Liberazione, ma non di tutti Cortei nelle città, rissa a Roma P er la festa della Liberazione cortei e manifestazioni FABOZZI PAGINA 3.

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1 CON LE MONDE DIPLOMATIQUE + EURO 1,50 Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, Aut. GIPA/C/RM/23/2013 ANNO XLIV. N. 99. SABATO 26 APRILE 2014 OGGI CON ALIAS A EURO 2,50 RIFORME Renzi sul Colle tra frenate e propaganda Napolitano, preoccupato per le riforme, convoca Renzi al Colle per oggi. Il premier lo rassicurerà. Sulla carta c è una maggioranza favorevole al senato elettivo, ma Renzi è convinto che i forzisti rientreranno nei ranghi: Verdini ha ottenuto la retromarcia di Berlusconi. Fino alle europee, la propaganda avrà la meglio. Ma per il dopo c è chi scommette sulle elezioni anticipate. COLOMBO PAGINA 4 STATI UNITI Obama annuncia l amnistia. Stop alla war on drugs Qualche mese fa Barack Obama ha concesso la grazia ad otto detenuti federali dichiarando che non sarebbe stato l ultimo «passo importante per ribadire ideali fondamentali di giustizia ed equità». Questa settimana ha tenuto fede a quella dichiarazione annunciando l allargamento delle «clemenze esecutive» che potrebbe equivalere ad una sostanziale amnistia per migliaia di detenuti federali. CELADA PAGINA 7 RADICALI Il Papa telefona a Pannella: sul carcere insieme Papa Bergoglio non è certo un antiproibizionista, e sul problema della giustizia italiana non la pensa certo come il leader dei Radicali. Né come Obama. Ma ieri Papa Francesco ha telefonato a Marco Pannella, ricoverato ancora in ospedale, per convincerlo a interrompere lo sciopero della sete: «Coraggio, l aiuterò sui carcerati, contro questa ingiustizia». MARTINI PAGINA 7 25 APRILE Liberazione, ma non di tutti Cortei nelle città, rissa a Roma P er la festa della Liberazione cortei e manifestazioni in tutta Italia. A Milano in 60mila in piazza, tutte le sfumature della sinistra, ma lo DIFESA spezzone del Pd è vuoto. A Roma sfilano in migliaia ma finisce in rissa: la comunità ebraica, sotto la bandiera della sua Brigata, non tollera la presenza di La Resistenza di Napolitano bandiere palestinesi. Celebrazioni a Genova, a Campo Ligure in centinaia sulla tomba di Don Gallo, nel è sui caccia da guerra F35: primo 25 aprile senza di lui; c è anche Maurizio Landini. A Verona dopo undici anni torna «l Arena della «Demagogia antimilitarista» pace», in 10mila contro gli F35 e per un dipartimento di difesa civile. C è anche monsignor Bettazzi. In i tagli allo strumento militare Sicilia, a Niscemi, la resistenza è al Muos. SERVIZI PAGINE 2 E 3 FABOZZI PAGINA 3 Sul confine TANK RUSSI A BELGOROD NEI PRESSI DEL CONFINE UCRAINO /REUTERS Il governo ucraino lancia una nuova offensiva a est. I filorussi: «Resistiamo». Usa e Ue, Italia compresa, decidono nuove sanzioni contro Mosca. Che ammassa truppe alla frontiera PAGINA 9 LA PACE ATLANTICA Tommaso Di Francesco L e scene ormai sono quelle di una guerra. Una nuova guerra. Dire che il mondo guarda attonito e spaventato vorrebbe dire raccontare l ennesima bugia. Perché l Europa che politicamente non esiste e tantomeno ha una sua politica estra, partecipa volente o nolente alla strategia di allargamento della Nato a est. Che, a quanto pare, comincia a dare i suoi frutti. Avvelenati. Ma andiamo per ordine. Mercoledì e giovedì è scattata l offensiva delle forze militari di Kiev contro le regioni orientali russofone insorte. Dopo le prime dieci vittime, sembrava che il buon senso consigliasse alle truppe speciali ucraine di fermarsi. È forte il rischio che si ripeta la "Georgia 2008", quando dopo l attacco dei militari georgiani si indicazione dell ex premier filo-occidentale Shahakashvili contro l insorta e filorussa Abbazia - un attacco anche allora istigato dalla Nato - intervenne in forze l esercito russo. Fu una sconfitta militare per Shakashvili che, abbandonato alla fine dall Alleanza atlantica, fu defenestrato poi a furor di popolo. CONTINUA PAGINA 9 L ALTRA EUROPA La tenaglia di mercato e finanza Riccardo Petrella N on è ragionevole confondere lo strumento (la moneta "comune" europea, l euro) con le cause strutturali del fallimento delle politiche di "crescita", di convergenza economica e d integrazione politica dell Europa. Essendo un simbolo forte della Mala Europa, l euro è diventato un bersaglio troppo facile e immediato su cui scaricare la giusta rabbia dei cittadini europei per una Unione europea i cui gruppi dominanti hanno sbagliato tutto. Ma ciò non è sufficiente per costruire un Altra Europa: bisogna andare al cuore dei problemi ed attaccare il sistema edificato ed imposto nel corso degli ultimi trent anni, di cui l euro è uno degli ingranaggi più recenti. Il punto critico è distruggere la tenaglia mercato/finanza che ha stretto in una morsa mortale le società europee soffocando lo Stato dei diritti e la giustizia sociale, devastando la ricchezza collettiva (i beni comuni), demolendo le già deboli forme di democrazia rappresentativa e partecipata. Distruggere la tenaglia significa ridare ai cittadini europei la capacità di costruire un futuro hic et nunc. A partire dagli anni 70, le classi dirigenti europee si sono trovate ad affrontare una serie di grossi problemi: la crisi ambientale dello "sviluppo", il collasso del sistema finanziario mondiale ( ), la fine del dominio dei paesi occidentali sul prezzo del petrolio (1973, 1978), l emergenza dei paesi del "Terzo Mondo" e, soprattutto, la rivolta dei detentori di capitale contro la riduzione dei tassi di profitto per il capitale privato, intervenuta negli anni 60 e 70, conseguente al buon funzionamento dello Stato del Welfare. Questo aveva consentito un riequilibrio nella redistribuzione della ricchezza prodotta a favore dei reddito da lavoro e della ricchezza collettiva (beni e servizi d interesse generale). A livello europeo si trattava di superare l impasse in cui i conflitti d interesse fra i gruppi dominanti "nazionali" avevano condotto l integrazione economica e politica dell Europa. Accecati dai dogmi del capitalismo mercantilista e finanziario, dalla bramosia di arricchimento e di potenza, i gruppi dominanti hanno creduto di risolvere i problemi dando il potere di regolazione e di controllo ("le regole della casa") al mercato ed alla finanza, i creatori di ricchezza in un'economia capitalistica. CONTINUA PAGINA 15 TEATRO DI ROMA I troppi candidati del sindaco Marino GIANFRANCO CAPITTA l PAGINA 12 INTERVISTA AI MASHROU LEILA Sesso, rock, diritti e politica a Beirut LINDA CHIARAMONTE l IN ALIAS CHIESA PAGINA 5 Va in scena la santificazione del papato Domani la doppia canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Le perplessità di «Noi Siamo Chiesa» su Wojtyla PIOMBINO L acciaio deve tornare sui binari Riccardo Colombo C on l avvio dello spegnimento dell alto forno di Piombino si potrebbe concludere la lunga storia di questo polo siderurgico, nato nel Potrebbe essere l inizio della fine della nostra siderurgia. Per inquadrare il problema, è necessario riportare alcuni dati essenziali. Piombino dà occupazione a persone, senza considerare l indotto. Gli addetti dell intera siderurgia italiana erano nel Piombino è a ciclo integrale (produce acciaio "direttamente" dal ferro). CONTINUA PAGINA 6 BIANI

2 pagina 2 il manifesto SABATO 26 APRILE APRILE Cortei La giornata dedicata ai partigiani, ma il finale è con rissa. Gli esponenti della comunità ebraica contro la presenza delle bandiere palestinesi Roma, Liberazione senza pace Daniela Preziosi A lle nove di mattina già splende il sole sul Colosseo, Roma capoccia con la sua luce più smagliante dà il buon 25 aprile, la buona Liberazione anche ai turisti ignari. Al tradizionale corteo convocato dai partigiani arrivano tanti cittadini, molti dietro gli striscioni dell associazione, altri dietro i propri o sciolti: c è lo spezzone della lista L Altra Europa con Tsipras che quest anno raccoglie tutta la sinistra sinistra, centri sociali, studenti, un fronte della gioventù comunista. Soprattutto famiglie, bambini, biciclette. È il presepe dell antifascismo romano e delle sue nuove leve. C è il sindaco Ignazio Marino, al suo primo 25 aprile (prima al suo posto c era Gianni Alemanno, il sindaco con la celtica al collo, che al corteo ovviamente non è mai venuto) che al mattino ha deposto una corona all ex carcere nazista di via Tasso, insieme a Nicola Zingaretti, e ora si piazza dietro lo striscione «I partigiani», dice «oggi dobbiamo liberare Roma dalla cattiva politica, dalla cattiva cultura, dalla cattiva amministrazione». La passeggiata è tranquilla e allegra. All Aventino, a un lato del viale, si omaggia l anziano Armando Cossutta, 88 anni, Brigata Garibaldi, poi storico dirigente del Pci. Eppure il corteo parte male. E finisce peggio. Al Colosseo ciascuno apre le sue bandiere. Sventolano quelle della Brigata ebraica. Quest anno la comunità è arrivata in forze contro le politiche euroscettiche «locomotiva di un nazionalismo» che tocca «punte di xenofobia e antisemitismo», come ha scritto il presidente Riccardo Pacifici sulla Stampa. Fra le sue file, una cinquantina di giovanotti palestrati con l aria da Domenico Chionetti* GENOVA I l ROMA, BANDIERE DI ISRAELE E BANDIERA PALESTINESE A PORTA SAN PAOLO /FOTO DI ATTILIO CRISTINI Genova /LANDINI: «RIMETTIAMO IL LAVORO AL CENTRO» Sulle orme di don Gallo, per decidere da che parte stare Centinaia di persone tornano a Campo Ligure dall ultimo saluto 25 aprile 2013 è stato l ultimo per don Gallo, sofferto, il cuore non lo sosteneva più come avrebbe dovuto. Volle comunque uscire in una di quelle notti insonni per salire al «Sacrario dei Martiri del Turchino». «Belin, un 25 aprile così io non lo passo...», per lui abituato a vivere la festa della Liberazione con lo sguardo rivolto in avanti, coniugato con la difesa della Costituzione e la mancata attuazione dei suoi valori fondanti, era difficilmente concepibile passarlo stando fermo in una stanza. Quando arrivammo, volle dettare queste righe che rendemmo pubbliche subito su Facebook: «Mi trovo ora (23.45) in località Fontanafredda. Ho scelto di recarmi la notte del 25 aprile al Sacrario dei Martiri del Turchino, dove il 19 maggio del 1944 furono trucidati dalle truppe nazifasciste 59 civili italiani. W la resistenza, W i partigiani!». 59 persone, molte delle quali non ancora ventenni. Don Gallo riposa a Campo Ligure, paese di origine della sua famiglia, del fratello Dino, Comandante Partigiano nato nel 1922, era stato sottotenente del genio pontieri di Milano quando, l'8 settembre 1943, scelse di stare con i partigiani, dando vita in Valpolcevera alla brigata Sap, poi chiamata «Paolo Cozzo». Quando il fratello, ventiduenne, nel '43 decise di arruolarsi nella Resistenza, don Gallo quindicenne comprese il senso di quella scelta che avrebbe cambiato le loro vite. Ieri siamo tornati in tanti a Campo Ligure, centinaia di persone insieme per la prima volta da quel 25 maggio quando lo salutammo, non solo per celebrare la memoria ma per interrogarci tutti su cosa significhi essere partigiani oggi, decidere da che parte stare. Per dirla con le parole di Maurizio Landini, con noi nella giornata della festa della Liberazione, significa: «Mettere al centro il fatto che l Italia è un Repubblica fondata sul lavoro, che non è possibile oggi lavorare ed essere poveri, che, se il lavoro non dà autonomia e dignità, ci chiediamo quale senso hanno le parole fondative della nostra Carta per le nuove generazioni e le attuali. Essere partigiani oggi, difendere i valori del 25 aprile, significa anche non pensare che la Costituzione va cambiata, ma che la Costituzione va esplicata per tagliare le unghie alla finanza, per rimettere al centro un modello sociale che parta dal lavoro. Rimettere al centro il lavoro è un processo che si fa con la partecipazione, non con le logiche dell uomo solo al comando che da oltre ventanni imperversano nel nostro paese, bisogna invece riaprire processi di partecipazione e di democrazia che partono dal basso. Parteggiare, partecipare, dobbiamo metterlo in pratica». La sensazione, per noi della Comunità San Benedetto al Porto dopo la «scomparsa» del Gallo, è quella di avere le scarpe rotte, così come molti, troppi, le hanno oggi nel nostro Paese, «eppure siamo andati, eppur bisogna andar». W la Resistenza, W i Partigiani! *Comunità San Benedetto al Porto L Anpi amareggiata: «No insulti nel giorno dell antifascismo. Difendiamo ancora oggi la Costituzione» servizio d ordine. Subito non gradiscono la presenza di alcune bandiere palestinesi. Partono schiaffi e spintoni. Qui le versioni divergono: il portavoce della comunità Fabio Perugia parla di «insulti e aggressioni» e giura che solo i carabinieri hanno evitato «la violenta rissa» causata, dice, «dalla presenza di stendardi che con la Resistenza non c entrano nulla, perché rappresentano soggetti storici all epoca alleati con il nazifascismo». Ce l ha con quegli arabi che nella guerra si schierarono con la Germania, in teoria, ma in pratica è la solidarietà con la Palestina di oggi che non tollera, tanto peggio dopo la recente intesa Hamas-Fatah. Ma a ascoltarlo bene è un ammissione: la «presenza di bandiere» non provoca rissa, la rissa c è quando qualcuno alza le mani. Sull altro fronte, Niccolò Monti, tessera Anpi e filopalestinese, testimonia «minacce da parte di una ventina di picchiatori partiti dal gruppo della Brigata Ebraica, che ci hanno spintonato». I filmati su Repubblica.it raccontano questa scena nel dettaglio. Il corteo parte, ma lo spezzone filopalestina è tagliato fuori dalle forze dell ordine. Partirà più tardi, lo scortano i militanti della lista Tsipras, i trozkisti del Pcl e l Anpi università e i frontisti. Più tardi in piazza porta San Paolo, la piazza della resistenza romana, il gruppone della comunità di nuovo non prende bene l arrivo delle bandiere palestinesi. Partono gli opposti insulti di sempre: «Terroristi», «sionisti assassini». Un cordone di finanzieri evita il contatto. La scena è surreale. Dal palco canzoni e vecchi partigiani. Ernesto Nassi, presidente dell Anpi romana, promette la difesa della Costituzione dalle riforme del governo Renzi. I giovanotti della comunità premono. La tensione sale, il sole scalda qualche testa. Nassi chiude in anticipo la manifestazione «su richiesta delle forze dell ordine». Avrebbero dovuto parlare ancora in molti, e fra loro un testimone della Brigata Ebraica. I giovanotti assediano il palco, chiudono anche la scaletta d accesso degli anziani combattenti e delle staffette. Sul palco un triste violino suona una tristissima bella ciao. Una giovane strappa il microfono «avete insultato la nostra memoria». Poi è Pacifici a prendere il microfono ma da metà piazza piovoni insulti. Lui urla: «Venite qui». Sotto il palco siamo alla scazzottata, lui con gesto atletico si lancia giù in mezzo al parapiglia. Arrivano i poliziotti a rinforzare il cordone, partono cori contro Israele, ma da questa parte sono i manifestanti a tenere la calma. Da quella opposta è lo stesso servizio d ordine della comunità a trattenere i propri. Poi alla fine abbandonano la piazza. «Sembravano tutti impazziti», dice sconsolato Nassi, promettendo che il prossimo anno l Anpi accetterà in piazza solo chi rispetta «la festa di tutti». Condanna «gli episodi di aggressione verbale», «l antifascismo è scritto nella Costituzione» «non possono albergare atteggiamenti di intolleranza che offendono l Anpi e la memoria dei partigiani». Ma la Rete di solidarietà con il popolo palestinese accusa le forze dell ordine, ma anche l Anpi, di aver tagliato fuori il loro spezzone dal corteo. La replica di Nassi è amara: «Non è vero. Dalla testa del corteo sono tornato indietro a parlare con la polizia. E ho chiesto che permettesse a tutti di sfilare». Luca Fazio MILANO B ello QUI SOPRA E NELL IMMAGINE IN BASSO, 25 APRILE A MILANO/FOTO SINTESI VISIVA E TAM TAM MILANO Sinistre sulla strada maestra, il Pd esce di scena Perdersi in piazza Duomo tra 50 sfumature di rosso come al solito. Sessantamila. Ma senza la forza di un perché, a Milano bisogna esserci e questo basta e avanza. Ogni anno diventa sempre più una questione personale: esco, ci vado. E però siamo come esseri anfibi un po sperduti, immersi contemporaneamente nel passato e nel presente, e per questo oggi - per chi ricorda - la memoria non può che andare a sbattere contro un altro 25 aprile. Venti anni fa: il A Milano pioveva troppo, era bellissimo. Si stava già peggio, Berlusconi era agli esordi del suo ventennio ormai passato alla storia, eppure oggi ciò che annichilisce è il paragone con la potenza espressa da quel corteo che il manifesto aveva saputo percepire prima che prendesse forma. Il ricordo sfuma in un incrocio di sguardi, lasciamo stare e ci siamo detti tutto, perché anche questa rimane pur sempre una giornata diversa e felice, e chiunque ha il diritto di raccontarsela come meglio crede. Da dire restano le parole d ordine forzate che annoiano dal palco, l attualità, la «difesa della Costituzione», con migliaia di persone che durante i discorsi non sanno nemmeno dove guardare (nei cellulari), parole vuote con il primo partito italiano che ne sta facendo carta straccia, e con Carlo Smuraglia, presidente nazionale dell Anpi, che arriva a sottolineare esplicitamente la mancanza di democrazia delle riforme di Matteo Renzi, per non parlare del suo degno compare. Sarà la stanchezza, o forse è solo la quiete prima di chissà quale tempesta, ma non c è più nemmeno la forza per una piccola contestazione: sul palco del Duomo c è Luigi Angeletti. Angeletti! Non un fischio, solo sbadigli. Quando si dice la distanza dalle istituzioni, non c è rappresentazione migliore di questa. Poi, senza infierire, questo 25 aprile milanese ci regala un altra non notizia, non proprio fresca. Ma ufficiale: la piazza più importante della sinistra italiana ormai non è più contro il Pd, è addirittura oltre. Lo ignora, lo evita lungo il corteo, e un pochino lo fischia con la delicatezza di chi non vuole sparare sulla croce rossa. Lo spezzone del Pd - 70 persone - sembra composto da alieni. Si sapeva già, ma ieri, in punta di piedi, sono davvero usciti dalla sini-

3 SABATO 26 APRILE 2014 il manifesto pagina 3 25 APRILE Raduno stra. La cronaca dice anche di contestazioni. Sì, una crisi di nervi di un anziano corpulento del Pd che si è scagliato contro un gruppo di No Tav che stava fischiando a debita distanza: a parti inverse si sarebbe parlato di attacco terrorista, invece è finita con i poliziotti in borghese a fare brutto per proteggere lo spezzone Pd (l ex Pci scortato dalla digos a Milano il 25 aprile). E per non farsi mancare niente, produce il suo effetto anche la solita «contestazione» alla brigata ebraica, nello stesso angolo di piazza san Babila. Almeno un titolo per i giornali online. Si dice sempre che domina il rosso. Vero, anche più del solito, e con sfumature diversissime. Di nuovo, per la grafica, ci sono le bandiere per «un altra Europa», i simpatizzanti della lista Tsipras. Ce la mettono tutta per il battesimo nella piazza che gli sta più a cuore e il colpo d occhio è notevole, ma tutti sanno che non sarà una passeggiata. Ma tra le cinquanta sfumature di rosso ce n è una che colpisce di più: le retrovie, mai come quest anno, sono piene di bandiere comuniste. Vecchie, nuove. Declinate in tutte le salse. Qualche anno fa facevano parte del folklore, oggi si sono prese uno dei pezzi più vivaci del corteo. Cos è? Non il solito spettro. La scossa elettrica, come sempre, arriva dai camion che segnano il passaggio dei pezzi di «movimento», sono loro a rompere la liturgia della celebrazione per gridare ciò che molti pensano: ce l hanno con Renzi e nessuno ha da ridire. Per i giovinastri la festa non finisce qui, la sera si sono ritrovati in piazzale Cimitero Maggiore per continuare a suonarsela alla manifestazione «Partigiani in ogni quartiere» (a proposito, la Milano antifascista tornerà a farsi sentire in piazza Oberdan il 29 aprile per contestare la solita parata fascista in «onore» di Sergio Ramelli). FUCILIERI IN INDIA, LA GAFFE DELLA MARINA Nel giorno della Liberazione, la Marina militare italiana inciampa in una tremenda gaffe, postando sul profilo twitter ufficiale una foto di motociclisti in posa davanti alla stele che a Roma (ancora) inneggia a Mussolini dux. Il gruppo, radunato per sostenere la causa dei due fucilieri di marina «detenuti» nell ambasciata italiana in India, esibisce lo striscione «Free our sailors» e probabilmente qualche saluto romano. La foto è stata rimossa, ma è rintracciabile in rete. Ernesto Milanesi VERONA S olo I pacifisti tornano nella città veneta. Intanto il capo dello stato difende la spesa per le armi VERONA Così festeggia il «popolo arcobaleno», a distanza di undici anni C è pace nell Arena un vagito. Altrimenti, 10 mila in piedi e in silenzio. L Arena così fa impressione. Tutti zitti che guardano il palco con dietro il gigantesco NoF35 formato tricolore. Sono gli stessi che si sono messi ordinatamente in fila. E che ora applaudono convinti «Mao» Valpiana del Movimento Nonviolento. Dopo il minuto di omaggio alle vittime di ogni guerra, annuncia la proposta politica che suona come sfida ai partiti: «Dal 2 giugno, festa della Repubblica, al 2 ottobre, compleanno di Ghandi, raccoglieremo le firme per la vera difesa della patria che siamo tutti noi. Una legge che istituisca e finanzi il Dipartimento della difesa civile. Avrà tre pilastri: il servizio civile per tutti i giovani, i corpi civili di pace e la protezione civile». A distanza di 11 anni, l Arena di Verona risuona come sinonimo di pace, disarmo, resistenza, liberazione. Il «popolo arcobaleno» celebra a modo suo il 25 aprile anche se fuori arrivano gli alpini in divisa e il sindaco Flavio Tosi imbandiera il municipio. Di nuovo piccoli gruppi, famiglie, frati e scout, tute blu della Fiom e studenti riempiono miracolosamente il tempio della lirica pronti ad ascoltare l assolo dei profeti, il coro degli utopisti, l orchestra dei disobbedienti alle leggi del branco. Quattro ore di meeting controcorrente con il maxi-schermo che ricorda chi non c è più (Alex Langer e Tonino Bello, don Gallo e Tom Benetollo fino a Vittorio Arrigoni) e il microfono aperto alle testimonianze «resistenti». Sotto il sole, sui gradoni in ascolto c è anche monsignor Luigi Bettazzi con i suoi 93 anni conciliari quanto vispi: si guadagnerà un ovazione finale sul palco. Cantano e ballano i ragazzi del servizio civile, mentre gli aeroplanini di carta ammoniscono sull equivalenza fra un F35 e venti treni di trasporto pubblico. «C ero la prima volta e lo spirito resta lo stesso» confessa il frate francescano avvolto nella bandiera pacifista. Come lui, si rivede Gianni Tamino che all Europarlamento amplificava le intuizioni del movimento «rossoverde» veneto. E confusi fra la folla Dal 2 giugno partirà la raccolta delle firme per una legge che istituisca e finanzi il Dipartimento della difesa civile David Riondino o Deborah Kooperman e tutti i musicisti del «concertone» finale. Si è ritirato nei camerini don Luigi Ciotti a limare un intervento appassionato in cui confessa che Vangelo e Costituzione sono i suoi riferimenti. E Gad Lerner lo imita: «Sindaco, portiamo cibo ai poveri della città» in aperto contrasto con le ordinanze leghiste (ma altrove anche democratiche) nei confronti degli indigenti. Don Albino Bizzotto fa un passo avanti in nome della madre terra, invocando la fine delle Grandi Opere che soprattutto a Nord Est strangolano con cemento e asfalto la natura e la popolazione. Ma l Arena è soprattutto un enorme bandiera arcobaleno come ai tempi di Comiso o Genova. Riassume bene l ostinazione di voler spezzare ogni arma. È quella di Alberto Trevisan, storico pioniere dell obiezione di coscienza che diventerà socio onorario del Servizio civile. O di Maurizio Simoncelli dell Archivio disarmo quando scandisce: «L Europa conta 1,5 milioni di uomini armati e spende tre volte la Russia, ma non scalfisce la crisi in Ucraina. E l Italia contabilizza 20 miliardi della Difesa, altri 2 e mezzo nel bilancio dello sviluppo più un altro destinato alle missioni di peacekeeping. In termini di Pil ben più della Germania». E ritorna alla memoria il partigiano Pertini su arsenali e granai. Cartavetrata per l attuale inquilino del Colle. Tanto più che Arena 2014 non fa sconti al governo: al ministro Giuliano Poletti si ricorda come il volontariato dei ragazzi (alternativo alla divisa da professionisti) non può mascherare ancora lavoro precario; dalla ministra Roberta Pinotti qui ci si attende un «libro bianco» non la riedizione dello Stato nello Stato; dal premier Renzi almeno un tweet che annunci il servizio civile obbligatorio. Verona è ormai la capitale dell arcobaleno pacifista, merito dei comboniani di Alex Zanotelli che ormai fanno breccia nell homepage di Famiglia Cristiana grazie al centinaio di comitati locali, 30 reti sociali, 10 fondazioni, 40 riviste e 8 centri studi. Un piccolo grande «esercito» votato all impegno fianco a fianco con un altro A NISCEMI LA RESISTENZA È NO MUOS Una «passeggiata sui sentieri della Resistenza», resistenza alla minaccia che il sistema satellitare di difesa americano sta portando all ecosistema della Sicilia sud orientale. Così alcune centinaia di attivisti hanno festeggiato il 25 aprile, liberando un pozzo d acqua comunale da recintato dai militari americani. «La resistenza No Muos - hanno spiegato - continuerà fino allo smantellamento degli impianti di guerra costruiti all interno della Sughereta, dove la carenza d acqua è insostenibile». L ARENA DELLA PACE A VERONA /FOTO ALEANDRO BIAGIANTI «popolo» che non smette di sognare un mondo diverso dai war games o dagli «eletti» di Goldman Sachs. È giusto quello che offre Alice Mabota, la fondatrice della Lega per i diritti umani che in autunno da «umile cittadina» vuole addirittura candidarsi a presidente del Mozambico. All Arena di nuovo ammutolita spiega le ottime ragioni di donna africana che sa di poter contare sulla gente che ha di fronte. A questo punto, può cominciare il «concertone» formato 25 aprile arcobaleno. Musica e spettacolo che servono anche ad aggiornare l agenda, perché all inizio di giugno c è Sarajevo non solo un secolo dopo la prima guerra mondiale e dopo l estate la marcia Perugia-Assisi (purché nel solco originale di Capitini ). Per la festa della Repubblica, invece, saranno già pronti i moduli della raccolta firme. Matteo stai sereno: Arena 2014 fa sul serio. DIFESA Il presidente sottolinea il ruolo dello «strumento militare». E i marò «onorano l Italia» Napolitano: demagogia antimilitarista sugli F35 ROMA P er la pace servono le armi. Un discorso a tesi quello di Giorgio Napolitano nel suo ottavo 25 aprile. «La Resistenza - ha detto il capo dello stato ricevendo al Quirinale le associazione partigiane - fu un grande moto civile e ideale, ma fu innanzitutto popolo in armi». Riconoscimento importante di quanto fu ampia la partecipazione popolare alla guerra di liberazione. Ma soprattutto premessa alla parte conclusiva del discorso, dove dalla memoria il presidente passa all attualità. «Tutte le risorse della diplomazia» sono certo importanti «dinanzi ai molteplici focolai di tensione e di conflitto», ha detto Napolitano, «ma certo non possiamo sottovalutare la necessità di essere in grado di dare un concreto apporto sul piano militare». Discorso molto «obamiano», nel senso delle richieste che il presidente degli Stati Uniti ha fatto agli alleati europei nel corso della sua recente visita in Europa, con tappa a Roma e assai cordiale incontro al Quirinale. «Siamo preoccupati per la riduzione delle spese per la difesa di alcuni stati - disse allora Obama -, la libertà non è gratis». Un riferimento non esplicito ma chiaro ai tagli programmati un po ovunque (ma anche negli Usa) al costosissimo programma Joint Strike Fighter, cioè alle commesse dell americana Lockheed Martin. Lo stesso riferimento si è colto nelle parole di ieri di Napolitano. Che, dopo un immancabile saluto ai fucilieri di marina «detenuti» nell ambasciata italiana in India che, addirittura, «fanno onore all Italia», ha sì riconosciuto l esigenza di «razionalizzare le strutture e i mezzi militari». Ma ha invitato a farlo «sollecitando il massimo avanzamento di processi di integrazione al livello europeo». E dunque «senza indulgere a decisioni sommarie che possono riflettere incomprensioni di fondo e perfino anacronistiche diffidenze verso lo strumento militare, vecchie e nuove pulsioni demagogiche antimilitariste». Discorso assai comprensibile soprattutto se si ricordano i precedenti interventi del Quirinale e del Consiglio supremo di difesa (convocato e presieduto dal capo dello LIDIA MENAPACE «Io staffetta partigiana oggi sto dalla parte della Costituzione» A 90 anni, Lidia Menapace si sente sottotenente partigiana. «Stamattina ero a Monza per la cerimonia ufficiale che mi ha provocato un po di rabbia e tristezza. Un corteo con la messa al seguito in cui nessuno ha mai pronunciato le parole resistenza, libertà, partigiani. Alla fine, siamo rimasti un gruppetto nel parco a celebrare il 25 aprile come si deve. Molto meglio qui all Arena di Verona dove si può ricordare come il ricovero dei soldati italiani dopo l 8 settembre sia stato il primo esempio di difesa popolare nonviolenta». Resistenza e Liberazione «attualizzate» dall arcobaleno? A me fa sempre venire l asma sentir parlare di memoria condivisa. Allora la scelta era netta: dalla parte del nazifascismo oppure la Resistenza. Oggi si tratta di stare dalla parte della Costituzione per cui l Italia è una Repubblica (non l interesse privato delle lobby) fondata sul lavoro (non sul cemento, sulle speculazioni, sulle oligarchie). Significa anche smettere di pensare agli F35, rispettare fino in fondo l articolo 11 e restituire la sovranità al popolo e ai territori. Insomma, impegno diretto per non arrendersi al pensiero unico. Un po come nel ? Ricordo bene il primo sciopero alle Officine meccaniche Sant Andea di Novara. Nel regime fascista era vietato. Davanti ai cancelli, gli operai hanno incrociato le braccia di fronte ai nazisti che alla fine se ne sono andati. Ecco, il lavoro come fondamento della nuova Italia. Come i contadini dell Appennino che distribuivano il raccolto alla popolazione. Da staffetta partigiana, ho sempre rimosso dal cervello i nomi per paura di poterli fare sotto tortura. Ma non dimentico una faccia e qui all Arena ne ho riviste tante E il futuro? Qual è l alternativa a Renzi? Io sto sempre con Rosa Luxemburg: socialismo o barbarie. Sono più che convinta che la nostra Costituzione più che riformata deve essere attuata. Mi batto per una legge di iniziativa popolare, strumento vero di democrazia diretta come ha dimostrato l approvazione del testo sulla violenza alle donne. Una proposta semplice: realizzare il secondo comma dell articolo 1, restituendo davvero al popolo l esercizio della sovranità. Il contrario di ciò che ispira Renzi: meno controlli, contrappesi, garanzie favoriscono la cultura un po autoritaria. Renzi mi ricorda tanto Fanfani. E l alternativa, come dimostra proprio il 25 aprile all Arena, è il tessuto resistente di soggetti. Gli stessi che rivendicano il sacrosanto diritto di difendere il territorio in Valsusa, a Niscemi o Vicenza dove perfino decidono gli Usa sulla testa dei cittadini e. m. Stato) contro il parlamento che immaginava di tagliare il programma degli F35. Un piccolo taglio è stato in qualche modo annunciato dal presidente del Consiglio, che nella conferenza stampa di presentazione del decreto sul bonus Irpef aveva parlato di uno «slittamento» del programma F35 e di un risparmio di 150 milioni. Nel testo del decreto firmato da Napolitano e pubblicato in Gazzetta ufficiale non c è alcun riferimento ai caccia americani, ma la difesa è comunque chiamata a dare il maggior contributo ai risparmi: 400 milioni. L ultimo consiglio supremo della difesa, il primo con Matteo Renzi, aveva evitato lo scontro con il parlamento che grazie alla legge del 2012 di riforma dello strumento militare (e in particolare all articolo 4 che contiene il cosiddetto «lodo Scanu») è titolare dell ultima parola in fatto di investimenti nei programmi pluriennali. Rinviando tutto, dunque anche i tagli ai caccia, al prossimo «Libro bianco» che dovrebbe fare il punto sulle esigenze della difesa. Un lavoro che però è già stato fatto dalla commissione difesa della camera, che a inizio maggio è in condizione di chiudere la sua indagine conoscitiva sui sistemi d arma. Il Pd ha prodotto una relazione che propone non la cancellazione, ma un forte ridimensionamento del programma F35, vale a dire un sostanziale dimezzamento degli ordini dei caccia, al momento 90 e ognuno dal costo di oltre cento milioni. La ministra della difesa Pinotti in questi mesi ha alternato dichiarazioni favorevoli al ridimensionamento del programma a dichiarazioni contrarie, ieri si ècongratulata con Napolitano e non ha ravvisato alcun riferimento agli F35 nelle parole del presidente. Parole invece criticate dal Movimento 5 Stelle, perché «stonate e fuori da ogni sentimento popolare». Mentre il deputato democratico Giampiero Scanu, capogruppo in commissione difesa, si è detto ottimista sull «ampia condivisione se non addirittura unanime accoglimento» da parte dell assemblea Pd del documento che propone il taglio agli F35. L assemblea si riunirà il 6 maggio, il giorno dopo è previsto il voto in commissione. a. fab.

4 pagina 4 il manifesto SABATO 26 APRILE 2014 POLITICA GOVERNO Napolitano convoca Renzi al Quirinale per oggi. Il premier lo rassicurerà sul percorso delle riforme Sulle urne il gioco al raddoppio Sospetti, minacce, tentazioni: le europee come banco di prova per eventuali elezioni politiche anticipate Andrea Colombo N apolitano, preoccupato per la sorte delle riforme, convoca Renzi al Colle. Si vedranno oggi e il premier rassicurerà il presidente. Il testo base della riforma del Senato e del Titolo V che verrà votato dalla Commissione Affari costituzionali di palazzo Madama martedì prossimo non dovrebbe scostarsi troppo da quello proposto dal governo. Sulla carta la maggioranza, al momento, è in realtà favorevole a un testo che preveda l elettività dei senatori, ma i cinque voti di Fi saranno determinanti e Renzi è convinto che rientreranno tutti nei ranghi. Merito dell instancabile Verdini che giovedì è riuscito, chiamando i collaboratori dell ex cavaliere negli studi di Porta a Porta, a ottenere la retromarcia del furioso. Il giorno prima aveva fatto lo stesso con il capo dei senatori Romani e ieri si è sentito a più riprese con il plenipotenziario del premier, Guerini. Nel nuovo testo ci saranno modifiche sostanziose ma non sostanziali. Le regioni nomineranno un numero diverso di senatori a seconda della loro popolosità. Quelli indicati dal Colle non saranno più 21 ma tutt alpiù 5. Dai poteri del nuovo Senato potrebbero essere depennate alcune nomine istituzionali. Ma nulla di più. Varcare questo confine vorrebbe dire stracciare il patto del Nazareno e questo, per ora, Berlusconi non intende farlo. Le cose potrebbero cambiare dopo le europee, a quel punto però non si tratterebbe più di riforma del Senato o elettorale ma direttamente di elezioni politiche anticipate. E questo lo spettro che si agita sullo sfondo delle fibrillazioni di questi giorni. Tutti ci pensano, molti ne parlano, nessuno le nomina: non starebbe bene. Da settimane circola in parlamento il sospetto diffuso che, ove la prova di maggio lo autorizzasse a prevedere un massiccio successo alle politiche e le riforme sia economiche che istituzionali continuassero a segnare il passo, sarebbe lo stesso Renzi a puntare sul voto anticipato, adoperando come alibi le resistenze conservatrici. In questo caso, probabilmente, si voterebbe con la legge partorita dalla Corte costituzionale, il Consultellum, un proporzionale secco con soglie di sbarramento al 4% per i deputati e all 8 per i senatori. Per Renzi vorrebbe dire condannarsi in anticipo alle larghe intese, ma comporterebbe anche la garanzia, come leader del partito di maggioranza relativa, di tornare a palazzo Chigi dopo aver fatto piazza pulita dell opposizione interna nei gruppi parlamentari. Pesa però un incognita che solo il voto delle europee potrà chiarire. Se il M5S si rivelasse il primo partito, o il secondo a pochissime lunghezze dal Pd, le elezioni in autunno passerebbero da allettante Carlo Lania A palazzo Madama una riforma, con i relativi tagli, è già in atto. Non per i senatori, per i quali il disegno di legge che li riguarda ha appena cominciato il suo iter in commissione Affari costituzionali, ma per chi ci lavora. 847 dipendenti il cui futuro è scritto in un piano messo a punto dal segretario generale Elisabetta Serafin e che ora è nelle mani della vicepresidente Valeria Fedeli che ha cominciato a discuterlo con i sindacati. Si tratta di una parte di un più vasto programma di riorganizzazione generale del parlamento che prevede sinergie tra Camera e Senato, oggi divise in due amministrazioni separate, non escludendo in futuro un possibile avvio della mobilità interna tra i dipendenti. In nome, ovviamente, di un risparmio che prevede una riduzione delle figure apicali, il taglio e l unificazione di alcuni servizi e un freno agli aumenti salariali e che dovrebbero ridare fiato ai bilanci. Una premessa: a dicembre del 2013 alcuni sindacati, tra cui la Cgil, hanno firmato con la rappresentanza permanente per i problemi del personale, la controparte politico-amministrativa, un accordo sul ruolo unico dando di fatto il via libera alla stesura del piano di risparmi che a marzo, durante quello che per ora è stato l unico incontro con Fedeli, ha avuto dai sindacati un sostanziale via libera, anche se non sono mancati rilievi critici. «Diciamo che per ora lo consideriamo un documento in progress», spiega un addetto ai lavori. Obiettivo del piano è quello di arrivare a una razionalizzazione delle risorse umane ed economiche e questo, per quanto strano, a prescindere dalla riforma costituzionale. «Anche nel caso in futuro dovesse rimanere un bicameralismo perfetto - BERLUSCONI Boschi: fa solo propaganda Alfano: avanti anche senza Fi Secondo l ex Cavaliere (che poi ha frenato) la riforma del senato è «invotabile»? «Credo che Berlusconi sia in campagna elettorale come tutti, che stia facendo un po di calcoli, di valutazioni su cosa sia più conveniente. Io penso che sia preferibile rispettare gli impegni e non fare marcia indietro all ultimo minuto. Forza Italia ci farà sapere se li mantiene», replica la ministra delle riforme Maria Elena Boschi. E Angelino Alfano, leader di Ncd: «E la stessa scena di sei mesi fa. Rivivo gli stessi giorni del governo Letta. Prima ha detto di sì, poi ha detto nì e poi no. Gli italiani meritano chiarezza. Noi siamo convinti che i numeri per approvare le riforme ci siano anche senza Forza Italia e poi sarà il popolo con il referendum a decidere e siamo convinti che lo vinceremo. Quindi, ci siamo noi, anche senza Forza Italia». prosegue chi segue la trattativa - la riforma alla quale stiamo lavorando sarà sempre valida per ottenere una diminuzione della spesa». Risparmi, dunque, ma da ottenersi come? Il piano messo a punto dai vertici dell amministrazione parte da una riduzione del 20% del numero di figure apicali, i dirigenti di palazzo Madama. Accompagnato da un taglio dei servizi oggi alla dirette dipendenze dello stesso segretario generale che, è scritto nel piano, verranno «diminuiti drasticamente». La riforma riguarda le tre aree in cui oggi sono divisi gli uffici del Senato: legislativa, amministrativa e documentale. In tutto 18 servizi che verranno ridotti in futuro accorpandone alcuni tra loro. Il piano riporta anche alcuni esempi: i servizi che oggi seguono i lavori della Commissioni (bicamerali, permanenti e speciali) verranno accorpati con quelli che si occupano delle prerogative e delle immunità opzione a trappola mortale da evitarsi a ogni costo, pena il rischio di trasformare l ondata grillina in tsunami. Anche per Berlusconi le elezioni subito potrebbero rivelarsi il male minore. Aveva scommesso sull Italicum quando era certo che la sua coalizione sarebbe arrivata nella peggiore delle ipotesi seconda. Il voto potrebbe smentirlo e allora l Italicum diventerebbe una ghigliottina. Se poi Alfano e i suoi uscissero premiati dalle urne europee, superando e magari anche con un certo margine la soglia del 4%, il pericolo raddoppierebbe: il tempo giocherebbe a tutto vantaggio del parricida. Le elezioni col Consultellum, invece, garantirebbero al pregiudicato la partecipazione da una posizione di forza al prossimo governo, con peso determinante nel definire sia la nuova legge elettorale che le riforme istituzionali. Il condannatissimo è tentato. Anche lui, però, deve fare i conti con due spettri. Il primo è l eventualità, improbabile ma non impossibile, che Renzi riesca davvero a varare a maggioranza secca una nuova legge elettorale entro settembre: è l argomento che usa puntualmente Verdini per convincerlo ai miti consigli. Il secondo è un risultato talmente disastroso alle europee da fargli vaticinare il crollo finale in caso di nuove elezioni pochi mesi dopo. In caso di vittoria, sarà Grillo a invocare le elezioni a voce altissima. Se si affermasse come primo partito, Il M5S sarebbe secondo numerose voci pronto a convocare i militanti in piazza per circondare pacificamente Quirinale, Montecitorio e palazzo Madama. Con l ordine di non sgomberare sino a che re Giorgio non avrà sciolto le camere. Dunque fino alle europee, come ripeterà oggi Renzi a Napolitano, tutto si limiterà davvero a propaganda e messa in scena. Dopo il voto, però, la realtà smetterà di essere virtuale. parlamentari. Oppure i servizi che seguono i lavori dell assemblea uniti a quelli dedicati alla qualità degli atti normativi. Questura e cerimoniale uniti con economato, prevenzione e sicurezza sul lavoro. E ancora: l ufficio stampa confluirà in un mega-servizio che comprenderà anche il servizio comunicazione istituzionale insieme agli uffici dei resoconti, delle informazioni stampa e internet, informazioni e archivio parlamentare e relazioni con i cittadini e le scuole. C è, poi, il capitolo che riguarda il personale. 25 MAGGIOI L inno dei 5 stelle, «Sbatterò i pugni sul tavolo» «E sbatterò i miei pugni su quel tavolo e urlerò tutta la rabbia che c è in me. E lotterò con le mie forze contro il diavolo del dio denaro che ha corrotto le anime». E il ritornello dell inno della campagna per le europee del M5S, da ieri sul blog di Grillo. «Pugni sul tavolo» è il titolo del brano scritto da Felice Marra, che comincia così: «Questa Europa è un Europa che non smette di mostrarsi fragile nei suoi concetti e nei suoi perché si dimostra totalmente instabile». E ancora: «Questa Europa è una Europa che si nutre umiliando i deboli con leggi tutte sangue e lacrime mentre i loro conti in banca salgono». Nel video, studenti, lavoratori, mamme con bambini. Quando parte il ritornello, tutti sbattono pugni sui tavoli. CASO MAGHERINI Manconi: «Ma che succede alla Procura di Firenze?» Luigi Manconi torna sulla morte di Riccardo Magherini dopo un fermo da parte di una pattuglia dei carabinieri, a proposito di uno «sbalorditivo comunicato non firmato, attribuito alla Procura di Firenze». Giovedì il senatore ha mostrato le immagini: «Un contesto violento, un uomo immobilizzato a terra, il rumore dei colpi, le urla, i commenti» e il video è in rete, ricorda. Ma, prosegue, «il comunicato sostiene che nel filmato non si evidenziano violenze di alcun genere (anche se viene precisato che ci si riferisce alla fase degli accadimenti successivi alla immobilizzazione del giovane )». E «in spregio a ogni regola e al codice di procedura penale, si afferma che nel corso dell autopsia.. non sono state riscontrate lesioni riconducibili a percosse». Così, dice Manconi, si anticipano alle agenzie dati non ancora ufficiali e non comunicati alla parte offesa, i familiari. E a farlo «sarebbe un ufficio della Procura dal quale era stata inviata una mail che affermava l esistenza di un fondato motivo di ritenere che almeno uno dei militari abbia colpito il ragazzo con dei calci al fianco mentre era a terra ammanettato». Manconi chiede al ministro della giustizia, al Pg presso la Cassazione e al Csm «se non vi siano sufficienti motivi per esercitare il controllo di legalità nei confronti degli atti compiuti dal Procuratore che conduce l indagine». IL PIANO Fa parte della riorganizzazione del parlamento, prevede riduzione del personale e accorpamento di servizi L altra riforma di palazzo Madama Per tagliare la spesa, la proroga del blocco del turn over e anche un freno agli aumenti salariali SILVIO BERLUSCONI E MATTEO RENZI/FOTO SINTESI VISIVA La vicepresidente Valeria Fedeli ha già cominciato a discuterne con i sindacati Contrariamente da quanto detto dalla ministra della pubblica amministrazione Marianna Madia, che ha promesso la fine del blocco del turn over, difficilmente al Senato si arriverà a nuove assunzioni. Anzi. Anche se, fortunatamente, nel piano non si parla di licenziamenti, è vero però che è prevista una proroga del blocco del turn over in atto da 5 anni e che ha già comportato una riduzione del 40% del personale. Un ulteriore taglio avverrà quindi attraverso i pensionamenti, ma non sarà l unica novità. Il piano prevede infatti anche un risparmio sui salari dei dipendenti per quali, non potendo toccare diritti acquisiti, è stata pensata una soluzione che prevede un rallentamento della crescita economica. Infine in futuro sarà possibile trasferire alla Camera il personale che dovesse risultare in eccesso a palazzo Madama. E qui rientra la seconda fase di interventi che riguarda tutto il parlamento e prevede una sinergia di servizi tra Camera e Senato. Su questo aspetto particolare è già stato avviato un tavolo di lavoro al quale partecipano, oltre alle rispettive vicepresidenti, Valeria Fedeli e Marina Sereni, i rappresentanti dei lavoratori di entrambe la camere. Qui la riforma prevede anche l istituzione di un ruolo unico per il personale, unificando oltre alla carriera anche l aspetto economico. Ma anche l avvio di servizi comuni alle due camere, come biblioteca, libreria, archivio storico, servizio informatico. Su questo aspetto la discussione, che sia Fedeli che Sereni vorrebbero concludere entro la fine di maggio, è ancora aperta. I sindacati chiedono in particolare che il blocco del turn over si accompagni con un rientro in parlamento di servizi che in passato sono stati esternalizzati, in modo da poter ricreare competenze tra il personale oltre che risparmiare sulle spese di gestione. Servizi come, alla Camera, la resocontazione dei lavori delle commissioni, oggi affidato a una ditta esterna, ma anche tutte le attività di manutenzione del Senato, dai falegnami agli elettricisti ai tecnici, oggi appaltati all esterno con un contratto unico che passa attraverso la Global service del gruppo Romeo.

5 SABATO 26 APRILE 2014 il manifesto pagina 5 CANONIZZAZIONE SANTO SUBITO? Ior, pedofili, donne, integralismo: le perplessità di Noi Siamo Chiesa su Wojtyla Più che due papi si santifica il papato Luca Kocci ROMA P iù PAPA WOJTYLA, QUI SOPRA IL CORRIDORE PIOTR KURYLO ARRIVATO DI CORSA DALLA POLONIA A SAN PIETRO /REUTERS che due papi, domani a San Pietro «si santifica il papato». Nel coro di osanna trasmesso a reti unificate dai media di tutto il mondo, anche all interno della Chiesa cattolica si leva qualche voce che rompe l unanimismo e solleva rilievi critici sul «sistema della canonizzazioni» e in particolare sulla proclamazione di Giovanni Paolo II santo. Si tratta di Noi Siamo Chiesa, il principale movimento cattolico internazionale progressista (Imwac, International movement We are Church), presente in oltre Dall interno del mondo cattolico una voce spezza il coro di osanna per la canonizzazione di Giovanni Paolo II 20 nazioni, che da quando è nato, nel 1996, si batte per una riforma della Chiesa in direzione di una maggiore collegialità, pluralismo e povertà. «L intero sistema delle canonizzazioni deve essere messo in discussione e radicalmente democratizzato», spiega Martha Heizer, presidente di Imwac. «La canonizzazione dei due papi, in particolare quelle dei pontefici morti da poco, glorifica la natura superiore e l infallibilità del papato a spese del ruolo del Popolo di Dio». Forse quando un prete è eletto papa «la santità diviene un corollario del suo ruolo? O forse solo santi sono eletti al pontificato?», si chiede. Più probabilmente il fine diventa la santificazione del papato, del centralismo romano e dell istituzione ecclesiastica, in contrasto con il Concilio Vaticano II voluto da Giovanni XXIII che a proposito di contraddizioni verrà pure lui proclamato santo domani, insieme a Wojtyla. «Lo sfavillante e glorioso sfarzo di una Chiesa cattolica medievale domani apparirà di nuovo in piazza San Pietro, in contraddizione con le vite di quella parte del Popolo di Dio e di tanti altri che nel mondo vivono in povertà, marginalità ed abbandono», sottolinea Imwac, che però mostra di nutrire speranze in papa Francesco: «Gli offriamo il nostro appoggio mentre cerca di riformare questa Chiesa trionfalistica in una Chiesa della solidarietà coi poveri». Geraldina Colotti S econdo un sondaggio del mese scorso, papa Bergoglio batte il record di popolarità in America latina. E per la rivista Times è l uomo dell anno. In Argentina, suo paese natale, l ex arcivescovo di Buenos Aires ha contribuito ad aumentare la fiducia nella chiesta cattolica per il 56% dei suoi concittadini. E l incontro con la presidenta Cristina Fernandez - primo capo di stato ad essere ricevuta in Vaticano dopo la sua nomina a pontefice - è servito a mettere la sordina ai dubbi di quanti lo hanno accusato di colpevole silenzio durante gli anni della dittatura militare ( ). L aperta difesa del premio Nobel argentino Adolfo Perez Esquivel, perseguitato dai militari, ha poi fatto il resto. Tuttavia, una delle fondatrici delle Abuelas de Plaza de Mayo, Maria Isabel "Chicha" Chorobik de Mariani ha recentemente affermato di non avere dubbi che negli archivi del Vaticano «esistano dati dei bambini scomparsi» durante la dittatura. Le organizzazioni che si battono per ottenere «verità e giustizia» e ritrovare la traccia dei propri nipoti scomparsi stanno premendo sul Vaticano perché Il dissenso si fa più netto Sulla santificazione di Wojtyla a tempo di record grazie anche alle norme che egli stesso modificò, accorciando da 50 a 5 anni il tempo che deve trascorrere dalla morte poi il dissenso si fa più netto. Lo puntualizza la sezione italiana di Noi Siamo Chiesa, elencando «evidenti meriti storici ed evangelici» il dialogo interreligioso soprattutto con ebrei e musulmani, l opposizione alla guerra in Iraq, il mea culpa per i peccati della Chiesa nella storia durante il Giubileo del 2000 ma anche ricordando limiti ed errori in un dettagliato dossier: la repressione dei teologi non allineati, le posizioni integraliste sulla morale sessuale, il rifiuto del dibattito sulla condizione delle donne nella Chiesa e sul celibato ecclesiastico, l omertà sugli abusi sessuali del clero sui minori, l accettazione di una struttura come lo Ior «spesso complice di poteri oscuri e criminali» erano gli anni di Marcinkus, Calvi e del Banco ambrosiano, la nomina di vescovi quasi tutti di orientamento conservatore, il rafforzamento del centralismo romano a danno dell autonomia delle Chiese locali e della collegialità episcopale, la condanna della teologia della liberazione e delle nuove teologie, la diffidenza nei confronti di mons. Romero e dei movimenti popolari in America latina, con il sostegno, implicito od esplicito, ai regimi autoritari (resta storica la foto di Giovanni Paolo II affacciato al balcone della Moneda con Pinochet nel 1987). Corsia preferenziale sospetta Ma ad esprimere perplessità sulla canonizzazione di papa Wojtyla, oltre alla Chiesa di base e a diversi teologi progressisti sono stati anche autorevoli esponenti della gerarchia ecclesiastica. Il card. Danneels, ex arcivescovo di Bruxelles e primate del Belgio, che criticò la creazione di una «corsia preferenziale» per santificare Giovanni Paolo II a tempo di record. E il card. Martini che, come viene rivelato dal libro di Andrea Riccardi appena pubblicato dalle edizioni San Paolo (La santità di papa Wojtyla), pur all interno di un giudizio complessivamente positivo, nella sua deposizione al processo canonico manifestò delle riserve su Wojtyla: l eccessivo appoggio ai movimenti, la tendenza a porsi «al centro dell attenzione», la scelta di restare sul trono di Pietro fino alla fine nonostante le condizione di salute gli impedissero di esercitare il suo ministero. Latinoamerica/ L OMAGGIO DELLE ALTE DIPLOMAZIE Il presidente del Salvador: e ora tocca a Monsignor Romero Dietro le quinte delle cerimonie, il pontefice polacco, nemico della teologia della liberazione, fa ancora discutere vengano aperti gli archivi. E rinnovano la loro richiesta attraverso le alte rappresentanze diplomatiche che presenzieranno alle cerimonie di canonizzazione dei due papi, domani a Roma. La beatificazione di Giovanni Paolo II ha d altronde riaperto il dibattito sulla figura di Bergoglio nel panorama latinoamericano e sul ruolo che intenderà giocare al di fuori delle efficaci battute contro gli sprechi e «i mercanti del Tempio». Come si comporterà di fronte ai movimenti popolari dell America latina che stanno scommettendo sul Socialismo del XXI secolo? Finirà per avere lo stesso ruolo che ebbe Wojtyla con il comunismo? Il teologo della Liberazione Ruben Dri pone la domanda con forza: tradizionalmente - dice - i poveri sono della chiesa, e questi movimenti di emancipazione le stanno sottraendo terreno. Una figura carismatica come Bergoglio serve solo a bilanciare la questione o farà qualche passo in più per sostenerli? Nessuno, nella chiesa di base latinoamericana ha dimenticato la scure che ha fatto calare Papa Wojtyla sulla teologia della liberazione durante gli anni del suo pontificato: a partire dall umiliazione pubblica nei confronti del sacerdote Ernesto Cardenal, nel A Cardenal, poeta e ministro della Cultura del governo sandinista, Giovanni Paolo II chiese di scegliere tra la politica e la chiesa: «Quel che più disgustava il papa della rivoluzione nicaraguense - ha detto Cardenal - era che la rivoluzione non perseguitasse la chiesa. Avrebbe preferito una situazione come quella polacca». E di certo non si fece problemi a stringere la mano al dittatore Augusto Pinochet nel Cile del Il Nicaragua di oggi, ancora governato dal sandinista Daniel Ortega ha concesso molto a quella chiesa, soprattutto a scapito della libertà femminile, ma non ne ha stemperato i furori: per via del suo schieramento nel campo del Socialismo del XXI secolo dello scomparso presidente venezuelano Hugo Chavez Frias. La testa di ponte contro i paesi progressisti latinoamericani sono le locali conferenze episcopali, come ha denunciato il presidente della Bolivia Evo Morales durante l ultima visita in Vaticano. Bergoglio ha dato qualche piccolo segnale, per esempio in Venezuela. Il segretario di Stato Pietro Parolin ha vissuto a lungo a Caracas, è amico personale del presidente ecuadoriano Rafael Correa, il cui ministro degli Esteri, Ricardo Patiño sta mediando nel conflitto tra Nicolas Maduro e l opposizione all interno della Unasur. Come mediatore, il Vaticano ha inviato il nuovo nunzio apostolico Aldo Giordano e non lo schieratissimo antichavista Cardinal Urosa, come avrebbe voluto l opposizione. Quando Maduro è venuto in Vaticano, ha proposto a Bergoglio di esportare in Africa le Misiones, che mirano all emancipazione degli ultimi e non alla gestione della carità. E gli ha proposto la beatificazione di un medico, già santo per la popolazione. Ora, il ministro degli Esteri, Elias Jaua torna per la canonizzazione dei due papi accompagnato da Padre Numa, un prete di strada vicino al socialismo. E dal Salvador, l ex guerrigliero Sanchez Ceren, neo-eletto presidente del Frente Farabundo Marti è venuto a sottoporre a Bergoglio una richiesta di peso: la beatificazione di Monsignor Romero, il vescovo dei poveri assassinato il 24 marzo del MESSICO/VATICANO Marcial Maciel, il falso profeta Benedetto XVI alla fine lo definì«un falso profeta». Ma il sacerdote messicano Marcial Maciel Degollado (nato a Cotija il 10 marzo 1920 e morto a Jacksonville il 30 gennaio 2008) è stato a lungo nelle grazie di papa Giovanni Paolo II: finché le accuse di pedofilia contro di lui non sono apparse evidenti. Il 19 maggio del 2006, dopo un indagine canonica durata oltre un anno, la Congregazione per la Dottrina della Fede gli ha inflitto la pena della rinuncia a ogni ministero pubblico e gli ha imposto una vita di penitenza. Ratzinger ha approvato la decisione. La congregazione clericale dei Legionari di Cristo e il movimento d'apostolato Regnum Christi lo considerano il loro fondatore, ma un altro legionario, Alfredo Torres Villanueva, rivendica per sé il ruolo. PAPA RONCALLI «Non era un sacco vuoto» Così disse Ratzinger «Con la sua idea dell'aggiornamento Giovanni XXIII ha creato un nuovo modello conciliare e ha dato una svolta fino ad allora impensabile alla storia della Chiesa del Ventesimo secolo». Così scriveva Joseph Ratzinger, allora teologo e professore a Tubinga, in un articolo pubblicato nel 1968 sulla rivista «Theologische Quartalschrift». Testo inedito in italiano, che sarà pubblicato dall'osservatore romano nell'edizione speciale di domani. «Il fatto che lui si sia definito un sacco vuoto che lo Spirito Santo ha riempito improvvisamente di forza - scriveva il futuro Benedetto - sembra come una conferma diretta di questa teoria». «Chi riesce a parlare in modo tanto diretto, tanto personale e tanto libero, non è un parroco di campagna portato improvvisamente in alto da un caso della storia» BERGOGLIO IRRITATO Annuario e super-attico di Bertone a Sua insaputa Per la prima volta l'annuario pontificio è stato pubblicato senza la supervisione finale del papa. Pare che la formula in cui Francesco viene indicato come «Vescovo di Roma, Sommo pontefice della Chiesa universale, Primate d'italia, arcivescovo metropolita della Provincia romana» e Benedetto XVI come «Sommo pontefice emerito» anziché come vescovo emerito di Roma, non piaccia affatto al pontefice, che già lo scorso anno se n era lamentato. Per evitare la sua irritazione quest anno si sarebbe deciso di bypassarlo completamente, ma il paese vaticano è piccolo e la gente mormora... Bergoglio ha inoltre deplorato la scelta del cardinale Tarcisio Bertone di farsi un super-attico nel Palazzo San Carlo, dove risiedeva l'ex comandante della Gendarmeria.

6 pagina 6 il manifesto SABATO 26 APRILE 2014 ITALIA REPORTAGE Il Monte de la Saxe continua a sbriciolarsi lentamente, ma la montagna resta lassù. Intanto fioccano le disdette Courmayeur, per ora frana il turismo Maurizio Pagliasotti COURMAYEUR I n un mondo razionale a destare sconcerto non dovrebbe essere la frana che muove sopra i piccoli borghi di La Palud ed Entreves, lontani 4 km dalla ben più nota Courmayeur. Bensì ciò che si trova di fronte, l inarrestabile e impetuoso ritiro della Brenva, la lingua terminale della Mer de Glace, il secondo ghiacciaio più importante d Europa, lungo 7 km e spesso circa 200 metri. Ma oggi ad eccitare gli animi è la frana del Monte I residenti furiosi con giornalisti e sedicenti esperti: «Terrorismo su un fatto noto da secoli» de la Saxe. Quattrocentomila metri cubi di roccia e fango pronti a piombare sulle case. Quando? In qualsiasi momento. Formula retorica che apre a eccitanti scenari apocalittici. Solo due giorni fa sembrava che una intera montagna da un momento all altro dovesse staccarsi e arrivare fino a Courmayeur, bloccare il tunnel del Monte Bianco e la viabilità internazionale. Il 20 Aprile Davide Bertolo, dirigente della struttura Attività geologiche del Dipartimento difesa del suolo e risorse idriche della Regione Valle d Aosta diceva: «Se la frana che ha fatto scattare lo stato d allarme continuerà a muoversi a questo ritmo, entro una decina di giorni qualcosa succede». E quindi il circo mediatico è accorso su queste montagne perfette per assistere al grande evento in diretta. La natura matrigna che ricaccia indietro gli uomini che si sono impossessati di pezzi di territorio. Narrazioni accese, condite da un pizzico di luddismo. Invece l eccitamento è calato con la progressiva percezione che la montagna non sarebbe caduta tutta insieme con un gigantesco colpo di scena. La montagna, in moto da anni, è rimasta inspiegabilmente lassù. Anzi, ha rallentato la sua progressione verso valle proprio negli ultimi giorni. Quindi cosa fare? Presidiare la fortezza Bastiani a oltranza? Piano piano, le troupe hanno smontato le parabole e le telecamere puntate sul fronte di fango e roccia che occhieggia verso i pochi curiosi che ancora manifestano un qualche interesse per questa immensa rupe. È rimasto una specie di deserto fatto di prati verdissimi, genziane fiorite, cielo azzurro, case, casette, terrorizzanti avvisi alla popolazione in cui il Sindaco di Courmayeur ordina, ai residenti vicino alla frana, l evacuazione, raccomandando di staccare acqua, luce, gas, portare via effetti personali e documenti prima di abbandonare le case. Pezzi di territorio chiusi a tutti, presidiati da check point della protezione civile. Ieri i residenti evacuati erano novanta e potevano tornare a piccoli gruppi nelle loro case abbandonate per recuperare i loro effetti. A maledire tutto e tutti (in primis giornalisti, geologi, sedicenti esperti, veri esperti che arrivano in elicottero e se ne vanno) i residenti di Entreves che lavorano e vivono con il turismo. Un coro unico: «Hanno fatto terrorismo per una vicenda nota da secoli. E noi qui abbiamo perso il 70% del lavoro. Fioccano le disdette e noi non possiamo fare nulla. I lavoro qua serve, non la spettacolarizzazione del nulla». In un territorio oggettivamente ricco e che attrae ancora legioni di migranti italiani, non più solo dal Sud, pronti «a fare la stagione». A rassicurare tutti è stato il capo della Protezione Civile Franco Gabrielli che ha promesso compensazioni. Parole che però non consolano perché dal centro del borgo la frana incombe e spaventa, almeno per chi non è abituato a vivere qua sotto. Eppure loro, i residenti, sono serafici: «Sempre stato così, nessuna novità. Accadrà quello che dicevano i vecchi un tempo. Piano piano crollerà tutta la montagna, ma non in un colpo solo e men che meno raggiungerà queste case». Il problema, secondo altri, sarebbe riconducibile a un massiccio taglio di alberi proprio in cima alla frana, peggiorato dalla costruzione di una piccola strada. Ipotesi improbabile secondo i geologi che, da sempre sanno come le fratture nella roccia friabile siano molto profonde, e «disinteressate» a quanto avviene in superficie. Case quelle di Entreves, che probabilmente non verranno raggiunte in nessun caso, a onor di cronaca risalenti a cento anni fa: un tempo erano fienili, ora sono rustici deliziosi con i tetti in pietra o addirittura in legno. Non così invece ciò che è stato costruito successivamente. Come una qualsiasi periferia italiana anche il nord più nord del paese non ha resistito e si è allargato. Pressione turistica, doppie case, alberghi. L urbanizzazione si è espansa fino a posizionarsi a pochi metri dal torrente Dora, invaso naturale dove dovrebbe trovare sfogo la frana qualora decidesse di scendere a precipizio. Per salvare ciò che si allargato da tempo sono previsti lavori di «messa in sicurezza del territorio», ovvero un muro di contenimento che dovrebbe fermare la montagna. Terra e cemento per salvare DALLA PRIMA Riccardo Colombo le infrastrutture più esposte. Secondo gli esperti della Protezione Civile è la risposta che risolverà il problema. Un altra antropizzazione quindi. Dove c è un guasto provocato dall uomo un intervento costrittivo per porre rimedio. Il famoso riassetto idrogeologico del Paese, visto da quassù, ha aspetti non univocamente positivi. Ma il guaio è oggi, e quindi velocemente bisogna fare il «Vallo di Adriano valdostano». Qualora la frana si staccasse essa verrà convogliata dentro una specie di pista da bob avente come sponda l argine già esistente del torrente, adeguatamente rinforzato da un muro di nove metri. Ma quand anche questo potesse contenere quattrocentomila metri cubi di roccia che piombano a valle, quali effetti provocherebbe la conseguente diga ACCIAIO BOLLENTE Il fallimento della strategia del governo L impianto ha una capacità produttiva di tonnellate annue, pari a circa il 10% della capacità produttiva italiana. Piombino è un sito strategico. In Italia si produce acciaio prevalentemente con forno elettrico, quindi da rottame e con elevati consumi di energia. Il rottame è una " materia prima scarsa", a differenza del ferro, e soggetta ad un costante incremento dei prezzi. Privarci di un impianto a ciclo integrale (l altro è Taranto, anche lui a rischio di sopravvivenza) significa indebolire strutturalmente la siderurgia italiana e l industria del nostro paese. Infine, solo Piombino è in grado di produrre rotaie e quindi la sua chiusura ci condannerebbe come alla dipendenza dall estero, facendo lievitare il costo delle infrastrutture ferroviarie. Ci sarebbero stati, quindi, numerosi motivi, sociali e industriali, per intervenire con decisione per salvare e rilanciare Piombino. Così non è stato. La società Lucchini Spa, che aveva acquistato a prezzi discount lo stabilimento dall impresa pubblica in dismissione, era entrata in amministrazione straordinaria nel Il commissario (l ex amministratore delegato della Lucchini privata) ha tirato a campare con risultati disastrosi: da un fatturato 2011 di 1,2 miliardi di euro e un sostanziale pareggio (-6 milioni euro) si era passati nel 2012 ad un volume di affari di 880 milioni e a una perdita di 165 milioni. Nell autunno del 2013 era evidente che non si poteva proseguire con questa gestione. Serviva una svolta ed esistevano anche gli strumenti giuridici per attuarla. La sentenza della Corte Costituzionale dell aprile 2013 aveva allargato i campi di intervento del così detto decreto Salva Ilva (Decreto Legge n.61 del 4 giugno 2013), contemplando la possibilità di commissariare un azienda, qualora si fosse in presenza di una grave crisi La sentenza della Corte del 2013 allargava il campo d azione del decreto «Salva Ilva», ma Piombino ne è stata esclusa che verrebbe generata dallo strozzamento della Dora? La risposta è «nessuno», perché verrà creato un bypass idraulico in cui convogliare le acque del torrente. Un corso d acqua di montagna tombato? Meglio non pensarci. Complessivamente, fino ad oggi, la porzione di roccia e detriti staccatasi è pari a metri cubi. Ma se davvero tutta la montagna dovesse smottare allora il volume sarebbe impressionante: otto milioni di metri cubi, pari a tre piramidi di Cheope. A sentire i vecchi della zona, che conoscono bene quella montagna, è un evento che, «a dispetto di voi giornalisti, Per i vecchi di qui il distacco in un colpo «non avverrà mai». E il circo mediatico torna a valle... non avverrà mai». Anche se, paradosso nel paradosso, pur di porre un freno all emorragia di turisti e lavoro causata dal panico frana, alcuni residenti preferirebbero la scelta drastica: un distaccamento controllato delle parti più esposte. Così finirebbero i distacchi di massi che, con boati assordanti, spaventano e centellinano le cattive notizie. Ma, i geologi che volteggiano sopra la montagna a bordo dei loro elicotteri, tendono a escludere l armagedon geologico, la definitiva resa dei conti con la frana. Così passano il tempo, le ore, i giorni, le settimane. Ieri la montagna pareva immobile al quarto giorno post accelerazione. Nei prossimi giorni è prevista pioggia e questo potrebbe alterare la situazione. Chissà, la natura è imprevedibile e gli stessi geologi non avanzano ulteriori previsioni su quello che sarà. Ogni tanto si stacca un sasso o un macigno, scoppia un boato e si alza un nuvolone di polvere. E mentre questo accade fioccano le telefonate di quanti domandano se è pericoloso raggiungere Courmayeur e che comunque «no, disdiciamo, pazienza, ma quest anno andiamo la mare». occupazionale sul territorio. Era il caso di Piombino. Era possibile togliere la Lucchini Spa dall amministrazione straordinaria e condurla all interno della "potestà" governativa, così come era avvenuto per l Ilva. A questo punto si poteva realizzare un polo siderurgico, mettendo a fattor comune Taranto e Piombino e gli stabilimenti collegati. Lo stesso governo poteva ricercare produttori siderurgici, come la coreana Posco o i grandi gruppi cinesi, fortemente interessati ad entrare sul mercato europeo e ad avere una localizzazione nel mediterraneo. Se lo si è fatto per l Alitalia, lo si poteva fare anche per la siderurgia a ciclo integrale! Ed invece si è preferito continuare con l amministrazione straordinaria, con un ulteriore aggravante: inventarsi soluzioni miracolistiche, quali quella dell impianto Corex, una tecnologia che Siemens non riesce a vendere nel mondo e avrebbe dovuto regalarla a Piombino (sic!). Un altra idea, purtroppo ancora portata avanti, era la realizzazione di un forno elettrico, che utilizzasse il rottame derivante dallo smantellamento della Costa Concordia. Ma la nave può fornire tonnellate, quantità in grado di assicurare solo un mese di produzione (il nostro paese consuma in un anno 21 milioni di tonnellate di rottame a fronte di 27 forni elettrici). Inoltre, la qualità del semilavorato, che ne uscirebbe, non si concilia con le caratteristiche dei prodotti di Piombino, in particolare le rotaie. Per finire, il commissario e il ministro dello Sviluppo economico hanno confidato su ben nove manifestazioni d interesse (ma che fine hanno fatto?) e, non poteva mancare, su un "cavaliere bianco", che si è ben presto dileguato. Tra galleggiamento e soluzioni miracolistiche si è arrivati ad una conclusione annunciata. Ora la questione è cosa fare. Ci sono due punti fermi. Primo, abolire il vocabolo riconversione. L esperienza di Bagnoli e di gran parte dei siti siderurgici dismessi al mondo ha mostrato come riconvertire il "vecchio e sporco acciaio" significa attendersi il deserto sociale ed economico. E possibile una riqualificazione urbanistica, ma la storia di Sesto San Giovanni (dove furono chiuse le acciaierie a metà anni 90) insegna che ci devono essere eccezionali vantaggi di localizzazione (siamo alla periferia di Milano) e bisogna accettare di travolgere il tessuto sociale e culturale della città. Non c è posto per i siderurgici nel terziario! Malgrado ciò, dopo vent anni, a Sesto San Giovanni c è ancora un area abbandonata di metri quadri. Punto secondo, la bonifica di un sito siderurgico è una cosa seria. Richiede molti soldi e molto tempo. Non sono sufficienti 50 milioni di euro. Soprattutto non è uno sbocco occupazionale per i lavoratori lontani dalla pensione. Non c è che una strada: non accettare la chiusura dello stabilimento. Occorre chiedere al governo di fare ciò che avrebbe già dovuto fare: commissariare Piombino ai sensi del decreto Salva Ilva e predisporre un decreto ad hoc sulla siderurgia, che contempli una serie di misure di politica industriale per rilanciare questo settore, fondamentale per il futuro della nostra industria. Piombino deve diventare una questione nazionale. D altra parte, nei suoi tanti annunci Matteo Renzi aveva parlato di piani di settore. Perché non cogliere la crisi di Piombino, e le difficoltà della nostra siderurgia, come occasione, ed esempio, di una nuova politica industriale?

7 SABATO 26 APRILE 2014 il manifesto pagina 7 CARCERI CARCERE CALIFORNIANO /FOTO REUTERS Luca Celada LOS ANGELES Q ualche mese fa Barack Obama ha concesso la grazia ad otto detenuti federali. Nel darne l annuncio a dicembre aveva detto: «Commutare le sentenze di questi otto Americani è un passo importante per ribadire ideali fondamentali di giustizia ed equità, ma non deve essere l ultimo». L affermazione è storica perché denuncia implicitamente la generale ingiustizia che l ha preceduta e annuncia un inversione ideologica di portata potenzialmente più radicale di quella della riforma sanitaria che tanto ha assorbito la sua amministrazione. Questa settimana Obama ha tenuto fede a quella dichiarazione annunciando l allargamento delle «clemenze esecutive» che potrebbe equivalere ad una sostanziale amnistia per migliaia di detenuti federali. È il tramonto dell era reaganiana segnata dalla crociata proibizionista e dalla carcerazione di massa E ora peace on drugs, l amnistia di Obama Il presidente Usa grazia otto carcerati e annuncia la clemenza generalizzata per liberare le celle piene di neri, ispanici e tossicodipendenti Uno degli otto "graziati", Clarence Aaron di 43 anni era stato arrestato poco più che ventenne. Studente modello e giocatore di football aveva avuto un ruolo secondario in una «transazione di droga»: aveva presentato un suo ex compagno di liceo, ora spacciatore, ad un compagno di università il cui fratello trafficava anch egli in droga. I due spacciatori in seguito si erano messi d accordo per la compravendita di 9kg di cocaina e quando la polizia li aveva arrestati avevano implicato il giovane Aaron in cambio di un alleggerimento delle pene. Il ragazzo che invece si era rifiutato di collaborare con gli inquirenti e denunciare i suoi amici, era stato condannato a tre ergastoli. Per incredibile che possa sembrare la pena "esemplare" non fu fuori dal comune, specie per l epoca, negli anni 90 all apice della war on drugs, l escalation del proibizionismo "armato" che in 40 anni ha fatto scempio nelle comunità emarginate programmaticamente rappresentate in questo caso dal giovane afroamericano Aaron. Dopo essere stata dichiarata da Richard Nixon, come parte della famigerata «tolleranza zero contro la criminalità», la war on drugs è assurta a fondamentale componente della demagogia politica, codificata negli statuti giudiziari in misura sempre più imprescindibile dal «mandatory sentencing» maxipene obbligatorie che i giudici erano (sono) tenuti ad imporre. In molti Stati sono state varate leggi come la famosa 3 strikes californiana che impone l ergastolo obbligatorio alla terza infrazione, qualunque essa sia. Così per oltre 30 anni il flusso di prigionieri di lungo corso per crimini nonviolenti legati agli stupefacenti si è ingrossato senza sosta. Risultato: un ipertrofico complesso penale-industriale articolato in migliaia di penitenziari e prigioni, un gulag nazionale in cui sono incarcerati un incredibile 2,3 milioni di persone, una popolazione che dal 1985 è quintuplicata. Oggi gli Usa che rappresentano circa il 5% della popolazione mondiale detengono notoriamente dietro le sbarre il 25% dei prigionieri del mondo, la gran maggioranza dei quali condannati per reati "di droga" spesso irrisori. Intanto la "droga" come fenomeno non accenna minimamente ad essere sconfitta. La crociata giustizialista ha trovato nuovo impulso negli anni del reaganismo ed è stata particolarmente virulenta nell era neoconservatrice, diventando sempre più strumento di controllo sociale. A fronte della privatizzazione di educazione e sanità e dei tagli della spesa pubblica, nel momento in cui i lupi di Wall Street e rampolli middle class creavano un mercato di massa per la coca ricreativa la war on drugs ha rappresentato praticamente una spedizione punitiva contro poveri e minoranze come da anni palesano le vergognose discrepanze delle pene previste per la detenzione/spaccio di cocaina rispetto a quelle comminate a chi usa il crack. La forma cristallizzata di cocaina così chiamata da uno sballo molto più concentrato e soprattutto viene commercializzata in formato monodose a prezzi assai più modesti diffondendosi così a macchia d olio nei ghetti e fra le popolazioni urbane più marginali (con, all'inizio degli anni 80, la documentata connivenza della Cia che all epoca col traffico di crack sovvenzionava i Contras nicaraguensi). Da allora le storie di neri e ispanici dei ghetti condannati a 20 anni per detenzione di un cristallo di coca mentre nei quartieri middle-class avvocati o agenti di borsa se la cavano con una condizionale per dieci grammi di polvere hanno delineato la tangibile demarcazione della discriminazione giudiziaria. Oggi i neri d America sono incarcerati con un tasso sei volte superiore a quello dei bianchi; i prigionieri afroamericani sono 1 milione, ben oltre il 40% del totale malgrado costituiscano a malapena il 10% della popolazione generale. La probabilità che oggi ha un giovane nero come Clarence Aaron di finire in galera prima dei 40 anni è di sei volte superiore a quella di un bianco. Sono i numeri dell «abominio morale» al cuore della «più grande democrazia occidentale» l immagazzinamento di generazioni di sepolti vivi come politica sociale. Una politica oltretutto dagli enormi costi finanziari per cui uno stato come la California ( detenuti) spende più di $ all anno per un detenuto minorenne e meno di $ nello stesso periodo per uno studente nella scuola pubblica. L industria penale è promossa da forti lobby (vedi i potentissimi sindacati delle guardie carcerarie che spingono per pene sempre più severe) e rappresenta ormai Radicali/ BERGOGLIO TELEFONA A MARCO PANNELLA Il Papa: «Ti aiuterò sui carcerati» Ma non sull antiproibizionismo Eleonora Martini J orge Maria Bergoglio non è certo un antiproibizionista. Quasi un anno fa, ai giovani giunti da tutto il mondo per ascoltarlo lo disse chiaramente: «Il narcotraffico non si combatte con la droga libera». E sulla giustizia (degli uomini) non ha nemmeno la visione di Barack Obama, malgrado nel 2000 in Argentina chiese un amnistia ampia per gli immigrati clandestini che sopraffollavano le celle, e anche da pontefice abbia mostrato particolare attenzione alle «condizioni inumane di tante carceri, dove il detenuto è spesso ridotto in uno stato sub-umano». Eppure Papa Francesco, dimostrando ancora una volta l indifferenza ai «principi non negoziabili» tanto cari al suo predecessore Joseph Ratzinger, ieri ha telefonato niente meno che a quel vecchio diavolo di Marco Pannella, impegnato da convalescente al Policlinico Gemelli nella sua lotta nonviolenta in favore dell amnistia e dell indulto. Venti minuti di conversazione telefonica che qualche parlamentare avrà dovuto digerire snocciolando l intero rosario tra un segno della croce e l altro. E alla fine, il leader Radicale ha deciso di interrompere con un caffè lo sciopero della sete che aveva ripreso subito dopo l intervento chirurgico d urgenza all aorta addominale a cui è stato sottoposto lunedì notte. Ma «continuerò lo sciopero della sete e il Satyagraha - ha poi detto Pannella - accettando però di sottopormi a due trasfusioni di sangue nei prossimi giorni, secondo la prescrizione dei medici». Cosa si siano detti per venti minuti i due anziani leader dalle opposte visioni del mondo non è dato saperlo, ma il tratto di conversazione diffusa da Radio Radicale sottolinea l esortazione del Papa: «Ma sia coraggioso, Eh!!! Anche io l'aiuterò, contro questa ingiustizia...». Risponde Marco Pannella: «A favore della giustizia, Santità». Bergoglio promette un coinvolgimento diretto: «Io ne parlerò di questo problema, ne parlerò dei carcerati...». E Pannella, dopo aver ricordato l impegno di Papa Wojtyla in favore dei reclusi, insiste: «Sì Santità! C'è una parola chiave...». Amnistia, vorrebbe dire, ma forse nemmeno la pronuncia. A chi gli chiede se di questo hanno parlato durante la telefonata giunta proprio nel giorno in cui i cattolici festeggiano San Marco, il vecchio abruzzese (84 anni tra pochi giorni, il 2 maggio) risponde: «Non posso dire di sì ma neanche di no». E così ora è noto urbi et orbi che la situazione delle carceri italiane è «inaccettabile», tanto che «dovrebbe essere giudicata dal Tribunale di Norimberga», come aveva detto Pannella, sigaro in bocca, durante la conferenza stampa tenuta giovedì al Gemelli, appena 48 ore dopo l intervento con cui i medici gli hanno asportato un aneurisma all aorta. Solo che la soluzione è tutta politica. E, amnistia a parte, passa anche soprattutto nell Aula di Montecitorio, dove lunedì forse il governo potrebbe decidere di porre la fiducia sul decreto Lorenzin sulle droghe, quello che, per usare le parole del deputato di Sel, Daniele Farina, se poteva essere una «tragedia per fortuna evitata», è sicuramente però «un occasione mancata». L occasione di seguire le orme di Obama e mettere fine alla war on drugs che ha riempito le carceri, in Italia come negli States. un giro di affari da $80 miliardi, avendo prodotto anche il fenomeno "ibrido" della carcerazione commerciale delle prigioni private che si aggiudicano lauti subappalti per custodire detenuti. Ma non bastano: l anno scorso il governo federale ha intimato alla California di scarcerare un numero di detenuti (decine di migliaia) sufficiente ad alleviare le croniche ed incostituzionali condizioni di sovraffollamento degli istituti penali. In questa perversa economia, gli stati in crisi di bilancio hanno difficoltà oggettive a mantenere il passo della carcerazione rampante. Anche l amnistia di Obama ufficialmente è motivata dal ridimensionamento dei costi della carcerazione, ma nel contesto storico si tratta in realtà di una radicale inversione di rotta rispetto al giustizialismo rampante che per trent anni ha riempito le galere americane e contro il quale il suo l attorney general, il ministro della giustizia Eric Holder nel secondo mandato si è espresso sempre più esplicitamente. Holder ha apertamente denunciato «un utilizzo eccessivo della carcerazione» come rimedio sociale economicamente insostenibile oltreché eccessivamente costoso in termini «umani e morali». Il discorso che Holder ha fatto a questo riguardo lo scorso agosto alla conferenza degli avvocati americani era stato in alcuni suoi passaggi, nientemeno che epocale: «Ora che la cosiddetta war on drugs sta per entrare nel suo quinto decennio ha detto il ministro dobbiamo chiederci se sia davvero stata efficace. Con la nostra enorme popolazione di detenuti dobbiamo chiederci se la carcerazione sia davvero usata per punire, dissuadere e riabilitare o se si tratti in realtà di un semplice strumento per immagazzinare e dimenticare. La pura verità è che sia a livello federale che statale che locale è ormai divenuta inefficace e insostenibile. (Inoltre) dobbiamo riconoscere che una volta nel sistema, le persone di colore subiscono punizioni molto più severe delle loro controparti. Le sentenze "obbligatorie" hanno avuto con la loro inflessibilità un effetto destabilizzante sulle popolazioni povere e di colore. Negli ultimi anni ha concluso Holder i detenuti neri hanno ricevuto condanne più lunghe del 20% rispetto a quelli bianchi per delitti simili. Questo non solo è inaccettabile, non è degno della giustizia in questo Paese ed è vergognoso». Una vergogna cui occorrerebbe porre rimedio con una integrale riforma delle leggi e sanzioni troppo per il presidente che in questo anno elettorale difficilmente avrebbe potuto superare l ostruzionismo repubblicano su un tema "caldo" come l ordine pubblico. Obama ha invece agito per decreto, usando la facoltà presidenziale della grazia ed estendendola potenzialmente migliaia di detenuti. Anche se l amnistia dovrà essere concessa di volta in volta ai singoli detenuti c è chi, come Jerry Cox, presidente dell associazione degli avvocati ha parlato di «inizio della fine dell era della carcerazione di massa». Il ministero di giustizia intanto sembra intenzionato a fare sul serio. Per cominciare è stato rimosso Ronald Rodgers, il procuratore preposto a valutare le domande di clemenza, un noto falco che si adoperava di fatto per insabbiare le pratiche compresa quella di Clarence Aaron che per molti anni ha cestinato prima che giungessero al presidente. E in secondo luogo mettendo a diposizione difensori d'ufficio a chiunque voglia inoltrare una pratica. Se riuscirà in seguito ad ampliare le riforme, l intervento sulle carceri potrebbe essere il retaggio più tangibile del primo presidente afroamericano.

8 pagina 8 il manifesto SABATO 26 APRILE 2014 INTERNAZIONALE VENEZUELA Il Tribunal supremo: per manifestare, serve il permesso Il dialogo è a rischio Geraldina Colotti «C ontinueremo le proteste, a dispetto del tribunale». Parola di Henrique Capriles. Il leader dell opposizione venezuelana (riunita nella Mesa de la unidad democratica - Mud -) ha commentato così la sentenza del Tribunal supremo de justicia che impone a chi intende manifestare di chiedere l autorizzazione ai municipi. Una decisione pronunciata in modo unanime dai 7 magistrati del più alto tribunale del paese, in risposta a un ricorso presentato dal sindaco di Guacara, Gerardo Sanchez. L articolo 68 della Costituzione bolivariana stabilisce che tutti i cittadini hanno diritto a manifestare in modo pacifico e senza armi. Dalla prima settimana di febbraio, però, il paese è scosso da manifestazioni violente contro il governo, Studenti oltranzisti oggi di nuovo in piazza per chiedere l amnistia. La Confindustria: «Per noi confronto eccellente» CARACAS, MANIFESTAZIONE OPERAIA A SOSTEGNO DEL GOVERNO/REUTERS Rita Plantera N on è una guerra di religione. È questa la tesi che trova l accordo dei governatori dei 36 Stati nigeriani al termine di un vertice sulla sicurezza nazionale presieduta dal presidente Goodluck Jonathan: «Abbiamo convenuto che la guerra di Boko Haram non è una guerra di religione e quindi è una guerra contro tutti i nigeriani e come tale dovrebbe essere trattata», recita il comunicato stampa diramato al termine della tavola rotonda tenutasi ieri tra i capi della sicurezza, ministri, governatori e leader religiosi incontratisi per discutere della crescente insicurezza nel Paese a seguito dei recenti che per quanto notevolmente ridotte di intensità, non si placano. Finora, ci sono stati 41 morti e oltre 650 feriti, molti dei quali dovuti al fil di ferro teso per le strade durante le «guarimbas», barricate di detriti e spazzatura data alle fiamme. Gli Stati del Tachira, Merida, Carabobo (dove si trova il municipio Guacara) sono stati fra i principali teatri delle violenze. Anche ieri, in alcune zone ricche della capitale sono continuate le barricate. Nei municipi di Chacao e Baruta, sede delle istituzioni internazionali, i manifestanti antigovernativi hanno eretto da qualche settimana un accampamento di tende che impedisce il traffico. E per oggi gli studenti oltranzisti hanno annunciato che sfideranno la decisione del tribunale, scendendo nuovamente in piazza e che cercheranno di guadagnare il centro. Dopo i violenti scontri del 12 febbraio, il sindaco del municipio Libertador, Jorge Rodriguez, ha impedito le manifestazioni nella sua giurisdizione, dove hanno sede i poteri pubblici (a partire dal palazzo Miraflores), i ministeri e le principali sedi industriali. Libertador è il municipio con la più alta densità di popolazione, il più esteso dei cinque che compongono l area metropolitana di Caracas e l unico che non appartenga allos tato di Miranda, governato da Capriles. Daniel Yabrudy, presidente della Federacion de Centros de Estudiantes de la Universidad Simon Bolivar ha contestato la decisione e ha chiesto al sindaco di «garantire la sicurezza degli studenti che manifesteranno». Yabrudy appartiene all ala oltranzista dell opposizione, che risponde alle consegne di Maria Corina Machado e Leopoldo Lopez per imporre «la salida», l uscita dal governo del presidente Nicolas Maduro. Con un gradimento di oltre il 50%, quest ultimo ha festeggiato ieri un anno di «governo di strada», durante il quale ha intensificato i progetti sociali del «socialismo del XXI secolo». E la rivista Time lo ha messo tra i 100 uomini più potenti del mondo. Un anno in cui l opposizione ha seminato ogni genere di trappole, ha detto ieri il presidente ricordando l Assemblea costituente che, 15 anni fa, ha fondato la nuova Carta magna della Repubblica bolivariana. Per far fronte «alla guerra economica e al sabotaggio» che hanno acuito i problemi irrisolti del paese, Maduro ha illustrato un «offensiva economica basata su 11 motori per lo sviluppo», che ha come perno il dialogo in corso con gli imprenditori e i rappresentanti di opposizione. attacchi di Boko Haram degli ultimi mesi, tra i quali, circa 10 giorni fa, l autobomba alla stazione degli autobus di Abuja e il rapimento di 235 studentesse a Chibok, nello Stato del Borno. Attacchi che confermano da un lato il gruppo islamista Boko Haram quale vettore di destabilizzazione del più grande produttore di petrolio del continente noir e dall altro tutta l incapacità del governo nigeriano di elaborare non solo una soluzione politica ma anche militare agli atti di terrore contro le popolazioni locali. «La questione del momento» - come l ha definita il governatore dello stato dell Ekiti, Kayode Fayemi, è proprio il rapimento il Jorge Roig, presidente di Fedecamaras (la Confindustria locale) ha definito «eccellente» la giornata di giovedì, durante la quale Maduro ha illustrato a oltre 700 imprenditori i termini del «nuovo modello economico», e Fedecamaras le sue richieste. «Ora bisogna incorporare i lavoratori», ha detto Roig. E le organizzazioni operaie che appoggiano il governo hanno annunciato che faranno sentire la loro presenza nel fine settimana e il 1 maggio: per evitare che le mediazioni messe in atto per disinnescare l offensiva dei poteri forti si sbilancino verso la richiesta di flessibilità e privatizzazioni portata avanti dagli imprenditori. È pendente il ricorso del sindacato dei commercianti contro la Legge del prezzo giusto, erogata per combattere le speculazioni. E intanto Capriles e parte della Mud fanno propria una richiesta di aumento salariale, ben poco congrua ai loro programmi politici, improntati all azzeramento «degli sprechi», ovvero le spese sociali effettuate dal chavismo. «Senza imprese private nessun paese prospera», ha detto ieri lo scrittore Vargal Llosa, in Venezuela per appoggiare l opposizione. E si è scagliato contro «l irrazionalità» del socialismo. Dopo la terza tornata di dialoghi con il governo, sotto l egida della Unasur e del Vaticano, anche i vertici della Mud hanno tuonato contro «un modello economico che ha distrutto le capacità produttive». E ora premono per l approvazione di un amnistia. «Non è tempo di colpi di spugna, ma di giustizia», ha ribadito il governo, incontrando le vittime del colpo di stato tentato contro Chavez nel E Capriles, che un giorno accetta il dialogo, l altro cerca di recuperare i «guarimberos» è andato a trovare il suo antico sodale Leopoldo Lopez, leader di Voluntad popular, in carcere con l accusa di associazione sovversiva con finalità di terrorismo. Intanto, il ministro degli Esteri, Elias Jaua, ha chiamato in causa Capriles - suo antagonista nelle elezioni per il governo di Miranda, che lo ha battuto per un soffio - davanti all Unesco: dove ha denunciato le violenze post-elettorali del 14 aprile 2013 e la rinascita di «una corrente neofascista» di opposizione. NIGERIA Vertice sulla sicurezza dei governatori dei 36 Stati nigeriani Fronte comune contro Boko Haram ISRAELE/PALESTINA No al cibo, la lotta di 200 detenuti Mentre i vertici dell Olp e dell Autorità Nazionale si riuniscono per fare il punto dopo l accordo Hamas- Fatah e le reazioni contrarie di Israele e Stati Uniti, i prigionieri politici palestinesi riprendono la lotta contro la «detenzione amministrativa». Si tratta di una misura, definita da Israele «cautelare», che prevede il carcere per mesi, in qualche caso fino a cinque anni, senza processo e solo sulla base di indizi e considerazioni di sicurezza. Dal 1967 oggi ha colpito migliaia di palestinesi in aperta violazione del diritto internazionale. Circa duecento prigionieri politici da giovedì attuano lo sciopero della fame contro questo tipo di detenzione: ottanta a Ofer, sessantacinque a Megiddo e cinquantacinque nel Neghev. L anno scorso la detenzione amministrativa era stata portata all attenzione del mondo dal caso detenuto palestinese Samer Issawi: protagonista di un lungo sciopero della fame durato 277 giorni. Prima di Issawi, il rifiuto del cibo aveva coinvolto per mesi circa duemila detenuti palestinesi ed era terminato nel maggio 2012 dopo un accordo raggiunto con le autorità israeliane che si erano impegnate a non rinnovare la detenzione amministrativa. L accordo è stato applicato solo in parte. Sono circa 5 mila i prigionieri palestinesi sparpagliati in 22 tra carceri e altri luoghi di detenzione israeliani. Tra loro ci sono 200 minori e 19 donne. (mi.gio.) 14 aprile scorso delle circa due centinaia di ragazze di età compresa tra i 16 e i 18 anni per cui il governo di Goodluck Jonathan è stato ampiamente criticato. Una risposta debole sarebbe stato l agire da parte delle autorità, contraddistinto dagli strali incrociati tra i partiti al potere e quelli all opposizione più che da un fronte comune atto a frenare o quantomeno a discutere termini e modalità per affrontare l avanzata da Nord a maggioranza musulmana -a Sud - a maggioranza cristiana - di Boko Haram. Scontri politici che hanno visto il People s Democratic Party (Pdp), attualmente al potere, accusare di collusione con il gruppo integralista i leader dell opposizione, l All Progressive Congress (Apc), a sua volta impegnati in una campagna di condanna contro il governo e le politiche fallimentari di lotta alle insurrezioni che con graduale intensificarsi da almeno da 5 anni attanagliano la Nigeria. E quasi a voler dare una risposta di tono alle critiche recenti e a smorzare quelle sulla campagna militare - costosa e fallimentare lanciata un anno fa da Jonathan negli stati del Nord-Est del Borno, dello Yobe e dell Adamawa - dal vertice si è alzato un appello unanime, una chiamata collettiva a fare fronte comune contro la minaccia Boko Haram. Ma, a meno che i governi federali e quello statale non si impegnino concretamente in un azione radicale non solo militare ma anche politico-sociale, resta indubbio al momento il perseverare dell azione destabilizzatrice di Boko Haram. BRASILE Nuovi scontri con la polizia Resta alta la tensione in Brasile, mentre fervono i preparativi per i mondiali del 12 giugno. Qualche giorno fa, la polizia è stata accusata di aver ucciso un ballerino di 26 anni in una favela situata nella ricca zona turistica di Copacabana. E sono scoppiati gli scontri. La tensione con le forze di sicurezza si è rinnovata durante i funerali del ragazzo. Intanto, si è concluso il vertice mondiale per la democratizzazione di Internet, che si è tenuto a San Paolo. Vi hanno partecipato delegati di oltre 85 paesi, dei governi, delle imprese e della società civile. Non tutti si sono trovati d accordo col documento finale di Net mundial. Fra questi, Cuba, Russia e India. Internet - ha detto Putin - si è sviluppato per opera della Cia e continuerà a essere controllato dagli Stati uniti. COLOMBIA Santos contro il sindaco Petro Il presidente della Colombia, Manuel Santos, ha detto che il suo governo impugnerà la decisione del tribunale che lo ha obbligato a rimettere al suo posto il sindaco della capitale, Gustavo Petro, deposto da una precedente sentenza per presunte irregolarità nella gestione dei rifiuti. Il futuro di Petro, ex guerrigliero da vent anni nella vita politica nel campo della sinistra moderata, è appeso alla decisione dei tribunali e alla possibilità di un referendum revocatorio convocato dai suoi oppositori. BOLIVIA Oltre 700 militari messi a riposo Gli alti comandi della Forza armata di Bolivia hanno deciso di mettere a riposo oltre 702 ufficiali di basso rango per «ammunitamento e sedizione». I militari erano scesi in sciopero il 3 aprile per protestare contro la destituzione di alcuni loro colleghi e per chiedere avanzamenti di carriera. Ora dichiarano che continueranno a manifestare e alcune organizzazioni indigene hanno espresso il loro sostegno. PANAMA Docenti e maestri, sciopero a oltranza Le trattative tra il governo di Ricardo Martinelli e oltre 16 organizzazioni di docenti non sono state fruttuose e il Frente nacional de educadores independientes del Panama ha proclamato lo sciopero a oltranza. Il 4 maggio si svolgeranno le presidenziali. IRAN Ancora proteste per il raid nella prigione di Evin contro alcuni prigionieri politici Prezzi alle stelle per l aumento della benzina Giuseppe Acconcia È entrata in vigore la nuova legge che limita i sussidi sulla benzina in Iran. I prezzi sono saliti in poche ore del 75%. «Sono due mesi che lavoriamo per l attuazione di questo piano nelle province e nelle aree rurali», ha assicurato il ministro dell Interno Abdolreza Fazli. Il governo del tecnocrate Hassan Rohani è impegnato dal giorno del suo insediamento, nel giugno scorso, in una serie di riforme economiche che a febbraio avevano esteso il numero di famiglie disagiate, aventi diritto a beni alimentari a prezzi calmierati. D altra parte, sono stati disposti aumenti per i canoni mensili dell elettricità (saliti del 24%) e dell acqua (20%). Il piano di revisione di sussidi e imposte è entrato in vigore in varie fasi. Inoltre, in seguito all accordo sul nucleare, firmato a Ginevra il 24 novembre scorso, Tehran ha visto crescere l interesse degli investitori internazionali, motivati da una possibile eliminazione delle sanzioni contro il paese. Eppure, sebbene la crescita economica sembra vicina, i prezzi delle automobili e degli affitti restano altissimi. Il governo iraniano ha sempre tentato di contenere i prezzi della benzina, mantenendoli ai livelli più bassi nella regione. E così i prezzi sono cresciuti ieri da 11 a 20 centesimi di euro al litro. In pochi anni, il prezzo del carburante è aumentato di circa sei volte. Mentre il prezzo del petrolio (insieme a diesel e gas naturali) per l esportazione è salito da 19 a 28 centesimi al litro. Nelle ultime ore, si registrano code di automobilisti che tentano di assicurarsi un pieno di benzina ai prezzi precedenti all entrata in vigore del piano del governo. Per questo, il capo dell Unione dei distributori di benzina, Bijan Mohammadreza ha segnalato che «la gente sta stivando carburante in contenitori alternativi». Non solo, proseguono le polemiche dopo il trasferimento del direttore della temibile prigione di Evin. Gholam Hosein Esmaili è stato nominato direttore generale del dipartimento giudiziario della provincia di Tehran. L avvicendamento è stato disposto dopo l attacco contro alcuni prigionieri politici detenuti nel carcere. L episodio risale alla scorsa settimana ed ha coinvolto la cella 350. Secondo il sito riformista Kalame, 100 affiliati alle forze di sicurezza hanno attaccato la cella del carcere di Evin. Oltre alle violenze, 30 detenuti sono stati feriti, altrettanti sono stati trasferiti in celle di isolamento e quattro sono stati portati in ospedale per le gravi ferite riportate. Secondo l agenzia Mehr, sarebbero stati ritrovati 11 telefoni satellitari e un computer portatile all interno della cella (foto Reuters). Dopo le violenze, Esmaili aveva rilasciato un intervista in cui negava i fatti. «Secondo le regole, operiamo un ispezione mensile. Non rispondiamo alle accuse di siti antiregime», aveva dichiarato l ex direttore del carcere. I familiari dei detenuti hanno confermato l attacco dopo aver visitato i loro parenti, trovandoli feriti, rasati e con lividi. Le famiglie si erano assembrate intorno al parlamento e all esterno dell ufficio del presidente Hassan Rohani per chiedere un intervento del governo. Anche un gruppo di deputati ha chiesto un esame attento del caso: i parlamentari ritengono insufficienti le spiegazioni fornite nel corso di un audizione da parte di Esmaili. Dal 2009, almeno sette prigionieri politici sono morti per tortura nel carcere di Evin. Come se non bastasse, il portavoce del sistema giudiziario Gholam Mohseni-Eje i ha annunciato l avvio del processo in contumacia contro alcuni dissidenti dell Onda verde, le proteste contro la rielezione dell ex presidente Mahmud Ahmadinejad nel 2009.

9 SABATO 26 APRILE 2014 il manifesto pagina 9 MACERIE D EUROPA Simone Pieranni D opo la pausa decisa dal governo di Majdan nel tardo pomeriggio di giovedì, a seguito delle esercitazioni russe al confine ucraino, si è tornati a combattere. Nel mentre si è alzato anche il livello della tensione diplomatica, come era ovvio attendersi, benché non si veda all orizzonte uno spiraglio di via di uscita comune. Sette osservatori Osce sono stati sequestrati dai filorussi e accusati di essere «spie di Kiev», mentre il premier Yatseniuk, l uomo caro al Fondo monetario e agli Usa, ha accusato Putin di volere una «terza guerra mondiale», perché avrebbe ammassato le sue truppe a un solo chilometro dal confine ucraino. Stati uniti e Unione europea, al termine di un giro di telefonate intercorse tra i leader (Obama, Hollande, Merkel e Cameron e anche la partecipazione del premier italiano Matteo Renzi), Secondo il ministero dell interno ucraino sette osservatori Osce sono stati rapiti dai separatisti avrebbero convenuto di passare a sanzioni più forti nei confronti della Russia. Mosca ha reagito, chiedendo a Kiev di terminare i combattimenti, per ottenere «una de-escalation del confronto». Dopo la pausa, dunque, Kiev ha ordinato la seconda fase dell operazione «antiterrorismo» a est, contro le regioni separatiste. I centri nevralgici degli scontri sono diventati principalmente due: Kramatorsk e Sloviansk. Nella prima città, nella mattinata di ieri un cecchino ha fatto esplodere un elicottero dell esercito ucraino a terra, confermando un doppio dato: l intenzione dei filorussi di resistere e le capacità militari di cui dispongono. E mentre a Kramatorsk venivano segnalati attacchi alle barricate dei separatisti, la posta in palio più alta sembra essere quella di Sloviansk. Kiev ha ordinato la presa della città, sapendo di poter cogliere un successo importante perché la cittadina è considerata un vero e proprio punto nevralgico delle capacità belliche dei filorussi. In mattinata è arrivato l ordine del vice capo dell'amministrazione presidenziale ucraina, che ha annunciato che le truppe speciali di Kiev hanno iniziato a «bloccare completamente» la città «per impedire l arrivo di rinforzi» ai pro-mosca. Vasil Krutov, numero due dei servizi di sicurezza di Kiev ha assicurato che non ci sarà blitz in città per evitare vittime. Ma non tutto pare essere andato come si aspettavano le previsioni di Kiev, dato che i filorussi hanno resistito agli attacchi. Il leader Matteo Tacconi M osca s è mossa sulla scacchiera ucraina senza commettere sbavature, dicono molti esperti di cose strategiche e militari. Ha una stazza militare inferiore a quella occidentale, ma è riuscita a prendersi la Crimea senza sprecare una goccia di sudore e a scatenare il pandemonio nell est ucraino mettendo alle corde il governo di Kiev, come gli euro-americani. La Russia sta combattendo una guerra diversa dalle solite, fondata su tanti contenuti psicologici e senza coinvolgimento formale dei suoi soldati. Che però in Crimea hanno garantito le fazioni di autodifesa (come ammesso da Putin) e tra Slaviansk e Donetsk stanno facendo lo stesso con le fazioni filorusse, armate a dovere e con competenze militari. Il che ha spinto a dire che esercito e servizi russi, più che dirigerle dall esterno, le conducono da dentro. Operazioni del genere non si conducono senza know-how e competenze d eccellenza. Alcune delle quali, questo il paradosso, sarebbero state assicurate dalla Germania, un paese membro di UCRAINA Obama, Renzi, Hollande, Merkel e Cameron a favore di nuove sanzioni contro Mosca Nuova offensiva di Kiev i filorussi: «Resistiamo» NELLA FOTO GRANDE IL SEGRETARIO DELLA SICUREZZA NAZIONALE UCRAINA PARUBIY A UN CHECKPOINT A EST, A SINISTRA FILORUSSI A LUGANSK, SOTTO MERKEL E PUTIN IN UN INCONTRO A MOSCA NEL 2012 /REUTERS dei separatisti Ponomariov, intervistato dalla tv Rossiya 24, ha dichiarato di non aver alcuna intenzione di arrendersi, sostenendo inoltre che militanti del gruppo neonazista di Pravi Sektor «occupano posizioni attorno alla città di Sloviansk e sono armati di fucili da cecchino», mentre «le forze ucraine stanno accerchiando completamente la città» e ci sono «tentativi di diversi gruppi di sabotatori» di «attaccare alle spalle le postazioni» degli insorti. Ancora guerra dunque, mentre Ue e Stati uniti si muovono cercando una sintonia. Obama e i leader europei - ha spiegato un comunicato diffuso ieri dalla Casa Bianca - hanno definito «allarmante» la situazione nell'est dell'ucraina, sottolineando «i positivi passi» compiuti da Kiev per tener fede agli impegni presi il 17 aprile scorso a Ginevra con Russia, Ue e Stati uniti, comprese la proposta di un amnistia per coloro che lasceranno pacificamente gli edifici pubblici occupati e quella di riformare la costituzione. I leader hanno quindi dato un giudizio comune sul fatto che la Russia non si sia invece ARMI Le Gru Spetsnaz sono state utilizzate in Crimea e nell est ucraino Le unità d élite russe addestrate dalla Germania quella Nato che nella gerarchia russa delle minacce si colloca molto in alto. Il Daily Beast ha pubblicato nei giorni scorsi un articolo A Mulino, sudest russo, il centro finalizzato alla formazione di 30mila soldati ROMA L «atlantico» Yatseniuk incontra il Papa Kermesse romana per il premier ad interim di Kiev, acclamato per alzata di mano da Majdan, Arseni Yatseniuk. Il giovane ma già esperto primo ministro (ex ministro dell economia e soprattutto primo vicepresidente e poi capo della Banca Centrale del paese) oggi è a Roma, dove incotnrerà Papa Francesco e il premier italiano Renzi. Secondo quanto comunicato dalle agenzie ripartirà subito dopo senza partecipare alla cerimonia di canonizzazione dei due papi. Ieri Yatseniuk si è distinto nella ridda di voci intorno alle vicende militari ucraine, per aver accusato Putin di volere la «terza guerra mondiale». Si tratterà di un incontro tra due giovani «atlantici», considerato che Yatseniuk è da tempo l uomo prescelto dagli Stati uniti per guidare il paese dopo i disordini che hanno portato alla caduta di Yanukovich. Non a caso il suo governo è stato fin da subito disponibile ad aprire le porte al Fondo monetario e alle politiche di austerity che stanno mettendo in ginocchio il paese, già ridotto al collasso economico, a causa di ingenti tagli che il Fondo ha chiesto (via il 30 percento dei budget a tutti i ministeri). Per Renzi, che ieri ha partecipato alla conference call con Obama, Cameroon, Merkel e Hollande ci sarà anche un altro incontro, quello con il premier polacco Tusk, uno dei più attivi nella richiesta di sanzionare la Russia e nel richiedere un intervento militare Usa. Tusk, per altro, è stato accontentato, visto che 150 soldati americani sono da alcuni giorni in Polonia. in merito, sentendo alcune fonti del Senato e dell intelligence che hanno rivelato che a Washington inizia a circolare l idea che il balzo in avanti qualitativo delle forze russe poggi anche, oltre che sulla riforma militare intrapresa dal Cremlino a partire dal 2008, sul fatto che Berlino abbia favorito l addestramento dei soldati di Mosca e delle unità Gru Spetsnaz, le unità d élite che sarebbero state mobilitate in Crimea e nell est ucraino. Come? Si segnalano le esercitazioni militari congiunte tra i due paesi, ma soprattutto la realizzazione del centro d addestramento di Mulino, sudest russo, finalizzato alla formazione di 30 mila soldati. 120 milioni di euro il costo della struttura. A incaricarsi della realizzazione è stata la Rheinmetall, la più grossa realtà manifatturiera della Germania in ambito militare. Il contratto con il governo russo risale al Il centro non è stato ancora completato, ma il Daily Beast riferisce che a Washington qualcuno crede che nel frattempo sia stata comunque utilizzata. Le trasmissioni di know-how durante le esercitazioni congiunte (Mosca le ha fatte anche con Washington) sono difficili da provare, forse anche da sostenere. Ma il confronto in corso in Ucraina e la strategia di Putin stanno portando gli americani e la Nato in generale a cambiare postura, a diventare sospettosi e a ricalibrare il registro dei rapporti con la Russia. Gli europei, anche se non sempre con prontezza, si adeguano. Anche perché dalle prime battute della crisi ucraina hanno sempre espresso sostegno al movimento della Majdan. Berlino è sotto pressione. Con Mosca ha in ballo tanti interessi economici, ma non può mostrarsi flaccida. A fine marzo il ministro dell economia Sigmar Gabriel ha congelato il progetto della Rheinmetall in Russia, che è ormai praticamente completato. Parigi si trova, rispetto ai tedeschi, in una situazione ancora più scomoda. Nel 2011 ha firmato un intesa con la Russia, ancora più lucrosa di quella di Rheinmetall, per la consegna di due navi da guerra classe Mistral, per un miliardo e 200 milioni di euro. Non basta. L accordo del 2011 è una rottura storica: mai un paese Nato aveva scelto di vendere alla Russia un mezzo militare dal così alto coefficiente offensivo. All Eliseo si discute se sospendere o meno il contratto. Tutti questi soldi, visti i tempi che corrono, fanno gola. Ma dare a Mosca quelle navi, tenuto conto del pasticcio ucraino, è politicamente rischioso. Lo era di meno due anni fa. Gli stessi americani valutavano con meno fastidio gli affari di Francia comportata di conseguenza, né sostenendo gli accordi di Ginevra, né richiamando i gruppi armati a deporre le armi e ad abbandonare gli edifici occupati. L accusa a Mosca è quindi quella di aver proseguito a fomentare «un'escalation della situazione attraverso una retorica preoccupante ed esercitazioni militari che minacciano i confini dell'ucraina». I leader - conclude lo statement - «lavoreranno insieme e, attraverso il G7 e l'unione europea, coordineranno passi aggiuntivi per imporre costi alla Russia». Obama, Renzi, Hollande, Merkel e Cameron hanno infine sottolineato che Mosca «ha ancora la possibilità di optare per una risoluzione pacifica alla crisi, inclusa l'implementazione degli accordi di Ginevra». Nella serata di ieri, infine, è arrivata la notizia, dal ministero dell interno di Kiev, secondo il quale sette osservatori Osce sarebbero stati rapiti dai filorussi a Sloviansk. Le persone catturate si troverebbero in una sede locale dei servizi di sicurezza. I separatisti filorussi li accusano di essere spie del governo di Kiev. e Germania con la Russia. Nell aprile del 2012 Paul Belkin, Derek Mix e Jim Nichol, tre analisti del servizio ricerche del Congresso Usa, produssero un documento su queste cose, allargando il campo all Italia e alla commessa di 3 mila blindati Lince per 800 milioni, ottenuta da Iveco. Sempre nel Solo una parte dei mezzi è stata consegnata. L anno scorso Mosca ha fatto decadere il contratto. Il file del servizio ricerche del Congresso, benché segnalasse l irritazione dell Europa centrale e baltica, non stigmatizzava più di tanto i contratti francesi e tedeschi (e italiani) con la Russia. Da una parte Washington stava lanciando la dottrina del reset button, cercando di smussare le relazioni bilaterali con Mosca. Dall altra gli europei, complice la crisi, avevano bisogno di commesse. DALLA PRIMA Tommaso Di Francesco La democrazia che odia la pace Ieri invece la controffensiva di Kiev - chissà che consiglia sta dando il capo della Cia Brennan, operativo nella capitale ucraina - è ripartita contro altre città dell est, gli insorti stavolta hanno reagito facendo esplodere un elicottero a terra. Come finirà? La Casa bianca ammonisce la Russia a «ritirare le truppe», che finora stanno ancora in Russia. Dovrebbe ritirarle dalla Russia? E Kerry accusa: «Mosca destabilizza l Ucraina» e difende il governo in carica ricordando, a suo dire, che «l esecutivo legittimo vuole colpire i terroristi», mentre in un sussulto i portavoce di Kiev e di Washington ripetono all unisono «basta proteste con i volti mascherati e persone armate, basta terrorismo». Ma di quale legittimità parla? Giacché il governo di Kiev è stato approvato da piazza Majdan in rivolta, con protagonisti in tenuta paramilitare, armati e a migliaia con il volto mascherato. Per quattro mesi gli inviati dei giornaloni occidentali si sono appassionati ad indicarci gli «eroi» che vagavono in piazza, hanno esaltato l odore di cavolo delle cucine da campo, hanno bevuto il tè offerto dai rivoltosi «belli». Per una rivolta il cui contenuto remoto era la corruzione di un regime (democraticamente eletto), ma dai connotati nazionalisti ucraini, fortemente antirussa - la prova furono i primi provvedimenti contro la legalizzazione della lingua russa -, con una forte presenza organizzata dei miliziani della destra estrema fascista di Svoboda e ancor più di Pravj Sektor. Questo clima, che meglio sarebbe definire pericoloso guazzabuglio, ruppe con la forza gli argini di un accordo internazionale definito tra Kerry e Lavrov a Monaco il 20 febbraio (con Yanukovich e lo stesso attuale «premier» Yatseniuk) e alla fine approvò - appena liberata l «eroina Tymoshenko» in realtà oligarca e in galera per avere favorito la Russia nella trattativa sul gas - e instauro la «legittimità» del nuovo governo e della nuova presidenza Turchynov, uno dei leader della rivolta «mascherata» di Majdan. Con oligarchi che passavano da una parte all altra tranquillamente. E tutto il sostegno attivo di Usa e Nato. Com era possibile non immaginare che, a fronte di una «legittimità» che rappresenta nemmeno la metà dell Ucraina spaccata a quel punto inesorabilmente almeno in due parti, le popolazioni russofile, russofone e russe a tutti gli effetti non facessero la loro di «rivolta di Majdan»? O esistono rivolte di piazze di serie A e quelle di serie B? La Crimea, russa a tutti gli effetti, è andata per le spicce e si è autoproclamata indipendente chiedendo, bene accetta da Mosca, l adesione alla Russia. La Crimea e tutta l Ucraina sono la linea di difesa estrema e di sicurezza della Russia. Circondata da Occidente da tutti gli ex paesi del Patto di Varsavia inglobati ormai dentro l Alleanza atlantica, con tanto di basi, sistemi di guerra, scudi spaziali. Mentre su piazza Majdan non solo il capo della Cia, ma repubblicani, Joe Biden e Kerry sono ormai di casa. Che ci stanno a fare a decine di migliaia di chilometri dagli Usa? Chi destabilizza davvero gli interessi degli ucraini? Che dovrebbero essere democratici e finalmente federali, per una rappresentanza vera del secondo più grande paese d Europa, ma anche al di fuori di ogni alleanza militare precostruita. E contro i vecchi e nuovi oligarchi e i diktat del Fmi che ora torna in forze ma che durano da anni contro le classi subalterne ucraine.mentre le scene di guerra aumentano, il nano politico - con tutto il rispetto dei nani - dell Ue si nasconde, quello dell Italia è un vuoto assoluto che compra e assembla aerei da guerra e concede basi militari a danno del territorio. Vive l Europa la vergogna, dopo tante esperienze nefaste e di guerre «umanitarie» nei Balcani, di essere diventata soltanto una moneta che riduce in miseria i suoi popoli costituenti, e soltanto un alleanza militare, la Nato a guida esclusiva degli Stati uniti. La chiamano democrazia occidentale. E odia la pace.

10 pagina 10 il manifesto SABATO 26 APRILE 2014 CULTURE SCENARI DELL EST Ritorno in Crimea OLTRE EJZENŠTEJN Quelle «dodici sedie» che raccontano Odessa C. Sca. O dessa, la Marsiglia sul mar Nero, fondata da Caterina II nel 1794, è nota più che altro per la famosa scalinata che la scena della carrozzina che rotola nel film La corazzata Potëmkin di Sergej Ejzenštejn ha fatto conoscere in tutto il mondo. Ma la città è una delle capitali della letteratura russa e ha dato i natali nel XX secolo a un gruppo di scrittori, i cosiddetti «odessiti», Valentin Kataev, Il f e Petrov, Jurij Oleša, Isaak Babel, autori di storie in cui satira, comicità e avventura si intrecciano e in cui gli avvenimenti sono raccontati con uno sguardo cinico e disincantato, proprio della mentalità odessita. Del popolarissimo romanzo di Il f e Petrov Le dodici sedie (1927), non si contano le riduzioni cinematografiche in tutto il mondo (Una su 13 nel 1969 con Vittorio Gassman e Sharon Tate, Il mistero delle dodici sedie nel 1970 con la regia di Mel Brooks, La sedia della felicità, appena uscito, con la regia di Carlo Mazzacurati), anche se pochi sanno che gli autori della storia sono due scrittori di Odessa. Uno dei due, Ilja Il f, faceva parte della folta comunità di origine ebraica, che insieme a quella russa, greca e tartara, per non contare quelle francesi e italiane, popolavano questa cosmopolita città. Un altro famoso scrittore, Isaak Babel, ha descritto nei suoi Racconti di Odessa, le vicende del quartiere ebraico della città, la «Moldavanka», dove lui stesso era nato, che ruotano intorno a un gruppo di malavitosi e al capobanda Benja Krik, dedito ai traffici del porto. Odessa non ha mai rinunciato al suo ruolo centrale di capitale letteraria: Josif Brodskij vi capitò nel 1969, al ritorno dall esilio per recitare in un film la parte di un soldato che difende la città, film che dopo il suo esilio scomparve dalla circolazione, la rivista letteraria Oktjabr vi organizza in luglio un interessante festival letterario, il teatro ospita produzioni internazionali, poeti e prosatori si incontrano nei numerosi circoli letterari. Anche in questi ultimi mesi, i simboli della tradizione non vengono dimenticati, per cui ogni sera coloro che sono favorevoli al gruppo «Euromajdan» si riuniscono intorno al monumento al «Duca», che poi altri non sarebbe che il duca de Richelieu, mentre gli oppositori filo russi si incontrano al «Campo di Kulikovo» (la piazza dedicata alla battaglia del 1380 in cui i russi sconfissero i mongoli). Claudia Scandura P ochi giorni fa, ricevendo per mail da un giornale russo pubblicato in Francia su internet ( fr) un proclama della «Associazione nazionale dell amicizia russo-polacca» in cui si sosteneva la posizione della Russia per il bene della Polonia e dell Europa e ci si congratulava con il popolo russo e il presidente Putin per il ritorno della Crimea alla madre patria, alquanto sconcertata dai toni trionfalistici, ho deciso di contattare un amico che vive ad Odessa, Boris Chersonskij, per sapere quale sia la posizione di un intellettuale russo in merito ai recenti avvenimenti ucraini (la situazione, mentre scriviamo e andiamo in stampa, sta ulteriormente deteriorandosi, ndr). Chersonskij è uno dei più interessanti poeti della scena contemporanea, la sua prima pubblicazione importante, sulla rivista di poesia Arion risale al 2000 (N 3) e il primo libro al Da allora, come se improvvisamente qualcosa si fosse sbloccato, le sue pubblicazioni si sono susseguite al ritmo di una o più l anno, come se le circostanze della vita avessero già concesso al poeta tempo sufficiente per osservare luoghi, cose e persone e adesso lo spingessero a rappresentarle nei suoi versi prima che di loro si sia perso il ricordo. Lo stile è sobrio e laconico, così come il poeta stesso, che si serve con parsimonia di epiteti e metafore per Un intervista con il poeta russo Boris Chersonskij, che vive e lavora nella città per eccellenza dei letterati. «Il problema di questo pesantissimo conflitto, che è costato la vita a tanti ucraini, è la contraddizione fra governo e popolazione» raccontare le sue storie. La sua è una poesia che scivola nella prosa, che sfoglia le pagine di un «archivio di famiglia» o di un «album fotografico», come nel caso dei versi italiani, pubblicati nel 2009 con il titolo Foglio di marmo, per far conoscere al lettore personaggi che il poeta, osservatore attento dei suoi simili, ha incontrato in Russia, in Ucraina, in Israele o in Italia. Giunto a Roma nel 2008 per un soggiorno di due mesi come borsista della Joseph Brodsky Memorial Fellowship Fund (Jbmff), Boris Chersonskij ha scritto durante la sua permanenza in Italia circa sessanta poesie, una al giorno, in cui racconta la sua percezione di un mondo e soprattutto di una città che, secondo le sue stesse parole, è diventata un ossessione. Il particolare approccio e la ferrea disciplina che il poeta è riuscito a imporsi (osservare, ricordare e soprattutto scrivere tutti i giorni) si ritrova nel suo ultimo libro dal titolo latino Missa in tempore belli (Messa in tempo di guerra), ora in corso di pubblicazione a Mosca, strutturato esattamente secondo la liturgia della messa. Critico nei confronti delle ultime azioni russe, Chersonskij si dedica anche con passione al suo blog, che conta circa diecimila lettori. I recenti avvenimenti nell Ucraina orientale hanno suscitato grandi discussioni e il poeta osserva i fatti e ha accettato di rispondere alla nostre domande, offrendoci così uno sguardo dall interno, dalla città di Odessa. Perché la situazione in Ucraina è precipitata? Forze esterne non possono creare contraddizioni interne in un paese. Possono influenzare quelle che già ci sono, usarle, possono anche manovrare una società divisa al suo interno. Ma un pianista non si presenta sul palcoscenico se non ha lo strumento su cui suonare. Non importa se si tratti di un cattivo strumento, il genio saprà farlo suonare. Ma non si può suonare su quello che non c è. Lo aveva osservato Machiavelli, quando parlava dello stato del sultano turco e dello stato del re francese. Non è facile sottomettere lo stato del sultano turco ma è facile tenerlo in soggezione: la società è abituata ad essere sottomessa e unita nella sua sottomissione. Lo stato del re francese, lacerato dalle contraddizioni, è facile da sottomettere, si possono trovare collaborazionisti, contraddizioni su cui fare perno. Ma per queste stesse ragioni è impossibile tenere in soggezione questo stato. Cosa ha provocato lo scoppio della crisi? In Ucraina abbiamo un opposizione civile duratura con cosiddette «micro insurrezioni» e «micro guerre». La crisi è stata provocata da un governo molto incapace e goffo, e quel che è più importante, ottuso e convinto di poter fare con la gente qualsiasi cosa. Il problema fondamentale di questo pesantissimo conflitto che è costato la vita a tanti ucraini, è la contraddizione fra governo e popolazione. Non mi riferisco a tutta la popolazione del paese. Il conflitto ha un carattere regionale molto preciso persino ora, nonostante le ondate di scontento siano arrivate anche nelle regioni tradizionalmente filorusse, dove il presidente Janukovic godeva di un sostegno significativo. Il fattore territoriale-culturale-linguistico (e religioso) minaccia realmente l unità del paese. Quanto incide la situazione economica? Come tutto quello che accade in Ucraina, la contrapposizione ha un retroscena economico ma non determina l essenza del conflitto. Sebbene in Ucraina siano presenti interessi sia russi che europei, che non coincidono, la situazione nel paese è provocata ODESSA, VIA RICHELIEU, CARTOLINA DELL OTTOCENTO; SOTTO, IL MERCATO DEL QUARTIERE EBRAICO E UN RITRATTO DEL POETA BORIS CHERSONSKIJ non da manipolazioni esterne bensì da contraddizioni interne di lunga data. Come uomo di cultura russa, devo ammettere con amarezza che la parte russa gioca sporco. Come si può spiegare oggi la violenza degli scontri? La cosa più terribile che succede ora da noi è la piega brutale che sta prendendo la situazione. La violenza per strada sta diventando quotidiana, quasi legittima. Entrambe le parti sentono di avere il diritto di colpire e uccidere. Tecnicamente questa possibilità è maggiore in chi ha il potere. I motivi di contrapposizione ideologica e politica aumentano con il peggioramento della situazione e il desiderio di vendetta. Ho detto entrambe le parti, ma in effetti le parti non sono solo due. Cosa c entra il fascismo? Perché entrambe le forze in campo definiscono fascisti gli oppositori? In Ucraina esistono delle organizzazioni di estrema destra relativamente piccole, che sono in lotta fra di loro. Sono formate da gente crudele e molto decisa che nell atmosfera del conflitto si trova a suo agio. Un ulteriore fattore è quello sportivo-penale. Mi riferisco al fenomeno dei «tituški» (paragonabile agli italiani «ultras»), costituiti da giovani malavitosi per la maggior parte aggressivi e privi di istruzione. Si possono incontrare sia dall una che dall altra parte, e entrambe le parti attribuiscono a loro la responsabilità delle violenze. In realtà, i «tituški» sono uno strumento del potere. E questa è una delle azioni più vergognose dell attuale amministrazione perché l uso della forza porta a un inasprimento della situazione. Stiamo assistendo a una rivoluzione? E di che rivoluzione si tratta? Quello che sta avvenendo in Ucraina non ha niente a che fare né con la Rivoluzione del 1917 né con quelle di «velluto» dell Europa orientale dopo la perestrojka di Gorbacev. La rivoluzione di piazza Majdan è una rivoluzione «contro» e non «a favore» e ha portato solo all allontanamento di Janukovic e del suo entourage. All infuori di questo non ci sono altri aspetti positivi perché al potere ci sono le stesse persone che c erano prima. Hanno semplicemente mescolato le carte. Si può anche aggiungere che questa è una «rivoluzione orientata verso l Europa», contrapposta all Unione doganale con la Russia. Sia l uno che l altro orientamento contenevano pericoli nascosti e determinati vantaggi. Fra i pericoli dell orientamento filo europeo, c era il peggioramento dei rapporti con la Russia. Ma mai avremmo immaginato che la Russia avrebbe annesso la Crimea e che si sarebbe intromessa nell est del paese (e in prospettiva, nel sud). Né ci saremmo immaginati che le televisioni russe avrebbero così sfacciatamente mentito sugli avvenimenti e che internet sarebbe sprofondata nel baratro della disinformazione. A corollario di queste pessimistiche affermazioni di Boris Chersonskij, possiamo segnalare che il sito russo con il sostegno della «Heinrich Böll Stiftung», sta inserendo su internet sotto il titolo Ucraina: la realtà,i materiali girati nell ambito del progetto «Cinema verité». Anche in futuro, i registi impegnati nel progetto continueranno a documentare la situazione in Ucraina con l intento di realizzare un film che nessuno sa ancora come andrà a finire.

11 SABATO 26 APRILE 2014 il manifesto pagina 11 CULTURE oltre tutto LA FESTA DEL LIBRO EBRAICO Da oggi al primo maggio a Ferrara si terrà la quinta edizione della Festa del libro ebraico in Italia, promossa dalla Fondazione Meis (Museo nazionale dell'ebraismo italiano e della Shoah). In programma decine di presentazioni, mostre, convegni, street food. Cinquemila i volumi in libreria, dalla narrativa ai testi sacri, con 150 case editrici. Tra gli ospiti Gioele Dix, Gad Lerner, Pietro Dorfles e Mario Luzzatto Fegiz. Da domenica al 27 luglio al Meis, sarà visitabile anche la mostra «Il mondo ebraico di Emanuele Luzzati». I temi spazieranno dalla memoria del Yom Ha Shoah ai medici ebrei, fino a «Helena Rubinstein: la donna che inventò la bellezza» all antigiudaismo e antisemitismo cattolico. Lunedì, il convegno «Conversos, marrani e nuove comunità ebraiche nella prima età moderna». SCAFFALE «Il Parlamento non è un pranzo di gala», edito da Rubettino La mia passione politica scorre nelle tue parole Nel libro, Franca Chiaromonte e Antonia Tomassini spiegano la loro particolarissima relazione comunicativa ne cerebrale che renderà per sempre difficile parlare, scrivere, camminare, guidare la barca nel mare della Costiera amalfitana. Franca ha nel cuore e nel cervello una passione grandissima per la politica. Vissuta in contesti molto diversi, ma per lei sempre in qualche modo comunicanti. Nel Pci facile evocare l eredità del padre Gerardo e della madre Bice - e in quello che ne è seguito. Nel femminismo italiano più radicale. Nel Parlamento, dove è stata deputata e poi senatrice sino alla legislatura conclusa nel marzo È uscita dalla malattia con la stessa lucidità di pensiero, lo stesso sguardo vivace e profondo, il sorriso luminoso. E con questo spirito ora ha scritto insieme a Antonia Tomassini un libro credo unico nel suo genere. Il Parlamento non è un pranzo di gala è il titolo che evoca Mao: riflette lo sguardo ironico che si incrocia nella foto di copertina tra le due autrici (edito da Rubettino, con una affettuosa lettera di Giorgio Napolitano, pp. 143, euro 13). È la storia della collaborazione e della relazione, per nulla semplice, tra due donne alle prese con il problema di rendere possibile una piena attività politica e parlamentare a una persona che si esprime con difficoltà, nonostante la pienezza delle sue analisi e della sua volontà. Due donne molto diverse: «Franca scrive Antonia (il libro è un intreccio tra interventi dell una e dell altra, e di parti a due voci) - donna comunista e di destra, desiderava ricominciare a contare Antonia, giovane donna di sinistra, aveva voglia di lavorare dentro le istituzioni». E ci sarebbe da discutere su queste etichette: diciamo che le due protagoniste se le attribuiscono non senza riserve, spesso ironiche, a volte risentite. Ma sempre alla ricerca di uno scambio sincero. Il fatto nuovo è che la collaboratrice di una parlamentare viene ammessa ai lavori della Commissione Sanità del Senato, dove opera Franca, e ottiene dopo tutti gli indispensabili passaggi istituzionali il permesso anche di parlare a nome suo. Una conquista che crea un precedente valido per altre simili situazioni, e che per ora si arresta al limite dell Aula, ai cui lavori, nonostante la richiesta, la doppia presenza resta vietata (chissà se ora che si parla LA SENATRICE DEL PD FRANCA CHIAROMONTE tanto di riforme anche questa piccola-grande innovazione potrà ottenere un pieno riconoscimento). Ma ciò che attira, nella scrittura, è proprio il rapporto tra loro due, in un contesto che racconta tanti passaggi e dilemmi della politica italiana degli ultimi anni. Le passioni politiche della senatrice Chiaromonte infatti sono molteplici, e possono anche apparire contraddittorie. C è la battaglia per il testamento biologico, contro le chiusure ideologiche di tanta parte della destra al governo, con le acute polemiche sulla vicenda di Eluana Englaro, che produrranno lacerazioni anche dentro il Pd. Antonia per la prima volta deve intervenire: «non ricordo affatto come mi sono sentita ricordo solo la sensazione che mi ha sempre accompagnato di avere Franca accanto, con la nostra complicità e il reciproco sostegno». Interpretare perfettamente in una sede istituzionale il pensiero di un altra persona non è certo facile, tanto più quando si fanno i conti anche con le proprie radicate opinioni politiche. Mentre infuriano le polemiche su Berlusconi e contro la «casta», Franca presenta insieme al senatore Luigi Compagna del Pdl la proposta per reintrodurre nella Costituzione l immunità parlamentare, in solitudine e suscitando non poche riserve nel suo partito. Quando il ministro Sacconi parla del suo «libro bianco» sul welfare, Franca spesso consente. Antonia la pensa all opposto. E quando scrive e pronuncia l intervento a nome della senatrice Chiaromonte ci mette qualcosa in più delle sue opinioni critiche, per quanto «oggettivamente» fondate sui dati Istat, che studia con caparbietà. Sintonie profonde, invece, se l impegno è contro le «dimissioni in bianco», o per portare all attenzione del Parlamento i ritmi insopportabili imposti da Marchionne alle operaie della Fiat. Ma il testo in cui emerge in modo più toccante la doppia voce di questa strana coppia è quello pronunciato, questa volta esplicitamente a nome di entrambe, al convegno sulla «cura del vivere» organizzato a Roma nell ottobre 2011 dal gruppo delle «femministe del mercoledì». È la testimonianza anche di una diversità di opinioni tanto per cambiare - sul tema della cura, ma insieme la rivendicazione piena di una «cura della relazione». Il nostro, dice Antonia, «è un lavoro di cura. Cura del pensiero di Franca, tentativo continuo di offrire un rispettoso megafono al suo mondo di idee e di sensazioni. Cura di me, delle passioni che questo mi muove, le difficoltà, le incertezze, il dovere di farla parlare e la voglia a mia volta di dire la mia». Ci sarebbe molto da riferire sul mondo femminile e femminista che circonda Franca e con lei Letizia Paolozzi, sempre vicina, e che affolla il racconto con tante figure amiche, sentimenti e discussioni di cui le autrici sono continuamente al centro. Nelle pagine conclusive la parola torna a Franca, che riassume con semplicità «un esperienza importante, a volte anche triste, bella e intensa». Che può aiutare anche altri a «sperimentare la possibilità di un ritorno alla normalità. Sono consapevole dei miei privilegi, di cui sono fondamentali le relazioni affettive. Grazie a loro ho combattuto». Kipling le raccontava «proprio così» Arianna Di Genova A ndavano lette ad alta voce, con tutte le intonazioni dei personaggi, mimando la cantilena delle parole e le assonanze ipnotiche di meravigliose invenzioni linguistiche, uno scoppiettìo rigoglioso, come le foreste africane e indiane che venivano narrate. Rudyard Kipling raccontava le sue «storie proprio così» (Just So Stories, in originale) in quel crepuscolo della mente che avvolge i bambini prima che si abbandonino al sonno. D improvviso, quella veglia già onirica si popolava di animali stravaganti, che spiegavano in modo fantastico le tappe di un evoluzione per nulla darwiniana e tantomeno scientifica. La prima a goderne, di quelle storielle deliziose, fu la primogenita Effie («oh, angelo mio» è il refrain che la introduce dritta dritta dentro le pagine), poi a ruota tutti gli altri figli, amichetti compresi. L editore Donzelli ora ne ripubblica alcune (già nel 2010 le aveva proposte in una elegante versione rilegata), concedendo il titolo al felino della savana e spostando lo scenario in un assolato paesaggio sudafricano: Rudyard Kipling Come mai il leopardo ha le macchie e altre sei Storie proprio così (pp. 159, euro 14). La traduzione è di Bianca Lazzaro che, però, interrompe l andamento ritmico della prosa e scioglie le cadenze e le «formule incantatorie», a cui amava richiamarsi Kipling. Le illustrazioni sono opera di May Angeli, un artista francese celebre soprattutto per la sua tecnica di incisione sul legno: non è un particolare trascurabile perché Kipling disegnò per i suoi racconti altrettante tavole in bianco e nero, utilizzando la medesima tecnica. Il risultato fu una serie di raffinate silhouettes, quasi ombre cinesi ritagliate nel candore della carta. Nipote del preraffaellita sir Edward Burne-Jones, amico di Audrey Beardsley, lo scrittore premio nobel nel 1907 non disdegnava neanche le stampe giapponesi: nelle prove di pittura fece tesoro del suo sguardo onnivoro. Quelle brevi storie - perché la balena ha la gola stretta, il cammello la gobba, il rinoceronte la pelle grinzosa e ruvida, l elefante la proboscide e gli armadilli sono così eccentrici, ma anche perché il gatto se ne va sempre per fatti suoi (qui non riportata) - non subivano mai variazioni. A confessarlo è Kipling stesso perché con Effie «non era permesso alterarne neppure una parolina. Andavano raccontate proprio così (da qui il titolo, ndr), altrimenti sarebbe saltata su per ripristinare la frase mancante». Nella narrazione si mescolano liberamente cose conosciute e fascino dell ignoto - anche se lo scrittore, per descrivere il limaccioso grigioverde fiume Limpopo, protagonista della lotta acquatica fra un elefantino e il coccodrillo, era andato sulle sue rive, a vederlo di persona. Siamo certi che fra i rami della savana o della giungla si siano addormentati, come Mowgli, uno dopo l altro, tutti i suoi figli. Sognando terre lontane e bellissime. Alberto Leiss U n 11 settembre di dieci anni fa (la stessa data del crollo delle Torri, dell omicidio di Allende ) qualcosa di terribile accade a Franca Chiaromonte. «Un camion, un treno? Non l avevo visto arrivare; non avevo sentito nessun rumore, eppure sono rimasta schiacciata». L incidente in realtà accade dentro il corpo di Franca, provoca un lungo coma, e una lesio- SAGGI «Lombroso e il brigante. Storia di un cranio conteso» di Maria Teresa Milicia Villella e la questione meridionale Marina Montesano N on è operazione facile, oggi, ripercorrere la storia dell unità d Italia. Concetti, idee, magari dogmi che fino a poco tempo fa sembravano far parte di una coscienza condivisa, oggi inducono aspri dibattiti; la convinzione di fondo della bontà del processo unitario oggi lascia il posto a critiche estreme: tra indipendentisti veneti e neoborbonici meridionali i punti di vista sono probabilmente diversi su tutto, tranne che sulla voglia di farla finita con il mito di un unità voluta dall insieme degli italiani. Ch era, appunto, un mito: da indagare, da comprendere, da smontare finché si vuole; e l analisi storiografica a questo serve e ha in effetti compiuto passi interessanti nella giusta direzione. Senonché, alla retorica patriottarda insopportabile che circolava e ancora spesso circola, è facile che oggi si sostituiscono sentimenti contrari ma altrettanto se non più beceri e irritanti; fino a qualche tempo fa percorrevano l Italia tra Veneto e Lombardia (dal «dio Po» ad Alberto da Giussano ad altre pagliacciate folkloristiche), oggi fanno capolino anche in Italia meridionale, non tanto nell ambito della politica, quanto attraverso la rete, le pubblicazioni non accademiche, la propaganda di centri culturali o sedicenti tali. La vera esistenza del bracciante calabrese, detenuto per reati comuni, che fornì al criminologo la «materia» per le sue teorie Così, di recente, è accaduto che la presentazione del nuovo libro di Maria Teresa Milicia, Lombroso e il brigante. Storia di un cranio conteso (Salerno editrice, pp. 167, euro 12), prevista a Motta Santa Lucia in Calabria (regione della quale Milicia è originaria) sia stata cancellata per il timore di contestazioni troppo dure. Il libro così controverso ricostruisce l ambiente sociale e intellettuale nel quale si svilupparono le teorie di antropologia criminale di Cesare Lombroso, al centro delle quali si trovava l osservazione di un cranio attribuito a un uomo, Giuseppe Villella, nato appunto a Motta Santa Lucia e morto a Pavia, dov era detenuto. Ben poco è noto circa la vita e le ragioni della carcerazione del Villella; nonostante ciò, la volontà di assegnare a Lombroso e alle sue discutibili teorie il ruolo di costruttore di un razzismo biologico antimeridionale ha fatto sì che il povero Villella sia assurto al ruolo di «brigante», inteso ovviamente quale sinonimo immediato di combattente per la libertà del sud contro l annessione piemontese, per quanti ne reclamano ormai la memoria di martire. In realtà, gli si attribuisce un ruolo non suo; Milicia ricostruisce, attraverso un accurata analisi delle fonti d archivio, ciò ch è dato sapere dell esistenza da bracciante di Villella e della condanna a pene detentive per reati comuni; la carcerazione lo condussero a morire in carcere per le patologie che affliggevano (e sovente purtroppo affliggono) i detenuti. Insomma non un prigioniero politico, non un martire, ma come tanti altri la vittima di uno stato di povertà e di deprivazione estreme. Curioso che la ricostruzione della sua esistenza si debba alla studiosa contestata per aver difeso la memoria di Lombroso, e di conseguenza offeso quella di Villella, considerato una sua vittima a causa di un apparente difetto della conformazione del suo cranio che, arrivato fra le mani di Lombroso, avrebbe indotto lo studioso a formulare le teorie per cui è noto. Curioso, soprattutto, che i fanatici indignati per l ipotesi della presentazione in Calabria non abbiano voluto leggere con maggiore attenzione un libro che non costituisce un assoluzione di Cesare Lombroso, ma che è una ricostruzione accurata e a tratti anche divertente di un personaggio, di un ambiente culturale in senso lato e accademico in senso stretto. I percorsi che condussero alla sviluppo di un razzismo antimeridionale e in particolare anticalabrese sono indagati, non elusi. Inutile forse ripetere che la storia non andrebbe trattata alla stregua di una partita di calcio, nella quale è lecito tifare per la propria squadra anche quando non se lo merita, anzi magari soprattutto quando non se lo merita. Nel caso della storia, che sia quelle della «questione meridionale» o di tante altre ferite aperte, l indagine è sovrana e i suoi risultati si possono e si devono contestare solo attraverso altre analisi, non per partito preso. Non esistono verità acclarate una volta per tutte, nel campo della ricerca storica. Il lavoro compiuto da Maria Teresa Milicia è accurato e certamente non chiude una questione molto più ampia qual è quella del rapporto tra unità d Italia e questione meridionale, né certo l autrice sembra mirare a un obiettivo del genere. Si limita a tracciare un quadro di storia culturale preciso e attendibile. Non è poco.

12 pagina 12 il manifesto SABATO 26 APRILE 2014 A teatro VISIONI Grande è la confusione sotto il cielo del Campidoglio dove al sindaco tocca ora la patata bollente delle nomine all Argentina dopo l incredibile «caso Cutaia» Gianfranco Capitta I l sindaco Marino, nel suo intervento di ieri su questo giornale, risponde a molte delle questioni che gli sono state poste, ma certo il dato più inquietante e irritante è come molte di quelle «urgenze» e ingiustizie che i cittadini romani si trovano ad affrontare, vengano in grandissima parte diritte diritte dalla precedente amministrazione a guida Alemanno. Oggi le fazioni e gli schieramenti sono dentro il Pd romano, rappresentativi di interessi che fanno capo a chi li sostiene. Poi ci sono punti e settori, come parte della cultura, dove i suoi predecessori, per insipienza e insicurezza, sono stati «fermi». Hanno razziato dove si sentivano forti (come al teatro dell Opera), si sono interdetti e astenuti da ogni iniziativa in altri, come sul Teatro di Roma. Ora sta per chiudersi la settimana più difficile dell anno per l intera giunta Marino: bilancio in faticosa definizione; lunedì scorso, ricorrenza del natale di Roma con branchi di centurioni in bella mostra e regia colta di Piero Angela; oggi e domani l invasione di centinaia di migliaia di persone per acclamare i papi santi, e soprattutto applaudire quello vivente. In queste stesse ore, il sindaco Marino è alle prese con un problema, quello della scelta della direzione del teatro di Roma (ovvero di chi disegnerà in buona misura la copertina e il profilo culturale dei prossimi anni della città, in Italia come all estero), in una situazione che sarebbe tragicomica se non fosse disperata. C è stata, come usa ora, tutta una serie di proposte, candidature, vagli, addirittura dei provini dei candidati «finalisti» (ovvero sopravvissuti alla falcidie dei massmedia) da parte del cda, che a sua volta ne ha riferito al sindaco. Quindi proprio nelle mani di Marino sta la famosa «patata bollente». Perché si ricomincia tutto da capo dopo mesi e mesi di attesa, e l incredibile «caso Cutaia» chiuso frettolosamente dal neoministro Franceschini che ha rimandato al ministero (dopo due mesi di lavoro a Luca Fazio MILANO A nna Serlenga, 31 anni, regista teatrale, non si sente un cervello in fuga e non ha mai fatto la rivoluzione. Però ROMA A Marino la decisione finale sulla direzione del teatro stabile Troppi candidati alla Rupe Tarpea INCONTRI «Dégage!» della regista Anna Serlenga Quando Tunisi bruciava, scene dalla primavera tradita «Ho trovato in quel paese una vitalità incredibile, e qui sperimento vari linguaggi con materiali video e riprese da YouTube» tempo pieno all Argentina) l alto dirigente che proprio «in quanto tale» si è viste sbarrate le porte dello stabile. Sulla scelta del nome poi si registra da tempo una vistosa festa pirotecnica. Sui giornali son passati decine e decine di nomi con improvvisate qualifiche, e anche sul web piovono a raffica interventi, crociate e «chiamate a raccolta» da parte di più o meno interessati (più probabile il primo caso) esperti. Stupisce semmai che le molte persone che nel teatro vivono (attori, tecnici, organizzatori) siano però rimasti in un apparente e mortificato disinteresse. Mentre in privato sono prodighi di battute e «voci» di cui si fanno con piacere corridoio, non c è stata nessuna manifestazione o dichiarazione pubblica perché l Argentina abbia una buona direzione. Nessuno si sogna di dire le poche caratteristiche necessarie a un incarico così delicato: la conoscenza della materia anche nei suoi aspetti più concreti; la capacità di trovare interlocutori disposti a investire nel teatro (anche se questo sarebbe compito precipuo del cda) in un paesaggio che va dagli sponsor agli attori importanti; l autorevolezza nell ambiente guadagnata sul campo scenico; la conoscenza non minoritaria dei colleghi stranieri con cui intessere rapporti e progetti. Sembra l uovo di Colombo, ma non lo è. La prima dote necessaria sembra ancora oggi rimanere la logica dell appartenenza politica, resa variopinta dall esercito di dame e damazze di ogni età in piena campagna elettorale (come fosse una citazione dei trenini de La grande bellezza). Fino al paradosso per cui i mille rivoli del Pd romano si dividono nell appoggio a due candidati diversi, Antonio da un anno e mezzo respira l aria di Tunisi. Si è rifugiata in una delle capitali delle cosiddette «primavere arabe» per una ricerca di dottorato sul teatro al tempo della rivoluzione, e lì ha trovato il coraggio di domandarsi qual è la vita che non ha bisogno di essere cambiata. Di un popolo, ma anche la sua, come quella di chiunque altro, anche per un solo istante che non è destinato a fare storia. La ricerca è diventata uno spettacolo - Dégage! - che non vuole celebrare la rivoluzione tunisina ma soprattutto interrogare una generazione disorientata che non sa trovare risposte sull altra sponda del Mediterraneo, la nostra. Lo spettacolo che ha debutato ieri a Milano al teatro Zona K di via Spalato 11, zona Isola (con repliche fino al 28 aprile). Sulla scena tre giovani attori rivoltosi, Saoussen Babba, Rabii Brahim e Aymen Mejri. Erano lì quando Tunisi bruciava contagiando tutto il mondo arabo. Non deve essere semplice preparare uno spettacolo in Tunisia... No, ma sono stata travolta da una vitalità straordinaria. Ho trovato una scena vivacissima e un entusiasmo che difficilmente si trova dalle nostre parti. Senza nemmeno accorgermene sono stata sommersa da diversi progetti teatrali, un caos ma creativo. Fin qui, tutto facile. Il finanziamento ovviamente è stato ed è un problema, ancora adesso stiamo facendo una raccolta fondi. Sia a Tunisi che a Milano abbiamo almeno trovato grande disponibilità di spazi per provare e residenze per dormire. Ringrazio l associazione Olinda del Paolo Pini. Il vero problema sono stati i visti, è quasi impossibile per un tunisino viaggiare nella fortezza Europa, anche solo per lavorare. Perché il debutto proprio a Milano? È la mia città ed è stato il massimo andare in scena il 25 aprile con un lavoro che chiede al pubblico di domandarsi quale è la soglia oltre la quale avvertiamo la necessità di compiere un azione per il cambiamento. Non ci interessa fare una narrazione civile sulla rivoluzione tunisina, piuttosto vorremmo ragionare con il pubblico sul significato di ogni ribellione. Ci racconti lo spettacolo? È una piéce che attraversa generi diversi, un teatro politico che lavora sulla sperimentazione di linguaggi utilizzando materiali video e riprese di YouTube, uno dei motori della rivolta. Gli attori sono professionisti ma sono anche testimoni della storia che raccontano, è un teatro molto fisico. Come descriveresti Tunisi a più di tre anni dalla rivoluzione? Abbiamo iniziato questo lavoro un anno e mezzo fa, ma la situazione oggi è molto cambiata. La retorica della rivoluzione è solo un ricordo e la situazione per certi versi è peggiorata. La disoccupazione è cresciuta, la corruzione continua a dilagare e gli estremisti islamici cominciano a guadagnare spazi di agibilità che prima non avevano. A Tunisi si respira un aria di equilibrio instabile ma nonostante tutto la società civile ha tenuto, prova ne è una Costituzione laica molto avanzata. I giovani attori di Dégage! qui in Italia li definiremmo esponenti del «movimento». È per questo che si aspettavano qualcosa di diverso? Una generazione intera si aspettava qualcosa di diverso. Saoussen, Rabii e Aymen hanno partecipato alla rivolta come Calbi e Renato Quaglia. Situazione curiosa, per quanto entrambi non abbiano mai rinunciato alle attribuzioni politiche. Il primo è il dirigente massimo del teatro presso il comune di Milano, cui arrivò con la sindaca Moratti e l assessore Sgarbi. Ha diretto per un breve periodo il romano teatro Eliseo, con una politica di commistione dei generi e dell identità della sala che fu di Visconti, che da quel momento ha visto precipitare abbonati e frequenze. Stesso principio al Mittelfest, che nell anno della sua direzione ha rinunciato ad ogni caratterizzazione «mitteleuropea», per la cui cultura era stato fondato. Quaglia, dopo una esperienza organizzativa alla Biennale veneziana conclusasi con una fuoruscita improvvisa, è stato poi alla direzione del Napoli Teatro Festival, imposto dal governatore Bassolino. Entrambi hanno lavorato con grandi finanziamenti che oggi sono drammaticamente finiti, e dalla prospettiva burocratica o politica, sembrano lontani entrambi dal lavoro certosino e di grande equilibrio di un teatro dove tutto deve essere condiviso e fatto insieme. Le altre due candidate sono donne, Debora Pietrobono e Natalia Di Iorio, entrambi organizzatrici teatrali anche se di impari curriculum. La prima paga il prezzo dell esperienza ancora giovane, oltre al fatto, denunciato da Dagospia, di lavorare come ufficio stampa, attualmente proprio per il presidente del cda del teatro, nella sua funzione principale di direttore di Radiotre Rai. La seconda lavora in teatro da molti anni, ed ha avuto sotto le sue cure in passato artisti piuttosto importanti da Mario Martone a Spiro Scimone a Danio Manfredini. Oggi gestisce nomi come Toni Servillo e Fabrizio Gifuni, anche se naturalmente ha già dichiarato di doverli abbandonare in caso di nomina. Sembra un bel rebus per il sindaco Marino cui è demandata la scelta, che gli farà sembrare complimenti le benedizioni che gli automobilisti gli rivolgono a canone, nel panorama di crateri delle strade romane. NELLA FOTO GRANDE UNA SCENA TRATTA DA «LA GRANDE BELLEZZA» DI PAOLO SORRENTINO, A SINISTRA UN MOMENTO DI «DEGAGE!» DI ANNA SERLENGA, E IN ALTO A DESTRA «VOGLIO TORNARE A CASA» DI DAVIDE FERRARI migliaia di giovani distanti da associazioni o partiti. Oggi sono disillusi, l energia che li ha tenuti insieme si è dispersa, il movimento fatica a ritrovarsi, eppure continua a esserci una capacità di reazione alle cose. I ragazzi non si sentono rappresentati, ci sono leggi restrittive, soprattutto per l uso degli stupefacenti, hanno arrestato musicisti e rapper, di fatto sono gli artisti più popolari che fanno anche politica. Come tanti altri, anche tu sei stata attratta dalla rivoluzione. Cosa ti rimane addosso di quell esperienza? Sì, è vero. Non ho mai vissuto un esperienza equivalente, posso citare Genova 2001 ma non è minimamente paragonabile alla rivoluzione tunisina. Ho incontrato molti occidentali e tutti cercavano in qualche modo di studiare la rivoluzione, come per imparare a ricreare una necessità tutta nostra per spingerci a cambiare le cose. Adesso, come di fronte a uno specchio, mi ritrovo con un intera generazione di giovani tunisini che sta vivendo una sorta di impasse e aspettative tradite, ma all interno di un sistema come il nostro che si vuole democratico. GENOVA Davide Ferrari ci porta alla scoperta del «reato di viaggio» Guido Festinese GENOVA E rri De Luca, in diversi interventi scritti e parlati, in questi anni ha più volte ribadito un concetto che dovrebbe essere di immediata e umana evidenza, a chiunque, ed invece rischia di sembrare uno slogan della «sinistra radicale», qualsiasi cosa voglia dire la definizione politica con annesso aggettivo. Il concetto è questo: in Italia è esistito (e continua esistere, vedi alla voce Lampedusa, Cie ed affini) il reato di «immigrazione clandestina», che in italiano vero dovrebbe tradursi «reato di viaggio». La colpa dunque è il muoversi stesso, il «viaggio» obbligato per scampare la fame che ti ulcera lo stomaco o la guerra, che il cibo non te lo fa neppure più sperare. Reato di viaggio. Brutta storia, per un popolo, il nostro, che conta almeno una popolazione parallela all estero a causa di «reato di viaggio», nell ultimo centinaio di anni e spiccioli. La memoria è corta, la memoria dell arte, della musica, del teatro per fortuna no. A dare una mano alla memoria del viaggio, e, per una volta, all ansia di voler ritornare nel proprio Paese, o, almeno, provare a farlo, ci ha pensato Davide Ferrari. Musicista, musicoterapeuta, direttore dal 92 del Festival musicale del Mediterraneo, ma anche fondatore, nel 2007, della Banda di Piazza Caricamento, uno dei diversi ensemble che in Italia, da nord a sud, hanno dato conto in questi anni di quante energie si potessero mettere in circolo ad aver voglia di mettersi in ascolto dell «altro» colpevole di «viaggio». Al Teatro della Corte di Genova Ferrari ha messo in scena Voglio tornare a casa (che ha date in via di definizione per la prossima estate): utilizzando al contempo le fresche energie di membri della Banda, ma anche eccellenti apporti dal mondo delle musiche, della danza, del teatro non occidentale. Ad esempio quel genio del movimento, della danza, dell improvvisazione, delle arti marziali che è l indonesiano Tapa Sudana, storico attore di Peter Brook, Medard Sossa, imponente e flessuoso danzatore voodoo contemporaneo dal Benin, la voce straziante ed ammaliatrice di Lorraine McCauley, autrice irlandese, che nella conclusiva Final Call fa incrociare lingue ed arpeggi in una sorta di esperanto della dolcezza, e tanti altri. La scelta registica prevede pochissimi oggetti in scena: un altalena, una serie di casse che simulano un treno, una porta. È un ricordo narrato, danzato, alluso ed eluso assieme sulle «soglie» da attraversare per cercare un ritorno: dove la soglia, il limen continuamente citato dalla voce fuori scena, è anche quello dell identità in continua re-definizione, quando ti trovi a confronto con un mondo «altro» e per nulla accomodante, la soglia della propria pelle che ci separa e ci unisce agli altri, la lingua in continua mutazione, la necessità di continuare a sognare, nonostante tutto. Più una pulsante, stupita immersione onirica che una vera e propria logica «azione» in quadri conseguenti, dunque. In scena c è davvero una soglia, una sorta diremmo di «earth gate» che è il ritorno a casa immaginato e continuamente negato (dai fatti, dalle leggi assurde, dalla necessità): sicché la processione finale con i propri poveri oggetti sul capo attraverso la porta, in un viaggio a ritroso, appare più un passaggio verso un Altrove assoluto che un ritorno fisico auspicato.

13 SABATO 26 APRILE 2014 il manifesto pagina 13 VISIONI KRAFTWERK La data fissata è quella del 14 luglio quando il gruppo tedesco dei Kraftwerk approderà sul palco della Cavea all aperto dell Auditorium parco della musica di Roma, ospite di punta nel cartellone della stagione 2014 della rassegna Luglio Suona Bene. Il gruppo tedesco porterà in Italia - in unica data - il nuovo spettacolo in 3D, un art-rave elettronico che ha debuttato nel 2012 al Sónar di São Paulo. Nati a Dusseldorf nel 1970 dall unione di Ralf Hütter e Florian Schneider sono stati nei settanta ispiratori di una elettronica che si fondeva con la musica d avanguardia. Otto gli album registrati e prodotti nel loro Kling Klang Studio - fra i quali «Autobahn» (1974), «Radio-Activity» (1975) e «The Man Machine» (1978). Il nuovo spettacolo è una forma unica di performance art contemporanea, adatta la tecnologia 3D al linguaggio musicale dei Kraftwerk, dando corpo e volume alle immagini che hanno accompagnato la band nel corso della loro carriera. JOAN AS A POLICE WOMAN, A DESTRA LA SFILATA PRADA PRIMAVERA/ESTATE SOTTO UNA SCENA DA «QUI NON C È PERCHÈ» DI ANDREA MOLINO ManiFashion Il gigante dai piedi di argilla Michele Ciavarella HOLLYWOOD Il «terzo» Lo Hobbit arriva il 14 dicembre INTERVISTA Con «The Classic» torna dopo tre anni la cantante americana Joan as Policewoman, ogni tanto è bello voltarsi indietro Serena Valietti T he Classic, il nuovo album di Joan as Policewoman, potrebbe essere nato all'ombra della «Retromania», quell'ossessione per il passato prossimo della cultura pop, teorizzata dal critico musicale inglese Simon Reynolds nel suo libro omonimo. Potrebbe esserlo, forse senza ossessione, ma con tratti di spensieratezza, se si considera che The Classic, il singolo, è una traccia soul che suona allo stesso tempo fresca e retrò. Una canzone dove Joan si presenta luminosa, supportata da cori a cappella adagiati su un tessuto sonoro a base di beat box e un arrangiamento singolare firmato da Reggie Watts, icona della stand up comedy americana. Sulla stessa linea Holy City, altro singolo estratto dall'album, il cui video cita volutamente i lustrini degli anni Settanta, per guardare poi ai Sessanta, dove Joan in un simil talk show canta seduta accanto a Neil Armstrong, il primo uomo sulla Luna. Il video conferma la tendenza retromaniac dell'ispirazione, in bilico tra l'easy listening moderno e un sound che attinge alle memorie sonore della Wasser: «Ho ascoltato Al Green e Stevie Wonder ancora prima dei Beatles spiega - ho sentito quella musica per anni da piccola, innamorandomi di quel suono caldo e avvolgente. Quelle atmosfere col tempo si sono depositate da qualche parte nella mia testa, per poi fare capolino qua e là negli anni, tra il punk e la musica classica: era giunto il momento di lasciargli più spazio». Così è nato The Classic, a tre anni da The deep field e a poca distanza dalla riedizione di Hai paura del buio? degli Afterhours, dove lei canta in Senza «Ascoltavo Al Green e Stevie Wonder prima dei Beatles, e di quel suono mi sono innamorata» finestra. «Negli ultimi tre anni, oltre a cercare un suono molto pulito, mi sono ostinata a lavorare in presa diretta per trasferire nel disco tutta l'energia della sala prove». E aggiunge: «Mi sono concentrata tantissimo sulla voce, facendomi un idea sempre più precisa di come volevo che suonasse». Joan utilizza volutamente il verbo suonare, perché dopo anni passati a parlare di sé attraverso il violino, ora sente che «la voce comincia davvero a funzionare come uno strumento musicale: quando ho iniziato a cantare ero molto spaventata, ero abituata ad avere il violino o la chitarra come ponte tra le mie emozioni e il pubblico. Tra la voce e me stessa invece non c'erano mediazioni, mi sentivo nuda. Mi ci è voluto molto tempo perché riuscisi a cantare liberamente e a scoprire quale fosse la mia vera voce, fino a dove la potessi portare o dove lei potesse portare me. Witness, uno dei nuovi brani, rappresenta proprio l'avvio di un nuovo capitolo del mio percorso», una dichiarazione d'amore, per il soul. «Davanti a me ora ci sono good vibes e gioia», stato d'animo confermato dallo scoppiettante ritmo in levare di Ask me: «sono felice, ma so che una parte di me sarà sempre un po malinconica. Questo lavoro però rappresenta un occasione in cui mettere in luce ciò che da sempre fa parte di me, come la passione per il soul, così vicina al mio sentire». La canzone d'amore preferita di Joan infatti è non a caso un classico del 1964 come Wild is the wind nella versione di Nina Simone. «Una grande ispirazione che mi accompagna da sempre nello scrivere canzoni, insieme alla sensibilità soul, un genere molto più centrato sui sentimenti rispetto ad altri. In un pezzo soul all amore succede di tutto: lo si trova, lo si perde, lo si sogna, o ancora si spera di trovarlo, si vive la gioia di essere innamorati. Quello che mi ha toccato profondamente nella vita riguarda l'amore, quello romantico, quello fraterno per gli amici e le sue mille forme». Come l'amore per la musica che accompagna Joan fin da quando a otto anni si è dedicata al violino, dopo i primi passi alla tastiera del pianoforte: «studiare uno strumento mi ha insegnato molto: dall aver tenacia nell esercizio, al miglioramento costante; inoltre suonare in un orchestra o in una formazione da camera è un esperienza incredibile, ho capito come ognuno di noi sia fondamentale con il proprio contributo non solo sul palco, ma soprattutto nella vita. Suonando ho anche imparato a relazionarmi meglio: è provato scientificamente che studiando uno strumento fin da piccoli non solo impari a rispettare di più l altro, ma anche le capacità cognitive si sviluppano di più. Sono convinta che se ognuno suonasse uno strumento avremmo un mondo diverso, ma evidentemente nessuno al Governo la pensa così, visto che stanno tagliando tutti i programmi scolastici legati all'insegnamento della musica negli Stati uniti: in tempo di crisi i fondi si tolgono proprio agli ambiti apparentemente meno importanti, ma fondamentali per vivere meglio insieme». Svelato, finalmente, il titolo della terza e ultima puntata della saga de «Lo Hobbit». Non si intitolerà più «There and Back Again» bensì «The Battle of the Five Armies». Ad annunciarlo, sul suo profilo Facebook, lo stesso regista Peter Jackson. «Quando abbiamo iniziato, sul finire dell'anno scorso, ci fu una conversazione con lo studio sull'idea di tornare a riesaminare il titolo - ha scritto Jackson- Abbiamo deciso di manterere la mente aperta fino a che la prima versione della pellicola non fosse conclusa. Eravamo a questo punto la settimana scorsa, e dopo averla vista, siamo stati tutti d'accordo che adesso c è un titolo totalmente appropriato. E così è rimasto: «The Hobbit: The Battle of the Five Armies». All'inizio, la pellicola si doveva intitolare»the Hobbit: There and Back Again«. L'arrivo nelle sale - probabile la contemporanea mondiale - è stata programmata per il prossimo 14 dicembre. CALCIO Morto «Tito» Vilanova, ex allenatore del Barca Non ce l ha fatta Frances Villanova, conosciuto dagli sportivi come semplicemente come «Tito». L ex allenatore del Barcellona è morto ieri sera, a 45 anni, per un riacutizzarsi di un tumore di cui soffriva da tre anni. Nello squadrone catalano Tito aveva investito tutto, era stato l allenatore per sei anni delle giovanili dopo aver conosciuto Guardiola che una volta diventato mister dei blugrana, aveva voluto lui come secondo. Poi, nel 2012, dopo aver vinto tutto il possibile Guardiola aveva deciso di lasciare il club indicando proprio Tito come suo successore, grazie alla sua profonda conoscenza del modulo. Un anno trionfale, culminato con la vittoria della Liga, quando il male - che lo aveva colpito durante lo svolgimento del campionato - lo costringe a lasciare la panchina a Jordi Roura. Il 19 luglio dello scorso anno la decisione di separarsi dal club, perché le condizioni non gli consentivano di continuare. U na grande confusione regna sotto il cielo della moda che deve sopportare numeri giganteschi. La Camera Nazionale della Moda Italiana, la Fédération Française de la Couture du Prêt-à-Porter e il British Fashion Council si sono da poco accordati per una razionalizzazione dei calendari delle sfilate. Gli appuntamenti annuali con le fashion week più importanti sono numerosissimi: 4 a Milano, 6 a Parigi (comprese le due per la Haute Couture), 4 a Londra e 2 a New York. La presentazione delle collezioni femminili autunno/inverno nelle quattro città principali occupa un mese intero, più o meno dal 5 febbraio al 5 marzo. Contando sui calendari delle quattro fashion week, nella scorsa edizione di febbraio-marzo 2014 ci sono state 599 sfilate. Con lo stesso metodo di calcolo, 20 anni fa, nel 1994, ne sono state contate 132 e 10 anni fa, nel 2004, ci si ferma a 198, mentre le giornate di sfilate sono passate dai 22 giorni del 1994 agli oltre 30 del Quindi, se un coscienzioso operatore, giornalista o compratore, volesse presenziare a tutte le sfilate, lo scorso febbraio avrebbe dovuto assistere a circa 19 sfilate al giorno: calcolando che il tempo necessario per ogni sfilata è di circa un ora e che ogni sfilata si svolge in una location diversa, spesso distante dalla precedente, la missione è impossibile. Il sistema, però, è visibilmente in crash perché alla fine di ogni sessione le sfilate che restano nella memoria di tutti, stampa e buyers, sono le solite quattro o cinque per fashion week, e cioè quelle in cui lo stilista riesce a rappresentare il proprio mondo creativo staccandosi dalla rappresentazione commerciale dell abito. Anche perché, al momento della sfilata la maggior parte dei marchi hanno già completato i budget di vendita stagionali con le così dette pre-collezioni, cioè quelle che si ritrovano in vendita nei negozi perché le collezioni che si vedono in sfilata sono dedicate a rappresentare il picco creativo dello stilista e i negozianti ordinano pochi capi per lo più per esibirli nelle vetrine. E allora, perché si fanno le sfilate? La risposta più logica sarebbe che è proprio nel momento della sfilata che prende vita quella differenza tra l abito (concretezza) e la moda (idea creativa) che molti si ostinano a non prendere in considerazione, con la conseguenza che spesso sulle passerelle salgono solo gli abiti perché dietro non c è un pensiero di moda. Sono queste le sfilate che cadono nel dimenticatoio e che alimentano la confusione che regna all interno del gigantismo di cui è affetto il fashion system. Prima che la moda diventi un gigante dai piedi di argilla e crolli su stesso, quindi, vanno presi dei provvedimenti. Qualche anno fa, Patrizio Bertelli, Ceo di Prada, aveva proposto almeno di riunire la presentazione della moda maschile e femminile in un sola sfilata e di stabilire tempi più consoni alle esigenze commerciali, in due appuntamenti annuali di fine giugno e fine gennaio. Purtroppo, un messaggio finora inascolato. manifashion.ciavarella@ gmail.com Giampiero Cane BOLOGNA A vrà mai un secondo allestimento l opera di Andrea Molino Qui non c è perché, presentata al Comunale, lo scorso giovedì? C è da dubitarne malgrado per la messa in scena sia stata inventata una strategia con cui si è cercato di interessare allo spettacolo anche un pubblico per il quale l opera è come il Potëmkin per Fantozzi. Ma il pubblico non c era; i presenti non occupavano nemmeno un terzo dei posti disponibili. Lo spettacolo però risultava allestito con cura, anche se di gusto un po vecchiotto, ma non bolso come quel che si vede in generale sulle scene dei teatri d opera. Qncèp, abbreviamo così, è un testo teatrale privo di drammaturgia. È sulla violenza e il dolore, articolato in sei sequenze i cui testi verbali sono stralciati da fonti diverse: ne risulta un collage di citazioni. La prima MUSICA Prima al Comunale dell'opera di Andrea Molino ispirata a Carlo Levi Vittime e carnefici, note autentiche di dolore è un frammento da Levi realizzato con le immagini di decine di autoscatti e passaggi di film amatoriali, quelli fatti con il cellulare o con la tavoletta. Chi avesse inviato al teatro questo suo contributo acquisiva il diritto ad assistere pagando 10 euri. L impressione è che quasi nessuno ne abbia approfittato per la prima. Il testo utilizzava poi pagine di Elias Canetti (Massa e potere), ma avrebbe potuto essere altrettanto utile il Pilato di Durrenmatt, usando il quale però gli ebrei sarebbero stati mutati da vittime in carnefici, pagine da un manuale per l edificazione di un muro, una ninna nanna popolare greca, testo e musica, inframmezzata da frasi di Jenny Sawle, seguite da un ritorno di Se questo è un uomo, per passare a prelievi da Shakespeare, Hannah Arendt, Albert Einstein e infine Gitta Sereny. La musica, che si deve ad Andrea Molino è una specie di concerto per percussioni, elettronica e indeterminato brusio orchestrale. Alcune parti sono sicuramente ben definite dal compositore, quelle per due sassofoni tenore e dei cantanti, i solisti sono David Moss e Anna Linardau, il resto non sapremmo: precise indicazioni di comportamento sonoro otterrebbero risultati non necessariamente identici, ma interscambiabili con quelli di una minuziosa scrittura. Ovunque comunque prevale la sonorità delle percussioni, tanto che a opera conclusa, uscendo nella famigerata piazza Verdi sembrava ne fosse stata curata la prosecuzione nel caos dei tamburi suonati così, tanto per far casino, diciamo. È un operazione analoga alle scatole di Judd, al Brillo di Warhol, a tutte le operazioni di trasfigurazione del banale di cui scrisse Arthur Danto, ivi compreso il triplice Tacet di John Cage. Siamo nei pieni anni Sessanta e l orchestra e i due sassofonisti, Koen Mass e Roeland Vanhoome non mancano di ricordare i jazz progressivo dell epoca, quello dei kentoniani, e dell experimental band di Abrams. In scena, i personaggi conservavano i propri nomi, quindi i personaggi sono loro stessi. Ciò continua il gioco tra il banale e l arte che riguarderà anche la scenografia con vive immagini di cose comunissime, spazzatura e rifiuti, con un graffito disegnato in scena, ma senza il coraggio d arrivare all elogio dei writer, cioè là dove il banale è stupidità allo stato brado.

14 pagina 14 il manifesto SABATO 26 APRILE 2014 NUOVA FINANZA PUBBLICA Ripresa, a che costo Marco Bertorello È ripartita l emissione di titoli di Stato per Grecia e Portogallo. Le aste sono andate bene, seppur a tassi piuttosto elevati. Il ritorno al mercato per i titoli di paesi periferici viene letto come una conferma della fine della crisi. Il Sole 24 ore titolava in prima pagina, con una certa enfasi, «Lisbona fuori dalla crisi», Repubblica parlava di «riscossa». La ripresa però appare sempre molto sbilanciata sul versante finanziario, mentre non sono in ripresa consumi e investimenti, e ad avvantaggiarsene paiono in particolare le classi agiate. Il prezzo, però, consiste in un ulteriore indebitamento e nella trasformazione di debiti privati in pubblici. A ciò stanno conducendo l assorbimento dei debiti spazzatura da parte di soggetti statali (basti pensare ai diversi progetti di bad bank nei vari paesi, compresa l Italia) e, soprattutto, il processo globale teso ad aumentare la base monetaria. Quest ultimo non deve trarre in inganno, in quanto l immensa mole di denaro immesso nei meccanismi economici non è operazione senza contropartite (non si capisce quando e come il denaro facile verrà riassorbito), non produce neppure una crescita corrispondente, come dimostrano Usa e Giappone, infine rimanda sine die la chiusura del tradizionale rapporto tra debitore e creditore. Raddrizzare il crinale finanziario, nonostante la retorica, non migliora i conti pubblici. Viene colto con favore l avanzo primario greco, cioè al netto degli interessi sul debito, senza evidenziare come sia il risultato della destrutturazione del welfare ellenico. Per non dire della tendenza a crescere dei debiti sovrani. In Grecia e Portogallo negli ultimi due anni il debito pubblico in rapporto al Pil è passato rispettivamente dal 142 al 172% e dal 119 al 128%. Complessivamente nell Eurozona è cresciuto dal 90.7 al 92.6%, come ha certificato Eurostat recentemente. In Italia il debito è aumentato in termini percentuali sul Pil dal 123 al 132.6% e in termini assoluti da miliardi di euro a Insomma austerità, rigore e politiche di controriforma sociale non risolvono, ma addirittura peggiorano il grado di indebitamento pubblico. Siamo sicuri che la crisi dei debiti sovrani non si ripresenterà solo in ragione di politiche monetarie espansive? Il famigerato spread si è ridotto e il problema sembra scomparso anche se in termini reali sta dilatandosi senza sosta. La ristrutturazione dei debiti sovrani prima o poi diventerà inevitabile. La questione sarà come e chi ne pagherà il prezzo. Se saranno le classi popolari oppure quei settori che, come tutte le ricerche dimostrano, non risentono della crisi, se non addirittura aumentano le loro ricchezze. Ma la ristrutturazione dei debiti pubblici rappresenta ancora un tabù, fino a quando una nuova precipitazione degli eventi renderà un default obbligato e a quel punto l emergenza lo farà pagare alle fasce più deboli, quelle più facili da colpire, quelle più stanziali finanziariamente. Non pagare il debito diventa, invece, l unica strada possibile per uscire diversamente da questa crisi. Continuare a ritenere questa soluzione impraticabile ci lega mani e piedi alla crisi del capitalismo. Invece nel mondo privato è una prassi ristrutturare i propri debiti quando diventano insostenibili. Ultima richiesta in tal senso è stata avanzata dalla compagnia araba Etihad per entrare in Alitalia. Le banche italiane (anche in considerazione del fatto che sono nella proprietà) non gridano allo scandalo, semplicemente fanno i loro conti per capire se ne vale la pena. Perché inchiodarci a regole che persino il mercato, quando gli conviene, non reputa insuperabili? Meglio organizzarci per ristrutturare i debiti sovrani in maniera democratica e selettiva piuttosto che continuare a pagarne il conto in attesa che ciò avvenga comunque e alle consuete condizioni. LAZIO Lunedì 28 aprile, ore 11 GIORGIO GASLINI Tavola rotonda dal titolo «Giorgio Gaslini e la musica totale». Durante la giornata Giorgio Gaslini dialogherà in video conferenza con Alfredo Santoloci, Direttore del conservatorio di Santa Cecilia di Roma, con Marcello Piras, Musicologo e altri esponenti della musica. Questa tavola rotonda è curata da Serena Facci, docente di Etnomusicologia, e da Rossana Buono, docente di Storia dell arte contemporanea. Univ. Tor Vergata - Facoltà di Lettere- Aula S. Moscati via Columbia, 1, Roma Domenica 27 aprile, ore 18 ANNUSKA Si tiene domani lo spettacolo teatrale «Annuska», con Rosa Sironi per la regia di Ferdinando Vaselli e la partecipazione di Teresa Vergalli. Una piece tratta dal libro «Storie di una staffetta partigiana» di Teresa Vergalli. Nell'ambito della XII edizione di Fuochi nella Notte, manifestazione organizzata dall'associazione Culturale Saltatempo, Teresa dopo settant'anni porta ancora una volta un messaggio. Sarà Annuska (Rosa) a consegnarlo, non più in sella alla bicicletta ma dal palcoscenico. Una formula nuova, usata in modo quasi sperimentale per raccontare la società attraverso il teatro, intendendo la memoria non solo come strumento astratto di conoscenza ma come indagine sulla contemporaneità. L'Anpi Genazzano vuole raccontare storie, tirandole fuori da bauli impolverati pieni di fotografie, oggetti, storie di persone ed eroi comuni. Usando linguaggi nuovi, moderni, per avvicinare generazioni lontane tra loro; per comunicare soprattutto ai giovani i contenuti, i valori, gli ideali di una esperienza fondamentale per la nostra storia come è stata la Resistenza. P.zza San Giovanni, Genazzano (Roma) LIGURIA Domenica 27 gennaio RESISTENZA Si tiene domani «Percorsi della Resistenza, X edizione. Camminata sui Sentieri Partigiani. 69 Anniversario della Liberazione». Per adesioni scrivere ad anpisarzana@ gmail.com o telefonare al oppure LOMBARDIA Lunedì 28 aprile, ore 18 CITTÀ BENE COMUNE Inizia alla Casa della Cultura di Milano il ciclo di incontri «Città bene comune». Gli ospiti di questa seconda edizione - prodotta in collaborazione con il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano - sono gli autori di quattro pubblicazioni inerenti al progetto e il governo della città e del territorio. Si tratta di Iolanda Romano - che nel suo «Cosa fare, come fare» (Chiarelettere, 2012) affronta la questione della partecipazione dei cittadini alle decisioni che riguardano il destino dei territori urbani e rurali -, di Paolo Pileri e Elena Granata - che nel loro «Amor Loci» (Cortina, 2012) denunciano le gravissime conseguenze di un dissennato consumo del suolo -, di Graziella Tonon - che nel suo «La città necessaria» (Mimesis, 2013) riflette sul tema dell'urbanità come forma ineludibile dell'abitare civile -, infine di Stefano Moroni - che nel suo «La città responsabile» (Carocci, 2013) si sofferma sul rapporto tra istituzioni e cittadini nel governo della città -. Il dibattito - oltre che da Renzo Riboldazzi che coordina l'intero ciclo - sarà animato da numerosi qualificati discussant. Primo incontro: Iolanda Romano - «Cosa fare, come fare. Decidere insieme per praticare davvero la democrazia». Intervengono: Matteo Goldstein Bolocan, Alessandro Maggioni, Paolo Savoldi. Casa delle Culture, via Borgogna, 3, Milano Tutti gli appuntamenti: eventiweb@ilmanifesto.it COMMUNITY le lettere Napolitano e il 25 aprile Due gravissime affermazioni hanno segnato negativamente l intervento del nostro presidente della Repubblica nella celebrazione presso l Altare della Patria del 69esimo anniversario della Liberazione. La prima riguarda la connotazione di «pulsioni demagogiche» indirizzata a coloro che a suo giudizio denigrano l importanza delle forze militari, che non devono essere «decurtate in modo sommario». Il presidente fa di ogni erba un fascio. Un conto è stata l azione armata nella Resistenza sia dei partigiani che dei militari che si sono battuti per la liberazione dell Italia dal nazifascismo. Nessun democratico la denigra. Ma da allora sono trascorsi 70 anni e un rifiuto della violenza delle armi ha attraversato il nostro pianeta. La grande manifestazione di oggi a Verona ne rappresenta l attuale approdo. Il decurtamento delle spese militari è una necessità, imposta, prima che dalle ragioni economiche, dalle ragioni ideali che devono presiedere alla formulazione della spending review. La seconda affermazione altrettanto grave riguarda i due marò. Essi non danno «onore all Italia». Hanno ucciso, sia pure non volontariamente, due pescatori. Le lentezze delle procedure giudiziarie li penalizzano, come peraltro spesso avviene anche nei meandri della nostra giustizia nazionale, ma non fanno di loro due emblemi dell onore nazionale. Antonia Sani Agli occupanti di Viareggio Il «Sindacato è un altra cosa - Posta Magherini come mio padre Sono Domenica Ferrulli ho 28 anni, mio padre Michele Ferrulli, muore senza un perché il 30 giugno del 2011 dopo aver subìto un fermo di polizia, per strada sotto casa, muore nelle mani di quattro giovani agenti di polizia, mentre invocava ripetutamente aiuto a chi stava togliendo per sempre i suoi ultimi respiri. Quando ho sentito per la prima volta la storia di Riccardo Magherini sono rimasta subito colpita, l accaduto mi ha sconvolta, ho pensato ci risiamo è successo ancora una volta quello che non sarebbe dovuto succedere; ho subito pensato a una vicenda simile alla morte di mio padre, tanto più che, come nel suo caso, alcune persone che assistevano alla scena hanno girato dei video. Un uomo immobilizzato a terra che invoca aiuto misteriosamente muore, muore nelle mani di chi avrebbe dovuto proteggerlo e tutelarlo. Il mio pensiero è andato subito alla famiglia di Riccardo, soprattutto ai suoi genitori, a cosa Opposizione in Cgil» di Viareggio e Versilia è a fianco della mobilitazione degli occupanti di via Matteotti a Viareggio e ne condivide l operato. La gravità dell emergenza sfratti in città, provocata dalla crisi economica e sociale e dalla perdita di tanti posti di lavoro, richiede che il concetto di legalità si concretizzi nell utilizzo, comunque, di tutti gli avrebbero provato nel sentire quella urla strazianti, sapevo cosa avrebbe provato quella famiglia e cosa proveranno ogni volta che riascolteranno quella voce. Avrei voluto che il dolore che ho provato io e la mia famiglia e proviamo ancora oggi non lo provassero altre famiglie, avrei voluto che la perdita di mio padre fosse servita a far sì che altre famiglie non facessero i conti con queste terribili tragedie sbagliavo, ci risiamo ancora! Quello che provo è difficile da descrivere, tutte le volte riguardando le immagini che ritraggono gli ultimi minuti della vita di mio padre e sentendo la sua voce invocare aiuto, sento come se ricevessi una pugnalata dritta la cuore e per un attimo boccheggio, è come se mi mancasse il respiro, mi sento soffocare, provo tanta rabbia ma la mia rabbia viene subito sovrastata da un grandissimo senso di impotenza: così mi sento, impotente, ed è la sensazione che mi fa stare peggio di tutto. spazi abitativi possibili della città piuttosto che nella difesa proprietaria di locali inutilizzati; concetto che, costituzionalmente, dovrebbe appellarsi a ragioni di priorità, giustizia e solidarietà, antitetiche a tutti gli sgomberi con la forza e i manganelli (vedi Pisa a via Marsala, Roma una settimana fa ), come facili e repressive scorciatoie di fronte Questa sensazione la combattiamo affrontando un processo difficile e a sua volta doloroso, insieme a tutte le persone che ci sostengono. Ma un processo che mio padre, e così tutti i nostri cari, meritano, per accertare la verità sulla loro morte. Non ci sono parole che possano quantificare il dolore che una famiglia possa provare rivivendo gli ultimi attimi di vita sofferente della persona amata. Io e Lucia Uva vorremmo esprimere alla famiglia Magherini la nostra solidarietà, tutta la nostra stima per il percorso difficile che dovranno intraprendere per salvare la dignità del proprio caro che non potrà più difendersi con la propria voce. Siamo consapevoli che i nostri cari mai più nessuno potrà restituirceli, ma hanno il diritto di riposare in pace, perché a loro gli è già stato tolto il diritto di continuare a vivere. Siamo e saremo con voi in questa richiesta di verità e giustizia perché la nostra forza è l unione. Domenica Ferrulli, Lucia Uva ad un disagio dalle radici profonde che attraversa tutto il paese per la mancanza di risposte ai bisogni primari. Bene hanno fatto, quindi, gli occupanti di via Matteotti a rendere forzatamente disponibile uno stabile di proprietà comunale per l accoglienza di 6 famiglie senza casa. Invece, pronta, è arrivata la denuncia presentata da una Amministrazione comunale che si dichiarerebbe attenta ai bisogni reali dei propri concittadini. Nella situazione drammatica in cui versano gli Enti locali per effetto delle distruttive politiche nazionali ed europee di austerità, è proprio dal riconoscimento del da che parte stare che è possibile esprimere una giusta valutazione dell operato delle varie Amministrazioni comunali. E senza l azione concreta degli occupanti, 6 famiglie si sarebbero trovate in mezzo alla strada. Il sindacato è un altra cosa-opposizione in Cgil Viareggio Noi evasori tutti i giorni Le nuove misure antievasione fiscale, saranno per gli esodati una trappola indegna di un paese civile. Essendo noi a reddito zero, ci troveremo evasori fiscali tutti i giorni, in quanto dovremo dare conto al fisco come facciamo a spendere dei soldi per mangiare o per comprare un paio di scarpe se non abbiamo entrate. Nessuno si preoccuperà di vedere o di guardare, che quei pochi risparmi messi da parte si stanno giorno dopo giorno consumando, saremo dei delinquenti a prescindere, oltre al danno pure la beffa, perciò cornuti e mazziati. Giuliano Colaci coordinatore comitato esodati Roma Agli inizi di Aprile l Alta Corte australiana ha riconosciuto a una persona il diritto di dichiararsi di «genere non specifico». La persona interessata, di sesso biologico maschile alla nascita, aveva fatto ricorso nel 1989 a un intervento chirurgico per costruirsi un sesso femminile ma poi aveva rigettato anche questa nuova identità. Fatto salvo il principio dell autodeterminazione, per cui una persona non può essere prigioniera di un identità in cui non si riconosce, bisogna ammettere che la definizione giuridica dei nostri modi di sentire e di essere fa prevalere la norma sulla soggettività, per quanto utile possa essere nella difesa dei diritti umani. La mutilazione dei propri genitali è una soluzione violentemente normativa di un conflitto (che in apparenza si vorrebbe sottrarre alle convenzioni sociali) tra la realtà del proprio corpo e la sua percezione psichica perché sostituisce al piacere erotico (con tutte le sue ambiguità, contraddizioni e incertezze) un illusoria pacificazione del soggetto sul piano identitario ottenuta con la contraffazione dell anatomia. La richiesta di appartenere a un sesso non specifico catturata dal linguaggio della logica giuridica, di cui diventa appannaggio, resta anch essa nel registro dell esperienza disincarnata perché non ci dice nulla sulle INVIATE I VOSTRI COMMENTI SU: lettere@ilmanifesto.it VERITÀ NASCOSTE La negazione del corpo Sarantis Thanopulos forze interiori che l hanno determinata. Dichiararsi di sesso non specifico perché ci si sente sia uomo sia donna, e incerti tra una condizione e l altra, è diverso da rinunciare alla specificità perché non ci si sente né l una né l altra cosa. Nel primo caso il desiderio sopravvive nella sua lacerazione, nel secondo caso evapora. Complicano il nostro modo di vedere la questione dei sessi alcuni errori di prospettiva nati dalla migliore delle intenzioni: liberare la sessualità, quella femminile e quella omosessuale in particolare, dalle sue molteplici sovradeterminazioni socioculturali. Seguendo questa strada si è arrivati alla sostituzione del concetto di "sesso", connesso all anatomia, con quello di "genere", connesso all orientamento psicosessuale. L idea di fondo è che il collegamento con l anatomia porta a una definizione "binaria" dell identità fondata sullo stereotipo eterosessuale mentre bisognerebbe ammettere una libertà psichica nella determinazione della sessualità che meglio si adatta alla molteplicità delle sue espressioni. L idea in sé non sarebbe sbagliata ma se l anatomia non può essere il destino della sessualità non può neppure essere dissociata da essa. L adozione acritica del concetto di "genere" tende a disincarnare le relazioni umane assoggettandole a una loro definizione linguistica, grammaticale. Il rispetto dell anatomia non impone uno schema eterosessuale: sottolinea una differenza/complementarità erotica tra la donna e l uomo che non è una norma di comportamento universale ma una relazione naturale dalla quale non prescinde nessuna declinazione della sessualità o percezione della propria identità. Ogni corpo è femminile e maschile, omosessuale e eterosessuale al tempo stesso ma se è vero che sono le combinazioni psichiche di queste sue declinazioni naturali che determinano la sua "plasticità" libertà sessuale, è pure vero che la sua tensione, intensità erotica (omosessuale o eterosessuale che essa sia) è legata al fatto anatomico che ne fa un corpo di donna o di uomo e alla specifica mancanza di un corpo complementare che questo comporta. Non sentirsi in sintonia con il proprio corpo è prima di ogni altra cosa questione di libertà ma perché questa libertà non diventi autoreferenzialità, questo corpo che imbarazza non può essere negato, ignorato.

15 SABATO 26 APRILE 2014 il manifesto pagina 15 COMMUNITY DALLA PRIMA Riccardo Petrella In nome dei principi della liberalizzazione, della mercificazione e della privatizzazione dei beni e dei servizi, hanno creato (nel 1992) il "mercato comune europeo" e favorito la creazione (nel 1994) dell Omc (Organizzazione Mondiale del Commercio). L importanza del potere attribuito al mercato sta nel fatto che cosi facendo i gruppi dominanti hanno affidato il potere di regolazione e di controllo del valore delle cose e di definire le priorità ai meccanismi di scambio e al principio della massimizzazione delle utilità individuali concorrenti, togliendolo alla collettività e alle autorità politiche statuali. Tant'è che in pochi anni l Unione europea ha sancito che ogni intervento dei poteri pubblici nelle materie sottomesse al mercato interno europeo era nocivo e quindi illegale perché fattore di distorsione dei meccanismi regolatori del mercato. Più mercato con Stato zero (tendenzialmente), è stato il blocco di ferro su cui hanno forgiato la prima ganascia della tenaglia. E però difficile far funzionare dei mercati integrati senza una moneta comune sulle cui basi sviluppare le attività finanziarie ed organizzare i mercati finanziari. Da qui la formazione del secondo braccio di ferro della tenaglia: la creazione dell euro, la moneta unica, senza però creare un potere politico pubblico europeo (1997/2000) responsabile della politica monetaria e finanziaria. La politica monetaria è stata affidata ad una nuova istituzione, la Banca Centrale Europea politicamente indipendente dalle istituzioni dell Unione. Nemmeno il Parlamento europeo, rappresentante eletto di 509 milioni di cittadini, può dire qualcosa alla Bce. Questa è l unica banca centrale al mondo interamente sovrana sul piano politico. Altro che democrazia! La creazione della moneta "comune" senza un governo politico europeo è stata una scelta deliberata, quella di togliere agli Stati ed ancor più ad un eventuale "governo federale europeo democraticamente legittimato" il potere di decisione nel campo della moneta e conseguentemente della finanza. Cosi, la responsabilità della politica finanziaria è stata data agli operatori finanziari, sempre più internazionali/globalizzati, attraverso le misure prese a partire dagli anni 80 quali: - abbandono dei controlli sui movimenti internazionali dei capitali, dopo l abbandono nel 1973 dei tassi di cambio fissi tra le monete e conseguente esplosione dei mercati delle divise, nido prolifico degli speculatori. - privatizzazione di tutti gli operatori finanziari e eliminazione della distinzione tra attività assicurative e bancarie, tra banche di deposito e di credito, e tra i vari settori bancari (agricolo, industriale, commerciale, artigianato, lavoro), - legalizzazione degli hedge funds (fondi d investimento) altamente speculativi - fino a giungere recentemente alle transazioni finanziarie "ad alta frequenza" cioè ai millesimi di minuto da cui sono nati i prodotti derivati che sono stati alle origini delle gravi crisi finanziare del 2001 e del 2008 che hanno distrutto decine e decine di milioni di posti di lavoro. Quest insieme di misure ha dato vita ad un sistema finanziario detto "la banca totale", iper-oligopolistico, contrassegnato dall emergenza di enormi complessi finanziari privati tanto potenti da diventare too big to fail pena il collasso globale del sistema capitalistico mondiale. L intera economia è così scappata al controllo pubblico, il potere politico è stato privatizzato, la sovranità politica degli stati nazionali è stata ridotta a pura formalità. Il Patto di bilancio (Fiscal Compact) rappresenta l ultima mossa dello schiacciamento della sovranità degli Stati dell Ue. In queste condizioni il problema non è di uscire o restare nell euro - né tantomeno Euro sì, euro no una questione sbagliata VERSO L EUTANASIA LEGALE L iniziativa popolare Matteo Mainardi Il mercato senza lo Stato è il cuore malato di questa Europa. La Bce come sovrano assoluto e l euro come suo braccio armato sono il completamento di un sistema strutturato per affondare diritti e uguaglianza Ventotto proposte di legge popolari attendono nei cassetti di Camera e Senato. La Costituzione italiana stabilisce, all'articolo 71, che «Il popolo esercita l'iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli». Il potere di «esercitare l'iniziativa delle leggi» che i Costituenti attribuirono al popolo non è legittimamente interpretabile riducendolo al mero atto formale di poter depositare proposte corredate dalle firme necessarie. L'esercizio dell'iniziativa popolare è davvero tale soltanto se il Parlamento dedica un effettivo e pubblico dibattito alle proposte presentate, delle quali anche l'eventuale mancato accoglimento dovrebbe essere adeguatamente motivato attraverso il dibattito nelle commissioni competenti e in aula. Essendo ormai storicamente consolidata l indifferenza parlamentare verso tale strumento, a gennaio i radicali dell Associazione Luca Coscioni e il Comitato Eutanasia Legale, insieme ad altri 7 comitati promotori di proposte di legge popolari, si sono rivolti alle istituzioni. I comitati, portatori di richieste diversissime nel contenuto e proprio per questo essendo uniti dall'obiettivo nel metodo di ottenere il rispetto dei milioni di cittadini firmatari, si sono rivolti ai presidenti delle Camere, ai presidenti dei gruppi parlamentari e ai parlamentari tutti. La richiesta è quella di deliberare con la massima urgenza un programma dei lavori straordinario per la messa in discussione entro il 2014 di tutte le proposte di legge popolari giacenti da anni o da mesi. Affinché il Parlamento sia tenuto in modo vincolante al rispetto del dettato costituzionale, viene chiesto che tale programma straordinario sia seguito da una riforma dei regolamenti delle Camere che definisca un canale prioritario per la trattazione delle proposte di iniziativa popolare in un tempo non superiore ai 12 mesi. Tra i firmatari, i comitati promotori: «Custodiamo la nostra storia» in attesa dal 14 gennaio 2011, «Nuove norme sulla cittadinanza» in attesa dal 6 marzo 2012, «Adeguamento alla media europea degli stipendi, emolumenti, indennità degli eletti» in attesa dal 29 marzo 2012, «Quorum zero e più democrazia» in attesa dal 24 agosto 2012, «Riforma della geografia giudiziaria» in attesa dal 22 gennaio 2013, «Rilancio economico e sociale» in attesa dal 14 maggio 2013, «Eutanasia Legale» in attesa dal 13 settembre 2013, «Rifiuti Zero» in attesa dal 30 settembre *Associazione Luca Coscioni - di creare una moneta veneta o di aggiungere all euro una nuova moneta italiana - ma di rompere la tenaglia e liberare le società europee dalla morsa mercato/finanza cambiando radicalmente un intero sistema monetario, finanziario, economico, legislativo e politico sostanzialmente malefico. Il Regno Unito non è mai entrato nell euro e apparentemente ha conservato la sovranità nazionale sulla sua moneta. Eppure, il Regno Unito è diventato una delle società più ineguali, più ingiuste e meno democratiche dei paesi sviluppati del mondo. Il popolo inglese non è affatto libero, è sottomesso alle decisioni dei poteri mondiali finanziari della City. Inversamente, restare nell euro come affermano Schultz, Barroso, Merkel, Hollande, Juncker e tantissimi altri leaders politici (quali Renzi), significa mantenere la Mala Europa, rinforzare le cause che conducono alla crescita della disoccupazione ed alimentare i fattori strutturali all origine dei processi d impoverimento in Europa (quasi 120 milioni d impoveriti nel 2012 in seno all Ue) e conservare un Europa che continua a considerare clandestini chi cerca di immigrare in Europa e non possiede un diploma universitario elevato. Occorre lavorare su soluzioni strutturali precise: azzeramento del debito pubblico derivato dalla crisi del sistema finanziario; eliminazione dell indipendenza politica della Bce; rientro delle banche centrali sotto il controllo pubblico; ripubbliccizzazione delle casse di risparmio e delle banche cooperative e delle principali banche d interesse pubblico generale; uscita dei beni e dei servizi comuni pubblici (come l acqua, la casa, la salute, le sementi, l educazione) dalle logiche mercantili e divieto d intervento in detti campi alle imprese quotate in borsa; politiche fiscali e di controllo della speculazione finanziaria (paradisi fiscali, rendite, messa fuori legge dei prodotti derivati e degli hedge funds ), impulso alla rinascita delle forme economiche cooperative e mutualistiche a forte orientammento locale (nuovo sviluppo dell agricoltura biologica e dell agricoltura contadina...), moltiplicazione delle "monete locali" (rivolte a liberare i rapporti umani dalla monetarizzazione, del tutto diverse dalle fumose "micromonete" nazional-indipendenti). il manifesto DIR. RESPONSABILE Norma Rangeri CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE Benedetto Vecchi (presidente), Matteo Bartocci, Norma Rangeri, Silvana Silvestri il nuovo manifesto società coop editrice REDAZIONE, AMMINISTRAZIONE, Roma via A. Bargoni 8 FAX , TEL REDAZIONE redazione@ilmanifesto.it AMMINISTRAZIONE amministrazione@ilmanifesto.it SITO WEB: TELEFONI INTERNI SEGRETERIA 576, ECONOMIA 580 AMMINISTRAZIONE ARCHIVIO POLITICA MONDO CULTURE 540 TALPALIBRI VISIONI SOCIETÀ 590 LE MONDE DIPLOM LETTERE 578 iscritto al n del registro stampa del tribunale di Roma autorizzazione a giornale murale registro tribunale di Roma n ilmanifesto fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge n.250 ABBONAMENTI POSTALI PER L ITALIA annuo 320 semestrale 180 versamento con bonifico bancario presso Banca Etica intestato a il nuovo manifesto società coop editrice via A. Bargoni 8, Roma IMMIGRAZIONE Il dramma dei minori non accompagnati in attesa di una meta Raffaele K Salinari M entre la Lega, forte probabilmente dei successi degli altri partiti xenofobi in Europa, alza il tiro sull operazione Mare Nostrum, la realtà dell accoglienza verso i soggetti più deboli che fuggono da un destino certo di guerre e violenza per cercare rifugio nel nostro Paese si fa sempre più critica. Dopo la chiusura di Lampedusa, infatti, i minori stranieri non accompagnati continuano a restare in attesa di essere trasferiti in situazioni più idonee dei centri di prima accoglienza allestiti in tutta fretta nelle strutture di fortuna del siracusano. Presso il Centro Papa Francesco di Priolo Gargallo, ad esempio, sono un centinaio i minori che risiedono lì da più di quattro mesi, ben al di là di ogni normativa nazionale, europee ed internazionale sull accoglienza. Ci sono solo tre trasferimenti al mese e dunque la permanenza è ben oltre il periodo previsto per questo tipo di struttura. Dovrebbe essere compito della politica, e non solo degli operatori umanitari, gestire la situazione psicologica di questi ragazzi e muovere le scelte organizzative partendo dal disagio esistenziale che motiva i loro comportamenti, spesso lesivi di loro stessi e degli altri. Quando la demagogia populista porta per strada i modellini di carro armato in carta pesta, inneggiando alla lotta contro lo straniero, quello che colpisce di più nelle motivazioni di questi rigurgiti razzisti è la mancanza del fattore umano, la presa in considerazione della nuda vita di queste persone affidate alle nostre cure ed impotenti a qualunque decisione sul loro stesso destino, ma che hanno rischiato la vita per mettersi nelle mani dell Europa comunitaria, uscita dalla seconda guerra mondiale con il sogno di superare i contrasti nazionali e far crescere insieme la nazioni un tempo combattenti. E dunque è anche contro il sogno di questa Europa che si rifiuta l integrazione e l accoglienza. Per questo la risposta al profondo disagio di questi minori è altamente politica. Ovviamente in queste condizioni la tensione tra i ragazzi, già provati dal viaggio di mesi, a volte anni, è molto alta. All ansia e alle preoccupazioni legate a una lunga attesa per loro incomprensibile si sommano depressione e altre sintomatologie che rendono molto complesso poterli contenere e supportare. Eppure le risposte ci sono e sono praticabili, se solo si volesse, con la stessa rapidità con cui si stanno discutendo riforme ben più complesse. Recentemente, a seguito di una missione in loco, Terre des Hommes, che opera con una equipe fissa di assistenza psicologica e psicosociale a questi bambini, ha lanciato un allarme in cui, riportando le condizioni di grave disagio in cui centinaia di minori si trovano, si chiedeva con urgenza l istituzione di una Banca dati nazionale in grado di mappare in tempo reale la disponibilità di posti su tutto il territorio e dunque agevolare i trasferimenti. Una soluzione semplice, che avrebbe l indubbio vantaggio di ridare ai ragazzi il loro diritto all accoglienza velocizzando i trasferimenti, mettere in rete le strutture nazionali disponibili e, al livello politico, dare una risposta concreta alle destre xenofobe valorizzando al contempo la grande generosità di tanti Enti Locali, associazioni, strutture di accoglienza idonee che, in questi anni, sommessamente ma con determinazione, non solo hanno accolto ma costruito su questo valore fondamentale un baluardo antirazzista fatto di pratiche, ideali ed impegno civile. *presidente Terre des Hommes IBAN: IT 30 P COPIE ARRETRATE 06/ arretrati@redscoop.it STAMPA litosud Srl via Carlo Pesenti 130, Roma - litosud Srl via Aldo Moro 4, Pessano con Bornago (MI) CONCESSIONARIA ESCLUSIVA PUBBLICITÀ poster pubblicità srl poster@poster-pr.it SEDE LEGALE, DIR. GEN. via A. Bargoni 8, Roma tel , fax TARIFFE DELLE INSERZIONI pubblicità commerciale: 368 a modulo (mm44x20) pubblicità finanziaria/legale: 450 a modulo finestra di prima pagina: formato mm 65 x 88, colore 4.550, b/n posizione di rigore più 15% pagina intera: mm 320 x 455 doppia pagina: mm 660 x 455 DIFFUSIONE, CONTABILITÀ. RIVENDITE, ABBONAMENTI: reds, rete europea distribuzione e servizi, v.le Bastioni Michelangelo 5/a Roma - tel , fax chiuso in redazione ore certificato n del tiratura prevista

16 pagina 16 il manifesto SABATO 26 APRILE 2014 L ULTIMA Le ecomafie e il capitalismo multinazionale non amano far sapere da dove viene quel che mangiamo, né rendere visibile il lavoro che lo produce. L «etichetta trasparente pianesiana» sì. Ecco come funziona Daniele Balicco C onoscere l esatta provenienza del cibo che mangiamo è impresa ardua. Se compriamo una bella zucca arancione, magari nel supermercato sotto casa, sarà comunque impossibile conoscere l origine della pianta (per esempio se derivi da semi antichi o da una selezione industriale; se i semi siano autoprodotti in azienda oppure acquistati da una società sementiera), avere informazioni sulle tecniche di coltivazione, sull impiego o meno di pesticidi o fertilizzanti, sul dispendio di acqua o di altre risorge energetiche, sull habitat nel quale è stata prodotta (se per esempio è stata coltivata in serra o all aperto), sul numero di lavoratori impiegati dall azienda agricola. Possono sembrare informazioni superflue; non lo sono affatto. Marx ce l ha insegnato... Centocinquanta anni fa Marx ci ha insegnato che uno degli incantesimi più accecanti della forma merce è quello di nascondere la propria storia; di rendere invisibile il lavoro che l ha prodotta e di cancellare le tracce dei vari /FOTO REUTERS storie Tutto SUL CIBO passaggi di stato che l hanno trasformata e poi spostata fino nelle nostre mani. Il problema, come si capisce subito, è politico. Se fosse possibile infatti ricostruire uno a uno gli anelli della catena produttiva saremmo forse in grado di sperimentare un conflitto sindacale all altezza dei tempi perché organizzato verticalmente sulla catena del prodotto - e, nello stesso tempo, sapremmo proteggerci come consumatori da sofisticazioni e frodi di ogni tipo. Perché potremmo scegliere non solo le merci, ma soprattutto la loro storia visibile. Da anni ormai sappiamo che i pomodori venduti a prezzi irrisori nella grande distribuzione nascondono pratiche di lavoro semi-schiavistico, con immigrati irregolari costretti a lavorare per pochi euro al giorno, in Italia come in Spagna. Sappiamo anche dalla cronaca che la criminalità organizzata riesce sempre più spesso ad inserirsi all interno dei passaggi della filiera produttiva agroalimentare, contrabbando prodotti magari coltivati nella Terra dei fuochi. Sono casi estremi, si dirà. Eppure la casistica media di frodi e sofisticazioni dovrebbe sconsigliare comunque una fiducia cieca nel mercato alimentare, visto che perfino la Coldiretti ha di recente promosso un «Osservatorio sulla criminalità nell agricoltura». Mentre è equiparabile a una regione grande come il Friuli Venezia Giulia il territorio italiano contaminato da interramento di rifiuti tossici. Non viviamo in tempi normali. La storia nascosta Per non favorire una per altro ormai ragionevole sindrome paranoica, sarebbe necessario che lo Stato e l Unione Europea corressero rapidamente ai ripari. Potrebbero imporre un rigido sistema di controllo su tutta la filiera produttiva - anzitutto alimentare - con l applicazione di un unica etichettatura capace di ricostruire minuziosamente la storia nascosta di ogni prodotto, partendo dall origine per arrivare alla distribuzione finale. In realtà, un prototipo di etichettatura con certificazione controllata su ogni passaggio della filiera produttiva esiste in Europa solo in Italia ed è già adottato da 260 aziende del settore agroalimentare, su oltre 800 prodotti. È l Etichetta Trasparente Pianesiana. Questo modello, ideato nel 1980 dal professor Mario Pianesi, pioniere della macrobiotica italiana che è appena ricevuto dall Università degli Studi di Urbino il sigillo accademico per meriti scientifici e umanitari, è stato proposto come prototipo di certificazione controllata al Senato della Repubblica già nel Quest anno, ma la prima presentazione risale al 2008, il Parlamento Europeo ne ha discusso il riconoscimento come certificazione per la difesa della salute del consumatore e dell ambiente. Ma come è progettata un etichetta trasparente pianesiana? In aggiunta alle informazioni previste dalla normativa vigente, questo prototipo di certificazione fotografa l intera catena produttiva. Anzitutto riporta le informazioni sull origine e le caratteristiche di ogni prodotto (origine geografica, habitat e caratteristiche degli ingredienti o delle materie prime; metodo di coltivazione; quindi modi della trasformazione e della lavorazione), registra il suo impatto ambientale (come la quantità di CO2 emessa, l energia e l acqua utilizzate) per poi descrivere tutti i passaggi della filiera, dal numero di lavoratori impiegati nell azienda produttrice fino al dettagliante da cui acquista il consumatore. Anche il presidente di Slow Food Italia, Roberto Burdese, ha di recente richiamato l attenzione «sulla necessità di affidarsi agli studi di Mario Pianesi per realizzare etichette parlanti che possano raccontare minuziosamente tutta la filiera produttiva». Mentre aspettiamo che il Parlamento italiano e l Unione Europea si muovano, l etichetta trasparente pianesiana esiste già e può essere liberamente adottata da qualsiasi azienda, agroalimentare e non, che lo voglia. È una certificazione che vincola il produttore alla trasparenza e alla responsabilità, qualità che tanto il capitalismo multinazionale quanto la criminalità organizzata non amano. IL CONVEGNO Antiche sapienze cinesi e sviluppo sostenibile Lunedì 28 aprile, alle ore 14, l Aula magna dell Università La Sapienza di Roma ospita il 13 convegno internazionale «Dalle antiche teorie cinesi allo sviluppo sostenibile pianesiano», promosso dall ateneo romano insieme a Parlamento europeo, CNI-Unesco e ministero delle Politiche Agricole. Tra i partecipanti Mario Pianesi (pioniere della Macrobiotica italiana), Francesco Falluca (presidente Centro internazionale studi sul diabete), Gianni Mattioli (Presidente del Comitato Scientifico per l Educazione Sostenibile dell Unesco), Renato Calì (Segretario nazionale Adiconsum)

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