QVADERNI DI VITA DI MONTAGNA

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1 Semestrale del CLUB ALPINO ITALIANO - Sezione Cadorina Luigi Rizzardi AURONZO DI CADORE (BL) - ANNO XIV n. 27. Giugno ,80 - Spedizione in A.P. - 45% - art. 2, comma 20/b, Legge n. 662/96 - DCI - Belluno QVADERNI DI VITA DI MONTAGNA

2 Q V O T A QVADERNI DI VITA DI MONTAGNA Quando arrivi in vetta ad un monte non fermarti, continua a salire Un Maestro del buddismo Zen ANNO XIV. N. 27. GIUGNO Semestrale Registrato presso la Cancelleria del Tribunale di Belluno col n. 15/2000 in data Iscritto al Registro Nazionale della Stampa n R.O.C. N Spedizione in abbonamento postale - 45% - art. 2, comma 20/b, Legge n. 662/96 - D.C.I. Belluno PAOLA DE FILIPPO ROIA Direttore Responsabile GLAUCO GRANATELLI Direttore Editoriale glaucogranatelli@virgilio.it COMITATO DI REDAZIONE Bepi Casagrande, Alberto M. Franco (G.I.S.M.) Mirco Gasparetto (G.I.S.M.), Mario Spinazzè Questo numero esce in collaborazione con l Istituto Geografico Polare Silvio Zavatti di Fermo HANNO COLLABORATO: La Posta Svizzera, Bombassei R., Censi C., Dolcimascolo S. Favero P., Galvan A.E., Grilli A., Lares F.L., Orlich V. Raffaelli P., Succi L., Vaia F., Vecellio D.F.A. FOTOGRAFIE di Granatelli G., Grilli A., Pais T.V., Vaia F., Zanette R. EDITORE - CLUB ALPINO ITALIANO Sezione Cadorina Luigi Rizzardi Piazza Regina Pacis, C.P. 30, Auronzo di Cadore BL - Tel REDAZIONE Via B. Ricasoli, Venezia-Mestre - Tel quota864@ca iauronzo.it STAMPA Grafiche Vianello srl - Via Postioma, Ponzano TV Prezzo di copertina 3,80 - Numeri arretrati 7,00 Abbonamento 2012: Ordinario 6,00 - Sostenitore 8,00 - Benemerito 12,00 C.C.P. n intestato al C.A.I., P.za Regina Pacis, Auronzo di Cadore (BL) Proprietà letteraria, artistica e scientifica riservata. Tutti i testi possono essere liberamente riprodotti citando la fonte - Unione Stampa Periodica Italiana Questo periodico è aperto a quanti desiderino collaborarvi ai sensi dell art. 21 della Costituzione della Repubblica Italiana che così dispone: Tutti hanno diritto di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni mezzo di diffusione. La pubblicazione degli scritti è subordinata all insindacabile giudizio della Redazione; in ogni caso, non costituisce alcun rapporto di collaborazione con la testata e, quindi, deve intendersi prestata a titolo gratuito. Notizie, articoli, fotografie, composizioni artistiche e materiali redazionali inviati alla rivista, anche se non pubblicati, non vengono restituiti. Gli scritti pubblicati rispecchiano esclusivamente le idee personali dell autore e non riflettono necessariamente il pensiero ufficiale del Club Alpino Italiano.

3 SOMMARIO 3 ORGANICO DELLA SEZIONE 4 PREPARIAMOCI AI 150 ANNI DEL C.A.I. Paola De Filippo Roia - Andiamo in montagna per scoprire i valori della solidarietà 6 LA CORDATA PROSEGUE Massimo Casagrande - Quello che possiamo fare ci può dare qualcosa di meraviglioso 8 A COLLOQUIO CON I LETTORI a cura di Glauco Granatelli. G.I.S.M ANNI NEL Massimo Mila È una lunga storia di cui anche noi facciamo parte. Riviviamola insieme (continuazione) 15 PARLIAMO DI ALPINISMO - Glauco Granatelli. G.I.S.M. 16 INNO DEL CLUB ALPINO ITALIANO - Piero Raffaelli 18 LE SPLENDIDE MONTAGNE La Mostra delle Gallerie Commerciali Italia in occasione del 150 Anniversario del CAI 22 CLUB ALPINO ITALIANO - Comunicato stampa Docu-fiction sull impresa italiana al K2 24 BRUNO PIASENTINI - Paola De Filippo Roia La verità vista con occhio lirico e resa con la più piena e completa libertà individuale 26 UNA VIA NUOVA SULLA CRODA BIANCA - Luigi Bombassei La prima ascensione alla Croda Bianca per la parete nord-est. 2 settembre MARCEL JANKOVICS DE SALMA - János Kubassek e Mario Spinazzè Alto, slanciato, aristocratico, personalità poliedrica e schiva. Scrittore, poeta ed avvocato, personalità di spicco dell alpinismo ungherese 34 I LUOGHI DEL SACRO Chiesetta Santa Maria Assunta di Gogna - Paola De Filippo Roia 36 IL MIO SGUARDO SUI MONTI - Giuseppe Zandegiacomo Sampogna Ricordo di Don Sebastiano Costa 38 OMBRE SUL CANIN - Franco Vaia Dicono che quassù ogni tanto si vedano ombre grigie, soprattutto al tramonto OPERAZIONE MARMAROLE - Giovanni Paoletti Nascono i bivacchi della Fondazione Berti 44 LIBRI, RIVISTE, GIORNALI... E ALTRO ANCORA Il bosco di Buzzati diventa una biblioteca - Paola Favero Salita al Monte Viso. Narrazione di Guglielmo Matkews (continua) 65 RACCONTI, LEGGENDE, POESIE... Rampa celeste - Silvana Dolcimascolo Le acque magiche di Gogna - Annalisa Vecellio Del Frat (pag. 66) 68 SALIRE E SCENDERE - Alberto E. Galvan Rompiamo l illusione: questa è magia. La vita reale ci attende 74 CRODA DEI TONI 3094 m - via Castiglioni-Tutino 79 CADORE - Sergio Solmi 80 IN TRENO TRA I GHIACCI Manitoba, Canada - Ada Grilli 82 L AVVENTURA DELLA QUERINA - Cesare Censi 84 A TAVOLA CON I LARES 87 GFM - GRUPPO FILATELICI DI MONTAGNA Everest, più oltre il cielo (pagg ) Il GFM per i 150 Anni del CAI (pag. 91) 1863, nasce il Club Alpino Svizzero (pagg ) La grande avventura della ferrovia del Lötschberg (pagg ) IN COPERTINA - Auronzo. Il campanile della Chiesa di S. Giustina tornato all antico splendore. Sullo sfondo le Tre Cime di Lavaredo. foto Valentino Pais Tarsilia ORGANICO DELLA SEZIONE ANNO DI FONDAZIONE 1874 Presidente - Massimo Casagrande Vice-Presidente - Davide Da Damos Segreteria - Elisa Cella De Dan Consiglieri - Siro Maschio, Paolo Monti, Stefano Muzzi, Giuseppe Pais Becher Revisori dei Conti - Sergio Boso, Francesca Caldart, Federica Monti SOCI N. 656: Ordinari N Familiari N Giovani N Aggregati N. 82 Vitalizi N. 2: Magnifica Comunità di Cadore (Delibera del ), Leonardo Vecellio Venticinquennali: Borghi Paola, Cattaruzza Dorigo Elena, Cella De Dan Vittore Larese Gortigo Bruna, Paganin Luciano, Pais Golin Monica, Pais Marden Mariarosa, Pontello Roberto, Tabaro Giannino, Zandegiacomo Bianco Pietro STRUTTURE DELLA SEZIONE Rifugio Auronzo Forcella Longéres m 2330 slm alle Tre Cime di Lavaredo - tel Rifugio G. Carducci Alta Val Giralba m 2297 slm alla Croda dei Tóni TESSERAMENTO da effettuare - preferibilmente - entro il 31 marzo ll tesseramento è un atto d'amore verso la montagna e un atto responsabile. Quote associative: Socio Ordinario 41,00 - Famigliare 22,00* - Giovane 16,00** - Ammissione nuovi Soci 5,00. *I Soci Famigliari devono essere componenti del nucleo famigliare del Socio Ordinario, con esso conviventi e di età maggiore di anni 18. Sono Soci Giovani i minori di anni 18 (nati nel 1995 e seguenti). **E prevista una quota agevolata di 9,00 per il secondo, il terzo Socio Giovane e seguenti, purché appartenenti a famiglia il cui capo nucleo sia già iscritto quale Socio Ordinario e con esso coabitanti. Per informazioni vi invitiamo a chiamare il tel. n (con servizio di segreteria telefonica) o ad inviare una mail a info@caiauronzo.it - ll versamento delle quote può avvenire anche a mezzo di c/c postale n intestato al CAl, Sezione Cadorína Auronzo di Cadore BL, presso l Unicredit Banca Spa, Agenzia di Auronzo di Cadore. codice IBAN IT86E oppure Cartolibreria La Stua (via Vecellio), Cartolibreria Il Papiro (vi a Piave), Ufficio Skipass c/o Ufficio Turistico Palazzo Municipale (via Roma). Abb.: Le Alpi Venete 5,00 - Le Dolomiti Bellunesi (soci non locali) 8,00 2 QVOTA 864 DICEMBRE 2012 ORGANICO DELLA SEZIONE 3

4 PREPARIAMOCI AI 150 ANNI DEL C.A.I. L'Alpinismo...se si vuol chiamarlo sport, è certo lo sport più nobile di tutti. Non ci sono premi né compensi in denaro; non c'è folla che applaude, non c'è il giro, con il mazzo di fiori, dopo la vittoria. Nessuno li scorge, gli arrampicatori, quando sono sospesi sopra gli abissi, nello smisurato silenzio, impegnati in una lotta temeraria; quando, sorpresi dalla notte, si accovacciano intirizziti su un esile terrazzino, per aspettare che il sole ritorni e la lotta possa ricominciare. Amici, andiamo per i monti del mondo... la gioia sarà l'unico premio: quella straordinaria felicità che si prova sulle cime e che nessuno saprà mai descrivere. Dino Buzzati Gli studi che sono stati fatti, anche recentemente, sull'opera di Dino Buzzati mettono in luce una personalità eclettica ed anche molto attuale. Ho voluto riportare questo Suo pensiero significativo, che condivido pienamente, e penso condiviso anche dai lettori di QVOTA 864, in quanto il nostro denominatore comune è "la Montagna", quella vera. La montagna mi ha da sempre attratto, inizialmente per le sue maestose bellezze, poi - maturando - vi ho scoperto anche il luogo del silenzio, dell'essenzialità, della condivisione. Quando sei in montagna, diviene naturale dividere con gli altri ciò che hai; diviene spontaneo scambiare opinioni, impressioni, esperienze con chiunque incontri. Oggi che si tende a dare più importanza all'avere che non all'essere, basta andare in montagna per scoprire i valori della solidarietà. Lungo il sentiero saluti tutti: salve!, ciao, grü? Gott! Che cosa strana: scendi a valle ed improvvisamente diventano tutti estranei. Allora mi vien da pensare che la montagna è magica. L'alpinismo può essere considerato un gioco pericoloso ed egoista, ma nel contempo può assumere il ruolo di momento di ricerca di libertà e di crescita interiore. Leggere brani di imprese molto "passate" mi affascina ogni volta perché mi portano in un mondo diverso, ormai superato, in cui la pratica della montagna era molto più dura, ed in cui ogni ascensione era una nuova impresa, una nuova avventura. All'epoca non esistevano tutte le comodità di oggi: i rifugi erano costruzioni semplici, il cui compito principale era quello di riparare dalle intemperie: avevano poche, essenziali cose funzionali; l'attrezzatura d'alta quota si riduceva alla corda di canapa e alla piccozza, gli scarponi di cuoio usati in qualsiasi stagione, l'abbigliamento semplice. Ma quanto calore! Quali sensazioni! La montagna era destinata a pochi, cioè a chi aveva la necessaria forza di volontà per affrontare così tante difficoltà. Oggi assistiamo ad un proliferare di gare: a piedi, con gli sci, in montaine bike, con le ciaspe... tutte esperienze belle, che mettono alla prova le proprie condizioni fisiche, che spingono a voler migliorare ogni volta i tempi di percorrenza. Ma questi atleti forse non possono assaporare l'intimo messaggio che la montagna sa trasmettere quando ti fermi a contemplarla, quando cerchi di scoprire i suoi segreti più reconditi. Comunque, ognuno di noi deve rapportarsi con lei nella maniera a lui più consona. L'importante è che la Montagna ci aiuti a vivere nel rispetto di valori importanti, quali l'onestà, la semplicità, l'altruismo... e per questo avremo sempre i volontari del C.A.I. a farci da guida, a tracciare il nostro sentiero... Paola De Filippo Roia Direttore Amici, andiamo per i monti del mondo... Dino Buzzati 4 QVOTA 864 GIUGNO 2013 PREPARIAMOCI AI 150 ANNI DEL CAI 5

5 LA CORDATA PROSEGUE Nell'aprile di quest'anno ci sono state le elezioni del Consiglio direttivo per il triennio della Sezione Cadorina del Cai di Auronzo. Il nuovo consiglio, solo leggermente rinnovato, ha voluto riconfermarmi nel ruolo di presidente. Non nascondo che la mia speranza, pur con la volontà di collaborare all'interno del sodalizio, fosse rivolta ad un rinnovamento incentrato soprattutto sulla necessità di cambiamento per introdurre nuove idee e rinvigorire la voglia di fare sull'onda di inedite iniziative e novelle attività. Ad ogni modo le azioni già in calendario sono tante e tali, da garantire un notevole impegno da parte mia e di tutti i collaboratori. Colgo l'occasione quindi per diffondere il messaggio che è stato lanciato in occasione dell'assemblea di aprile circa la necessità di ampliare il più possibile la collaborazione con soci e non soci, anche al di fuori del consiglio, affinché la nostra associazione, diventi effettivamente un patrimonio ed uno strumento per la promozione completa, organica e pregnante dell'intero territorio in cui viviamo. Pur nascendo come gruppo specificatamente attivo nell'ambito della promozione e salvaguardia della montagna, oggigiorno, assumiamo un ruolo non solo culturale, ma sempre più di valorizzazione socio-economica. Un esempio molto significativo è stato quest'anno l'arrivo della penultima tappa del Giro d'italia; occasione per la quale il Cai ha fornito base logistica per il Quartier tappa presso il Rifugio Auronzo e, nel contempo, si è fatto promotore e vetrina dell'accoglienza qualificata in alta quota. Altri esempi che potremmo citare sono la gestione diretta ed indiretta di rifugi alpini, l'organizzazione di importanti e partecipati eventi sportivi e, non ultimo, la manutenzione del territorio. Sicuramente non siamo i soli a perseguire tali obiettivi ma non possiamo stancarci di ripetere quanto sia fondamentale condividere un traguardo comune; individuare le strategie, lavorare in sinergia, sollecitare le collaborazioni. Il passo successivo sarà sicuramente ricorrere alla cooperazione di forze e competenze esterne, per accrescere la professionalità degli addetti e promuovere, con i giusti canali, un prodotto di rilevanza internazionale. Solamente una visione globale e contemporanea, veicolata con mezzi idonei, può farci fare quel salto di qualità necessario per accrescere l'attrattività nei confronti di un segmento motivato, qualificato ed internazionale di visitatori, capace di risollevarci da questo clima di stagnante economia ma anche immobilismo, apatia e scarsa progettualità. Nessuno si senta escluso dal partecipare a questa scommessa, esautorato dalla mancanza di specifiche competenze, nomine o deleghe, autorizzato a criticare senza sentirsi in prima fila nel perseguire l'obiettivo comune. Voglio concludere con un simbolo di quanto si può fare, una speranza per chiunque si senta di vivere una vita incasellata, dentro a strutture, con tempi e spazi poco flessibili, con un futuro precostituito, ineludibile e sempre più incerto. Pubblichiamo una pagina del Calendario Meridiani Montagne 2013 dedicata al nostro Rifugio Carducci in Val Giralba, risultato della natura ma anche della passione, dell'amore di singoli, gruppi e associazionismo che, congiuntamente e tenacemente, perseguono un obiettivo di qualità. Credo che questo possa essere uno stimolo a mantenersi al di sopra della monotona rima quotidiana, sentire che parte di quello che possiamo fare ci può dare qualcosa di meraviglioso che altrimenti non avremmo, mettendoci quel colore in più, quel senso di attesa, quel desiderio e quella passione che vorremmo di tutti. Intacto vertice ardens. Massimo Casagrande Presidente 6 QVOTA 864 GIUGNO 2013

6 A COLLOQUIO CON I LETTORI In questi giorni che si parla tanto di montagna - sempre più penetrante e coinvolgente per il comune cittadino la ricorrenza dei 150 Anni - si parla di montagna quando meno te l'aspetti: dal farmascista e dal salumiere, con il vicino di casa e al telefono con l'amico che abita a San Pietro in Lama. Al supermercato maggiore della città hanno aperto una mostra sul tema, ma la gente in quei luoghi ha fretta e lancia sguardi indifferenti. Stavo fotografando e una lei, battendomi gentilmente la mano sulla spalla, mi ha detto che era proibito. Però se si squarciano le nubi e spunta il sole, noi qui, della pianura più piatta, alziamo subito l'occhio all'orizzonte: "Guarda oggi si vedono le montagne, come sono belle così coperte di neve!". Oggi voglio dedicare queste mie poche righe a parlare con te, Bianca. Ho letto tutto o quasi di te. Le tue parole mi hanno insegnato ad amare la montagna. Non posso che ripetere quello che ebbi a scriverti di recente: Quali segrete emotività sanno trasfondere i tuoi scritti. Saranno gli anni che ci tiriamo dietro, non so; saranno i ricordi di un tempo lontano quando ragazzino seguivo mio papà in campagna - il riposo del guerriero dopo tre guerre! - e insieme trascorrevamo le notti sull aia sotto quel lontano cielo di Sicilia che poi ho ritrovato nei bivacchi in Gravalonga sotto le Tre Cime; sarà quest anima che ci ha sempre fatto amare. Non so. E tu:...sei una persona che stimo profondamente. Non ti conosco ma leggo ciò che scrivi e poi c è la Silvana che mi parla di te. Ed allora ti ringrazio per quelle tue espressioni che mi accarezzano il cuore. Con Bianca non ci siamo mai incontrati. I tanti capelli bianchi non ci permetteranno mai più di ritrovarci un giorno su per una delle tante vie di roccia. Sarebbe stato bello. Non ho mai dimenticato le sue parole. Oggi, più che mai ne abbiamo bisogno. Per una strana coincidenza, a cento anni di distanza, scopriamo sempre attuali i valori di cultura e spiritualità dell alpinismo nel pensiero di Romano Balabio (vedi a pag. 12). Un pensiero che attraversa un po tutti gli scritti di questo numero, il pensiero principe che ha sempre ispirato Spiro Dalla Porta. Bianca Di Beaco nel 1985 scriveva: La montagna non è la parete, ha anche una cima da offrire, dove si conquista lo spazio più che il successo. E ti si scoprano davanti realtà prima ignorate, che ti facciano vedere oltre i tuoi limiti e nel tuo profondo, da cui resuscitare sensibilità addormentate. Ecco, vorrei dire di cose che parlino di alpinismo, non di arrampicamento, per realizzare il significato dei monti e lasciarmi sedurre dai loro messaggi segreti, per farmi tentare da parole come estasi, ispirazione, ricerca di infinito. [...] Salendo i monti ho scoperto il volto di ognuno. Piccolo universo completo. E l esperienza di fatica fisica e di comunione con la natura mi ha ritagliato intorno figure nitide di personaggi dallo sfondo opaco della gente anonima. Vorrei entrare nelle valli e riscoprire sempre come strade incantate che portano ai castelli delle fiabe, dove tutto è possibile, anche riprendere possesso della propria esistenza perduta di vista nella confusione di disperazione e di dubbi. Vorrei arrampicare sulle pareti con l entusiasmo di sempre per qualcosa che è al di là di ogni fine utilitaristico. Vorrei non perdere il coraggio di cercare la poesia e di fare sempre il percorso del sentimento che porta sulle cime. Vorrei non disimparare a vedere l essere umano e ritrovarlo per un suo modo di muoversi o guardare, illuminato da intimi slanci e sorridenti ingenuità. È perciò che vorrei tenere il tuo viso tra le mani ed impedire che diventi una macchia incolore tra la folla. Vorrei continuare ad essere alpinista così. [...] Mi si chiede a volte: «Che senso ha il tuo alpinismo?» Di fonte a questo mare in burrasca, dopo una giornata di così vasto respiro verso il punto più alto di un isola turbinosa d aria, non saprei distinguere tra il monte e il mare, tra la terra ed il cielo, tra il profumo della pietra e il salso. Non so, risponderei: «Vado a salire le montagne perché amo sentirmi un animale libertà. Vado sul mare perché amo la natura ed i suoi spazi diversi.» Direi: «La montagna è il mio Dio, ed il mare è la mia religione». Può essere che confonda Dio con San Nicola. Può darsi che la mia fede rischi di naufragare fra i possenti cavalloni. E il mio alpinismo? È raggiungere una chiesetta nata da un bisogno d amore sulla sommità di un isola. È lo sguardo avido ai monti che s innalzano come un invito tutto attorno al mio orizzonte. È il superamento di difficoltà nel godimento di un corpo preparato ad affrontarle. È la scoperta di cime sperdute in paesi lontani. È l eroica esaltazione della giovinezza che mi faceva muovere verso le montagne per perdermi negli spazi d avventura. È gurdare dall alto alla nostra esistenza e non mettere radici da nessuna parte per andare in libertà. [...] Voglio che il mio alpinismo mi faccia vivere la montagna in tutta la sua essenza e mi coinvolga nell azione e nella curiosità di conoscere. E mi ricordi che esistono dei valori al di sopra di ogni nostra più o meno strampalata opinione, La realtà di perfette armonie dello splendido pianeta che ci ospita ed a stento ci sopporta. Salgo la montagna per amore. Di silenzi e di piaceri dolcissimi. [...] A me occorre un bicchiere di vino generoso e un altro ancora per ubriacarmi di fiducia. E la barca deve essere vera e ben solida per portarmi via dalle stanchezze e salvare quell alpinismo che non so più se sia fatto di monti o di mare, di alberi o di terra, ma certamente è qualcosa di molto complicato se qualche volta mi lascio cogliere di sorpresa da frasi come: «L alpinismo è solo sport. Tutto il resto è retorica». E rimango stordita come sotto una mazzata. Oppure è qualcosa di così semplice che mi vien da ridere per essermi persa tra tante inutili parole. E vorrei allora rispondere d impeto, sfidando ogni critica, che: «Il mio alpinismo è anche sentimento. È salire più in alto di tutte le volgarità. È l offerta di vivere con serietà». Forse per me l alpinismo è sempre una cima da raggiungere. Su pareti eleganti e verticali verso vette superbe o lungo stradine inselvatichite per andarsi a fermare nell incontro di uno sguardo che sa di cielo. Di un piccolo santo che aspetta, come me, paziente ma sicuro, l amore che giunga da qualche parte. E insieme al corpo devo allenare anche questa mia anima che, se pure stracca ed anacronistica, non se ne vuole andare e mi si trascina appresso oltre i sassi, le pareti strapiombanti e gli sconforti. Ma è lei che mi trattiene sulle cime rivelandomi la suggestione della montagna. E non me la voglio perdere, anche a costo di sfibranti sofferenze. Perché come potrei altrimenti rincorrere il segreto dell eternità e rimuovere gli oscuri rimpianti? Vorrei averti raccontato una storia d amore. L amore per quella parte di noi che forse potrà salvare la nostra vita dall angoscia e anche l alpinismo dalla morte per tecnologia. E incamminarmi al tuo fianco per salire insieme lungo la stessa via. Per raggiungere una cima. E là fermarci, trasognati per afferrare il mistero della vita prima che ci scappi definitivamente e ci lasci più poveri che mai. (*) Condividiamo la concezione e i sentimenti che scaturiscono da questa visione della montagna, e grazie a Vittorio che auspica un futuro sempre dolomiticamente rosato. Glauco Granatelli Redattore (*) Liburnia, vol. XLVI Qual è la concezione dell alpinismo nel pensiero di Bianca Di Beaco. 8 QVOTA 864 GIUGNO 2013 A COLLOQUIO CON I LETTORI 9

7 150 ANNI NEL 2013 È una lunga storia di cui anche noi facciamo parte. Riviviamola insieme. Prendiamo le mosse dalle Alpi venete, anche perché una delle caratteristiche del nuovo costume alpinistico introdotto dalla guerra fu proprio la diffusione impetuosa, prorompente, della specializzazione dolomitica. Il medico vicentino Antonio Berti ( ) l avevamo incontrato giovinetto, alle sue prime armi sotto la guida di Orazio de falkner, nella conquista di Punta Adele. Sarebbe imposibile e vano tentare un bilancio delle sue prime ascensioni ed altre salite importanti, tuttavia è da ricordare almeno la vittoria riportata sulla montagna di casa, con l esplorazione della parete Est sul piccolo, ma arduo Baffelan: parete percorsa dapprima in discesa, il 30 agosto 1908, con Maria e Gino Carugati, e poi salita per la prima volta il 18 ottobre. L importanza di Berti è superiore al numero di prime e di vie nuove, è quella d uno studioso e poeta della montagna, che ad essa ha dedicato tutta la potenza del suo intelletto. Egli è una delle tre o quattro figure di pionieri che, dopo i Falkner, operarono l inserzione dell alpinismo veneto, ossia del dolomitismo, in quello italiano, anche prima che l unificazione politica sia interamente compiuta dalla vittoria del In questi alpinisti perciò la pratica della montagna si colora naturalmente d una avvampante passione patriottica e irredendista, com è il caso del triestino Napoleone Cozzi ( 1918), canottiere, schermidore, speleologo, «caposcuola dell alpinismo senza guide a Trieste», come lo definisce Walter Laeng. Il suo tentativo al Campanile di Val Montanaia, con Zanutti, il 7 settembre 1902, fa esattamente il paio con quello di Garbari e Pooli al Campanile Basso. Dopo avere superato la massima difficoltà nella strapiombante fessura che di Cozzi porta il nome, si fermarono al ballatoio sotto la cuspide finale. Dieci giorni dopo Von Glanvell e Von Saar conducevano a termine l ascensione, usufruendo del camino aperto dai due triestini e portandosi in seguito su un altra linea di salita. Cresciuto nell ambiente di entusiasmo irrendentistico della Società Alpina delle Giulie, ch era stata fondata a Trieste il 23 marzo 1883, Cozzi fu il maestro d una prima schiera di alpinisti triestini, quali ap- 10 QVOTA 864 GIUGNO 2013 Antonio Berti punto lo Zanutti, il Carniel e il Cepich, coi quali compì le prime ascensioni, nel 1909 e 1910, delle Torri Venezia e Trieste al Civetta, destinate a diventare in segito teatro di imprese di sesto grado. [...] Bella figura di patriota e di sportivo è quella dell ingegnere Umberto Fanton, morto a 28 anni, aviatore, nei cieli del Monte Grappa, il 17 maggio Proprietario dell Hotel Marmarole a Calalzo, ne aveva fatto, oltre che la base delle proprie ascensioni, un focolaio d alpinismo italiano in Cadore.Da lì appunto era mosso per la prima dell Antelao dal versante Est, il 21 settembre 1914, insieme alla sorella Luisa. Ma aveva già una lunga messe di conquiste dolomitiche, a partire dalla prima ascensione della Torre d Arade, nel 1908: sul Campanile di Val Montanaia ci tornava tutti gli anni [...]. In qualcuna di quelle ascensioni, come al Campanile S. Marco, gli era compagno Giovanni Chiggiato ( ), futuro presidente della Sezione di Venezia, futuro deputato. Iniziatosi all alpinismo con una campagna che nel 1897 l aveva portato sul Becco di Mezzodì, sul Cristallo, la Croda da Lago, il Sorapiss, la Piccola di Lavaredo, aveva colto alcune prime assolute. Naturalmente era pure lui di casa sul Campanile di Val Montanaia, conosceva Sass Maor, Torre Trieste e Torre Venezia [...]. Di lui scrisse il Berti: «Pioniere italiano nell Agordino e in Cadore, nell era dei nuovi ardimenti, quando, domati i colossi, fu dato l assalto alle cime minori, ma molto più ardue, e sui colossi già vinti vennero aperte più difficili vie». Tra questi precursori dell alpinismo moderno nelle dolomiti ricordiamo ancora il trentino Luigi Scotoni, che nel 1908, a 17 anni, saliva l imponente spigolo Nord del Crozzon di Brenta credendo di farne la prima ascensione: ignorava quella di Schneider e Schulze nel 1905, ma faceva così la prima ripetizione e la prima italiana di quel superbo itinerario. E infine, della sezione di Venezia, ma in realtà gravitante nella cerchia dell alpinismo milanese, Arturo Andreoletti, che negli anni precedenti la guerra raccolse una messe incredibile di prime ascensioni, vie nuove, prime italiane e prime senza guide nelle più varie zone delle Dolomiti e anche in Grigna. Generalmente si crede che la prima ascensione italiana della parete Sud della marmolada sia stata fatta da Guido Rey, a causa della bellissima descrizione lasciatane. Invece la prima italiana è di Andreoletti, il 19 agosto 1908, con Prochownik e la guida Parissenti. [...] ricordiamo ancora la prima italiana alla via Leuchs sul Cimon della Pala, col Parissenti la prima del Campanile Campidèi con Chiggiato, Musatti e la guida Murer, i infine la conquista della Guglia del Vescovà, nell Agordino, il 16 settembre 1913, con la guida Jori. [...] Generalmente questa generazione sembra proporsi un compito preciso, che è quello di portare rapidamente l alpinismo italiano in Dolomiti al livello che Dülfer e Preus avevano assegnato all alpinismo austriaco e tedesco. Servono a questo scopo ancor meglio le prime ripetizioni, che non le prime assolute di vie magari di difficoltà inferiore a quelle aperte da quei formidabili assi dell arrampicata. Spesso ci vuole più coraggio, soprattutto morale, a cimentarsi in una difficile ripetizione, che non a cercare una via nuova dove, se non riesce, pazienza, non c è da temere il bruciante confronto con chi è riuscito. Di quest opera di recupero che fu poi portata a termine da Hans Steger, con la ripetizione sistematica di tutte le vie Preuss, spesso in compagnia della valorosa Paola Wiesinger, fu esponente il trentino Pino Prati, tragicamente perito nel 1927, insieme al suo compagno Bianchi, durante il tentivo di compiere la prima italiana alla via Preuss al Campanile Basso. Fu una perdita grave per l alpinismo italiano, ché Pino Prati era una rara tempra di studiso dell alpinismo, autore di esemplari monografie geografico-alpinistiche, sollecito di tutti i nuovi problemi della tecnica e dell etica dell alpinismo. Era, insomma, un elemento capace di sviluppare l alpinismo tanto nel senso del progresso tecnico e sportivo, quanto nel senso della cultura. [...] La vera e propria congiunzione col 6 grado, impersonato da Emilio Comici, avvenne nella persona di Severino Casara, scrittore alpinistico di dannunziana eleganza, spigolatore di rare primizie nei più ignorati recessi delle Dolomiti, di cui è conoscitore e poeta, protagonista di una discussa ascensione solitaria agli strapiombi del Campanile di Val Montanaia, il 3 e 4 settembre [...] Lo troveremo compagno di di Comici ed epico illustratore delle sue imprese, e della concezione dell alpinismo da lui rappresentato. Venendo ora verso occidente e soffermandoci alla Lombardia, nominiamo prima di tutto due alpinisti la cui attività fu stroncata troppo presto. Il rag, Antonio Castelnuovo, scomparso sulla parete Est del Nordend il 15 agosto 1909, insieme ai compagni Bompadre e Sommaruga 150 ANNI NEL

8 [...]. Volontario in guerra morì invece, nel 1916, l ing. Paolo Ferrario [...]. La guerra del 15-18, e in alcuni casi eccezionali anche l altra, è scavalcata cronologicamente dall attività straripante di alcuni alpinisti lombardi e piemontesi che appunto per la lunga durata delle loro prestazioni fungono da tramite fra l una e l altra generazione, congiungendo non solo idealmente il passato all avvenire. Uno di questi è il prof. Alfredo Corti [...] i cui meriti non vanno ridotti al solo assetto sportivo e atletico dell alpinismo, ché egli è in questo uomo d antico stampo e, scienziato di professione, porta nell esercizio della montagna quel bisogno di conoscenza e quell indirizzo scientifico che caratterizzavano l opera dei pionieri. [...] I fratelli Romano e Angelo Calegari furono i primi, insieme a G. Scotti, a osare alzar lo sguardo sull affascinante spigolo Nord del Badile, di cui effettuarono nel 1911, in due riprese, il 30 luglio e il 3 agosto, la prima esplorazione completa, salendone dapprima una parte, e calandosi poi dalla vetta fino al punto raggiunto nella salita, analogamente a quanto aveva fatto Guido Rey con la cresta di Furggen al Cervino. Oltre allo Scotti, era spesso loro compagno Romano Balabio, loro cugino, che una scarica di di pietre uccise al Torrone occidentale, verso la fine d agosto Di lui è da ricordare la polemica sostenuta nel 1909 con gli esponenti dell alpinismo tedesco, le cui idee erano appoggiate fra noi da Adolfo Hess: in quell occasione Balabio difese i superiori valori di cultura e di spiritualità dell alpinismo, sostenendo che esso, anche nella forma accademica, non può essere considerato uno sport. Con Aldo Bonacossa eccoci in presenza d un altro esponente dell alpinismo lombardo appartenente alla generazione uscita dalla guerra, la cui conoscenza sbalorditiva delle Alpi, insieme ad un attività la cui intensità ha del fantastico, produce una quantità tale di prime ascensioni e vie nuove, da scoraggiare ogni velleità di elencazione. [...] Fortunatamente anche Bonacossa, che dal 1933 fino alla guerra ha retto le sorti del Club Alpino Accademico Italiano, ha affidato alla redazione sistematica di guide alpine il frutto della sua immensa conoscenza delle Alpi. [...] Né è da meno, per estensione e ricchezza di motivi, la prolungata attività di Ugo di Vallepiana che ha avuto il privilegio d andare in montagna con Preuss e con Gervasutti [...]. Vediamo ora quali sono gli esponenti della generazione di guerra in quel gruppo alpinistico piemontese, che ormai non detiene più il monipolio dell iniziativa, poiché la predicazione iniziata da Quintino Sella ha fruttificato ovunque e in particolare proprio la guerra ha contribuito a espandere l alpinismo su piano nazionale. [...] I contatti tra questa generazione, che in qualche caso eccezionale si protende fino ai giorni nostri con ininterrotto esercizio alpinistico, e la precedente generazione stabiliscono la continuità storica dell alpinismo occidentale: gli anziani avviano alla montagna i giovani, le ultime ascensioni importanti d un alpinista nato ai tempi in cui Quintino Sella fondava il Club Alpino possono essere nello stesso tempo le prime d un giovane che tra poco partirà per la guerra; quando non ci si trovi in presenza di quei casi eccezionali di prolungata vigoria fisica, in cui un uomo solo raccoglie in sé l esperienza di due o magari tre generazioni di alpinisti. La continuità si vede particolarmente bene in un caso come quello della famiglia Santi: il padre, Flavio, medico e naturalista, era stato alpinista dei tempi di Vaccaronem ed aveva avviato alla montagna i figli Ettore e Mario, i quali furono invece esponenti di quella generazione che al principio del secolo, sulle orme di Fiorio e Ratti, di canzio, Mondini e Vigna, affermò il nuovo verbo dell alpinismo senza guide e partecipò con Adolfo Hess alla fondazione del Club Alpino Accademico. [...] Mario Santi va ricordato come uno dei pionieri dello sci-alpinismo, [...] oltre ad Ottorino Mezzalama, che morì il 26 febbario 1931, travolto da una slavina alla Cima del Bicchiere nelle Alpi Breonie, mentre portava a termine il suo proposito di «conoscere appieno tutta l alta zona confinaria». [...] Piero Ghiglione ( ) usò lo sci con successo sui ghiacci eterni dell Himalaya, a quote di 7000 metri, e la cui carriera alpinistica non si sa se sia più stupefacente per l estensione assunta nelle dimensioni geografico-esplorative, o per la durata eccezionale, al di là di ogni limite biologico fin qui conosciuto. Partecipe della spedizione Dhyrenfurt al Golden Throne, che si era assicurata la più alta vetta fino allora scalata dall uomo, partecipe della salita all Aconcagua con la spedizione andina del CAI nel 1934, egli continuò in silenzio ad esplorare le montagne del mondo e a compiere infaticabili scalate nei 5 continenti [...]. Né per questo disdegnava le Alpi, dove si era accompagnato ad alpinisti di diverse Il cimitero di San Vito di Braies. La tomba di Severino Casara ai piedi della Croda del Becco. 12 QVOTA 864 GIUGNO 2013

9 generazioni [...]. Tra gli alpinisti che agirono prima e dopo la guerra del va ancora ricordata quella singolare figura di umanista valdostano che fu l Abate Joseph Henry (Courmayeur Valpelline 1947), parroco di Valpelline e studioso di storia della Val d Aosta. [...] Siamo ora alla vera e propria generazione di guerra, quella che si potrebbe chiamare degli ex-alpini: gente che le sofferenze sopportate non hanno respinto dalla montagna, conosciuta nelle condizioni più tragicamente sfavorevoli, ma al contrario ve l hanno incatenata per sempre, e che appena restituiti alla libertà della vita borghese non hanno atteso molto per ritornare a cercare la via delle montagne: Umberto Balestreri ( ), nobile figura di magistrato che resse con fermezza le sorti del Club Alpino Accademico dal 1929 al 1933 [...], Erasmo Barisone [...], Federico Chabod ( ), valdostano, storico di fama europea, e primo Presidente della Val d Aosta dopo la Liberazione [...] e Francesco Ravelli, colui che per ampiezza e intensità dell attività svolta, per la purezza di concezione alpinistica, per la conoscenza quasi valligiana della montagna e per sincerità d inesuribile passione, crediamo di potere tranquillamente indicare come il più rappresentativo esponente dell alpinismo piemontese fra le due guerre. (continua) Precedenti puntate, tratte dal volume I CENTO ANNI DEL CLUB ALPINO ITALIANO del C.A.I. Milano, sono state pubblicate nei N.ri di QVOTA 864. ACCADEVA 100 ANNI FA Berti e Tarra entrano nella solitaria Val Montina e salgono la Cima dei Preti per la grande parete ovest, e nei Brentoni la Cima dei Landre, e alle sorgenti del Piave la vergine Torre Sappada e la vicina Torre del Clap Piccolo. Andreoletti monta su tre cime nelle Pale e una nel Tamer, e con la guida Jori erige l ometto sull aerea cuspide della Gusela del Vescovà, nello Schiara. Fabbro raggiunge la Cima Brenta Bassa per la cresta nord est e Luisa e Berto Fanton salgono l Antelao da est e aprono cinque nuove vie nelle Marmarole. Trenker sale il Sass de Mesdì per il camino sud e apre una bella via da sud ovest sulla Prima Torre di Sella. I fratelli Kiene entrano nelle Marmarole salendo lo Scotter e i Bastioni per nuovi versanti. La guida Campidel muore precipitando durante la discesa dopo aver salito da solo nel Sella un vergine campanile che ora porta il suo nome. Ma l estate è di Dülfer che da solo sale il vergine Campanile Sotcront nel Catinaccio con una via di quinto grado e poi, con la fidanzata Hanne Franz e Guttsmann, il Piccolo Cront e con Redwitz il Gran Cront, e con il fratello Emil latorre Principale dei Scarperi. Assieme a Bernuth attua tre memorabili ascensioni. Raggiunge per roccia la Torre del Diavolo nei Cadini, toccata dalle guide cortinesi per via aerea, e poi per roccia la Guglia De Amicis raggiunta per via aerea da Piaz. Ma apre anche una magnifica ardita via sulla Cima Grande di Lavaredo per la parete ovest. Nei Cadini sale una vergine torre che i posteri a sua gloria chiameranno Torre Dülfer. E da solo monta sulle ardite Sorelle dei Toni, ora Dame Vicentine. Nel pomeriggio del 13 ottobre, mentre a pochi metri dalla vetta Paul Preuss, da solo, stava risolvendo il più arduo problema alpinistico della Stiria, lo spigolo nord del Mandlkogel, una violenta improvvisa bufera tramutava l estate in inverno e faceva precipitare l eroe dei monti coprendolo con un velo di neve. Il 1913 conta centosei nuove ascensioni. da Severino Casara. IL LIBRO D ORO DELLE DOLOMITI Longanesi & C Pagg PARLIAMO DI ALPINISMO da una riflessione di Spiro Dalla Porta Xydias di Glauco Granatelli. G.I.S.M. Non so se dobbiamo ritenerci fortunati di vivere l attuale momento. Lo dico sottovoce perché non voglio assolutamente dare alle celebrazioni in cantiere il carattere della banale attesa. I 150 Anni del CAI è una ricorrenza cui è dovuta importanza, condivisione e coralità. Soffermandoci qua e là sugli eventi più salienti di questi centocinquanta anni, come emerge dalle riportate pagine dei CENTO ANNI..., quale meraviglioso cammino è stato compiuto. Anni in cui le cordate erano costituite da veri appassionati: gente che faceva dell alpinismo in tempi oscuri ed accettava con eguale gradimento le tediose ore di marcia lungo le mulattiere di fondo valle e le arrampicate su spigoli aerei di cime mai prima toccate. A mano a mano che si sale, le cime a noi vicine si fanno sempre più umili, le pareti più mansuete. Volgendo a volte lo sguardo indietro non scorgiamo che breve tratto delle nostre orme. In questo tratto, ove non è possisbile assicurarsi in alcun modo, occorre sangue freddo e gran senso della sicurezza personale. Ma lassù splende un sole, il più bello e sfolgorante che mai baciasse la terra. Il cielo è d un cilestrino trasparente e limpido, segno che molto in alto soffia il buon vento del N... (1). Da queste parole sono trascorsi un centinaio di anni e la ragione di quel salire per molti di noi è rimasta immutata. Sorgono allora spontanee molte domande. Prima tra tutte se il tempo dell epica dell alpinismo sia tramontato, se ha ancora un senso continuare a salire giocando sulla nostra vita in nome di un ideale che noi ci siamo costruito e nessun vangelo ci ha mai imposto, se la parola alpinismo abbia ancora la purezza di allora e non nasconda piuttosto qualcos altro che non oso neanche nominare per non violarne la sacralità. Molti di noi credono ancora nell alpinismo; ma l odierna visione edonistica della montagna e l importanza sempre più penetrante data alle caratteristiche tecniche e gestuali della scalata ha portato in molti il seme del dubbio. Condivido tutta la valenza di quanto scrive Spiro sull importanza fondamentale ed essenziale del fattore elevazione nell ascensione. Purtroppo ogni giorno più il termine teso a conglobare in uno le varie attività in montagna - fatte le eccezioni più eclatanti, quali potrebbero essere il rafting o il canioning, il parapendio o che so io - è uno solo: alpinismo sport-professione. Se ci credi ancora, senti un grande tumulto in fondo al cuore, perché non è questo che vuoi. Non chiamiamolo più alpinismo o ridiamo a questa parola tutta l antica valenza e il valore che merita precisandone, è il pensiero di Spiro Dalla Porta Xydias, le basi fondamentali, gli elementi storici e metafisici, i simboli e le realtà terrene che provano l indiscutibile verità del fattore ideale della salita in montagna. (1) A. Calegari. LA PRIMA ASCENSIONE INVERNALE DEL FLETSCHHORN QVOTA 864 GIUGNO 2013 PARLIAMO DI ALPINISMO 15

10 16 QVOTA 864 GIUGNO 2013 INNO DEL CAI per il 150 di fondazione

11 LE SPLENDIDE MONTAGNE E partito dalla Galleria Auchan di Mestre un viaggio tra spettacolari paesaggi, la loro storia, la cultura e le attività, promosso da Gallerie Commerciali Italia in collaborazione con il Club Alpino Italiano e il Museo Nazionale della Montagna di Torino, in occasione del 150 anniversario dell'associazione. La mostra intende far conoscere al numeroso pubblico dei centri commerciali, ma anche a scuole, curiosi e appassionati, la storia di una grande istituzione volontaristica, quale quella del Club Alpino Italiano e delle sue molteplici attività, ma soprattutto fare emozionare grandi e piccoli con le immagini delle Nostre Montagne, dei loro celeberrimi paesaggi, della loro cultura, della loro storia e delle spettacolari attività sportive e ricreative.

12 Tra le immagini proposte dal Club Alpino Italiano per illustrare Le splendide Montagne abbiamo estrapolato - vedi seconda di copertina - la scalata del Monte Sant Elia da parte di Luigi Amedeo di Savoia, duca degli Abruzzi, che segnò l inizio di importanti esplorazioni di carattere scientifico e alpinistico in quasi tutti i continenti. L articolista del La Tribuna Illustrata del 5 settembre 1897 così ricordava l evento: Una vittoria dell alpinismo italiano. Possiamo ben chiamare così l ardita ascensione del Monte Sant Elia, nella penisola di Alaska (America Settentrionale) felicemente compiuta dal duca degli Abruzzi con quattro compagni e con quattro guide della Val d Aosta il 31 dello scorso mese. E questa la prima spedizione che sia giunta sulla vetta di quel monte. a 18,000 piedi sul livello del mare, e il successo è tanto più notevole in quanto che una spedizione organizzata da americani al primo annunzio di quella che il duca degli Abruzzi aveva in animo di compiere, dovette rinunziare all impresa, e tornar indietro dopo essere giunta a 14,500 piedi. Invece, i nostri alpinisti, scortati dalle loro buone guide, dopo aver passato cinquantun giorno sul ghiaccio e sulla neve, sempre in perfetta salute, dando prova, oltre che di un grande coraggio, di una robustezza non comune, giunsero sulla vetta, dove il duca degli Abruzzi, in mezzo agli applausi dei compagni, piantò la bandiera italiana, che fu poi interrata sul posto insieme con la bandiera americana. Ci piace notare qui i nomi dei compagni del giovane e ardito principe di Casa Savoia, al quale mandiamo i nostri rallegramenti per il felice compimento dell audace impresa. Essi sono l avv. Francesco Gonella, presidente della sezione torinese del Club alpino italiano; il tenente di vascello cav. Cagni, aiutante di campo del principe; il cav. Vittorio Sella, nipote di Quintino Sella, e il dottor Filippo De Filippi. Le quattro guide valdostane sono Giuseppe Petigaz, Lorenzo Criux, Antonio Maquignoz e Andrea Pellissier. LE SPLENDIDE MONTAGNE 21

13 22 QVOTA 864 GIUGNO 2013 CLUB ALPINO ITALIANO Comunicato stampa Docu-fiction sull impresa italiana del K2. Il Club Alpino Italiano ribadisce la propria estraneità alla regia e alla ricostruzione delle vicende storiche. Dopo la messa in onda su RAI 1 della produzione della Red Film dal titolo K2 La montagna degli italiani il 18 e 19 marzo scorsi il Club Alpino Italiano smentisce di aver avuto facoltà di controllo e verifica dei contenuti e possibilità di correggere le discordanze dalla verità storica. Milano, 26 marzo 2013 Presa visione della Docu-fiction dal titolo: K2 La montagna degli italiani, andata in onda il 18 e il 19 marzo scorsi su RAI 1, il Club Alpino Italiano si dissocia dal coinvolgimento nella produzione del filmato. Il Sodalizio aveva dato la propria adesione, con la concessione gratuita di spezzoni del film originale del K2, a condizione di aver facoltà di controllo e di verifica dei contenuti del filmato, nonché adozione da parte della Red Film, degli eventuali correttivi ove si riscontrino discordanze rispetto alla verità avallata ufficialmente dal Club Alpino Italiano col documento K2: una storia finita e ai precedenti interventi che hanno portato all adozione del documento (.). Facoltà che di fatto non è stato possibile esercitare in quanto il CAI non è stato messo nelle condizioni di conoscere i contenuti della Docu-fiction se non a prodotto finito e nell imminenza della programmazione RAI. In particolare il Club Alpino Italiano intende sottolineare i punti seguenti, che contrastano palesemente con i contenuti dei filmati, di cui la produzione era stata messa ampiamente al corrente: 1. Ruolo del CAI nell organizzazione e nel finanziamento della Spedizione: la Spedizione al K2 del 1954 è stata infatti la Spedizione nazionale del CAI al Karakorum, come comprovato dalla documentazione storica, e non la Spedizione di Desio e del CNR, senza peraltro negare l apporto tecnico/organizzativo e finanziario di questi. 2. La revisione storica della vicenda relativa al ruolo di Bonatti e Mahadi nelle fasi finali della ascensione risale al gennaio 1994 quando, nel 40 anniversario dell impresa, per iniziativa del Presidente generale del CAI Roberto De Martin, il Consiglio centrale dell Ente deliberò di procedere in tal senso. La revisione fu operata dalla Dott.ssa Silvia Metzeltin e dal Dott. Alessandro Giorgetta, pubblicata sul fascicolo maggio/giugno 1994 della Rivista del CAI, organo ufficiale del Sodalizio, avallata da Walter Bonatti con un suo scritto e presentata alla stampa nel corso di una conferenza nell ambito del Filmfestival di Trento dello stesso anno. Particolarmente rilevante è il fatto che la revisione venne realizzata e pubblicizzata quando i protagonisti principali della vicenda erano in vita, e dai quali non si ebbe alcuna reazione. Tale posizione è stata successivamente ribadita dal documento di presentazione della relazione dei Tre Saggi nell aprile del 2004 al Consiglio Centrale del Sodalizio, in cui si dichiara che detta relazione non modifica ma conferma formalmente quanto contenuto nel documento del Tale realtà, peraltro resa nota nella dichiarazione del Presidente generale attuale Umberto Martini e inserita nel Documentario che precede il filmato, non trova riscontro nei titoli di chiusura del filmato stesso che si riferiscono unicamente alla azione di conferma del Infine il Club Alpino Italiano concorda con quanto scritto da Sandro Filippini nel suo Commento pubblicato sulla Gazzetta dello Sport del 21/3/2013 sulla veridicità dei contenuti che banalizzano la reale portata dell impresa. Per questi motivi il Club Alpino Italiano ribadisce la sua assoluta estraneità nella partecipazione alla regia e alla collaborazione ai fini della scenografia, ambientazione e ricostruzione delle vicende rappresentate in quanto non corrispondenti alla realtà storica e documentale, riservandosi ogni altra azione nelle sedi che riterrà opportune per la tutela dell immagine del CAI. Componenti la spedizione italiana al K guidata da Ardito Desio LE SPLENDIDE MONTAGNE 23

14 BRUNO PIASENTINI Albergatore, giornalista, poeta, pittore di Paola De Filippo Roia Se vai a sfogliare il mensile "IL CADORE" degli anni '40, troverai parecchi articoli a firma di Bruno Piasentini, ma non basta: lui era corrispondente anche del Corriere della Sera. E' sufficiente scorrere alcune righe dei suoi pezzi per scoprire una sensibilità non comune, ma anche un grande amore per la sua terra oltre ad un grande rispetto ed esaltazione per quei personaggi che si sono messi in luce per meriti culturali e sportivi. Se Bruno Piasentini sapeva scrivere con trasporto, è necessario andare a vedere qualche suo quadro e sfogliare un suo catalogo per scoprire le capacità di questo personaggio. Il pittore auronzano si era accostato alla pittura dopo aver stretto amicizia con il famoso pittore Filippo De Pisis che agli inizi degli anni novanta aveva soggiornato in parecchie località del Cadore. Numerose sono state le amicizie importanti nell'ambito della pittura. Bruno era uso soggiornare, con una delle quattro figlie alternativamente, a Venezia, dove era ospite presso l'albergo "Colomba", ritrovo dei pittori. Poiché vedeva in Auronzo grandi potenzialità turistiche, aprì anche lui in Auronzo un alberghetto, la "Colomba", nella speranza che divenisse un importante ritrovo artistico. Nel periodo del dopoguerra, mentre l'italia e gli italiani cercavano di rialzarsi dalla devastazione del conflitto, in Auronzo si assisteva ai primi accenni di ripresa, ad un avvio all'attività turistica. E sarà proprio Piasentini ad organizzare nell'estate 1947 il premio di pittura "Auronzo", rassegna alla quale parteciparono le migliori firme di quel periodo, con altrettanti importanti nomi nella giuria: basti citare Salvadore Quasimodo e Diego Valeri per capire la valenza di tale rassegna. La vittoria andò a Fiorenzo Tomea; premiati anche Renato Guttuso e Piasentini come miglior pittore cadorino. Bruno Piasentini ha dato, senza dubbio, un impulso non comune a questo nuovo aspetto auronzano. Personaggio eclettico, si è impegnato con professionalità come albergatore, giornalista, poeta e pittore. Grande sportivo, tra altri impegni nel sociale, ricoprì anche la carica di Presidente dell'hockey 24 QVOTA 864 GIUGNO 2013 Club Auronzo. A quarant'anni dalla sua morte, il Comune di Auronzo ha voluto onorare la memoria del suo cittadino con una importante retrospettiva. Bruno ha trattato il paesaggio dolomitico con una vena fresca e vivace. Notevoli anche le composizioni di nature morte, spesso con tema la caccia, realizzate con ricchezza cromatica. Ha esposto parecchie volte in varie parti d'italia e meritò ambiti premi. Ma il vanto delle figlie di Bruno è il giudizio del critico d'arte Ezio Finotti in occasione di una esposizione che il pittore Piasentini, negli anni della maturità, ha allestito a Ferrara. Tra l'altro si legge:...i suoi quadri ci offrono già una misura di quelle che sono le sue capacità artistiche. Pittura dal tratto largo della pennellata fluida e leggera. Pittura dal largo respiro, dalla pennellata chiara, sicura, forte ed insieme soave, ricca di colori armoniosi...ciò che pure è indiscutibile in ogni suo lavoro è un'intima armonia spirituale che affiora dalla forma esterna delle cose che rappresenta... Ho sentito dire di questo pittore: peccato che egli non viva in un grande centro artistico come Roma, Firenze, Venezia. Io dico invece: perché deve nuocere a tale pittore auronzano, con le qualità che possiede, vivere anche in un ambiente sì poco artistico come quello di un paese di montagna: meglio così, poter conoscere ed amare la "verità" vista con occhio lirico come lui la vede, e resa con la più piena e completa libertà individuale. Bruno Piasentini e Filippo De Pisis Bruno Piasentini insieme agli atleti dell Hockey Club Auronzo BRUNO PIASENTINI 25

15 UNA VIA NUOVA SULLA CRODA BIANCA La prima ascensione alla Croda Bianca per la parete nord-est. 2 settembre 1961 di Luigi Bombassei - CAI Sezione di Bologna Il rumore di uno scooter che saliva la rampa di Maurele mi fece drizzare le orecchie, mentre pranzavo nella casa paterna di Auronzo. Quando poi lo scooter rallentò la sua corsa e lo sentii svoltare per lo stradello che porta a casa mia, non ebbi più dubbi: era Luigi Zuffa, e corsi fuori. Dentro di me lo ringraziai di cuore per essere arrivato così presto, tanto più presto di quanto sperassi. "Arriverò nel pomeriggio" mi aveva scritto, ma un pomeriggio è lungo quando nell'attesa si tien conto dei minuti! Riordinato il materiale, diviso i pesi, controllato che non mancasse nulla e che nulla fosse di superfluo siamo pronti per la partenza, con l'euforia incrinata da una vena di preoccupazione. Tutte le volte che vado via mi trovo ad essere più o meno preoccupato, ma tanto più lo ero quel giorno, perché mi mancava la confortante consapevolezza di andare a ripetere "vie frequentate"; ignoravo quali difficoltà avremmo incontrato, paventavo qualche bivacco in parete, battuti dalle intemperie, dai minuti interminabili come le ore eterne come il tempo. Ecco, mi par di rivivere quei momenti, mentre la Lambretta di Zuffa corre per la val d'ansiei. E' solo un anno che ho preso ad arrampicare ed in quest'anno non ho fatto un gran che: tre o quattro vie di terzo e quarto, tutto qua. In compenso mi son consumato le unghie sulle palestre di roccia di Bologna: una vecchia cava di gesso abbandonata, uno spuntone nei pressi del passo della Raticosa, i caratteristici "Sassi" di Rocca Malatina. Ma questo allenamento, cui non seguiva alcun risultato pratico, ad un certo punto aveva cominciato ad avvilirmi. Per una ragione o per l'altra, l'estate ormai stava passando senza che potessi mettere a frutto la mia fatica. Giravo per Auronzo con i calzettoni rossi da rocciatore, ma vergognandomi un poco, perché mi pareva di usurpare i segni di una dignità che non mi apparteneva. Per questo avevo accolto con entusiasmo la proposta di Zuffa: "Andiamo a vedere di far qualcosa sulle Marmarole?" Ma ora che stiamo per dar vita al nostro progetto mi colgono un sacco di scrupoli. Ce la farò? 26 QVOTA 864 GIUGNO 2013 Al principio dell'estate 1961 era stata fatta una visita in val Bajon, promotore il consigliere Alfonso Bernardi, che a sua volta aveva accolto l'idea lanciata dal dottor Sanmarchi, e dal socio Umberto Bagnaresi, visita che ebbe lo scopo di constatare quali possibilità vi fossero di aprire colà qualche via nuova. Quel versante delle Marmarole, infatti, risultava pressoché ignorato dagli alpinisti. A tale ispezione, insieme al socio Mario Martuzzi, la vedova del senatore Tissi, signora Mariola, ed a Marco Viggi, presi parte anch'io. Avevo visto, così, quali pareti si affacciano sulla val Bajon: pareti vergini di 300, 400 e più metri: imponenti dunque, paurose nel loro isolamento, enigmatiche nell'interrogativo sul perché non erano mai state "fatte". Era stato Marco Viggi a tracciare con lo sguardo ipotetiche vie di salita su quelle muraglie: vie di quinto, sesto grado... le farà qualcun altro, pensavo. Ed ora... ora sono diretto proprio là, a tentare una di quelle vie. E' solo la fiducia che ho in Luigi Zuffa a rincuorarmi: ha visto come "vado", mi ha proposto la faccenda, gli ho esternato i miei dubbi sulle mie capacità, ignote anche a me stesso, e tuttavia appare tranquillo: dunque, debbo star tranquillo anch'io! Così ragionando fra me e me, arriviamo oltre lo chalet "La primula", dove la rotabile della Val da Rin cessa ed è necessario proseguire a piedi per la val Bajon. Nostra meta per quel pomeriggio, il masso detto "Albergo di Bajon", dove pernotteremo. Luigi abbandona la Lambretta in un prato; ci carichiamo i sacchi sulle spalle e via... cercando di somigliare il più possibile a degli alpinisti, anziché a dei muli con tanto di basto... Al limitare del bosco, prima di attraversare il rio, vedo sul sentiero una matita a sfera. La raccolgo: può darsi che serva su di là, se tutto va bene... Salendo, si comincia a prendere concretamente in esame le possibilità che ci si offrono. Decidiamo infine per quella parete, là di fronte: la Croda Bianca, che tanto aveva eccitato la mia fantasia. Un bel nome, romantico, e una bella croda! Dalla val Bajon appare quasi perfettamente conica, con la cima altissima, protesa nell'azzurro: la montagna tipica, direi, tipo Cervino, tanto per intenderci. E, in faccia a noi, la grande parete che taglia, come una sezione verticale, il cono immenso del monte: nel suo bel mezzo, una dritta fessura. Gioisco intimamente della scelta, perché la croda è veramente bella, imponente, e la via si presenta dritta, logica ed invitante. Preparato il bivacco sotto la parete rientrante di un grande masso - l'"albergo Bajon"- prima che scenda la notte facciamo una puntatina su per il dosso barancioso e per il ghiaione ai piedi della parete per dare l'ultima occhiata. Indico a Zuffo, sulla sinistra, una punta: gli mostro la via da me aperta in agosto con Mario Martuzzi. "Andrebbe un po' raddrizzata"... osservo. Si tratta di uno spuntone di 150 metri ai piedi della Croda Bianca; la via da noi fatta è assai modesta e non varrebbe nemmeno la pena di parlarne: ma è la mia "prima via", e ne sono un po' orgoglioso. Poi a letto. Dormire all'aperto: che passione! Sveglia alle 4:30. Soliti preparativi, scelta del materiale, un paio di fotografie mentre il sole nascente illumina la "nostra" cima, e su, all'attacco! Mentre Luigi sale, guardo con un vago senso di malessere certi strapiombi che si profilano proprio sopra di noi. L'inizio, però, fin sotto gli strapiombi, è facile. Mi sento in forma, ma mi troverei molto meglio senza tutto questo peso che mi grava l'imbragatura ed al quale non sono abituato: chiodi, moschettoni, macchina fotografica, e poi staffe, martello, e le tasche della giacca a vento piene di scatolette, frutta sciroppata, zucchero. E siamo ai tetti. Luigi evita il primo, spostandosi a Marmarole. La Croda Bianca destra ed attaccando una paretina che risulta alta circa trenta metri e che "Comincia a farci cantare Rosina", come dice lui, riferendosi alle difficoltà che non sono lievi. Pare, infatti, che si tratti di quinto grado. Siamo sotto un altro tetto, con sottostante fessura, che superiamo verso sinistra mediante una bella Dülfer rovescia, passaggio che mi entusiasma: le mani tengono bene; il fiato è buono e nonostante il carico di cui, come ho detto, farei volentieri a meno, sulla roccia mi sento a mio agio. Ad un certo punto, però, mi trovo a riflettere che quel tratto di parete sotto il grande cengione che dimezza la parete, l'avevamo sottovalutato, trascurato addirittura... Sopra la grande cengia, Zuffa mi invita a procedere davanti. Vedo che i prossimi due o tre tiri di corda sono alla mia portata e accetto ben volentieri. Dopo circa 60 metri facili, arrivo ai piedi di una fessura. Attacco, faccio qualche metro, Zuffa mi dice di piantare un chiodo. Provo, ma la roccia non tiene, è friabile, Luigi è proprio sotto di me, debbo fare attenzione. Proseguo, incontro tratti durissimi ed esposti. "Qui ci vuole un chiodo!" foto originale della salita Provo ancora, nulla, quelle che sembravano fessure sono soltanto crepe superficiali, il chiodo non entra, e poi sento che mi stanco a tenermi su con una mano sola, i piedi appoggiati su asperità minime, o addirittura in pressione. Rinuncio e proseguo. Ormai ho trenta metri di corda sotto di me, e nulla per fermarmi. Avverto il pericolo tremendo che sto correndo, ma è giocoforza proseguire. E su, e su, metro dopo metro, alla ricerca di un punto dove poter sostare. Ogni tanto UNA VIA NUOVA SULLA CRODA BIANCA 27

16 son costretto a prendere fiato, soffermandomi pochi istanti allorché, per avventura mi trovo in mano un appiglio più generoso degli altri. Tra le gambe in spaccata vedo la corda che scende a picco, vedo giù Luigi, notevolmente più piccolo del naturale, che mi fa sicurezza: ma quale sicurezza! Se volo... meglio non pensarci, cerchiamo piuttosto di toglierci di qui il più presto possibile. E, come Dio vuole, il sospirato terrazzino. Luigi non ha quasi più corda da mollarmi. Quasi 40 metri in libera: una pazzia, con quelle difficoltà. Ma ormai son qua, al sicuro, e mi incastro a dovere in una spaccatura per far salire il compagno. Riparte quindi Luigi; sulle nostre teste, infatti, la parete presenta una faccia tutt'altro che invitante. Cosa ci aspetterà, su di lì? Luigi è partito da un pezzo, forse da mezz'ora, forse più. Mai come ora ho constatato come sia calzante il detto "il tempo non passa mai". Ad intervalli che mi paion lunghissimi guardo l'orologio, ma il cammino compiuto dalle lancette è di una brevità esasperante. Anche la corda scorre lentissimamente o non scorre affatto. Qui il fluire del tempo si materializza nello scorrere della corda. Sono incastrato in una nicchia, sotto uno strapiombo, cercando di offrire il meno possibile della mia cara pelle ai sassi che piovono dall'alto, qualcuno dei quali viene a frantumarsi, quasi scoppiando, su uno spuntone che ho proprio all'altezza della faccia. Mi giro dall'altra parte, e schegge minutissime mi pizzicano il collo, mentre l'aria si riempie di un forte odore di zolfo. E' un pezzo che son qui fermo; nell'immobilità cominciano a dolermi le gambe; nell'inattività la preoccupazione ricomincia a far sentire il suo morso molesto. Guardo giù con nostalgia i massi dove abbiamo dormito, poi lo sguardo si spinge là in fondo, dove si vede biancheggiare un pezzetto di Ansiei, dove s'indovina la strada. E mi sovviene il detto di un auronzano burlone: "Sulle crode vado in alto fin che volete, ma con un piede sulla strada!" Questa volta, però, il paradosso non mi fa nemmeno sorridere... Poi è la mia volta. Un altro tratto difficile, con roccia bagnata, appigli scarsi, diedro strapiombante. Vado su con foga: quando arrampico, sì, che dimentico tutto! Ad un certo punto ( siamo in un camino ) Luigi mi avverte che debbo attraversare. La corda infatti, sulla mia sinistra, scavalca l'orlo del camino che poco più su si restringe e strapiomba. "Bisogna fare una Dülfer al volo", mi istruisce Luigi, che non vedo. Ho capito. Mi giro con la faccia al vuoto. Per qualche istante rimango in spaccata, affascinato da quella posizione così aerea. Poi, mi lancio, dopo aver ben incastrato le mani in una spaccatura: i piedi descrivono un arco, finché le suole incontrano la parete ed il corpo si flette: un passaggio esaltante! Una breve traversata a sinistra e son in piena parete, accanto a Zuffa, entrambi i piedi con uno spuntone staccato. Sono entusiasmato e tranquillo: ora so che ce la farò. Riparte Luigi, e supera una paretina strapiombante. Quasi sesto. Niente chiodi. E tutto quel vuoto sotto di noi. Solo una staffa agganciata ad uno spuntoncino permette a Luigi di salire delicatamente e superare lo strapiombo. Quindi traversa a destra e scompare. E' rientrato nel camino. Poco dopo mi chiama. In conseguenza alla traversata, la corda è scivolata. Inutili i miei tentativi di darle un assetto un po' più rassicurante. E così parto, saggiando bene gli appigli, i piedi in pressione, il corpo tutto in fuori, nel vuoto; supero il piccolo strapiombo, traverso a destra, guardo in basso: sono altissimo, ma mi sento sicuro, perfettamente tranquillo. Non ho più paura: sono, al contrario, immensamente felice perché mi sento vivo, giovane, forte e coraggioso: cosa volere di più? Raggiungo Zuffa nel camino, su un pianerottolo formato da materiale detritico accumulatosi su alcuni sassi incastrati. Guardo in su e... mi si mozza il fiato. Il camino è profondissimo, spacca quasi la montagna in due; esternamente è largo almeno tre metri, è necessario pertanto arrampicare all'interno: Luigi va su, s'incastra in un punto strettissimo, poi lo perdo di vista nei meandri di quella galleria verticale; sento che pianta un chiodo. La corda scorre abbastanza veloce, ma quando si ferma? Alla fine se la porta via tutta, quaranta metri secchi. La voce che mi chiama, invitandomi a salire è lontana, ovattata. Vado su penosamente, in posizione dorso - ginocchia. Il materiale, la macchina fotografica, il manico del martello, le staffe che ho al collo, tutto mi ingombra. Le staffe, poi, a volte si bloccano fra la schiena e la parete, mentre mi isso, e così salgo sul davanti finché i gradini mi premono contro la gola, cercando di soffocarmi. Tossisco. Lotto contro i gradini e, vivaddio, la spunto... Guardo in alto e noto con preoccupazione che il camino si va restringendo sempre di più. Come farò a passare di là? Ormai l'opposizione schiena-ginocchia non è più possibile, si procede quasi eretti, tanto le pareti sono ravvicinate. Ad un certo punto, con un terrore tutto istintivo, mi accorgo che non posso più né salire, né scendere, poiché il torace è compresso, incastrato, bloccato nella spaccatura. Uno spostamento laterale di pochi centimetri mi toglie dall'impiccio e posso proseguire. Finalmente esco dal camino, trovando Luigi sopra un sasso che, a mo' di ponte, blocca l'estremità superiore del camino. Sentiamo che ormai ce l'abbiamo fatta, una paretina che si drizza sopra di noi appare molto meno "cattiva" del resto e la cima ( che poi è un' anticima ), non dev'essere lontana. Raggiungiamo una forcelletta, dove praticamente ha termine la "via". Si costruisce un ometto. Luigi estrae la biro trovata in val da Rin. E la carta? Il rovescio bianco di un'etichetta si presta ad iscrivervi le scarne notizie sulla scalata, sui nostri nomi, sul nome della via. Infiliamo il biglietto nel barattolo che già ci ha fornito l'etichetta ( oltre alle pere sciroppate... ) e mettiamo il tutto - ben in vista - in una nicchia sotto una lastra sporgente. Il nome della via: "Andrea Oggioni". Per onorare tanto nome ci sarebbe voluto qualcosa di più, è vero; ma dal Cielo Egli legge ora nei nostri cuori ed accetterà senza sorridere, se non benevolmente, questo nostro modesto omaggio. Proseguiamo per la cima, ormai a portata di mano, per rocce facili ma friabilissime. La vera cima della croda è là, 80 metri circa più alta, separata da noi da un profondo intaglio. Naturalmente, non vale la pena raggiungerla: o meglio ne varrebbe la pena se non fosse così tardi; tra una fotografia e l'altra, scambiandoci le impressioni sull'arrampicata e sul grandioso scenario che ci circonda, scendono infatti le prime ombre. Una breve contemplazione, uno sguardo carico di nostalgia laggiù, a quei monti che da qui appaiono collinette insignificanti. Dietro quei monti, invisibile ai miei occhi, ma così noto che mi par di vederlo, Auronzo. E, in Auronzo, la mia casa, i miei cari... Ma bisogna pensare a scendere. Ecco dunque cosa mi impediva di godere il panorama! Prendiamo un canalone direttamente al di là della forcella del barattolo. Un canalone che non finisce mai. Ormai è notte. Entra in funzione la lampada applicata sul casco di Zuffa, all'uso degli speleologici, che ci consente di avere le mani libere, di usufruire di una bella luce, intensa e rassicurante e ci risparmia il paventato bivacco in parete. Dopo un'infinità di corde doppie: lunghe, brevi o brevissime, alternate a tratti di arrampicata, finalmente il raggio della lampada incontra, là in basso, un nevaio, un ghiaione. Siamo alla fine! Poco dopo usciamo dal canalone, sulle ghiaie. Al mattino avevamo lasciato tre borracce piene, con l'intenzione di riprenderle al ritorno, sul greto di un torrentello, bene in vista su una pietra, nel punto in cui l'acqua scompariva, inghiottita dai sassi. Un luogo di facilissima identificazione. Di giorno, almeno. Ma quella notte... che notte! Gira di qua, gira di là, nonostante la lampada non riuscivamo più a trovare il posto. Accanitamente cercammo e cercammo, vedendo sfumare il tè caldo che ci eravamo ripromesso, ma i luoghi ci erano del tutto sconosciuti. Ancor oggi sono disposto a giurare che io, colà, non ci sono mai stato. Anche se, alla fine, le borracce le abbiamo ritrovate proprio là... Verso l'una eravamo al nostro "albergo". Un mezzo litro di tè caldo, con latte condensato, parecchio zucchero e biscotti, e poi... a letto! Che senso di distensione, di sicurezza e di... scampato pericolo, nell'infilarmi nel saccopiuma! Sorridendo fra me e me per il piacere ( penso di aver avuto un'espressione un po' ebete ), mi rannicchiai ben bene in quel caldo ricettacolo e... mi addormentai come un sasso. L'indomani vide il ritorno a casa di un uomo diverso: di un uomo che aveva "sofferto" la montagna, l'aveva temuta, l'aveva tuttavia sfidata e vinta. Ma, prima della montagna, quell'uomo aveva vinto se stesso. Ed ora poteva portare, senza sentirsi un usurpatore, i suoi calzettoni rossi da rocciatore. Bologna, 20 ottobre 1961 Di Nino Bombassei il fratello ha scritto un articolo nel n. 23 della nostra rivista. E' stato pubblicato anche il foglietto, lasciato sull'anticima della Croda Bianca, cui fa riferimento. L'entusiasmo ed i nobili sentimenti che trapelano da questa relazione assumono un significato particolare se si pensa che l'ultimo giorno di quello stesso anno, i due compagni divenuti così affiatati alpinisticamente perderanno la vita nel tentativo di una ripetizione invernale nel gruppo del Catinaccio. Nino Bombassei, oltre a genitori e fratelli, lascerà la moglie ed un figlioletto in tenera età. 28 QVOTA 864 GIUGNO 2013 UNA VIA NUOVA SULLA CRODA BIANCA 29

17 MARCELL JANKOVICS DE CSALMA Gárdospuszta, Budapest, di János Kubassek, direttore del Museo Geografico Ungherese e Mario Spinazzè, CAI Sezione Luigi Rizzardi Auronzo di Cadore Scrittore, poeta ed avvocato, fu personalità di spicco e precursore, all'inizio del XX secolo dell'alpinismo ungherese. A differenza di Alberto Re dei Belgi e della famiglia Eötvös è tra le personalità meno note iscritte alla Sezione Cadorina. La sua iscrizione allo storico sodalizio fu promossa dal deputato Attilio Loero. Marcell Jankovics nacque il 3 novembre 1874 a Gárdópuszta e crebbe in circostanze molto difficili. Il padre morì in giovane età, la madre prima e il nonno paterno poi, si presero cura della sua istruzione. I primi passi verso le alte vette Frequentò le elementari a Nagykanizsa, poi giunse a Pozsony (l'attuale Bratislava) dove ottenne la maturità presso il Ginnasio Cattolico Romano. Fu uno scherzo del destino se, a causa dei suoi polmoni deboli, la famiglia dovette trasferirsi a Bratislava affinché la sua salute potesse trarre giovamento dall'aria salubre delle vicine montagne. Il giovanotto dal fisico apparentemente debole, ma dotato di una smisurata forza di volontà, si avvicinò alla natura, fece le sue prime escursioni in alta montagna per scopi di salute, e la natura si dimostrò generosa con lui. Non solo lo fece guarire, ma lo rese partecipe di tali esperienze che ebbero su di lui una notevole influenza. Assaggiò, per così dire, l'incanto della montagna. E' interessante ricordare che già nella sua infanzia ebbe contatti con l'italia. Pochi sanno che da parte di madre era parente di Lajos Kossuth, l'uomo politico ungherese leader della Guerra di Indipendenza del (suo nonno materno era cognato di Kossuth). Gli stretti legami di famiglia fecero sì che Jankovics fra il 1892 e il 1893 poté abitare a Torino, proprio nella casa di Lajos Kossuth, grazie al quale allacciò fitti rapporti umani e politici. Lo stesso Lajos Kossuth era un amante della natura, frequentava volentieri le cime delle Alpi e raccolse interessanti reperti geologici e paleontologici. Nel 1897 Jankovics ottenne il dottorato in legge, tre anni più tardi divenne avvocato. Nel 1900 si trasferì a Pozsony dove si mantenne grazie alla sua attività di avvocato e prese parte attiva alla vita pubblica della città. La vita pubblica Nel 1905 Jankovics ottenne il mandato di rappresentante parlamentare nel distretto elettorale di Fülek e per cinque anni rappresentò i suoi elettori al parlamento di Budapest sotto le insegne del Partito dell'indipendenza. In qualità di consulente di Ferenc 30 QVOTA 864 GIUGNO 2013 Kossuth (figlio di Lajos) prese parte alle importanti decisioni politiche del paese. Nei periodi difficili che seguirono alla Prima Guerra mondiale, Marcell Jankovics non si sottrasse alle sue responsabilità. Prima della firma del Trattato di Trianon, nel febbraio del 1919, con i suoi compagni redasse una nota di protesta contro la separazione di Pozsony dall'ungheria e si assunse l'impegno di tradurre questo testo in più lingue. Grazie alla sua diligenza nello studio e alla sua naturale predisposizione venne considerato un genio delle lingue straniere visto che parlava, leggeva e scriveva correntemente in ungherese, slovacco, italiano, tedesco, francese, inglese e latino. In quest'epoca di grandi cambiamenti per l'ungheria rimase fedele alla sua terra natale e alla sua città di adozione, Pozsony, dove in condizioni sempre più difficili si sforzò di servire gli interessi della cultura ungherese. A fianco della sua attività di avvocato, tra il 1925 e il 1938 si adoperò come presidente del Circolo Letterario Toldi, come presidente della Associazione Culturale ungherese della Slovacchia, e presidente del Consiglio Culturale ungherese della Slovacchia. A seguito del Primo Arbitrato di Vienna nel 1938 si trasferì a Budapest, ma mantenne i contatti con gli amici di Bratislava. A Budapest una targa posta sull'edificio di Via Pauler n.19 indica quella che fu la sua casa in quel tempo. È curioso notare che nella stessa via al n.10, solo qualche casa più in là, abitò Gyula Prinz ( ) esploratore dell'asia e scopritore delle ricchezze naturali e geologiche della catena montuosa del Tien-Sàn. Oltre alla attività letteraria e al suo attivo impegno come scalatore, ebbe un ruolo importante anche nella vita pubblica dell'alpinismo magiaro. Fu il primo presidente della MHE Magyar Hegymászok Egyesülete, una sorta di Club Alpino ungherese, che venne fondato nel 1918 e di cui Jankovics fu presidente fino al 1927 (questo ente operò fino al 1938, poi confluì nella Magyar Turista Szövetseg, Federazione ungherese degli scalatori). Dal 1904 al 1910 e poi dal 1921 al 1923 fu membro del comitato direttivo della MTE Magyar Turista Egyesület (Ass.ne ungherese degli scalatori), copresidente della stessa associazione dal Nel 1928 venne nominato socio onorario della MHE. Fu attivo redattore delle riviste "Il foglio degli Scalatori" (Turisták Lapja) e "Scalate e Alpinismo" (Turistaság és Alpinizmus). In tutti questi incarichi si impegnò enormemente per far conoscere e per far amare ai suoi lettori l'universo della montagna. Le sue imprese alpinistiche sono annoverate nel Lexicon dei Viaggiatori ungheresi, redatto da Dénes Balázs, il fondatore del Museo Geografico di Érd, che opera dal Amante e cultore anche della letteratura, fu socio ordinario del Circolo dedicato Sándor Petöfi, il poeta della libertà. Nel febbraio del 1940 il Circolo letterario Petöfi lo nominò socio onorario. La sua prima raccolta di poesie fu pubblicata nel 1894 con il titolo Bùzavirágok ("Fiordalisi"). Apprezzava in modo particolare il paesaggio locale e il mondo marino. Immortalò le sue impressioni in diari di viaggio di grande bellezza lirica il cui valore è paragonabile a quello di libri specialistici; Uttalan utakon ("Strade impervie", Bratislava. 1903); Költemények (Versi, Pozsony 1903); Sasfészek ("Nido d'aquila", Budapest, 1906). Nei suoi racconti l'intendimento è semplicemente narrare, senza grandi pretese. Affrontò un impegno più grande con un romanzo genealogico comprendente due secoli (Egy Század Legendái, "Le leggende di un secolo", Budapest, 1939), in cui ha presentato i problemi della vita ungherese attraverso la sorte di una famiglia. Dal 1921 per quasi due decenni, raccolse assieme a Janos Dobai la produzione degli scrittori che vivevano in Cecoslovacchia in un almanacco annuale (Ù Aurora, Nuova Aurora). Pubblicò le sue memorie nel 1939 con il titolo Húsz esztendó Pozsonyban ("Vent'anni a Bratislava"). Conobbe i classici alpini e il mondo delle bianche vette stimolò in lui l'interesse verso la letteratura da montagna. Il suo primo lavoro, pubblicato nel 1903 con il titolo di Úttalan utakon (Per strade sterrate), lo elevò all'improvviso al rango di scrittore delle Alpi. I suoi scritti vennero pubblicati nel Turisták Lapja (Il Foglio degli scalatori ) e su Turistaság és Alpinizmus (Scalate e Alpinismo ). Nel 1911 venne pubblicato il suo lavoro più importante Az Alpesek (Le Alpi) un'opera senza pari nella letteratura da montagna ungherese, che ha avuto una ristampa anastatica nel Negli anni '30, sempre nelle colonne del Turistaság és Alpinizmus vennero pubblicate le sue novelle (I racconti della montagna) con le quali intraprese una strada inedita nella letteratura ungherese della montagna. Innamorato delle alte vette Sin da giovane Marcell Jankovics ebbe modo di apprezzare la bellezza delle Alpi, quando ad esempio fece visita a Torino a Lajos Kossuth. Ma ebbe occasione di accostarsi alle Alpi anche prima di questa esperienza: da liceale, infatti, scalò la cima del Breithorn (4171 m.), dell'ortles (3902 m.), del Piz Morteratsch (3754 m.), dello Strahlegg (3351 m.) e del Wetterhorn (3703 m.). Amò in modo particolare le Dolomiti dove di anno in anno compì diverse scalate ed escursioni memorabili. Villeggiò anche nella graziosissima base di Schluderbach - attuale Carbonin (1141 m.) a 13 km. dalla stazione ferroviaria di Dobbiaco (Toblach). Le vicine vette del gruppo del Cristallo stimolarono in modo particolare la sua fantasia. Da qui si diresse al lago di Misurina che definì una vera poesia del paesaggio e che descrisse nei suoi scritti con note molto poetiche: "La neve che brilla a nord qui s'incontra con il raggio di sole che risplende a sud. Fermiamoci davanti al piccolo albergo e facciamo correre lo sguardo lungo lo specchio del lago verde smeraldo, ove svettano esaltate le forme simili a ruderi dei monti Cadini, sfumando nelle volute che s'inseguono e si sparpagliano, allisciandosi e innalzandosi nuovamente tra le alghe, facendo il bagno nell'azzurro del cielo volto in profondità. Poi lanciamo un'occhiata in alto: di fronte a noi, sopra l'abetaia di Valbona s'estende la struttura massiccia del Sorapiss (3.229 metri), che domina maestoso tutte le torri gotiche del circondario con le sue navate laterali decorate con mosaici di ghiaccio azzurro, quasi fosse la maestosa basilica locale......vado a riposare qualche giorno nel luogo in cui cominciai davvero a conoscere le montagne, dove sulla sommità di ogni cima avevo affondato il mio sguardo nel prezioso libro di fiabe delle fate... Marcell Jankovics De Csalma MARCELL JANKOVICS DE CSALMA 31

18 ...il rivedersi ha una magia particolare perché offre la gioia più meravigliosa, più cara e più beatificante. Per questa gioia il nome melodioso di Misurina è divenuto per me un vero simbolo. Per questo ho condotto qui dall'altare colei che ho scelto come compagna. Per questo condurrò qui un giorno quelle anime piccine, la cui gioia più grande per adesso è ancora costituita dalla foglia di una rosa, da un uccellino che canta, dalla stella che risplende da un mondo mistico narrando del messaggero del Bambino a Natale. Il segreto della magia di Misurina risiede nel fatto che ho sempre lasciato questo luogo con la consapevolezza che, uomini!, io son rimasto giovane......su di me non ha fatto presa la ruggine causata dall'acido della vita. Qui a Misurina sento pienamente la dolce illusione di non essere invecchiato. Le pallide vette delle Marmarole luccicano ancor oggi nel cielo quasi violaceo, nell'aria intessuta di fili d'oro, proprio come un tempo....sono lo stesso di quindici anni fa. Questa è opera di Misurina. È così che l'uomo s'avvicina al Divino. Questo è ciò che il tentatore aveva promesso alla prima coppia, solo che qui il buon Dio stesso lo realizzò per davvero. L'anima è una macchina perfetta: faccio scomparire da essa ogni dispiacere e disarmonia dei lunghi anni penosi, come fa la iena con le ombre, perché per me a Misurina è eterno meriggio. In un luogo del genere vale la pena attraversare oceani per arrivarci." Non è esagerato affermare che la vista di queste montagne fece di Marcell Jankovics uno scrittore. Queste esperienze rafforzarono in lui la capacità creativa e gli fornirono la serenità necessaria per sopportare un periodo di conflitti pubblici molto logoranti e un intenso lavoro. Fu capace di cogliere i mille volti della natura, spesso nascosti alle persone comuni, che mostrandogli costantemente aspetti sempre nuovi del paesaggio, lo costrinsero, come un irresistibile magnete, a ritornare nel paradiso delle Dolomiti. Spesso si recò a Cortina, meta di molti pellegrini appassionati delle Dolomiti; nel cuore della cittadina, ancora oggi si può vedere un vecchio albergo, patinato dal tempo, l'hotel Montana, di proprietà della Famiglia Lorenzi, nel quale Jankovics alloggiò più volte. Il nipote di Jankovics, famoso regista ungherese, vincitore del premio Kossuth e personalità di spicco nella vita culturale ungherese (che porta lo stesso nome del nonno Marcell Jankovics), ha conservato le foto originali di questo periodo che rappresentano un documento di inestimabile valore. La collaborazione con la gente del posto La profonda stima per le guide locali Marcell Jankovics sapeva bene che i paesaggi sono costituiti anche dalle persone che li abitano, con le quali, la sua naturale simpatia e la sua ottima conoscenza della lingua italiana permisero di sviluppare un rapporto diretto e sincero. Marcell Jankovics non prestava attenzione solo alle montagne, alle rupi e alle rocce, ma prestava attenzione anche agli uomini. Nel suo libro immortale Az Alpesek (Le Alpi) ricorda in modo commovente e con sentita riconoscenza le guide alpine italiane dall'animo eroico senza le quali non avrebbe mai raggiunto i suoi successi. Dal suo personale ricordo traspare la stima, l'apprezzamento e il ringraziamento: "...interpelliamo qualcuno degli uomini dal volto secco, arso dal sole, il cui sguardo vigile e intelligente si guadagna a prima vista tutta la nostra simpatia. Qui vive quel pugno di persone dell'ampezzano con la loro lingua melodiosa che non si parla altrove, col tesoro della sincerità, dell'onestà e della sveltezza nell'animo, con la bravura nelle braccia, doti che li rendono senza pari in paesi lontani, vivono qui soddisfatti nella loro fortezza rocciosa senza mescolarsi con i confinanti e senza desiderare l'arrivo di forestieri intenzionati a stabilirsi in mezzo a loro." In questo periodo di passaggio tra l'alpinismo con o senza guide Jankovics non ebbe dubbi; consapevole dei rischi insiti nell'attività alpinistica, sin dalla sua prima escursione, scelse di essere accompagnato. Le guide alpine erano depositarie di una esperienza di molti anni, spesso tramandata di padre in figlio; la loro conoscenza del territorio si poteva ottenere solo mettendo a rischio la propria vita. Marcell Jankovics coltivò una profonda intesa con le guide che l'accompagnarono nell'esplorazione delle Dolomiti. Dopo una pluriennale esperienza, così scrive di loro: "Le guide sono le persone più interessanti tra gli abitanti delle Alpi, costoro sono gli iniziati che conoscono il punto di contatto con l'eterna potenza della loro terra, costoro sono esempio di prodezza e abnegazione, quelli che guardano in faccia mille pericoli per proteggere le vite affidate a loro da qualsiasi avversità tra le distruttive peripezie di quel mondo vastissimo. La loro determinazione e competenza sono talmente straordinarie che spesso anche sulle vette delle montagne di località esotiche sparse per il mondo si guadagnano onori e fama per la loro angusta patria e per il loro anonimo paesino natale. Per questo davanti a loro crollano le barriere della società, perché quando lego con una corda salda il mio destino nonché le speranze mie e di tutti i miei cari a qualcuno, non mi affido solo alle sue braccia possenti e ai suoi sentimenti elevati, ma anche e direttamente al suo carattere di uomo pronto al sacrificio, e costui che mi accompagna nella più pura solitudine del mondo, alla ricca sorgente di struggenti meraviglie, non svolge un lavoro retribuito, da servitore, ma è mio amico e per di più vero, leale....troviamo pochi mestieri nella maestria dei cui operatori ci sia tanta perfezione come nella conoscenza delle rocce da parte della severa casta delle guide ampezzane. Agiscono con abilità tale da sembrare puramente ispirata dall'istinto, mentre invece ogni singolo passo è oggetto di ponderazione e calcolo." La gente comune, disinformata sulla montagna, considera queste imprese, che per le guide alpine sono azioni quotidiane abitudinarie, temerarie, insensate oppure rischiose e del tutto inutili. La maggior parte degli ungheresi che vivono nel bacino dei Carpazi - in particolare coloro che vivono nella Grande Pianura ungherese non ha mai visto montagne alte quanto le Dolomiti. Molti cittadini della Monarchia austro-ungarica hanno visto le Alpi o le spaventose alture dei Carpazi solo durante il servizio militare. Ma colui che ha l'occasione di assaporare la bellezza pittorica della montagna spesso diventa per sempre uno schiavo delle sue meraviglie. Quegli uomini speciali, le guide alpine, furono molto vicini al cuore di Marcell Jankovics, perché sapeva bene che senza questi preziosi compagni non avrebbe conseguito i suoi strepitosi successi. Addirittura paragona le guide alpine a camosci rupestri che abbiano magicamente assunto sembianze umane. "Quell'uomo alto e slanciato la cui figura è tutta molleggio e duttilità, come se fosse opera del cesello di uno scultore greco, Antonio Dimai (detto Deo) saluta lo straniero con un sorriso leggiadro e con una parlata laconica ma affabile, egli si sente nel suo elemento solamente quando intraprende qualcosa a cui oramai hanno già rinunciato tutti, oppure che nessuno ha ancora mai sognato, perché nella sua lingua la parola impossibile è sconosciuta. Nel suo libro di guida ogni attestazione è una commistione di complimenti e ammirazione. Se il club alpino inglese ha conferito allo svizzero Melchior Anderegg il titolo di "Re delle Guide", ad Antonio spetta il titolo di Re delle Dolomiti. Presso il castello di Sant'Umberto fa il cacciatore di camosci Pietro Siorpaes, il giovanotto dalle ciocche nere e ricciolute e dagli occhi grigi che da un decennio è mio fidato accompagnatore nel mondo delle rocce. È un vero e proprio tuttofare che s'intende di tutto e con sagacia e humour semplice e asciutto rasserena magicamente anche i momenti più foschi e pericolosi delle nostre imprese. Suo fratello, il tozzo Giovanni Cesare (detto Santo, defunto nel 1909), è un uomo primitivo schietto e impetuoso, dallo sguardo quasi selvaggio, che afferra le rocce con le sue mani possenti come se volesse far arrotolare le montagne. È un'anima semplice ma leale e temeraria, che darebbe la vita per chi gli affida la sua. La frugalità e la modestia di Agostino Verzi (detto Sceco) sono inferiori solo al suo coraggio e alla bravura... In ognuno di essi vi è una naturale amabilità, la loro presenza non disturba mai il massimo godimento della natura ma s'inseriscono armoniosamente nell'equilibrio del mondo alpino, perché costoro dagli aspri pericoli hanno tratto anche finezza d'animo e perché ciascuno di loro è un uomo vero, col cuore che batte nel petto." Credo che chi dà una caratterizzazione esauriente, fondata e realistica dei propri aiutanti dia al contempo anche un'attestazione riguardo se stesso! La scalata della Torre del Diavolo La Torre del Diavolo svettò per lungo tempo come simbolo dell'irraggiungibilità. Faceva la guardia tra i picchi in maniera terrificante. I primi a scalare il vicino e gibboso Gobbo furono le figlie del famoso fisico inventore del variometro gravitazionale, Loránd Eötvös, le baronesse Rolanda e Ilona, che il 20 luglio 1902 si arrampicarono sull'aspra sommità di questa roccia. Tuttavia non arrivarono alla Torre del Diavolo, alta 2622 metri e menzionata come il demone pietrificato. Non poteva essere un caso se le più autorevoli guide alpine e gli scalatori più temerari delle Alpi ritenevano parimenti che nessuno mai sarebbe giunto in cima a questa vetta. Poi il pregiudizio s'infranse. Il 4 agosto 1903 la brezza della sera scuoteva una minuta bandierina sulla sommità della Torre del Diavolo. Le baronesse Rolanda e Ilona Eötvös e le loro guide Antonio Dimai, Sceco e Baldassarre Verzi, nonché Giovanni Siorpaes avevano piantato la piccola bandierina. Loro furono i primi, loro furono quelli che come pionieri avanzarono su itinerari mai percorsi prima di loro. Era successo ciò che per decenni anche gli scalatori più esperti delle vette più alte avevano ritenuto impossibile. E questo risultato grandioso ispirò Marcell Jankovics a provare egli stesso quella rischiosa arrampicata. La veduta della Torre del Diavolo aveva indotto in tentazione anche lui e fu colto dal desiderio irrefrenabile di essere lui il secondo su quella vetta. E questo sogno si realizzò il 10 agosto Marcell Jankovics e le sue guide alpine italiane, Antonio Dimai, Sceco Verzi, Pietro e Giovanni Siorpaes, con pesi di piombo, una corda robusta di 150 metri, quattro pezzi da metri e uno da 45 metri di corda d'abacà, giunsero sulla vetta della Torre del Diavolo in un modo che avrebbe fatto vergognare un numero di acrobazia da circo. Con la corda lanciata dal Gobbo e al prezzo di sforzi incredibili giunsero in alto, sulla torre di pietra da cui dovettero superare un precipizio di cento metri in un'ampiezza di 18 metri con l'aiuto della sola corda. Marcell Jankovics immortalò questi momenti pericolosi: "Tra quelli che stavano sul Gobbo, Antonio fu quello che infilò sulla corda lunga forse 120 metri il peso di piombo e dimenandolo lo lanciò a cavallo delle rocce della Torre del Diavolo. Il peso deve volare in modo che la corda passi dritta attraverso l'incavo della piccola spalla di suddetta roccia, dove i sassi che sporgono le impediscano da destra e da sinistra di scivolare in giù... il lancio è molto difficile perché è pressoché impossibile fare centro, la posizione sulla vetta del Gobbo fa venire il capogiro, è un posticino di appena un paio di palmi di mani in cui persino aggrappandosi è difficile mantenere l'equilibrio. Ogni mossa falsa sarebbe un salto mortale nella tomba senza fondo....seguì una veduta incomparabile, non avevo mai visto nulla di più emozionante e più interessante. Sulla cima del Gobbo Antonio si sedette a cavalcioni sulla 32 QVOTA 864 GIUGNO 2013 MARCELL JANKOVICS DE CSALMA 33

19 corda tesa, tenendola davanti a sé con la sinistra, reggendosi con la destra dietro la schiena si calò dalla vetta del Gobbo fin sul contrafforte della Torre....Il cedimento della corda, una minima instabilità, un calo di forze avrebbero comunque trascinato nel baratro quel giovanotto che aveva trionfato su ogni sommità della sua patria rupestre, che aveva preservato e salvato la vita a centinaia di persone con le sue mani callose, che non aveva mai conosciuto altra parola d'ordine che "avanti". L'azzardo era riuscito di nuovo e Pietro lo seguì in maniera simile. Dietro di loro Sceco slegò la corda dalla vetta del Gobbo e le guide restarono isolate sulla rupe irraggiungibile. Dopo qualche secondo ci lanciarono giù una corda: io mi legai saldamente l'estremità attorno alla vita e cominciai la salita sulla parete liscia, sporgente di 60 metri....non dimenticherò mai questo viaggio aereo perpendicolare sopra il nulla... le nuvole si aggrovigliano proprio sopra la mia testa e dietro di me... ansimando, con le braccia intorpidite per lo sforzo mi misi in ginocchio sui sassi traballanti della sponda a forma di cornicione, per poi risalire da qui aggrappandomi con le mani e con i piedi lungo il ciglio della roccia, più saldo, alto forse 30 metri, e arrivare alla vetta sottile e screpolata alle dieci di mattina. Strinsi con gratitudine quelle mani oneste e leali che avevano tenuto la corda sopra di me e mi fermai stupefatto accanto alla piccola bandiera che le mani soavi dei primi scalatori dal cuore valoroso e dall'animo virile avevano fissato su questa vetta, che è una tra le più difficilmente raggiungibili delle Alpi. " Storiografia italiana Le prime scarne notizie diffuse in Italia riguardo all'attività dolomitica di Marcell Jankovics sono rintracciabili nella guida di Antonio Berti "Le Dolomiti Orientali" (Treves 1928). Provenivano da una ripetizione in quell'opera di esplorazione a cui sopraintendeva lo stesso Dott. Berti. Partiti dal Rifugio Tiziano, il 19 ottobre 1911, dopo un freddo bivacco, a poche "bracciate dalla cima", Luisa Fanton, Arturo Fanton, Umberto Fanton, Giovanni Chiggiato raggiunsero una cima, ritenuta inaccessa, per via nuova lungo lo spigolo nord -est. Sotto l'inaspettato ometto, a testimonianza della conquista già avvenuta, trovarono il biglietto (scritto in italiano) del Dott. Jankovics. Questa struttura, esteticamente tra le più belle dell'intero gruppo delle Marmarole, era stata salita il 26 agosto 1902, con le guide Antonio Dimai e Pietro Siorpaes. Jankovics, con pensiero sensibile e squisito, nominava la vetta Campanile San Marco, in omaggio a uno dei monumenti simbolo della città lagunare, che a causa del crollo rimase priva del "Paron de casa" dal 14 luglio1902 alla riedificazione completata nel Dino Chiggiato, sulle orme del padre, ripercorse tale via il 26 agosto 1929 con Paolo Fanton. Con tenace perseveranza, Dino Chiggiato rintraccerà due decenni dopo, Marcell Jankovics a Budapest. Provato e in ristrettezze, era accomunato in tale condizione alla sorte delle baronesse Eotvös. In tale 34 QVOTA 864 GIUGNO 2013 occasione si stese una relazione (incerta) della via aperta nel lontano 1902, partendo dal Meduce di Dentro (Ovest). Severino Casara, nel suo libro "Al sole delle Dolomiti", cita Jankovics come il poeta venuto dalle placide rive del Danubio. Appose la sua firma accanto a quella di Jankovics il 29 luglio 1947 (quarta salita), su quel Campanile San Marco che egli descrive come "un delfino pietrificato nell'attimo del balzo, tanto la sua linea è flessuosa, guizzante". Danilo Pianetti, profondo conoscitore del gruppo delle Marmarole, ha dedicato a Marcell Jankovics una punta inaccessa, da lui salita in solitaria. È una cresta puntuta ben distinguibile, che da Cima Nosoio si allunga verso il Pian dello Scotter, nei pressi del Bivacco Voltolina. Un toccante racconto breve di Jankovics, scritto originariamente in italiano è stato pubblicato sulla rivista "Le Alpi Venete". Infine un mio articolo sull'acrobatica scalata della Torre del diavolo nei Cadini di Misurina, pubblicato nel 2008, completa le scarne notizie su tale eminente alpinista. Alto, slanciato, aristocratico, personalità poliedrica e schiva, Marcell Jankovics ricorda a tutti noi l'aspirazione verso un ideale di bellezza e di fratellanza in croda, in quegli anni in cui fosche nubi di guerra si addensavano all'orizzonte. Il Cadore e il Sud Tirolo erano un cantiere volto alla costruzione di fortificazioni, preludio della Grande Guerra. Avrebbe potuto intitolare le cime vergini da lui salite ai propri cari o alla propria terra ma non lo fece. Questo ed altro è stato ricordato in un incontro intitolato "110 anni fa sul Campanile San Marco", svoltosi il 18 agosto 2012 nella sala consiliare del Comune di Auronzo. La Sezione Cadorina del Club Alpino Italiano e il Consolato Generale Onorario di Ungheria a Venezia, hanno riallacciato un rapporto da troppo tempo dimenticato. A nome della Sezione Cadorina e mio personale vorrei esprimere la mia gratitudine alla Sig.ra Katalin Szabó, presidente dell'associazione Culturale italo-ungherese del Triveneto, alla dott.ssa Anna Rossi, addetta consolare a Venezia, al dott. Giuseppe Casagrande, curatore dell'evento, al presidente del Club Alpino Italiano di Auronzo di Cadore. Ringrazio infine il Dr. János Kubassek, direttore del Museo Geografico Ungherese, presente ad Auronzo, a cui va il merito della maggior parte del testo qui riportato, tradotto nelle parti storiche dall'impareggiabile Dott.sa Alexandra Foresto. Il Dr. János Kubassek ringrazia sentitamente Ákos Neidenbach, presidente della Società Ungherese di Storia delle Scalate Alpinistiche, Gábor Kunos, direttore della Commissione Scalate e Alpinismo dell'unione degli Escursionisti Ungheresi, il dottor Géza Polgárdy, giurista e autore di saggi turistici e di storia delle scienze, la redattrice Zsófia Szilágyi, il nipote di Marcell Jankovics, l'omonimo Marcell Jankovics, regista insignito del Premio Kossuth, nonché le colleghe del Museo Geografico Ungherese, Nóra Kovács e Edit Lendvainé Timár, uniti nel loro altruistico contributo volto a ricordare Marcell Jankovics. I l u o g h i d e l S a c r o CHIESETTA SANTA MARIA ASSUNTA di Gogna di Paola De Filippo Roia Giungendo dal Centro Cadore, nella direzione di Auronzo, passata ai Tre Ponti la confluenza dell'ansiei nel Piave, troviamo alcuni vecchi edifici restaurati e non. Tra questi, la ex sede della Comunità Montana "Centro Cadore", il Bar Bianco ed a destra, dopo il ponte, la ex villa Paradisia, dove per ben sedici estati consecutive soggiornò per le vacanze estive il prof. Antonio Berti con la sua famiglia. Proprio a fianco del Bar Bianco troviamo una stradina che porta ad una chiesetta, non visibile dalla strada statale. E' la chiesa dedicata a Santa Maria Assunta, costruita nel 1905 per volontà del cav. Angelo Barnabò di Auronzo - proprietario del rinomato stabilimento termale - per offrire ai clienti l'opportunità di assistere alla celebrazione dei riti religiosi. Dalla fine dell'800, lo stabilimento dei bagni, con il suo Park Hotel offriva, oltre alle cure termali ed idropiniche, anche eleganti e ben organizzati soggiorni di vacanza alpina, molto apprezzati da turisti italiani e stranieri. L'edificio di culto, costruito su disegno di Valentino D'Andrea Sagazzin di Vigo, nello stile sobrio del tempo, ha un solo altare in legno, intagliato da Emilio Vecellio Reane di Auronzo. Raffaele Piazza di Lorenzago aveva invece scolpito in legno un' Assunta, trafugata poi nell'arco del periodo ed in seguito recuperata; statua che oggi si trova nella canonica della parrocchia di San Lucano. Un'altra particolare immagine lignea di Maria con il Bambin Gesù, che era posta di lato, opera del Besarel della scuola del Brustolòn, si trova a Follina presso una cappella privata. Il 12 agosto 1905 don Pietro Zangrando, cooperatore del pievano Da Rin, impossibilitato a presenziare perché ammalato, benedice la chiesa e vi celebra la prima messa. Nel corso della Grande Guerra, l'hotel di Gogna verrà utilizzato come ospedale militare e poi distrutto dagli austriaci, assieme al bosco circostante. La ricostruzione post-bellica cambia la ricettività di Gogna, trasformandola in un villaggio di appartamenti per le vacanze estive, ma per breve periodo, perché a seguito della costruzione della diga del lago di Santa Caterina, il sito viene abbandonato dai turisti e trasformato in colonia alpina della G.I.L.- Gioventù Italiana del Littorio. Nel 1952, per interessamento e generosità del comm. Pietro Calvi, che operava in Gogna come commerciante di legname, la chiesa viene restaurata; mentre la sottostante colonia alpina, per i danni causati dall'alluvione del novembre 1966, viene definitivamente abbandonata. Negli anni 80, l'intera area è acquisita dalla Regione Veneto, la quale passa la gestione alla Comunità Montana "Centro Cadore" che provvederà ad un interessante recupero dei percorsi e di qualche vasca. Anche la chiesetta verrà nuovamente restaurata con il concorso anche di privati. Oggi l'edificio rappresenta l'unica testimonianza di quell'importante polo naturalistico e turistico. Così, attualmente, durante i mesi di luglio ed agosto, il sabato sera viene celebrata la Santa Messa prefestiva, con una larga partecipazione di fedeli. CHIESETTA SANTA MARIA ASSUNTA di Gogna 35

20 IL MIO SGUARDO AI MONTI Ricordo di Don Sebastiano Costa a quarant anni dal suo sacrificio di Giuseppe Zandegiacomo Sampogna Capo Stazione Soccorso Alpino Auronzo Nato a Falcade il 23 agosto 1927, fu il primo parroco della Parrocchia "Regina Pacis" in Reane di Auronzo di Cadore. Fu anche Vice Presidente della Sezione Cadorina del CAI, nonché Capo Stazione del Soccorso Alpino di Auronzo. Una delle sue doti, per la quale è tuttora ricordato, era la generosità. Il 2 marzo 1973 mentre era a Belluno, avendo saputo che una persona aveva urgente bisogno di sangue, fece esaminare il suo e, constatato che era compatibile, fece la sua prima donazione. Due giorni più tardi, il 4 marzo 1973, un gruppo di ragazzi di Forlì, di età compresa tra i 15 e 16 anni, decideva di fare una gita in montagna, sopra la loro colonia ad Auronzo, sul Col Giralba. Al rientro, per un percorso diverso da quello di salita, essendo rimasti bloccati dall'oscurità sopra un salto di roccia, cominciarono a gridare aiuto. Nel frattempo, i loro responsabili, preoccupati dell insolito ritardo, avevano allertato i Carabinieri e il Soccorso Alpino. La squadra di Don Sebastiano dava il via alle ricerche risalendo il Col Giralba e, guidati dalle grida, individuava il gruppo dei ragazzi. Una volta raggiunti, iniziò le manovre per il loro recupero. Fu durante queste operazioni che Don Sebastiano donò la propria vita su un salto di roccia di 15 metri che non gli diede scampo. I ragazzi furono recuperati incolumi, ma lui spirò durante il trasporto all'ospedale di Auronzo per i numerosi traumi riportati nella caduta. 36 QVOTA 864 GIUGNO 2013 Don Sebastiano scriveva anche poesie; concludo con alcuni versi di una delle ultime che ha scritto, quasi un presagio di quanto, di lì a poco, gli sarebbe accaduto: Da sempre il mio sguardo si volge ai monti. E un forte richiamo mi invita lassù. Trovarmi solo a vedere e pormi in ascolto. E un mondo arcano geloso racchiude un mistero. Quando, come, perché? Sono cento sono mille voci: - cader della goccia gracchiare del corvo fischiare di un sasso il vento, la brezza, il sole... l orizzonte che s oscura lontano - arcano linguaggio. Don Sebastiano Costa IL MIO SGUARDO AI MONTI 37

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