Membrana: c) Fattori limitanti nella cristallogenesi di proteine di membrana - dipendenza dalla temperatura - purezza della proteina - presenza di isoforme - modificazioni post-traduzionali - eterogeneità lipidica/delipidazione - contaminanti nei detergenti

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67 VS: pore and voltage sensor T1 and β: extramembranous components

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Cristallizzazione di Macromolecole Biologiche A.A

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