Patologia neoplastica della prostata

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3 PATHOLOGICA 005;97:63-66 Patologia neoplastica della prostata Moderatore: G. Massarelli (Sassari) Carcinoma prostatico: richieste dell urologo al patologo S. Rocca Rossetti Professore Emerito di Urologia, Università di Torino La collaborazione tra anatomopatologi e urologi è assolutamente indispensabile, non soltanto sul piano della quotidianità assistenziale, ma anche (se non) soprattutto su quello dottrinale e scientifico. Per i centri nei quali è d uso l incontro settimanale sui casi esaminati, collegialmente discussi, tale collaborazione esprime al massimo i suoi frutti e sarebbe dunque auspicabile che in tutti i dipartimenti vigesse questa ormai ben sperimentata consuetudine. L urologo ha necessità di dialogare strettamente col patologo per l incessante evoluzione della sua materia, nella speranza che il patologo possa risolvere i problemi che egli deve affrontare. In concreto per il carcinoma della prostata, lì dove un paio di decenni or sono quasi tutto sembrava scontato e abbastanza semplice, attualmente non poche incognite cliniche angustiano la nostra opera, che affondano le radici in problemi essenzialmente patologici; da ciò ci vien fatto di avanzare alcune richieste, di cui sinteticamente espongo le motivazioni. ) Gleason score; per gli urologi rappresenta una classificazione pressoché indispensabile per il suo valore diagnostico e ancor più per quello prognostico: è possibile uniformare le conclusioni diagnostiche riguardo al Gleason, specificando sempre lo score? Ho notato talora che l urologo può confondere il numero del grado con la somma dei due numeri dello score, il che può condurre ad errori di indicazione terapeutica; presumibilmente l omissione dello score è dovuta all esiguità del campione inviato; dunque potrebbe essere opportuno che i patologi indichino la quantità minima di tessuto su cui esprimersi, perché gli urologi si adeguino tecnicamente nell esecuzione delle biopsie, ossia inviando frustoli delle dimensioni richieste. Altro dato interessante è quello relativo alla corrispondenza del Gleason score bioptico con quello definitivo dopo prostatectomia; è evidente che le indicazioni terapeutiche saranno tanto più precise quanto maggiore è la possibilità di basarsi sull attendibilità del dato bioptico; la letteratura recente valorizza questa problematica. ) Tumore insignificante; i problemi che tale concetto pone non sono pochi; per la maggioranza degli urologi in pratica si considera insignificante il tumore incidentale di basso grado, del tutto circoscritto e di esigue proporzioni, benché anche per queste lesioni non pochi urologi sono favorevoli alla terapia radicale per pazienti giovani; ciò dimostra che il tumore si presume abbia un evolutività e dunque insignificante non sia: Ma a parte il Ta, esiste una problematica interessante relativa al riscontro non eccezionale di T0 dopo prostatectomia eseguita sia dopo terapia neoadiuvante (e una spiegazione è intravedibile) e sia senza -4. È evidente che in questi casi il dubbio dell overtreatment esiste e moralmente pesa. In concreto, l urologo potrebbe porre una domanda apparentemente semplice se non addirittura banale: esiste il tumore insignificante rilevabile alla biopsia (evidentemente eseguita per un qualche sospetto obiettivo, strumentale o laboratoristico)? 3 ) Il PIN d alto grado in alta percentuale s associa a carcinoma della prostata, ma in se non essendo un carcinoma, non giustifica una terapia aggressiva, ossia radicale, né moralmente, né legalmente; biopsie ripetute nel tempo, spesso consentono di raggiungere la diagnosi di carcinoma, col risultato di aver perso tempo forse prezioso durante il quale la qualità della vita del paziente è ovviamente compromessa; nei casi di PINHG trattati con prostatectomia radicale (nella mia casistica si trattava di colleghi urologi o in ogni caso medici che hanno voluto rischiare un intervento eventualmente sproporzionato) s è sempre trovato un carcinoma. Quali contributi al riguardo può offrire oggi il patologo anche alla luce di nuove acquisizioni di colorazioni immunoistochimiche con anticorpi monoclinali 5? 4 ) I tumori neuroendocrini puri della prostata, fortunatamente rari. costituiscono un capitolo complesso, reso difficile soprattutto per l impossibilità pressoché costante di dimostrare la natura della sostanza secreta; non è raro invece trovare una componente neuroendocrina nel comune carcinoma prostatico; essa può assumere non poco valore prognostico, com è dimostrato da ricerche anche recenti 6 sull utilizzo di marcatori specifici; specificare l esistenza di tale componente istologicamente dimostrata potrebbe essere di grande aiuto nel formulare la prognosi e nell impostare la terapia. 5 ) Ricerche recenti hanno affermata l importanza dello stroma nell induzione di fenomeni carcinogenetici dell epitelio, di diffusione e di metastatizzazione; sarebbero già ipotizzabili ricadute terapeutiche da tali ricerche 7 ; fino a che punto il patologo è attualmente in grado di utilizzare ai propri fini le nuove acquisizioni molecolari sull interazione tumorogenetica stroma-epitelio? Bibliografia Montironi R, Mazzucheli A, Scarpelli M, Lopez-Beltrani A, Fellegara G, Algaba F. Gleason grading of prostate cancer in needle biopsies or radical prostatectomies specimens: contemporary approach,current clinic significance and source of pathology discrepancies. Br J Urol 005;95:46-5. Herkommer K, Kuefer R, Gschwend JE, Hautmann RE, Volkmer BG. Pathological T0 prostate cancer without neoadjuvant Therapy: clinical presentation and follow-up. Eur Urol 004;45: Hammerer P. pt0 after radical prostaectomy; overtreatment for insignificant prostate cancer? Eur Urol 004;45:35. 4 Kollerman J, Hopfenmuller W, Caprano J, Budde A, Weidenfeld H, Weidenfeld M, et al. Prognosis of stage pt0 after prolonged neoadjuvant endocrine therapy of prostate cancer: a matched-pair analysis. Eur Urol 004;45: Chan TY, Mikolajczyk SD, Lecksell K, Shue MJ, Rittenhause HG, Partin AW, et al. Immunohistochemical staining of prostate cancer with monoclonial antibodies to the precursor of prostate specific antigen. Urology 003;6: Kamiya N, Akakura K, Suzuki H, Isshiki S, Komiya A, Ueda T, et al. Preteatment serum level of neuron specific enolase (NSE) as a pronostic factor in metastatic prostate cancer patients treated with endocrine therapy. Eur Urol 003;44: Sung SY, Chung LWK. Prostate tumor-stroma interaction: molecular mechanism and opportunities for therapeutic targeting. Differentiation 00;70:506-.

4 64 RELAZIONI Gleason grading of prostate cancer. Contemporary approach R. Montironi, F.R.C. Path, R. Mazzucchelli Institute of Pathological Anatomy and Histopathology, Polytechnic University of the Marche Region, Ancona, Italy The Gleason score of adenocarcinoma of the prostate is the quintessential prognostic factor in predicting findings in radical prostatectomy (pathologic stage), biochemical failure, local recurrences, lymph node or distant metastasis in patients receiving no treatment, radiation therapy, radical prostatectomy and other therapies including cryotherapy and neoadjuvant therapy. The needle biopsy Gleason score also correlates with virtually all other pathologic parameters including tumor volume and inked margin status in radical prostatectomy specimens, serum PSA levels and many molecular markers. Specifically, Gleason scores of 7-0 are associated with worse prognoses, and tumors with Gleason scores 5-6 are associated with lower progression rates after definitive therapy. The predictive value of Gleason score is enhanced when combined with other clinical parameters including digital rectal examination and serum PSA levels. In recent years, nomograms have been developed to predict pathological stage on radical prostatectomy, and disease progression after surgery or radiation therapy. Nomograms typically include pretreatment variables including clinical stage, Gleason score, serum PSA, amount of cancer in needle biopsy, etc. Based on statistical modeling of cumulative, prospectively accrued data on large consecutive series of patients, the nomograms have reasonable discriminatory ability to predict (depending on the nomogram patient cohort and statistical modeling) the pathologic stage, seminal vesicle involvement, lymph node metastases, biochemical failure, small volume organ-confined tumors, response to radiotherapy, etc. Such nomograms are used with increasing frequency in clinical practice by urologists and radiation oncologists to counsel their patients regarding therapeutic options and potential risk for failure based on therapy they may choose. Inclusion of the needle biopsy Gleason score in all clinically valid nomograms is testimony to the prognostic and predictive power of this grading system and its central role in contemporary prostate cancer patient management. Gleason score is also often used to determine eligibility for clinical trials, including those for watchful waiting. While the pivotal role of Gleason score in the needle biopsy is not in question, the method of reporting needs clarification of few issues including some not addressed in the original Gleason system. The most significant new recommendation is to separately report the Gleason score for each recognizable core irrespective of whether the cores are individually submitted (in individual container signifying specific anatomic location, e.g., right base), or submitted together; (more than one core, possibly sampling different areas of the prostate, e.g., three cores from the left apex, mid and base sent in one container). The needle biopsy core(s) with the highest Gleason score is often given the most weight in clinical decision making and hence should be identifiable as a separate Gleason score, information which would be lost if individual cores were not graded. If extreme fragmentation makes grading of individual cores difficult, the emphasis should be to identify and provide information on the core with the highest Gleason score. A recent survey of the surgical members of the Society of Urologic Oncology indicated that 8% used the highest Gleason score in a positive biopsy, regardless of the overall percentage involvement, to determine their treatment plan. This paradigm was also used in the creation and validation of Kattan nomograms, Partin tables that are currently in wide clinical use. Assigning a global (composite) score is optional. Another important change is the recognition and reporting of the tertiary pattern in needle biopsies. Tertiary patterns are uncommon but when the worst Gleason grade is the tertiary pattern, it should influence the final Gleason score. Examples: a case with primary Gleason pattern 3, secondary pattern 4, and tertiary pattern 5 should be assigned a Gleason score of 8; a case with primary Gleason pattern 4, secondary pattern 3, and tertiary pattern 5 should also be assigned a Gleason 8 (secondary score being 4 based on the average of patterns 5 and 3 = 4) or Gleason score 9 (pattern 4 + 5). The data regarding the importance of the percentage of Gleason 4 pattern in Gleason score 7 tumors is rapidly expanding. In recently generated nomograms, patients with Gleason score vs are stratified differently, underscoring the importance of the relative amount of pattern 4. Whether or not the actual percentage of 4 pattern tumor should be included in the report is not clear based on published data to date and, if this emerges as an important parameter, meaningful discriminatory cut-off points for percentage of pattern 4 will need to be defined. The diagnosis of Gleason score -4 should not be made on needle biopsies. The reasons for not making this diagnosis are compelling: ) Gleason score -4 cancer is extraordinarily rare in needle biopsies as compared to transurethral resection specimens; ) there is poor reproducibility among experts for lower grade tumors; 3) the correlation with the prostatectomy score for Gleason -4 tumors is poor and approximately half of the prostatectomies in one study had extraprostatic extension; and 4) a low score of Gleason -4 may misguide clinicians and patients into believing that there is an indolent tumor. Cancro prostatico: basi molecolari F. Buttitta Dipartimento di Oncologia e Neuroscienze, Università di Chieti; Aging Research Center (CeSI), G. d Annunzio University Foundation, Chieti Come per altri tumori solidi, l eziologia del carcinoma prostatico è di tipo multifattoriale e va ricercata in una complessa interazione fra fattori genetici ed ambientali. Il suo sviluppo è legato all età e allo stato ormonale dell individuo. Quest ultimo aspetto, in modo particolare, è stato oggetto di svariate indagini molecolari in quanto la prostata è essenzialmente un organo sotto il controllo androgenico. Gli androgeni, nell ambito dei quali il diidrotestosterone rappresenta il metabolita attivo, si legano al corrispondente recettore (AR) in sede citoplasmatica. Il complesso che ne deriva trasloca al nucleo dove, a seguito di un processo di dimerizzazione, è in grado di legarsi a sequenze geniche specifiche (ARE = elementi androgeno-responsivi) e conseguentemente attivare la trascrizione di geni coinvolti nella proliferazione e sopravvivenza cellulare. Questa via di trasmissione del segnale sembra essere essenziale per lo sviluppo e mantenimento delle funzioni prostatiche, ma anche per lo sviluppo della crescita neoplastica. La crescita della maggior parte dei carcinomi prostatici è infatti, almeno nelle fasi iniziali, androgeno-dipendente e per tale motivo la terapia medica, basata sull ablazione an-

5 PATOLOGIA NEOPLASTICA DELLA PROSTATA 65 drogenica associata ad antiandrogeni, è mirata al raggiungimento di un blocco androgenico totale. L efficacia dell androgeno-deprivazione è tuttavia notoriamente limitata nel tempo e la maggior parte dei tumori prostatici con insita capacità evolutiva, da una fase di ormono-responsività passa successivamente ad una fase definita ormonorefrattaria o ormono-indipendente. Questa transizione è di particolare interesse sia biologico che clinico poiché l individuazione precoce di fattori molecolari predittivi di ormono-indipendenza consentirebbe di selezionare in maniera più opportuna i pazienti da sottoporre a protocolli terapeutici più aggressivi. La biologia molecolare del cancro prostatico è caratterizzata da alterazioni a carico di alcune importanti vie di regolazione cellulare, quali la via di trasmissione del segnale innescata dall attivazione di AR e le vie che regolano l apoptosi, e dalla compromissione di geni la cui funzione è cruciale nei processi di adesione cellulare e di trasmissione del segnale. Numerosi sono gli studi condotti fino ad ora sulle alterazioni geniche di AR. Il recettore per gli androgeni è raramente sede di mutazioni o interessato da processi di amplificazione nei tumori primitivi non trattati. Al contrario, sia mutazioni che eventi di amplificazione genica sono stati riscontrati in tumori trattati con antiandrogeni. In tali tumori mutazioni del recettore, infatti, sono state documentate in circa il 0-5% dei casi. Alcune di queste mutazioni altererebbero la specificità di legame fra ligando e recettore per gli androgeni e quest ultimo, paradossalmente, verrebbe attivato proprio dagli antiandrogeni. Amplificazioni del recettore sono presenti nel 30% dei tumori ormono-refrattari ed una over-epressione della proteina recettoriale è documentabile in quasi tutti questi tumori. Questo dato suggerisce che l amplificazione genica e/o l overespressione proteica potrebbero essere responsabili di una aumentata sensibilità a bassi livelli di androgeni piuttosto che ad ormono-indipendenza e giustificare così la progressione neoplastica. Fra i geni più frequentemente alterati nel cancro prostatico va citato l enzima Glutatione S-transferasi di classe π. Tale enzima va incontro a silenziamento per ipermetilazione del promotore nel 70% delle lesioni di tipo PIN e nel 90-95% del carcinoma prostatico. Si tratta quindi di una alterazione genica precoce che potrebbe rappresentare un marker diagnostico, come alcuni autori hanno proposto. I principali geni coinvolti nella regolazione del processo apoptotico, quali TP53 e Bcl, mostrano entrambi anomalie di espressione e di funzione. La maggior parte degli studi sono concordi sul fatto che TP53 risulta implicato nei processi di ormono-resistenza. Esso presenta raramente mutazioni nei tumori precoci o localizzati, mentre va incontro a mutazione in fase più tardiva. Il 0-40% dei tumori metastatici e/o ormono-refrattari presentano infatti mutazioni di TP53. Analogamente, l overespressione di Bcl è presente nei tumori che non rispondono all ormonoterapia o che progrediscono precocemente dopo l inizio del trattamento ormonale. Una delle vie più importanti che comporta una deregolazione dei processi apoptotici e che viene attivata indipendentemente da AR è quella che coinvolge PTEN. Nelle cellule normali PTEN inibisce l attivazione della via Fosfatidil-inositolo 3 chinasi-akt. All attivazione di AKT consegue una serie di eventi, tutti rivolti al mantenimento della sopravvivenza cellulare. Pertanto, nelle cellule normali PTEN consente alle cellule di andare in apoptosi, mentre nelle cellule neoplastiche, il blocco di PTEN, documentato soprattutto nelle cellule ormono-indipendenti, consente una attivazione di AKT e quindi una inibizione dei processi apoptotici attraverso l inibizione di proteine a funzione proapoptotica. Tutte queste acquisizioni bio-molecolari sono in armonia con studi di ibridazione genomica comparativa che hanno dimostrato come aree cromosomiche soggette ad alterazione nel cancro prostatico in fase ormono-responsiva siano differenti da quelle colpite durante la progressione neoplastica. Negli ultimi anni un interesse notevole è stato rivolto alle alterazioni geniche germinali che potrebbero modificare la suscettibilità individuale all insorgenza del cancro prostatico. Recentemente è stato proposto un modello multigenico di suscettibilità basato sulla presenza di sequenze polimorfiche. Un esempio è offerto dalla regione transattivante del gene AR che è sede di polimorfismi, uno dei quali consiste in una ripetizione in tandem CAG nell esone. L attivazione genica da parte di AR è inversamente correlata al numero delle triplette CAG. La presenza di varianti corte potrebbe predisporre ad una cronica iperstimolazione androgenica e ad un alto rischio di sviluppare il tumore. Inoltre, è stato notato che geni coinvolti con il metabolismo degli androgeni, quali il gene 7-hydroxylase cytochrom P-450 (CYP7) e il gene 5 reductase type II (SRD5A), sono sede di polimorfismi che potrebbero influenzare la suscettibilità al cancro della prostata. Una transizione T-C (allele ) nel promotore di CYP7 potrebbe associarsi a più alti livelli di trascrizione genica. Gli alleli A sarebbero presenti con maggior frequenza in pazienti con cancro prostatico (70%) rispetto a pazienti urologici di controllo. Il gene SRD5A presenta polimorfismi con diversa attività enzimatica. Gli individui a più alta attività potrebbero essere a maggior rischio di cancro della prostata. Questo campo di indagini è in espansione e varie altre sequenze polimorfiche entrano in gioco nella valutazione globale del grado di suscettibilità. Patologia neoplastica della prostata: prospettive E. Di Carlo Dipartimento di Oncologia e Neuroscienze, Sezione di Anatomia patologica, Università G. d Annunzio e Centro Studi e Ricerche sull Invecchiamento, Ce.SI., Chieti, Italia Il carcinoma della prostata si colloca al secondo posto come frequenza tra i tumori che colpiscono il sesso maschile ed al terzo posto come causa di morte. La sua incidenza, legata all età, è in aumento in relazione all incremento della vita media della popolazione ed alla disponibilità di più accurate procedure diagnostiche. Mentre progrediscono le ricerche di genetica molecolare per l identificazione di geni (es.: SRD5A ed ELAC) o regioni geniche (es.: HPC-, PCaP, CAPB ed i polimorfismi del gene CYP7) indicative del rischio di sviluppare carcinoma prostatico, non esistono attualmente trattamenti per prevenirne l insorgenza o curarne gli stadi precoci. Inoltre, le terapie disponibili per la cura degli stadi tardivi presentano pesanti rischi collaterali e non hanno ridotto significativamente l incidenza ed il tasso di mortalità. I trattamenti di tipo immunologico vanno incontro all esigenza di un approccio preventivo e/o terapeutico privo di significativi effetti collaterali e facilmente accettabile dal paziente anziano. Sulla base di queste considerazioni, il nostro gruppo di ricerca ha progettato di attuare una strategia immunologica in un contesto di prevenzione, ovvero, somministrare un vaccino in associazione ad una molecola immunomodulante (trattamento combinato) prima dell insorgenza di cancro prostatico in animali geneticamente condizionati a sviluppare questo tumore. Il modello sperimentale in questione, denominato TRAMP (Transgenic Adenocarcinoma of Mouse Prostate),

6 66 RELAZIONI consiste in un ceppo di topi C57BL/6 che presenta il frammento -46/+8 del gene della probasina di ratto (PB) fuso con il gene che codifica per SV40 T antigen. L espressione del transgene PB-SV40 T antigen, T-Ag, inizialmente regolata dagli androgeni, è ristretta all epitelio della prostata dorsolaterale. I topi TRAMP rappresentano un ideale modello preclinico di cancro prostatico che riassume le caratteristiche istopatologiche della carcinogenesi prostatica umana. Essi sviluppano, nella prostata dorso laterale, multipli focolai di neoplasia prostatica intraepiteliale (low and high grade PIN) verso la 7 a settimana di vita e, successivamente, un adenocarcinoma ben differenziato (8- a settimana) che progredisce in carcinoma androgeno-indipendente scarsamente differenziato (5 a e la 5 a settimana) oppure a piccole cellule con aspetto neuroendocrino e metastasi ai linfonodi, vertebre, ghiandole surrenali e polmone (8-3 a settimana). La validità e quindi il grado di predittività di questo modello sperimentale di cancro prostatico sono dimostrate dalle numerose analogie con la patologia umana: a) istologicamente, sia nel modello murino che nell uomo, il carcinoma prostatico è contraddistinto dalla perdita dello strato di cellule basali (positività per citocheratine ad alto peso molecolare o per p63), dalla espressione di Ep-CAM sulle cellule neoplastiche e dalla perdita di AR nei carcinomi indifferenziati, b) in entrambi i casi l espressione di EGFR, EGF, IGF-, IGF-R, ERK- e -, FGF- ed VEGFR è strettamente associata alla crescita tumorale, c) sia nel carcinoma prostatico murino che in quello umano i geni codificanti gli antigeni STEAP (sixtransmembrane epithelial antigen of the prostate) e PSCA (prostate stem cell antigen) risultano up-regolati. Il trattamento immunologico combinato, in corso di sperimentazione presso i nostri laboratori, consiste nel somministrare ai topi TRAMP, a partire dalla sesta settimana di vita, in cicli della durata di tre settimane, un vaccino cellulare (x0 6 cellule allogeniche H- d originate da topi BALB/c ed ingegnerizzate ad esprimere l antigene T-ag, i.p.) addizionato con interleuchina (IL-) (00 ng/die, i.p.). Questa strategia preventiva, che ha già dimostrato notevole efficacia in modelli murini di carcinogenesi mammaria spontanea 3 4, si basa concettualmente sull associazione di differenti stimoli immunologici denominati:. T-Ag, un antigene selettivamente espresso nell epitelio della prostata dorso-laterale dei topi TRAMP e che ne condiziona la trasformazione neoplastica;. allo-mhc di classe I (H- d ) espresso da cellule allogeniche del vaccino ed in grado di innescare una imponente reazione infiammatoria ed una rapida distruzione delle cellule del vaccino, facilitando la cross-presentazione dell antigene T-Ag da parte delle Antigen Presenting Cells (APC) dell ospite; 3. IL-, una citochina di tipo Th dotata di proprietà antitumorali mediate dalla attivazione di linfociti e cellule NK e secondario rilascio di interferon (IFN)-γ e chemochine anti-angiogeniche di tipo CXC 4. Inoltre, l IL- aumenta la generazione delle cellule APC in vivo e la loro resistenza all apoptosi promossa dal microambiente tumorale inducendo la proteina anti-apoptotica Bcl-xL. La somministrazione della sola IL- determina un significativo (p < 0,05, test di Mantel-Haenszel) ritardo nell insorgenza e progressione del cancro prostatico ed un aumento dei tempi di sopravvivenza. Alla -5 a settimana di vita le analisi istologiche della prostata degli animali trattati rivelano unicamente la presenza di focolai di low grade PIN e scarsi aspetti di high grade PIN. Tuttavia l incidenza tumorale risulta invariata e tutti gli animali muoiono a causa della malattia. La somministrazione delle sole cellule allogeniche è meno efficace rispetto a quella dell IL-, ma i loro effetti risultano sinergici nel trattamento combinato. Infatti, alla 30 settimana di età circa l 80% degli animali sottoposti a trattamento combinato presentano unicamente focolai di PIN e fino alla 40 settimana il 60% di essi non ha sviluppato adenocarcinoma. Al termine dell esperimento (60 a settimana) circa il 0% degli animali è libero da tumore e presenta ampi centri germinativi a livello dei linfonodi peri-prostatici ed una elevata produzione di IFN-γ, prodotta soprattutto dai linfociti T CD4 +, a livello splenico, mentre l attività CTL risulta scarsa. Tali aspetti si associano ad elevati livelli sierici di anticorpi anti-t-ag e di IFN-γ. Lo studio istopatologico delle prostate prelevate dagli animali sviluppanti tumore rivela a) una minore incidenza di cancro indifferenziato rispetto ai controlli, b) frequenti zone di necrosi ischemico-emorragica del tumore coesistenti con aspetti di apoptosi delle cellule tumorali, scarso sviluppo della rete microvascolare, modica infiltrazione di linfo-monocitaria, c) ridotta incidenza di malattia metastatica. In conclusione, la disponibilità di modelli transgenici in grado di riprodurre sotto il profilo biologico ed istopatologico il processo multi-step della carcinogenesi prostatica umana offre la possibilità di ) ricercare nuovi marcatori tissutali e sierologici (mutazioni geniche, proteine tumore-specifiche) di cancro prostatico utili per la diagnosi precoce e per la prognosi e ) sperimentare strategie di profilassi e cura che abbiano significato pre-clinico e traslazionale 5. Bibliografia Kaplan-Lefko PJ, Chen TM, Ittmann MM, Barrios RJ, Ayala GE, Huss WJ, et al. Pathobiology of autochthonous prostate cancer in a pre-clinical transgenic mouse model. Prostate 003;55:9-37. Roy-Burman P, Wu H, Powell WC, Hagenkord J, Cohen MB. Genetically defined mouse models that mimic natural aspects of human prostate cancer development. Endocr Relat Cancer 004;: Nanni P, Nicoletti G, De Giovanni C, Landuzzi L, Di Carlo E, Cavallo F, et al. Combined allogeneic tumor cell vaccination and systemic interleukin prevents mammary carcinogenesis in HER-/neu transgenic mice. J Exp Med 00;94: Di Carlo E, Rovero S, Boggio K, Quaglino E, Amici A, Smorlesi A, et al. Inhibition of mammary carcinogenesis by systemic interleukin or p85neu DNA vaccination in Her-/neu transgenic BALB/c mice. Clin Cancer Res 00;7(Suppl 3):830s-837s. 5 Di Carlo E, Sorrentino C, D Antuono T, De Giovanni C, Cavallo F, Musiani P. Mouse Tumorigenesis Models as an Aid to Understanding Human Cancer. Transworld Research Network (ed). Recent Res Devel Hum Pathol 003;:37-50.

7 PATHOLOGICA 005;97:67-68 Patologia neoplastica della mammella Moderatore: I. Nenci (Ferrara) Le indagini di morfologia molecolare con immunoistochimica nelle proliferazioni duttali mammarie D. Angelucci, G. Castrilli, L. Di Giovannantonio, T. D antuono, A. Pelliciotta, R. Bellocci Istituto di Anatomia Patologica Università/ASL Chieti La classificazione attuale della patologia proliferativa mammaria si basa sul riconoscimento di due distinte linee di differenziazione cellulare: quella luminale e quella basale/mioepiteliale. Le due popolazioni sono caratterizzate rispettivamente dalla positività immunoistochimica per CK 8/8/9 e per AML. Evidenze recenti hanno individuato un terzo tipo cellulare con positività per CK5. Per tali cellule è stata ipotizzata una funzione STEM con capacità di generare popolazioni a fenotipo intermedio (CK5+/CK8+ e CK5+/AML+) dalle quali deriverebbero gli elementi luminali (CK8+) e mioepiteliali (AML+) con differenziazione terminale. Questa osservazione tenderebbe ad escludere il passaggio obbligato attraverso l iperplasia duttale tipica (DH) per arrivare alla iperplasia duttale atipica/carcinoma duttale in situ (ADH/DCIS). Crescenti osservazioni, confortate anche da valutazioni di natura citomorfologica e citogenetica, attestano l esistenza di pattern immunofenotipici differenti nella DH da un lato e nell ADH/DCIS dall altro, non spiegabili in base al classico modello di progressione lineare, nella genesi del carcinoma mammario 3. Secondo il nuovo modello patogenetico le DH e le ADH/DCIS rappresenterebbero due entità distinte causate da alterazioni, a diversi livelli, dei processi di proliferazione e differenziazione cellulare. Si confrontano pertanto ipotesi: quella evoluzionistica, più datata e quella compartimentalistica, più recente. I fautori della prima negano l esistenza di una popolazione cellulare con funzioni STEM che esprima solo CK5 in assenza di altri markers di differenziazione luminale o mioepiteliale. La popolazione STEM-CK5+, potrebbe, pertanto, rappresentare un artefatto giacché è repertata solo su sezioni ottenute da materiale in paraffina, ma non su frozen sections 4. L ipotesi evoluzionistica, al contrario, considera la DH, l ADH ed il DCIS come tappe successive di un modello di progressione lineare che inesorabilmente culmina nel Carcinoma Duttale Infiltrante (IDC). Queste considerazioni impongono ora la corretta interpretazione dei quadri di Morfologia Molecolare/Immmunoistochimica, assolutamente distinti, di DH vs. ADH/DCIS quando si usi un panel di anticorpi costituito da AML, p63 e da CK4, CK5 e CK8. Morfologia Molecolare Immunoistochimica dell epitelio del DOTTO NORMALE non proliferante Il versante luminale è caratterizzato dalla pressoché esclusiva presenza di cellule con markers di differenziazione specifici quali le CK8/8/9 con veramente rare cellule positive per CK5/4. Lo strato basale consta di cellule uniformemente ed intensamente positive per markers di differenziazione mioepiteliale/basale come AML, CK5/4 e p63. Morfologia Molecolare Immunoistochimica dell epitelio del dotto con DH Nel compartimento luminale proliferante si apprezza la commistione di due popolazioni cellulari distinte che mostrano, rispettivamente, immunofenotipo CK8+ e CK4/CK5+ 3. Nello strato basale le cellule mioepiteliali risultano positive per AML, CK4, CK5 e p63. È interessante sottolineare come gli elementi cellulari basali/mioepiteliali CK5+/CK4+, quando posizionati più luminalmente non esprimano l AML che resta, così, segregata al solo livello basale. Morfologia Molecolare Immunoistochimica dell epitelio del dotto con ADH/DCIS Il compartimento luminale proliferante della ADH/DCIS ha, come peculiare pattern, l assenza di commistione di popolazioni distinte. Le cellule luminali, infatti, mostrano reattività solo per CK8, senza alcuna positività per CK5 3. Questa rigida separazione sembra avvalorare l ipotesi compartimentalistica, che prevede una crescita monoclonale nel carcinoma a partire da una cellula indirizzata in senso neoplastico maligno sin dall inizio. Viceversa nella DH si avrebbe una crescita policlonale caratterizzata dalla esuberanza di cellule proliferanti a fenotipo basale/mioepiteliale accompagnata da un iperplasia delle cellule luminali. Vi sono però quadri di morfologia molecolare sicuramente intermedi che pongono più di un dubbio sulla reale separazione dei due processi, carcinomatoso ed iperplastico, mentre sono molto evocativi di transizione (evoluzione) da DH vs. ADH/DCIS. Questi pattern evolutivi sono realmente stimolanti ed utili perché suggeriscono, a nostro avviso, la possibilità di differenziare, nell ambito delle proliferazioni atipiche di grado severo, l ADH dal DCIS. Sono certamente DCIS le proliferazioni duttali monoclonali a fenotipo CK8+, in cui residuano perifericamente, cioè a livello rigorosamente basale, elementi CK5+/CK4+ e AML+. Nelle crescite epiteliali intraduttali a tipo ADH si repertano tre strati : a) uno basale con usuale pattern di morfologia molecolare; b) uno atipico luminale, sovrabasale, esuberante, con esclusivo immunofenotipo CK8 non-commisto; c) uno costituito da residue cellule morfologicamente non atipiche, localizzate al di sopra della popolazione neoplastica proliferante CK8+, a ridosso del lume del dotto, con immunofenotipo CK5+/CK4+ e AML-. Con questa modalità di classificazione, molto interessante appare l osservazione di quadri diversi di DH, ADH e DCIS non solo nell ambito di una stessa zona del tessuto mammario, ma anche in differenti punti di uno o più quadranti (multifocalità e multicentricità). La dimostrazione di queste aree evolutive implica importanti ricadute terapeutico-prognostiche e di follow-up: ) possibilità di individuare e discriminare le iperlasie dell epitelio duttale a rischio di evoluzione carcinomatosa; ) maggiore accuratezza nel predire la multifocalità e multicentricità; 3) capacità di valutare di persistenza ed iper-intensità dello stimolo iperplasizzante (ormonale o di altra natura) quando integrata da altri parametri, come i recettori estro-progestinici, per decidere su terapie a lungo termine. Bibliografia Boecker W, Buerger H. Evidence of progenitor cells of glandular and myoepithelial cell lineages in the human adult female breast epithelium: a new progenitor (adult stem) cell concept. Cell Prolif 003;36: Otterbach F, Bankfalvi A, Bergner S, Decker T, Krech R, Boecker W. Citokeratin 5/6 immunoistochemistry assists the differential diagnosis

8 68 RELAZIONI of atypical proliferations of the breast. Histopathology 000;37: Boecker W, Moll R, Dervan P, Buerger H, Poremba C, et al. Usual ductal hyperplasia of the breast is a committed stem (progenitor) cell lesion distinct from atypical ductal hyperplasia and ductal carcinoma in situ. J Pathol 00;98: Clarke CL, Sandle J, Parry SC, Reis-Filho JS, O Hare MJ, Lakhani SR. Cytokeratin 5/6 in normal human breast: lack of evidence for a stem cell phenotype. J Pathol 004;04:47-5. Patologia neoplastica della mammella: prospettive M. Iezzi Dipartimento di Oncologia e Neuroscienze, Università di Chieti; Aging Research Center, CeSI, G. d Annunzio University Foundation, Chieti Il carcinoma della mammella è la più frequente malattia tumorale che colpisce la popolazione femminile nei paesi sviluppati e, solo in Italia, si registrano più di nuovi casi all anno. Nonostante i notevoli progressi nel trattamento del carcinoma mammario, la ripresa di malattia e la formazione di metastasi continuano a rappresentare il problema maggiore nella gestione clinica del tumore. La visione tradizionale del processo di metastatizzazione suggeriva che le cellule metastatizzanti del tumore primario infiltrassero lo stroma, i linfatici ed i vasi sanguigni solo dopo aver subito un processo di selezione che le portava all acquisizione di alterazioni genetiche aggiuntive in grado di conferire loro capacità invasiva. Il processo di metastatizzazione era quindi considerato una caratteristica evolutiva delle fasi avanzate nella progressione del tumore primitivo. Tale modello è stato recentemente messo in discussione da dati epidemiologici e dai risultati degli studi sul profilo genico dei tumori primari e delle loro metastasi che sembrano indicare che durante la progressione neoplastica le cellule tumorali possono, fin dalle fasi iniziali, staccarsi dal tumore primario, cioè disseminare per via linfatica o ematica ed acquisire poi ulteriori alterazioni negli organi secondari sotto la pressione selettiva del nuovo microambiente. La propensione delle cellule tumorali a disseminare per via ematica o linfatica sembra essere determinata dal loro assetto genico. È stato infatti riportato che i profili genici associati a tumori che metastatizzano per via linfatica o per via ematica non sono sovrapponibili suggerendo che il pattern di espressione genica che determina sia la capacità metastatica che la via preferenziale di disseminazione può essere già identificabile nelle fasi precoci dello sviluppo del tumore primario. Sono state inoltre individuate categorie di geni particolarmente influenti sulla metastatizzazione per via ematica quali quelli codificanti per proteine coinvolte nel rimodellamento della matrice extracellulare, nella plasticità del citoscheletro e nelle varie vie di segnale. Estremizzando i risultati ottenuti dal profiling genico si è arrivati addirittura a proporre una riclassificazione molecolare del carcinoma della mammella in due grandi sottogruppi: di tipo luminale e di tipo basale. Il primo include prevalentemente tumori positivi per il recettore degli estrogeni esprimenti geni relativamente più espressi nelle cellule luminali; il secondo comprende tumori per lo più negativi per il recettore degli estrogeni ed esprimenti markers delle cellule basali. I tumori umani iperesprimenti HER- tendono ad aggregarsi ai carcinomi di tipo basale e condividono con essi una prognosi negativa. È indubbio che una riclassificazione come quella sopra esposta non fornisce parametri prognostici direttamente trasferibili alla pratica clinica e deve essere integrata non solo dalla validazione dei dati ottenuti dagli array ma anche con i dati ottenuti ed ottenibili tramite le analisi istologiche ed immunoistochimiche su campioni tissutali. La strategia che vede il confronto delle analisi di espressione genica mediante cdna microarrays e l analisi del fenotipo tumorale mediante studi di immunoistochimica su tissue microarrays (TMAs) rappresenta un valido approccio per facilitare il trasferimento delle nuove scoperte di biologia molecolare da ambiti di ricerca alla pratica clinica. Le nuove ipotesi che vedono la disseminazione delle cellule tumorali come evento precoce non sono ancora totalmente accettate dalla comunità scientifica internazionale e necessitano di ulteriori approfondimenti e conferme. Per indubbi motivi etici e per effettuare studi sistematici sui processi di disseminazione e metastatizzazione è molto importante avere a disposizione modelli animali spontaneamente sviluppanti carcinomi mammari metastatizzanti. Il modello più conosciuto è rappresentato dai topi BALB neut, transgenici per il gene attivato di ratto HER/neu, che dalla quarta alla decima settimana di vita sviluppano iperplasia atipica dell epitelio dei dotti mammari, dalla undicesima alla quindicesima multipli foci di carcinoma in situ che, confluendo, dalla sedicesima alla ventiduesima evolvono in carcinomi invasivi. Dalla trentatreesima settimana in poi si osservano anche metastasi polmonari. Si è potuto osservare che fin dalla settima settimana di vita cellule citocheratina e HER positive sono presenti nel midollo osseo e nel sangue. Alcune di tali cellule si ritrovano anche nei capillari polmonari. La disseminazione di cellule neoplastiche sembra essere più pronunciata durante le fasi di iperplasia e di carcinoma in situ che durante le fasi più avanzate, istologicamente definibili come carcinomi invasivi. Osservazioni di microscopia elettronica rivelano inoltre che già nelle prime fasi di iperplasia sono presenti cellule che superano la membrana basale sconfinando nello stroma. Studi di Comparative Genomic Hybridization indicano che le cellule disseminate nel midollo sono portatrici di mutazioni cromosomiche in gran parte diverse da quelle rilevabili nei tumori primitivi. Questi sorprendenti risultati sono stati anche ottenuti tramite le stesse analisi sulle metastasi polmonari. L insieme di questi dati supporta gli studi recentemente condotti nell uomo ed attualmente oggetto di intensa discussione internazionale. Essi infatti suggeriscono che le cellule neoplastiche disseminano in fasi molto precoci dello sviluppo tumorale ed acquisiscono sotto la pressione selettiva del nuovo microambiente ulteriori alterazioni geniche che ne facilitano la crescita e quindi la progressione metastatica. La somiglianza nello sviluppo del carcinoma mammario tra questo modello (topi BALB neut) e l uomo consente anche di identificare i geni coinvolti nel processo di disseminazione e metastatizzazione e quindi di identificare nuovi bersagli molecolari per terapie immunologiche (vaccini) da associare ai protocolli già in uso. Si è infatti osservato che vaccinazioni a DNA contro il prodotto (p85) dell HER sono in grado di prevenire e di curare le fasi iniziali della carcinogenesi mammaria sviluppantesi nei topi BALB neut. La reattività immune dipende quasi totalmente dalla produzione di anticorpi. La vaccinazione contro l HER o prodotti di altri geni coinvolti nel processo di disseminazione potrebbe essere in grado di bloccare o uccidere le cellule tumorali nella fase di disseminazione e quindi in una fase di dormancy nella quale l attività proliferativa non è particolarmente elevata rendendo le stesse cellule non facilmente aggredibili dai comuni protocolli chemioterapici.

9 PATHOLOGICA 005;97:69-73 Patologia neoplastica del polmone e della pleura Moderatore: L. Ruco (Roma) Aree problematiche e controversie in diagnostica istopatologica pleuropolmonare O. Nappi, R. Monaco, A. Boscaino, P. Galloro U.O. di Anatomia patologica, Azienda Ospedaliera A. Cardarelli, Napoli Alla fine del 004 è stato pubblicato il volume della WHO sui Tumori del polmone, pleura, timo e cuore, prodotto da un nutrito panel di esperti internazionali. Come per il passato, anche in questa occasione, per alcuni problemi aperti è stata prospettata una soluzione di compromesso, mentre per altri si è preferito conservare l impostazione esistente, non trovandosi un accordo. In questa nuova serie di Bleu books gli aspetti genetici diventano, inoltre, parte integrante della classificazione dei tumori, in una prospettiva, probabilmente nemmeno troppo lontana, che possano divenire la base per classificazioni e programmi terapeutici futuri. L immunoistochimica può contribuire a risolvere alcuni casi che presentano una morfologia citoistologica sovrapponibile ma con una differente implicazione diagnostica e prognostica; appare infatti assolutamente rilevante distinguere il carcinoma squamocellulare a piccole cellule dal carcinoma indifferenziato a piccole cellule e tipizzare con precisione il carcinoma a cellule chiare ; quest ultimo, infatti, non è altro che un pattern di presentazione morfologica per il carcinoma squamocellulare, l adenocarcinoma e il carcinoma indifferenziato a grandi cellule. Per entrambe le situazioni non infrequentemente sono implicati anche problemi differenziali con tumori metastatici e, in particolare per la seconda, anche mimics benigni. Immunoistochimicamente il carcinoma squamocellulare del polmone presenta positività per citocheratina ad alto peso molecolare, CK 5/6, spesso per CEA, mentre molto raramente esprime TTF-, il carcinoma indifferenziato a piccole cellule esprime pressoché sempre TTF- e, generalmente, i markers neuroendocrini, in particolare il CD56 con pattern di membrana;non mancano tuttavia casi in cui sinaptofisina e cromogranina non sono espressi e nemmeno citocheratine di alcun genere. Molto variabile l espressione immunofenotipica degli adenocarcinomi polmonari, prevalendo tuttavia EMA, CEA e CK 7, con una consistente percentuale di positività anche per TTF-. Sul piano pratico appare sempre utile un attenta valutazione del materiale disponibile specialmente se molto esiguo, per evitare sopra o sottovalutazioni; particolarmente rilevante è il possibile rischio di sopravalutare materiale apparentemente rappresentativo di carcinoma indifferenziato a piccole cellule. In una prossima revisione della classificazione potrebbe essere utile sottolineare il peggioramento prognostico ormai sufficientemente consolidato dagli studi esistenti del pattern micropapillare associato con l adenocarcinoma 3. Il carcinoma a grandi cellule continua ad essere un contenitore di istotipi accomunati dalle dimensioni cellulari ma sicuramente non omogenei sul piano biologico e prognostico. In particolare, il carcinoma lymphoepithelioma-like appare sufficientemente caratterizzato come entità autonoma 4, il carcinoma neuroendocrino a grandi cellule andrebbe ricompreso in una organica rivisitazione classificativa delle neoplasie endocrine mentre il fenotipo rabdoide è probabilmente un approdo anche di altri istotipi come effetto di selezione di cloni più aggressivi. I carcinomi sarcomatoidi nell attuale classificazione acquistano una maggiore dignità tassonomica e vengono presi in considerazione alcuni patterns particolarmente insidiosi sul piano diagnostico quali l angiosarcomatoide e l infiammatorio 5-8. La distinzione semplificata in carcinoma monofasico e bifasico è invece al momento non raccomandata, anche se, a nostro giudizio, potrebbe essere la più idonea a supportare in termini classificativi la teoria unitaria ormai consolidata della genesi monoclonale di queste neoplasie 9 0. Subsets di carcinomi indifferenziati a piccole cellule esprimono CD7 e subsets di carcinomi non a piccole cellule esprimono EGFR/HER ma la semplice espressione immunoistochimica di tali marcatori non appare allo stato un elemento predittivo convincente di risposta a target-therapy. Appare rilevante la presenza classificativa consolidata di sarcomi sinoviali di ogni tipo sia a livello polmonare che a livello pleurico, oltre che mediastinico, con notevoli problemi diagnostici e terapeutici. Per quanto riguarda le neoplasie pleuriche, a parte la ben nota e usuale diagnostica differenziale immunoistochimica, va sempre sottolineato di valutare con prudenza la positività alle citocheratine nel mesotelioma desmoplastico. Il concetto di mesotelioma maligno localizzato rappresenta un area di approfondimento e ricerca. Bibliografia Tumors of the lung, pleura, thymus and heart. Pathology & genetics WHO Classification of tumours IARC-press, Lyon 004. Pelosi G, Rodriguez J, Viale G, Rosai J. Typical and atypical pulmonary carcinoid tumor overdiagnosed as small cell carcinoma on biopsy specimen: a major ptfall in the managementof lung cancer patients. Am J Surg Pathol 005;9: Amin MB, Tamboli P, Merchant SH. Micropapillary component in lung adenocarcinoma: a distinctive histologic feature with possible prognostic significance. Am J Surg Pathol 00;6: Ferrara G, Nappi O. Lymphoepithelioma-like carcinoma of the lung. Two cases diagnosed in Caucasian patients. Tumori 995;8: Nappi O, Glasner SD, Swanson PE, Wick MR. Biphasic and Monophasic sarcomatoid carcinoma of the lung. A rappraisal of carcinosarcomas and spindle cell carcinomas. Am J Clin Pathol 994;0: Nappi O, Wick MR. Sarcomatoid neoplasms of the respiratory tract. Semin Diagn Pathol 993;0: Nappi O, Swanson PE, Wick MR. Pseudovascular adenoid squamous cell carcinoma of the lung: clinicopathologic study of three cases and comparison with true pleuropulmonary angiosarcoma. Hum Pathol 994;5: Wick MR, Ritter JH, Nappi O. Inflammatory sarcomatoid carcinoma of the lung: Report of three cases and clinicopathologic comparison with inflammatory pseudotumors in adult patients. Hum Pathol 995;6: Pelosi G, Fraggetta F, Nappi O, Pastorino U, Maisonneuve P, Pasini F, et al. Pleomorphic carcinomas of the lung show a selective distribution of gene products involved in cell differentiation, cell cycle control, tumor growth, and tumor cell motility: a clinicopathologic and immunohistochemical study of 3 cases. Am J Surg Pathol 003;7: Pelosi G, Scarpa A, Manzotti M, Veronesi G, Spaggiari L, Fraggetta F, et al. K-ras gene mutational analysis supports a monoclonal origin of biphasic pleomorphic carcinoma of the lung. Mod Pathol 004;7:

10 70 RELAZIONI Cancro polmonare: basi molecolari A. Marchetti Dipartimento di Oncologia e Neuroscienze, Università di Chieti; Aging Research Center (CeSI), G. d Annunzio University Foundation, Chieti Nei paesi industrializzati il cancro del polmone rappresenta la più frequente causa di morte per patologia neoplastica in entrambi i sessi. In Italia si registrano annualmente circa nuovi casi con una sopravvivenza globale a 5 anni dalla diagnosi del 3%, percentuale rimasta immodificata nel corso degli ultimi 0 anni. Il fumo di tabacco costituisce il più importante fattore di rischio e si ritiene sia responsabile dell 85% circa dei casi di carcinoma polmonare. Altri fattori di rischio sono rappresentati dall esposizione a cancerogeni in ambito lavorativo, dall inquinamento ambientale e dalla predisposizione genetica. L insorgenza di neoplasie polmonari in individui non fumatori (in Italia 0-5% dei casi) e i risultati ottenuti in studi di segregazione in particolari famiglie a più alta incidenza di questa patologia hanno suggerito che fattori genetici di suscettibilità possano rendere i soggetti più sensibili all azione di cancerogeni inalati. Si tratta di polimorfismi metabolici, fra cui quelli a carico dell enzima citocromo P450, dell enzima glutathione S-transferasi e polimorfismi in geni deputati ai processi di riparazione del DNA, includenti quelli nel gene p53. Di particolare interesse sono risultati anche i polimorfismi a carico del gene mieloperossidasi e idrolasi ipossidica microsomale. L argomento risulta tuttavia particolarmente complesso considerando quanti sono gli enzimi, attivanti o detossificanti, coinvolti con il metabolismo di potenziali cancerogeni inalati, le loro variazioni di espressione, la complessità dell esposizione ai cancerogeni presenti nel fumo di tabacco o ambientali e l esistenza di svariate forme alleliche per i loci polimorfici. Il carcinoma polmonare è un processo multifasico caratterizzato dall accumulo di alterazioni genetiche includenti mutazioni di sequenza, perdita dello stato di eterozigosità allelica (delezioni), amplificazioni. Numerose evidenze sperimentali suggeriscono che anche fenomeni epigenetici (alterazioni della metilazione del DNA) o variazioni dell espressione in assenza di lesioni genomiche possano contribuire al processo di cancerogenesi polmonare. Studi sulla funzione dei geni coinvolti, indicano che un ruolo chiave è svolto da molecole implicate nella trasduzione del segnale, nel controllo del ciclo cellulare e del processo apoptotico, funzioni essenziali per i processi di proliferazione e differenziazione. Un punto di controllo estremamente importante ai fini del processo oncogenetico, è quello che si realizza in fase G avanzata, il cosiddetto punto di restrizione. Alterazioni di proteine deputate alla regolazione del punto di restrizione, in particolare la perdita di funzione delle vie p53-p WAF e Rb-ciclina D/E - p6 (CDKNA) sembrano rappresentare fenomeni cruciali della cancerogenesi polmonare. Ancora in merito al processo di divisione cellulare, è emersa l importanza dell alterazione dell espressione e della funzione dell enzima telomerasi nella genesi e nella progressione del cancro polmonare. Analogamente, notevole importanza nella patogenesi del cancro polmonare sembrano avere proteine interessate alla trasmissione intracellulare del segnale, sia proteine transmembrana (EGFR, cerbb), sia molecole intracitoplasmatiche che funzionano da interruttori del segnale. Lo sviluppo, in questi ultimi anni, di nanotecnologie ad alta processività (microarrays) per l analisi simultanea dell espressione di migliaia di geni e la possibilità di correlare i profili di espressione genica tumorale con numerosi parametri clinico-patologici mediante innovativi metodi biostatistici stanno fornendo nuovi, importanti contributi per una più profonda comprensione del processo neoplastico. Nell insieme tutte queste acquisizioni, oltre a far luce sulla complessità degli eventi coinvolti nella cancerogenesi polmonare e a confermare o meno in termini biologici l esistenza di specifiche entità morfologiche, possono fornire utili elementi per la pratica clinica. Vari aspetti clinici ancora molto critici potrebbero beneficiare delle nuove conoscenze bio-molecolari: a) la diagnosi di carcinoma polmonare è da considerarsi estremamente tardiva: una diagnosi precoce potrebbe permettere di aumentare il numero dei pazienti operabili; b) i pazienti operati radicalmente sono ad alto rischio di recidiva ma non sono disponibili validi mezzi per individuare quelli a rischio; c) i trattamenti chemioterapici classici sono scarsamente attivi, i pazienti potrebbero trarre beneficio da nuove strategie terapeutiche mirate a specifici bersagli molecolari. La prevenzione del cancro polmonare mediante screening diagnostici, radiologici e citologici, si è dimostrata tutt altro che semplice. L analisi molecolare dell espettorato e/o del condensato di esalazione potrebbe, assieme alla diagnostica per immagini (TAC spirale) e alla tecnica broncoscopia a fluorescenza, risultare utile nei futuri programmi di screening diagnostici. A questo proposito di particolare interesse risulta attualmente lo studio di fenomeni epigenetici, in particolare del processo di metilazione di geni coinvolti nella regolazione del ciclo cellulare (p6 (CDKNA), PAX5α, PAX5β, CHFR) nella riparazione del DNA (MGMT), nel processo apoptotico (DAPK, Caspase-8, FAS, TRAILR), nella trasduzione del segnale ras-mediata (RASSFA, NOREA), e nel processo di invasione (E-cadherin, H-cadherin, TIMP3, LAMA3, LAMB3, LAMC). Tra i marcatori prognostici finora emersi da studi traslazionali, possono essere considerati potenzialmente utili le mutazioni di K-ras negli adenocarcinomi, le mutazioni e/o l alterazione di espressione di p53, l espressione del gene htert e/o l attività telomerasica. Le analisi condotte con tecnologie basate sui microarrays hanno permesso di identificare profili di espressione genica significativamente correlati con la prognosi. I risultati prodotti devono essere considerati promettenti, ma preliminari. Solo studi su ampie casistiche che possano permettere di individuare con sufficiente potenza statistica set di geni correlati con la prognosi da cui ottenere indici di rischio da validare successivamente su casistiche indipendenti, potranno fornire risultati utili nella pratica clinica. La rapida progressione delle conoscenze biomolecolari sui meccanismi di cancerogenesi bronchiale ha permesso anche lo sviluppo di nuovi approcci terapeutici mirati, rivolti cioè a colpire specifiche molecole o pathways molecolari che rappresentano eventi cruciali per la crescita neoplastica. Fra questi, di particolare importanza recettori di membrana quali EGFR e ERB-, il gene K-ras, la cascata di eventi coinvolta con l angiogenesi, l attivazione del processo apoptotico e del ciclo cellulare tramite chinasi ciclino-dipendenti. La speranza per il futuro è che l avvento delle tecnologie genomiche ad alta processività possa favorire lo sviluppo di trattamenti individualizzati.

11 PATOLOGIA NEOPLASTICA DEL POLMONE E DELLA PLEURA 7 Pleura: basi molecolari S. Bosari, M. Falleni, C. Pellegrini, S. Romagnoli, L. Santambrogio *, M. Nosotti *, G. Coggi Department of Medicine Surgery and Dentistry, Division of Pathology, University of Milan, A.O. S. Paolo and Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico Mangiagalli e Regina Elena, Milano, Italy; * Division of Thoracic Surgery, Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico Mangiagalli e Regina Elena, University of Milano, Italy Malignant mesothelioma (MM) is a highly lethal human malignancy of mesothelial cells, highly refractory to current multimodal therapies, with increasing worldwide incidence. Technological advances in molecular biology and genetics can provide data useful to cancer prevention and treatment. In particular, identification of specific molecular changes in neoplastic mesothelial cells could provide new insights in the mechanisms of MM pathogenesis with the aim to improve the accuracy of MM classification and predict prognosis. Furthermore, the delineation of altered pathways and their possible pharmacological reversal, constitutes the most promising goal to treat MM and overcome its unresponsiveness to therapy. MM is associated with prolonged environmental carcinogens exposure, particularly asbestos, with SV40 virus infection and with somatic genetic alterations; in about 30-40% of cases, risk factors remain unknown, with other carcinogens and mechanisms probably implicated in mesothelial cell transformation. Multiple molecular defects involved in DNA repair capacity, cell growth and death control, invasiveness, angiogenesis, and immune surveillance have been described in MMs. Different asbestos fibers can also activate different carcinogenic pathways. Specifically, exposure to crocidolite asbestos fibers has been shown to induce marked and persistent DNA damage, EGFR phosphorylation in rat pleural mesothelial cells and disregulation of ERK/ and Akt pathways, with up-regulation of genes such as fra-, in turn linked to cd44 and c-met gene expression 3 4. Conversely, chrysotile fibers exposure is associated to multiple deletions and down-regulation of p and integrin receptor associated gene BigH3 5. Another possible mechanism in the pathogenicity of asbestos fibers could be lipid peroxidation, mediated by reactive oxygen species, produced in inflammatory conditions. Cyclooxygenase- (COX-), involved in eicosanoid biosyntesis, is overexpressed in human MM and related to poor patients outcome 6. Recent data document that mesothelial cells are the most susceptible human cells to the infection by SV40, an oncogenic DNA virus. SV40 causes mesothelial cell transformation, probably by aberrant methylation of several genes like the tumor suppressor gene RASSFA 7. In addition SV40 can improve mesothelial cell survival by Hepatocyte Growth Factor (HGF) receptor activation 8. SV40 and asbestos are considered co-carcinogens acting sinergically in mesothelial cell malignant transformation. Characteristically, p53, Rb, Ras, WT, DCC or APC gene alterations found in the majority of human cancers, are uncommon in MM. Conversely, NF gene mutations are frequently reported and homozygous deletion of the 9p locus within a cluster of genes comprising CDKNA, with loss of p6 INK4A and or p4 ARF expression, seems to be the most common molecular defect in MM 9. This deletion results in defects of both cell cycle and cell death control probably by functional inactivation of p53 and inhibition of Rb phosphorilation. Identification of defects involved in MM resistence to apoptosis is becoming crucial in the control of unresponsiveness to therapy. Multiple gene expression alterations have been documented in apoptosis. Specifically, FLIP, a caspase 8 inhibitor, is overexpressed and constitutively activated in MM cells 0. IAP- and Survivin, members of the IAP family (with Bcl- one of the most important regulators of apoptosis) are overexpressed in MM. Most of these data, obtained with single gene evaluation and simple ratios of gene expression levels using as few as four to six genes, with Western Blot, immunoblotting and/or quantitative real time RT-PCR, have been documented to be extremely useful in reaching an accurate diagnosis of cancer and likely they will be useful for additional clinical application. However, the evaluation of the expression of proapoptotic and antiapoptotic proteins of the Bcl- family, like Bcl-, Bcl-xL, Bax, requires the understanding of entire complex network of pathways leading to apoptosis. New genomic technologies provide new data related to the molecular profiling of gene expression of human MM. High-Density DNA microarrays and microfluidic cards are currently the most useful techniques to identify genes differentially expressed in MMs. Our group investigated the apoptosis pathway with microfluidic cards, profiling 88 genes and comparing MMs to normal pleuras. Results show that genes belonging to the IAP and Bcl- families are differentially expressed; furthermore we observed differences in the expression of some caspases, TNF receptors and their ligands, therefore delineating a complex patterns of apoptosis-related alterations in this disease. Future challenges will include a thorough understanding of the significance of the gene expression patterns and the application of this knowledge towards the therapy of MM patients. References Bueno R, et al. Genetics of malignant pleural mesothelioma: molecular markers and biologic targets. Thorac Surg Clin 004;4:46-8. Pass HI, et al. Gene expression profiles predict survival and progression of pleural mesothelioma. Clin Cancer Res 004;0: Zanella CL, et al. Asbestos causes stimulation of the extracellular signal-regulated kinase mitogen-activated protein kinase cascade after phosphorylation of the epidermal growth factor receptor. Cancer Res 996;56: Ramos-Nino ME, et al. Mesothelial cell transformation requires increased AP- binding activity and ERK-dependent Fra- expression. Cancer Res 00;6: Hei TK. Molecular changes induced by chrysotile fibers. VII Meeting of the International Mesothelioma Interest Group (IMIG). BS (Italy), June Edwards JG, et al. Cyclooxygenase- expression is a novel prognostic factor in malignant mesothelioma. Clin Cancer Res 00;8: Suzuki M, et al. Aberrant methylation profile of human malignant mesotheliomas and its relationship to SV40 infection. Oncogene 005;4: Cacciotti P, et al. SV40 replication in human mesothelial cells induces HGF/Met receptor activation: a model for viral-related carcinogenesis of human malignant mesothelioma. Proc Natl Acad Sci USA 00;98: Illei PB, et al. Homozygous deletion of CDKNA and codeletion of the methylthioadenosine phosphorylase gene in the majority of pleural mesotheliomas. Clin Cancer Res 003;9: Rippo MR, et al. FLIP overexpression inhibits death receptor-induced apoptosis in malignant mesothelial cells. Oncogene 004;3: Falleni M, et al. Quantitative evaluation of the apoptosis regulating genes Survivin, Bcl- and Bax in inflammatory and malignant pleural lesions. Lung Cancer 005;4:-6. Gordon G, et al. Inhibitor of apoptosis protein- promotes tumor cell survival in mesothelioma. Carcinogenesis 00;3:07-4.

12 7 RELAZIONI La targeted therapy nei tumori polmonari non a piccole cellule: recenti acquisizioni e prospettive future P.F. Conte, F. Barbieri Dipartimento Oncologia, Ematologia e Pneumologia, Università di Modena e Reggio Emilia, Modena, Italia Le neoplasie polmonari sono la principale causa di mortalità per tumore nel mondo, con, milioni di nuovi casi per anno e oltre milione di morti. Il carcinoma polmonare non a piccole cellule (CPNPC) rappresenta oltre l 80% di tutti i tumori polmonari. La chirurgia rimane l unico presidio dotato di capacità curative (a parte rari casi di radioterapia) ma solo il 5-0% dei casi può giovarsi di questa modalità ma anche in questi casi un certo numero ricade a varia distanza di tempo limitando la sopravvivenza a 5 anni dei casi operati al 40%. Nuove speranze sembrano derivare dall uso sequenziale di chirurgia e chemioterapia pre- e/o post-operatoria ma nella maggior parte dei casi, soprattutto per lo stadio avanzato alla diagnosi, la terapia risulta provvista solo di possibilità palliative con un modesto 5% di sopravvivenza a 5 anni considerando tutti gli stadi. Gli sviluppi sulle conoscenze della biologia tumorali e sui meccanismi di carcinogenesi hanno consentito di individuare nuovi bersagli terapeutici per la terapia del CPNPC; queste cosiddette targeted therapies sono concepite quindi per interferire con vie biologiche anomale durante i vari stadi della proliferazione tumorale. I numerosi contributi biologici e clinici sin qui completati hanno fornito nuove ed importanti informazioni sulle proprietà antineoplastiche di questi nuovi agenti così come sulle loro limitazioni e, soprattutto, sulla notevole complessità delle interconnessioni biologiche esistenti a livello delle cellule neoplastiche. I primi e più conosciuti esponenti di questa nuova categoria di farmaci sono gli inibitori (intra- ed extracellulari) dei recettori per ERBB (EGF) e ERBB seguiti dai farmaci antiangiogenetici. EGF-. Cetuximab (inibitore recettoriale), Gefitinib ed Erlotinib (inibitori del EGFR-TK) appartengono a questa categoria. Cetuximab (Erbitux, IMC-5) è un anticorpo chimerico anti-egfr che ha dimostrato notevole attività nei tumori del colon e cervicofaciali, sia da solo che associato a chemio- e/o radioterapia. I dati disponibili sui CPNPC in associazione a chemioterapia sia in I che II linea, riferiti ad un numero non elevato di casi, mostrano una buona tollerabilità ma attività limitata. Gefitinib (ZD839, Iressa) ed Erlotinib (OSI 774, Tarceva), entrambi derivati quinazolinici, sono inibitori competitivi per l ATP a livello del dominio intracellulare del recettore per l EGFR. Sulla base degli studi di fase II, hanno dimostrato moderata attività nei CPNPC protrattati ma notevole efficacia nel controllo dei sintomi, soprattutto negli istotipi adenocarcinoma e bronchioloalveolare; nessuno dei farmaci si è rivelato efficace in abbinamento con chemioterapia (studi INTACT e per gefitinib, TALENT e TRIBU- TE per Erlotinib), in ragione principalmente di un effetto antagonista nei confronti dei chemioterapici 3 4. Mentre Erlotinib, però, ha dimostrato di ridurre in modo significativo la mortalità nell ambito di tre studi clinici che ne hanno motivato il via all impiego clinico 5, ciò non si è registrato per Gefitinib, tanto in questi studi quanto nel più recente studio ISEL. Molti quesiti rimangono peraltro ancora aperti, come, ad es, il significato delle mutazioni a carico del dominio TK, la durata ottimale della terapia, l insorgenza di resistenza e la combinazione di farmaci a bersaglio molecolare tra loro e con chemioterapia o radioterapia. La precisazione delle strette interconnessioni tra EGFRs e mtor e tra EGFRs e recettori estrogenici sembra fornire nuove e più solide basi per l utilizzo combinato di questi nuovi agenti antitumorali. mtor rappresenta infatti un momento chiave nel trasferimento di segnale tra ERB, processo traslazionale e crescita cellulare attraverso la via PI3K-AKT ma è altresì in grado di agire indipendentemente: su questi presupposti si basa l impiego degli analoghi della rapamicina già in corso di studio in diverse neoplasie. Analogamente sono state documentate interazioni a diversi livelli tra recettori estrogenici e EGFR che sembrano fornire un razionale per l impiego combinato di inibitori di EGFR e antiaromatasici o antiestrogeni non solo nel carcinoma mammario ma anche nel CPNPC 6. È stato altresì notato che soggetti con mutazione a carico della TK avevano una migliore probabilità di risposta agli inibitori dell EGFR 7 8, anche se un certo numero di risposte si registra in pazienti senza mutazione: ciò si verifica probabilmente perché i soggetti con mutazione attivano preferenzialmente le vie AKT e STAT e quindi il blocco con TKI induce apoptosi. Un altro aspetto messo in luce di recente è la comparsa di resistenza agli inibitori, probabilmente in relazione alla comparsa di nuove mutazioni somatiche o ad incrementata attività di K-ras 9, analogamente a quanto già descritto per la CML. HER-. Nel CPNPC l espressione dell ERBB (HER-) è variabile a seconda dell istologia ma in ogni caso bassa sia in IHC che in FISH (positività 3+ in meno del 5%); il significato prognostico di questo dato è tuttora incerto. Il Trastuzumab (Herceptin), anticorpo monoclonale umanizzato in grado di competere per il recettore HER- e dotato di notevole attività nel carcinoma mammario, è risultato, nell unico trial di fase II completato, completamente inattivo nel CPNPC 0. Agenti anti-angiogenici. La presenza di livelli elevate di VEGF sulle cellule e nel siero di diversi pazienti con CPNPC ha costituito il razionale per l utilizzo di Bevacizumab nel CPNPC. Sono stati recentemente comunicati i risultati di uno studio di confronto tra carboplatino/paclitaxel e la medesima combinazione + bevacizumab in pazienti con CPNPC nonsquamoso con risultati incoraggianti sia in termini di risposta che di sopravvivenza: in quest ultimo gruppo è stata peraltro evidenziata una maggiore incidenza di ipertensione, proteinuria, emoftoe e morti legate al trattamento. Meritano menzione infine i risultati della combinazione tra gefitinib e bevacizumab, riportati da Herbst et al., che sembrano mostrare come il blocco combinato dell angiogenesi risulti promettente sia in termini di risposte che di tollerabilità. Bibliografia Fukuoka M, Yano S, Giaccone G, et al. Multi-institutional randomized phase II trial of gefitinib for previously treated patients with advanced non-small cell lung cancer. J Clin Oncol 003;: Kris MG, Natale RB, Herbst RS, et al. Efficacy of gefitinib, an inhibitor of the epidermal growth factor receptor tyrosine kinase, in symptomatic patients with non-small cell lung cancer: a randomized trial. JAMA. 003;90: Giaccone G, Herbst RS, Manegold C, et al. Gefitinib in combination with gemcitabine and cisplatin in advanced non-small-cell lung cancer: a phase III trial INTACT. J Clin Oncol 004;: Herbst RS, Giaccone G, Schiller JH, et al. Gefitinib in combination with paclitaxel and carboplatin in advanced non-small-cell lung cancer: a phase III trial INTACT. J Clin Oncol 004;: Shepherd FA, Pereira J, Ciuleanu TE, et al. A randomized placebo-controlled trial of erlotinib in patients with advanced non-small cell lung cancer (NSCLC) following failure of st line or nd line chemotherapy. A National Cancer Institute of Canada Clinical Trials Group (NCIC CTG) trial. Proc Am Soc Clin Oncol 004;3(Suppl):. 6 Stabile LP, Lyker JS, Gubish CT, et al. Combined Targeting of the Estrogen Receptor and the Epidermal Growth Factor Receptor in

13 PATOLOGIA NEOPLASTICA DEL POLMONE E DELLA PLEURA 73 Non-Small Cell Lung Cancer Shows Enhanced Antiproliferative Effects. Cancer Res 005;65: Lynch TJ, Bell DW, Sordella R, et al. Activating mutations in the epidermal growth factor receptor underlying responsiveness of nonsmall-cell lung cancer to gefitinib. N Engl J Med 004;350: Paez JG, Janne PA, Lee JC, et al. EGFR mutations in lung cancer: correlation with clinical response to gefitinib therapy. Science 004;304: Pao W, et al. Acquired resistance of lung adenocarcinomas to gefitinib or erlotinib is associated with a second mutation in the EGFR kinase domain. PLoS Med 005;:-. 0 Gatzemeier U, Groth G, Butts C, et al. Randomized phase II trial of gemcitabine-cisplatin with or without trastuzumab in HER-positive non-small-cell lung cancer. Ann Oncol 004;5:9-7. Sandler AB, Gray R, Brahmer J, et al. Randomized phase II/III Trial of paclitaxel (P) plus carboplatin (C) with or without bevacizumab (NSC # ) in patients with advanced non-squamous non-small cell lung cancer (NSCLC): An Eastern Cooperative Oncology Group (ECOG) Trial - E4599. Proc Am Soc Clin Oncol 005;3:s. Herbst RS, Johnson DH, Mininberg E, et al. Phase I/II trial evaluating the anti-vascular endothelial growth factor monoclonal antibody bevacizumab in combination with the HER-/epidermal growth factor receptor tyrosine kinase inhibitor erlotinib for patients with recurrent non-small-cell lung cancer. J Clin Oncol 005;3:

14 PATHOLOGICA 005;97:74-75 Patologia gastro-intestinale Moderatore: E. Bucciarelli (Perugia) Lesioni infiammatorie e metaplastiche alla giunzione esofago-gastrica R. Fiocca, L. Mastracci, P. Spaggiari, Y. Musizzano, P. Zentilin *, P. Dulbecco *, V. Savarino * Anatomia Patologica e * Gastroenterologia, Università di Genova ed Ospedale S. Martino, Genova La malattia da reflusso gastro-esofageo (GERD = Gastro- Esophageal Reflux Disease) è causata dal refluire ricorrente e patologico del contenuto gastrico in esofago e si accompagna a sintomi sia digestivi che extradigestivi. Nonostante che la sua prevalenza sia in costante aumento nei paesi occidentali (si calcola che circa il 0-0% della popolazione europea e nord americana presenti sintomi almeno settimanali della malattia), non è stato definito a tutt oggi un gold standard diagnostico. La diagnosi si basa attualmente sulla valutazione dei sintomi, sul riconoscimento di lesioni endoscopiche, sulla phmetria esofagea delle 4 h e sulla risposta ai farmaci inibitori della pompa protonica. È peraltro noto che meno della metà dei pazienti con sintomi tipici presenta un esofagite macroscopica (ERD = Erosive Reflux Disease) mentre la maggior parte di essi manca di lesioni endoscopiche (NERD = Non Erosive Reflux Disease) e non infrequente è la negatività anche dei dati ph-metrici (FH = Functional Heartburn). Per quanto sia nota da tempo la presenza di lesioni infiammatorie e metaplastiche a livello del 3 esofageo inferiore e della giunzione esofago-gastrica, la pratica attuale restringe l uso dell istologia alla diagnosi dell esofago di Barrett e delle sue complicanze displastiche e neoplastiche 3. Ciò è legato alla vistosa eterogeneità dei risultati sinora pubblicati sulle lesioni dell epitelio squamoso che, a sua volta, è conseguenza della mancanza in molti di tali studi di gruppi di controllo e/o di metodologie adeguate. Questo articolo prende in considerazione due aspetti della diagnosi istologica della GERD:. il significato diagnostico delle lesioni dell epitelio squamoso;. le malattie associate alla metaplasia intestinale alla giunzione esofago-gastrica. Significato diagnostico delle lesioni dell epitelio squamoso I dati qui riportati si basano sullo studio di 9 pazienti GERD e di 0 controlli 4. Tutti sono stati sottoposti ad un accurata analisi dei sintomi, ad esofago-gastroscopia con biopsie a 4 cm, a cm ed alla linea Z ed a phmetria delle 4h. Sulla base del quadro clinico i pazienti sono stati divisi in 3 gruppi: con esofagite endoscopica (ERD), con sintomi e phmetria patologica ma senza lesioni endoscopiche (NERD), con sintomi ma con endoscopia e phmetria normali (FH). I controlli non presentavano sintomi GERD né alterazioni endoscopiche o phmetriche. In tutte le sedi biopsiate sono stati valutati l iperplasia dello strato basale, l allungamento delle papille coriali, la presenza di granulociti eosinofili e neutrofili intraepiteliali, di necrosi ed erosioni e la dilatazione degli spazi intercellulari 5 ; la severità di ciascuna lesione è stata graduata con uno score compreso da 0 a, costruendo poi uno score complessivo di tutte le lesioni. I dati complessivi sono riportati in Tabella I. L analisi dei reperti nelle singole sedi biopsiate (3.336 lesioni graduate da osservatori indipendenti) ha consentito di trarre le seguenti conclusioni: i soggetti con GERD presentano lesioni istologiche che sono invece rare nei controlli; le biopsie sulla linea Z aumentano grandemente la sensibilità dell istologia ma ne riducono la specificità; dato che lesioni di grado lieve sono presenti anche nei controlli (soprattutto sulla linea Z) è necessario introdurre un cut off (score > ) per distinguere efficacemente i pazienti dai controlli; le biopsie a cm e sulla linea Z forniscono quasi tutte le informazioni e quindi quelle a 4 cm non sono necessarie; la riproducibilità interosservatore della graduazione istologica è elevata (9%, K = 0,89); vi è correlazione tra i dati istologici e ph-metrici. Tab. I. Prevalenza dell esofagite microscopica in soggetti con GERD ed in controlli, utilizzando un valore di cut-off (> ). Gruppo N. Casi con Casi con di casi score > (N.) score > (%) ERD % NERD % FH 7 58% Tutti % Controlli 0 3 5% Sulla base di tali elementi è possibile affermare che l istologia costituisce un utile strumento diagnostico nella malattia da reflusso ed in particolare nelle forme non erosive. Dato che attualmente non esiste un parametro obiettivo per valutare la risposta alla terapia nelle NERD, l istologia può essere proposta a tale scopo nell ambito di trials terapeutici 6. Malattie associate alla metaplasia intestinale alla giunzione esofago-gastrica La metaplasia intestinale alla giunzione esofago-gastrica (MIG) costituisce un reperto abbastanza frequente (5-0% di endoscopie non selezionate), il cui rischio di cancro sembra essere assai inferiore a quello associato all esofago di Barrett 7. Il significato della sua presenza su biopsie provenienti da una linea Z endoscopicamente regolare è stato ampiamente dibattuto, considerandola alcuni l estensione a livello cardiale di una gastrite atrofico-metaplastica, altri invece l espressione di una forma iniziale di Barrett conseguente alla malattia da reflusso (Ultra-short Barrett). Nell ipotesi che le lesioni gastriche e/o esofagee associate alla MIG possano fornire indicazioni sul significato biologico della MIG, abbiamo studiato una serie continua di 485 soggetti non selezionati, sottoposti ad endoscopia per varie motivazioni e tutti provvisti di biopsie esofagee, della linea Z e gastriche (antro + corpo). Si è osservata MIG in 9/485 casi (8,8%), in casi la MI era di tipo completo, in 77 di tipo incompleto, in 3 mista. L età mediana dei casi con MIG (59,5) era superiore a quella dei controlli (53,3, p = 0,0003). La prevalenza di lesioni associate ai casi rispettivamente con e senza MIG

15 PATOLOGIA GASTRO-INTESTINALE 75 Tab. II. Prevalenza di lesioni gastriche ed esofagee in pazienti con e senza MIG. Lesioni associate Prevalenza Prevalenza p in casi con MIG in casi senza MIG Solo lesioni esofagee 46,% (4/9) 34,8% (37/394) 0,053 Solo lesioni gastriche 3,% (/9) 7,% (68/394) 0,93 Lesioni esofagee + gastriche 36,3% (33/9) 3,9% (94/394) 0,07 Esofago e stomaco normali 4,4% (4/9) 4,% (95/394) < 0,000 era la seguente: esofagite microscopica 50,5% vs. 58,6%, esofago di Barrett 3,9% vs. 0%, gastrite da H. pylori,0% vs. 3,9%, metaplasia intestinale dello stomaco 7,5% vs. 7,3% (p = 0,037), assenza di lesioni gastriche ed esofagee 4,4% vs. 4,% (la somma delle lesioni in ciascun gruppo eccede il 00% per la presenza di lesioni multiple in alcuni casi). La Tabella II mostra la distribuzione del totale lesioni associate, raggruppate per organo. Tali dati suggeriscono che la MIG possa essere espressione a livello giunzionale sia di una malattia da reflusso (più frequentemente) che di una gastrite che di entrambe. La bassissima prevalenza di reperti normali sia esofagei che gastrici in casi con MIG (ma non nei controlli) dimostra che la MIG non rappresenta un entità isolata ma che riflette una storia di malattia esofagea o gastrica. Bibliografia Schindlbeck NE, Klauser AG, Berghammer G, et al. Three year follow-up of patients with gastroesophageal reflux disease. Gut 99;33:06-9. Ismail-Beigi F, Horton PF, Pope CE. Histological consequences of gastroesophageal reflux in man. Gastroenterology 970;58: Dent J, Brun J, Fendrick AM, et al. on behalf of the Genval Workshop Group. An evidence-based appraisal of reflux disease management the Genval workshop report. Gut 999; 44(Suppl ):S-S6. 4 Zentilin P, Savarino V, Mastracci L, Spaggiari P, Dulbecco P, Ceppa P, et al. Re-assessment of the diagnostic value of histology in patients with GERD, using multiple biopsy sites and an appropriate control group. Am J Gastroenterol 005, in stampa. 5 Villanacci V, Grigolato PG, Cestari R, et al. Dilated intercellular spaces as marker of esophageal reflux: histology, semiquantitative score and morphometry upon light microscopy. Digestion 00;64:-8. 6 Calabrese C, Bortolotti M, Fabbri A, Areni A, Cenacchi G, Scialpi C, et al. Reversibility of GERD ultrastructural alterations and relief of symptoms after omeprazole treatment. Am J Gastroenterol 005;00: Sharma P, Weston AP, Morales T, et al. Relative risk of dysplasia for patients with intestinal metaplasia in the distal esophagus and in the gastric cardiac. Gut 000;46:9-3.

16 PATHOLOGICA 005;97:76-79 Transizione pre-cancerosi cancro Moderatore: C. Clemente (Milano) Agenti trasformanti e basi molecolari della carcinogenesi M. Roncalli Università di Milano, Istituto Clinico Humanitas È noto come svariati siano gli agenti etiologici implicati nella carcinogenesi umana. Tra questi importanza rilevante assumono gli agenti virali (quali HPV, HBV, EBV, HSV8), chimici (agenti alchilanti, attivatori metabolici, idrocarburi aromatici contenuti nel fumo di sigaretta, azocoloranti, prodotti naturali tipo aflatossina B e composti chimici tipo cloruro di vinile) e radianti (ultravioletti e radiazioni ionizzanti). Solo in alcuni casi stati ipotizzati e provati meccanismi molecolari più o meno complessi che legano un determinato carcinogeno al processo di trasformazione molecolare. Ad esempio l aflatossina B è in grado di indurre una specifica mutazione al codon 49 di p53 intervenendo nella carcinogenesi epatica, mentre i prodotti proteici E6 ed E7 dei virus HPV 6 e 8, legando e inattivando due oncosoppressori critici come p53 e Rb, inducono il processo di trasformazione cervicale mentre le radiazioni ultraviolette, determinando mutazioni di p53 e k- ras, intervengono nel processo di cancerogenesi cutanea. Le basi molecolari della sequenza carcinogenetica sono assai complesse e l innesco del processo deve essere seguito dalla capacità delle cellule alterate di fissare il danno e di trasmetterlo alla progenie. In definitiva il processo di trasformazione (e di progressione) neoplastica è costituito da una serie di alterazioni molecolari di geni strategici, noti e ignoti, nella regolazione agonista e antagonista della crescita e differenziazione cellulare, dell apoptosi, dell adesione cellulare, del controllo dell integrità e del riparo del DNA, ecc. Ciò è stato ben documentato nel modello di cancerogenesi colorettale in cui alterazioni di tipo genetico ed epigenetico (non legate cioè a modificazioni strutturali del DNA) sequenziali ed additive, accompagnano la sequenza morfologica cellula normale-adenoma/displasia-cancro. Emerge che vi sono diverse categorie di tumori (la maggior parte dei tumori del coloretto, mammella, fegato, polmone, testa-collo) caratterizzati da elevata instabilità cromosomica (pathway CIN, vale a dire con importanti alterazioni cromosomiche rappresentate da guadagno o perdita di frammenti cromosomici, da perdita di eterozigosità e in definitiva da aneuploidia), che accelera la probabilità che si realizzino mutazioni in geni critici a carico stessa cellula/clone cellulare. Vi sono altresì categorie di neoplasie caratterizzate, all opposto, da bassa instabilità cromosomica (tumori in genere diploidi) come le neoplasie colorettali con pathway MSI (alta instabilità microsatellitare), in cui il processo carcinogenetico viene determinato ad esempio dal difetto di geni di riparo del DNA. Vi è infine un terzo gruppo di neoplasie, quelle con fenotipo cosiddetto metilatore, in cui diversi geni vengono silenziati epigeneticamente (p6, p4, ecc.), contribuendo alla tumorigenesi. È oggi importante stabilire se queste alterazioni molecolari si realizzano nel corso della progressione tumorale o la anticipano, intervenendo nelle fasi iniziali del processo di trasformazione. Alcune evidenze suggeriscono che alterazioni tipo CIN possono essere già documentabili in condizioni di displasia (ad es displasie colorettali o del cavo orale con evidenza di aneuploidia). La sistematizzazione di queste informazioni dovrebbe consentire di chiarire le basi molecolari delle stesse lesioni displastiche che noi classifichiamo morfologicamente in /3 categorie (basso-alto grado; lievemoderata e severa) ma che verosimilmente sono tarate da elevata eterogeneità biologica e conseguentemente evolutiva (e di risposta terapeutica), nell ambito delle stesse subcategorie displastiche. Le basi biologiche della CIN sono attualmente oggetto di studi intensi che hanno identificato alcuni geni critici coinvolti ad es. nella segregazione cromosomica, nel controllo di checkpoints cellulari della mitosi e nel riparo di DNA (MAD, BUB, BRCA, CDC4) che, se alterati, sono in grado di indurre rapidamente fenomeni di aneuploidia cellulare. Ancora più interessante rilevare che anche alcuni agenti virali (JC, HBV, HPV e HTLV-) a loro volta sono in grado di indurre aneuploidia interferendo verosimilmente con la regolazione dei geni sopraddetti. Sta emergendo il concetto di neoplasie immortali, contrapposte alle mortali, ovvero con la capacità di attecchire rapidamente in coltura, in quanto fortemente aneuploidi e biologicamente più aggressive. A sua volta questa ipotesi richiama l origine tumorale delle cosiddette neoplasie immortali da cellule differenziate (ma divenute aneuploidi) contrapposta all origine di neoplasie mortali da stem cells (normoploidi). Queste ipotesi hanno ovvie implicazioni anche per quanto attiene la identificazione e definizione della eterogenità delle lesioni displastiche (displasie mortali, normoploidi e displasie immortali, aneuploidi) nonché per la comprensione biologica della cosiddetta field cancerization. In questo contesto verranno infine richiamati anche alcuni aspetti eziopatogenetici e molecolari della cancerogenesi epatica laddove alla relativa complessità delle pathways coinvolte nel carcinoma epatico (dovuta anche alla multifattorialità degli agenti etiologici) si contrappone la carenza relativa di informazioni per quanto attiene le basi morfologiche e molecolari della transizione precancerosi-cancro. Bibliografia Chirieac LR, Shen L, Catalano PJ, Issa JP, Hamilton SR. Phenotype of microsatellite-stable colorectal carcinomas with CpG island methylation. Am J Surg Pathol 005;9: El-Zein R, Gu Y, Sierra MS, Spitz MR, Strom SS. Chromosomal instability in peripheral blood lymphocytes and risk of prostate cancer. Cancer Epidemiol Biomarkers Prev 005;4: Feitelson MA, Reis HM, Liu J, Lian Z, Pan J. Hepatitis B virus X antigen (HBxAg) and cell cycle control in chronic infection and hepatocarcinogenesis. Front Biosci 005;0: Gorgoulis VG, Vassiliou LV, Karakaidos P, Zacharatos P, Kotsinas A, Liloglou T, et al. Activation of the DNA damage checkpoint and genomic instability in human precancerous lesions. Nature 005;434: Hunter KD, Parkinson EK, Harrison PR. Profiling early head and neck cancer. Nat Rev Cancer 005;5:7-35. Review. 6 Jallepalli PV, Lengauer C. Chromosome segregation and cancer: cutting through the mystery. Nat Rev Cancer 00;:09-7. Review. 7 Kazama Y, Watanabe T, Kanazawa T, Tada T, Tanaka J, Nagawa H. Mucinous carcinomas of the colon and rectum show higher rates of microsatellite instability and lower rates of chromosomal instability. Cancer 005;03: Lengauer C, Wang Z. From spindle checkpoint to cancer. Nat Genet 004;36: Loeb LA, Loeb KR, Anderson JP. Multiple mutations and cancer. Proc Natl Acad Sci USA 003;00:776-8.

17 TRANSIZIONE PRE-CANCEROSI CANCRO 77 0 Michor F, Iwasa Y, Nowak MA. Dynamics of cancer progression. Nat Rev Cancer 004;4: Review. Michor F, Iwasa Y, Vogelstein B, Lengauer C, Nowak MA. Can chromosomal instability initiate tumorigenesis? Semin Cancer Biol 005;5:43-9. Review. Montgomery E, Wilentz RE, Argani P, Fisher C, Hruban RH, Kern SE, et al. Analysis of anaphase figures in routine histologic sections distinguishes chromosomally unstable from chromosomally stable malignancies. Cancer Biol Ther 003;: Niv Y, Goel A, Boland CR. JC virus and colorectal cancer: a possible trigger in the chromosomal instability pathways. Curr Opin Gastroenterol 005;:85-9. Review. 4 Nowak MA, Komarova NL, Sengupta A, Jallepalli PV, Shih IM, Vogelstein B, et al. The role of chromosomal instability in tumor initiation. Proc Natl Acad Sci USA 00;99: Ozkal P, Ilgin-Ruhi H, Akdogan M, Elhan AH, Kacar S, Sasmaz N. The genotoxic effects of hepatitis B virus to host DNA. Mutagenesis 005;0: Rajagopalan H, Nowak MA, Vogelstein B, Lengauer C. The significance of unstable chromosomes in colorectal cancer. Nat Rev Cancer 003;3: Review 7 Rajagopalan H, Jallepalli PV, Rago C, Velculescu VE, Kinzler KW, Vogelstein B, et al. Inactivation of hcdc4 can cause chromosomal instability. Nature 004;48: Rajagopalan H, Lengauer C. Aneuploidy and cancer. Nature 004;43: Review. 9 Wang Z, Cummins JM, Shen D, Cahill DP, Jallepalli PV, Wang TL, et al. Three classes of genes mutated in colorectal cancers with chromosomal instability. Cancer Res 004;64: Accumulation of genetic changes during the development and progression of bladder cancer A.M. Cianciulli, R. Merola, E. Vico, G. Orlandi, S. Sentinelli, M. Gallucci Regina Elena Cancer Institute, Rome, Italy Bladder cancer may be even more of a public health issue when one considers its true prevalence and issues of survival. Most bladder cancers present themselves as superficial disease and are likely to recur in 50% to 75% of cases. Thus, the ongoing prevalence of bladder cancer far exceeds its primary incidence. Moreover, although only 5% to 5% of these cases are likely to progress, an additional 5% of cases are invasive at their initial presentation. A staging schema, based on the progressive depth of the tumor s involvement of the bladder wall, has been used to assign treatment and to assess outcome and prognosis 3 4. Analysis of the prognosis of various forms of bladder cancer suggests, however, that this staging schema may not adequately reflect the true biological nature of different forms of the disease. Consequently we need new molecular markers to identify and monitor those patients presenting with superficial tumors who are likely to develop recurrent or progressive disease and to provide additional important informations in patients with muscle invasive carcinomas concerning their metastatic potential and response to adjuvant regimens.recent studies have identified distinct genetic changes in association with these neoplastic diatheses, thereby supporting the concept of disparate, but interrelated, pathways of tumor development, as illustrated in Figure. For example, tumors with changes in chromosome 9 appear to manifest a proliferative diathesis with little likelihood of progression. In contrast, tumors with changes in chromosome 7p (with enhanced of p53) generally appear as high-grade lesions and as flat carcinoma in situ 5. Fig.. On this basis, in our previous study, we examined, by fluorescence in situ hybridization method, 70 different stages of bladder primary tumors for chromosomes, 7, 9, 7 and ploidy evaluated by flow cytometry (FCM). The results were correlated, after a mean time of follow-up, with ploidy, histopathological characteristics, recurrence and progression. The frequency of chromosome and 9 aberrations did not show significative differences in diploid and aneuploid tumors in different stage and grade. On the contrary, the chromosome 7 and 7 aneusomy showed greater differences between T and T-3 tumors than between stage Ta and T. In our investigation an increasing number of aberrations was observed in all chromosomes examined in tumors of patients which afterwards underwent cystectomy and/or had recurrent tumors 6. Another clinically important feature of the urinary bladder cancer is multifocality. Urothelial carcinomas are commonly accompanied by surrounding abnormal urothelium to be found near the base of 5% of primary urothelial cell carcinomas of the bladder and ranging from dysplasia to carcinoma in situ. These findings may support the field defect theory: the occurrence of many genetic alterations, independent of the presence of transformed bladder cells, could be a consequence of continued exposure to both exogenous and endogenous carcinogenic compounds excreted in urine 7. The alternative theory postulates a clonal development of multifocal bladder cancer 8. Identical genetic alterations in later stages of tumor development could reflect monoclonal occurrence of multiple tumors, as well as dominant overgrowth of malignant tumor cell clones. At present, one cannot predict among patients with non invasive tumors who will experience progression and/or recurrence. In fact, the clinical course in urinary superficial bladder cancer is difficult or impossible to predict when based on conventional disease parameters. A reasonable hypothesis is that the genetic aberrations acquired by the tumor cells may also hold the key to more reliable prognostication. Genetic studies of bladder cancer have focused either on superficial papillary cancers or on invasive primary tumors and their metastatic evolution, but have not concentrated on the sequence of genetic defects associated with evolution from normal appearing urothelium to superficial cancer. We investigated chromosome, 7, 9, 7 aneusomy in 5 superficial papillary carcinomas and in tissue samples taken from sites of macroscopically uninvolved urothelium surrounding the tumors, as well as from distant sites, using the fluorescence in situ hybridization method (FISH) in order to determine whether genetic aberra-

18 78 RELAZIONI tions found in bladder cancers are also present in the morphologically normal epithelium of the same patient 9. The results demonstrated a close genetic relationship between all examined tumors and normal-appearing mucosa. Numerical aberrations of chromosomes, 7, 9 and 7 were found to exhibit similar patterns in all analyzed specimens, although with different frequencies. On the basis of histological evaluation, we divided the viciniore mucosa in morphological normal mucosa and pathological mucosa. The comparison between tumors and pathological non-neoplasia surrounding mucosa aberrations showed statistical differences only in chromosomes and 7, while for chromosomes 7 and 9 statistical evaluation was not significant. These data suggest that general genetic instability already present in the entire transitional epithelium at the time of tumor occurrence is a reason for multifocality. Moreover, such an approach can identify genetic alterations evident in early clonal expansion of preneoplastic changes that could serve as markers of clinically occult neoplasia: most investigated bladder carcinomas and their adjacent, uninvolved tissues are characterized by distinctive, partially overlapping patterns of genetic instability. Aneusomy of evaluated chromosomes, especially of chromosomes 7 and 9, may represent an intermediate biomarker of bladder tumorigenesis. This could be potentially useful in identifying patients prone to metachronous or synchronous tumors who may benefit from preventive measures. Identification of patients at increased risk of progression is an important goal in bladder cancer research because such patients will be candidates for newer treatments and followup strategies. In our recent cytogenetics analysis, we analyzed deletions of 9p (p6), 7p3. (p53) and 3q4 (RB) chromosomal loci in 48 muscle-invasive bladder cancer and adjacent normal mucosae. On the basis of the obtained results, we propose that chromosomal 3, 7, 7 monosomy and RB heterozygous deletion could be considered potentially useful intermediate biomarkers to detect patients at high risk of progression who may benefit from particular and innovative therapeutic interventions 0. We emphasize that the use of cytogenetic changes in the clinical staging and/or therapeutic strategies should be employed in clinical and pathological characteristic s panel. Each of these parameters individually and in the aggregate could improve the understanding of the disease and contribute in categorizing either superficial or advanced bladder cancer patients. Only larger studies with long-term follow-up will determine the validity of this noteworthy observation. References Heney NM, Ahmed S, Flanagan MJ, et al. Superficial bladder cancer: Progression and recurrence. J Urol 983;30: Kaye KW, Lange PH. Mode of presentation of invasive bladder cancer: Reassessment of the problem. J Urol 98;8: UICC. TNM Classification of Malignant Tumors. Sixth Edition. New York: Wiley-Liss Epstein JI, Amin MB, Reuter VR, Mostofi FK. The World Health Organization/International Society of Urological Pathology consensus classification of urothelial (transitional cell) neoplasms of the urinary bladder. Bladder Consensus Conference Committee. Am J Surg Pathol 998;: Sandberg AA. Cytogenetics and molecular genetics of bladder cancer: a personal view. Am J Med Gen 00;5: Cianciulli AM, Bovani R, Leonardo F, Antenucci A, Gandolfo GM, Giannarelli D, et al. Interphase cytogenetics of bladder cancer progression: relationship between aneusomy, DNA ploidy, histopathology and clinical outcome. Int J Clin Lab Res 000;30:5-. 7 Richie JP, Shipley WU, Yagoda A. Cancer of the bladder. In: De Vita VT Jr, Hellman S, Rosenberg SA, eds. Cancer: principles and practice of oncology. Philadelphia: JB Lippincott 989, pp Sidransky D, Frost P, Von Eschenbach A, Oyasu R, Preisinger AC, Vogelstein B. Clonal origin of bladder cancer. N Engl J Med 99;36: A.M. Cianciulli, C. Leonardo, F. Guadagni, R. Marzano, F. Iori, C. De Nunzio, et al. Genetic instability in superficial bladder cancer and adjacent mucosa: an interphase cytogenetic study. Human Pathology 003;34:4-. 0 Gallucci M, Guadagni F, Marzano R, Leonardo C, Merola R, Sentinelli S, et al. Status of the p53, p6, RB, and HER- genes and chromosomes 3,7,9, and 7 in advanced bladder cancer: correlation with adjacent mucosa and pathological parameters. J Clin Pathol 005;58: Eventi morfogenetici e molecolari nelle fasi iniziali della carcinogenesi colorettale M. Risio Servizio di Anatomia ed Istologia Patologica, Istituto per la Ricerca e la Cura del Cancro, Candiolo, Torino, Italia L adenoma che contiene un carcinoma che invade la sottomucosa (stadio pt) rappresenta la forma più precoce di carcinoma colorettale clinicamente rilevante nella maggior parte dei pazienti. L invasione della sottomucosa viene unanimemente considerata l espressione morfologica dell acquisizione del fenotipo metastatico che, mediante l accesso alla rete linfatica da parte della neoplasia, apre la via alla diffusione a distanza della malattia. L osservazione microanatomica della paucità o della completa assenza della rete linfatica intramucosa nel colon, è coerente con tale modello di carcinogenesi, anche se recenti evidenze genetico-molecolari appaiono più profondamente esplicative. Un diverso coinvolgimento del sistema delle caderine nei segnali di contatto ed adesione intercellulari rende ragione della assenza di potenziale metastatico delle neoplasie coliche ad esclusiva infiltrazione mucosa, contrariamente all effettiva, seppure percentualmente minima, diffusione metastatica dei carcinomi gastrici intramucosi, frequentemente associati a mutazione del gene E-caderina 3. L invasione neoplastica della sottomucosa colica inferiore ai 300 micron non si accompagna mai a diffusione metastatica 4. In effetti, anche se l invasione sottomucosa rappresenta, dal punto di vista istopatologico, la completa trasformazione maligna con piena acquisizione del fenotipo metastatico, un certo grado di dissociazione tra comportamento biologico ed istologia nella transizione neoplasia intraepiteliale carcinoma precoce è suggerita dall associazione tra alterazioni numeriche (monosomia) e strutturali (delezioni della banda p3.3) del cromosoma 7 con il carcinoma colorettale iniziale ed avanzato, rispettivamente 5. Si ritiene comunemente che quando si verifica la trasformazione maligna di un adenoma, la crescita del carcinoma nel contesto della parete intestinale (transizione pt-pt4) sia un processo continuo, progressivo ed irreversibile che va di pari passo con il potenziale metastatico e la mortalità della malattia neoplastica. È concepibile, allo stato attuale delle conoscenze, un modello stocastico della carcinogenesi colorettale, secondo il quale il carcinoma iniziale, pt, associato a delezione 7p3.3 rappresenta una fase di rapida transizione verso stadi di progressiva invasione della parete intestinale, mentre i carcinomi pt associati a monosomia del cromosoma 7, seppure morfologicamente indistinguibili dai primi, corrispondono a neoplasie biologicamente distinte, probabilisticamente orientate alla stabilizza-

19 TRANSIZIONE PRE-CANCEROSI CANCRO 79 zione e, forse, alla regressione. Dati preliminari di genomica funzionale indicano come effettori dei diversi percorsi evolutivi i livelli di attivazione dei geni legati all angiogenesi (VEGF, VEGFr). Il potenziale metastatico di un adenoma cancerizzato è relativamente alto e solo i parametri istopatologici (grado di differenziazione del carcinoma, livello di invasione, invasione vascolare neoplastica) sono discriminanti tra un basso rischio (7%) ed un alto rischio (35%) di metastasi linfonodali. In particolare, mentre l interessamento del margine di exeresi del polipo è altamente predittivo della ripresa locale di malattia neoplastica (in forma di recidiva o di ricorrenza), l invasione linfatica è fortemente associata alle localizzazioni linfonodali secondarie e la scarsa differenziazione del carcinoma alla mortalità complessiva dell adenoma cancerizzato 6. Il budding tumorale, la presenza cioè di nidi o singole cellule tumorali anaplastiche al margine di avanzamento carcinomatoso nella sottomucosa è risultato essere altamente predittivo del potenziale metastatico linfonodale, pressoché nullo se un basso grado di budding si associa ad una profondità di infiltrazione della sottomucosa non superiore ai.000 micron 7. Gli eventi molecolari che sottostanno alla morfogenesi del budding sono riconducibili ad alterazioni delle interazioni cellula-matrice, in particolar modo al ruolo esplicato da TIMP- e Laminina : qui dovranno verosimilmente essere ricercati nuovi biomarcatori molecolari predittivi della storia naturale dell adenoma cancerizzato. Bibliografia Coverlizza S, Risio M, Ferrari A, Fenoglio-Preiser MC, Rossini FP. Colorectal adenomas containing invasive carcinoma. Pathologic assessment of lymph node metastatic potential. Cancer 989;64: Fenoglio CM, Kaye GI, Lane N. The distribution of colonic lymphatics in normal, hyperplastic and adenomatous tissue. Its probable relationship to metastasis from small carcinomas in pedunculated adenomas with two case reports. Gastroenterology 97;64: Perry I, Hardy R, Tselepis C, Jankowski JA. Cadherin adhesion in the intestinal crypt regulates morphogenesis, mitogenesis, motogenesis, and metaplasia formation. Mol Pathol 999;5: Kikuchi R, Takano M, Takagi K, Fujimoto N, Nozaki R, Fujiyoshi T, et al. Management of early invasive colorectal cancer. Risk of recurrence and clinical guidelines. Dis Colon Rectum 995;38: Risio M, Casorzo L, Chiecchio L, De Rosa G, Rossini FP. 7p deletions are associated with the transition from early to advanced colorectal cancer. Cancer Gen Cytogen 003;47: Hassan C, Risio M, Rossini FP, Morini S. Histological risk factors and clinical outcome in colorectal malignant polyp: a pooled data analysis. Dis Colon Rectum 005(in stampa). 7 Ueno H, Mochizuki H, Shimazaki H, Aida S, Hase K, Matsukuma S, et al. Risk factors for an adverse outcome in early invasive colorectal carcinoma. Gastroenterology 004;7: Holten-Andersen MN, Hansen U, Brunner N, Nielsen HJ, Illemann M, Nielsen BS. Localization of tissue inhibitor of metalloproteinases (TIMP-) in human colorectal adenoma and adenocarcinoma. Int J Cancer 005;3: Sordat I, Rousselle P, Chaubert P, Petermann O, Aberdam D, Bosman FT, et al. Tumor cell budding and laminin-5 expression in colorectal carcinoma can be modulated by micro-environment. Int J Cancer 000;88: Tumorigenesi del sistema endocrino diffuso: aspetti morfologici e basi genetiche G. Rindi Dipartimento di Patologia e Medicina di Laboratorio, Università di Parma In accordo con la classificazione corrente dell Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) le neoplasie (neuro)endocrine (NE) sono classificate in tumore NE ben differenziato (carcinoide), carcinoma NE ben differenziato (carcinoide maligno) e carcinoma NE poco differenziato (a piccole cellule). A questi, la classificazione OMS del 000 ha aggiunto le lesioni definite come simil-tumorali, spesso ad includere le lesioni preneoplastiche così definite nella successiva classificazione del 004. In questa relazione verranno brevemente descritte su base anatomica le lesioni considerate come preneoplastiche di organi endocrini e del sistema endocrino diffuso del tratto gastroenterico e del pancreas dell uomo. Ove possibile verranno effettuati confronti con indicatori morfofunzionali di trasformazione osservati in topi transgenici per costrutti con sequenze regolatorie di geni di ormoni a guidare l espressione della regione early di SV40 (AVP-Tag; RIPTag /RIPPyst; GLU-Tag; Sec-Tag). Si discuteranno possibile somiglianze o differenze e la rilevanza clinica di tali lesioni nell uomo. Bibliografia Solcia E, Klöppel G, Sobin LH, World Health Organization Interantion a Histological Classification of Tumours. Histological Typing of Endocrine Tumours. Berlin, Heidelberg, New York: Springer-Verlag 000. De Lellis RA, Lloyd RV, Heitz PU, Eng C, World Health Organization Classification of Tumours. Pathology and Genetics of Tumours of Endocrine Organs. Lyon: IARC Press 004.

20 PATHOLOGICA 005;97:80-83 Markers tumorali (non linfoidi) Moderatori: M. Chilosi (Verona), A.P. Dei Tos (Treviso) Il ruolo prognostico/predittivo dell Epidermal Growth Factor Receptor (EGFR) nel carcinoma del colonretto S. Rossi Anatomia Patologica, Ospedale Regionale di Treviso, Treviso, Italia Nell ambito dei fattori prognostici del carcinoma del colonretto (CRC), la mia presentazione sarà focalizzata sull Epidermal Growth Factor Receptor (EGFR). Verranno discussi i suoi possibili ruoli prognostico e predittivo nella terapia targhettata con anticorpo monoclonale anti-egfr e le problematiche legate alla determinazione della sua espressione. Background EGFR è un oncogene cellulare omologo all oncogene virale v-erb-b, codificante per un recettore transmembrana con attività tirosinkinasica. L overespressione di EGFR è un evento trasformante e la sua attivazione comporta il recruitment di diversi substrati intracellulari, tra i quali MAPK, AKT e p7, che da ultimo si ripercuote su importanti processi cellulari, quali la proliferazione, l apoptosi, l angiogenesi e la capacità di metastatizzare. EGRF nel carcinoma colonrettale La presenza della proteina EGFR è stata dimostrata in diverse neoplasie solide con un ampio range di espressione. In particolare nel CRC, la percentuale di casi positivi negli studi più accreditati è compresa tra il 75,5% e l 8,% -5. Per quanto riguarda il possibile ruolo prognostico di EGFR nel CRC, dalla metanalisi di Nicholson 6 EGFR risultava solo un modesto marcatore prognostico. Tuttavia, l autore stesso notava l eterogeneità dei dati dello studio relativamente ai pazienti inclusi ed alle tecniche usate. Ancora oggi non esiste un parere unanime sull argomento. Alcuni studi sottolineano l associazione tra EGFR e prognosi 7 8, sebbene talora limitandola alla percentuale di cellule con intensità forte o moderata/forte presenti in tutto l ambito della neoplasia 8 o alla percentuale di cellule con intensità moderata/forte presenti in corrispondenza del fronte di invasione della neoplasia. Al contrario, altre casistiche negano la valenza prognostica di EGFR Inoltre, l espressione di EGFR sembra correlare con il grado della neoplasia 3, con l invasione vascolare e perineurale e con la sede della neoplasia. Interessanti i recenti dati sulla concordanza nell espressione di EGFR tra casi primitivi e metastatici. Infatti la frequenza di non concordanza non sarebbe trascurabile, con più di un terzo dei casi non concordanti tra quelli con primitivo positivo ed un 5% di casi non concordanti tra quelli con primitivo negativo, rispettivamente, sebbene ancora una volta non manchino studi con evidenze diverse 3. Unanime è il giudizio sulla minore frequenza di espressione di EGFR nei campioni bioptici rispetto a quelli operatori 3. Ciò sarebbe da ascrivere all eterogeneità di espressione di EGFR nel CRC, ben descritta da Goldestein, il quale notava l esistenza di un gradiente di positività con una maggiore percentuale di cellule positive al di sotto della tonaca muscolare e osservava che la maggiore intensità di immunocolorazione era più frequente nelle cellule infiltranti singolarmente lo stroma (Fig. a) e nei piccoli gruppi cellulari di forma angolata, che apparivano gemmare da ghiandole neoplastiche negative o solo lievemente positive (Fig. b). Sempre connesse all eterogeneità della colorazione sono le emergenti perplessità sull uso dei microarray tissutali 3. Determinazione dell espressione di EGFR e terapia targhettata nel carcinoma colonrettale Con l avvento dell anticorpo monoclonale anti-egfr, Cetuximab, enorme importanza ha assunto la determinazione dell espressione della molecola target EGFR, necessaria per la selezione dei pazienti da trattare con la terapia targhettata. Tra le numerose tecniche che possono essere usate (Tab. I), la più comunemente utilizzata è quella immunoistochimica (IHC). Da sottolineare che, mentre l overespressione di HER- nel carcinoma mammario dipende in modo predominante dall amplificazione del gene 4, l overespressione di EGFR nel CRC non correla con l amplificazione genica 5-7. Di conseguenza, l ibridazione in situ per fluorescenza (FISH) o l ibridazione cromogenica in situ (CISH) non sembrano le metodiche più adatte per determinare l espressione di EGFR nel CRC. Per quanto riguarda la determinazione IHC di EGFR, sebbene l avven- Tab. I. Determinazione dell espressione di EGFR. Metodo Campione ideale Limitazioni Metodi in situ IHC Sezione di tessuto Eterogeneità del campione FISH Sezione di tessuto Mancanza di correlazione tra amplificazione del gene ed overespressione della proteina CISH Sezione di tessuto Mancanza di correlazione tra amplificazione del gene ed overespressione della proteina Metodi estrattivi Western/Northern blot Estratto di tessuto/siero * Complessità tecnica RT-PCR Estratto di tessuto/siero a Complessità tecnica ELISA Estratto di tessuto/siero a Nessuna Flow cytometry Estratto di tessuto Nessuna * La rilevanza dell EGFR sierico nei pazienti neoplastici non è ancora ben stabilita. IHC, immunohistochemistry; FISH, fluorescence in situ hybridization; RT-PCR, reverse transcript-polymerase chain reaction; CISH, chromogenic in situ hybridization; ELISA, enzyme-linked immunosorbent assay.

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