INDICE. 2.1 Breve storia della pubblicità in Italia

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1 INDICE 1. Introduzione 2. Parte teorica 2.1 Breve storia della pubblicità in Italia 2.2 La pubblicità sociale 2.3 Il linguaggio della pubblicità 2.4 L uso della pubblicità in classe 3. Parte operativa Percorso didattico della durata di circa 15 ore rivolto ad una classe di adulti stranieri di varie nazionalità e livelli diversi (da A2 a B2). 3.1 UdA: Le parole degli altri ci arricchiscono. Ascoltiamole! 3.2 UdA: A difesa del verde 3.3 UdA: Il piacere di fare un buon gesto 3.4 UdA: A favore del volontariato 3.5 UdA: Campagna movimento 4. La sperimentazione in classe 5. Conclusioni 6. Bibliografia 7. Sitografia

2 INTRODUZIONE (a cura di Luana Slomp) L'idea di dedicare la nostra tesi di fine master alla pubblicità sociale è scaturita dalla ferma convinzione che essa sia potenzialmente un materiale didattico preziosissimo e polivalente (anche se finora poco esplorato) in una classe L2: prima di tutto, poiché il fine di questa sorta di pubblicità è il coinvolgimento e la sensibilizzazione, essa generalmente utilizza un linguaggio diretto ed accattivante che si presta ottimamente a motivare ed incuriosire gli studenti. Inoltre, essa dà ottimi spunti di discussione su alcune delle patologie sociali presenti nella nostra ed altrui società, portando naturalmente ad un costruttivo confronto interculturale. Il percorso che abbiamo ideato quindi non è incentrato solo su finalità di apprendimento linguistico, ma anche di riflessione critica sui doveri civici a cui sono chiamati sia i nativi di un posto che gli immigrati. Sulla scorta di quanto discusso in aula, lo studente immigrato coglierà auspicabilmente nuove opportunità di riflessione su quanto denunciato dalla pubblicità sociale, attivandosi in primis per modificare alcune cattive abitudini della nostra società, assumendosi le proprie responsabilità di cittadino e magari contagiando chi lo circonda. Abbiamo ritenuto opportuno iniziare la parte teorica della nostra tesi descrivendo il fenomeno della pubblicità sociale, di cui noi stesse ignoravamo molti lati. Dopo una carrellata (sintetica ma il più possibile ricca di aneddoti) sulla storia della pubblicità in Italia, ci siamo concentrate sulla nascita di quella sociale. Ciò accadde negli anni Settanta, in seno ad una presa di coscienza critica sul consumismo sfrenato e ad un periodo di grande riflessione sulle responsabilità individuali del cittadino. Siamo poi andate a descrivere nei dettagli l'attività e gli ideali della Fondazione Pubblicità Progresso, ponendola a contrasto con il caso limite delle campagne Benetton; mentre scopo delle campagne P. Pro è sempre stato quello di sensibilizzare la massa su un dato problema, quelle di Toscani 1

3 hanno fatto leva sugli stessi argomenti soltanto per aumentare la notorietà della marca Benetton. Abbiamo quindi cercato di dimostrare che in quest'ultimo caso non si può parlare di pubblicità sociale a tutti gli effetti. Siamo poi andate ad analizzare le caratteristiche del linguaggio pubblicitario dal punto di vista lessicale, morfologico e sintattico per poi interrogarci sulle applicazioni didattiche in generale di questo tipo di materiale. Quest'ultimo capitolo ci è servito anche come aggancio alla parte operativa della nostra tesi; all'uopo, abbiamo deciso di utilizzare alcune delle campagne ideate nel corso degli anni dalla Fondazione Pubblicità Progresso, che abbiamo trovato varie, stimolanti e molto attuali. Abbiamo cercato di evitare pertanto temi molto delicati (il maltrattamento dei minori), quelli potenzialmente fonte di disagio per studenti con culture lontane dalla nostra (la prevenzione del contagio dall'aids) e quelli che abbiamo ritenuto meno interessanti e coinvolgenti per degli studenti (prevenzione degli infortuni domestici). Le campagne che abbiamo scelto sono relative, invece, alle seguenti tematiche: L'importanza dell'ascolto e del rispetto reciproco (campagna Per il rispetto dell'opinione altrui del 1973 e Per promuovere il valore dell'ascolto del ) La necessità di tutelare l'ambiente (campagna A difesa del verde, ) Il valore della solidarietà e dell'attenzione verso il prossimo (campagna Il piacere di fare un buon gesto del ) Gli ideali legati al volontariato (campagna A favore del volontariato del ) L'importanza di una sana e corretta alimentazione e di un costante esercizio fisico ( Campagna Movimento del 2006) 2

4 Abbiamo realizzato la nostra proposta didattica sotto forma di rete di unità di apprendimento; i docenti che eventualmente decideranno di provare a fare uso del nostro materiale potranno quindi decidere se prenderle in considerazione tutte o solo in parte e se seguire l'ordine che noi abbiamo concepito oppure sovvertirlo completamente, potendo godere quindi della massima flessibilità didattica anche in base ai bisogni ed alle reazioni della classe. Allo stesso tempo, abbiamo ideato il nostro materiale per una classe composita sia dal punto di vista di competenza linguistica (livelli A2, B1 e B2) che di provenienza culturale, andando ora a redigere esercizi differenziati per livello ma basati sullo stesso materiale didattico, ora a proporre attività di Cooperative Learning (quali il Jigsaw e l' intervista a tre teste ) per fare della classe un luogo dinamico di cooperazione ed interdipendenza positiva, sia di ruoli che di risorse, dove gli studenti possano sentirsi responsabilizzati nel raggiungimento di un obiettivo comune sfruttando al massimo le proprie possibilità. Abbiamo cercato di stimolare la nostra potenziale classe con attività ludiche (es. gioco del pic-nic a squadre) e creative (es. produzione di locandina o comunicato radio inerente alla Campagna Movimento da inviare alla stessa Fondazione P.Pro), così come abbiamo pensato di non tralasciare l'obiettivo interculturale, andando a valorizzare la lingua e cultura d'origine dei nostri studenti nel tentativo di un confronto reciproco costante, proficuo ed arricchente. Abbiamo deciso di fare uso di varie tipologie di materiale pubblicitario per assolvere a scopi glotto-didattici molteplici: se l'analisi delle locandine potrà dare adito a riflessioni sul linguaggio non verbale (si vedano ad esempio quelle della campagna Per il rispetto dell'opinione altrui ), quella degli spot potrà aumentare le competenze prossemiche, vestemiche ed oggettuali (si veda ad esempio lo spot della campagna Per promuovere il valore dell'ascolto ); infine, i comunicati radio potranno fungere da ottimo esercizio d'ascolto ed allenare l'orecchio dei nostri studenti a nuove varianti fonologiche. In ogni caso, abbiamo optato per la trascrizione di tutto il materiale audio ed audiovisivo, in un'ottica di massima fruibilità da parte di chi vorrà testare questo materiale. 3

5 Ognuna delle nostre unità d'acquisizione segue la psicologia gestaltiana nella sua suddivisione in fasi di globalità-analisi-sintesi e quindi nel suo ideale percorso dall'apprendimento all'acquisizione; tuttavia, abbiamo ritenuto opportuno inserire anche delle proposte di letture di approfondimento per casa (in alcuni casi corredate da glossari per rendere la lettura più gradevole), per rinforzare quanto appreso ma soprattutto per spingere, fuori dall'aula, a nuove opportunità di riflessione autonome. Il risultato è un percorso didattico incentrato sulla glottodidattica umanisticaaffettiva, sulla valorizzazione e condivisione dell'enciclopedia personale di ogni studente ed in cui l'auspicabile avanzamento del saper fare con la lingua si accompagna idealmente ad una presa di coscienza di alcuni dei propri doveri civici, in un clima di apprendimento sereno e di collaborazione reciproca. 4

6 PARTE TEORICA 5

7 CAPITOLO 1 BREVE STORIA DELLA PUBBLICITA' IN ITALIA (a cura di Luana Slomp) La nascita della pubblicità in Italia La pubblicità italiana ha un'età molto giovane: fece, infatti, la sua comparsa verso la fine del XIX secolo, occhieggiando sotto forma di annunci dall'ultima pagina di alcuni giornali, o sotto forma di manifesti sulla superficie interna dei primi tram a cavallo, comparsi a Torino nel Eppure il contesto non era prettamente orientato al consumismo: secondo alcuni storici come Valerio Castronovo, nell'ultimo ventennio dell'ottocento più di 2/3 del salario di un qualsiasi operaio o bracciante del Nord Italia se ne andava nell'acquisto di generi alimentari di mera sussistenza, mentre la quota sfiorava ben il 90% nel Sud Italia. 1 La vera e propria arte italiana del manifesto prese piede nel primo ventennio del Novecento, con ben un secolo di ritardo rispetto alla Francia. In Italia, i maestri di questa disciplina furono soprattutto Leonetto Cappiello (per il cioccolato Klaus, 1903), e successivamente Armando Testa. Fra i vari esempi di manifesto dell'epoca abbiamo trovato particolarmente significativo il manifesto delle Confezioni Mele elaborata da Aldo Mazza. In esso, si vede una coppia elegante (proprio perché vestita delle Confezioni Mele) passeggiare compunta e vagamente boriosa sotto gli occhi invidiosi della gentucola di passaggio. 1 G.P. Ceserani, Storia della pubblicità in Italia, Editori Laterza, Bari 1988, p. 10 6

8 Pare evidente in questo manifesto il tono classista che pone una distanza siderale tra la borghesia, frugale e morigerata, e la classe altolocata della Belle Epoque che può permettersi tali acquisti raffinati. Negli stessi anni, l'affermarsi della moderna cultura industriale portò alla pubblicazione dei primi libri dedicati alle strategie pubblicitarie; uno per tutti, vorremmo menzionare L'arte di persuadere di Giuseppe Prezzolini (1907). Una vera e propria svolta, se si pensa che all'epoca nel Novo Dizionario universale della lingua italiana del Petrocchi alla voce réclame si leggeva avviso spesso ciarlatanesco per richiamare l'attenzione della gente su cose commerciali, per farsi un nome. 2 D'altra parte, curiosamente, si faceva strada una certa contaminazione fra arte e pubblicità: pensiamo a Picasso, che ha fatto entrare in alcuni dei suoi celebri dipinti delle marche come quella del brodo Kub e della bottiglia di Pernod nel suo Paesaggio con manifesti del 1912). 2 G.P. Ceserani, op.cit., p. 30 7

9 Nel frattempo, sulle pagine della Domenica del Corriere, particolarmente diffuso tra la piccola borghesia, comparivano i più svariati annunci che reclamizzavano non oggetti di lusso ma prodotti atti a guarire ogni sorta di malattia (pillole di Esanofele contro la malaria) e di difetti fisici (il Bonnet Vaison contro le orecchie staccate, il reggicollo per signore, il piegabaffi per signori). Il tono chiaramente ci sembra credulone ed ingenuo, ma a nostro avviso è assolutamente indicativo sul contesto socio-economico dell'epoca. La pubblicità nel ventennio fascista Con l'avvento del ventennio fascista ( ), i manifesti della precedente età giolittiana cedettero il passo ad immagini più fosche con uomini in camicia nera che levano il braccio destro e l'onnipresente simbolo del fascio littorio. 8

10 Ciò che si voleva vendere, in massa, ai cittadini-consumatori non era un prodotto ma la stessa immagine del Duce e l'ideologia da lui dettata: si può affermare che in questi anni la pubblicità italiana era completamente ai servigi del regime, diventando mera propaganda. Lo scrittore Henry Beraud scrive a proposito Mussolini è dovunque, in nome e in effigie, in gesti e parole. Ovunque indirizzate lo sguardo o portate i vostri passi troverete Mussolini, ancora Mussolini, sempre Mussolini. Non soltanto i caffé e i loro frequentatori, i giornali e le loro vetrine, le librerie e i loro scomparti, ma anche le mura, le nude mura, i cancelli dei cantieri non cessano di proclamare la sua gloria e il suo nome [...] Si vede il capo del governo in tutte le pose e in tutti i costumi, in redingote, in uniforme da timoniere, da aviatore, da cavallerizzo, con un tricorno di piume in testa, con stivali a risvolto, pilota di una vettura gran sport, mentre salta gli ostacoli, o arringa la folla, o trebbia il grano, o rimbosca in Calabria, o saluta, o assaggia il rancio dei bersaglieri, o doma belve, o marcia su Roma, o suona il violino... 3 Mussolini fu non solo un roboante oratore, ma un vero e proprio esperto della comunicazione (il Ceserani lo chiama addirittura uomo marketing 4 ) Basti pensare ai veri e propri slogan che ha coniato e che sono ancora celebri ( Credere Obbedire Combattere, Chi si ferma è perduto, Chi non è con noi è contro di noi, Molti nemici, molto onore ). 3 G.P. Ceserani, op.cit., p G.P. Ceserani, op.cit., p

11 Intanto l'arte del manifesto si evolveva, andando a permearsi di un gusto tutto architettonico per linee, geometrie e sagome, allontanandosi dalla sfera prettamente estetica in favore di una massima efficacia nella trasmissione del messaggio pubblicitario. Il segno lineare ed asciutto di Marcello Nizzoli fece scuola, insieme al celeberrimo Gino Boccasile, disegnatore delle procaci silhouette signorine Grandi Firme. Il fatto che queste fanciulle fossero ritratte sole e non accompagnate contrastava in qualche modo con gli ideali del Regime; in compenso, Boccasile si occupò ampiamente anche dei manifesti di propaganda di guerra. La pubblicità nel secondo dopoguerra Ancora paralizzata dall'esperienza del fascismo e per di più stravolta dalla seconda guerra mondiale, l'italia del boom economico (si noti che nel giro di un decennio passò da paese sottosviluppato a potenza industriale), permise l'accesso ad un consumismo di massa; basti pensare che proprio nella metà degli anni Cinquanta fece il suo ingresso trionfale in molte case italiane la televisione, vero e proprio strumento di omogenizzazione linguistica, culturale, comportamentale 5. Dal punto di vista sociologico, la famiglia cominciò a chiudersi in se stessa come un micro-organismo di interessi e valori propri, ed i gruppi sociali fino a poco tempo prima senza alcun potere d'acquisto (si pensi soprattutto ai giovani) diventarono nuovi destinatari delle varie réclame. La pubblicità quindi dovette reinventarsi, con ritmi e strategie completamente nuove e diversificate; si può affermare, pertanto, che fu soprattutto negli anni Cinquanta-Sessanta che la pubblicità italiana fu coinvolta in un percorso di rafforzamento complessivo. Aprirono in Italia le prime agenzie americane, tra cui la Lintas (1948), definita L'università della pubblicità 6, e con esse i primi test di sondaggio pre-campagna (cosiddetti Lintests ) con sui si iniziarono ad orientare le aziende a recepire le esigenze del mercato. Si trattò di una vera e propria rivoluzione nell'ambito della pubblicità, la quale prese ad illuminare con il suo occhio di bue prodotti non solo 5 A. Chiantera, Una lingua in vendita. L'italiano della pubblicità, NIS, 1989, p A. Tarallo, L'italiano con gli spot pubblicitari, tesi Itals VI ciclo, tutor A. Mollica, Università Ca' Foscari di Venezia, p

12 legati alla mera sussistenza, ma anche superflui (per esempio l'automobile ed il frigorifero). D'altro canto, si noti che allora la rete dei mass-media utilizzabili era ancora piuttosto scarna: il principale veicolo pubblicitario era ancora la stampa, mentre la radio seguiva al secondo posto. Carosello: la prima pubblicità televisiva Il 3 Febbraio 1957 fu una data storica: quella sera, infatti, sulla RAI nacque il Carosello, la prima forma di pubblicità televisiva. Questa rubrica prevedeva due sigle (una all'inizio ed una alla fine), e quattro-cinque scenette di uguale durata (135 secondi). Ognuna di esse era divisa in due parti, di cui la prima era detta pezzo; esso presentava delle simpatiche storielle che solitamente ospitavano personaggi famosi di taglio comico-brillante (i vari Vianello, Tognazzi, Bramieri, ecc.) oppure disegni animati quali Caballero e Carmencita ed il simpatico Calimero. Quest'ultimo, in particolare, fu una fortunata creazione del 1963 di Nino Pagot; la sua vocina stridula e petulante che lamenta Eh, che maniere... E' un'ingiustizia, però! è ancora ricordata con affetto da moltissimi Italiani (curiosità: Calimero 11

13 non è altro che il nome del santo cui era dedicata la chiesa in cui Pagot si era sposato). Invece, il messaggio pubblicitario vero e proprio compariva solo ed esclusivamente nella seconda parte, detta codino. Le regole del Carosello da rispettare erano davvero molto precise e severe: il codino non poteva durare più di 15 od al massimo 30 secondi, il prodotto non poteva né essere presente né tanto meno comparire fisicamente nel pezzo, e per di più nel codino la marca non poteva essere né scritta né pronunciata per più di sei volte. Inoltre, non dovevano esserci scene volgari (ogni riferimento alla sessualità era bandito, anche se sotto forma di semplici baci) o che potessero in qualche modo turbare lo spettatore (le storie poliziesche erano ammesse solo se il crimine fosse solo accennato e la condanna intervenisse prontamente). Infine, non era possibile fare pubblicità a beni di lusso come gioielli e pellicce. In questo modo, la RAI si garantiva che la comunicazione pubblicitaria sull'unico canale di allora (Programma Nazionale) fosse conveniente e non andasse ad inficiare la bontà e l'integrità degli altri programmi previsti in palinsesto. D'altronde, ai tempi si considerava che la pubblicità fosse una cosa sporchetta e un po' volgare, che andava accettata in quanto inevitabile, ma giusto nella dose indispensabile. 7 Pertanto, un'azienda non solo aveva un margine davvero ristretto per pubblicizzare i propri prodotti, 7 G. P. Ceserani, Un'America targata target, in U. Eco, G.P. Ceserani, B. Placido, La riscoperta dell'america, Laterza, Bari 1984, pag

14 ma doveva anche provvedere, a proprie spese, ad uno spettacolo che fosse completamente slegato dalla vera e propria réclame, e che fungesse da semplice impalcatura al codino al solo scopo di creare motivazione e coinvolgimento nel pubblico. Ad ogni modo, questo strano accostamento di spettacolarità (preponderante) e pubblicità (nascosta) ebbe un successo travolgente: si calcola che nei 20 anni di vita di questa rubrica siano andati in onda caroselli! Essa era così amata, infatti, che veniva sospesa solo il Venerdì Santo ed il 2 Novembre. Eccezionalmente, essa non andò in onda solo nei tre giorni di lutto nazionale per la strage di Piazza Fontana (1969). Alcuni studiosi hanno attribuito questo successo al suo carattere di favola per via della ripetitività della sua formula e per via della familiarità e prevedibilità del suo ambiente. In effetti Carosello, come una fiaba in cui trionfano i buoni ed i giusti, regalava sensazioni positive, faceva sognare, e per i bimbi di tutt'italia rappresentava il momento di passaggio tra la realtà quotidiana e il sogno nel quale stavano per andare ad immergersi 8. Una fiaba particolare, tuttavia, perché il mezzo magico che permetteva di risolvere la situazione compariva solo, brevemente, nel codino, senza essere stato né pre-annunciato né introdotto in alcun modo. 9 In sostanza, in un tempo ( ) in cui gli Italiani guardavano agli Americani come un modello da imitare (si pensi al film di Steno Un americano a Roma ), Carosello rappresentava una brillante risposta made in Italy. Nonostante ciò, la sua condanna a morte fu tristemente scritta con la sentenza della Corte Costituzionale del 1976, la quale portò all'affermarsi delle reti commerciali, e quindi all'avvento di centinaia di spot trasmessi quotidianamente nelle varie televisioni private. D'altra parte, tuttavia, si può affermare che gli anni Settanta furono anche attraversate da un vero e proprio periodo nero per quanto riguarda la pubblicità. La pubblicità tra gli anni di piombo e la rivoluzione mediatica L'approccio degli Italiani nei confronti della pubblicità mutò infatti radicalmente con gli anni Settanta, altrimenti detti anni di piombo. Com'è noto, essi misero 8 A. Tarallo, op. cit, p M.A. Polesana, Come parla la pubblicità, Arcipelago Edizioni, 2004, p

15 sotto torchio il capitalismo ed i valori ad esso correlati; ecco quindi che anche la pubblicità fu bersagliata come serva del potere per antonomasia. Essa veniva accusata con veemenza di influenzare pesantemente la capacità dell'uomo di ragionare autonomamente, imponendo dall'alto un sistema di valori e facendo peraltro leva sugli istinti più bassi e primordiali (bisogno di primeggiare sugli altri, voglia smodata di possesso, ecc.). In questo periodo, i toni delle réclame si fecero quindi molto più dimessi, quasi come se dovessero espiare la colpa di esistere, arrecando il minor disturbo possibile. Scrive Testa: Le campagne diventano serie, sobrie, corte. Gli annunci-stampa presentano severe fotografie di prodotti scontornati su fondo bianco, accompagnate da lunghi testi di spiegazione 10. Spesso l'immagine mancava del tutto, e testi farraginosi, prolissi e distaccati rimpiazzavano la grafica accattivante, andando più ad assomigliare ad articoli di quotidiani (impossibili da memorizzare) che ad annunci pubblicitari. Solo negli anni Ottanta si sarebbe verificata la piena assoluzione della pubblicità, all'insegna di immagini, movimento ed ammiccamenti nei confronti del potenziale cliente, catapultato nuovamente in un ambiente di massimo individualismo e consumismo. Per quanto riguarda gli spot televisivi, sotto l'egida di Silvio Berlusconi moltissime aziende che fino a quel momento erano state ai margini avrebbero all'improvviso avuto accesso al mercato della pubblicità; a sua volta, questa avrebbe succhiato nuova linfa dai sempre più numerosi e sofisticati spot televisivi, i cui story-board spesso grossolani e giullareschi avrebbero inaugurato una nuova era pubblicitaria improntata al consumismo più sfrenato. Ed infatti tali spot, secondo Pilati, furono la fonte principale di orientamento valoriale e di definizione del mondo sociale. 11 Un nuovo fenomeno: la pubblicità sociale Sempre tra gli anni Settanta ed Ottanta, tuttavia, ci fu un altro fenomeno che prese piede: la pubblicità sociale. Nel rutilante contesto di compravendita, descritto pocanzi, in cui la pubblicità si affermava sempre più, essa cominciò ad uscire dal 10 L. Bizzarri, L'evoluzione della pubblicità sui quotidiani dagli anni Settanta ad oggi, in Storia e futuro, rivista di storia e storiografia n. 14, maggio 2007, p G.P. Ceserani, op.cit., pag

16 seminato consumistico in cui era nata per vendere non prodotti ma norme di comportamenti civici, al di fuori quindi delle mere logiche commerciali. La presenteremo, nei dettagli, nel prossimo capitolo. 15

17 CAPITOLO 2 LA PUBBLICITA' SOCIALE (a cura di Luana Slomp) Cos'è la pubblicità sociale La pubblicità sociale o pubblicità di pubblico servizio si occupa di contribuire a promuovere e rafforzare un punto di vista già diffuso nell'opinione pubblica su vari temi di interesse generale da tutti in qualche modo già avvertiti, cercando di amplificarne il consenso e sollecitare in tutti una presa di coscienza che porti all'operatività. La Gadotti la definisce come un moderno galateo sociale che educa ed informa sugli atteggiamenti e comportamenti più idonei da assumersi nelle diverse circostanze, rendendo visibili ed appealing regole che sono già in larga misura patrimonio collettivo. 12 E' quindi la dimostrazione che la comunicazione persuasoria della pubblicità non debba necessariamente avere fini commerciali, come già suggerito al Congresso Nazionale della Pubblicità di Milano del 1971; anzi, in questa nuova forma, essa dimostra di avere sviluppato delle raffinate strategie comunicative applicabili ad un contesto delicato quale quello delle patologie sociali, ben lontano quindi da quello commerciale per cui è nata. Pur utilizzando le stesse tecniche, per le finalità perseguite, la pubblicità sociale si distanzia quindi nettamente dalla pubblicità commerciale (quella sociale viene infatti spesso definita, per contrasto, con una serie di litoti quali non commercial, non profit, non product ). In ogni caso, la pubblicità sociale si rivolge non ad un potenziale consumatore, ma ad un cittadino, ed utilizza la comunicazione persuasoria per modificarne gli atteggiamenti mentali. L'obiettivo, o mission che dir si voglia, non consisterà nel far comprare prodotti, ma nell'incentivare a stimolare atteggiamenti, promuovere idee e valori. Scrive il pubblicitario Roberto Gorla: [...] non crea tendenze, le cavalca. Prende quello che c'è già nell'aria e lo fa suo. Qualche volta 12 G. Gadotti, Pubblicità sociale: lineamenti, esperienze e nuovi sviluppi, Franco Angeli 2001, p

18 lo fa con un tempismo sorprendente, ma non può permettersi di giocare d'anticipo: cadrebbe nel vuoto. La pubblicità, anche quella che si ammanta del nome di Pubblicità Progresso, spinge treni già in corsa, amplifica parole che già si mormorano 13. Poiché quindi il suo scopo è quello di anticipare atteggiamenti sociali, amplificare trend già instaurati, svelare tendenze latenti 14, quella sociale si differenzia anche dalla cosiddetta pubblicità advocacy, la quale veicola in modo non neutrale ma polemico messaggi su cui nell'opinione pubblica non esiste un'uniformità di pensiero da rafforzare, ma pareri diversi e contrastanti (per esempio sulla. vivisezione che può essere vista come indispensabile per il progresso scientifico, oppure come un'inutile tortura). Rispetto all'esperienza dell'advertising Council Americano e del Central Office Information (COI) inglese, lo sviluppo della pubblicità sociale in Italia è in forte ritardo e solo nell'ultimo decennio essa è assurta a genere pubblicitario. Secondo un'indagine effettuata nell'ottobre 1989 dalla prof.ssa Giovanna Gadotti, docente di Sociologia delle Comunicazioni di Massa presso l'università degli Sudi di Trento, è risultato che la pubblicità sociale, pur se fenomeno recente, è ritenuta utile alla collettività. Infatti essa fa conoscere i problemi, informa, fa capire molte cose (38.2%, soprattutto anziani e persone con basso livello di istruzione), fa riflettere, pensare (20.2%, soprattutto giovani tra i 18 ed i 24 anni), coinvolge le persone, sensibilizza, far rendere conto dei problemi (22%, soprattutto persone con alto livello di istruzione) L. Bizzarri, L'evoluzione della pubblicità sui quotidiani dagli anni Settanta ad oggi, in Storia e futuro, rivista di storia e storiografia n. 14, maggio 2007, p G. Gadotti, op. cit., p G. Gadotti, op. cit., p.20 17

19 I soggetti della pubblicità sociale ed il caso Benetton I soggetti attori di questa forma di pubblicità possono essere: - soggetti pubblici (ministeri, regioni, province, comuni, aziende municipalizzate). Si pensi alla campagna di prevenzione contro l'immunodeficienza acquisita (Aids) patrocinata dal Ministero della Sanità. In questo caso lo Stato e le sue diramazioni fungono da soggetto educatore con il preciso obiettivo di rinforzare certi stili di vita sia nell'interesse individuale che collettivo. 16 E' essenziale che il linguaggio sia privo di retorica, che non sia né troppo ufficiale né troppo gergale, per essere facilmente compreso senza scadere però nella propaganda (l'era fascista ha lasciato in eredità una certa diffidenza nei confronti dell'uso dei media da parte dello Stato ai fini di manipolare il consenso della popolazione). Si noti che la gran parte dei messaggi pubblicitari provenienti della pubblica amministrazione, in cui essa si presenta come produttrice di beni e servizi in competizione con altri enti (per esempio gli asili nido), non può essere considerata pubblicità sociale a tutti gli effetti. Allo stesso modo, la cosiddetta corporate advertising con cui la pubblica amministrazione mira ad ottenere un consenso del proprio operato e quindi un ritorno d'immagine di cui sarà direttamente beneficiaria, non può essere detta pubblicità di pubblico servizio (si pensi alle campagne pluriennali 16 G. Gadotti, op. cit., p

20 dell'esercito Italiano per sottolineare l'importanza del sostegno che esso offre alla società civile). - organizzazioni non profit, che in Italia sono in continuo aumento (fondazioni, cooperative sociali, comitati ed associazioni di vario tipo, tutti senza scopi commerciali). Attraverso il messaggio pubblicitario, esse cercano di propagare i valori di cui sono portatori. A differenza dei soggetti pubblici, non godono di una posizione prestabilita di autorevolezza, e quindi devono faticare maggiormente per acquistare credibilità. - soggetti privati (aziende), sia per fini prettamente filantropici che per promuovere, indirettamente, la propria immagine. Nel primo caso, citiamo l'iniziativa del Sindacato Italiano Locali da Ballo (Silb) che ha segnalato alla fondazione Pubblicità Progresso (di cui si dirà in seguito) la necessità di una campagna per attivare comportamenti più attenti alla propria incolumità da parte di chi spesso guida in modo spericolato. 17 Si verifica in questo modo un caso di delega da parte di un soggetto debole ed una conseguente supplenza comunicativa. 18 Per quanto riguarda il secondo caso, troviamo che proprio per l'interesse economico e le ragioni non solo sociali ma anche commerciali insite, esso debordi dai margini della pubblicità sociale propriamente detta. Troviamo interessante, in questo senso, l'esempio delle famose campagne Benetton di Oliviero Toscano. In una prima fase, i colori dei pullover Benetton volevano presentarsi come metafora della felice convivenza possibile fra persone diverse o di varie nazionalità. Ecco che ad una marca, bandiera dell'unificazione delle differenze, si cercano di associare i valori di pace e tolleranza, per creare un goodwill positivo e fidelizzare il pubblico consumatore, in quanto l'iniziativa di marketing sociale permette di instaurare forti legami con esso e raggiungere nuove nicchie di mercato. 17 Lettera inviata a P.Pro dal Silb, A. P.Pro 18 G. Gadotti, op. cit., p

21 In seguito, accanto al logo Benetton, ecco comparire il bacio di un prete ed una suora, e l'abbraccio di un diavolo (un bimbo di colore) con un angelo (un bimbo bianco dalla chioma bionda riccioluta). Con gli anni Novanta le immagini diventano sempre più crude, andando a rappresentare immagini forti legate alla morte ed alla vita: nella fattispecie, un cimitero di guerra (era il periodo della Guerra del Golfo) ed una neonata ancora attaccata al cordone ombelicale. Questo ha causato vivaci proteste da parte della popolazione scandalizzata, ma anche maggiore visibilità della marca e riconoscimenti artistici (es. premio svizzero della Société Générale d'affichage). Nel 1992, si giunge perfino ad utilizzare immagini di agenzia utilizzate per reportage di attualità: è la volta dell'agonia di un malato di Aids circondato dai familiari straziati dal dolore, un soldato che brandisce un femore umano, un uomo massacrato dalla mafia, una nave presa d'assalto dagli emigranti. 20

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