1. VALLE DELLA MORTE, CALIFORNIA, STRADA STATALE 190

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1 1. VALLE DELLA MORTE, CALIFORNIA, STRADA STATALE 190 Oh merda, togli quella musica. Chiara si passò una mano sulla fronte e la scrollò come se fosse fradicia. Luca teneva una mano sul volante e l altra fuori dal finestrino. Il rumore del vento ammazzava la conversazione. Mischiato al vento Tom Waits gracchiava Hang on St. Christopher : Hang on St. Christopher through the smoke and the oil Buckle down the rumble seat, let the radiator boil... Ti ho detto togli quella musica. Sembra un cane che ringhia dentro un bidone della spazzatura. Stai calma. Rollane un altro. Lo spinello di Luca bruciava fra pollice e indice. Per qualche motivo il finestrino aperto non risucchiava il fumo giallastro, che si accumulava sul tettuccio come una nebbia all incontrario. Chiara girò la testa e guardò fuori dal finestrino. Poi sfilò da sotto il sedile il pacchettino di marijuana, lo guardò, lo rimise a posto. Non mi va di fumare. È troppo caldo. Solo tu potevi avere un idea così idiota. Venivano da Reno, dove si erano fermati due giorni e avevano perso 115 dollari cosa che aveva drasticamente abbassato la soglia di irritabilità di Chiara. Quale idea? Partire da Reno alle undici del mattino in modo da finire in mezzo alla Valle della Morte alle tre del pomeriggio. Il 3 agosto. È stata una questione di vita o di morte. 15

2 Perché? Perché non avrei resistito un minuto di più in quella città del cazzo. Un altra ora e avremmo finito tutti i soldi. È stata una fuga, la nostra. Una fuga di classe. Classe un cazzo. Tesoro, mi piaci quando parli come un personaggio di Bukowski. Mi ecciti. Chiara lo guardò giusto il tempo di alzare il dito medio, poi iniziò a frugare tra le decine di cassette che invadevano il cruscotto. Metto su Vasco, annunciò, piantando addosso a Luca uno sguardo di sfida. Vasco? Non c entra niente con questo paesaggio! Voglio sentire Vasco. Ma è assurdo, insisté Luca, senza troppa convinzione. Chiara era nervosa e contraddirla poteva significare giocarsi la scopata serale. Ma dov è la cassetta? Dove...? Luca non rispose. Vasco Rossi giaceva legato e imbavagliato nel bagagliaio, dove l aveva nascosto prima di partire. Non si rovina la Valle della Morte con della musica italiana. Infatti poco dopo Chiara gettò la spugna. Sbatté una mano sul cruscotto, facendo volare via una mezza dozzina di cassette, e tornò a guardare il paesaggio. Il sudore formava piccole goccioline sui lobi delle sue orecchie. Luca non aveva mai visto una cosa del genere. Era sul serio caldo. Quando erano partiti, cinque minuti prima delle undici, aveva gettato lo sguardo sul grande display digitale appeso di fianco all entrata del motel. Quell aggeggio segnava ora, data e temperatura AM / / 102 F. Centodue gradi, che un ora dopo erano diventati centodieci. Luca cominciò a fare una serie di calcoli (due sole operazioni, a dire il vero) per cambiare scala da Fahrenheit a centigradi, poi diede un bel tiro profondo dallo spino, chiuse gli occhi, lo respirò tutto e alla fine si arrese all evidenza: marijuana e calcolo matematico non potevano coesistere. E, dovendo scegliere, lui preferiva la prima. Quindi si limitò a una stima intuitiva e decise che 110 F erano più o meno 45 C. Comunque quel giorno sapere i gradi centigradi era solo uno svantaggio: rendeva il caldo del deserto più opprimente, meno astratto. Il sole era una palla rovente, piantata lassù. Pulsava come una carie. Il cielo era un infinito specchio azzurro. La polvere e l asfalto inglobavano il calore e lo vomitavano tutto addosso a loro. Una quindicina di miglia prima si erano fermati allo Stonevipe Wells Village, una sottospecie di stazione di sosta, per rifornire di acqua il radiatore, e Luca aveva raccolto un sassolino dal bordo della strada. Non era riuscito a tenerlo in mano. Pochi istanti dopo aver lasciato cadere con un grido la pietra bollente gli si erano formate un paio di piccole vesciche sulla punta dei polpastrelli. Hang on St. Christopher on the passenger side Open it up tonight the Devil can ride... Ora la stessa mano, penzolante dal finestrino, stava tamburellando sulla portiera, evitando comunque di tenere le dita appoggiate alla lamiera per più di mezzo secondo. La Ford Fairlane GT 500 del 68 era nera. Ed era probabilmente rubata. Luca l aveva comprata a New York per 550 dollari, al termine di una brevissima contrattazione svoltasi in un garage nella Valley di Harlem. Il venditore era un negretto di sedici anni che aveva tralasciato di specificare la provenienza del mezzo. Luca non aveva chiesto chiarimenti. Era un tantino sulle spine, lì. Sentiva aleggiare intorno a sé uno spettro quasi palpabile di ostilità afroamericana. Non si era mai trovato in un posto così sbagliato, ne era sicuro. Il garage stava al piano terra di un edificio abbandonato, e confinava con altri edifici abbandonati. Intanto che il negretto gli magnificava le doti della Ford in un gergo dal ritmo gangsta rap comprensibile per non più del sessanta per cento, Luca aveva più volte levato lo sguardo ai rettangoli scuri delle finestre sbarrate dei casermoni fatiscenti, con la sgradevolissima sensazione che qualcuno lo stesse osservando, nascosto dietro quelle assi marce. In quel momento si era definitivamente reso conto che New York non gli piaceva. La pressione dell aria era troppo superiore alla media. Forse avrebbe potuto tirare sul prezzo di altri cinquanta dollari, ma aveva smesso di insistere e 16 17

3 aveva annuito, dicendo ok, ok con il tono di chi dice per favore siamo amici lascia stare il coltello, e decidendo di lasciare all istante la Grande Mela Bacata, prima che un gruppo d assalto di anticorpi indigeni lo aggredisse per fagocitarlo. Erano partiti dall Italia due settimane prima. Si erano fermati a New York quattro giorni, che avevano trascorso a passeggiare sui marciapiedi di Manhattan sforzandosi di non dire cose troppo ovvie e di non accorgersi che la loro Guida alla Città era stata pubblicata nel 1982 e descriveva in termini entusiastici un luogo che già tre o quattro volte era morto e poi resuscitato con una faccia nuova. Si erano sforzati anche di considerare tipico di New York il fatto di soggiornare in un albergo i cui corridoi odoravano di orina e dove sia lo staff che la clientela erano interamente di razza orientale. Ogni volta che si fermava alla reception a chiedere qualcosa, Luca quasi si sentiva in colpa per non masticare nemmeno un po di dialetto cantonese, dato che l impiegato di turno (ce n erano tre a rotazione) non gli risparmiava mai uno sprezzante sguardo di sufficienza. Dentro quell hotel bisognava fare uno sforzo per ricordare di essere davvero sbarcati al JFK e non all Aeroporto Internazionale di Pechino. Luca aveva incassato la fregatura rifilatagli dall agenzia di viaggi: l albergo aveva una specie di convenzione con la Cina, e tutti gli altri clienti razzialmente corretti godevano di benefici da cui lui e Chiara erano esclusi. A loro, per esempio, l impiegato aveva detto che la colazione veniva servita fino alle nove e non oltre, e quando un giorno erano scesi alle nove e venti il sorriso sottile e sadico di un inserviente gli aveva sbarrato la porta del ristorante; il giorno dopo erano scesi alle dieci e avevano visto un allegra truppa di cinesi accomodarsi ai tavoli per la colazione, servilmente scortati da ben due camerieri. Loro pagavano una cifra ridicolmente alta per quella stanzetta impregnata di miasmi, mentre gli altri ospiti davano la netta impressione di essere pagati per trovarsi lì. Così lui e Chiara avevano limitato al massimo le soste in albergo e avevano zigzagato sull isola. Il periodo newyorkese si era concluso con la visita al rivenditore di auto usate che Lorenzo aveva consigliato nella sua ultima lettera. Siccome la loro idea era di rimanere in America per almeno sei mesi, una macchina era indispensabile. E poi era da quando aveva otto anni e videoregistrava ogni puntata di Supercar che Luca desiderava possedere una di quelle grosse berline con motore 5000 che si vedono solo nei film. Un altro grande sogno di Luca, anzi il Grande Sogno per Eccellenza, era quello di: a) attraversare gli Stati Uniti a bordo della suddetta enorme auto; b) vivere in California più precisamente a Los Angeles; c) farsi venire un idea geniale, e scrivere un romanzo (o una sceneggiatura?) che lo avrebbe reso ricco e famoso. Per il momento era fermo al punto a), ma il punto b) era già praticamente certo: Lorenzo abitava a L.A. da quattro anni e Luca e Chiara avevano attraversato un oceano e un continente proprio per farsi ospitare da lui, almeno fino a quando non avessero trovato un lavoro. Il punto c) era ancora immerso nella nebbia di un futuro incerto. Di quale storia dovesse raccontare il suo romanzo/sceneggiatura, Luca Morselli non aveva la più pallida idea. Ma era sicuro che prima o poi l Idea Geniale lo avrebbe travolto come un illuminazione mistica, anche per il solo fatto che respirava aria statunitense, in cui galleggiano trame e colpi di scena, non noiose introspezioni psicologiche. Era da circa sei mesi che lui e Chiara avevano deciso di respirare questa aria. Si erano conosciuti a una festa di universitari, quasi un anno prima. Lui era uno svogliato studente di lingue moderne, lei una neodiplomata in fisioterapia che aveva abbandonato medicina dopo tre anni (e altrettanti esami). Si erano frequentati un paio di settimane prima che Luca la invitasse a vivere con lui; era nato un amore solido e sorprendente, forse anche perché erano un po soli tutt e due. Luca, pur essendo di Bologna, si era trasferito in un piccolo appartamento per conto suo, pagandosi da solo affitto e rate universitarie; Chiara ormai tornava a Napoli solo per le feste. Il mix bolognese di esami e ubriacature li aveva resi indipendenti, ipereccitati ed elastici, come palline da flipper gommose

4 Il feeling fra loro era stato immediato, come diceva Luca. Entrambi erano insofferenti cronici e li accomunava l allergia alla ripetizione dei gesti quotidiani. Nessuno dei due ci trovava la minima traccia di poesia. Soffrivano la stessa paura dei muri che la provincia (perché alla fine Bologna è sempre provincia, anche se non è chiaro di cosa) aveva eretto intorno a loro e della stradina sdrucciolevole che pretendeva di essere il loro futuro. Condividevano le stesse passioni: il rock, i libri di azione, i viaggi (più che altro il desiderio di viaggiare) in posti il più lontani possibile, i film americani. Andavano al cinema anche due volte alla settimana e parlavano per ore delle storie migliori. Ogni volta che vedevano un film italiano, che cazzata era il loro commento più frequente. Poi, con enorme piacere, Luca aveva scoperto che Chiara condivideva il punto b) del Grande Sogno per Eccellenza. Da quando lei aveva letto Un italiano in California, un saggio sul mito della West Coast scritto da un tale Fabbri e diventato un best seller negli ultimi mesi, non faceva altro che parlare di America e di quanto sarebbe stato bello andarci. Bastava risparmiare per qualche mese, e magari insistere con Lorenzo, l amico di Luca che viveva a Los Angeles da quattro anni, per farsi ospitare. Ma non c era stato bisogno di autoinvitarsi, perché nella sua ultima lettera, scritta sul retro di una fattura, Lorenzo (che ormai si firmava sempre Larry ) li aveva energicamente invitati a prendere un aereo e stare da lui per qualche mese. Senti, andiamoci, aveva detto Luca. Mettiamo da parte i soldi e andiamo. Sei sicuro? Certo che sono sicuro. In fondo a me di laurearmi in un tempo decente non me ne frega più di tanto. E poi credo che ne valga la pena... Per scrivere, dico. Sento che non scriverò mai niente di buono rimanendo qui. Non c è niente che mi piace, niente che ficcherei in una sceneggiatura. Con le sceneggiature si fanno un sacco di soldi, no?, aveva sorriso Chiara, volendo sembrare meno seria di quello che era in realtà. Eccome. Il tuo uomo è un futuro premio Oscar, era stata la risposta, altrettanto superficialmente ironica, benché dentro di sé Luca fosse mortalmente serio... Cinque mesi dopo erano partiti. Non avevano molti soldi, solo seimila dollari, ma erano a Manhattan e lo stavano facendo davvero e il bello era che erano felici. Forse euforici, non felici. Ma stavano bene. Stavano realizzando l impresa che aveva lasciato a bocca aperta tutti i loro amici. Nessuno li aveva presi veramente sul serio fino a quando l aereo non era decollato. Tre giorni dopo l arrivo Luca aveva comprato la Ford a Harlem. Poi aveva ringraziato Lorenzo al telefono per la dritta. Si era chiesto come facesse il suo amico a conoscere un ricettatore di auto nel quartiere nero di New York, ma non era veramente ansioso di trovare risposta a questa domanda. Il quarto giorno erano pronti per la traversata. Una Ford vecchia di trent anni senza aria condizionata, quattro valigie, soldi scarsi, un peluche di Flat Eric appollaiato sul sedile di dietro, un sacchetto di maria sotto al sedile davanti, una copia tascabile di Un italiano in California (più dozzine di depliant turistici) dentro al cruscotto, nastri di Leonard Cohen, Doors, Guns n Roses, REM, Lou Reed, Suzanne Vega, Edie Brickell, Springsteen, Red Hot Chili Peppers, Eagles, U2, Santana, Rolling Stones e naturalmente Tom Waits. Definizione di Luca: Un qualcosa alla Kerouac postmoderno. Vasco Rossi non c entrava veramente un cazzo. Ora Luca era al volante della sua gigantesca Fairlane, 5000 di cilindrata e un carburatore insaziabile, nel cuore del più cinematografico dei deserti, e si sentiva beatamente sfasato rispetto alla realtà. Tutto questo cielo. Mi innervosisce, sospirò Chiara. È naturale. Siamo abituati agli spazi stretti. Gli spazi aperti ci sbalestrano, la natura selvaggia altera il nostro metabolismo. Ma a me il deserto piace. Stare il mezzo a tutte queste cose morte mi fa sentire sicuro di essere vivo, filosofeggiò Luca

5 Che palle. In effetti il panorama era identico a se stesso da un eternità. Pietra gialla e cielo in technicolor e calore quasi solido. E quella lunga, polverosa Statale 190. La strada più crudele del mondo. Prima di ogni dosso dava l illusione di finire in qualche valle verde e fresca... invece l aridità si ripeteva, sempre uguale. L unica nota diversa era la silhouette bizzarra e colorata delle montagne, che suggeriva un paesaggio lunare trapiantato sulla Terra. Le rocce frastagliate, splendide e bollenti, si estendevano per miglia in tutte le direzioni, come una fornace a cielo aperto, e sarebbe stato sufficiente imboccare uno dei tanti sentieri non asfaltati per perdersi in un mondo alieno, dimenticando il proprio. Una buona ambientazione per una storia, rifletté Luca, gettando il mozzicone. Il mozzicone venne riproiettato sul sedile posteriore attraverso il finestrino, atterrando fra le gambe color canarino di Flat Eric, ma nessuno dei due se ne accorse. Tesoro..., sussurrò Chiara. Quand è che arriviamo? Mmh? Quand è che arriviamo in prossimità di un letto? Si accostò a Luca e gli massaggiò l inguine. Il cazzo di Luca dette segni di vita. Chiara lo accarezzò ancora per qualche istante attraverso il tessuto ruvido dei pantaloni, poi si abbandonò di nuovo sul sedile. Ehi, ma cos è questo odore di erba?, chiese. Abbiamo fumato fino a ora. No, è una puzza intensa, come se... Piccola, il caldo ti fa veramente male. La canna continuava a bruciare, posata sul sedile posteriore. Un sottile filo di fumo avvolgeva la testa di Chiara... Luca consultò il contamiglia: segnava 303. Lo aveva azzerato appena partiti da Reno. Erano a poco più di metà percorso. Erano le tre e mezzo. Calcolò che sarebbero arrivati a Barstow verso le otto e mezzo. Lì avrebbero fatto rifornimento e se fosse stato per lui avrebbero proseguito il viaggio fino a Los Angeles, senza spendere soldi in un altro motel. Entro l una di notte avrebbero trovato la casa di Lorenzo. Il guaio era che Chiara odiava la macchina e viaggiare di notte la mandava in tilt. Ma, soprattutto, la sola idea di alterare il Programma (così lo diceva, con la maiuscola) le faceva perdere punti di QI al ritmo di 30 al miglio. Che ne dici di tirare dritto?, azzardò lui. Eh?, mugolò Chiara con aria sofferente. Di non fermarci a Barstow per la notte. Non abbiamo molti soldi, e poi mi sembra uno spreco di tempo, voglio dire, all una possiamo essere a Los Angeles... E il Programma? Fanculo il Programma. Questo la mandò in bestia. Sentimi bene. Io su sta macchina non ci resisto un minuto più del necessario. Si era detto Barstow e, cazzo, dormirò a Barstow. Non mi va di saltarmi una notte dopo sette ore nel deserto. Odio questo deserto. Prima viaggiamo, prima ci togliamo dal deserto. Barstow è nel deserto. È la capitale del deserto del Mojave. Questa notte voglio un letto, chiaro? Ieri siamo andati a letto alle sei e ci siamo svegliati alle dieci... quattro ore di sonno e un mal di testa della madonna e arrivi tu e mi pianti lì che vuoi partire con un giorno di anticipo perché hai paura di perdere tutti i soldi. E io: Sì sì Luca ok come vuoi certo. Mi sono adeguata ai tuoi cambiamenti di Programma? Sì o no? Rispondi! Sì... E io ho detto va bene? Sì o no? See... See! E a me piaceva Reno, ok? Mi divertivo con tutte quelle macchinette con la leva e tutti quei tavoli verdi! Ok? Non era male per me stare un giorno in più. Ma ho protestato? No. Benissimo. Per cui, adesso... ci fermiamo a Barstow. Dormiamo tutta la notte e domani visitiamo quella cazzo di città fantasma di Calico che aspetto di vedere da quando siamo partiti da Bologna. Ah! È per quello che ti vuoi fermare! Per quella idiota città fantasma piena di fast-food e vetrine con caschi da minatore finti e sa

6 loon con le porte di plastica. Merda, ti sei innamorata di un depliant trovato dalla parrucchiera! Luca ragliò una risata. Vaffanculo. La storia del depliant era vera. La Città Fantasma di Calico aveva preso di mira Chiara quando erano ancora a Bologna, mentre lei si faceva fare la messa in piega... e le si era fissata in testa, insieme alla tinta castano scuro. L opuscolo descriveva la California come una specie di Eden per turisti anche con un budget ristretto, non temete, e forniva un dettagliato elenco di località dove il tipico, sprovveduto imbecille italiano poteva perdere migliaia di dollari in ameni negozietti zeppi di roba fabbricata a Taiwan... e una di queste trappole era Calico, la scadente riproduzione di una città mineraria di fine Ottocento. Luca pensò alla macchina da scrivere ancora chiusa nel bagagliaio. Tutto quello che voleva era sdraiarsi sulla sabbia lambita dal Pacifico, guidare lungo Hollywood Boulevard, pigiare i tasti della Underwood con Waits in sottofondo... e invece doveva sorbirsi quelle tirate da turistella isterica. Doveva aspettare ancora un giorno. Guardò fuori dal finestrino, per distrarsi. Erano due settimane che guardava fuori dal finestrino. Tutto quello che aveva fatto era stato tenere gli occhi aperti, cercando di incamerare il maggior numero possibile di informazioni visive: stava prendendo appunti mentali su un entità puramente esterna e oggettiva. Seguendo ogni sera il proprio percorso sulla cartina, contando i chilometri fatti, aveva sentito crescere dentro di sé una sensazione di totale, magnifica e lucida ininfluenza. Quello che proverebbe una telecamera se avesse un anima. La cangiante crudeltà di New York, il piattume di Buffalo, e poi Chicago dove si erano fermati a dormire, ripartendo il giorno dopo senza aver visto quasi niente se non lo skyline asimmetrico che poteva benissimo essere un accurato fondale. Poi a sud. Ore e ore senza dover mai sterzare. Kansas City, St. Louis. Dozzine di fotogrammi sparsi in disordine sulla sua scrivania mentale. New Mexico. A ovest, Arizona. E alla fine ancora su, a nord. Attraversare quello strano deserto ondu- lato e cascare sopra L.A. dall alto, come spinto da un inevitabile forza di gravità. Perché era questo che a Luca piaceva pensare: di stare solo rotolando verso il fondo di un imbuto. Non gli piaceva la parola destino, ma era a qualcosa del genere che pensava in segreto. Ormai la meta era vicinissima, e la sua condizione mentale era quella di uno spettatore nei dieci secondi che precedono il film: le luci sono spente, lo schermo è uniforme e vuoto e parlare è una specie di violazione. Adesso Luca si rendeva conto di aver percepito l America a est di Los Angeles come una enorme sala di cinema vuota. C era solo un piccolo rinvio sull inizio della proiezione, e Luca si disse che non valeva la pena innervosirsi. Anzi, forse il ritardo avrebbe reso ancora più intenso il momento in cui i suoi occhi avrebbero finalmente zoomato sulla grande scritta bianca che aveva su di lui il potere di una calamita: HOLLYWOOD. A caratteri cubitali sulla collina più famosa del mondo. Il pensiero ebbe su di lui un effetto calmante, per cui acconsentì: Ok. Come vuoi. Ti porterò in mezzo ai fantasmi. Grazie, amore, gorgogliò Chiara, attaccata alla bottiglia d acqua. Era la penultima. Forse le darò una piccola parte nel mio film... per farla felice, pensò Luca, il cui sogno più inconfessabile era tuttavia quello di scopare a morte l (ipotetica) attrice protagonista dell (ipotetico) film tratto dalla sua (ipotetica) sceneggiatura, per poi finire su tutte le cronache scandalistiche e guadagnare pubblicità in vista dell assegnazione dell Oscar. Questa fantasia non mancava mai di eccitarlo. Lanciò un occhiata alle cosce scoperte e sudate della sua ragazza. Ripensò a come lei lo aveva toccato, poco prima, e formulò fra sé e sé un piccolo elenco di cose che le avrebbe fatto, quella sera in albergo. Allungò una mano e accarezzò un ginocchio a Chiara... Poi non vide più niente. Un bagliore violento, per quanto brevissimo, lo accecò. Dopo un istante riaprì gli occhi. Due puntini gialli gli erano rimasti impressi sulla retina

7 Solo un diamante può brillare così, pensò senza motivo. Una pietra preziosa abbandonata sull asfalto, davanti al radiatore della sua Ford. Poteva essere... sì, uno spunto. Diamanti nella Death Valley: niente male come titolo. Il pensiero si formò e si decompose in un istante. La mente razionale di Luca lo bollò come idiota e inverosimile. Fu sufficiente riaprire gli occhi perché svanisse nel nulla. Il bagliore era il riflesso del sole sul vetro di un auto. L idea del tesoro sarebbe tornata solo in seguito. L auto era......ferma in mezzo alla strada. Si trovavano su una piccola altura. Oltre, un tratto pianeggiante della Valle si stendeva davanti alla Ford come un enorme piatto poco invitante. Hai visto? Non sono cieca, Luca. Ma che ci fa in mezzo alla strada? Luca scosse la testa. 2 Arriva qualcuno!, gridò Emilio. Il grido si sollevò nell aria bollente e si perse. Sean era una sagoma che si ingrandiva lentamente. Correndo sollevava sbuffi di polvere. Emilio mise su gli occhiali da sole con la montatura arancione e appoggiò la mano a taglio sulla fronte, per ripararsi dal riverbero. Intanto che Sean sbrigava il lavoro Emilio aveva tentato di far ripartire il motore. La Lincoln aveva pianto qualche singulto, e niente di più. Ora il motore ticchettava, surriscaldato. Il proiettile sparato dall agente Rogerson (riposi in pace) meno di mezz ora prima era finito proprio al centro della griglia del radiatore, spaccando qualche organo vitale del motore. Sean continuava a correre verso la strada. Emilio spostò lo sguardo di novanta gradi e inquadrò l automobile in cima all altura. Appoggiò la mano al tettuccio della Lincoln e la ritrasse subito: si era scottato. Solo due cose erano certe: la Lincoln era ferma esattamente al centro della carreggiata, quindi qualsiasi veicolo con più di due ruote avrebbe dovuto rallentare parecchio per tirare dritto; e il novantanove per cento dei buoni cittadini americani si sarebbe fermato per forza in un caso come quello. Se il guidatore dell auto sulla collina fosse appartenuto al restante uno per cento... Be, si sarebbe fermato lo stesso. Emilio aveva un idea di come convincerlo. Si passò la mano sul mento e lo pulì dal sudore. Poi la mano scese 26 27

8 alla cintola dei pantaloni di cotone, coperta dalla lunga camicia floreale hawaiiana. Le dita si chiusero sul calcio della calibro 38. Mi basta solo una cosa, si disse. Che non siano altri poliziotti. Chiedo solo questo. Che cosa credi di scoprire? Un paio di sballati che hanno fuso il motore perché correvano troppo. Probabile. Erano a circa un chilometro dalla macchina ferma. Luca rallentò. Mi devo fermare? Mmh-hm. Forse. Dici che c è ancora puzza di erba? Io la sento fortissima, la puzza. Non so perché. Luca rifletté ad alta voce: Be, che possono dire? No, grazie, non accettiamo assistenza dai cannaioli? Mancavano cinquecento metri. È proprio in mezzo alla strada. Mi fermo?, chiese ancora Luca. Fermiamoci, rispose Chiara, dopo qualche secondo. Avranno bisogno di aiuto. Forse vogliono... un po d acqua per il radiatore. Duecento metri. Sean percorse gli ultimi metri di deserto e calcò di nuovo le suole degli stivaletti sull asfalto. Era coperto di polvere e sudore. Dove l hai messo?, gli chiese Emilio, senza togliere gli occhi dalla Ford nera che stava arrivando. Dietro quella collina, rispose Sean, indicando l orizzonte. Poi si squadrò velocemente dalla punta degli stivali fino al colletto della camicia, in cerca di macchie di sangue. Ne aveva un paio sulle maniche. Le arrotolò. Dai retta a me, ok?, disse Emilio. Sean non disse niente. Ci sono due uomini, disse Chiara. Avrei preferito due donne, ribatté Luca, e pigiò il pedale del freno. Eccoli qui, annunciò Emilio a voce bassa. Istruì Sean: Noi abbiamo un guasto e ci vanno bene tutte le destinazioni, comprende? Lascia parlare me, coño. Iniziò a sorridere. Luca accostò a destra e aprì la portiera. Ehi!, urlò il messicano basso che gli stava trottando incontro. Portava una camicia hawaiana troppo grande di almeno due taglie e un paio di enormi occhiali da sole. Luca scese dalla macchina. Che cosa è successo?, domandò con voce stonata. Chiara stava in silenzio, seduta al suo posto. Oh Jesus, un guasto. Ci ha piantati qui. Non so, è saltato qualcosa, non so cosa... Ma come... Non lo so! È tremendo. Sto... stiamo morendo di sete. Solo in quel momento Luca notò il bestione con il culo appoggiato alla Lincoln. Il tizio rispose al suo sguardo con un impercettibile cenno del capo, a metà tra il diffidente e l infastidito. I capelli biondo platino baluginavano al sole. Avete un telefono? Per chiamare un soccorso. Siete stati gentili a fermarvi... grazie... io, ehm, stavamo andando a... a sud, andiamo a sud... siamo, ecco, lavoriamo nel cinema. Siamo due controfigure. A- vevamo... un appuntamento, sì. Eh? Poi ci siamo... fermati, uhm, qui. Se avete un... Hai detto che siete due... Ho detto... siamo controfigure, amigo. Con un appuntamento. A sud, sì. Non abbiamo un telefono. Abbiamo un po d acqua per il radiatore, disse Luca, la cui diffidenza si era subito dissolta. All improvviso non gli importava più di trovarsi in piedi al centro della Statale 28 29

9 190, sotto il sole cocente, sessanta metri sotto il livello del mare, quarantacinque gradi e l asfalto rovente, a parlare con un perfetto sconosciuto messicano logorroico e il suo amico culturista, accanto a una Lincoln vittima del guasto più incomprensibile. Chiara uscì dall abitacolo. Allora che succede?, chiese in italiano. Hanno avuto un guasto, spiegò in fretta Luca, in inglese. Emilio annuì. Un guasto, ripeté Sean, senza staccarsi dalla portiera. E non è il radiatore. Luca si passò la lingua sulle labbra secche. Lo sguardo del gigante lo metteva a disagio. Dove andate?, chiese. Chiara trasalì. In Un italiano in California era sottolineato in rosso: «Non dare passaggi in nessun caso. La strada per la California è battuta dagli individui più strani». Proprio così diceva. Gli individui più strani. E quei due erano molto strani. Ma Luca aveva udito la parola passe-partout che apriva ogni porta del suo cervello: CINEMA. E in fondo quei due avevano l aria di essere nei guai sul serio. Lasciarli lì sarebbe stato crudele. C era da crepare, con quel caldo, senza acqua, senza possibilità di chiamare aiuto. Furnace Creek era troppo distante per arrivarci a piedi. E non passavano macchine. Non passava nessuno. Erano fuori stagione, parecchio fuori stagione. Be, avete trovato il posto meno indicato al mondo per avere un guasto alla macchina, osservò Chiara, questa volta in inglese. Ehm, sì, confermò Emilio. C era un ombra di disperazione sul suo viso. In effetti la sua espressione era sincera. Noi vogliamo solo trovare un centro abitato. Poi chiederemo aiuto e cercheremo di recuperare questa carretta in qualche modo, Madre de Dios. Con un... ehm, carro attrezzi. Ok. Montate su. Leviamoci di qui. Spostate l auto sul ciglio della strada e vi porto a Furnace Creek, offrì Luca. Poi aggiunse, parlando indirettamente a Chiara: Saranno meno di dieci miglia. Grazie, amigo! Emilio balzò indietro e aprì lo sportello sinistro della sua auto rotta: tenendo una mano sul volante, la spinse sul bordo della carreggiata. Poi spalancò la portiera posteriore e si infilò dentro, lasciando sporgere solo le gambe. Sean si mosse verso la Ford, grugnì un saluto a Chiara e fece per entrare in macchina. Il messicano riemerse... in mano stringeva una voluminosa borsa di tessuto verde. Aveva l aria di pesare molto. A posto... noi due ci mettiamo dietro, amigo. Ok, disse Luca. Emilio si sedette a destra, dietro al sedile di Chiara, con la borsa sulle ginocchia. Ehi, la vuoi mettere nel bagagliaio? Non ho l aria condizionata, ci sarà da morire con quell aggeggio addosso. No, no hay problema. La tengo qui con me, rispose Emilio, che quasi scompariva sotto la sacca. Sean si infilò dentro, spostò Flat Eric con una manata e sprofondò nel sedile. Chiara e Luca ripresero i loro posti. Le portiere sbatterono e la Fairlane riprese la marcia. Dove andate, voi, ragazzi?, chiese Emilio. Barstow. E poi L.A., rispose Chiara. Ehi! Anche noi dobbiamo fermarci a Barstow. Avevamo un incontro molto importante, proprio stasera, spiegò. L appuntamento. Dovremo, ehm, rimandare. Un appuntamento di lavoro?, indagò Luca. Chiara lo fulminò con lo sguardo. La sua idea era di fermarsi a dare un occhiata, e magari di passare ai tizi un paio di litri d acqua. La sua idea era di non caricare nessuno. Seguro. Il nostro nuovo agente. Era un appuntamento molto importante. State girando un film?, continuò Luca. Un film, sì. Un film. Dobbiamo passare da L.A. e poi girare in Messico. Tre mesi di riprese

10 See? Dove? Aaaa... ecco, a Cabo San Lucas. Baja California. Uh!, esclamò Luca, ammirato. Favoloso, si unì Chiara, in tono piatto. Qual è il titolo? Emilio si passò una mano sulla guancia. Questa non era una delle domande previste. Il titolo è... Si schiarì la voce, impacciato. La rapina, intervenne Sean. Teneva gli occhi azzurro sbiadito fissi sulla nuca di Luca. La rapina? È d azione? Qualcosa alla Tarantino? Sean lasciò in sospeso la domanda. Dopo un paio di minuti Luca ricominciò: Ragazzi, posso farvi qualche altra domanda? Come siete entrati nel mondo del cin... Non riuscì a terminare. Sean lanciò un urlo selvaggio e si alzò di scatto dal sedile. Cozzò con la testa contro il tettuccio e urlò ancora. Ahah! Merda! Fuoco! Cosa... Il viso di Sean, già bruciato dal sole, diventò ancora più rosso. Fuoco! Mi ha bruciato il culo! Luca guidava con la testa girata indietro, senza capire niente. Sean si passò una mano sotto al sedere. Appena alzò le enormi natiche dal sedile, si diffuse nell abitacolo uno sbuffo di fumo e un buon aroma di erba. Grugnì, tenendo fra pollice e indice il mozzicone schiacciato di spinello, ancora mezzo acceso. Emilio si rilassò e sorrise. Ottimo, amigo. Bel colpo. Oh-oh, merda, non capisco... scusa... ma come cazzo ha fatto a finire sul sedile... Chiara stava ridacchiando. Mmh-hmm... sa di buono. Marijuana? Luca era rosso porpora. S-sì. Posso? Grazie, Sean, così dicendo strappò il mozzicone di mano a Sean. Diede un tiro profondo, lo buttò giù tutto, poi espirò. Abbassò il finestrino e scagliò il residuo incenerito sulla strada. Tutto bene?, chiese Luca timidamente. Sean grugnì, serrando la mascella. Ok, ok, todo bien, il nostro Sean ha il culo di amianto, no?, sdrammatizzò Emilio. Sean disse: Ho il culo bruciato. Ehi, tutto bene, ripeté Emilio. Sean non è spiritoso. Poco dopo oltrepassarono un cartello: FURNACE CREEK 1 MILE. Ragazzi, è davvero importante l incontro di stasera?, chiese Luca, nel tono di chi si vuole sdebitare. Sì, sibilò Sean. Luca sospirò. Perché no?, si autoconvinse. E poi potrò fargli ancora un sacco di domande... Be, vaffanculo Furnace Creek. Vi porto a Barstow, disse, e avvertì lo sguardo di Chiara che gli scavava il viso. La mano destra di Emilio riemerse da sotto la borsa. Fino a un attimo prima era stata appoggiata alla Smith & Wesson. Entro un minuto Emilio l avrebbe estratta e puntata alla nuca di Chiara. Sean avrebbe fatto lo stesso a Luca. Una sosta a Furnace Creek poteva essere dannosa. Non sai quanto sia meglio per noi... questione di vita o di morte, disse il messicano. Ehi, sapete che fra qualche chilometro c è Zabriskie Point?, domandò giovialmente Luca

11 3. LAS VEGAS, NEVADA Signor Zedoch?, lo chiamò la voce della segretaria dall interfono. Una lucetta rossa lampeggiava accanto al microfono. Reg Zedoch mosse il joystick della sedia a rotelle. La sedia lo trasportò vicino alla scrivania, ronzando. Inalò un altra boccata dal sigaro e premette il bottone. Sì?, rispose, soffiando fuori il fumo. Il signor Siegal è arrivato. Lo faccia entrare. Subito, signore, disse la segretaria, con il solito tono in cui professionalità e servilismo erano miscelati alla perfezione. Avevano tutti lo stesso tono, lì al Luxor, quando gli rivolgevano la parola. La segretaria probabilmente gli avrebbe leccato la zona perianale, se lui gliel avesse chiesto via interfono. Era come se tutti avessero un joystick, come la sua sedia a rotelle extralusso, e lui potesse manovrarli con il minimo movimento della mano. Tutti tranne una persona. Proprio l unica di cui a Reginald Zedoch importasse qualcosa. Era quello il guaio, era quello il motivo per cui Ray Siegal si trovava lì. Zedoch premette un altro bottone e la serratura della porta blindata scattò. Avvertì un forte prurito alla gamba sinistra: era impossibile, ma lo avvertiva lo stesso. Prima che gli sparassero e gli tagliassero i collegamenti con ogni zona del corpo a sud dell ombelico, si grattava la coscia sinistra ogni volta che era nervoso. Prima di un appuntamento importante, per esempio. Un appuntamento come questo. La sagoma di Siegal comparve al di là della porta. Avanti, lo invitò Zedoch. Si sentiva la testa leggera e avvertiva anche un principio di nausea. Aveva bevuto tre bicchieri di Wild Turkey. Aveva perso il controllo. Erano anni che non perdeva il controllo, eh no, se perdevi il controllo con troppa facilità venivi nebulizzato, e non riuscivi a superare neanche il primo gradino di una scala come quella che lui aveva salito. Uno che perdeva il controllo e si metteva a bere e a sniffare roba difficilmente riusciva a tirar su abbastanza grana per diventare uno dei maggiori finanziatori (non ufficiali) della costruzione di un grandioso hotel-casinò sullo Strip. Il Luxor era stato costruito nel 1993 esclusivamente con denaro contante, e una buona percentuale di quel contante era provenuto da un conto nelle isole Cayman intestato a un certo Valerij Meteski. Il signor Valerij Meteski non esisteva, ma aveva depositato in banca diverse decine di milioni, e prestava volentieri denaro a Reginald Zedoch, se così si può dire. Si era rivelato un buon affare. Il Luxor gli fruttava dai nove ai tredicimila dollari al giorno. Permesso, chiese Siegal, avanzando lentamente. Prego, prego. Ma questa volta lo aveva perso, il controllo. Quella magnifica stronza gli aveva succhiato via il cervello. Lui l adorava dal giorno che si era fatta scopare dal suo cazzo di plastica. Era stata lei a insistere: Su, Zeddie (Zeddie...) mi eccita questa cosa, posso gonfiartelo io?... Oh, come si fa? Devo premere questa pompetta? Uhm, bene bene... Ray Siegal si fece avanti. Sorrideva. Tese la mano sulla scrivania. Mi perdoni, ma ho qualche difficoltà ad alzarmi, disse Zedoch stringendogliela. Era secca e fredda, come una bistecca congelata. Ma si sieda. Si metta comodo, signor Siegal. Siegal indossava un completo grigio scuro fatto su misura, una cravatta grigia di seta e una camicia bianco ghiaccio. Zedoch non era riuscito a vedergli le scarpe... ma senz altro erano tirate a lucido, nere, nuove, costose. Il Rolex che aveva al polso era abbondantemente oltre la soglia dei diecimila dollari. Non che lui fosse un uomo che si impressionava davanti al lusso. Inalò un altra boccata dal Don Tomas e la soffiò fuori. Non aveva fretta di parlare. Quella visita sarebbe sta

12 ta ben ricompensata, quindi non era il caso di essere troppo arrendevoli. Aveva trattato con parecchi serpenti, e sapeva come mantenere la calma... Wild Turkey permettendo. Siegal era un serpente, quella era la sua fama, e quella era anche l impressione che gli dava. E Zedoch voleva proprio un serpente. Ray Siegal, del tutto a suo agio, estrasse un pacchetto di Zino Davidoff e se ne accese una con un accendino Cartier d oro massiccio. Il giallo dell oro era l unico colore caldo che aveva addosso. Usi questo posacenere, disse Reginald, spingendo sulla scrivania una vaschetta di cristallo lavorato. Ray annuì. Il suo sorriso si allargò ancora. Sembrava una paresi ai muscoli facciali. Zedoch aprì la bocca per parlare, ma Siegal lo anticipò: Ora potrei sapere perché sono dovuto volare fin qui da San Francisco, senza ottenere la minima spiegazione al telefono? Il suo tirapiedi mi ha detto: sono diecimila se viene subito. Più le spese di viaggio. Vogliamo riservarle un trattamento di prima classe..., sghignazzò. Basta che non esiga spiegazioni al telefono, scimmiottò la voce dell uomo di Zedoch che lo aveva contattato. Era stato nemmeno quindici ore prima. Ho dovuto lasciare in sospeso un affare importante, a Frisco, per venire qui in questa gabbia di matti nel deserto. Odio questa città. Odio questo clima. Odio sudare. Spero che si tratti di qualcosa di serio, non un affare da macellaio. Dall aria che si respira qui, il lavoro che lei mi sta per offrire, signor Zedoch, si preannuncia come lo squallido omicidio di una caccoletta di mafioso che le ha vomitato sul tavolo verde del black-jack e l ha fatta incazzare. Lei è ricco sfondato e ha l ossessione della qualità nelle cose più stupide, quindi per un lavoro che potrebbe essere sbrigato dal più disperato dei suoi sudditi chiama il meglio sul mercato: me. Potrà dire di avere commissionato un lavoro a Ray Siegal. Ray tirò una boccata. Zedoch era immobile sulla sedia a rotelle. Oh, la limousine che mi ha mandato all aeroporto non era affatto male. L autista era uno schifo, continuò Ray. Puzzava di alcol, era probabilmente fumato, teneva l aria condizionata al minimo e aveva la faccia gialla. Guidava come un isterico, avanzava a scatti. Spero che non sia il suo miglior autista... Siegal ridistese le labbra in una smorfia sprezzante, e chiuse il discorso: Bene, sono qui. Cosa mi offre e cosa pensa che potrei offrirle io? Questo rettile deve avere amici in alto, rifletté Zedoch. Oppure è pazzo a venire qui a parlarmi così. Non può essere altrimenti. L ultimo uomo che si era rivolto a lui in maniera simile era stato il proprietario del ristorante cinese dove aveva trovato il suo primo lavoro, a diciotto anni. Reginald a quel tempo era un giovane polacco con la faccia piena di pus. Il proprietario un giorno gli aveva spento il sigaro da cinquanta centesimi sul dorso della mano perché Reg si era dimenticato di sostituire il rotolo di carta igienica nel cesso delle signore. Lo aveva sopportato. Si era licenziato e aveva messo nel cassetto il ricordo. Poi, sette anni dopo, quando si era trovato fra le mani le prime briciole di potere e di protezione, aveva incaricato due tizi di bruciare il locale. Erano passati quasi quarant anni da quell incendio... e c era ancora un piccolo segno sulla mano di Zedoch. Lo guardava volentieri, quando sollevava alla bocca uno dei suoi sigari da ventisei dollari. Decise di ignorare quella mancanza di rispetto, per il momento, e di passare al sodo, come se Siegal non avesse detto niente. Lei non deve uccidere nessuno. Almeno... non sarà questo il suo compito principale. Si tratta di trovare una persona. Ray alzò le sopracciglia e soffiò fuori un anello di fumo. Trovarla e riportarla qui senza nemmeno un graffio. Ed eventualmente eliminare gli intralci. Ray ridacchiò ancora e si schiarì una voce che non aveva bisogno di schiarimenti. Forse le hanno dato informazioni sbagliate sul mio conto. Questa robetta la facevo dieci anni fa. Zedoch si permise il primo sorriso. Mi spiace, ma credo che le informazioni che ho ricevuto siano corrette. Ray scosse la testa. A chi si è rivolto? Non le deve importare

13 Ray allargò le braccia e alzò le spalle. Posso sapere almeno cosa le hanno detto sul mio conto? L espressione di Zedoch ritornò seria. Che lei è disposto a fare qualsiasi cosa. Basta che il compenso la soddisfi. Il ghigno di Ray perse parte della brillantezza. Mordicchiò il filtro della sigaretta. Io sono un killer. Non cerco gli animaletti domestici smarriti. Mi hanno detto che lei è il meglio quando si tratta di battere le tracce di qualcuno, insisté Reg. E la gente la dovrà pur trovare, prima di farla secca. Cos è questo, il suo modo di trattare sul prezzo? No. È il mio modo di dirle che sono già occupato. A Frisco. Zedoch aspirò dal sigaro. La cenere cadde sulla moquette. Ok, se ne torni nella sua San Francisco. Lei è la prima puttana che incontro che dice di no senza ancora aver sentito l offerta. Il ghigno di Siegal sparì del tutto. Quanto?, chiese. Mezz ora dopo, nello stesso momento in cui la Ford nera di Luca Morselli si immetteva nella Interstate 15 all altezza di Baker, diretta a Barstow, Siegal e Zedoch sedevano al bar privato della direzione. Ray stava a gambe accavallate su uno sgabello di metallo cromato, Zedoch sulla sua sedia. Dalla grande finestra entrava un raggio di sole al tramonto. Un uomo in giacca e cravatta era di guardia alla porta. Sul bancone di marmo erano appoggiati due bicchieri, uno di scotch, l altro di vodka al limone ghiacciata. In mezzo ai due bicchieri c era una cartella di plastica trasparente. Le dita sottili di Siegal sganciarono l elastico che la chiudeva ed estrassero il contenuto: due dozzine di foto a colori 20 x 30 e quattro fogli stampati al computer. Qui c è tutto quello che le serve. Le facce e le informazioni. Uh... mi sembra di lavorare con l FBI, commentò sarcastico Ray. Prima o poi appenderò questo figlio di puttana come uno straccio sporco, pensò Zedoch. No. Sbaglia. L FBI non paga così bene. Cerchi di non dimenticarselo. Non dimentico mai niente, disse Ray, dando un occhiata distratta alla prima foto. Nemmeno io, ribatté Reginald. Siegal sembrò non accorgersi del tono di velata minaccia. Commentò: Sembra una bella pollastra... com è che dite qui a Vegas? Chick. Pollastra. Zedoch non disse niente. Posso chiederle perché? Le deve dei soldi?, chiese Ray. Lei è un mercenario o un prete confessore? Le persone troppo nervose vivono meno. Zedoch buttò giù un sorso di scotch. Lo aiutò a sopportare anche quella provocazione. Anche quelle troppo curiose, disse. Devo sapere il più possibile, insisté Siegal. Ora parlava con tono serio e professionale, come se fosse già entrato nel pieno dell incarico. Le assicuro che se le chiedo qualcosa il motivo c è. Se la dovessi uccidere, non ci sarebbe problema. Ma quando si tratta di prenderla viva... più cose si sanno meglio è. Va bene. No, non mi deve dei soldi. Cosa le deve? Mi deve la sua stessa persona. Mmh-hm... Siegal stava scorrendo le fotografie. E questo chi è? La foto ritraeva un uomo con i capelli lunghi, brizzolati, occhiali da sole e anelli alle dita. Era in piedi accanto all enorme cofano di una macchina color rosa shocking. Uno di quei possibili intralci a cui accennavo prima, spiegò Zedoch, e finì il suo scotch

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