Il caso e le questioni proposte

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1 Ottobre 2011 Il caso Karen Murphy La Corte di Giustizia dell Unione europea pronunciandosi sulle questioni pregiudiziali proposte nelle cause riunite C- 403/08 e C- 429/08 ha riconosciuto, con sentenza del 4 ottobre scorso, la contrarietà alla libertà di prestazione dei servizi assicurata dal Trattato UE delle previsioni contenute nelle legislazioni della quasi totalità dei Paesi membri che assicurano una tutela giuridica alle clausole di esclusiva territoriale, clausole, nella fattispecie, frequentemente apposte nei contratti di licenza dei diritti per la trasmissione degli eventi sportivi negoziati tra le federazioni sportive, in proprio e quali rappresentanti dei club alle stesse aderenti, da un lato, e le emittenti televisive, dall altro. Il caso e le questioni proposte Le numerose ed articolate questioni di rinvio pregiudiziale sono state proposte alla Corte europea da due diverse sezioni della High Court of Justice di Inghilterra e Galles nell ambito di 4 procedimenti intentati a vario titolo, dalla Federazione calcistica inglese, tanto sul fronte civile quanto sul versante penale, nei confronti di (i) distributori in Inghilterra di schede per la decodificazione del segnale televisivo satellitare di un emittente televisiva greca e (ii) direttamente nei confronti del gestore di un pub in Inghilterra (la signora Karen Murphy) che aveva utilizzato le predette schede per la trasmissione nel proprio locale degli incontri di calcio della Premier League. Nello specifico, le diverse cause principali hanno avuto ad oggetto la verifica della legittimità, sotto diversi profili, della pratica commerciale consistente nell immissione, distribuzione ed utilizzo nel mercato inglese di schede di decodificazione di un emittente televisiva greca che, a prezzi più contenuti rispetto all emittente nazionale, consentiva ai titolari di pub e ristoranti la trasmissione dei match della Premier League per gli avventori dei locali. La decisione segnalata, anche in relazione al numero di domande proposte alla Corte, affronta diversi profili giuridici implicati nella vicenda. In particolare: 1) fornisce in primo luogo un attenta ricostruzione della nozione di dispositivo illecito contemplata dall art. 2 lettera e) della direttiva 98/84/Ce (direttiva sui servizi ad accesso condizionato); 2) sottopone a verifica la compatibilità, rispetto al quadro giuridico comunitario, di una disposizione di legge nazionale che vieta l importazione la vendita e la distribuzione di schede di decodificazione straniere e, in base a tale analisi, valuta la conformità con il diritto dell Unione delle clausole di esclusiva territoriale presenti nei contratti di licenza per la trasmissione di eventi sportivi; 3) analizza i possibili impatti anticoncorrenziali della clausola di esclusiva;

2 4) analizza il profilo relativo ai diritti di proprietà intellettuale implicati dalla trasmissione di eventi sportivi indagando in particolare: a) le tipologie di contenuti proteggibili nell ambito della tutela autoriale; b) la nozione di riproduzione rilevante ai sensi della direttiva sul diritto d autore e le possibili eccezioni al diritto di riproduzione dalla stessa contemplate; c) la nozione di comunicazione al pubblico alla luce dell attività concretamente svolta dai gestori di locali aperti al pubblico. La decisione della Corte. Sulla nozione di dispositivo illecito La prima questione affrontata dalla Corte ha riguardato la definizione dell ambito di operatività dell art. 2 lettera e) della direttiva 93/33/CEE (direttiva sui servizi ad accesso condizionato) che qualifica quale dispositivo illecito qualsiasi apparecchiatura o programma per elaboratore elettronico concepito o adattato al fine di rendere possibile l accesso ad un servizio protetto senza l autorizzazione del prestatore del servizio. Secondo la Corte non rientrano in tale definizione le schede di decodificazione straniere, neanche nell ipotesi in cui le stesse vengano acquisite utilizzando una falsa identità (come era avvenuto in una delle cause principali), in quanto tali dispositivi tecnici non sono realizzati al fine di consentire un accesso non autorizzato a servizi forniti a pagamento ma, al contrario, risultano immessi sul mercato con il consenso del prestatore del servizio stesso. Clausole di esclusiva territoriale e libera prestazione dei servizi Il secondo profilo analizzato dalla Corte ha riguardato la compatibilità con la libera prestazione dei servizi assicurata dal Trattato UE di una normativa nazionale come quella inglese che - vietando sostanzialmente l importazione di schede di decodificazione straniere all interno del territorio nazionale - forniva una protezione giuridica alle clausole di esclusiva territoriale apposte nei contratti negoziati tra federazioni sportive e broadcaster per la trasmissione di eventi sportivi. Ad avviso della Corte, le norme in esame costituiscono un evidente restrizione alla libera prestazione dei servizi. Il ragionamento della Corte prosegue considerando che tale restrizione potrebbe, in ogni caso, risultare giustificata da esigenze di interesse generale. La Corte procede quindi a verificare la possibile sussistenza, nel caso specifico, di tali ragioni di interesse generale che, almeno in termini potenziali, possano giustificare la richiamata restrizione. In particolare, la Corte, sollecitata dalle difese degli Stati membri intervenuti nel giudizio, sottopone a scrutinio la legittimità delle norme nazionali oggetto del giudizio alla luce di: (i) possibili ragioni di tutela dei diritti di proprietà intellettuale implicati nella trasmissione di eventi sportivi nonché (ii) dell esigenza di incoraggiare la presenza di pubblico negli stadi. Sotto il primo profilo considerato, la Corte rileva, in termini generali, come le partite di calcio non possono, almeno in linea di principio, essere considerate opere creative ai sensi della legislazione europea in materia di proprietà intellettuale mancando, per l appunto, del carattere di creatività necessario per una tale qualificazione. Nonostante tale considerazione, i giudici europei sottolineano come vi sia la possibilità che gli Stati membri abbiano introdotto o intendano introdurre norme nazionali volte alla tutela di tali contenuti audiovisivi. Nell ipotesi considerata, tuttavia, l esigenza di tutela della proprietà intellettuale non può tradursi, secondo la Corte, nella necessità di assicurare agli autori o ai detentori dei diritti la massimizzazione dei

3 profitti conseguibili attraverso la negoziazione dei suddetti diritti ma, così come previsto dalla disciplina comunitaria vigente, deve garantire un adeguata remunerazione ai soggetti considerati. Sulla base di tale considerazione che appare ancor più giustificata se si considerano le peculiarità dei sistemi di negoziazione dei diritti sportivi elaborati nei diversi Paesi membri (sistemi che si basano generalmente su inviti ad offrire direttamente proposti dalla federazioni sportive per conto dei club) la Corte rileva come, anche nelle situazioni oggetto delle cause principali, i titolari diritti ricevono comunque un adeguata remunerazione dall emittente televisiva straniera che acquisisce legittimamente e dietro corrispettivo i diritti di trasmissione e, pertanto, la restrizione alla libera prestazione dei servizi rappresentata dalle norme che offrono protezione giuridica alle clausole di esclusiva non può essere giustificata da esigenze di tutela dei diritti di proprietà intellettuale che sarebbero, in ogni caso, adeguatamente valorizzati anche in un sistema nel quale tali clausole contrattuali non fossero contemplate. Sotto il secondo profilo, meno generale e calibrato sul sistema inglese che prevede il divieto di trasmissione di partite di calcio, soprattutto dei campionati inferiori, il sabato pomeriggio così da garantire un maggiore afflusso di spettatori negli stadi, la Corte rileva come tale esigenze seppur meritevole di considerazione non può essere posta a fondamento di una restrizione così forte alla libera prestazione dei servizi in ambito intracomunitario. Sulla base di tali considerazioni la Corte verificata l insussistenza di esigenze di tutela di interessi generali sottese alla predisposizione delle normative nazionali oggetto del giudizio ha ritenuto le stesse in contrasto con la libera prestazione dei servizi sancita dal Trattato UE. Clausole di esclusiva territoriale e diritto della concorrenza Un terzo profilo affrontato dalla Corte ha avuto ad oggetto la verifica dei possibili effetti anticoncorrenziali determinati delle clausole di esclusiva nella misura in cui le stessa comportino a carico delle diverse emittenti televisive nazionali l obbligo di non vendere le schede di decodificazione a clienti residenti al di fuori del territorio dello Stato per il quale è stata negoziata l esclusiva. La Corte ricorda come un accordo ha contenuto anticoncorrenziale - quindi vietato dalle norme del Trattato UE - allorquando abbia per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza nel mercato interno. Svolto tale opportuno inquadramento la Corte rileva come, secondo un proprio costante orientamento, le clausole di esclusiva territoriale, se considerate con esclusivo riferimento al proprio oggetto, non costituiscono di per sé un accordo vietato. Tuttavia, con riferimento al caso specifico, i giudici comunitari sottolineano come l associazione, da un lato, del (i) divieto di commercializzazione di schede di decodificazione al di fuori del territorio per il quale è concessa l esclusiva con (ii) l esclusiva assicurata nei contratti di licenza, dall altro, determina di fatto una compartimentazione dei mercati nazionali. Tale effetto di compartimentazione, se non giustificato dall esistenza di specifiche circostanze risultanti dal contesto economico e giuridico entro il quale viene negoziato il contratto di licenza, determina, a giudizio della Corte, la contrarietà della clausole di esclusiva così formulate con l art. 101 del Trattato UE. Diritti di proprietà intellettuale: oggetto del diritto d autore nella trasmissione di eventi sportivi L articolata decisione che si segnala ha affrontato con attenzione i profili relativi ai diritti di proprietà intellettuale implicati nella trasmissione di eventi sportivi. La Corte ha chiarito come possano invocare la protezione autoriale con riferimento a tali trasmissioni tanto gli autori (vale a dire le federazioni sportive) quanto i broadcaster.

4 L oggetto del diritto d autore sulle trasmissioni non si estende, come è evidente, all evento sportivo in sé considerato - che non possiede alcun grado di creatività - quanto, piuttosto, a singoli elementi della trasmissione. A questo proposito, la Corte rileva come le federazioni sportive risultano titolari del diritto d autore sui seguenti elementi: (i) la sequenza video di apertura, (ii) l inno della federazione sportiva, (iii) i video contenenti gli highlights degli eventi sportivi considerati. Secondo la vigente disciplina comunitaria i broadcaster possono, dal canto loro, invocare (i) il diritto di fissazione delle proprie emissioni (ii) il diritto di comunicazione delle stesse ed, infine, (iii) il diritto di riproduzione delle fissazioni delle nuove emissioni. Diritti di proprietà intellettuale: diritto di riproduzione La decisione affronta nel proseguo la questione dell estensione da riconoscere al diritto di riproduzione previsto in favore dell autore delle opere nell ipotesi di trasmissione di segnale attraverso decoder satellitari su uno schermo televisivo. La Corte ricorda a tale proposito che occorre assicurare un interpretazione uniforme a livello comunitario dell estensione da riconoscere al diritto di riproduzione. Sul punto i giudici comunitari precisano come anche frammenti di un opera possono beneficiare di tale diritto, a condizione che contengano gli elementi propri di una creazione intellettuale. Con riferimento agli atti di riproduzione determinati dalla trasmissione del segnale tramite un decoder satellitare attraverso uno schermo televisivo, la Corte ricorda come gli stessi possono rientrare in una delle eccezioni al diritto di riproduzione prevista dalla disciplina comunitaria allorquando concorrano i 5 seguenti requisiti: (i) l atto di riproduzione deve essere temporaneo; (ii) l atto di riproduzione deve essere transitorio o accessorio; (iii) l atto di riproduzione deve costituire parte integrante ed essenziale di un procedimento tecnologico; (iv) tale procedimento deve essere eseguito all unico scopo di consentire la trasmissione in rete tra terzi con l intervento di un intermediario o un utilizzo legittimo di un opera o di un oggetto protetto, ed, infine, (v) l atto di riproduzione deve essere privo di rilievo economico proprio. Dalla valutazione degli elementi del caso di specie, la Corte ha ritenuto sussistenti i cinque requisiti indicati e, quindi, ha considerato operante l eccezione prevista, con la conseguenza che, per effettuare tali forme di riproduzione temporanea non risulta necessario ottenere l autorizzazione da parte dei titolari dei diritti sulle opere. Diritti di proprietà intellettuale: comunicazione al pubblico Un ultimo profilo di interesse affrontato dalla Corte europea ha riguardato il diritto di comunicazione al pubblico pure contemplato dalla direttiva comunitaria in materia di diritto d autore e diritti connessi nella società dell informazione. Si è chiesto alla Corte di chiarire se la trasmissione di eventi sportivi all interno di locali aperti al pubblico come bar e ristoranti costituisca una forma di comunicazione al pubblico ai fini dell applicazione della direttiva.

5 I giudici comunitari affermano, in via preliminare, che la nozione di comunicazione al pubblico deve essere intesa in senso ampio, ricomprendere cioè qualsiasi trasmissione delle opere protette, a prescindere dal mezzo tecnico e dal procedimento utilizzato. La comunicazione deve rivolgersi ad un pubblico nuovo rispetto a quello preso in considerazione dagli autori delle opere nel momento in cui abbiano autorizzato una comunicazione al pubblico di origine. La comunicazione deve avvenire nei confronti di un pubblico non presente nel luogo in cui le comunicazioni hanno origine ed, infine, assume rilievo ai fini della direttiva il carattere lucrativo o meno della comunicazione al pubblico. La Corte conclude che, nel caso di specie, non vi è dubbio che la trasmissione degli eventi sportivi all interno di locali aperti al pubblico soddisfi tutti i requisiti previsti dalla direttiva, così come interpretati dalla Corte ed, in conseguenza, costituisca una forma di comunicazione al pubblico rilevante secondo la normativa comunitaria. Conclusioni Le questioni affrontate e le soluzioni offerte dalla Corte, in particolare sulla valutazione di liceità delle norme nazionali che offrono una base giuridica alle clausole di esclusiva territoriale dovranno necessariamente essere tenute in considerazione con riferimento ai sistemi adottati dai diversi Paesi membri per la negoziazione dei diritti di trasmissione degli eventi sportivi, rappresentando la clausola di esclusiva una delle previsioni che maggiormente caratterizzano anche sotto un profilo di valorizzazione economica di tali diritti i contratti di licenza relativi. Anche alla luce dell importante decisione della Corte, è auspicabile una rimeditazione complessiva dei modelli di business e delle stesse modalità di negoziazione dei diritti, preferibilmente a livello comunitario e non più compartimentati nei diversi mercati nazionali. Diritti di proprietà intellettuale: comunicazione al pubblico Un ultimo profilo di interesse affrontato dalla Corte europea ha riguardato il diritto di comunicazione al pubblico pure contemplato dalla direttiva comunitaria in materia di diritto d autore e diritti connessi nella società dell informazione. Si è chiesto alla Corte di chiarire se la trasmissione di eventi sportivi all interno di locali aperti al pubblico come bar e ristoranti costituisca una forma di comunicazione al pubblico ai fini dell applicazione della direttiva. I giudici comunitari affermano, in via preliminare, che la nozione di comunicazione al pubblico deve essere intesa in senso ampio, ricomprendere cioè qualsiasi trasmissione delle opere protette, a prescindere dal mezzo tecnico e dal procedimento utilizzato. La comunicazione deve rivolgersi ad un pubblico nuovo rispetto a quello preso in considerazione dagli autori delle opere nel momento in cui abbiano autorizzato una comunicazione al pubblico di origine. La comunicazione deve avvenire nei confronti di un pubblico non presente nel luogo in cui le comunicazioni hanno origine ed, infine, assume rilievo ai fini della direttiva il carattere lucrativo o meno della comunicazione al pubblico. La Corte conclude che, nel caso di specie, non vi è dubbio che la trasmissione degli eventi sportivi all interno di locali aperti al pubblico soddisfi tutti i requisiti previsti dalla direttiva, così come interpretati dalla Corte ed, in conseguenza, costituisca una forma di comunicazione al pubblico rilevante secondo la normativa comunitaria.

6 Conclusioni Le questioni affrontate e le soluzioni offerte dalla Corte, in particolare sulla valutazione di liceità delle clausole di esclusiva territoriale dovranno necessariamente essere tenute in considerazione con riferimento ai sistemi adottati dai diversi Paesi membri per la negoziazione dei diritti di trasmissione degli eventi sportivi, rappresentando la clausola di esclusiva una delle previsioni che maggiormente caratterizzano anche sotto un profilo di valorizzazione economica di tali diritti i contratti di licenza relativi. Gli effetti della decisione non sono allo stato facilmente prevedibili. Paradossalmente, la stessa potrebbe comportare un aumento dei costi di negoziazione dei diritti ed una corrispondente riduzione della già scarsa competizione tra i players operanti nei diversi mercati nazionali (l esempio italiano appare in questo senso emblematico). Anche alla luce dell importante decisione della Corte, è auspicabile una rimeditazione complessiva dei modelli di business e delle stesse modalità di negoziazione dei diritti, preferibilmente a livello comunitario e non più compartimentati nei diversi mercati nazionali. Corte di Giustizia: il divieto di vendita su internet contrasta con le norme in materia di concorrenza La Corte di Giustizia, con sentenza del 13 ottobre 2011, sul caso C-439/09 (Pierre Fabre Dermo- Cosmétique SAS v. Président de l Autorité de la Concurrence, Ministre de l Économie, de l Industrie et de l Emploi), ha chiarito che il divieto contrattuale di rivendita di determinati prodotti attraverso internet, imposto ai distributori autorizzati nell ambito di un sistema di distribuzione selettiva, costituisce, in determinate circostanze, una restrizione della concorrenza per oggetto ex art. 101(1) del Trattato sul Funzionamento dell Europa (TFUE). Con la sentenza in esame, la Corte di Giustizia ha condiviso pienamente le conclusioni dell Avvocato Generale Ján Mazák, rese in data 3 marzo Il divieto di vendita su internet contenuto nei contratti di distribuzione La Pierre Fabre Dermo-Cosmétique ( Pierre Fabre ) opera nel settore della produzione e commercializzazione di prodotti cosmetici e di igiene personale, avvalendosi di un sistema di distribuzione selettiva. I contratti di distribuzione di tali prodotti richiedevano che le vendite fossero effettuate: esclusivamente in uno punto vendita materiale ed individuato e con la presenza obbligatoria di un laureato in farmacia. Tali requisiti escludevano, di fatto, tutte le forme di vendita attraverso internet. L Autorità garante della concorrenza francese (Autorité de la concurrence), all esito di un procedimento avviato nei confronti di Pierre Fabre, ha ritenuto che il divieto di vendita attraverso internet, dalla stessa imposto ai propri distributori, fosse restrittivo della concorrenza, in quanto esso, escludendo un mezzo di commercializzazione di prodotti: costituiva una limitazione della libertà commerciale dei distributori di Pierre Fabre; restringeva di fatto la scelta dei consumatori intenzionati ad acquistare attraverso internet. Pertanto, l Autorità francese ha intimato a Pierre Fabre di sopprimere, nei contratti di distribuzione selettiva, ogni divieto di vendita su internet dei suoi prodotti e di prevedere espressamente la possibilità, per i distributori autorizzati, di ricorrere a tale modalità di distribuzione, condannando la

7 stessa al pagamento di un ammenda di Euro ,00. Così disponendo, l Autorità francese ha respinto l argomento di Pierre Fabre secondo cui il divieto di vendita attraverso internet aveva lo scopo, tra l altro, di migliorare la distribuzione dei prodotti dermo-cosmetici prevenendo i rischi di contraffazione, e di offrire ai consumatori un servizio di consulenza grazie alla presenza fisica di un farmacista presso i punti vendita. La Corte d Appello di Parigi, innanzi alla quale Pierre Fabre ha impugnato il provvedimento dell Autorità garante della concorrenza francese, ha quindi chiesto alla Corte di Giustizia di chiarire se un divieto generale ed assoluto di vendita attraverso internet, imposto ai distributori autorizzati nell ambito di un sistema di distribuzione selettiva, costituisca una grave restrizione della concorrenza ai sensi dell art. 81(1) CE (ora 101(1) TFUE)1. Restrizione della concorrenza per oggetto La Corte di Giustizia ha chiarito, in primo luogo, che una clausola contrattuale che vieta ai distributori autorizzati nell ambito di un sistema di distribuzione selettiva di effettuare vendite attraverso internet costituisce una restrizione della concorrenza per oggetto ex art. 81(1) CE qualora, a seguito di un esame individuale e concreto del tenore e dell obiettivo della clausola contrattuale, nonché del contesto giuridico ed economico in cui essa si colloca, risulti che tale clausola non è oggettivamente giustificata, valutando anche le caratteristiche dei prodotti di cui si tratta. Facendo espresso richiamo a sue precedenti pronunce2, la Corte di Giustizia ha chiarito che, talvolta, un sistema di distribuzione selettiva (che, di per sé, influisce necessariamente sulla concorrenza) può essere giustificato da esigenze quali la salvaguardia di un commercio specializzato che consenta di offrire prestazioni di elevato livello qualitativo, purché siano rispettate determinate condizioni (ad esempio, la scelta dei rivenditori dovrà avvenire secondo criteri oggettivi di carattere qualitativo, applicati in modo non discriminatorio). Esenzione per categoria Pierre Fabre riteneva che i propri contratti di distribuzione fossero conformi alle regole UE in materia di concorrenza in quanto esentati in base all allora vigente Regolamento CE n. 2790/1999 relativo all applicazione dell art. 81(3) CE a categorie di accordi verticali e pratiche concordate ( Regolamento, oggi sostituito dal Regolamento CE n. 330/2010)3. Il Regolamento individua una categoria di accordi verticali che la Commissione Europea ha considerato conformi, di norma, alle regole UE in materia di concorrenza, purché siano rispettate determinate condizioni. In particolare, secondo il citato Regolamento, costituiscono accordi restrittivi della concorrenza, esclusi quindi dal beneficio dell esenzione, gli accordi di distribuzione selettiva volti alla restrizione delle vendite attive o passive agli utenti finali da parte dei membri del sistema di distribuzione operanti nel commercio al dettaglio. Tuttavia, il Regolamento fa salva la possibilità di proibire ad un membro di tale sistema di svolgere la propria attività in un luogo di stabilimento non autorizzato 4. A tale riguardo, la Corte di Giustizia ha chiarito che una clausola contrattuale come quella sottoposta al suo esame non può essere considerata alla stregua di una clausola che vieta ai membri di un sistema di distribuzione selettiva di svolgere la propria attività in un luogo di stabilimento non autorizzato. Infatti, come chiarito dall avvocato generale Ján Mazák nelle sue conclusioni, Internet non può essere considerato un luogo di stabilimento, ma piuttosto un moderno strumento di comunicazione e commercializzazione di prodotti e servizi. 1 L articolo 101(1) TFUE vieta gli accordi che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all interno del mercato interno. 2 Sentenza 25 ottobre 1977, C-26/76 (Metro SB-Groβmärkte v. Commissione). 3 Regolamento del 20 aprile 2010, entrato in vigore il 1 giugno 2010 e applicabile a decorrere dal 1 giugno Art. 4(c) del Regolamento.

8 Inoltre, contratti simili a quelli stipulati da Pierre Fabre potranno essere ritenuti conformi al diritto della concorrenza allorché, attraverso un esame delle circostanze del caso, contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico, in conformità all articolo 81(3) CE5. Le considerazioni della Corte di Giustizia sopra brevemente descritte sono pienamente valide anche rispetto alla normativa oggi applicabile (art. 101 TFUE; Regolamento CE n. 330/2010). Alla luce della sentenza della Corte di Giustizia in commento i produttori dovranno verificare e, se del caso, modificare i propri accordi di distribuzione, per accertarsi che essi non includano clausole, simili a quelle incluse da Pierre Fabre nei propri contratti, che, in quanto contrarie alla normativa sulla concorrenza, sarebbero nulle. Net neutrality e Traffic Management policies. La posizione del Garante europeo per la privacy Con un opinion pubblicata il 7 ottobre scorso l EDPS (European Data Protection Supervisor) ha espresso le proprie valutazioni sulla Comunicazione della Commissione del 19 aprile 2011 relativa ad Open internet and net neutrality in Europe. L analisi del Garante europeo si è incentrata, in particolare, sul ruolo degli Internet Service Provider (ISP)nell implementazione delle c.d. traffic management policies. L opinion nella sua parte introduttiva offre un attenta analisi del concetto di net neutrality, termine con il quale, come noto, si fa riferimento alla necessità che le informazioni siano veicolate attraverso internet in maniera imparziale, senza operare distinzioni sulla base del loro contenuto, dell origine o della relativa destinazione né, sotto altro profilo, consentendo discriminazioni basate sui devices o sui servizi utilizzati per accedere alle informazioni stesse. Sempre più spesso tale principio - che ha consentito la nascita e lo sviluppo della rete internet così come la conosciamo oggi e di cui si trova traccia ed ispirazione anche nella più recente normativa comunitaria in materia di telecomunicazioni (si allude, in particolare, alle disposizioni inserite nel c.d. Pacchetto Telecom approvato nel novembre del 2009) - appare essere messo in crisi dalle diverse tecniche di gestione del traffico internet messe in atto dai provider per ragioni commerciali (ad es. attraverso la discriminazione del traffico Voip) o per perseguire finalità di protezione dei diritti di terze parti (ad es. attraverso la discriminazione del traffico P2P con l intento di scoraggiare la disseminazione incontrollata di materiali protetti attraverso tali reti). Occorre, in ogni caso, sottolineare come una seppur minima forma di gestione ed organizzazione del traffico internet appare necessaria per assicurare un servizio efficiente e sicuro ed evitare fenomeni di blocco del sistema di comunicazione. L opinion offre un articolata analisi dei diversi sistemi di gestione del traffico internet che, come rilevato dal Garante, possono essere raggruppati in due categorie: (i) sistemi di gestione che si basano su un analisi dell origine degli indirizzi IP (che a seconda della provenienza geografica degli utenti consentono da un punto di vista tecnico agli ISP tra l altro di filtrare o bloccare l accesso a determinate informazioni) e (ii) sistemi che consentono un analisi più approfondita del traffico (attraverso una distinzione sulla base delle tipologie di contenuti veicolati attraverso la rete). L utilizzo di tali sistemi di gestione ed analisi del traffico - pur nella diversità delle tecniche utilizzate e nella diversa gradazione delle indagini condotte dagli ISP - pone seri problemi collegati alla protezione dei dati personali e più complessivamente della riservatezza degli utenti internet interessati. Tali problematiche sono diffusamente affrontate dal Garante nell opinion che si segnala, alla luce dei principi espressi nella Convenzione europea dei diritti dell uomo (art. 8), nella Carta dei diritti fondamentali dell Unione europea (articoli 7 e 8) e della disciplina di dettaglio dettata dalla c.d. direttiva eprivacy (artt. 5 e 6). Appare evidente come l utilizzazione di tali sistemi di gestione del traffico determini forme più o meno estese di trattamento di dati personali degli utenti della rete. 5 Oggi art. 101(3) TFUE.

9 Nella situazione data, il problema centrale che si pone, nell opinion del Garante, risiede nell individuazione specifica dei casi nei quali è richiesto il consenso degli utenti interessati in considerazione delle diverse tecniche utilizzate e, soprattutto, con riferimento alle finalità per le quali tali forme di gestione del traffico internet vengono messe in atto. Il tutto alla luce del principio di proporzionalità che, come ricordato dal Garante, gioca un ruolo centrale nella valutazione della liceità della gestione del traffico condotta dal provider. A tal proposito il Garante, nella parte conclusiva della sua articolata riflessione, sottolinea come continuando nel solco tracciato dalla Commissione europea con la sua comunicazione dello scorso aprile appare necessario intervenire, anche per via legislativa, a regolare il fenomeno incentrando la propria attenzione su tre profili fondamentali: individuare in maniera specifica le forme di gestione del traffico che appaiono necessarie e legittime per consentire un ordinato flusso del traffico internet in piena sicurezza; individuare i casi nei quali è necessario per gli ISP acquisire il consenso degli utenti della rete internet interessati a fenomeni di gestione e controllo del traffico; fornire delle linee guida per l applicazione delle regole a tutela della riservatezza degli internauti nei casi di gestione e controllo del traffico. Le misure legislative che dovessero intervenire sul tema in un prossimo futuro, quantomeno a livello comunitario, dovranno secondo l EDPS essere ispirate al principio della net neutrality e non potranno che avere la funzione di tradurre nella pratica, riempendo di contenuto, tale fondamentale principio, presente sempre più di frequente nelle enunciazioni ufficiali oltre che richiamato da numerosi testi legislativi ma che troppo spesso appare ignorato nella pratica commerciale e nello sviluppo attuale dei servizi internet based. Spamming: quando è reato? L Amministratore delegato e il Direttore finanziario della multinazionale italiana Buongiorno Vitaminic sono stati condannati anche in appello a nove mesi di reclusione per trattamento illecito di dati personali, consistente nell invio di numerose indesiderate (cd. spamming ) agli utenti che si erano iscritti alla newsletter Fuorissimo day attraverso il sito di barzellette La Corte d Appello di Milano ha così confermato la sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Milano, a metà dicembre 2010, nei confronti dei due manager di Buongiorno Vitaminic. I fatti che hanno portato alla condanna dei due manager possono essere ricostruiti come segue. Gianluca Costamagna, creatore del sito di barzellette (di proprietà della Clever Internet Company), aveva stipulato nel 2001 un contratto con Buongiorno Vitaminic per la gestione del database di una newsletter chiamata Fuorissimo day. Si trattava di messaggi di posta elettronica dal contenuto umoristico da inviare, con cadenza bisettimanale, agli utenti che si erano iscritti attraverso il sito circa Nonostante la successiva risoluzione del contratto per la gestione del database, Buongiorno Vitaminic aveva continuato ad inviare al 39 per cento degli iscritti alla lista Fuorissimo, circa utenti, altre newsletter non richieste, in particolare quella denominata What s new che pubblicizzava le novità dei servizi di Buongiorno Vitaminic. I due manager di Buongiorno Vitaminic erano stati accusati anche di frode informatica, ma per questo secondo capo d imputazione il Tribunale di Milano ha ritenuto non sussistente il fatto. Buongiorno Vitaminic ha già annunciato la propria volontà di ricorrere in Cassazione, ritenendo che la società e i suoi manager abbiano sempre agito nel pieno rispetto della legge, anche quando hanno deciso di esercitare il diritto di risoluzione del contratto con Clever Internet Company. Per la prima volta in Italia, un giudice ha ritenuto che lo spamming costituisce reato, facendo diretta applicazione dell articolo 167 del Codice Privacy, che prevede la reclusione dai sei a diciotto mesi nei

10 confronti di chiunque, al fine di trarne per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno, proceda al trattamento di dati personali, tra l altro, senza il consenso dell interessato, se dal fatto deriva nocumento (se il fatto consiste nella comunicazione o diffusione, è prevista la reclusione da sei a ventiquattro mesi). L indirizzo costituisce, infatti, un dato personale ai sensi del Codice Privacy, e, in quanto tale, il suo utilizzo necessita il previo ed espresso consenso dell interessato, salvo che non ricorra una delle esimenti di cui all articolo 24 del Codice Privacy (ad esempio, adempimento di obblighi di legge, esecuzione di obblighi derivanti da un contratto del quale è parte l interessato, ecc.). In passato il Garante Privacy, con proprio provvedimento generale, ha dettato linee-guida per l invio di pubblicitarie, al fine di mostrare come tale invio possa avvenire in modo del tutto lecito senza violare la privacy degli utenti/interessati (provvedimento generale del 29 maggio 2003 Spamming. Regole per un corretto invio delle pubblicitarie, doc. web n ). Diversamente, di recente, la Corte di Cassazione (sentenza del 12 ottobre 2011, n ) ha ritenuto che, nel caso specifico sottoposto al suo esame, lo spamming non potesse configurare il reato di molestie di cui all articolo 660 del codice penale. Il ragionamento della Corte di Cassazione si fonda sulle diverse caratteristiche del telefono (caso previsto dall articolo 660 del codice penale) e della posta elettronica. Infatti, secondo la Corte, mentre la molestia telefonica comporta una continua interazione tra chi telefona e chi riceve la telefonata, alla quale il destinatario può sottrarsi solo con la disattivazione dell apparecchio, il continuo uso della posta elettronica non determina un effettiva e continua intrusione nella sfera di libertà del destinatario, che solo quando andrà a controllare i messaggi si troverà le comunicazioni indesiderate, come avviene nel caso della corrispondenza cartacea. La Corte non esclude che, in futuro, con l evoluzione tecnologica la situazione potrà cambiare, in quanto ormai già esistono telefoni di nuova generazione in grado di annunciare l arrivo di messaggi (sms) e delle stesse con avvertimenti acustici. A questo punto non potrà escludersi la configurazione del reato di molestie di cui all articolo 660 del codice penale, tenendo presente il limite tassativo della norma rappresentato dall uso della linea telefonica, modalità di trasmissione della molestia, alternativa a quella, a carattere topografico, del luogo pubblico o aperto al pubblico in cui si svolge la condotta costitutiva del reato. Keyword Advertising: sentenza Interflora vs. Marks & Spencer Lo scorso 22 settembre la Corte di Giustizia si è occupata, con la sentenza Interflora Inc. e Interflora British Unit contro Marks & Spencer plc e Flowers Direct Online Ltd (causa C-323/09), delle legittimità dell utilizzo di un marchio altrui per la promozione dei propri prodotti o servizi attraverso un servizio di Keyword Advertising, e il conseguente livello di protezione che la normativa comunitaria assicura ai marchi dotati di un certo grado di notorietà in caso di sfruttamento senza il consenso del titolare. Nel caso di specie, la società Marks & Spencer aveva utilizzato parole chiave corrispondenti al marchio Interflora per pubblicizzare il proprio servizio on-line di vendita e consegna di fiori a domicilio. La High Court of Justice inglese, investita della questione, aveva, dunque, sollevato davanti alla Corte di Giustizia numerose questioni pregiudiziali aventi ad oggetto la definizione dei limiti alla tutela del marchio comunitario nelle ipotesi di sfruttamento, tramite sistema di posizionamento su Internet, di parole chiave identiche al marchio altrui (cd. doppia identità). Con la sentenza in esame, la Corte ha sottolineato in primo luogo che la disciplina comunitaria attribuisce al titolare del marchio registrato il diritto di vietarne l uso da parte di terzi, nelle ipotesi in cui questo sia idoneo a compromettere una delle tre funzioni che gli sono proprie (indicazione d origine, pubblicità e investimento). Nello specifico, la corte ha stabilito che lo sfruttamento di un marchio altrui come parola chiave, nell ambito di un servizio di Keyword Advertising, risulta pregiudizievole: - quando l utilizzo della parola chiave non consente o consente solo difficilmente all utente medio di Internet di sapere se i prodotti o i servizi menzionati nell annuncio provengano dal titolare del

11 marchio o da un impresa economicamente collegata a quest ultimo o da un terzo (violazione della funzione di indicazione d origine); - quando intralci in modo sostanziale l utilizzo da parte del titolare del proprio marchio per acquisire o mantenere una reputazione idonea ad attirare i consumatori e a renderli fedeli (violazione della funzione di investimento). In secondo luogo, la Corte ha stabilito che il titolare del marchio che gode di notorietà ha diritto di inibire ad un proprio concorrente di fare pubblicità a partire da una parola chiave corrispondente al proprio marchio nell ambito di un servizio di posizionamento su Internet (quale, ad esempio, Google Adwords) nelle ipotesi in cui: - il concorrente tragga così indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio (cd. parassitismo); - tale pubblicità arrechi pregiudizio a detto carattere distintivo, contribuendo alla trasformazione del marchio in termine generico (cd. diluizione); - tale pubblicità arrechi pregiudizio alla notorietà del marchio (cd. corrosione). Infine, la Corte ha stabilito, per contro, che tale diritto non è accordato al titolare del marchio registrato che gode di notorietà nelle ipotesi in cui l annuncio pubblicitario proponga non una semplice imitazione dei prodotti o servizi del titolare del marchio, ma un alternativa rispetto ai prodotti o ai servizi del titolare di detto marchio senza provocarne una diluizione o corrosione o arrecare pregiudizio alle sue funzioni. Agcm chiude i procedimenti contro H3G e Wind L Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha chiuso il procedimento contro H3G S.p.A.-One Italia e contro Wind Telecomunicazioni S.p.A. per violazioni inerenti alla garanzia legale di conformità per i beni di consumo. In entrambi i procedimenti, l AGCM ha accettato gli impegni proposti dalle aziende interessate. Nel corso del procedimento contro H3G era emerso che le aree dedicate all acquisto da parte di consumatori di prodotti di telefonia fissa e mobile sui siti e (quest ultimo gestito da One Italia) non contenevano sufficienti informazioni sulla garanzia legale delle apparecchiature telefoniche vendute. In particolare, è stata evidenziata la carenza di informazioni in merito al contenuto e alle modalità di esercizio del diritto alla garanzia legale in caso di difetto di conformità dei beni di consumo acquistati, nonché in merito alle modalità di prestazione della garanzia legale e, specificamente, il dirottamento dei consumatori ai Centri di Assistenza Tecnica (CAT) del produttore. H3G si è impegnata a veicolare un adeguata campagna informativa attraverso i negozi propri e altrui, predisponendo altresì un analoga informativa a uso dei call center e integrando il proprio sito internet con le informazioni che la legge richiede di fornire ai consumatori. One Italia ha assunto analoghi obblighi informativi per la vendita via internet (peraltro cessata ad aprile 2010). Analogamente, Wind si è impegnata ad adeguare la propria comunicazione rivolta ai consumatori, sia online che offline. Il caso Baila! Il tribunale di Roma ha emesso una pronuncia storica in tema di tutela dei format televisivi. Il 23 settembre scorso il procedimento proposto, tra gli altri, da Milly Carlucci coautrice e interprete del programma di Raiuno Ballando con le stelle, versione italiana del format Strictly come dancing della BBC contro RTI ed Endemol (gruppo Mediaset), titolari del format Bailando por un sueno, ha portato all inibitoria del programma Mediaset per violazione del diritto di proprietà intellettuale. Il giudice Gabriella Muscolo ha ritenuto infatti che sia il format di Ballando con le stelle che quello di Baila appartenessero al genere talent show e fossero caratterizzati dall abbinamento di un VIP con un ballerino non famoso ai fini di una gara a eliminazione decisa da una giuria e da un meccanismo di televoto e finalizzata all aggiudicazione di un premio, di modo che i due format «appaiano l uno riproducente l altro». Le differenze nel format di Baila! rispetto a quello di Ballando sono state

12 ritenute insufficienti per differenziare i due programmi, sulla base dell «impressione immediata e sintetica dello spettatore medio». Una delle questioni principali affrontate dal tribunale di Roma nel caso Baila! è stata la qualificazione del format televisivo come opera dell ingegno. L ordinanza si è rimessa alla giurisprudenza ormai consolidata in materia e, pur senza citarla, alla sentenza dello scorso 17 febbraio 2010 con cui la Corte di Cassazione si è pronunciata per la prima volta in relazione ai format (o schemi di programmi ) televisivi. Il principio ribadito nel caso Baila! è che il diritto d autore può essere tutelato anche in relazione a format che consistano in idee modeste o nozioni semplici se e in quanto esse, pur nella loro modestia e semplicità, siano dotate di una loro individuabilità quale oggetto di elaborazione personale di carattere creativo da parte dell autore. Nel caso di specie, è stato ritenuto che Ballando con le stelle fosse caratterizzato da una creatività sufficiente a differenziarlo da altre gare di ballo, e che Baila! per come inizialmente congegnato fosse invece talmente simile da integrare la fattispecie di contraffazione. Il giudice cautelare ha invece escluso la fattispecie di concorrenza sleale confusoria per imitazione servile (art n.1) perché ha ritenuto che non risultino confondibili i servizi televisivi prestati da diverse emittenti. In altri termini, il fatto che i due programmi fossero trasmessi da emittenti diverse (Raiuno e Canale 5) è parso elemento sufficiente per escludere la concorrenza sleale confusoria. A seguito della pronuncia, Baila! è andato in onda con una struttura sostanzialmente differente da quella annunciata e valutata dal giudice Gabriella Muscolo: pur essendo ancora incentrata su una gara di ballo, prevedeva che le coppie fossero formate o da soli VIP o da sole persone non note. Diverso anche il meccanismo di selezione dei vincitori. Nel frattempo, il Tribunale di Roma ha anche respinto il reclamo proposto da R.T.I. contro l inibitoria, confermando così le ragioni del cautelare. A titolo di cronaca, il programma è stato poi chiuso da Canale 5 per via dei riscontri di pubblico non del tutto corrispondenti alle aspettative. Avviata istruttoria su acquisizione di DMT da parte di Elettronica Industriale (RTI) Il 5 ottobre l Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha deciso di avviare un istruttoria per verificare se l acquisizione del controllo esclusivo di Digital Media Technologies (DMT) da parte di Elettronica Industriale (detenuta da RTI, gruppo Mediaset) possa determinare la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante nel mercato delle infrastrutture per la radiodiffusione televisiva, con potenziali effetti escludenti nei mercati a valle. Elettronica Industriale è la società che si occupa della realizzazione, manutenzione e gestione delle reti con le quali sono diffusi la maggior parte dei servizi televisivi del gruppo Mediaset: DMT è il maggiore operatore indipendente italiano nel settore delle infrastrutture per reti televisive, radiofoniche e di Telecomunicazioni. Secondo i dati rilasciati dall AGCM, per effetto dell operazione, Elettronica Industriale controllerà un parco di infrastrutture ubicate in oltre siti capillarmente dislocati sull intero territorio nazionale, e potrebbe quindi avere sempre secondo AGCM sia la capacità che l interesse ad ostacolare e/o limitare l accesso alle infrastrutture da parte degli operatori di rete concorrenti e, di conseguenza, l attività di fornitori di servizi di media audiovisivi rivali attivi nel mercato della raccolta pubblicitaria televisiva e/o nel mercato della pay-tv. Avviate consultazioni pubbliche europee e italiane inerenti il mercato dei servizi telefonici La Commissione europea ha avviato due consultazioni pubbliche finalizzate al rafforzamento del mercato unico dei servizi telefonici e alla omogeneizzazione del mercato tra tutti gli Stati membri. La prima consultazione concerne l'accesso non discriminatorio di operatori alternativi alle infrastrutture e ai servizi degli operatori dominanti del settore. La seconda riguarda invece le modalità utilizzate dai regolatori nazionali per calcolare i prezzi che gli operatori devono pagare per tale accesso all'ingrosso (misure di orientamento ai costi). Le consultazioni sono aperte agli operatori di telecomunicazioni, alle associazioni di consumatori, ai regolatori nazionali, agli Stati membri e alle altre parti interessate fino al 28 novembre Gli esiti consentiranno alla Commissione di redigere raccomandazioni affinché le misure di non discriminazione e di controllo dei prezzi siano applicate in modo coerente e possano incentivare gli investimenti. Sul piano nazionale, l Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) ha deliberato (del. 112/11/CIR) l apertura di un altra consultazione concernente la proposta di provvedimento relativo al

13 servizio universale, e in particolare l applicabilità del meccanismo di ripartizione e valutazione del costo netto per l anno La consultazione AGCOM è scaduta lo scorso 4 novembre. Sanzionata SKY per violazione dei limiti di affollamento pubblicitario Il 13 settembre 2011 l Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) ha comminato a Sky una sanzione da ,00 euro per aver trasmesso, sul canale Sky Sport 1, 24 spot nell arco di una sola ora (dalle 21 alle 22), per una durata di 10 minuti e 4 secondi (pari ad un affollamento orario del 16,78%), in violazione dei limiti di affollamento orario fissati dall art del D.Lgs. 31 luglio 2005, n. 177 (Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi e Radiofonici). La norma infatti stabilisce che la trasmissione di spot pubblicitari televisivi da parte di emittenti a pagamento, anche analogiche, non può eccedere per l'anno 2010 il 16 per cento, per l'anno 2011 il 14 per cento, e, a decorrere dall'anno 2012, il 12 per cento di una determinata e distinta ora d'orologio; un'eventuale eccedenza, comunque non superiore al 2 per cento nel corso dell'ora, deve essere recuperata nell'ora antecedente o successiva. Durante il procedimento, Sky ha chiesto la disapplicazione dell art «in ragione della sua contrarietà ai principi fondamentali del diritto dell Unione europea e la violazione dei limiti della delega, conferita dalla legge n. 88 del 2009 (legge comunitaria) con conseguente contrasto del nuovo testo dell articolo 38, comma 5, rispetto all art.76 della Costituzione». Quanto alla violazione dei principi UE, Sky ha eccepito che: 1. la norma sarebbe discriminatoria delle emittenti a pagamento, in quanto costituente una «restrizione alla libera prestazione dei servizi»; 2. le esigenze di limitazione della pubblicità del telespettatore abbonato sono già sufficientemente tutelate dalla facoltà di disdire liberamente l abbonamento, e non è quindi necessaria una norma sull affollamento così restrittiva; 3. l effetto della norma è lesivo della concorrenza tra emittenti sul piano della raccolta pubblicitaria. L AGCOM ha rigettato tutti i motivi addotti da Sky, e in particolare ha declinato la propria capacità di costituirsi come giudice a quo del giudizio di costituzionalità richiesto dalla società per il presunto vizio di eccesso di delega del succitato Testo Unico. Accesso non autorizzato ai database - due importanti decisioni Il 27 ottobre le Sezioni Unite penali della Suprema Corte di Cassazione hanno stabilito che è configurabile il reato di intrusione abusiva in un sistema informatico o telematico telematico anche nel caso in cui un soggetto abilitato ad accedere alla banca dati per motivi di servizio vi acceda fuori dalle finalità del servizio. Per quanto invece riguarda l individuazione del foro di competenza per simili reati, il tribunale di Firenze, accogliendo un eccezione di incompetenza territoriale, ha recentemente stabilito che non rileva il luogo dal quale si è acceduto al database, ma unicamente quello dove fisicamente si trova il sistema informatico violato. AGCM riapre il procedimento contro la Lega Nazionale Professionisti per i diritti tv dei campionati di calcio di Serie A e B e 2011 Il 17 ottobre scorso l Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha riaperto il procedimento avviato il 22 luglio 2009 nei confronti della Lega Nazionale Professionisti (LNP) per violazione delle norme nazionali ed europee sulla concorrenza relativamente alla cessione dei diritti audiovisivi per i campionati di calcio di Serie A e B e Tale procedimento era stato chiuso il 10 gennaio 2010 da una delibera della stessa AGCM, poi annullata dal TAR Lazio e infine definitivamente dal Consiglio di Stato lo scorso 12 aprile. La riapertura del procedimento costituisce dunque ottemperanza alla decisione dell organo di appello della giustizia amministrativa. Il procedimento dovrà ora concludersi entro il 30 giugno A seguito della riapertura, si ritiene probabile che il procedimento sfoci nell irrogazione di una sanzione nei confronti della LNP, dato che, come già appurato dal Consiglio di Stato, una riduzione della concorrenza tra gli operatori delle pay-tv nello sfruttamento dei diritti calcistici, come quella messa in atto dalla Lega, produce effetti deleteri sul mercato a valle in quanto idonea «a produrre effetti negativi sui consumatori, conducendo a prezzi di fruizione dei contenuti televisivi potenzialmente più elevati e ad una inferiore varietà e qualità dell offerta».

14 Opere musicali nei trailer cinematografici e diritto d autore La SIAE sta chiedendo licenze ai siti con finalità commerciale per i diritti degli autori della musica abbinata ai trailer cinematografici messi on line. La legge sul diritto d autore prevede in effetti che qualsiasi uso dell opera debba essere autorizzata dagli autori, a prescindere dalla sincronizzazione della musica con il trailer, già regolato dal produttore. Quindi, gli autori di fatto possono sempre ritenere che la presenza delle loro opere in certi siti o in certi social networks per fini commerciali, non sia gradita, ed agire di conseguenza, sempre che i siti non abbiano una regolare licenza. La SIAE, in persona del direttore dell Ufficio Multimedialità, ha chiarito che le licenze si applicherebbero per trailer con brani superiori ai 40 secondi, non si applicherebbero ai link diretti, sarebbero rilevanti le pagine dei social network, operando comunque una distinzione tra pagine commerciali e quelle di utenti privati che hanno un profilo o un sito senza scopo di lucro. Vista la difficoltà di valutare i singoli casi, questi andranno verificati di volta in volta. Inoltre, la Siae sta preparando un tariffario dettagliato per le licenze in questione

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