NOTE DI CHIMICA INORGANICA

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1 NOTE DI CHIMICA INORGANICA Atomo La più piccola porzione di un elemento chimico che conservi le proprietà dell elemento stesso. La parola "atomo", che deriva dal greco átomos, "indivisibile", fu introdotta dal filosofo greco Leucippo per definire le entità elementari, indistruttibili e indivisibili, di cui egli riteneva che fosse costituita la materia. La natura degli elementi fu precisata dal punto di vista scientifico e quantitativo agli inizi del XIX secolo dal chimico britannico John Dalton, oggi considerato il padre della moderna teoria atomica. Partendo dall'osservazione che gli elementi si combinano per formare diversi composti, secondo rapporti in peso ben definiti, egli sviluppò il concetto moderno di atomo come particella di dimensioni e peso caratteristici per ciascun elemento. In un secondo tempo, si comprese che le reazioni chimiche che avvengono tra elementi danno luogo alla formazione di molecole, cioè di aggregati di più atomi di composizione definita e costante. Ogni molecola d'acqua, ad esempio, è composta da un atomo d'ossigeno e da due atomi di idrogeno legati da forze di natura elettrostatica, come è indicato dalla formula chimica H 2 O. Nel 1811 il chimico italiano Amedeo Avogadro formulò la legge secondo la quale volumi uguali di gas diversi, nelle medesime condizioni di temperatura e pressione, contengono lo stesso numero di particelle. In accordo a questa legge, due contenitori identici, ad esempio di capacità pari a un litro, riempiti uno di elio e l'altro di ossigeno, contengono lo stesso numero di particelle: nel primo caso una particella corrisponde effettivamente a un atomo di elio He, nel secondo a una molecola di ossigeno, di formula chimica O 2. La comprensione dei meccanismi di decadimento radioattivo di alcuni elementi permise ai fisici di studiare più intimamente la natura degli atomi. Si scoprì che l'atomo è costituito principalmente da uno spazio vuoto, al centro del quale si trova un nucleo di dimensioni pari a circa un decimillesimo del diametro dell'intero atomo. In seguito a esperimenti di diffusione di particelle alfa da parte di atomi di elementi metallici, Ernest Rutherford concluse che la massa dell'atomo è concentrata in massima parte nel nucleo, attorno al quale gli elettroni ruotano percorrendo orbite predefinite. La carica positiva del nucleo viene bilanciata dalla carica negativa portata dagli elettroni, di modo che l'atomo, in condizioni normali, risulti elettricamente neutro. Il modello atomico di Rutherford, tuttavia, presentava alcuni inconvenienti: a causa del loro moto intorno al nucleo, dotato di accelerazione non nulla, gli elettroni avrebbero dovuto irraggiare con continuità, perdendo progressivamente energia, fino a collassare sul nucleo. Questo avrebbe reso impossibile l'esistenza di atomi stabili, in evidente disaccordo con le osservazioni sperimentali. Per eliminare le discrepanze tra l'atomo di Rutherford e i dati sperimentali, nel 1913 il fisico danese Niels Bohr propose un nuovo modello atomico, entrato a far parte dei fondamenti della meccanica quantistica. Secondo Bohr, gli elettroni percorrono orbite stazionarie intorno al nucleo, senza subire variazioni di energia: a ciascuna orbita corrisponde un determinato valore dell'energia dell'elettrone (livello energetico) e si ha emissione di radiazione solo quando l'elettrone effettua una transizione elettronica (un salto quantico ) fra livelli energetici diversi. In particolare un atomo emette radiazione elettromagnetica se un elettrone si sposta da un livello energetico superiore a uno inferiore, e assorbe radiazione nel caso contrario. La disposizione degli elettroni nei livelli energetici è detta configurazione elettronica dell'atomo. Il numero totale degli elettroni è uguale al numero atomico dell'atomo: l'idrogeno, ad esempio, ha un unico elettrone, l'elio ne ha due e così via. I gusci elettronici (così sono anche definiti i diversi livelli energetici fra cui si distribuiscono gli elettroni) vengono riempiti in modo regolare, dal primo livello fino al settimo, e ciascuno di essi può contenere un numero massimo definito di elettroni. Il primo livello è completo quando contiene due elettroni, il secondo può contenere otto elettroni, il terzo diciotto, e così via. Il settimo livello non è completo in alcuno degli elementi esistenti in natura. Il comportamento chimico di un atomo è determinato dal numero degli elettroni più esterni, ossia appartenenti al livello energetico più distante dal nucleo. I gas nobili (elio, neon, argo, cripto, xeno e rado) hanno il livello energetico più esterno completamente occupato, e ciò spiega il caratteristico comportamento chimico 1

2 di questi elementi, che sono appunto classificati anche come "gas inerti": in natura non reagiscono con alcun altro elemento, sebbene in laboratorio siano recentemente stati sintetizzati alcuni fluoruri di cripto, xeno e rado. Il guscio più esterno degli atomi dei metalli alcalini (fra i quali litio, sodio e potassio) contiene invece un solo elettrone, che viene facilmente "ceduto" a un altro atomo, formando un gran numero di composti chimici. Il metallo alcalino infatti, perdendo un elettrone, acquista stabilità, in quanto trasforma il suo livello energetico più esterno in uno completamente occupato. Un comportamento in un certo senso speculare caratterizza gli alogeni (fra i quali fluoro, cloro, bromo e iodio), il cui livello energetico esterno può venire completato con l'annessione di un elettrone: questo giustifica l'alta reattività di tali elementi, che tendono a combinarsi "acquistando" l'elettrone mancante. I livelli elettronici non vengono necessariamente riempiti in ordine consecutivo. Nei primi diciotto elementi della tavola periodica, gli elettroni sono disposti in modo regolare, e ogni livello energetico viene completato prima del successivo; a partire dal diciannovesimo elemento, questo ordine non viene più rispettato, pur continuando a rimanere valide alcune "regole di riempimento". La periodicità delle configurazioni elettroniche si riflette nella ripetizione regolare di determinate caratteristiche chimico-fisiche degli elementi, e giustifica da un punto di vista teorico la loro disposizione nella tavola periodica. Nel 1919 Rutherford osservò che le particelle alfa, incidendo su un campione di azoto, provocano la formazione di atomi di ossigeno e contemporaneamente l'emissione di particelle dotate di carica positiva. In seguito si scoprì che queste particelle, che vennero chiamate protoni, sono identiche ai nuclei degli atomi di idrogeno e sono i costituenti dei nuclei di tutti gli elementi. Nessun nuovo indizio sulla struttura dei nuclei si ebbe fino al 1932, quando il fisico britannico James Chadwick scoprì il neutrone, una particella nucleare avente massa quasi identica a quella del protone, ma priva di carica elettrica. Oggi si sa che tutti i nuclei sono costituiti esclusivamente da protoni e neutroni; inoltre, in ogni atomo il numero di protoni è uguale al numero di elettroni, e quindi al numero atomico. In tal modo l'atomo, possedendo un ugual numero di cariche positive e negative, risulta elettricamente neutro. Gli isotopi di uno stesso elemento possiedono un ugual numero di elettroni e di protoni, e quindi manifestano le stesse proprietà chimiche, ma differiscono per il numero dei neutroni. Nel caso del cloro, i simboli 35 Cl e 37 Cl indicano rispettivamente gli isotopi cloro 35 e cloro 37; in ciascuno dei due casi, l'apice indica il numero di massa dell'isotopo, pari alla somma del numero di protoni (che per il cloro è sempre 17) e del numero di neutroni. Talvolta si adotta la notazione Cl, in cui viene esplicitato il numero atomico. I nuclei meno stabili sono quelli che contengono un numero dispari di neutroni e di protoni; tutti i nuclei di questo tipo, tranne quelli di quattro elementi, sono radioattivi. In genere, un numero di neutroni molto superiore a quello dei protoni rende il nucleo instabile; i nuclei di tutti gli isotopi degli elementi oltre il bismuto posseggono questa caratteristica, e infatti sono tutti radioattivi. La maggior parte dei nuclei stabili contiene un numero pari di protoni e di neutroni. Elementi chimici Sostanze costituite da atomi dello stesso tipo, tutti contenenti un ugual numero di elettroni e di protoni. Si conoscono più di 100 elementi diversi, alcuni dei quali, i cosiddetti elementi transuranici, sono estremamente radioattivi; essi pertanto non si trovano in natura, ma vengono prodotti per via artificiale bombardando nuclei atomici di altri elementi con particelle cariche. Una prima classificazione divide gli elementi chimici in metalli e non-metalli; i primi sono elettropositivi, tendono a cedere un elettrone e si combinano velocemente con gli atomi dei non-metalli; questi ultimi sono al contrario elettronegativi e facilmente acquistano un elettrone. In qualche caso si individua anche una terza classe, dei cosiddetti semimetalli, con proprietà intermedie. Se vengono ordinati in base al numero atomico, proporzionale alla carica positiva netta del nucleo, si osserva una spiccata periodicità nelle caratteristiche fisiche e chimiche degli elementi e ciò suggerisce una ulteriore suddivisione in famiglie; sono così definite le famiglie dei metalli alcalino-terrosi, dei lantanidi, degli attinidi, degli alogeni e dei gas nobili. L'unità di peso atomico è pari a un dodicesimo del peso dell'isotopo 12 del carbonio, arbitrariamente posto uguale a 12. Il numero atomico, il peso e il simbolo chimico di ogni elemento noto vengono forniti dalla tavola periodica. 2

3 Elettrone Particella elementare che, insieme al protone e al neutrone, è tra i costituenti fondamentali della materia. Scoperto nel 1897 dal fisico inglese J.J. Thomson durante esperimenti sui raggi catodici, l'elettrone è oggi la particella elementare meglio conosciuta. Ha massa a riposo di 9109 x g, e carica elettrica negativa pari a 1602 x C. Gli elettroni intervengono in un gran numero di fenomeni: il flusso di corrente elettrica in un conduttore sottoposto a una differenza di potenziale è dovuto allo spostamento ordinato degli elettroni liberi del conduttore; i raggi catodici sono costituiti da elettroni; inoltre, sono elettroni anche le particelle beta emesse nei decadimenti radioattivi di alcuni nuclei instabili. Protone Particella nucleare dotata di carica elettrica positiva uguale e opposta a quella dell'elettrone. Insieme al neutrone è un costituente fondamentale del nucleo atomico e, in quanto tale, prende anche il nome più generico di nucleone. La sua massa misura 1,6726 x kg, cioè approssimativamente 1836 volte quella dell'elettrone. Ha momento angolare intrinseco (spin) semintero e obbedisce pertanto al principio di esclusione di Pauli. Essendo dotato di carica elettrica, è soggetto all interazione elettromagnetica; risente inoltre dell interazione nucleare forte, che lo tiene legato all interno del nucleo, e dell interazione debole, nei processi di decadimento beta. I protoni sono costituenti essenziali della materia ordinaria e, come tali, sono stabili su tempi di miliardi o migliaia di miliardi di anni. Neutrone Particella priva di carica elettrica che, come il protone, è un costituente del nucleo atomico; ha massa pari a 1, kg, quindi pressoché uguale a quella del protone. Risente dell interazione forte, che lo tiene legato all interno del nucleo, e di quella debole, che ne determina il decadimento beta. L'esistenza del neutrone venne ipotizzata nel 1920 dal fisico britannico Ernest Rutherford e da altri scienziati, ma la verifica sperimentale si ebbe solo nel 1932 per merito del fisico britannico James Chadwick. Come costituente del nucleo atomico il neutrone è una particella stabile; allo stato libero invece va incontro a decadimento beta trasformandosi in un protone, un elettrone e un neutrino, con un tempo di dimezzamento di circa 17 minuti. Ha momento angolare intrinseco o spin uguale a 1/2 e pertanto obbedisce al principio di esclusione. Numero atomico In chimica e in fisica, parametro che indica il numero di protoni contenuti nel nucleo di un elemento. Il numero atomico identifica l elemento: due elementi chimici differiscono per il diverso numero atomico, mentre due atomi con lo stesso numero atomico ed eventualmente diverso numero di massa appartengono allo stesso elemento. Numero di massa In chimica e in fisica, parametro che indica il numero totale di protoni e di neutroni (nucleoni) contenuti nel nucleo di un elemento. Atomi aventi lo stesso numero atomico ma un diverso numero di massa prendono il nome di isotopi. Periodicità. In chimica, legge che afferma che le proprietà chimiche e fisiche degli elementi ricorrono in modo sistematico per numeri atomici crescenti. Nella tavola periodica gli elementi sono distribuiti in base alla configurazione elettronica esterna. In particolare leggendo la tavola in verticale (per gruppi), si incontrano elementi che hanno lo stesso numero di elettroni nell'orbitale esterno, e che per questo motivo hanno caratteristiche chimiche e fisiche simili. Ad esempio il sodio e il potassio, elementi del primo gruppo che possiedono rispettivamente 11 e 19 elettroni, hanno entrambi un solo elettrone nell'orbitale più esterno. Muovendosi invece in direzione orizzontale, ossia leggendo la tavola per periodi, si incontrano atomi in cui gli elettroni presenti nell'orbitale più esterno aumentano, con continuità, da 1 a 8. Quando un periodo è stato completato, ne viene iniziato uno nuovo, cosicché le configurazioni elettroniche esterne, e con esse le proprietà chimiche degli elementi, variano periodicamente ripetendosi riga per riga (cioè periodo per periodo). Così il secondo elemento, l'elio, ha comportamenti chimici simili al 10 (il neon), al 18 (l'argo), al 36 (il cripto), al 54 (lo xeno) e all'86 (il radon). 3

4 Tutti questi scambi si possono realizzare appunto attraverso la formazione di un legame chimico, ad esempio di un legame covalente. Esistono due tipi di legame covalente: quello omopolare, che si realizza tra atomi dello stesso elemento, e quello eteropolare, tra atomi di elementi diversi. Il primo produce una molecola perfettamente neutra dal punto di vista elettrico, il secondo una molecola leggermente polarizzata. Il legame covalente omopolare consiste nella condivisione di due elettroni da parte di una coppia di atomi uguali. Ciascuno dei due atomi che partecipano al legame mette a disposizione un elettrone da condividere con l altro atomo; il doppietto elettronico avvolge la molecola così formata in modo che la distribuzione di carica elettrica intorno ad essa sia perfettamente simmetrica e la molecola risulti elettricamente neutra. Ad esempio, nell idrogeno molecolare H 2, ciascuno dei due atomi di idrogeno che partecipano al legame ha un solo elettrone nell orbitale più esterno (l unico); per completare l orbitale, basta un secondo elettrone preso in prestito da un altro atomo di idrogeno. Trattandosi di atomi identici, la forza con cui ciascuno dei due nuclei attrae a sé i due elettroni di legame è la stessa per entrambi, e la molecola risulta perfettamente simmetrica Il legame covalente si dice polare o eteropolare se avviene tra atomi caratterizzati da una notevole differenza di elettronegatività, vale a dire, da una forte disparità nella capacità degli atomi di attirare a sé gli elettroni di legame. Come nel legame omopolare, ciascuno dei due atomi mette a disposizione un elettrone di legame, ma poi il doppietto in compartecipazione viene attratto con più forza dall atomo più elettronegativo, e quindi la distribuzione di carica della molecola che ne deriva non è simmetrica. Ad esempio, nell'ossido di azoto, NO, l azoto N e l ossigeno O possiedono valori diversi di elettronegatività, e i due elettroni di legame sono ripartiti in maniera ineguale fra gli atomi: la loro densità di carica si concentra intorno all'atomo più elettronegativo. Si genera così una molecola dotata di un polo di carica debolmente positiva e uno di carica debolmente negativa. Il legame covalente è caratteristico di sostanze che non conducono elettricità, non hanno lucentezza, duttilità, né malleabilità. Legami doppi e tripli Se il numero di doppietti elettronici condivisi tra due atomi legati non è uno, ma due o tre, si parla rispettivamente di legame doppio o triplo. Un esempio di legame doppio si trova nella molecola dell anidride carbonica, CO 2, in cui l atomo di carbonio è unito a ciascuno dei due atomi di ossigeno con un doppio legame. Nell azoto molecolare, N 2, invece, i due atomi di azoto sono legati tra loro mediante un triplo legame. I legami doppi e tripli sono più forti dei legami covalenti singoli, e quindi più corti. Se il legame covalente consiste in una compartecipazione di elettroni, il legame ionico comporta invece un vero e proprio trasferimento di elettroni da un atomo all altro. Si tratta di un legame molto forte, dato dall attrazione elettrostatica tra due ioni di carica opposta, formati appunto in seguito al trasferimento di elettroni da un atomo all altro. Ad esempio, nel cloruro di sodio (NaCl), il sodio (Na), appartenente al primo gruppo della tavola periodica, cede il suo elettrone più esterno a un atomo di cloro (Cl), del penultimo gruppo (VIIA o diciassettesimo), a cui manca un solo elettrone per completare l orbitale. Si formano così il catione Na + e l anione Cl - che, essendo dotati di carica elettrica opposta, si attraggono con una forza data dalla formula di Coulomb. Nel caso del legame covalente dativo, i due elettroni di legame provengono da un unico atomo: un atomo, definito "donatore", cede il proprio elettrone a un altro atomo, chiamato "accettore". Si definisce legame metallico il legame fra metalli. Negli atomi di elementi metallici, gli elettroni più esterni sono assai debolmente legati al nucleo. Così, in un solido metallico, i nuclei degli atomi occupano posizioni fisse formando il reticolo cristallino, mentre gli elettroni più esterni non rimangono legati ai rispettivi nuclei, ma si muovono liberamente nel solido; il legame consiste sostanzialmente nell attrazione elettrostatica tra la carica positiva dei nuclei e la carica negativa della nube 4

5 elettronica. La mobilità degli elettroni di un solido metallico sono responsabili delle proprietà di conducibilità elettrica e termica, di lucentezza, di malleabilità e di duttilità proprie dei metalli. Il legame idrogeno si realizza quando un atomo di idrogeno, legato per mezzo di un legame covalente a un atomo molto elettronegativo (come O, N, F), forma un altro legame debole con un altro atomo elettronegativo che abbia una coppia di elettroni non condivisi. Questo legame, di natura elettrostatica, è notevolmente più debole dei normali legami covalenti: ciononostante ha un'enorme importanza. È responsabile dell'alto punto di ebollizione dell'acqua e dell'alto grado di viscosità della glicerina. Modifica la coesione di determinati cristalli, in particolare nel ghiaccio, e di fatto contribuisce a determinare il grado di massima stabilità di molte grandi molecole di importanza biologica. In un atomo, gli elettroni degli orbitali più interni sono attratti così intensamente dal proprio nucleo da non potere interagire con i nuclei degli atomi circostanti: solo gli elettroni che si trovano nelle zone più esterne dell'atomo, detti elettroni di valenza, riescono a partecipare nella formazione di legami chimici. Riferendosi alla notazione dei numeri romani per identificare i gruppi della tavola periodica, il numero di elettroni di valenza è fornito dal gruppo cui l'atomo appartiene. Così, gli elementi dei gruppi IA (o 1) e IB (o 11) hanno un solo elettrone di valenza; ne hanno due gli elementi dei gruppi IIA (o 2) e IIB (o 12) e quattro gli elementi dei gruppi IVB (o 4) e IVA (o 14). Tranne l'elio, tutti gli elementi dell'ottavo gruppo del sistema periodico (neon, argo, cripto, xeno e radon) hanno otto elettroni di valenza e sono gas poco reattivi, che esistono solo in forma monoatomica; in seguito alla scarsa reattività vengono chiamati gas nobili. La configurazione "completa" del guscio elettronico più esterno conferisce loro bassa energia, e quindi elevata stabilità. Con la formazione di legami chimici, tutti gli elementi tendono ad assumere la configurazione elettronica completa e stabile del gas nobile più prossimo nella tavola periodica. Tale comportamento è stato riassunto nella cosiddetta "regola dell'ottetto", enunciata dal chimico statunitense Gilbert Newton Lewis nel I metalli nei gruppi IA (o 1) e IB (o 11) della tavola periodica tendono a perdere un elettrone per formare ioni con una carica positiva, quelli dei gruppi IIA (o 2) e IIB (o 12) tendono a perdere due elettroni e a formare ioni con due cariche positive; analogamente si verifica per gli altri gruppi. Gli alogeni (gruppo VIIA o 17) tendono ad acquistare un elettrone per formare ioni con carica negativa, mentre gli elementi del gruppo VIA (o 16) tendono ad acquistarne due, formando ioni con due cariche negative. Un esempio di legame covalente è la molecola di cloro (Cl 2 ): ciascun atomo ha 35 elettroni, uno in meno rispetto all'atomo di argo, il gas nobile più vicino nella tavola periodica, cosicché quando due atomi di cloro formano un legame covalente omeopolare condividendo due elettroni, entrambi raggiungono una configurazione elettronica con 36 elettroni. Generalmente si rappresenta la coppia di elettroni condivisi con la formula ClCl. Altro esempio è la molecola di ossigeno: l'atomo di ossigeno ha in totale otto elettroni, due in meno rispetto al gas nobile più vicino, il neon; quando due atomi di ossigeno si legano per formare la molecola O 2, mettono in compartecipazione quattro elettroni, due per ogni atomo. In questo caso si forma tra i due atomi un doppio legame, OO. Allo stesso modo gli atomi di azoto nella molecola corrispondente condividono tre elettroni formando un legame triplo, NN. Nel diossido di carbonio, sia il carbonio (con sei elettroni propri) sia l'ossigeno (con otto) riescono a raggiungere il numero di elettroni del neon formando due doppi legami: OCO. In tutte queste formule di legame sono rappresentati solo gli elettroni coinvolti nei legami stessi. Circa l'80% di tutti i composti covalenti può essere descritto ragionevolmente dalle strutture elettroniche di Lewis; i restanti composti, specialmente quelli che contengono elementi dei gruppi centrali della tavola periodica, spesso non riescono a trovare giustificazione sulla base del tentativo di raggiungere la configurazione elettronica esterna dei gas nobili. 5

6 Soluzione In chimica, miscela omogenea di due o più sostanze; la sostanza presente in quantità maggiore, che può essere solida, liquida o gassosa, è detta solvente, mentre quella presente in quantità minore, in genere solida o liquida, è detta soluto. Raramente miscele di gas, come l'atmosfera, sono dette soluzioni. Le soluzioni appaiono omogenee e il soluto non può essere separato tramite filtrazione, a differenza di quanto avviene nei colloidi o nelle sospensioni, in cui le particelle di soluto sono di dimensioni molecolari e finemente disperse tra le molecole del solvente. Si dice soluzione solida una miscela di metalli che ha subito un processo di solidificazione mantenendo le proporzioni fra i costituenti. Forze intermolecolari o Forze di van der Waals Forze di attrazione o repulsione che si manifestano tra le molecole di una sostanza, determinandone lo stato di aggregazione. Si tratta di forze di natura elettrica, di intensità sensibilmente minore rispetto a quelle che determinano la formazione dei legami chimici tra gli atomi. Oltre a influire sullo stato di aggregazione della sostanza, tali forze sono alla base di diversi fenomeni fisici e chimici quali l'adesione, l'attrito, la diffusione, la tensione superficiale, la viscosità e le deviazioni del comportamento dei gas rispetto alla legge dei gas perfetti. Si tratta di forze a corto range, vale a dire, che si esercitano a breve distanza. Le forze intermolecolari attrattive, dette complessivamente di van der Waals, possono essere di tre tipi, a seconda delle caratteristiche della sostanza: forze di interazione dipolo-dipolo, che si esercitano tra molecole polari, di interazione tra dipoli istantanei, caratteristiche delle sostanze non polari, e di interazione dipolo-dipolo indotto, con caratteristiche intermedie tra le due. Inoltre, è una forza intermolecolare attrattiva anche quella responsabile del legame di idrogeno. Interazioni dipolo-dipolo. Si instaurano tra molecole polari, vale a dire caratterizzate da una distribuzione asimmetrica delle cariche elettriche intorno al nucleo, e quindi assimilabili a piccoli dipoli. Tra queste molecole si sviluppano forze di attrazione tra polarità opposte, la cui intensità è inversamente proporzionale alla sesta potenza della distanza (1/r 6 ) e alla temperatura assoluta. Quest ultima dipendenza dalla temperatura si spiega pensando che l agitazione termica delle molecole, che cresce all aumentare della temperatura, tende a contrastare l orientamento dei dipoli e quindi l instaurarsi dell interazione attrattiva tra di essi. Interazioni tra dipoli istantanei Anche le molecole non polari manifestano un attrazione reciproca di natura elettrica. Se non si ammettesse la presenza di simili forze di attrazione, non si spiegherebbe il motivo per cui un composto costituito da molecole simmetriche, e quindi apolari, come lo iodio (I 2 ) possa presentarsi allo stato solido a temperatura ambiente. Tutto si spiega considerando il moto degli elettroni di qualunque molecola. Occasionalmente, questo incessante movimento produce effetti di polarizzazione molecolare, che fanno della molecola un dipolo temporaneo. Tra dipoli temporanei adiacenti, quindi, si instaurano forze di attrazione di natura simile a quelle delle interazioni dipolodipolo. Anche in questo caso, l intensità della forza attrattiva diminuisce con la sesta potenza della distanza (1/r 6 ). L effetto descritto è tanto più accentuato quanto più alto è il numero di elettroni coinvolti; quindi è più facile trovare composti non polari condensati (liquidi o solidi) tra gli elementi pesanti, che tra quelli leggeri. Lo si può constatare esaminando il comportamento dei composti creati dagli elementi del settimo gruppo della tavola periodica (fluoro, F 2, cloro, Cl 2, bromo, Br 2 e iodio, I 2 ); mentre i primi due, più leggeri, si trovano allo stato gassoso a temperatura ambiente, il bromo è allo stato liquido e lo iodio il più pesante addirittura allo stato solido. Classificazione della materia Una classificazione della materia può essere fatta guardando i corpi e gli oggetti che ci circondano: possiamo constatare che essi sono quasi sempre costituiti da più di un materiale e perciò vengono 6

7 indicati con il termine generico di miscugli. Nello studio della materia è utili distinguere tra miscugli eterogenei e miscugli omogenei. I miscugli eterogenei sono quelli più facili da individuare perché in genere i diversi componenti che li costituiscono si riconoscono nettamente, talvolta a occhi nudo e in ogni caso usando una lente o un microscopio. Per esempio, se osserviamo un miscuglio di sale fino e di pepe macinato possiamo chiaramente distinguere i granelli di pepe da quelli di sale. Con molta pazienza e con l aiuto di una lente d ingrandimento e di una pinzetta saremmo anche in grado di separare i due componenti Generalizzando questo esempio, possiamo individuare le principali caratteristiche dei miscugli eterogenei : Nei miscugli eterogenei ogni componente mantiene le proprie caratteristiche e ciò permette di individuarlo anche se è ben mescolato; I componenti di un miscuglio eterogeneo possono essere mescolati in qualsiasi quantità e proporzione; I componenti di un miscuglio eterogeneo possono essere separati mantenendo immutate le loro proprietà; Le proprietà di un miscuglio eterogeneo non sono uguali in tutti punti del miscuglio. Se si pensa a un bicchiere di acqua zuccherata: quello che a prima vista appare come un materiale unico è in realtà un miscuglio omogeneo in cui la presenza dello zucchero è rivelata soltanto dal sapore dolce. I miscugli omogenei sono quei miscugli i cui componenti sono mescolati in modo molto più intimo, tanto che essi perdono alcune caratteristiche esteriori e non sono più individuabili neppure con l aiuto del più potente microscopio. Generalizzando, possiamo elencare le principali caratteristiche di tutti i miscugli omogenei: Nei miscugli omogenei i componenti si mescolano così bene che perdono alcune delle loro proprietà e non sono più distinguibili; I componenti di un miscuglio omogeneo possono essere mescolati in proporzioni molto variabili, talvolta però con qualche limitazione: I componenti di un miscuglio omogeneo possono essere separati se si cambia il loro stato di aggregazione o se si sfrutta la loro diversa solubilità; Le proprietà di un miscuglio omogeneo sono le stesse in ogni suo punto. 7

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