2 Complementi di teoria degli operatori

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1 2 Complementi di teoria degli operatori Richiamiamo le proprietà sulla diagonalizzazione degli operatori Sia V uno spazio vettoriale 12 su K di dimensione finita, V = {v 1,, v n } una base di V e T : V V un operatore lineare Indichiamo con M VV (T ), la matrice associata a T rispetto alla base V Ricordo che le sue colonne rappresentano, nell ordine, le componenti dei trasformati dei vettori della base V rispetto alla stessa base V Tale proprietà può essere scritta, in notazione matriciale T (V) = VM VV (T ) Se v = x 1 v x n v n = Vx, con x = x 1 x n abbiamo T (v) = T (Vx) = T (V)x = VM VV (T )x, da cui se poniamo T (v) =: Vy, ne segue che y = M VV (T )x che possiamo considerare la rappresentazione in coordinate dell operatore T L operatore T si dice diagonalizzabile se esiste una base W per cui M WW (T ) è diagonale, questo accade se e soltanto se esiste una base di autovettori 13 Ricordiamo che due matrici A, B M nn (K) si dicono simili se esiste G GL n (K) tale che B = G 1 AG Essendo M VV (T ) = M 1 WV (Id)M WW(T )M WV (Id), dove M WV (Id) è la matrice cambiamento di base, abbiamo che T è diagonalizzabile se e solo se M VV (T ) è simile a una matrice diagonale La procedura per determinare se T è diagonalizzabile prevede di calcolare, in primo luogo gli autovalori di T (che coincidono, qualunque sia la base V, con gli autovalori di M VV (T )), tramite la ricerca delle radici del polinomio caratteristico P T (λ) = det(m VV (T ) λi) λ è un autovalore se e solo se è radice del polinomio caratteristico Per ogni autovalore λ, si definisce l autospazio V λ, come l insieme degli autovettori associati a λ con l aggiunto del vettore nullo; si definisce poi la molteplicità geometrica di λ come la dimensione di V λ Il criterio di diagonalizzabilità stabilisce che T è diagonalizzabile se e solo se la somma delle molteplicità geometriche degli autovalori di T è uguale alla dimensione di V Infine è da segnalare che la molteplicità geometrica di un autovalore λ è sempre minore o uguale della molteplicità algebrica di λ, cioè dell esponente con cui si trova il fattore λ λ nella decomposizione in fattori irriducibili del polinomio caratteristico P T (λ) 12 indichiamo genericamente con K un campo, nel nostro corso K è sempre R o C 13 ricordo che un vettore x non nullo si dice un autovettore relativo all autovalore λ K, se T (x) = λx 15

2 21 Classificazione di matrici, operatori, applicazioni lineari La relazione di similitudine fra matrici quadrate è di equivalenza I matematici si pongono, dunque, il problema di classificare le matrici modulo la relazione di similitudine, cioè classificare le classi di equivalenza Se T è un operatore e A = M WW (T ) è la matrice associata a T rispetto la base W, allora la classe di equivalenza di A rappresenta l insieme delle matrici con cui possiamo vedere rappresentato T rispetto basi diverse Infatti, sia B simile a A, esiste quindi G GL n (K) tale che Poniamo B = G 1 AG V = WG, abbiamo che V è una base di V e G = M WV (Id), per cui B = M 1 WV (Id)M WW(T )M WV (Id) = M VV (T ) Questo non è il solo motivo per cui è importante classificare le matrici modulo similitudine La classificazione delle matrici modulo similitudine permette anche di classificare gli operatori modulo automorfismi Vediamo cosa si intende con questa affermazione Siano T e F due operatori sullo spazio vettoriale V Supponiamo che esista un automorfismo 14 su V, φ, tale che φ F = T φ (10) È facile vedere che questa è una relazione di equivalenza fra operatori: si suole dire che F e T sono equivalenti modulo automorfismi Quando F e T sono equivalenti modulo automorfismi, allora hanno le stesse proprietà algebriche, per esempio hanno lo stesso rango, stessi autovalori, stesse molteplicità algebriche e geometriche; inoltre se W = ker(f ) allora φ(w ) = ker(t ) e in generale tramite φ o φ 1 è possibile passare da sottospazi significativi per T agli analoghi sottospazi per F Da (10) segue F = φ 1 T φ che in coordinate, rispetto a una base a una base V, di V, si rappresenta M VV (F ) = M 1 VV (φ)m VV(T )M VV (φ), per cui matrici associate, rispetto la stessa base, a operatori equivalenti sono simili Viceversa, sia la matrice A simile a M VV (T ), esiste quindi G GL(K) tale che A = G 1 M VV (T )G Sia φ : V V definita 15 da φ(v) = VG, 14 un operatore su V invertibile 15 un applicazione lineare è definita quando siano dati i suoi valori sui vettori di una base 16

3 abbiamo che φ è invertibile e M VV (φ) = G, per cui, posto F := φ 1 T φ, abbiamo che F è equivalente a T modulo automorfismi e M VV (F ) = M 1 VV (φ)m VV(T )M VV (φ) = G 1 M VV (T )G = A Concludendo possiamo affermare che la classe di equivalenza di matrici quadrate rispetto la relazione di similitudine rappresenta l insieme delle matrici associate,rispetto a una stessa base, a una classe di operatori equivalenti modulo automorfismi Pertanto la classificazione delle matrici modulo similitudine permette anche di classificare gli operatori modulo automorfismi Il modo più semplice per classificare un insieme di classi di equivalenza è quello di individuare all interno di ogni classe un suo elemento 16 con caratteristiche specifiche che verrà chiamata forma canonica La teoria della diagonalizzazione degli operatori (o delle matrici) permette di classificare gli operatori diagonalizzabili Abbiamo infatti che Proposizione 21 Due matrici diagonali sono simili se e solo se sulla diagonale troviamo gli stessi elementi e con la stessa molteplicità, disposti eventualmente in ordine diverso Dim Se le matrici diagonali A e B sono simili, allora hanno lo stesso polinomio caratteristico, quindi gli stessi autovalori con le stesse molteplicità algebriche Poiché gli elementi della diagonale di una matrice diagonale sono gli autovalori della matrice ripetuti tante volte quanto è la loro molteplicità algebrica, e gli autovalori con le loro molteplicità sono invarianti per similitudine, A e B hanno sulla diagonale gli stessi numeri (e, se ripetuti, li incontriamo lo stesso numero di volte, salvo in un diverso ordine) Viceversa proviamo che due matrici diagonali con diagonali uguali, salvo l ordine degli elementi, sono simili Poiché ogni permutazione dell ordine degli elementi della diagonale può essere ottenuta con una sequenza di scambi, possiamo limitarci a considerare a due matrici diagonali A e B che differiscono solo per lo scambio di due elementi sulla diagonale Siano A = a a a 3 0 B = a a a a n a n Sia inoltre C ottenta dalla matrice unità cambiando le prime due colonne, 16 o un limitato gruppo di elementi 17

4 cioè C = Abbiamo che C è ortogonale e quindi C 1 = C t = C e facilmente si verifica che A = C 1 BC Prima di progredire nello studio che ci porterà a classificare tutte le matrici modulo similitudine, osserviamo come l analogo problema di classificazione delle applicazioni lineari fra due spazi vettoriali diversi, modulo automorfismi dei due spazi vettoriali, sia semplice Questa classificazione è conseguenza del seguente, importante teorema Proposizione 22 (teorema nullità + rango 17 ) Sia F : V W un applicazione lineare Abbiamo che dim(ker F ) + dim(f (V )) = dim V Dim Sia {v 1,, v s } una base di ker(f ) e completiamola a una base di V, V = {v 1,, v s, v s+1,, v n } Se proviamo che {F (v s+1 ),, F (v n )} è una base di F (V ) abbbiamo provato il teorema span{f (v s+1 ),, F (v n )} = F (V ) Sia w F (V ), esiste v V tale che F (v) = w v = a 1 v a s v s + a s+1 v s a n v n, quindi, per la linearità di F, e poiché i primi s vettori di V stanno in ker(f ), w = F (v) = a 1 F (v 1 ) + + a s F (v s ) + a s+1 F (v s+1 ) + + a n F (v n ) = a s+1 F (v s+1 ) + + a n F (v n ) {F (v s+1 ),, F (v n )} sono linearmente indipendenti 17 si dice nullità la dimensione del nucleo di un applicazione lineare, si dice rango la dimensione dell immagine 18

5 Sia a s+1 F (v s+1 ) + + a n F (v n ) = 0, una combinazione lineare nulla Abbiamo 0 = a s+1 F (v s+1 ) + + a n F (v n ) = F (a s+1 v s a n v n ) Per cui a s+1 v s a n v n ker(f );questo vettore è quindi combinazione lineare dei vettori della base di ker(f ) Esistono a 1,, a s tali che a s+1 v s a n v n = a 1 v a s v s, e pertanto a 1 v 1 a s v s + a s+1 v s a n v n = 0 rappresenta una combinazione lineare nulla dei vettori della base di V Ne segue che tutti i coefficenti e in particolare a s+1 + a n sono nulli Vediamo come utilizzare la dimostrazione del teorema per classificare le applicazioni lineari fra due spazi vettoriali diversi modulo automorfismi Completiamo la base {F (v s+1 ),, F (v n )} di F(V) in una base W di W, aggiundendo opportunamente k vettori, w 1,, w k, con k = m (n s) W = {F (v s+1 ),, F (v n ), w 1,, w k } La matrice associata a F rispetto le basi V e W è M WV (F ) = = ( 0 Ir 0 0 dove I r è la matrice unità di dimensione uguale al rango di F Poiché due matrici che rappresentano la stessa applicazione lineare rispetto a basi diverse hanno lo stesso rango, possiamo concludere che troviamo nella classe di equivalenza di un applicazione lineare F fra spazi diversi modulo automorfismi (dello spazio di partenza e di arrivo), tutte e sole le applicazioni che hanno lo stesso rango di F Quindi il rango classifica le applicazioni lineari ) 19

6 22 Triangolarizzazione degli operatori Il fatto fondamentale che distingue la teoria degli operatori in campo comlesso da quella in campo reale è che in C un operatore ha sempre almeno un autovalore, perché il polinomio caratteristico ha almeno una radice Definizione 21 Una matrice quadrata A = (a ij ) si dice triagolare superiore se a ij = 0 per i > j Proposizione 23 Ogni operatore T su uno spazio vettoriale complesso V è triangolarizzabile, cioè esiste una base V per cui la matrice associata M VV (T ) è triangolare superiore Dim La dimostrazione è per induzione sulla dimensione di V Per gli spazi di dimensione 1 la proposizione è banale Assumiamo che ogni operatore su uno spazio vettoriale complesso di dimensione n 1 sia triangolarizzabile Sia λ 1 un autovalore di T (esiste perchè siamo su uno spazio vettoriale complesso) e sia v 1 un suo autovettore Completiamo v 1 fino a una base di V Sia questa V = {v 1, v 2,, v n } La matrice associata a T, rispetto alla base V, ha la forma M VV (T ) = λ 1 a 12 a 1n 0 a 22 a 2n 0 a n2 a nn = ( λ1 B 0 A Sia W = span{v 2,, v n } Sia P la proiezione da V in W definita da ) P : V W v = a 1 v 1 + a 2 v a n v n a 2 v a n v n L applicazione 18 P T W : W W è un operatore su uno spazio vettoriale di dimensione n 1, che rispetto alla base {v 2,, v n } di W ha, come matrice associata, la matrice A Per ipotesi induttiva esiste una base W = {w 2,, w n } di W, rispetto la quale la matrice associata a T, M WW (P T W ), è triangolare superiore U = {v 1, w 2,, w n } è una base di V e la matrice assocata a T rispetto U è ( ) λ1 D M UU (T ) = 0 M WW (P T W ) dove D è un non precisato vettore riga, infatti tutte le componenti, esclusa la prima, dei vettori T (w 2 ),, T (w n ), rispetto alla base U, sono uguali alle componenti dei vettori P T W (w 2 ),, P T W (w n ), rispetto alla base W M UU (T ) è triangolare superiore 18 cont W intendiamo la restrizione di T al sottospazio W 20

7 Definizione 22 Sia T un operatore su uno spazio vettoriale reale o complesso, definiamo spettro di T l insieme delle radici complesse del polinomio caratteristico Per un operatore T su uno spazio vettoriale reale V, lo spettro 19 coincide con l insieme degli degli autovalori dell estensione T C di T al complessificato V C Si osservi che la proposizione (23) non è vera in campo reale, in quanto ogni operatore triangolarizzabile ha almeno un autovettore (il primo vettore di una base che lo triangolarizza), mentre esistono operatori privi di autovettori, quali, ad esempio, le rotazioni nello spazio vettoriale VO 2, di angolo diverso da 0 e π Comunque vale la seguente Proposizione 24 Un operatore T su uno spazio vettoriale reale V, con lo spettro tutto reale, è triangolarizzabile la cui dimostrazione è simile alla precedente, poiché nella prova è intervenuta l ipotesi che il campo sia complesso, solo per provare l esistenza di un autovettore Bisogna osservare anche che, se T ha lo spettro tutto reale, pure P T W ha lo spettro tutto reale 23 Somma e somma diretta di sottospazi Definizione 23 Siano U e W due sottospazi dello spazio vettoriale V, l insieme U + W := {v V v = u + w, u U w W } si dice la somma di U e W È facile provare che U+W è un sottospazio vettoriale di V Anche l intersezione dei due sottospazi, U W, è un sossospazio vettoriale di V Il seguente teorema lega la dimensione della somma di sue sottospazi con la dimensione della loro intersezione Proposizione 25 (teorema di Grassmann) Siano U e W due sottospazi vettoriali di V, abbiamo dim U + dim W = dim(u W ) + dim(u + W ) Dim Siano {v 1,, v r } una base di U W U W è, sia un sottospazio di U, sia un sottospazio di W Completiamo la base di U W fino a ottenere basi di U e di W Siano rispettivamente {v 1,, v r, u 1,, u s } una base di U, {v 1,, v r, w 1,, w t } una base di W Abbiamo che dim U = r + s, dim W = 19 alcuni autori intendono con spettro di un operatore reale l insieme delle radici reali del polinomio caratteristico 21

8 r + t Ci basta provare che dim(u + W ) = r + s + t, per poter concludere di aver dimostrato il teorema Proviamo quindi che è una base di U + W {v 1,, v r, u 1,, u s, w 1,, w t } span{v 1,, v r, u 1,, u s, w 1,, w t } = U + W Sia u + w un generico vettore di U + W segue u = a 1 v a r v r + b 1 u b s u s w = c 1 v c r v r + d 1 w d t w t u+w = (a 1 +c 1 )v 1 + +(a r +c r )v r +b 1 u 1 + +b s u s +d 1 w 1 + +d t w t v 1,, v r, u 1,, u s, w 1,, w t sono linearmente indipendenti Sia a 1 v a r v r + b 1 u b s u s + c 1 w c t w t = 0 (11) una loro combinazione lineare nulla Il vettore w := c 1 w c t w t appartiene a W, ma appartiene anche a U, perché w = (a 1 v a r v r + b 1 u b s u s ) U, quindi w U W Pertanto w U W e quindi w = d 1 v d r v r e sostituendo in (11) otteniamo (a 1 + d 1 )v (a r + d r )v r + b 1 u b s u s = 0, che, essendo una combinazione lineare dei vettori della base di U, può essere nulla solo se (a 1 + d 1 ) = = (a r + d r ) = b 1 = = b s = 0 Utilizziamo il fatto che b 1 = = b s = 0 nella (11); otteniamo a 1 v a r v r + c 1 w c s w t = 0, che, essendo una combinazione lineare dei vettori di una base di W, può essere nulla solo se a 1 = = a r = c 1 = = c r = 0 Dunque i coefficienti della (11) sono necessariamente tutti nulli 22

9 Definizione 24 La somma di due sottospazi U e W dello spazio vettoriale V si dice diretta se U W = {0}; in tal caso la somma si scrive U W Per il teorema di Grassmann dim(u W ) = dim U + dim W Vale la seguente Proposizione 26 Ogni vettore v U W si scrive in uno e un sol modo come somma, v = u + w, di un vettore u U e di un vettore w W Dim Supponiamo che il vettore v U W si possa scrivere in due modi come somma di un vettore che sta in U e un vettore che sta in W v = u 1 + w 1 = u 2 + w 2, u 1, u 2 U, w 1, w 2 W ; abbiamo che il vettore u 1 u 2 = w 2 w 1 appartiene sia a U che a W Dunque u 1 u 2 = w 2 w 1 = 0, perché U W = {0} Da qui u 1 = u 2 e w 1 = w 2 La definizione di somma diretta si estende al caso della sommna di un numero finito di sottospazi nel modo seguente Definizione 25 La somma dei sottospazi W 1,, W r si dice diretta (e si scrive W 1 W r ) se ogni vettore v W W r è somma in uno e un sol modo di r vettori, v 1,, v r, con v 1 W 1,, v r W r Proposizione 27 dim(w 1 W r ) = dim W dim W r Dim Siano W 1 W r r basi, rispettivamente di W 1,, W r La loro unione, W, è una base di W 1 W r, infatti W genera W 1 W r perché ogni vettore di W 1 W r è somma di r vettori, w 1 W 1,, w r W r, ciascuno dei quali è combinazione lineare dei vettori delle basi dei rispettivi spazi W è un insieme di vettori linearmente indipendenti, perché, se vi fosse una combinazione lineare non banale dei vettori di W, avremmo che il vettore nullo, oltre a scriversi come si scrive anche in un modo diverso come somma di r vettori, w 1 W 1,, w r W r 24 I teorema di riduzione Definizione 26 Sia T un operatore sullo spazio vettoriale V Un sottospazio W, di V, si dice T -invariante (o invariante per T o anche T-stabile) se T (W ) W 23

10 Se T è diagonalizzabile e V = {v 1,, v n } è una base che diagonalizza T allora span{v 1 },, span{v n } sono spazi T -invarianti e V = span{v 1 } span{v n }, anzi è facile vedere che T è diagonalizzabile se e solo se V è somma diretta di n sottospazi T -invarianti di dimensione 1 È pertanto naturale ricercare per gli operatori non diagonalizzabili la decomposizione di V in una somma diretta con il maggior numero di sottospazi T -invarianti Con questo obiettivo in mente, introciamo la seguente: Definizione 27 Sia λ un autovalore di T, v V si dice una radice per T di ordine m relativa all autovalore λ, se (T λid) m (v) = 0 e m è il più piccolo numero naturale per cui vale tale proprietà Gli autovalori sono radici di ordine 1 Proposizione 28 L insieme delle radici di T relative all autovalore λ è un sottospazio vettoriale che indichiamo con R(T, λ) Dim Sia v R(T, λ); esiste m N tale che (T λid) m (v) = 0; ne segue che (T λid) m (kv) = k(t λid) m (v) = 0, dunque kv R(T, λ) Siano v 1, v 2 R(T, λ); esistono m 1, m 2 N tali che (T λid) m1 (v 1 ) = 0 e (T λid) m2 (v 2 ) = 0; ne segue (T λid) max(m1,m2) (v 1 + v 2 ) = (T λid) max(m1,m2) (v 1 ) + (T λid) max(m1,m2) (v 2 ) = 0 Proposizione 29 R(T, λ) è T -invariante Dim Sia v R(T, λ) Esiste m N tale che (T λid) m (v) = 0 Anche (T λid) m+1 (v) = 0 Quindi 0 = (T λid) m+1 (v) = (T λid) m ((T λid)(v)) = (T λid) m (T (v) λv) = (T λid) m (T (v)) λ(t λid) m (v) = Quindi anche T (v) è una radice relativa a λ Teorema (I Teorema di riduzione) (T λid) m (T (v)) 24

11 Sia T : V V un operatore sullo spazio vettoriale complesso di dimensione finita V Siano λ 1,, λ k i suoi autovalori Allora V = R(T, λ 1 ) R(T, λ k ) Omettiamo la dimostrazione del teorema 20, ma cerchiamo di saperne di più sul sottospazio delle radici T R(T,λ) ha il solo autovalore λ, perché se avesse anche un diverso autovalore µ, un autovettore di T R(T,λ) relativo a µ, sarebbe anche autovettore di T e quindi apparterrebbe a R(T, µ) contro al fatto che R(T, λ) R(T, µ) = 0 Ne segue che la dimensione di R(T, λ) è uguale alla molteplicità algebrica di λ Consideriamo una base V λ di R(T, λ) che triangolarizza T R(T,λ) ; sulla diagonale di M Vλ V λ (T R(T,λ) ) troviamo gli autovalori, pertanto λ a 12 a 1n 0 λ a 2n M Vλ V λ (T R(T,λ) ) = 0 0 λ Poiché ogni sottospazio è Id-invariante, abbiamo Proposizione 210 R(T, λ) è (T µid)-invariante, qualunque sia µ, in particolare è (T λid)-invariante Rispetto la base V λ indicata sopra abbiamo λ µ a 12 a 1n 0 λ µ a 2n M Vλ V λ ((T µid) R(T,λ) ) = 0 0 λ µ Definizione 28 Un operatore T su V si dice nilpotente se esiste m N tale che T m = 0 ( cioè T m (v) = 0 per ogni v V ); si dice nilpotente di ordine m se m è il più piccolo indice tale che T m = 0 Proposizione 211 Sia λ un autovalore dell operatore T sullo spazio di dimensione finita V (T λid) R(T,λ) : R(T, λ) R(T, λ) è nilpotente Dim Rispetto alla base V λ di R(T, λ), che triangolarizza (T λid), 0 a 12 a 1n 0 0 a 23 a 2n M Vλ V λ ((T λid) R(T,λ) ) = a n 1 n può essere trovata sul libro di Ciliberto Algebra lineare, oppure sulle vecchie note del Corso di Complementi di Algebra lineare 25

12 è una matrice triangolare superiore con diagonale principale nulla Il quadrato di questa matrice ha nulla anche la diagonale immediatamente a destra della diagonale principale: (M Vλ V λ ((T λid) R(T,λ) )) 2 =, dove al posto degli vi sono numeri non meglio precisati Ogni successiva potenza determina un ulteriore diagonale nulla, per cui (T λid) R(T,λ) è nilpotente e l ordine di nilpotenza è, al più, uguale alla molteplicità algebrica di λ Osserviamo che l ordine di nilpotenza di (T λid) R(T,λ) è uguale al più piccolo m tale che ker(t λid) m+1 = ker(t λid) m Ciò deriva dal fatto che, se ker(t λid) m+1 = ker(t λid) m allora per ogni k N ker(t λid) m+k = ker(t λid) m ; infatti sia v ker(t λid) m+k, abbiamo 0 = (T λid) m+k (v) = (T λid) m+1 ((T λid) k 1 (v)) = (T λid) m ((T λid) k 1 (v)) = (T λid) m+k 1 (v) Iterando il procedimento k volte, otteniamo (T λid) m (v) = 0, cioè v ker(t λid) m 25 Il II teorema di riduzione Il primo teorema di riduzione mostra una prima decomposizione di V in somma diretta di sottospazi T -invarianti Dobbiamo chiederci se un sottospazio delle radici possa essere, a sua volta, somma diretta di sottospazi T -invarianti Un sottospazio W di R(T, λ) è T -invariante se e solo se è (T λid)-invariante Possiamo quindi limitarci a cercare sottospazi di R(T, λ), (T λid)-invarianti Il vantaggio sta nel fatto che (T λid) R(T,λ) è un operatore nilpotente Introduciamo la seguente 26

13 Definizione 29 Sia G un operatore sullo spazio vettoriale V di dimensione n, G si dice ciclico se esiste una base, V = {v 1,, v n }, detta base ciclica, tale che G(v 1 ) = 0 G(v 2 ) = v 1 G(v n ) = v n 1 È immediato verificare che ogni operatore ciclico è nilpotente La matrice associata all operatore ciclico G rispetto una base ciclica ha la forma J n := è il solo autovalore di un operatore ciclico G, con molteplicità algebrica n e molteplicità geometrica 1 Pertanto l autospazio relativo all autovalore 0 è span(v 1 ) Per gli operatori nilpotenti vale il II teorema di riduzione, di cui omettiamo la dimostrazione Teorema (II Teorema di riduzione) Sia G un operatore nilpotente sullo spazio vettoriale V Esistono sottospazi G-invarianti W 1,, W k tali che V = W 1 W k e la restrizione, G Wi, di G a ogni sottospazio W i, è un operatore ciclico Applicando il II teorema di riduzione all operatore (T λid) R(T,λ) : R(T, λ) R(T, λ) e, ricordando che un sottospazio (T λid)-invariante è anche T -invariante, abbiamo che R(T, λ) = W 1 W k, (12) dove i sottospazi W i sono T -invarianti e gli operatori (T λid) Wi sono ciclici Chiamiamo sottospazio di Jordan relativo all autovalore λ dell operatore T, un sottospazio W V per cui (T λid) W è ciclico, e base di Jordan una base di W ciclica per (T λid) W Sia V = {v 1,, v r } una base di Jordan di W Poiché la matrice associata a (T λid) W è J r =, (13)

14 la matrice associata a T W rispetto a V è λ λ J r (λ) = (14) λ λ La matrice J r (λ) si chiama blocco di Jordan di ordine r relativo a λ o λ-blocco di Jordan di ordine r Sia V i = {v i1,, v ir(i) } una base di Jordan di W i ; dalla (12) segue che k i=1 V i è una base di R(T, λ) e rispetto a questa base l operatore T R(T,λ) è rappresentato da una matrice avente sulla diagonale k blocchi di Jordan Essa ha la forma r(1) {}}{ r(2) {}}{ λ λ λ λ 0 λ λ λ λ 0 r(k) {}}{ ; 0 λ λ λ λ dove i singoli blocchi di Jordan hanno ordine uguale alla dimensione dei W i ; nel caso che un blocco abbia dimesione 1 allora è formato dal solo autovalore Come si vede, si tratta di una matrice con tutti zeri eccetto che sulla diagonale dove troviamo l autovalore λ e sulla prima parallela destra della diagonale dove troviamo una sequenza di 1 e 0, che servono a individuare i blocchi di Jordan 28

15 26 Forma canonica di Jordan Combiniamo il I e il II teorema di riduzione Per ognuno dei sottospazi delle radici esiste una decomposizione in sottospazi di Jordan, quindi V è somma diretta di sottospazi di Jordan, che ricordo sono T - invarianti Prendendo una base di Jordan per ciascuno dei sottospazi di Jordan e facendone l unione, ottengo una base W di V, rispetto la quale la matrice associata a T ha lungo la diagonale blocchi di Jordan relativi ai vari autovalori di T Supponiamo che sia s i il numero dei (λ i )-blocchi di Jordan che trovo sulla diagonale; la matrice associata a T rispetto W può essere schematizzata nella seguente nella matrice a bloccchi, dove i blocchi non rappresentati sono tutti nulli e dove l indice che numera i blocchi di Jordan è indicato fra parentesi per non confonderlo con l indice che mostra (quando è scritto) l ordine del blocco di Jordan M WW (T ) = J (1) (λ 1 ) J(s1)(λ1) J (1) (λ k ) J(sk)(λk) (15) Definizione 210 Una matrice che è nulla, salvo avere lungo la diagonale blocchi di Jordan si dice una forma canonica di Jordan Da quanto sopra detto abbiamo Proposizione 212 Per ogni operatore T su uno spazio vettoriale complesso di dimensione finita esiste una base rispetto la quale la matrice associata è una forma canonica di Jordan Poiché ogni matrice complessa definisce un operatore su C n, vi è un equivalente della proposizione precedente in termini di matrici Proposizione 213 Ogni matrice quadrata complessa è simile in C a una forma canonica di Jordan Si osservi che i sottospazi delle radici sono univocamente determinati dall operatore T ; non così i sottospazi di Jordan Se consideriamo ad esempio l operatore nullo su V, questo ha un solo autovalore, lo zero, a cui corrisponde come sottospazio delle radici lo stesso spazio V Ogni sottospazio di dimensione 1 è un sottospazio di Jordan, ed esistono infinite decomposizioni di V in somma diretta di sottospazi di Jordan 29

16 Sono invece univocamente determinati da T, sia il loro numero sia le loro dimensioni 21, e la prova di questa affermazione seguirà dall algoritmo che serve a calcolare la forma canonica di Jordan dell operatore T Cominciamo col calcolare il rango delle potenze di (J r (λ) λi r ) Da (13) e (14) abbiamo che J r (λ) λi r = J r e quindi dunque rk(j r (λ) λi r ) = r J 2 r = rk(j r (λ) λi r ) 2 = r 2 Ogni volta che si alza di uno l esponente di J r, la diagonale degli uni si sposta di un posto verso destra e verso l alto cosicché il rango scende di uno Pertanto { rk(j r (λ) λi r ) h r h se h r = (16) 0 se h r a cui diamo un senso anche per h = 0, convenendo che, per ogni matrice quadrata non nulla A, A 0 = I Se µ λ, indipendentemente dal valore di h, rk(j r (µ) λi r ) h = r Valutiamo ora come varia il rango di (T λid) h al crescere di h Sia W una base rispetto la quale la matrice associata a T sia in forma canonica di Jordan; con le notazioni della (15) abbiamo rk(t λid) h = rk((m WW (T ) λi n ) h = k s i rk(j (j) (λ i ) λi r(i,j) ) h, i=1 j=1 dove r(i, j) è l ordine di J (j) (λ i ) Se λ i λ, il rango di (J (j) (λ i ) λi) h non varia al crescere di h, mentre, per la (16), se λ i = λ, al crescere di 1 dell esponente h, il rango di (J (j) (λ i ) λi) h diminuisce di 1, purché (J (j) (λ i ) λi) h non sia già diventata la matrice nulla, nel qual caso il rango non può ulteriormente diminuire al crescere di h Pertanto rk(t λid) h 1 rk(t λid) h (17) 21 questo giustifica la parola canonica che si dà alla forma di Jordan 30

17 rappresenta il numero dei λ-blocchi di Jordan con ordine maggiore o uguale a h Ne segue la seguente Proposizione 214 Sia ρ(t, λ, h) il numero del λ-blocchi di Jordan di ordine h, che si trovano in una forma canonica di Jordan associata all operatore T Vale ρ(t, λ, h) = rk(t λid) h 1 2rk(T λid) h + rk(t λid) h+1 (18) Dim Dalla (17) segue subito ρ(t, λ, h) = (rk(t λid) h 1 rk(t λid) h ) (rk(t λid) h rk(t λid) h+1 ) da cui la tesi La formula (18) permette di calcolare ρ(t, λ, h) direttamente da T, senza dover determinare una base rispetto la quale la matrice associata a T sia una forma canonica di Jordan, quindi i numeri ρ(t, λ, h) non dipendono dalla base usata per rappresentare T in forma canonica di Jordan Da ciò ne deriva Teorema(della riduzione a forma canonica di Jordan) Sia T un operatore sullo spazio vettoriale complesso di dimensione finita V Esiste una base W rispetto la quale la matrice associata a T è una forma canonica di Jordan, la quale è univocamente determinata da T, salvo l ordine con cui compaiono i blocchi di Jordan sulla diagonale di M WW (T ) Gli invarianti ρ(t, λ, h) servono anche a classificare le matrici quadrate complesse rispetto la relazione di similitudine Sia A M nn (C) e sia T A : C n C n l operatore che definito da T (x) = Ax Indichiamo con ρ(a, λ, h) := ρ(t A, λ, h) Abbiamo che Proposizione 215 Due matrici A, B M nn (C) sono simili se e solo se 1 hanno gli stessi autovalori 2 ρ(a, λ, h) = ρ(b, λ, h), per ogni autovalore λ e per ogni naturale h minore o uguale della moltepliciyà algebrica di λ Dim Due matrici simili rappresentano lo stesso operatore rispetto basi diverse quindi hanno gli stessi autovalori e gli stessi ρ(, λ, h); viceversa se, A e B hanno gli stessi autovalori e ρ(a, λ, h) = ρ(b, λ, h), per ogni λ e per ogni h, allora sono simili alla stessa forma canonica di Jordan, quindi simili fra loro 31

18 Similmente, gli invarianti ρ(t, λ, h) sono sufficienti a classificare anche gli operatori modulo automorfismi nel senso che due operatori T e T sono equivalenti modulo automorfismi e hanno quindi le stesse proprietà algebriche 22, se e solo se hanno gli stessi autovalori e hanno uguali gli invarianti ρ(t, λ, h), ρ(t, λ, h) Un ulteriore osservazione è che la decomposizione di V in somma diretta di sottospazi T -invarianti, data dalla riduzione a forma canonica di Jordan, non è ulteriormente migliorabile nel senso che non esiste un altra decomposizoione di V in un maggior numero di sottospazi T -invarianti, perché altrimenti la restrizione di T a ciascuno di questi sottospazi sarebbe, a sua volta, riducibile a forma canonica di Jordan e complessivamente ritroverei due decomposizioni di T a forma canonica di Jordan con diversi valori per ρ(t, λ, h), contro l unicità Che dire infine della classificazione delle matrici quadrate reali a meno di similitudine? La teoria della riduzione a forma canonica di Jordan risolve anche questo problema Vale infatti Proposizione 216 Due matrici quadrate reali A, B M nn (R) sono simili se e solo se sono simili come matrici complesse Cioè M GL n (R), A = M 1 BM C GL n (C), A = C 1 BC Dim L implicazione = è banale Viceversa Sia C M nn (C) tale Segue A = C 1 BC CA = BC da cui, coniugando e tenendo presente che che A e B sono reali e quindi Re(C)A = CA + CA 2 CA = B C, = BC + B C 2 = BRe(C) CA + CA BC + B C Im(C)A = = = BIm(C) 2i 2i Non possiamo concludere che A e B sono simili come matrici reali perché, pur essendo Re(C) e Im(C) matrici reali, non sappiamo se sono invertibili Poiché anche ogni combinazione lineare arec + bimc è tale che (arec + bimc)a = B(aReC + bimc), dobbiamo chiederci se esistono a, b R tali che (arec + bimc) è invertibile Scegliamo a = 1 e osserviamo che 22 vedi paragrafo (21) det(rec + bimc) 32

19 è un polinomio in b, a coefficienti reali, non identicamente nullo, in quanto calcolato sul numero complesso i assume il valore det C 0 Esiste dunque almeno un numero reale b (ne esistono infiniti) tale che det(rec + bimc) 0 Sia M = (ReC + bimc), ho M GL n (R) e A = M 1 BM Interpretando il risultato precedente in termini di operatori, abbiamo che lo spettro e gli invarianti ρ(t C, λ, h) sono sufficienti a classificare anche gli operatori su uno spazio vettoriale reale a meno di automorfismi: due operatori T e T sullo spazio vettoriale reale V sonno equivalenti a meno di automorfismi, e hanno quindi le stesse proprietà algebriche 23 se e solo se hanno lo stesso spettro e i loro complessificati hanno gli invarianti ρ(t C, λ, h) e ρ(t C, λ, h) uguali 27 Un esempio di calcolo della forma canonica di Jordan Sia T l operatore che dove P T (λ) = det T : C 4 C 4 x Ax A = λ λ λ λ = (1 λ)3 (1 + λ) Ho due autovalori λ 1 = 1 di molteplicità algebrica 3 e λ 2 = 1 di molteplicità algebrica 1 Da ciò segue che necessariamente ρ(t, λ 2, 1) = 1 e non serve calcolare altro per l autovalore λ 2 Calcoliamo ora ρ(t, λ 1, 1), ρ(t, λ 1, 2) e ρ(t, λ 1, 3) Determiniamo 23 vedi paragrafo (21) rk(t λ 1 I 4 ) = rk rk(t λ 1 I 4 ) 2 = rk = 2 = 1 33

20 rk(t λ 1 I 4 ) 3 = 1 Per l ultimo rango non è necessario fare calcoli, perché la molteplicità algebrica di λ 1 è 3 e dunque rk(t λ 1 I 4 ) 3 = dim(c 4 ) 3 = 1 E anche inutile calcolare rk(t λ 1 I 4 ) 4, perché all aumentare dell esponente oltre la molteplicità algebrica il rango non scende più Dalla (18) abbiamo ρ(t, λ 1, 1) = = 1 ρ(t, λ 1, 2) = = 1 ρ(t, λ 1, 3) = = 0 Esiste una base W per cui la matrice associata a T rispetto a W è M WW (T ) =

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