Dentifrici & Componenti

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1 Dentifrici & Componenti HILUX LABORATORIO ODONTOTECNICO di Martello Francesco Via Modena, 191/A Ferrara Italy Tel Cell CCIAA REA R.I. FE53469 INPS YK INAIL /40 P.IVA C.F. MRTFNC64T15E974I REG.MIN.SALUTE ITCA HILUX Pagina 1 23/09/2011

2 1. Introduzione 1.1 Considerazione sui dentifrici I dentifrici non vengono generalmente considerati, anche dagli addetti ai lavori, come prodotti indispensabili per la pulizia dei denti, ma semplicemente come dei cosmetici coadiuvanti dell unica azione che si crede naturalmente efficace, cioè quella meccanica delle setole dello spazzolino. I notevoli progressi scientifici e tecnologici che si sono avuti negli ultimi anni hanno però avuto riflessi anche in campo odontoiatrico e, con la comparsa sul mercato di prodotti contenenti molecole in grado di svolgere una ben precisa funzione nella pulizia dei denti, questo concetto sembra essere ormai abbandonato. La presenza, nella formulazione, di principi attivi con specifiche funzioni (antiplacca, antitartaro, desensibilizzante, antialitosica, antinfiammatoria, ecc.) ha trasformato la pasta dentifricia in un mezzo indispensabile per un igiene orale mirata e per un efficace prevenzione di molte patologie orali. Tutto questo ha reso necessario un approccio culturale completamente diverso da quello fino ad oggi adottato. Infatti, sia la scelta degli opportuni componenti che tutti i problemi connessi con la loro utilizzazione nei dentifrici non sono stati fino ad ora oggetto di estese e specifiche pubblicazioni, essendo stati trattati più semplicemente come uno dei tanti aspetti della chimica dei cosmetici in opere indirizzate quasi esclusivamente ad un pubblico con interessi rivolti al settore chimico o chimicofarmaceutico. Questa situazione ha probabilmente reso l argomento poco comprensibile alla maggior parte degli odontoiatri, degli igienisti dentali o, più in generale, di tutti quei soggetti interessati al problema della profilassi dentale e dell igiene del cavo orale. Da qui la necessità di una pubblicazione contenente una descrizione semplice e chiara sia della struttura chimica che della funzione dei vari componenti che formano una moderna pasta dentifricia, e la suddivisione di un numero considerevole di dentifrici in base ai principi attivi in essi contenuti, o meglio in base all azione terapeutica per la quale vengono indicati. I prodotti descritti sono la maggior parte di quelli attualmente presenti sul mercato italiano, più un certo numero di paste dentifricie che, benché poste fuori commercio in tempi recenti (sostituite in genere da formulazioni diverse della stessa casa produttrice), vengono ugualmente citate, in quanto possono essere importanti per avere un idea del peso specifico che i vari principi attivi hanno avuto nel tempo ed un esatta sensazione della rapidità con la quale le formulazioni delle paste dentifricie si sono recentemente evolute sia dal punto di vista chimico che farmacologico. Dei vari prodotti viene inoltre riportata la composizione (o, dove non è stato possibile reperire il dato completo, quanto comunicato dalle singole ditte produttrici nelle specifiche del prodotto o negli stampati utilizzati per le campagne pubblicitarie) la cui conoscenza potrebbe essere di grande utilità in tutti quei casi in cui si intenda sviluppare una ricerca nel campo della profilassi dentale che richieda la conoscenza sia dei vari componenti di una pasta dentifricia che della loro concentrazione. 1.2 I denti I denti permanenti sono 32 e la loro eruzione incomincia verso i sei anni con la comparsa del primo molare inferiore, per completarsi verso i 1820 anni con il terzo molare, detto anche dente del giudizio. Esaminando un dente dall esterno possiamo distinguere tre parti: la corona: è la parte che sporge dalla gengiva. È una struttura bianca, durissima, con una forma diversa a seconda della funzione del dente; il colletto: è la zona di transizione tra corona e radice; la radice: è una struttura giallastra, molto dura, che fissa il dente all osso e presenta all apice il cosiddetto foro apicale che permette l ingresso dei nervi e dei vasi sanguigni che nutrono il dente. Il dente è saldamente legato all osso per mezzo del legamento alveolodentale, che ne impedisce la fuoriuscita dalla cavità ove esso è contenuto. Esternamente l osso è ricoperto da un tessuto morbido e delicato, la gengiva, dal cui stato di salute dipendono le funzioni di sostegno dell osso sottostante. Se un dente viene poi esaminato in sezione, andando dall esterno verso l interno possiamo individuare i seguenti strati: 1) lo smalto: è il tessuto più duro presente nel nostro corpo, riveste la corona e rappresenta la vera barriera contro la carie; 2) il cemento: è una struttura che riveste la radice fino al colletto deve si incontra con lo smalto; 3) la dentina: è simile all avorio, costituisce la maggior parte del dente e racchiude al suo interno la polpa dentale; 4) la polpa dentale: è un tessuto molle ricco di nervi e di vasi sanguigni che vi arrivano tramite il foro apicale. HILUX Pagina 2 23/09/2011

3 I denti sono organi che durante il processo evolutivo si sono sviluppati per adempiere alla funzione masticatoria ma, dal momento che l alimentazione moderna non richiede più uno sforzo apprezzabile da parte dell apparato dentario per la masticazione, si è avuta una loro minore utilizzazione ed in parallelo si è riscontrato un notevole aumento delle malattie dentali. Infatti è una legge generale della biologia quella per cui un organo che viene meno, anche se solo in parte, alla propria funzione specifica perde in proporzione le sue possibilità di difesa contro gli agenti patogeni. Essendo il cavo orale una delle strutture con cui il mondo esterno entra in contatto con il nostro organismo, i denti sono quotidianamente esposti ad aggressioni sia di tipo chimico che fisico. I batteri presenti nell aria vengono in contatto con essi e penetrano all interno delle microfratture che sono dovute alla demineralizzazione dello smalto, causata da un alterazione del delicato ed importante ecosistema dei microrganismi e dall inevitabile usura della superficie smaltata. I batteri, insieme alle immunoglobuline, agli anticorpi, alle proteine ed ad altri residui alimentari, si accumulano, per scarsa igiene, sulla superficie del dente, formando una pellicola, la placca, che vi aderisce per azione di mucoproteine contenute nella saliva. Quindi, affinché i denti siano danneggiati il meno possibile, è utile attuare un programma di prevenzione che preveda, tra l altro, anche l utilizzo di dentifrici, ossia di preparati farmaceutici che rientrano per l appunto tra le sostanze adibite al mantenimento dell igiene orale. 1.3 Pellicola acquisita Il processo di formazione della placca batterica segue un ben preciso schema che inizia con l adesione dei primi batteri ad una struttura fortemente adesiva, presente normalmente sulla superficie del dente, cioè la pellicola acquisita o cuticola acquisita delle smalto. È questa un sottile strato proteico che comincia a formarsi sulla superficie dei denti immediatamente dopo una completa procedura di pulizia. I batteri iniziano a colonizzarla solo dopo 35 ore, tempo che dipende dallo stato delle gengive, dall igiene orale e dalla dieta. La sua formazione è dovuta ad un meccanismo di assorbimento delle macromolecole all idrossiapatite, fenomeno ben conosciuto dai biochimici in quanto la polvere di idrossiapatite viene comunemente utilizzata come materiale cromatografico per la purificazione delle proteine. L esatto ruolo della pellicola è sconosciuto, ma probabilmente essa ha la funzione di proteggere la fase inorganica dello smalto dentale dall azione degli acidi presenti nei cibi e nelle bevande e di ridurre sia l attrito tra i denti che quello tra questi e la mucosa orale. La pellicola costituisce la superficie sulla quale aderiscono i batteri durante la formazione della placca; infatti è ormai accertato che si vengono a stabilire delle vere e proprie interazioni chimiche tra le macromolecole che formano la pellicola e la superficie di alcuni microrganismi presenti nella placca, quali lo Streptococcus mutans e lo Streptococcus sanguinis. La fase inorganica dello smalto (cosi come della dentina e del cemento) è un apatite carbonata, ovvero un idrossiapatite altamente sostituita, nella quale alcuni ioni calcio sono stati rimpiazzati da ioni sodio, zinco, stronzio ed altri cationi. Inoltre circa uno ione fosfato su sei viene sostituito da ioni carbonato, mentre alcuni gruppi ossidrilici sono rimpiazzati da ioni fluoruro o, in quantità minore, da ioni carbonato; tutte queste sostituzioni rendono tale minerale molto più reattivo dell idrossiapatite pura. L importanza delle proprietà della superficie dello smalto e la natura delle forze coinvolte nella sua interazione con le macromolecole ed i batteri nel cavo orale sono risultate chiare solo recentemente. Infatti per molto tempo le ricerche si sono concentrate principalmente sugli aspetti cristallografici dello smalto e sulle loro modificazioni ad opera dei fluoruri. Recenti studi hanno invece chiaramente dimostrato che alcuni aspetti dell effetto cariostatico del fluoro possono essere spiegati in termine di variazioni delle proprietà superficiali dello smalto. Un dente, nel cavo orale, può essere paragonato a un reticolo cristallino immerso in un elettrolita, e per un ben noto principio fisico gli ioni di un elettrolita si legano ai siti di carica contraria della superficie di un cristallo. La solubilità dei sali così formati è un indicazione dell energia delle forze attrattive coinvolte: infatti una bassa solubilità indica un alta affinità tra gli ioni di segno opposto. Lo schema delle cariche sulla superficie del reticolo è bilanciato dagli ioni dell elettrolita nel guscio di idratazione e questo porta all elettroneutralità del cristallo. Lo smalto dentale mostra, sulla superficie esterna, molti più siti fosfato che ioni calcio (è cioè calciodeficente) e possiede quindi una carica negativa; è stato inoltre accertato che mentre i gruppi fosfato della superficie dell idrossiapatite sono carichi, i corrispondenti siti del calcio non sono polarizzati. Questo fenomeno causa un aumento della concentrazione dei controioni carichi positivamente nel guscio di idratazione. I cationi polivalenti spiazzano in genere da queste posizioni i cationi monovalenti ed è per questo motivo che gli ioni calcio, adsorbiti come controioni sui cristalli di idrossiapatite, sono una delle maggiori caratteristiche della superficie dei denti in vivo. HILUX Pagina 3 23/09/2011

4 La bassa solubilità del fosfato di calcio indica in generale un alta affinità di questo catione per i gruppi fosfato dell idrossiapatite; cationi bivalenti possono essere adsorbiti alla superficie carica negativamente su una base di equivalenza o di equimolarità. Tutto ciò causa una variazione della carica netta e quindi il legame di un ulteriore anione per mantenere l elettroneutralità (Figura 1.1). Figura 1.1 Meccanismi di adsorbimento degli ioni calcio (Ca ++ ) sulla superficie dello smalto dentale su base di equivalenza (A) o di equimolarità (B) È ormai certo che gli ioni fluoro vengono catturati dall0 smalto dentale attraverso l adsorbimento a ioni calcio, a Ioro volta adsorbiti equimolarmente. Questo fenomeno spiega anche perché Ie proteine acide che Iegano il calcio e i microrganismi carichi negativamente abbiano un alta affinità per i denti (Figura 1.2). Figura 1.2 Adsorbimento degli ioni fluoro (A) o di un generico polianione (B) (come può essere una proteina acida o la superficie di un batterio) all idrossiapatite dello smalto attraverso la mediazione degli ioni calcio. Le proteine salivari hanno una funzione antibatterica, lubrificante, digestiva ed inoltre hanno la proprietà di legare i minerali. Quest ultima funzione è importante per prevenire la formazione del tartaro e la demineralizzazione della pellicola acquisita della smalto. Alcune delle proteine salivari partecipano anche alla formazione della pellicola acquisita dello smalto. La superficie dell idrossiapatite è anfotera in quanto è in grado di legare sia le proteine acide che quelle basiche (Figura 1.3). Figura 1.3 Adsorbimento delle proteine salivari sullo smalto dentale: interazione tra l idrossiapatite e le proteine basiche (A) o le proteine acide (B). Le proteine acide adsorbite possono essere eluite con fosfati o altri anioni, mentre quelle basiche possono essere spiazzate dagli ioni calcio; entrambi i fenomeni sono il risultato di un inibizione competitiva. Le proteine acide sono ovviamente adsorbite al calcio, Iegato nello strato di idratazione del cristallo, mentre quelle basiche si Iegano ai gruppi fosfato presenti sulla superficie del cristallo; Ie proteine basiche debbono quindi sostituire gli ioni calcio nel guscio di idratazione per raggiungere Ia Ioro posizione. 1.4 Placca dentale La placca dentale è una sostanza molle, biancastra, che ricopre i denti, specie in corrispondenza del colletto e degli spazi interdentali, ed è formata da microcolonie di batteri incorporati in una pellicola gelatinosa invisibile ad occhio nudo. Tra i diversi batteri particolarmente numerosi sono gli streptococchi, capaci di produrre, a partire dai saccarosio (ovvero il normale zucchero da cucina), il destrano: un composto che essendo molto vischioso fa aderire tanto tenacemente la placca batterica allo smalto del dente da renderne quasi impossibile l eliminazione sciacquandosi semplicemente la bocca. A seconda della localizzazione e distribuzione si possono distinguere una placca sopragengivale da una HILUX Pagina 4 23/09/2011

5 sottogengivale, anche se depositi batterici possono formarsi su tutte le superfici dentali, sulle superfici dei restauri e sui manufatti protesici. Essa è formata da due costituenti principali: i batteri e la matrice extrabatterica, la cui presenza determina la capacità stessa dei batteri di organizzarsi sulle superfici lisce. La matrice, di natura polisaccaridica, viene sintetizzata dai batteri stessi ed è formata da due tipi di polimeri glucidici: i levani e i destrani. I levani, che rappresentano circa il 5% del peso totale della placca, sono dei polimeri lineari, o talvolta ramificati, del fruttosio con legami 26 βglicosidici. I destrani sono invece polimeri del glucosio sia lineari, con legami 16 α, che ramificati mediante legami glicosidici 13 o 14α. La struttura ramificata conferisce ai destrani l elevata viscosità che è responsabile di una forte coesione della placca e che viene ulteriormente rinforzata dai numerosi legami ionici che si vengono a formare fra le proteine e i polisaccaridi delle membrane batteriche; essi rappresentano circa il 10% del peso totale della placca. La presenza della placca batterica è indipendente dall assunzione di cibo, ma vari fattori, la maggior parte dei quali sono riportati in tabella 1.1, ne possono modificare la quantità e la composizione. Un alimentazione priva di saccarosio tende a dare una placca di spessore minimo e inoltre poco strutturata; al contrario, in presenza dei batteri detti cariogeni quali lo Streptococcus mutans ed il sanguinis, un alimentazione ricca di zuccheri porterà ad un rapido ispessimento della placca. Fattori fisici Anatomia del dente Struttura della superficie Presenza di restauri Presenza di apparecchiature Autodetersione di parti molli Masticazione Igiene orale ph Temperatura Tabella 1.1 Fattori che influenzano la crescita della placca batterica Fattori nutritizi endogeni Saliva Cellule di sfaldamento Liquido crevicolare Fattori nutritizi esogeni Dieta 1.5 Tartaro La formazione del tartaro avviene essenzialmente per un meccanismo di mineralizzazione della placca batterica, in particolare nelle zone dove la concentrazione di protoni (cioè il ph) e quella di calcio e fosforo siano tali da consentire la formazione e la precipitazione del fosfato di calcio e dove risulti ridotta la presenza di inibitori specifici come i pirofosfati. È inoltre probabile che, mediante nucleazione, il materiale organico presente sulle superfici dentali acceleri tale processo di mineralizzazione. Dalle indagini biochimiche ed istologiche risulta che il tartaro è costituito per il 25% da componenti organici (microrganismi morti, carboidrati, proteine e residui alimentari) e per il 75% da materiale inorganico calcificato (soprattutto cristalli di fosfato di calcio e ioni magnesio, zinco, sodio, potassio e carbonato). Il processo di formazione del tartaro può essere descritto dividendolo in tre fasi: 1) sullo smalto del dente sono presenti particolari siti chiamati recettori, costituiti dagli ioni superficiali di calcio, aventi carica positiva, e dagli ioni fosfato, aventi carica negativa. L inizio della formazione del tartaro si ha quando gli ioni calcio e fosfato, di origine salivare, si fissano sui recettori posti sullo smalto, attratti dalle cariche elettriche di segno contrario. Le molecole di fosfato di calcio, così formate, crescono fino a costituire minuscoli cristalli che si accumulano uno sull altro e che, legandosi tra di loro in modo poco compatto, creano una matrice molle e amorfa; 2) nella seconda fase, che dura solo da 7 a 24 ore, il tartaro presenta ancora cavità e spazi vuoti che lo rendono abbastanza molle da consentirne l asportazione tramite l azione meccanica delle spazzolino e del filo interdentale; 3) l ultima fase consiste nella trasformazione della matrice amorfa in una massa dura e cristallina (fase di calcificazione); sia gli ioni calcio che quelli fosfato riempiono gli spazi vuoti provocando l indurimento della matrice. A questo punto il tartaro e talmente duro da richiedere, per la rimozione, l intervento del dentista o dell igienista dentale. HILUX Pagina 5 23/09/2011

6 1.6 Ipersensibilità dentinale La teoria idrodinamica della sensibilità dentinale sostiene che gli stimoli (caldo, freddo, ecc.) che colpiscono i tubi dentinali esposti causano il movimento del fluido presente nei tubuli stessi che va a stimolare i recettori nervosi procurando in tal modo sensazioni dolorose o fastidi. Tutti gli agenti capaci di ostruire efficacemente i tubuli dentinali favoriscono la riduzione della circolazione del fluido in essi presente e procurano quindi una significativa diminuzione della sensibilità dentinale. 1.7 Carie La carie è una distruzione localizzata dei tessuti duri dentali dovuta all azione demineralizzante di acidi organici prodotti dai batteri in anaerobiosi. Il fenomeno è dovuto a vari fattori, ma semplificando possiamo attribuirlo alla presenza contemporanea, per un certo periodo di tempo, di un substrato sensibile di placca batterica e di sostanze fermentabili. In assenza di placca lo smalto è bagnato dalla saliva che possiede una notevole capacità tampone e si oppone alle piccole variazioni di ph. L idrossiapatite a ph neutro è poco solubile e vi è inoltre un equilibrio dinamico tra gli ioni calcio e fosfato della superficie dello smalto e quelli della saliva. I batteri presenti sulle superfici dentarie producono, durante il loro metabolismo, grandi quantità di acido lattico che abbassa il valore del ph soprattutto negli strati più profondi della placca, dove sono inefficaci i sistemi tampone salivari. Se il ph scende a valori inferiori a 5,75,2, la solubilità dell idrossiapatite aumenta notevolmente e tale si mantiene fino a che il ph rimane al di sotto di questo valore critico. Il livello critico di PH, detto anche ph critico, corrisponde quindi al grado di acidità al quale l idrossiapatite dello smalto si solubilizza ed ha inizio la demineralizzazione. Se lo smalto rimane esposto per lungo tempo ad un ambiente acido la demineralizzazione diventa irreversibile, si ha cioè una disgregazione della struttura cristallina dell idrossiapatite con creazione di tutta una serie di microanfrattuosità nelle quali il processo, per la completa assenza di ossigeno, tende a proseguire ancora più velocemente. In base al concetto di ph critico, i batteri della placca sono stati suddivisi in due gruppi in funzione della capacità, o meno, di metabolizzare i carboidrati al di sotto del ph critico. Mentre la maggior parte dei batteri del cavo orale è in grado di catabolizzare i carboidrati in condizioni di neutralità, solo poche specie batteriche riescono a farlo in condizioni di notevole acidità. Quindi la capacità di produrre acidi organici, cioè il potenziale acidogeno, può variare enormemente a seconda del tipo di placca e della specie batterica considerata. Mentre il ph critico per la carie dello smalto è di 5,5 quello per la carie radicolare è di circa 6,7 e la differente vulnerabilità tissutale è una conseguenza della maggiore solubilità della componente minerale dei tessuti duri della radice rispetto a quelli dello smalto. Questo fenomeno assume oggi notevole importanza, in quanto l invecchiamento della popolazione, associato al fatto che sempre un maggior numero di soggetti conserva fino a tarda età i denti naturali, ha portato la patologia paradontale ad un ruolo primario. Questo non soltanto per il danno paradontale in se stesso, ma anche perchè, come conseguenza della recessione gengivale, si realizza un esposizione dei tessuti radicolari all ambiente orale che permette lo sviluppo della carie. 1.8 Gengiviti La gengivite è un infiammazione che colpisce i tessuti gengivali e la sua insorgenza è favorita da un insufficiente igiene orale. Il progressive accumulo della placca batterica fra denti e gengive provoca un infiammazione; il processo infiammatorio, se trascurato, può coinvolgere i tessuti più profondi fino a raggiungere la base del dente (paradontite). Il persistere dell infiammazione provoca inoltre lo scollamento della gengiva dal dente e la formazione delle cosiddette tasche gengivali. A causa del progressivo scollamento delle gengive il dente inizia a vacillare e può infine cadere. 1.9 Discromie Sono le variazioni più o meno estese di colore (macchie grigie, gialle o nere) che si possono avere a carico del dente. Le discromie dipendono da vari fattori in base ai quali sono generalmente suddivise. Dei vari tipi di discromie alcuni sono più o meno permanenti e per essere corretti richiedono l intervento dell odontoiatra. Si possono avere: discromie acquisite: dovute a traumi che hanno prodotto emorragie o necrosi della polpa; discromie da farmaci: sono le macchie provocate dall assunzione di particolari molecole. Un esempio classico è la formazione di estese discromie dopo la somministrazione come antibiotici di tetracicline ai bambini, motivo per il quale la medicina legale ne prescrive oggi l uso solo dopo la completa formazione dei denti permanenti; HILUX Pagina 6 23/09/2011

7 discromie da amalgama: è un fenomeno che si verifica piuttosto raramente ed è provocato dal rilascio nel tempo, da parte di un amalgama usata per le otturazioni, di prodotti di ossidazione che anneriscono i denti. Altri tipi di discromie sono solo temporanei e possono essere facilmente eliminati con l uso di una pasta dentifricia con una buona azione abrasiva: discromie da alimenti: vengono provocate dal consumo abituale di particolari tipi di alimenti quali il tè, il caffè, le bevande colorate, la liquirizia, ecc.; discromie da fumo: sono provocate dalla deposizione sulla superficie dei denti di nicotina e di prodotti parzialmente incombusti come i residui catramosi; discromie da clorexidina: sono le macchie che si possono formare per la precipitazione di composti formatisi per interazione di questo antisettico con altre sostanze Alitosi È un fenomeno associato ad un alterazione nell equilibrio metabolico della normale flora batterica orale. In condizioni fisiologiche l alito non presenta alcun odore; l alito cattivo o alitosi, con il caratteristico odore spesso descritto simile a quello delle uova marce o del pesce guasto, è dovuto allo svilupparsi di una flora batterica anaerobica, che cresce in assenza più o meno assoluta di ossigeno, soprattutto nella placca dentaria, sulle gengive, sulla lingua, oppure nelle cavità cariate dei denti, dovunque la saliva non possa scorrere liberamente. Le cause fisiologiche possono essere la mancata salivazione durante il sonno, l assunzione di particolari cibi e le mestruazioni; le cause patologiche sono invece molteplici e le più comuni vengono riportate nella tabella 1.2. Tabella 1.2 Importanti cause patologiche di alitosi Malattie del cavo orale placca e carie dentaria gengivite e stomatite pariodontite e carcinoma orale Malattie sistemiche leucemia e agranulocitosi chetoacidosi e uremia insufficienza epatica Disordini neurologici patologie del gusto e dell olfatto deficit di zinco Disordini psichiatrici psicosi e depressione Malattie dell apparato respiratorio sinusite cronica e adenoidite ostruzione nasale carcinoma laringeo e polmonare Malattie faringee ascesso peritonsillare faringite secca Disfunzioni salivari disidratazione e radioterapia Farmaci Le sostanze che danno il pessimo odore tipico dell alitosi sono spesso composti gassosi dello zolfo, come il metantiolo o metilmercaptano, e il solfuro di idrogeno o idrogeno solforato. Essi originano dai residui di cibo in seguito all idrolisi delle proteine, dalle quali si formano tra l altro due aminoacidi solforati: la metionina e la cisteina, che subiscono la trasformazione in sostanze volatili; possono inoltre formarsi composti azotati come la dimetilamina, la trimetilamina, la piridina e le metilpiridine. Alcune abitudini sono causa di specifiche alitosi, come ad esempio è il caso del fumo, dell alcolismo o di particolari alimenti come l aglio o la cipolla. HILUX Pagina 7 23/09/2011

8 2. Calcio e fosforo Il calcio e il fosforo, dopo i costituenti organici, sono i due elementi più abbondanti nel nostro organismo dove rappresentano circa il 2% del peso totale medio. 2.1 Calcio Il calcio (Ca) e un elemento appartenente al II gruppo della tavola periodica, cioè a quello detto dei metalli alcalino terrosi. Si tratta di elementi estremamente reattivi che in natura non si trovano mai nella forma metallica ma sempre sotto forma di composti a spiccato carattere ionico. Lo ione calcio è presente in molti minerali quali la fluorite (CaF 2 ), che è la sorgente naturale dello ione fluoro nelle acque potabili, il fosfato di calcio (Ca 3 (PO 4 ) 2 ) e il carbonato di calcio o aragonite (CaCO 3 ), presenti nelle ossa e nei denti, ed inoltre disciolti nelle acque potabili dove costituiscono la principale sorgente di calcio, e il solfato di calcio diidrato o gesso (CaSO 4 H 2 O). Il corpo di un uomo adulto contiene circa 1 kg di calcio prevalentemente sotto forma di fosfato insolubile ma in parte anche come ione calcio nei liquidi intra ed extracellulari. Il calcio presente nelle strutture ossee neoformate e in equilibrio dinamico con gli ioni calcio dei fluidi corporei e, quotidianamente, vengono scambiati circa 20 g di calcio tra i due compartimenti. Il nostro organismo richiede una quantità giornaliera di ioni calcio che va da 1,5 g per un bambino in crescita a 0,5 g per un adulto; esso è indispensabile soprattutto per la corretta mineralizzazione del tessuto osseo e dei denti, ma è anche necessario per la precipitazione nello stomaco della caseina del latte, per il mantenimento di un corretto ritmo di pulsazione cardiaca, per la conversione del fibrinogeno in fibrina durante la coagulazione e per numerosi altri processi biologici. 2.2 Fosforo Il fosforo (P) appartiene alla famiglia del V gruppo della tavola periodica ed è un non metallo estremamente reattivo dal punto di vista chimico; non si trova mai libero in natura ma sempre allo stato di combinazione sotto forma di sale, principalmente fosfato di calcio. Esso è anche uno dei maggiori componenti di tutta la materia vegetale e animale. Il fosforo forma con l aria e l ossigeno una serie di anidridi di cui le più importanti sono: l anidride fosforosa (P 4 O 6 ) e l anidride fosforica (P 2 O 5 ); ambedue i composti si idrolizzano formando rispettivamente l acido fosforoso (H 3 PO 3 ) e l acido fosforico (H 3 PO 4 ). Per riscaldamento, due molecole di acido fosforico o ortofosforico possono reagire ed eliminando una molecola di acqua formare l acido pirofosforico (H 4 P 2 O 7 ). Questo composto per ulteriori reazioni può dare origine a prodotti ancora più complessi contenenti catene ed anelli di gruppi PO 4, detti acidi polifosforici. Tra i suoi numerosi sali quelli di maggior interesse odontoiatrico sono il fosfato di calcio bibasico sia anidro (CaHPO 4 ) che diidrato (CaHPO 4 2H 2 O) e il metafosfato di sodio insolubile che vengono utilizzati come abrasivi. I pirofosfati di sodio e potassio vengono utilizzati come agenti antitartaro, mentre i polifosfati vengono aggiunti ai detersivi per allontanare i cationi responsabili della durezza dell acqua e quindi della precipitazione delle molecole di tensioattivi. I fosfati si trovano nella saliva ad una concentrazione maggiore rispetto a quella del plasma e si presentano in varie forme. Il 10% sono fosfati organici, cioè composti nei quali il fosforo è legato a molecole organiche; tra questi ricordiamo gli esteri dell acido fosforico con il glucosio, il fruttosio ed altri carboidrati che sono composti di notevole importanza biologica, ad esempio come prodotti intermedi della degradazione (ovvero glicolisi in presenza di ossigeno e fermentazione in ambiente anaerobico) del glucosio che ha luogo nei processi muscolari. Un altro 10% si trova sotto forma di pirofosfati, composti in grado di inibire la precipitazione del fosfato di calcio. 2.3 Calcio e fosforo nei denti I denti sono costituiti da diversi tessuti duri formati in gran parte da sostanze inorganiche la cui struttura chimica, pur rassomigliando a quella del tessuto osseo, in generale se ne differenzia soprattutto per la composizione dello smalto, il quale presenta un elevato grado di calcificazione, superiore a quello dell osso e degli altri tessuti duri del dente (dentina e cemento). Il costituente inorganico principale dei tessuti dentari è il fosfato di calcio, ma la concentrazione dei vari componenti è estremamente varia nei diversi tessuti, come è èvidente della tabella 2.1. HILUX Pagina 8 23/09/2011

9 Sostanze organiche Fosfato di calcio Carbonato di calcio Fluoruro di calcio Fosfato di magnesio Altri sali Tabella 2.1 Smalto Dentina Cemento Osso 3,5 28,1 33,5 88,5 67, , ,5 4,8 1,5 1,5 0,83 0,5 0,5 Il fosfato di calcio è presente nei diversi tessuti duri sotto varie forme tra cui la più comune è il diidrossoesafosfato di decacalcio, o più semplicemente idrossiapatite (Ca 10 (PO 4 ) 6 (OH) 2 ). Altre varietà di fosfato di calcio sono presenti sia nella prima crescita dei tessuti duri che negli ultimi stadi dello sviluppo; tra questi ricordiamo la brushite o fosfato acido di calcio (CaHPO 4 2H 2 O), la withlockite o fosfato tricalcico (Ca 3 (PO 4 ) 2 ), e il fosfato octacalcico (Ca 8 (HPO 4 ) 4 ). Questi sali sono presenti nei tessuti in un equilibrio dinamico che favorisce la formazione dell idrossiapatite (figura 4). Figura 4 Nello schema non viene menzionato il fosfato tricalcico in quanto esso è instabile in acqua e si trasforma in idrossiapatite secondo la seguente reazione: H 2 O + Ca 3 (PO 4 ) 2 Ca 10 (PO 4 ) 6 (OH) 2 + 2Ca HPO 4 2 Lo smalto è un tessuto estremamente duro che riveste la corona del dente; contiene circa il 96% in peso di sostanze inorganiche ed è formato da cristalli di idrossiapatite che hanno un orientamento preferenziale e formano dei prismi che conferiscono solidità alla struttura. La carie dentale si sviluppa dove c è stato l attacco delle smalto da parte degli acidi: Ca 10 (PO 4 ) 6 (OH) 2 + 8H 3 O + 1OCa HPO H 2 O I principali agenti cariogeni sono gli acidi carbossilici (acidi organici in cui è presente il gruppo funzionale COOH) che derivano dalla trasformazione di alcuni componenti del cibo da parte dei batteri. 2.4 Calcio e fosforo nella saliva La composizione della saliva varia notevolmente in rapporto all età, al sesso, allo stato di nutrizione, alla modalità di stimolazione delle ghiandole, ed alla ghiandola secernente. La saliva è costituita da una parte organica ed una inorganica. Gli ioni presenti in quantità maggiore sono sodio, potassio, cloro, bicarbonato e calcio. La calcisialia, cioè il contenuto di calcio nella saliva, aumenta in generale con il grado di stimolazione, ed è sempre più alta nella saliva sottomandibolare. Dal 5 al 22% del calcio salivare totale è detto non ultrafiltrabile in quanto è complessato a strutture macromolecolari o è presente in aggregati colloidali. Il calcio è presente, ai normali valori di ph della saliva, in forma satura impedendo così la liberazione di calcio dagli elementi dentari. La concentrazione di questi ioni oltre ad essere importante, come abbiamo visto, per evirare la perdita di minerali da parte dei tessuti duri, è fondamentale per l attività di alcuni enzimi salivari tra i quali ricordiamo le proteasi a serina ed alcune collagenasi calciodipendenti, che controllano la crescita batterica e la permeabilità vascolare della mucosa del cavo orale. 2.5 Calcio e fosforo nella prevenzione della carie Il calcio ha un ruolo fondamentale per la calcificazione delle ossa e dei denti, la sua azione è strettamente legata a quella del fosforo con il quale il rapporto ottimale è di 1 a 2. L apporto di calcio per una corretta calcificazione è importante per tutta la vita, ma è fondamentale nel periodo prenatale per assicurare un equilibrato processo di calcificazione dei denti che inizia al principio del quinto mese e decorre in maniera normale in condizioni di corretta alimentazione materna. Durante l allattamento è consigliabile un apporto di calcio intorno ai mg al giorno per favorire una corretta calcificazione, processo che sembra avere un effetto protettivo nei confronti della carie. Un effetto protettivo è esercitato anche dal fosforo la cui aggiunta nella dieta sembra ridurre l incidenza di carie. HILUX Pagina 9 23/09/2011

10 2.6 Difetti di calcificazione I difetti di calcificazione, in grado di colpire ciascuno dei tessuti duri del dente, possono essere dovuti a deficit dietetici materni, a difetti ormonali materni o fetali, o a cause iatrogene. Ad esempio Ia somministrazione di tetracicline dopo il primo trimestre di gravidanza, o nei bambini piccoli, provoca ipoplasia della smalto, colorazione giallastra e caduta dei denti. Le tetracicline si legano al calcio osseo e dentale formando un complesso ortofosfatocalciotetracicline; si ha quindi una distribuzione dell antibiotico nell osso e nel dente specie prima della nascita con temporanea inibizione dell accrescimento sia nella vita fetale che nel neonato. Il dente deciduo è oggetto di disgenesie, ipoplasia e, come abbiamo già visto, di aumentata tendenza alla carie; presenta colorazione crema, giallastra o grigiobruna. Se somministrate negli ultimi mesi di gravidanza possono colpire il dente definitivo. HILUX Pagina 10 23/09/2011

11 3. Paste dentifricie 3.1 Proprietà Alla pasta base di un buon dentifricio si richiede sostanzialmente di avere un sapore gradevole, di non irritare le mucose, di non contenere abrasivi in quantità eccessiva, di possedere un ph stabile intorno a 7,0 e di non arrecare danno, sia localmente che all organismo, anche dopo un uso prolungato. Le specifiche funzioni (antiplacca, antitartaro, ecc.) vengono invece generalmente assolte da singoli componenti aggiunti alla formulazione. Le paste devono presentarsi lisce ed omogenee, stendersi sullo spazzolino molto facilmente aderendo alle setole, senza però espandersi. La consistenza deve essere tale che la pasta possa venire estrusa facilmente con una leggera compressione del tubetto flessibile; non vi devono essere grumi che impediscano al prodotto di disperdersi uniformemente nell acqua di sciacquatura e che potrebbero inoltre insinuarsi in qualche anfratto della cavità orale dopo l operazione di igiene orale Le motivazioni principali per giustificare l uso di una pasta dentifricia possono essere così riassunte: 1) rimuovere la placca batterica rendendo più efficace l azione meccanica della pulizia con lo spazzolino da denti; 2) svolgere un azione protettiva a livello della gengiva o dello smalto a seconda degli agenti specifici contenuti; 3) ridurre la predisposizione alla carie; 4) togliere eventuali macchie che oltre a problemi di estetica potrebbero favorire ulteriori adesioni di placca; 5) rendere più gradevole la spazzolatura per la presenza di aromatizzanti e dolcificanti; 6) lasciare momentaneamente l alito fresco e mascherare l alitosi; 7) incentivare i bambini all igiene orale. 3.2 Composizione I dentifrici sono stati commercializzati nel tempo in diverse forme di somministrazione: Iiquidi, in polvere o granuli e in pasta o gel. I dentifrici Iiquidi, o acque dentifricie, hanno una composizione simile a quella delle paste da cui si differenziano per una quasi completa assenza di sostanze abrasive ed una percentuale maggiore di detergenti, essenze aromatizzanti e spesso, nel passato, per la presenza di una discreta quantità di alcool etilico. Il loro uso è estremamente limitato essendo stati praticamente soppiantati dai collutori da cui oggi è spesso difficile distinguerli. Anche le polveri dentifricie non vengono quasi più utilizzate per motivi di praticità; al loro uso esistevano anche numerose controindicazioni tra cui un eccessiva azione abrasiva e il fatto che lo spazzolino, nel raccogliere la polvere, tendeva a bagnarla più del necessario alterando sia lo stato fisico (la polvere fine si addensava in grossi grumi) che quello chimico (idratazione) del prodotto. Inoltre questi dentifrici si disperdevano poco nella cavità orale durante l applicazione e le loro polveri insolubili tendevano a depositarsi negli spazi interdentali e nelle depressioni dei denti. I dentifrici in commercio sono oggi quasi esclusivamente in forma di pasta o di gel (contenente una minima quantità di abrasivi), e i componenti base presenti normalmente nella loro formulazione sono riportati in tabella 3.1. Tabella 3.1 Componenti base di una pasta dentifricia Umettanti, conservanti e lubrificanti (2030%) Leganti o addensanti (12%) Astringenti Coloranti Aromatizzanti o correttivi del sapore (12%) Dolcificanti (13%) Abrasivi (2040%) Detergenti (12%) A questi composti formanti la cosiddetta formulazione base vengono oggi quasi sempre aggiunti farmaci (o sostanze medicamentose o principi attivi) in una quantità che varia dall 1 al 3% del totale. Spesso, nelle specifiche, per facilitare l azione delle sostanze medicamentose viene consigliata una HILUX Pagina 11 23/09/2011

12 prima pulizia accurata dei denti con le setole dello spazzolino e solo successivamente l uso del dentifricio. Le quantità relative dei vari componenti non sono uguali nelle diverse formulazioni presenti in commercio e dipendono ovviamente dall utilizzazione per la quale la pasta è stata formulata e dalle interazioni chimicofisiche che si possono stabilire tra i componenti stessi. A puro titolo di esempio viene riportata di seguito la composizione di uno dei dentifrici presenti in commercio: principi attivi: citrato di potassio 5,345%, triclosan 0,2%, s0di0 monofluorofosfato 0,85%; abrasivo: diossido di silicio; schiumogenodetergente: sodio dodecilbenzensolfato; leganteaddensante: sodio carbossimetilcellulosa; aromatizzante: optamint; dolcificante: sodio saccarinato; umettante: sorbitolo; veicolo: acqua distillata. Il ph del cavo orale durante l utilizzazione di un dentifricio deve essere il più vicino possibile a quello della saliva ma in ogni caso compreso sempre tra 6,5 e 8,0. Dentifrici troppo alcalini possono infatti irritare le mucose e rammollire i tessuti paradentali mentre dentifrici troppo acidi incrementerebbero i processi di solubilizzazione dell idrossiapatite dello smalto. 3.3 Umettanti, conservanti e lubrificanti I componenti umettanti sono presenti nelle paste dentifricie in misura del 2030% ed in quantità minore nei dentifrici liquidi, dove hanno funzione di solventi complementari. Non hanno azione diretta sui denti e sul tessuti molli, ma hanno la funzione di ritardare la perdita del solvente quando il prodotto viene a trovarsi in ambiente aperto e sussiste quindi il rischio che secchi o indurisca rapidamente, e secondariamente di conferire maggiore uniformità e lucentezza alle paste. Gli umettanti maggiormente utilizzati sono l acqua, il glicerolo ed il sorbitolo. Nella preparazione delle paste dentifricie è generalmente utilizzata un acqua detta depurata che può essere: deionizzata, distillata e distillata purificata. L acqua deionizzata viene ottenuta mediante l utilizzazione di resine a doppio scambio (cioè anioniche e cationiche); quella distillata, che viene ottenuta tramite un processo di distillazione, può essere ulteriormente purificata con un processo di osmosi inversa. La glicerina o glicerolo viene preparata per sintesi (saponificazione dei grassi ed oli). È un liquido viscoso con un punto di fusione elevato; se scaldata decompone ad acroleina, un composto tossico per il fegato. Utilizzata come solvente per soluzioni chiamate glicerolati, viene anche impiegata come cosolvente, in quanto è solubile in acqua e può essere quindi usata per sciogliere sostanze poco solubili. La glicerina era usata in passato molto frequentemente per le sue proprietà umettanti ed emollienti ed in quanto le sue proprietà igroscopiche stabilizzavano il contenuto idrosalino delle paste dentifricie. Oggi il suo uso è notevolmente diminuito a causa di vari difetti, i principali dei quali sono: 1) il notevole abbassamento del potere di saponificazione che si ha in sua presenza, e quindi la sua interferenza con le proprietà schiumogene e detergenti dei preparati; 2) le sensazioni di sete, nausea e l iperglicemia, dovute al suo effetto disidratante. Il sorbitolo è un alcool poliossidrilico che avendo un potere edulcorante circa la metà di quello del saccarosio viene spesso utilizzato come dolcificante non cariogeno (vedi paragrafo 3.11). Nelle paste dentifricie viene in realtà utilizzato, normalmente in soluzione acquosa al 7075%, per le sue capacità umettanti e stabilizzanti. A parità di contenuto di prodotto anidro, la glicerina conferisce ai preparati finiti una consistenza maggiore rispetto al sorbitolo. Entrambi i prodotti sono ugualmente efficaci nel mantenere costante il contenuto idrico delle paste, nel prevenire l essiccamento, nell aumentare la pastosità dei preparati, sia per l effetto coesivo sugli abrasivi sia per quello stabilizzante sulla plasticità e sulle caratteristiche reologiche degli eccipienti mucillaginosi. Altri glicoli utilizzati come umettanti e preservanti sono il propilenglicol e il polietilenglicol le cui preparazioni sono meno viscose di quelle ottenute con il glicerolo. Agli umettami sono talora associati dei conservanti o preservativi antibatterici e antimuffa che vengono utilizzati per mantenere la sterilità della preparazione, particolarmente quando il preparato può essere un ottimo terreno di coltura per la presenza di sostanze utilizzabili da parte dei batteri. Tra i più comunemente usati vi sono dei sali dell acido benzoico come il metile (o etile, o propile) paraidrossibenzoato. HILUX Pagina 12 23/09/2011

13 Tabella 3.2 % in peso della fase liquida nei dentifrici in gel e in pasta Componente Pasta Gel Glicerina Sorbitolo Polietilenglicol Acqua % in peso sul totale Leganti o addensanti I componenti leganti o addensanti o stabilizzanti hanno la funzione di dare la consistenza desiderata alla pasta (unitamente agli umettanti) e di tenere insieme, per così dire, tutti i componenti in maniera omogenea, impedendo quindi la separazione della fase liquida da quella solida dei dentifrici. Un inconveniente verificatosi frequentemente nel passato, e che può essere messo in relazione con una bassa efficacia legante dell addensante sulla polvere abrasiva, è il processo di trasudamento. In questi casi all apertura del tappo del tubetto l estrusione della pasta veniva preceduta dalla fuoriuscita di una sostanza liquida più o meno densa che appariva anche intensamente colorata quando la formulazione includeva dei coloranti. Il fenomeno era dovuto ad una sedimentazione lenta delle particelle minerali dell abrasivo che trascinava con sé gran parte degli agglomerati (granuli, micelle colloidali, ecc.) e lasciava sulla superficie la frazione liquida. Come mezzi addensanti sono stati utilizzati nel tempo vari composti quali il glicerolato d amido, alcune gomme naturali, gli alginati, i silicati di alluminio e magnesio, e i carragenati, che impiegati da soli in dispersione formano mucillagini sufficientemente adatte per l impiego nei dentifrici. Gli addensanti oggi più comunemente impiegati nella formulazione delle paste dentifricie sono: a) gli alginati: sono i sali dell acido alginico che costituisce la sostanza colloidale di alcune alghe marine. Hanno un notevole potere legante, agglutinante e addensante. A queste proprietà vanno inoltre aggiunte quelle di antitartaro, emostatico e detergente. Il loro colore non interferisce sulla colorazione dei prodotti ed il loro gusto leggermente marino può essere ben mascherato dagli aromi; b) gli esteri della cellulosa (metilcellulosa, idrossietilcellulosa, carbossimetilcellulosa): sono esteri della cellulosa, non digeribili e inattaccabili dalle βamilasi. Vengono utilizzati per la preparazione di soluzioni acquose viscose e per emulsioni di oli in acqua, ad esempio per ispessire soluzioni destinate agli occhi (colliri). Sono dotati di notevoli proprietà leganti e addensanti. Il prodotto di questo tipo più usato è la carbossimetilcellulosa sodica, ottenuta dalla cellulosa per trattamento con acido monocloroacetico, che viene impiegata alla dose dell 12,5% ed è un ottimo ispessente; c) la carragenina o estratto di muschio irlandese o E407: è una polvere inodore di color bianco giallastro che ha proprietà gelificanti e addensanti. Si ottiene per estrazione acquosa da alcune Rodophiceae ed è formata principalmente da una miscela di esteri di ammonio, calcio, potassio, magnesio e sodio di copolimeri del galattosio e del 3,6anidro galattosio. Nella formulazione della pasta possono essere presenti anche delle sostanze lubrificanti che favoriscono la fuoriuscita della pasta dal tubetto diminuendo la sua azione abrasiva contro la superficie del collo di estrusione. Inoltre, insieme agli addensanti e agli umettanti rendono più morbida l azione abrasiva delle paste. 3.5 Astringenti Gli astringenti precipitano le proteine e, quando vengono applicati alle membrane mucose o alla pelle danneggiata, formano una pellicola superficiale protettiva e non sono normalmente assorbiti. I componenti astringenti più comunemente usati nelle paste dentifricie sono: i sali di alluminio (cloruro, acetato e solfato), l allume (solfato di alluminio e potassio), l acido tannico, il catechu (estratto acquoso delle foglie e dei giovani germogli di una rubiacea, la Uncaria gambier), l amamelide, l iperico, le radici di ratania, il tiglio, la tormentilla. 3.6 Abrasivi I componenti abrasivi o lucidanti sono costituiti generalmente da metafosfato di sodio, ossidi di alluminio e composti a base di silice; cioè sostanze capaci di asportare ciò che è più tenacemente adeso allo smalto, come ad esempio le macchie di tabacco, caffè, the. Erroneo illudersi, però, di poter sbiancare un dente: lo smalto, infatti, è perfettamente trasparente mentre è la dentina che fornisce il colore e, quindi, non ha significato auspicarsi un azione sbiancante della pasta dentifricia. Anzi, un dentifricio che contenga, in percentuale elevata, sostanze di tipo abrasivo consuma lo smalto e provoca lesioni, anche gravi, a carico del dente; è basilare quindi che una pasta dentifricia ne contenga una HILUX Pagina 13 23/09/2011

14 quantità ridotta. Tali componenti, se presenti in giusta misura, sono in grado di promuovere la diminuzione del numero dei microrganismi nella cavità orale, poichè la loro azione abrasiva crea condizioni che sfavoriscono le capacità adesive proprie della popolazione microbica che troverebbe, altrimenti, un ottime terreno di coltura costituito dagli accumuli di glicoproteine e residui alimentari. In generale gli abrasivi sono sali minerali che integrano l azione meccanica dello spazzolino nel rimuovere la placca; sembra infatti che l uso di un dentifricio privo di abrasivi comporti, nel 90% dei casi, la formazione di una pellicola bruna sui denti. Tuttavia, in realtà, i pericoli maggiori vengono dall eccesso più che dal difetto di abrasivi; infatti già ai primi del Novecento misure dell azione abrasiva su denti estratti avevano messo in luce i rischi derivanti da un abuso. Inoltre è noto come lo stesso sale, in preparazioni farmacologiche o commerciali diverse, possa svolgere azione abrasiva diversa in rapporto sia al suo stato fisico (dimensione delle particelle in conseguenza della macinatura) che chimico (interazioni con altri sali presenti). L unica prova sicura dell abrasività si può avere sui denti (e non sulle placche di avorio utilizzate spesso per esperimenti in vitro), ed esiste un rapporto tra le dimensioni e la durezza delle particelle dei componenti insolubili ed il grado di abrasività (tanto maggiore è la grana tanto più avanzata risulta l abrasione), mentre la quantità di abrasivo contenuta nel dentifricio sembra avere un ruolo minore. In altri termini, sembra non contare tanto la quantità percentuale di abrasivo, quanto piuttosto la sua grana e il suo stato fisico, per quanto un buon dentifricio non dovrebbe contenere abrasivi formati da particelle molte dure ed appuntite che potrebbero intaccare la pellicola protettiva e graffiare lo smalto. L abrasività inoltre non dipende dal sale di per sé, ma dalla sua preparazione fisicomeccanica (lo stesso sale in dentifrici diversi può avere azione diversa), per cui non è possibile affermare che un sale sia più abrasive di un altro. Allo stato attuale delle cose, non si può accertare quale sia il donne provocato dagli abrasivi sui denti, in quanto entrano in azione altri fattori: si può misurare la profondità dei solchi prodotti sui denti, ma non si può dire a quali elementi attribuirli e non esiste uno standard fissato al di la del quale si possa affermare che si verifichi un donno. I fattori che condizionano l azione abrasiva sul dente sono numerosi e divisibili in tre gruppi: attribuibili al dentifricio, allo spazzolino ed alla spazzolatura. I fattori legati al dentifricio sono, in ordine decrescente di importanza: 1) grana e forma delle particelle; 2) interazione con altri componenti; 3) durezza delle particelle; 4) quantità di abrasivo, ovvero percentuale di cristalli nella pasta. Due sono i fattori legati al tipo di spazzolino: 1) diametro delle singole setole e loro lunghezza; 2) natura delle setole. Di grande rilievo e decisamente determinanti sono i fattori legati al tipo di spazzolatura: 1) frequenza e durata dell operazione di spazzolatura; 2) pressione esercitata sul dente; 3) tecnica di spazzolatura adottata. lnfatti l abrasione dello smalto sembra essere più in rapporto alla spazzolatura che al tipo di abrasivo usato; a parità di questo componente, il fattore determinante appare essere il numero di colpi di spazzolino più che la pressione esercitata sullo stesso. È quindi necessario sottolineare come una spazzolatura frequente risulti più dannosa che utile. In generale, gli abrasivi sono delle sostanze dotate di elevata durezza, che vengono impiegate per eseguire lavorazioni meccaniche quali la levigatura e la lucidatura di vari materiali. Le paste dentifricie contengono normalmente il 2040% di abrasivi, le polveri circa il 95%; i dentifrici caratterizzati da uno scarso contenuto di abrasivi vengono chiamati gel. L abrasione della dentina avviene più velocemente rispetto a quella dello smalto (circa 30 volte) e quella del cemento 30 volte più rapidamente di quella della dentina: da qui la necessità di una spazzolatura verticale. Chimicamente gli abrasivi sono sostanze naturali o artificiali, carboniose, alluminiose o silicee (abrasivi generalmente duri), oppure sali di metalli alcalini, o alcalinoterrosi (abrasivi generalmente teneri). Quelli che vengono maggiormente utilizzati nei dentifrici sono riportati in tabella 3.3. L impiego di miscele di abrasivi può raggiungere meglio gli standard desiderati di efficacia e sicurezza rispetto a quanto può offrire il singolo abrasivo. HILUX Pagina 14 23/09/2011

15 Polvere di pomice Fosfato di calcio bibasico diidrato Fosfato di calcio bibasico anidro Fosfato tricalcico Pirofosfati di calcio Metafosfato di sodio insolubile Metafosfato di calcio Tabella 3.3 Abrasivi utilizzati nei dentifrici Carbonato di calcio Silice Allumina Carbonato di magnesio Bicarbonato di sodio Idrossiapatite Molti test sono stati messi a punto per misurare l abrasività, ma quello a cui più spesso si fa riferimento è il metodo del British Standards Institute (BSI), ovvero il test di abrasione della dentina radioattiva. Questo metodo misura la quantità di dentina rimossa mediante lavaggio e pulizia con dentifricio, utilizzando una tecnica con tracciante marcato: una quantità molto piccola di dentina può essere misurata con un contatore di radioattività e confrontata con quella liberata da un dentifricio campione e riferita ad uno standard. Test di abrasione della dentina radioattiva In questo procedimento, le radici dei denti umani precedentemente estratte sono rese radioattive irradiandole con un flusso di neutroni mediante un reattore nucleare. I denti vengono poi posti su una particolare macchina che spazzola otto denti alla volta ad una pressione di 150 g. Il fosforo 32 radioattivo rimosso dalla dentina delle radici dei denti viene utilizzato come indice del potere abrasivo del dentifricio analizzato. Il British Standards Institute consente una RDA (Relative Dentine Abrasion) fino a valori di 200 ed il valore medio osservato in tutta la gamma dei dentifrici sul mercato è tra 60 e 110. Ad esempio l Elmex verde (Crinos) viene indicato, con un valore di 13, come i1 dentifricio a più basso potere abrasivo presente sul mercato se lo si paragona ad altri prodotti testati dalla casa e cioè all Emoform (37), all Elmex rosso (77), al Colgate gel (78), all Aronal (104) e al Mentadent C (124). In letteratura i valori di abrasività dei dentifrici vengono anche riportati come IA, cioè indice di abrasività, che è un altra misura dell abrasione della dentina. Le polveri abrasive utilizzate attualmente non vengono ottenute per frammentazione, processo mediante il quale potrebbero contenere particelle capaci di scalfire lo smalto (carbonato di calcio naturale o calcite), bensì attraverso reazioni di precipitazione. Utilizzando paste dentifricie con la stessa formula base ma contenenti diversi abrasivi è stato dimostrato che non esiste una diretta correlazione tra le capacità abrasive e la capacità di rimuovere la placca, come è evidente dalla tabella 3.4, paragonando i valori dell abrasività ottenuti con il test del piatto di rame e l indice di placca rimossa (IPR). In ogni caso la possibilità di poter scegliere tra prodotti simili ma con indici di abrasività diversi può essere estremamente conveniente in certe particolari situazioni patologiche come la sensibilità dentinale. È questo, ad esempio, il caso dei dentifrici Eburdent (Acro) presenti sul mercato: Eburdent 25 e Eburdent 75 sono infatti due paste con indici di abrasività differenziati per un loro uso selettivo nelle diverse condizioni cliniche. Di seguito vengono riportati gli abrasivi oggi maggiormente utilizzati nella formulazione delle paste dentifricie. Tabella 3.4 Abrasivo IPR Abrasività Fosfato di calcio anidro Fosfato di calcio diidrato Silice precipitata Allumina Carbonato di calcio precipitato Metafosfato di sodio insolubile Il carbonato di calcio precipitato: è utilizzato nella formulazione delle paste dentifricie. Si ottiene trattando una soluzione di cloruro di calcio con carbonato di sodio o facendo passare una corrente di anidride carbonica nel latte di calce. Si presenta sotto forma di piccoli cristalli uniformi; rispetto al prodotto naturale macinato è più impalpabile, ha una durezza minore ed un potere abrasivo più blando. HILUX Pagina 15 23/09/2011

16 Il bianco di Meudon o bianco di Spagna: è un carbonato di calcio estremamente puro, chiamato anche bianchetto, ottenuto per precipitazione di una soluzione di cloruro di calcio ad opera del carbonato di sodio. Anche i solfati e i fosfati di sodio e calcio, contenuti nei dentifrici in quanto abrasivi leggeri, vengono ottenuti con questa metodica. Il carbonato di sodio: ottenuto per precipitazione è un abrasivo che da una levigatura opaca, mentre un miscuglio di trifosfato di sodio e di fosfato tricalcico, come anche l allumina idrata, sembrano dare una levigatezza brillante, poco favorevole alla ritenzione della placca. Il fosfato di calcio bibasico (DCP, dicalcium phosphate): è un classico abrasivo utilizzato in Europa da circa 25 anni. Oggi viene impiegato essenzialmente in due forme modificate: una diidrata ed una anidra. Il primo tipo, ovvero il fosfato di calcio bibasico diidrato o DCPD (CaHPO 4 2H 2 O), cristallizza nel sistema monoclino, ha un grado di durezza pari a 2,02,5 nella scala di Mohs e viene chiamato comunemente brushite. La forma anidra, il fosfato di calcio bibasico anidro o DCPA (CaHPO 4 ), cristallizza nel sistema triclino, ha una durezza uguale a 3,5 e prende il nome di monetite. Come agente pulente il DCPD viene utilizzato più frequentemente in quanto presenta un abrasività che è inferiore di circa un sesto; il DCPA tende invece ad essere usato in combinazione con il diidrato in paste con elevata abrasività come quelle indicate come antiplacca o per fumatori. Sul mercato vi sono anche dei prodotti che contengono solo DCPA, che è però presente in una proporzione relativamente bassa (2025% in peso) rispetto agli altri eccipienti. In questi casi la consistenza ottimale viene raggiunta mediante l addizione di addensanti come l acido silicico pirogenico. L utilizzazione del DCPD come abrasivo nei dentifrici è stata resa possibile dalla messa a punto di opportuni stabilizzanti. Infatti, in soluzione acquosa, questo composto tende a perdere la sua acqua di cristallizzazione: CaHPO 4 2H 2 O CaHPO 4 + 2H 2 O ed è anche soggetto ad una graduale scissione idrolitica che porta alla formazione di idrossiapatite e acido fosforico: 5CaHPO 4 + 2H 2 O Ca 5 (PO 4 ) 3 (OH) + 2H 3 PO 4 ; quest ultima reazione viene accelerata in presenza di ioni fluoro per la parziale formazione di fluoroapatite. Tutto questo, in pratica, porta ad un considerevole ispessimento della consistenza della pasta dovuto essenzialmente alla formazione di queste nuove strutture cristalline. Inoltre durante le reazioni il ph diminuisce e quindi, quando sono presenti principi attivi fluorurati, la solubilità dei floruri attivi diminuisce. La stabilità del DCPD viene mantenuta per oltre un anno in presenza di opportuni stabilizzanti quali i sali di magnesio e/o i fosfati condensati. Il metafosfato di sodio insolubile (NaPO 3 ) x o IMP: è un polifosfato di sodio lineare la cui catena è tanto lunga da renderlo praticamente insolubile in acqua. Deriva dall acido metafosforico, una molecola nella quale gli atomi di ossigeno fanno da ponte tra quelli di fosforo, in modo tale che la formula è (HPO 4 ) n. La quantità consigliata per la formulazione dei dentifrici è circa il 30% in peso, a cui si raccomanda di aggiungere il 3% di acido silicico pirogenico per accrescere la consistenza della pasta. Viene sintetizzato mediante la condensazione del fosfato di sodio monobasico, processo durante il quale viene anche inevitabilmente prodotta una miscela di fosfati a basso peso molecolare che rappresenta circa il 3% in peso, è solubile in acqua ed è formata da ortofosfato (4%), pirofosfato (7%) trifosfato (6%), trimetafosfato ciclico (18%) e fosfati più grandi (65%). Una miscela di metafosfati di sodio in cui n ha un valore da 3 a 8 vengono utilizzati nella formulazione dei detersivi per addolcire le acque. L IMP è praticamente compatibile con tutti i composti fluorati. L addizione di fluoruri può portare infatti alla formazione di ioni monofluorofosfato che sono solubili e offrono una buona protezione contro la carie, mentre solo circa il 5% degli ioni fluoro si lega alla molecola base. Visto il contenuto in pirofosfati l IMP ha quasi sicuramente proprietà antitartaro (vedi capitolo 9). Inoltre il trimetafosfato di sodio ciclico sembra essere efficace nella prevenzione della carie, in quanto diminuendo la solubilità dell apatite dello smalto lo rende più resistente agli acidi. L ossido di alluminio triidrato o αallumina triidrata: si presenta come una polvere bianca finissima, costituita da microgranuli il cui diametro medio è inferiore a 15 µ. Il grado di durezza dell αallumina è pari a 3,0 nella scala di Mohs, quindi notevolmente inferiore a quello dell apatite (5,0) e della fluoroapatite (5,2). Questo fa si che durante la sua utilizzazione non si producano graffiature o incisioni dello smalto e dei diversi materiali di otturazione o ricostruzione, e permette inoltre il suo impiego in alte concentrazioni conferendole così un elevato potere pulente. La sua stabilità chimica è dovuta anche all assenza, nella sua formula, di ioni calcio in grado di legarsi e sequestrare altri principi attivi eventualmente contenuti nella formulazione. Per questo motivo viene utilizzata spesso nella composizione di dentifrici con sodio monofluorofosfato, nei quali mantiene meglio nel tempo l efficacia degli ioni fluoro rispetto ad altre comuni sostanze pulenti quali il carbonato di calcio e il DCPA. HILUX Pagina 16 23/09/2011

17 Le silici micronizzate: sono ottenute micronizzando vari tipi di gel di silice e controllandone accuratamente la grandezza delle particelle. Syloblanc 81 e Syloblanc 82 sono due tipi di silice micronizzata messi a punto dalla Grace Italiana. I due tipi differiscono nel potere abrasivo ma svolgono entrambi sia la funzione di abrasivo che di addensante. Il primo, usato in concentrazioni di circa il 20%, conferisce alla pasta dentifricia un elevato potere pulente; il secondo viene indicato per i dentifrici studiati per la cura delle gengive, nei quali è necessario mantenere molto basso il potere abrasivo per prevenire danni a carico della dentina esposta. Le particelle di silice hanno una dimensione media di 4 µ nel tipo 81 e di 7 µ nel tipo 82, la loro forma è tondeggiante, quasi sferica; esse conferiscono un potere abrasivo uniforme e controllato. Grazie all elevata inerzia chimica della silice, le paste dentifricie contenenti silici micronizzate sono altamente compatibili con i fluoruri. Data la notevole efficienza possono essere utilizzate in concentrazioni relativamente basse nella produzione di dentifrici sia trasparenti che opachi. 3.7 Detergenti I componenti detergenti, detti anche tensioattivi, agenti schiumanti o surfactanti, sono composti capaci di abbassare fortemente, anche se aggiunti in piccola quantità, Ia tensione superficiale dei sistemi liquidovapore, Iiquidoliquido, liquidosoiido, provocando schiuma, emulsione, detersione, ecc. Vengono utilizzati nella formulazione dei dentifrici per abbassare la tensione superficiale nell ambiente fluido, per penetrare e sciogliere i depositi superficiali, per emulsionare e sospendere i detriti che sono stati rimossi dalla superficie dei denti, per disperdere l aroma in modo da evidenziarne il gusto ed il profumo, per rendere più estesa la superficie d azione di eventuali farmaci. Essi contribuiscono inoltre alle proprietà schiumogene della formulazione e possono anche avere attività antimicrobica. La schiuma dei dentifrici non deve però essere eccessivamente abbondante e riempire troppo la bocca, perchè in individui particolarmente sensibili ciò può sollecitare il palato molle e produrre conati di vomito; d altra parte troppo poca schiuma non permetterebbe alla pasta dentifricia di disperdersi sufficientemente nella cavità orale. In linea di massima un tensioattivo è una molecola prevalentemente di carattere non polare, ma che contiene per lo meno un gruppo o un segmento di carattere polare relativamente forte. Messo in un solvente polare come l acqua, la parte polare o idrofila della molecola tende ad andare in soluzione, mentre quella non polare, o idrofobica o lipofila, resiste a tale tendenza. Se la parte polare è sufficientemente forte trascinerà in soluzione l intera molecola, malgrado le resistenze idrofobiche. Se tale molecola si dispone poi all interfase ariaacqua, la porzione idrofobica tenderà a proiettarsi o a porsi nella fase gassosa a bassa polarità, anche se tale tendenza viene contrastata dal gruppo idrofilo. Il risultato di tali contrasti è che la molecola del tensioattivo si orienta all interfase con la testa polare, o sito idrofilo, nel liquido polare e la parte idrofobica nell aria o nella fase oleosa apolare. I detergenti possono essere classificati su diverse basi a seconda del loro uso, delle loro proprietà fisiche e della loro struttura chimica, ma nessun sistema è completamente soddisfacente. Il più accettabile è probabilmente quello che si attiene alla loro struttura chimica e secondo il quale possono essere suddivisi in: detergenti anionici: sono molecole tensioattive, in cui il gruppo chimico responsabile dell abbassamento della tensione superficiale ha carica negativa. Essi sono costituiti dai saponi, dagli esteri solforici o solfati degli acidi grassi e dai sali solfonati degli idrocarburi. I saponi che comprendono i sali di sodio o potassio degli acidi grassi superiori di origine animale o vegetale esercitano una debole azione germicida grazie al ph alcalino delle loro soluzioni. Il sapone tipo Marsiglia è stato tra i primi detergenti ad essere usato nella formulazione dei dentifrici. I detergenti anionici utilizzati nella composizione dei dentifrici sono stati diversi tra cui il sodio laurilsulfoacetato e il sodio laurilsarcosinato, ma quello oggi più frequentemente usato è il sodio laurilsolfato (SLS). Il sodio laurilsolfato, [CH 4 (CH 2 ) 10 CH 2 SO 3 ]Na, è formato da una catena idrofobica di dodici carboni a cui è attaccato un gruppo solfato idrofilico. Questo composto, reperibile come polvere e solubile in acqua, è noto come uno degli agenti denaturanti più efficace per le proteine ed è normalmente usato per analizzare le singole catene polipeptidiche delle proteine denaturate. È il detergente più frequentemente usato nella composizione delle paste dentifricie, anche perchè ha un odore intrinseco ed una tossicità molto bassi alle concentrazioni normalmente usate nei prodotti per l igiene orale che variano tra l 1 e il 3% (soluzione all 1% = 37,4 mm); detergenti cationici: sono composti tensioattivi meglio conosciuti come sali di ammonio quaternari, in quanto l azoto tetravalente con carica positiva viene generalmente chiamato ione ammonio. Prendono HILUX Pagina 17 23/09/2011

18 anche il nome di saponi invertiti, in quanto la loro parte solubile in acqua non possiede una carica negativa bensì positiva. I detergenti cationici vengono spesso usati come antisettici per le loro proprietà germicide poichè, essendo carichi positivamente, abbassano la tensione superficiale di membrana, che a ph fisiologico è carica negativamente, e quindi si legano alla superficie cellulare dei batteri danneggiandola. Ne segue una denaturazione delle proteine di membrana con fuoriuscita di costituenti intracellulari. A questo proposito, il cetilpiridinio cloruro e il benzalconio cloruro, che sono due detergenti cationici utilizzati spesso nella formulazione dei dentifrici e collutori, hanno dei vantaggi come antisettici in quanto sono poco irritanti per i tessuti, alle concentrazioni terapeutiche, ed inoltre sono attivi molto rapidamente; tra gli effetti collaterali sono state descritte pigmentazioni dentarie e, in casi sporadici, un aumento della formazione di tartaro. Un altro composto dell ammonio quaternario usato alcune volte nella formulazione dei dentifrici è il trimetilcetilammonio ptoluensolfonato, più noto con il nome commerciale di tricetol. La clorexidina, il più potente ed ampiamente studiato agente antiplacca tra tutti quelli oggi conosciuti, è un detergente cationico formato da due anelli 4 clorofenilici e due gruppi biguanidi simmetricamente legati mediante una catena esametilenica. Gli anelli fenolici e la catena idrocarburica costituiscono la porzione idrofobica della molecola mentre i gruppi cloruro ed amminici quella idrofilica: ClC 6 H 5 NHCNHNHCNHNH(CH 2 ) 6 NHCNHNHCNHNHC 6 H 5 Cl Questo composto è stato utilizzato in Europa per circa 20 anni ed ultimamente è stato introdotto anche sul mercato americano. È un disinfettante della mucosa orale ed è stato utilizzato come antisettico topico per la pelle e le membrane mucose (per maggiori dettagli vedi capitolo 11). Per aumentarne la solubilità viene utilizzato sotto forma di digluconato ad una concentrazione dello 0,11% equivalente a 1,1111,1 mm; detergenti non ionici: sono sostanze contenenti vari gruppi alcolici legati a catene alifatiche; possono essere eteri, esteri o amidi. A differenza dei precedenti non risentono delle variazioni di ph e dell eventuale presenza di metalli alcalinoterrosi. Il detergente non ionico triclosan ovvero il 2,4,4 tricloro2 idrossildifeniletere che viene utilizzato nella formulazione di dentifrici e collutori alla concentrazione dello 0,20,5% equivalente a 6,9217,3 mm, sembra in grado di inibire la crescita di un vasto spettro di batteri (sia grampositivi che negativi) e di funghi. Inoltre, esercita una moderata efficacia inibitoria sulla formazione della placca che sembra aumentare con la presenza di citrato di zinco nella formulazione (vedi capitolo 14). Il polisorbato 20 o 80 è un detergente non ionico formato da una miscela di esteri laurici del sorbitolo e delle sue mono e dianidridi copolimerizzati con circa 20 (o 80) moli di ossido di etilene per ogni mole di sorbitolo e sue anidridi. Un altro gruppo di surfattanti non ionici utilizzati sono i polietilenglicoli come il polietilenglicol 400 monostearato e il PEG[910]ptoluenoctyphenol comunemente noto come Triton X100. I detergenti non ionici con gruppi polari che contengono poliossietilene normalmente non denaturano le proteine e quindi possono essere usati per estrarre le proteine di membrana funzionalmente attive. Il Triton X100 è reperibile sotto forma di un liquido viscoso ed è miscibile con l acqua. 3.8 Detergenti come agenti antiplacca L azione antibatterica dei detergenti è il risultato della loro capacità di interferire con la struttura e la funzione delle membrane. I detergenti cationici (benzalconio cloruro, cetilpiridinio cloruro, clorexidina) sono generalmente dei battericidi più potenti dei detergenti anionici (sodio laurilsolfato, sodio laurilsarcosinato), probabilmente perchè gli agenti cationici si legano rapidamente alle superfici batteriche cariche negativamente mentre le molecole anioniche vengono respinte. Basandosi sui valori della minima concentrazione inibitoria (MIC) di alcuni detergenti ionici sulla crescita in vitro dello Streptococcus mutans e sanguinis, può essere costruita la seguente scala di efficacia: benzalconio cloruro = cetilpiridinio cloruro > sodio laurilsolfato > sodio laurilsarcosinato. In generale si è concordi nell attribuire ai composti dell ammonio quaternario una moderata efficacia come agenti antiplacca, limitata tuttavia dal fatto che essi vengono inizialmente adsorbiti dai siti del cavo orale, ma non sono in grado di mantenere a lungo un effetto antibatterico. Ad esempio, anche se in vitro l efficacia antimicrobica del cetilpiridinio cloruro è comparabile a quella della clorexidina, i suoi effetti inibitori, in vivo, sulla formazione della placca e sulla sua acidogenicità sono inferiori a quelli della clorexidina, probabilmente perchè il cetilpiridinio cloruro si stacca più facilmente della biguanide dai siti di legame presenti nel cavo orale. L uso di concentrazioni più elevate o di sciacqui più frequenti, pur aumentando l efficacia di tali composti, ne accentua anche gli effetti collaterali; inoltre sembra che essi vengano inattivati mediante la formazione di complessi con i costituenti salivari. HILUX Pagina 18 23/09/2011

19 Il sodio laurilsolfato è un agente denaturante con un alta affinità per le proteine. La sua azione antimicrobica è dovuta all assorbimento della molecola sulla superficie batterica e quindi alla sua interferenza con i meccanismi che regolano l integrità cellulare. Inoltre questo detergente anionico, a concentrazioni inferiori a quella critica micellare, che è 8,2 mm, inibisce specifici enzimi come la glucosiltransferasi dello S. mutans e il sistema della glucosiofosfotransferasi della membrana dello S. sobrinus. Un altro fenomeno che potrebbe contribuire all effetto antiplacca dell SLS, è la sua grande affinità per gli ioni calcio. Evidenze sperimentali dimostrano una notevole affinità, in vitro, dell SLS per l idrossiapatite, gli ioni calcio e lo smalto e lasciano supporre che il gruppo solfato della molecola possa legarsi elettrostaticamente all idrossiapatite attraverso ponti calcio: laurilsolfatoso Ca +... OPO 3 idrossiapatite Le proteine salivari cariche negativamente (come ad esempio le fosfoproteine) si legano elettrostaticamente, nello stadio iniziale di formazione della pellicola acquisita, agli ioni calcio esistenti nello strato idratato dello smalto. Il sodio laurilsolfato probabilmente interferirebbe con la formazione della pellicola sia attraverso un suo legame con gli ioni calcio dello strato di idratazione sia attraverso un fenomeno di spiazzamento delle proteine precedentemente adsorbite. È noto infatti che i composti carichi negativamente e che mostrano una grande affinità per gli ioni calcio (e cioè fluoruri, fosfati, ecc.) inibiscono l adsorbimento delle proteine all idrossiapatite e provocano inoltre il distacco delle proteine adsorbite. Dato che la maggior parte dei batteri del cavo orale possiede sulla superficie una carica netta negativa è molto probabile che gli ioni calcio contribuiscano sia all aggregazione dei batteri sia all adesione degli stessi alle proteine cariche negativamente della pellicola, mediante la formazione di ponti calcio. Il laurilsolfato competerebbe con la superficie dei batteri per i siti di legame della pellicola e della placca, e quindi interferirebbe sia con l adesione che con l aggregazione dei batteri. Evidenze sperimentali suggeriscono inoltre l esistenza di interazioni, attraverso ponti calcio, tra l SLS e i gruppi carichi negativamente (carbossilici, fosfati e solfati) delle glicoproteine della mucosa orale. Per quello che concerne i detergenti non ionici, essi mostrano generalmente un effetto antiplacca minore sia rispetto agli anionici che ai cationici e, spesso, la loro presenza può interferire con le potenzialità batteriche degli altri tensioattivi. Un esempio di ciò è dato dal Triton X100 il quale forma con la clorexidina quella che in vitro sembra essere la più potente miscela antibatterica ma che poi, in vivo, risulta essere molto meno efficace della clorexidina pura. Il ridotto effetto della miscela è quasi sicuramente collegato con effetti inibitori del detergente non ionico sui meccanismi di azione della clorexidina; infatti il Triton, attraverso tutta una serie di interazioni idrofobiche con la mucosa orale, sembra interferire con i normali siti di ritenzione della clorexidina. Inoltre la possibile formazione di micelle miste Tritonclorexidina potrebbe rendere le molecole di clorexidina meno disponibili per i potenziali siti di legame sulla mucosa orale. 3.9 Coloranti In genere il colore gioca un ruolo determinante nel giudizio della qualità di un prodotto, influenzando la risposta del consumatore anche alle altre caratteristiche quali l odore, il sapore e la consistenza. Per quello che riguarda le preparazioni farmaceutiche o cosmetiche i colori vengono usati per: distinguere una preparazione dall altra, dare un aspetto più gradevole, e come indicativi, cioè per segnalare che una determinata operazione è stata compiuta. La colorazione dei dentifrici deve essere piuttosto blanda e dovranno essere scelti dei colori preferibilmente poco solubili ma ben dispersibili. Colori impiegati in quantità eccessiva, tanto più se sono di tipo solubile, mettono in risalto possibili difetti di trasudamento, producono macchie sui tessuti con i quali i dentifrici possono venire in contatto, ed hanno tendenza a fissarsi sui denti e negli spazi interdentali. Nella maggior parte dei casi gli utilizzatori preferiscono il colore naturale bianco, che può essere esaltato mediante l aggiunta di ossido di titanio, in quanto dà una sensazione igienica superiore e non ha l inconveniente di macchiare. Oltre che in bianco, i dentifrici possono essere colorati con tonalità di fantasia, in rosa, in blu o in verde. Alcune volte la colorazione può derivare da particolari costituenti attivi come il colore verde impartito dalla clorofilla o quello rosso caratteristico della sanguinarina. I coloranti sono soggetti a controlli del Mistero della Sanità; sono tutti idrosolubili in quanto se fossero liposolubili si potrebbero verificare situazioni di accumulo. Ai fini della certificazione e delle norme d uso si distinguono in: 1) coloranti naturali, cioè pigmenti ottenuti da materie prime vegetali ed animali; 2) coloranti natureidentical che sono dei pigmenti naturali ottenuti per via sintetica; HILUX Pagina 19 23/09/2011

20 3) coloranti artificiali, cioè composti non presenti in natura ottenuti per via sintetica. I coloranti vengono distinti e classificati con le sigle E o CI (Colour Index) seguite da un numero. Quelli oggi maggiormente utilizzati nella composizione delle paste dentifricie sono: E 104 o CI o giallo crinolina: è il sale sodico di una miscela di acido mono e disulfonico del chinoftalone; E 127 o C o eritrosina: è il monoidrato del sale disodico della 2,4,5,7tetraidrofluoresceina. Si presenta sotto forma di polvere igroscopica rossa o rossobruna inodore che contiene l 87% di colore e piccole quantità di fluoresceine a bassa iodinatura. Solubile in acqua, forma delle soluzioni rosso bluastre che alla luce normale non mostrano fluorescenza. Viene anche utilizzata in campo odontoiatrico per mettere in evidenza la placca dentale; E 131 o CI o Patent Blue V: è una polvere blu scuro violetta che da delle soluzioni acquose blu; E 140 o CI o clorofilla II: è uno dei coloranti naturali più utilizzati ed uno dei pigmenti più abbondanti in natura. Viene utilizzato dalle piante per catturare l energia solare ed è estratto con solventi organici dall erba medica e dalle foglie di ortica. La clorofilla naturale (E 140) ha un colore verde poco vivido che inoltre tende a sbiadire alla luce. Lavando la clorofilla in una soluzione rameica (cioè con sali di rame) si ottiene una clorofilla (E 141) con un colore verde blu molto brillante e con una aumentata stabilità al calore ed alla luce. Quando vengono utilizzati i sali di sodio si ottiene una forma solubile in acqua; E 171 o CI o biossido (o ossido) di titanio: è una polvere bianca, inodore, praticamente insolubile in acqua. Ha sulla pelle un azione leggermente astringente simile a quella dell ossido di zinco; E 407 o carragenina (vedi paragrafo 3.4) Aromatizzanti Gli aromatizzanti sono oli essenziali che si aggiungono alle formulazioni farmaceutiche per renderle più gradevoli e rinfrescanti. Tutti i tipi di dentifrici contengono degli aromi che hanno la funzione di conferire un sapore gradevole e di correggere favorevolmente l alito. Si utilizzano preferenzialmente prodotti naturali in quanto quelli sintetici lasciano spesso, dopo un iniziale sensazione gradevole, un gusto amaro talvolta persistente e molto sgradevole (per questo motivo vengono in genere utilizzati solo per completare la nota aromatica). Le composizioni aromatiche sono presenti nei dentifrici pastosi in una dose variabile dall 1 al 3% secondo l intensità dell aroma e delle sensazioni da esso destate nel cavo orale. Nei dentifrici liquidi e/o nei collutori oltre che le essenze, che andranno scelte in modo da risultare solubili nel veicolo, vengono anche impiegati i vegetali aromatici, i componenti dei quali verranno estratti dal veicolo durante la preparazione. In queste formulazioni la percentuale di essenza può essere anche dell 815%. Tra i costituenti degli aromi per i dentifrici si trovano delle essenze e dei prodotti sintetici (e di derivazione naturale) che hanno proprietà antisettiche notevoli o possono, quanto meno, inibire lo sviluppo dei microrganismi che si trovano nella cavità orale. Sono soprattutto le essenze e i loro componenti con gruppi funzionali fenolici (essenze di garofano, sassofrasso e timo) e quelle contenenti alcooli (come la menta, le essenze di Citraceae, la lavanda, l eucaliptolo e l eugenolo). Vale la pena notare però che, per la dose in cui si trovano nei dentifrici al momento dell uso, l azione battericida viene, nella maggior parte dei casi, a mancare. Tuttavia hanno sempre la possibilità di svolgere tale azione in complemento ed in sinergismo con costituenti speciali propriamente antisettici. Gli aromatizzanti più impiegati nella formulazione delle moderne paste dentifricie sono: l anetoio: viene ottenuto dall olio d anice, da altre sorgenti o sintetizzato; è un liquido incolore o giallo pallido con un sapore dolce ed il caratteristico odore di anice; il bergamotto: l olio o essenza si ricava dalle bucce fresche del frutto di Citrus bergamia (Rutaceae) ed ha un sapore aromatico amaro; il cinnamomo o cannella di Ceylon: è un olio o essenza di color giallo contenente il 6080% di aldeide cinnamica. Ha proprietà carminative ed aromatizzanti; l eugenolo: è un olio incolore o giallo pallido che si ottiene dalla distillazione dei bottoni fiorali, noti comunemente come chiodi di garofano, dell Eugenia caryophyllus (Mirtaceae). È un analgesico locale ed un antisettico del cavo orale; la menta peperita (peppermint): l olio o essenza si ricava dalla distillazione (ed eventuale rettificazione) delle sommità fiorite fresche della Menta piperita (Lubiatae); lo spearmint: o un olio che si ottiene dalla distillazione delle inflorescenze fresche della Mentha cardica o della Mentha spicata. Ha proprietà molto simili all olio di peppermint e viene usato come carminativo e agente aromatizzante. HILUX Pagina 20 23/09/2011

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