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1 QUESTO LIBRO È CONCESSO IN COPYLEFT E SI PUÒ SCARICARE GRATUITAMENTE DAL SITO ancora alla mia Fiore «Ignoro il corso della Storia. So solo la bestia che è in me e latra.» DARIO BELLEZZA Gaffi

2 Collana GODOT IL SORCIO di Andrea Carraro GAFFI

3 Prologo Il pranzo dalla madre

4 IL SORCIO 9 Il martedì non è un giorno come tutti gli altri per Nicolò Consorti. Dopo il lavoro infatti ha due fondamentali appuntamenti settimanali: il pranzo da sua madre e la seduta dallo psicologo. Sua madre vive ancora, sola, nella sua vecchia casa, all ultimo piano di un palazzone di fronte alla libreria Eritrea, in una zona di confine fra il ricco quartiere Trieste e il popolare quartiere africano. La donna, settantacinquenne, ha più di un acciacco, prende una valanga di medicine, ma considerato che fuma due pacchetti di sigarette al giorno, per la sua età le cose non vanno tanto male. Nicolò parcheggia la Vespa nell isola pedonale alberata al centro della carreggiata, per pigrizia non la lega, la chiude solo con il bloccasterzo. «Non legare la Vespa è un lusso che non mi voglio più negare», ha confessato recentemente al suo analista. Lascia che due o tre autobus in coda sfilino nella loro corsia riservata, mastodontici, rumorosi e puzzolenti, poi attraversa la strada, fa passare uno sciame di pedoni malvestiti, citofona all interno 19, sua madre risponde come sempre dopo un bel po perché ci sente poco, e finalmente scatta la serratura dell alto e massiccio portone di legno con il riquadro a vetri che hanno cambiato da poco, da quando

5 10 PROLOGO IL SORCIO 11 l immobile è stato messo in vendita. Sale quattro scalini di marmo ed entra nell ingresso oblungo e spartano, che, per quanto imbiancato di fresco, ha un aspetto ineluttabilmente popolare. Nicolò si vergognava di quel vestibolo e di tutta la sua casa, ancora oggi gli dà un senso di oppressione e anche di colpa transitare nell androne o nei pianerottoli. La salita in ascensore stretto e inciso di scritte sul soffitto e sul controsoffitto di legno dura un minuto intero d orologio. Quando sali con qualcuno è piuttosto imbarazzante. Il tempo non ti passa mai e bisogna dirsi qualcosa. Oggi grazie a Dio non c è nessuno e può salire da solo. Alcune di quelle scritte sul soffitto le ha incise lui da ragazzo con le chiavi, alcune falci e martello, anche un I love Stella, che ogni volta gli dà un brivido di imbarazzo, adornato dai cazzetti che vi disegnarono i suoi amici tutto intorno a forma di cuore. Ogni piano, contrassegnato da una sigla in lettere romane dipinta sul muro grezzo del marcapiano, I II III fino a X, vibra un suono come di corde metalliche che stridono e si sciolgono. Sua madre non lo fa aspettare alla porta, è restata in attesa nel vano dell ingresso, affacciata sul pianerottolo. L odore del fumo fresco e stantio si sente subito, in varie gradazioni, appena metti il naso fuori dell ascensore. Nicolò la bacia sulla guancia ancora incredibilmente fresca, le mette in mano la borsa blu dei panni sporchi e poi va regolarmente in bagno per lavarsi le mani e aggiustarsi i pochi capelli biondi e sciupati che il casco gli ha arruffato sul capo. Percorrendo il corridoio, il gatto nero di sua madre emerge improvvisamente dalla penombra e gli salta addosso, azzannandolo sulla gamba. Lui come sempre lo scaccia rabbioso e quasi impaurito. «Cristo, ma questo è pazzo dice, scalciando forte mamma, questo gatto è fuori di testa, ma perché non lo dai via, finalmente, questo bastardo!?» Sua madre, che ha le gambe segnate dalle ferite procuratele dal gatto, dice: «E che faccio? Lo metto per strada? Morirebbe subito» «E chissene frega! Ma morisse una buona volta!» Sua madre aspetta che lui sia entrato nella piccola cucina perfino più impregnata di fumo dell ingresso, prima di chiudergli la porta alle spalle, per evitare che il gatto si intrufoli e si piazzi trionfante sopra il frigo o il piccolo televisore come è accaduto tante volte. Il tavolinetto traballante, marrone tigrato, è apparecchiato per due, nudo, senza neppure una tovaglia. Appoggiato sul lato destro del tavolo è rimasto il ferro da stiro, messo in piedi su un panno ripiegato. Sopra al suo piatto vuoto, ancora sigillata, la busta del prosciutto crudo che la madre gli ha comperato al mattino alla Conad. Sempre e solo una busta di prosciutto di Parma del supermercato. Sua madre da qualche tempo, diciamo dalla morte di suo padre, avvenuta sei anni fa, ha smesso di cucinare. Ha smesso di fare un po tutto, a dire il vero, pure di comprare il giornale. Nicolò si siede, mentre sua madre traffica ancora qualche istante per l angusto spazio della cucina con la sigaretta in mano. Infine la vecchia donna prende posto al suo fianco e schiaccia accuratamente la cicca nel portacenere rosso di plastica con i bordi consumati e il fondo annerito. Le unghie lunghe e le dita affusolate di sua madre appaiono ingiallite e annerite dalla nicotina. Nicolò prende in mano la busta troppo fredda del prosciutto, poi l unico panino nel cestello del pane.

6 12 PROLOGO IL SORCIO 13 Ormai non le chiede più, posso prenderlo? perché sa che è per lui, la madre non mangia pane. In tutto si trattiene meno di un ora. Eppure sostenere una conversazione con sua madre è faticoso. Ormai parla soltanto lui. Quando le narra di faccende legate alla sua attività di scrittore, Nicolò si sente in colpa perché sa che a sua madre non gliene frega nulla. Allora le racconta le beghe dell ufficio, o qualcosa sul figlio piccolo Filippo, con risultati appena più apprezzabili. Sua madre vorrebbe parlare di suo padre, forse, del passato, a tutti i vecchi piace ricordare. Ma a lui non piace farlo, non con sua madre almeno. Fatto è che la conversazione è sempre sul punto di spirare. «Vuoi che la prendo io quella belva? Me lo infili tu nella gabbietta? Poi lo libero a Villa Chigi o a Villa Ada, nel verde, non ti preoccupare Che vuoi che gli succeda? Troverà altri gatti Starà benissimo.» «No, no, lascia perdere» «Così poi ti compro un cucciolo di cane, un barboncino, te lo regalo il prossimo Natale, okay?» «No, no» «Ma perché mi vuoi togliere questo piacere di regalarti un cucciolo a Natale?» «No, no, Nicolò, lascia stare» Ecco il silenzio. Un silenzio che gli parla di incancrenita solitudine, sempre più avara di parole e di sentimenti. Nicolò osserva sua madre china sul piatto da mangiare e un morso gli stringe il petto. «Sei triste, mamma?», le dice infine per scaricare il senso di colpa. «No, no, perché? Be, che vuoi, un po più di compagnia Tua sorella prima veniva qualche pomeriggio, adesso mai, la trattengono fino a tardi in ufficio poveraccia La giornata è lunga» Nicolò cambia discorso. Lui le dedica solo un ora a settimana alla madre, ed è la stessa volta che le porta le mutande e le camicie da lavare. Lo psicologo ha fatto di tutto per farlo vergognare della cosa, ma invano. Nicolò continua alla sua età di 45 anni a portare la roba sporca a sua madre con un sopportabile senso di colpa. In fondo è una delle cose che la tengono occupata, si dice. L alternativa è la televisione (o il solitario). «Sai, mamma, il piccolo ieri mi ha detto che sono il papino migliore del mondo» «Ah, sì?» «Be, non arriva a fare versi da babbuino come quando vede la madre, però un po deve volermi bene» Sua madre accenna un sorriso assai tirato, si vede che le fa fatica sorridere. «Per forza dice che sono il papino migliore del mondo, ha avuto solo me!» «Anche tuo padre ti voleva bene» «Lo so, lo so Hai sentito zio Fernando? È tornato dall Argentina?» «Sì.» «E ti ha raccontato qualcosa?» «Dice che hanno visto i pinguini» «Ah.» I fratelli di sua madre e sua sorella Sara costituiscono i cardini nascosti della sua conversazione con la madre. Le chiede sempre di loro quando non sa più a che santo votarsi.

7 14 PROLOGO IL SORCIO 15 «Tutto qua? Non ti ha detto altro?» Certe volte quasi lo irritano i silenzi di sua madre. Ma si sforza di non farlo vedere. Prima di andare via bacia di nuovo in mezzo all ingresso dalle gialle pareti sua madre, che gli mette in mano la sacca della roba pulita e stirata da portare via. «Ci sentiamo stasera, chiudi, chiudi pure la porta che c è corrente» Durante la lunga discesa in ascensore, apre la sacca e odora dentro, per sentire in che misura le camicie abbiano assorbito l odore del fumo. Riprende la Vespa. Neppure un isolato e raggiunge il Centro di Igiene Mentale nel quale si tengono le sue sedute con lo psicologo. Il Centro situato in un bel posto, non lontano da Santa Agnese e dal mausoleo di Santa Costanza dove Nicolò si è sposato sedici anni fa è arroccato su una collinetta di tufo che si ascende attraverso una scalinata immersa nel verde, oppure attraverso un percorso asfaltato che gira tutto intorno al poggio. Parcheggia la Vespa in cima alla salita, nel secondo cortile. Dal quale scende una rampa di scale e penetra in un ambiente interrato, arredato con mobilia fin troppo essenziale da ufficio. Si vede subito che si tratta di una struttura pubblica. Avanza lungo il breve corridoio portando con sé la borsa dei panni puliti (che oggi è quella gialla con i gladioli bianchi), bussa alla porta del dottor Monaco, il suo analista. Ma nessuno risponde. Si vede che non è ancora rientrato dal pranzo, del resto Nicolò è arrivato come sempre in anticipo di una decina di minuti e allora aspetta nel corridoio seduto su un divanetto foderato di lanosa stoffa verde, non troppo dissimile dal divano del suo ufficio. Mentre aspetta invia al suo amico Miccia questo messaggio telefonico: «Test omosex Infilati un dito nel culo. Puzza di minchia?» e ride un bel po del suo umorismo da caserma. Invia quel messaggio ad altri amici, anche a un paio che non frequenta più. Poi si mette a leggere distrattamente una rivista di quartiere buttata sul tavolino di vetro insieme a dei rotocalchi. È un mensile ben fatto graficamente, ma davvero povero nei contenuti. Ci scrive il sindaco, che gli dà un lustro immeritato. A pagina 28 la firma del suo amico Dario campeggia sopra un articolo che parla di barche a vela e panfili da diporto. Si sta specializzando, Dario. Nicolò si legge tutto il pezzo, che è ben scritto quanto noioso per lui che nulla sa di nautica. Le fotografie patinate che lo corredano scattate sempre da Dario rappresentano gli interni lussuosi di un paio di mega-yacht. Si sistema meglio a sedere e resta per qualche istante imbambolato a pensare con pena al suo amico che non vuole più vederlo, poi arriva il dottore e allora molla la rivista sul divano, raccoglie la sua vezzosa borsa gialla ed entra nello studio.

8 PARTE PRIMA

9 IL SORCIO 19 «Lavoro in banca da sedici anni, dottore, e mi deve credere se le dico che, fino a un anno fa, non avevo mai avuto problemi seri con nessuno dei miei colleghi» «Questo sappiamo che non è del tutto esatto» Ha pochi capelli lisci spartiti lateralmente, l analista. Gli occhialetti con sottile e quasi invisibile montatura sul naso affilato, la figura asciutta e magra, la posa quasi sempre riflessiva e seria, ma pronta ad aprirsi al sorriso come in questo momento. Volendolo descrivere una volta per tutte, si potrebbe dire che rientra benissimo nel tipo dello psicanalista, almeno secondo il canone di Nicolò, coltivato più al cinema e nei libri che nella realtà. Magro ma non smunto, nel suo completo di velluto a coste con le immancabili Clarks o con i mocassini Lotus color testa di moro ai piedi. Si veste proprio come si vestiva Nicolò prima che gli venisse la pancia. Gli occhialetti tondi gli danno, all analista, una certa aria intellettuale che non guasta. Non è soltanto un uomo colto e intelligente che è piacevolissimo sentir parlare. Dev essere anche un uomo che acchiappa, come si dice. Nicolò ci giurerebbe. E questo gli conferisce un ulteriore elemento di fascino.

10 20 PARTE PRIMA IL SORCIO 21 «Be, diciamo che ho attraversato, come tutti, qualche piccola scaramuccia, qualche frizione, sono stato oggetto di pettegolezzi acidi, maldicenze, ho subìto più di una rampogna dai capi Roba insomma di normale amministrazione» «Più che sufficiente comunque a indurle una certa come vogliamo chiamarla alienazione?» «Già, ma niente però che minacciasse seriamente me stesso, la mia dignità, come succede quasi quotidianamente oggi» Nicolò racconta, partendo dall inizio, parte sempre dall inizio lui, per non sbagliare, per non tralasciare niente, sa bene che anche le cose che non gli sembrano dapprincipio importanti nella terapia possono avere molto valore. E allora comincia da quando è stato di fatto declassato, trasferito dal Centro Elaborazione Dati della banca al Back Office (rapporti con la clientela). Ha cambiato posto di lavoro, Nicolò Consorti, finendo, assieme agli altri dieci impiegati del settore, in una sede periferica, un enorme scantinato che nasconde malamente la sua originale destinazione di garage condominiale, non lontano dall ospedale S. Giovanni. I nuovi proprietari della sua azienda per prima cosa hanno pensato bene di chiudere al pubblico la sede centrale un palazzotto del Seicento appena restaurato vicino a piazza di Pietra per togliersi di torno la questuante clientela dei mutuatari, dirottandola ai loro uffici distaccati. Ma le rogne pur sensibili del lavoro, la scomodità e la lontananza della sede, non c entrano quasi nulla con il problema di Nicolò. Il suo problema si chiama Sorcio, soprannome di Eraldo Martelli, un collega di lavoro basso, pelato, panciuto, che per oscure ragioni lo disprezza e quasi quotidianamente gli infligge grevi minacce, ingiurie, maledizioni varie. Il nomignolo di cui va fierissimo (lui stesso si chiama così, Sorcio, o per fare dello spirito, dottor Sorcio) gliel ha affibbiato qualcuno in relazione alla sua attività di responsabile del CRAL aziendale. Quando Nicolò fu assunto in azienda lui ricopriva da anni questo incarico, il Sorcio era già un istituzione nell Istituto. Non ha mai capito come un essere così rozzo, ignorante e volgare possa aver conquistato la stima e la fiducia di tanti colleghi che anno dopo anno l hanno sempre riconfermato nel suo incarico. Vero è che Nicolò non ha una grande considerazione dei suoi colleghi. «Si sente superiore a loro?» «Be, che vuole che le dica» «La verità, dica la verità, a noi ci interessa la verità!» «Allora è esatto.» Di nemici il Sorcio ne ha sempre avuti molti. Anche quel poveraccio di Sergio Lerici, il collega sordomuto, si becca un giorno sì e l altro pure le sue battute volgari, i suoi lazzi e i suoi moccoli. Forse li odia entrambi perché non hanno mai aderito al CRAL aziendale, già, questa potrebbe essere una ragione. Ma a che serve rimontare alle originali motivazioni: il suo odio si nutre di ancestrali e irragionevoli furori. Lui li disprezza, perché li vede diversi e deboli, fuori dal gregge (il sordomuto a causa del suo handicap, Nicolò per la sua morbosa riservatezza). «Che potremmo chiamare anche aristocratico distacco o alterigia» Con Lerici il Sorcio diventa perfino demoniaco, dice su di lui le cose peggiori ad alta voce anche passandogli accanto,

11 22 PARTE PRIMA IL SORCIO 23 tanto non può sentire Lerici si è più volte sfogato con Nicolò, finché in lacrime gli ha detto: «Ma ti rendi conto, passa davanti alla mia scrivania e mi spara una scoreggia, facendo anche la mossa» Nicolò non ha assistito personalmente all accaduto ma dei colleghi sì, e gliel hanno confermato alla lettera. Ma poi ineffabilmente hanno concluso: «Ma sì, è fatto così, ma è un pezzo di pane, non farebbe male a una mosca!» Il Sorcio gli soffia il fumo del sigaro in faccia, al muto, come è solito chiamarlo, oppure smanaccia sopra la sua scrivania mettendogli in subbuglio le carte Con Nicolò è appena più cauto. Si limita a insultarlo in modo indiretto, parlando con altri, anche al telefono: «Sta sicuro che prima d annammene je rompo er culo a quer verme che scrive i libbri M abbasta una mano sola Nun ce credi?» Un giorno che a Nicolò scorreva nelle vene un po di sangue in più del solito, ebbe il fegato di attaccare il calendario sul vetro del separé per nascondersi agli occhi del Sorcio. Lui se ne avvide immediatamente. «Me togli la luce, leva quer cazzo de calendario» «Ma io ho bisogno di attaccare il calendario e questi fogli, sai, i numeri dei notai Come si fa?» rispose Nicolò. Il Sorcio si alzò, afferrò con una mano il calendario e lo staccò dal vetro con violenza facendolo cadere per terra. «Ecco, se fa così» Nicolò, anziché aggredirlo o riattaccare il calendario, si sedette e stette per dieci minuti a osservare lo screen saver del computer. Il Sorcio aveva ripreso il suo lavoro. «Be, grazie a Dio mi sono spostato, almeno non ho più il suo fiato velenoso sul collo: adesso fra noi c è una mezza parete ricolma di faldoni e un paio di separé.» Dovrebbe andarsene in pensione fra un paio d anni, il Sorcio, cosicché Consorti e Lerici non possono che aspettare impazienti. Un giorno, davanti alle erogatrici automatiche dei caffè, Lerici gli ha detto: «Non reagire, Nicolò, dammi retta, ormai manca poco» Ma Nicolò non ha seguito il suo consiglio. Si è più volte lamentato con il responsabile, un quadro mite e scoglionato, anch egli vicino alla pensione, che non ha fatto mai nulla per far cessare quegli abusi. «Io vedo tutto gli ha detto ambiguamente alludendo nella stessa misura al fatto che Nicolò scrive le sue cose nei tempi morti e alle reazioni scostumate e violente del Sorcio non sembra, ma io vedo tutto e sento tutto.» Il responsabile è uno che ne ha le palle piene di ogni cosa e non vuole grane, una scelta, da svariati punti di vista, del tutto rispettabile, secondo Nicolò, che non si sente certo di biasimarlo. Due parole sul suo capo ch è sottomesso con i superiori e spesso galante con le impiegate più giovani. Ha superato i sessanta, il suo capo, eppure è ancora un bell uomo dall aria vissuta. Ha capelli neri non più folti che ricadono in un ciuffo ribelle e un po anacronistico sulla fronte scolpita di rughe. Il volto è regolare, affilato, anch esso segnato da rughe lunghe e profonde. In perfetta forma fisica, asciutto, senza un filo di pancia. Vestito in modo convenzionale, quasi sempre in cravatta, estate e inverno con interi grigi di vari tessuti che gli assicurano un aria compassata e affidabile da travet. Lo ha dunque scavalcato, Nicolò, il suo capo, e si è rivolto al sindacato e per il suo tramite ha inviato vibrate proteste al capo del Personale, con cui ha poi avuto un breve scambio epistolare via . «Fra poco, massimo fra una ventina di giorni, le assicuro che il Martelli verrà trasferito, per intanto

12 24 PARTE PRIMA IL SORCIO 25 mi curerò io stesso di richiamare l interessato.» Nicolò non sa se il Sorcio sia mai stato richiamato, fatto sta che non è stato ancora trasferito e continua a insultarlo e sbeffeggiarlo impunemente. Sua moglie, Stella, gli ha consigliato di prenderlo di petto, ma lui ha paura, da sempre, dello scontro fisico. «Lei ha piuttosto paura di aver paura, perdoni il gioco di parole» «Comunque il risultato è che abbozzo, consumandomi il fegato.» Una ventina di giorni fa il sordomuto gli ha posato sulla scrivania un foglietto pubblicitario azzurro di una certa Patrizia Coraggio, maga e cartomante. Gli ha fatto cenno di leggerlo e poi di raggiungerlo al bagno. Così ha fatto. Lo ha preso per un braccio e si è guardato attorno circospetto nella bianca sala da bagno di fronte ai candidi e traslucidi pisciatoi. Poi gli ha detto con la sua inconfondibile voce satura di vibrazioni: «Ho preso appuntamento per domani pomeriggio, alle sei, è qui vicino Tu vieni?» Non ha mai creduto a queste cose, Nicolò, un tempo lo facevano anche incazzare. Ma lo stesso ha fatto cenno di sì e gli ha dato una robusta stretta di mano, qualcosa di intimo e cameratesco. Il sordomuto non gli è simpatico, prova una istintiva diffidenza, e perfino repulsione, verso di lui: qualcosa di sconcio gli pare che sempre trasudi dal suo aspetto prospero, dal suo largo sorriso a comando. Non ha mai accettato prima d ora niente di più di una formale e dignitosa confidenza. Ha rifiutato un sacco di volte i suoi inviti per il caffè alle macchinette. Cambia sempre discorso quando accenna alla sua incasinatissima vita privata (tradimenti filmati, figli seviziati dai nonni, robaccia del genere che sembra inventata lì per lì per stupirti e che invece probabilmente è vera). L indomani i due colleghi si trovano in fila in un angusta e puzzolente scalinata di un vecchio palazzone popolare. L ascensore è rotto e gli toccano sei piani a piedi. Nicolò si sente le narici intasate dall odore del cavolo lesso, persistente e disgustoso, che ha appestato la tromba delle scale. Il sordomuto arriva abbastanza in forma, Nicolò ansima come un moribondo. Eppure ha solo quattro anni più di lui. Lerici gli dice qualcosa sullo sport e l allenamento che Nicolò non ascolta mentre aspettano davanti alla porta ridipinta di rosa dell appartamento. Appare sulla soglia un omino magro magro, sciupato, con un toupet corvino malamente calzato sul capo. Costui dopo alcune cerimonie scambiate con Lerici, li introduce in un largo e spoglio corridoio e poi in una rustica sala d aspetto, con teste di animali impagliati alle pareti. Due donnette sedute su una panca di legno una delle due di colore aspettano il loro turno come fossero dal dentista. Nicolò dedica qualche istante del suo pensare al contrasto fra la porta rosa e quella sala d aspetto campagnola. Si accomodano. Il suo collega non sta zitto un attimo, maledizione, è al settimo cielo per questo loro inaspettato rapporto che deve scambiare follemente per uno sbocciare di amicizia. Gli parla delle sue proprietà, si vanta di aver rifatto tutto l impianto idraulico della sua casa in montagna da solo, e poi passa ai figli, che si fa tutto per loro, e poi alla politica «Spara ovvietà, condite di stomachevole buonsenso, a raffica e in ogni direzione. È il classico rappresentante di quella che veniva un tempo chiamata con giusto disprezzo maggio-

13 26 PARTE PRIMA IL SORCIO 27 ranza silenziosa.» Nicolò lo fredda così: «Stiamo un po zitti, vuoi, Lerici, così pensiamo a quello che cazzo dobbiamo dire» «Gli si può dire qualunque cosa al sordomuto, tanto non si offende mai. Gli rimbalza tutto, è di gomma Non so se ha presente il tipo, dottore?» Mezz ora dopo l omino (che somiglia in modo impressionante al pasticciere sotto casa sua, sia nei capelli posticci che nell aspetto macilento) li accompagna dalla maga, che è una donna dall aria qualunque, una cinquantenne minuta totalmente priva di appeal. Non hanno nulla di particolare, eccentrico o tanto meno sinistro né lei, né il locale nel quale riceve, un banale salottino finto coloniale con pochi ninnoli solo vagamente esoterici, proprio a volerli definire tali a tutti i costi, e quadri da quattro soldi stile metafisico con cavalli e rovine alle pareti. Neppure un ritratto del demonio, pensa Nicolò. O forse sì, quel satiro fra le fronde potrebbe esserne una personificazione. Lei sta dietro una scrivania di rovere lunga e stretta con un riquadro di pelle bordeaux a fregi dorati. Il piano è ingombro di svariati oggetti di cancelleria, di qualche libro rilegato, dello schermo del computer, di alcuni vasetti di porcellana cinese, di una copia rilegata del Kamasutra. Poi c è un minuscolo televisore tascabile acceso su un programma, per l appunto, di consigli astrologici ed esoterici, con il volume tenuto al minimo. La donna fuma lunghe sigarette bianche e sottili, di marca Capri. Lerici le illustra la faccenda, con poche frasi evidentemente preparate. La donna guarda i due impiegati, un sorriso non molto convinto le indugia sugli zigomi pronunciati: «Mi serve una foto del vostro collega, i suoi dati anagrafici e astrologici», dice. Quindi alza lo sguardo: «E poi, come vi ho già detto al telefono, qualcosa di personale, dei peli, dei capelli, un fazzoletto, che servono da oggetti di trasferimento» Lerici si illumina tutto (aspettava da un po questo momento) e cava dalla tasca della giacca una fotografia scattata durante l ultimo rinfresco di Natale, nell archivio, in una selva di faldoni grigi contenenti pratiche di mutuo sotto un neon giallastro da ospedale. «Ecco, è il terzo, quello pelato che non ride La data di nascita è 5 novembre 1948, scorpione, ascendente toro.» Porge alla maga un pezzetto di stoffa, che sostiene appartenere a una giacca del Sorcio. La maga prende un pennarello rosso e fa un cerchio attorno al Sorcio sulla foto. Poi cava da un sacchetto del muschio grigio che ci spiega essere un misto di verbena e stramonio e petali di rosa canina, lo cosparge sulla foto, che poi copre con le due tozze mani appuntate sul piano della scrivania. Nicolò nota soltanto ora le unghie laccate di un colore neutro, trasparente. Sul grasso dito mignolo riluce un anello d argento tempestato di rubini. «Ha qualche malattia, che voi sappiate?» «È cardiopatico Ha avuto due piccoli infarti» lo anticipa puntualmente Lerici. La maga ci pensa un po su. Pronuncia una serie di parole incomprensibili, ora in rima e ora no, che Nicolò non si sforza neanche di decifrare. Gli resta in testa qualcosa come: La nuvola del tetto magico letto arinui arinui «Vi accontentate di un avvertimento, immagino Come vogliamo regolarci per il momento?»

14 28 PARTE PRIMA IL SORCIO 29 «Morto!», scandisce Nicolò, prendendo finalmente la parola. La sua voce lascia nell aria una nota solenne, così almeno gli pare. La donna deve averla colta, e lo guarda con affettazione di rispetto. «C è qualcun altro che odiate così, oltre al vostro collega?» «No.» dice il sordomuto. Ma la maga continua a guardare Nicolò. «Be, no.» «Ne è sicuro? Guardi, non deve mentirmi» Si alza ed esce dalla stanza. Ricompare due minuti dopo con un pupazzetto di crine infilzato all altezza del petto da uno spillone dorato. Estrae da un cassetto della scrivania una candela nera e chiede a Nicolò di accenderla. Si siede, posa l oggetto sul tavolo, riempie l interno della bamboletta col suo muschio olezzante e con il piccolo riquadro di stoffa. Ripete la formula esoterica di prima o forse è un altra. Ora al pupazzo è attaccata non sa come la foto e nella stanza c è penombra e odore di acido fenico. Lerici fissa la fiammella della candela con una faccia credulona e ammirata, da vero coglione, riflette Nicolò seguendone il profilo tremolante alla luce della candela con tutto il disprezzo di cui è capace. Il suo disprezzo, se ne rende conto, è esorbitante. «Mi dà fastidio tutto di quell handicappato, ma è soprattutto fisicamente che nasce la mia ripulsa. Quel suo corpo goffo, deformato dal grasso, quella sua faccia prospera che non sembra mai sfiorata dal dubbio, la sua smania di comunicare, quale patetica rivalsa sociale» «Eppure lei ha deciso di seguirlo» «Già Questo può darle la misura di quello che provo per il Sorcio» «Sentite che qui, combinazione proprio sul cuore, è più molle il tessuto» continua la maga. «Dovremmo avere i primi effetti il primo giorno di luna piena, che è sabato 10» Estrae lo spillone e lo infila nuovamente nello stesso punto dicendo: «Spilla, io ti prendo affinché tu possa servire ad allontanare e a causare del male a tutti coloro che io vorrò, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.» Una pausa piuttosto lunga e poi esclama con la voce arrochita: «Fuland!, Surgat!, Morail!», facendo gesti rituali in direzione della bamboletta. Lo spillone trapassa agevolmente la stoffa del pupazzo, sbucando sulla schiena. «Causa il male al Sorcio, fino a quando ti toglierò.» Nicolò scende in garage con il piccolo. Stella lo aspetta davanti all ingresso di casa. Fa manovra con fatica perché tanto per cambiare è sbronzo. «Ti dispiace guidare tu?» chiede a Stella mentre monta in macchina. Da quando hanno litigato perché lui guidava fumato in una strada di montagna, sulle Dolomiti, le chiede spesso di guidare. «No, ti prego» fa lei, e si accomoda la gonna sotto al sedere, e aggiunge a mezzavoce per non farsi udire dal piccolo: «Hai bevuto Nicolò?» «No, no, che palle!» Il piccolo gli chiede di accendere lo stereo. «No, Filippo, ti prego» dice Stella, annusando l aria sospettosa. Ma lui ha già messo il frontalino dell autoradio e ha inserito la prima cassetta che trova sotto il cruscotto, e cioè una

15 30 PARTE PRIMA IL SORCIO 31 compilation di Guccini. A metà del primo pezzo, Stella si fa muta e pensierosa. Stanno già sul raccordo all altezza dei palazzoni universitari di Tor Vergata quando comincia la canzone Culodritto. È un pezzo dedicato alla figlia piccola del cantautore. Sul finestrino sfilano, in una assorta e distonica sequenza, un campo arido, due vecchi operai su un Ape arancione, e lungo la linea dell orizzonte, alti palazzi di vetro che riflettono le gru e il cielo azzurro punteggiato di nubi. Alla fine del pezzo, che hanno ascoltato tutti, anche Filippo, in religioso silenzio, Stella fa: «Bella, eh?» «Carina, sì» «No, non carina, bella, bellissima anzi. E tu è inutile che dici carina con quell aria di superiorità e degnazione, perché tu non saresti mai capace di scriverla!» «Non credo, infatti» «Continui a fare dello spirito ma guarda che dico sul serio, tu non sei capace di raccontare quei sentimenti semplici, sani, naturali» «Chi te l ha detto che non sono capace?» «Lo so. Tu sai scrivere solo di mostri E poi ti meravigli che non ti leggono!» Nicolò si mette con il muso. Intanto ascoltano altri gloriosi pezzi di Guccini: La locomotiva, Argentina, Eskimo «Diciamo, dottore, che mi piace Guccini, ma non mi piace affatto la parte di quello a cui piace Guccini» «Papà, leva questo strazio!» esclama il piccolo, Filippo, che un mese fa ha compiuto sei anni. «No, no, no! sbotta Stella lo voglio sentire. Per una volta che voglio sentire io qualcosa accidenti» L atmosfera immediatamente si guasta. «Papà, papà, metti Jesus Christ, dai, oppure Anime salve» «No, Filippo, lasciamole sentire Guccini ché le piace tanto» «Sì, mi piace! E allora?» «E che soprattutto le fa bene all umore» «Pensa al tuo, di umore» Ascoltano Eskimo, alla fine della canzone la donna ha gli occhi gonfi e si deve soffiare il naso. Lui vorrebbe trattarla male. Comincia a guidare a scatti per farla arrabbiare. Suona spesso il clacson. Fa sorpassi azzardati lungo la Pontina. Ma Stella non protesta, sta lacrimando, si soffia il naso più volte, si guarda nello specchietto del parasole, asciugandosi gli angoli degli occhi truccati. All altezza di Pomezia e dei suoi sempre anonimi e tristi agglomerati, dice: «Commoventi queste canzoni, eh» «Dipende chi le ascolta», le fa lui, mentre i colori accesi di un distributore della Esso chiazzano di rosso e nero il finestrino. Intanto le canzoni tristi e malinconiche di Guccini continuano a suonare. «Che vuoi dire?» «Niente.» Stella seguita a piangere fino a che non arrivano al mare. Mentre Nicolò fa manovra per entrare nel giardino, lei gli fa, soffiandosi il naso per l ennesima volta: «A me Guccini mi fa piangere, che ti devo dire?» «Ah, sì? Non me n ero accorto» La donna scoppia a ridere. Bene, finalmente la smette,

16 32 PARTE PRIMA IL SORCIO 33 pensa Nicolò. E però si trova a dire, senza volerlo, severamente: «Non c è un cazzo da ridere!» «Papà non dire le parolacce!» interviene da dietro il piccolo. «Ecco, te lo dice pure lui» fa Stella mentre la risata le si squaglia sulla faccia come cera bruciata. Scaricano lo smilzo bagaglio per il weekend, fanno le scale nel retro, e salgono in casa. Abitano al piano di sopra, che è stato costruito da poco da una ditta altoatesina ed è accogliente e ben messo, mentre l appartamento di sotto è vecchio di trent anni e cade a pezzi. Abbandonano il bagaglio sul pavimento dell ampio ingresso e Nicolò accende la luce debole dei faretti diligentemente allineati sul soppalco di legno. Quindi Stella gli si para davanti e gli fa: «Sei arrabbiato?» «Tu che dici?» «Be, perché?, sentiamo» fa lei, incrociando le gambe e dondolando appena su un anca in una posa incrongruamente sensuale. «Sentiamo!? esclama Nicolò ti pare normale piangere per tutto il tragitto? Dovrei essere contento?» «Tu non c entri!» «Appunto, io non c entro» «Sono un po malinconica, che è?, non si può? Il tuo romanzo non è nostalgico? Da quando sei in analisi non fai che ricordare, ricordare, ricordare» «Okay, ma poi non è questo» fa Nicolò, scacciando con un movimento secco della mano una ridda di pensieri molesti. «E cos è allora?» fa Stella, ma già si allontana a sistemare il bagaglio e a fare cose in cucina. «Non te ne frega un cazzo, eh?» le fa affacciandosi alla porta. «Di cosa?» «Di sapere, di sapere che ho» «No, dimmi, mi frega, mi frega, è solo che se non mi do da fare stasera non mangiamo.» «Intanto non sopporto quei ridicoli paragoni fra me e Guccini, ecco. Fino a questo punto non ami più quello che scrivo, fino al punto di paragonarlo a un cantautore?!» Stella sbuffa seguitando a ficcare roba dentro il congelatore. «Anzitutto Guccini è anche uno scrittore E comunque Qual è il punto? Devo stare continuamente a farti i complimenti?» «Non ti piace più quello che scrivo, ecco il punto, e dunque non ti piaccio più io Non mi ami più.» Nicolò, crogiolandosi nel suo umore nero e nel suo vittimismo, si chiude in camera, tira fuori la fiaschetta di vodka polacca dalla tasca esterna della borsa da viaggio, e se la ficca sotto la cintura. «Mi fumo un sigaro fuori» le dice poi ed esce nel buio del giardino. C è un odore forte di legna bruciata, di sambuco, di salsedine. È un odore che ama. La notte sta scendendo lentamente, il cielo grigio e blu è già crivellato di stelle ed è spettacoloso e immenso. In città non è mai così il cielo notturno. È al contrario sempre un po sbieco, povero, spezzato. Rientra facendo attenzione a non barcollare. Siede sul divanetto giallo accanto al piccolo, e fissa lo schermo della tivù dove scorrono fotogrammi di uomini a cavallo, parrucche che volano fuori da una finestra, il fondo argenteo di una piscina attraversato da una pioggia di coriandoli rossi.

17 34 PARTE PRIMA IL SORCIO 35 Prende la mano del piccolo e la tiene stretta nella sua finché il bimbo non s addormenta con la testa adagiata sulla sua gamba. Poco dopo gli chiede tutto impastato di sonno: «Mammina?» «È in bagno a prepararsi per la notte» «A mammina non piacciono i tuoi romanzi, vero? Per questo avete litigato» «Sì, ma adesso abbiamo fatto pace Stai tranquillo, piccolo, dormi» «Papà, puzzi di alcol, non ti far sentire da mammina.» «Okay, piccolo, grazie.» Nicolò ha cominciato a sognarselo la notte, il Sorcio, e sono quasi sempre incubi di sue grevi e pubbliche sopraffazioni. «Cristo, io non campo più!» ha sospirato stamattina a Stella dinanzi al caffè bollente e alla sua figura ancora stravolta dal sonno al di là del tavolo da cucina. Per Nicolò questo è uno dei momenti più piacevoli della giornata, malgrado la prospettiva del lavoro da cominciare. L unico momento in cui sono davvero soli. Purtroppo dura solo un paio di minuti. «Ma ti puoi rovinare la vita per un collega?» «Non è un collega qualsiasi, è il Sorcio.» «Okay, è il Sorcio. E allora?» «E allora si tratta di un essere perfido, ripugnante, capace di tutto Mi ha augurato di crepare in poche settimane di cancro al fegato. Ti rendi conto?» «Secondo me se tiri fuori i denti, lui s ammoscia» «Ecco perché parli! Perché non sai! Ti ho mai detto di Follini, quel collega piccolino mezzo alcolizzato col diabete? Be, un giorno ha provato a rispondergli male al Sorcio, che lo tiranneggiava anche a lui Il Sorcio gli è saltato al collo, e ha cominciato a stringere, stringere Se non interveniva il capo e due altri colleghi lo strozzava» «Ah!» «Quello è capace di tutto, per questo il capo stesso lo teme e non gli dice niente, e lo copre con il Personale È uno matto, capisci?, uno che potrebbe fare qualunque cosa anche manomettermi la Vespa, magari, oppure darmi una coltellata» «Questa è paranoia. Ti senti perseguitato Che dice lo psicologo freudiano?» Tiene per un po la tazza del latte a mezz aria, riflettendo. «E se fosse l alcol? è normale che Guarda che si inizia così, e poi si comincia a odiare tutto il mondo» Nicolò si è chiuso in bagno, ha aperto la doccia al massimo, per non sentire le geremiadi di sua moglie e cacciare nell oblio le minacciose parole dello psichiatra: «Alla lunga mi chiede Alla lunga si assume tutti lo stesso atteggiamento irritabile e asociale» Il solito imbarazzante silenzio e lo psicologo che si guarda la punta delle scarpe. «Stava pensando a qualcosa?» «Sì Ripensavo a un momento magico con Dario, l amico con cui ho rotto da un po Stavamo a Ostia con i tossici, quattro o cinque anni fa» «Con i tossici?» «Sì, eravamo andati a Ostia, allora eravamo amici, direi al

18 36 PARTE PRIMA IL SORCIO 37 massimo dell amicizia Prima che io gli rovesciassi addosso, tramite mail e telefono, un mare di insulti» «Non me ne ha mai parlato!» «Sì, non mi va di parlarne, forse un giorno lo farò. Comunque io dovevo scrivere un pezzo per un settimanale» Era perfettamente a suo agio, Dario, del tutto presente a se stesso al contrario di Nicolò che se la faceva sotto. Quel fatto di presentarsi entrambi come giornalisti della carta stampata faceva chiaramente molto piacere a Dario, che aveva appena cominciato a collaborare al settimanale di quartiere e anche a Nicolò che poteva togliersi di dosso per qualche ora la divisa del bancario frustrato. I contatti con l unità di strada li aveva presi Dario, che faceva le notti da un po in un ricovero di tossici. Aveva organizzato ogni cosa anche per Nicolò. «Era magnifico trovarsi la pappa pronta, e poi lavorare con il proprio migliore amico, naturalmente, ma non stavo bene e certi dettagli di Amore tossico e di Christiane F. e di Tondelli e chissà che altro, mi mulinavano sgradevolmente nella testa» «Parla di film?» «Certo. Di film, di scrittori» I due amici arrivano nel luogo convenuto alle undici di mattina. Il pulmino blu è già posizionato al margine di via Carolina, poco prima che la pineta sbocchi sulla zona abitata. Stanno per scendere quando uno degli operatori, quello che conosce Dario, gli viene incontro pregandoli di parcheggiare più lontano. Dario sfila lo stereo dalla guida interrompendo di botto l assolo del sax di Donna Cuncè di Pino Daniele. Mentre scendono Nicolò sentenzia: «Pino Daniele oggi è il nulla, ma allora era davvero grande!» «Era grande anche perché noi eravamo giovani e le sue note si sono appiccate a immagini di noi che ci sono care» Dice sempre cose sensate e interessanti, Dario, per questo gli vuole bene e sta bene con lui. L unità di strada è composta da tre persone: un medico, uno psicologo e un operatore volontario ex tossico. «Se vedono altre macchine intorno possono insospettirsi gli spiega quest ultimo, che non porta affatto il marchio dell eroina, deve aver smesso da parecchio pensano subito alla polizia. E poi spesso arrivano che stanno proprio a rota e allora magari frenano sgommando e se non trovano la strada libera è un guaio, vanno a sbattere dove capita È una precauzione per voi, capite?» Dario entra subito nella parte, comincia a parlare con il medico, Cesilio, un ragazzo calvo che prima lavorava al Sert di Ostia, a pochi isolati da qui. Nicolò sulle prime ascolta distratto. È ancora sotto l impressione della scena appena descritta. La mattinata che li aspetta non si annuncia come una passeggiata sotto il sole. L istinto è andar via subito, al diavolo il reportage, ne farà un altro, ma deluderebbe Dario. Comunque, prima di poter prendere decisioni, già cominciano ad arrivare i primi gruppetti di tossici che gettano le siringhe usate in un secchio giallo posto sul marciapiede dove spicca la scritta Rifiuti ospedalieri trattati. I tre operatori li accolgono con sobria cordialità, gli danno le siringhe nel

19 38 PARTE PRIMA IL SORCIO 39 numero richiesto e accessori quali garze, kleenex inzuppati di spirito o di acqua ossigenata, raccoglitori di siringhe usate. Gli allungano un foglio dove sono tenuti a scrivere il nome, il numero di siringhe fornite e quelle rese. La maggior parte si va a infrattare dietro un cespuglio di rovi poco distante, pochi riprendono la macchina per bucarsi altrove. «Ma non capita mai che chiedano le siringhe e poi non le restituiscano?» chiede Dario. «Altroché se capita! Almeno capitava.» Entra nel pulmino e ne riesce subito dopo con un una tabella che gli mostra tutto orgoglioso. «Vedete, siamo partiti due anni fa con una percentuale del 94 per cento di siringhe non restituite. Un valore altissimo. Scrivetelo sui vostri giornali. E oggi, guardate, lo scorso mese appena il 4 per cento.» I due amici si complimentano in un modo un po goffo, manieristico, quasi lo stessero prendendo per i fondelli. Lui sorride e dice rivolto a Dario che quel risultato è assai meno trascurabile di quanto non sembri a prima vista. A parte l utile servizio sociale di favorire lo smantellamento urbano delle siringhe usate, c è un altro aspetto, più importante, che va considerato. E cioè che le unità di strada rappresentano, per i tossici, l unico veicolo di comunicazione non conflittuale con il resto della società. «Noi mettiamo subito le cose in chiaro con loro. Se si rivolgono alla nostra struttura debbono sottostare alle regole che vigono qui. Prima regola, restituire le siringhe che gli forniamo. E poi, poca confidenza. Non facciamo gli amiconi, non gli offriamo sigarette o caffè. Rapporti di cordialità e di massimo rispetto, certo, ma niente di più. Se abbassassimo la guardia, immediatamente entreremmo a far parte del loro mondo, e verrebbe meno quella distinzione dei ruoli che è il principio su cui si basa tutto il nostro lavoro, e che ci permette di rappresentare ai loro occhi una zona franca, un punto di riferimento e un eventuale punto di fuga.» Continuano ad affluire tossici come in un supermercato. Difficile trarne un identikit. Ce n è di tutti i tipi. Dal ragazzetto con tutta la famiglia che lo aspetta in macchina, nonna compresa, sul lato opposto della strada, al quarantacinquenne meccanico in tuta da lavoro, al figlio di papà di Casal Palocco, che scende da un auto di grossa cilindrata e si presenta con un aria di degnazione e poi si va a bucare altrove, perché, spiega il medico, conserva ancora la nozione della propria superiorità sociale: «Ma già tende a omologarsi, fra qualche settimana o qualche mese, anche lui comincerà a comportarsi e perfino a vestirsi come loro e a bucarsi dietro la siepe.» Poi è la volta di una ragazza di colore, Esther, accompagnata dal pappone su una Thema verde metallizzato, un mingherlino slavato e mezzo calvo con occhiali scuri che gli nascondono gli occhi. L uomo si tiene parecchio lontano dal pulmino, saluta la ragazza con un bacetto sulla guancia e aspetta di vederla arrivare a destinazione come un papà premuroso che accompagna la figlioletta a scuola. Tutti i clienti guardano i due giornalisti con aria un poco diffidente, sospettosa. Ma non è soltanto questo a rendere Nicolò inquieto. Il fatto è che da quando sono arrivati prova la sgradevolissima sensazione di navigare in un voyeurismo compiaciuto, morboso, come quando al cinema assisti a stupri e sbudellamenti seduto su una comoda poltrona. Nei gesti dei tossici e degli operatori, in quelli ansiosi dei primi e in

20 40 PARTE PRIMA IL SORCIO 41 quelli apparentemente neutri e asettici ed efficienti dei secondi, sembrano convivere in una perfetta sintesi la tragedia e la quotidianità, al punto da rendere impensabile un mondo diverso da questo. Accentua questa sinistra impressione l isolamento in cui sono calati. A via Carolina di gente normale ne passa davvero poca: tanto che lo stesso Cesilio è quasi trasecolato vedendo a un tratto passare una ragazzina con un cane al guinzaglio. «La gente ci è ostile. Anche la polizia. Qualcuno ci ha perfino accusato di alimentare il fenomeno.» Si sente sopraggiungere un Ape tutta sferragliante sull altro lato della strada. «Scusate un attimo» gli fa Cesilio con un sorrisetto tirato. «Questi sono un po difficili, vi consiglio di» Non riesce a concludere la frase, che i passeggeri dell Ape sono già presso il pulmino. Si tratta di due fratelli sui vent anni e una ragazzina, la moglie del più giovane. Tutti e tre sono piuttosto malridotti, specie Mimmo, il più estroso ed eccitato del gruppo, che si annuncia con un «Daje Roma!» e un sonoro fischio da pecoraro. Poi stringe la mano al medico, che gli porge la sua con una certa riluttanza. Indossa jeans tutti sforacchiati e un camicione a righe lacero e, annondata attorno al collo, una vistosa sciarpa giallorossa. Dietro le spalle, uno zainetto, pure giallorosso. «Allora, tutto a posto?» fa al medico accostandoglisi sempre più sino ad alitargli in faccia. «Niente sigarette, eh? Niente caffè Me dai la mano che pare che ci ho la lebbra» Ride con un aria spavalda, di sfida, mettendo in mostra uno scempio di denti guasti. Si rivolge agli altri due: «Ci avemo la lebbra» Cesilio si prova a quietarlo: «No, Mimmo, no, così non va bene, che è questo atteggiamento oggi?» «Che atteggiamento, ma de che parla questo?» «Okay, okay, lasciamo perdere, avete riportato le siringhe?» «Ce l avemo, ce l avemo», fa Mimmo, consentendo pigramente con il capo e frattanto si toglie di dosso lo zainetto e comincia frugarvi dentro e a tirare fuori della roba che poggia sul cofano del pulmino: due panini, un barattolo vuoto, un paio di cucchiaini di metallo anneriti. «Nun ce stanno più» Si rivolge al fratello: «Ahò, a Marco, ndo cazzo l hai messe» «L ho già buttate nel secchio.» «E dimmelo, no? Me fai tira fòri tutto, li mortacci tua» Il medico lancia un occhiata interrogativa ai suoi colleghi che confermano. Mimmo è l ultimo a fare rifornimento, mentre Marco e la moglie ragazzina si sono già incamminati verso il cespuglione di rovi. «Damme una siringa, l ovatta Sì, così, bagna, bagna, de più, de più, vòi risparmia? Eppoi un guanto» «Un guanto?» «Sì, sì, hai capito, hai capito, un guanto, damme un guanto.» Interviene il medico: «Il guanto di gomma non è previsto. La lista la conosci: siringhe, preservativi, cotone idrofilo» «Sì, sì, lo so, lo so Me serve un guanto, avanti, non la fate tanto lunga, che ve frega» «Ma a che ti serve?» «So cazzi mia» Il medico fa cenno di assecondarlo. Presa tutta la roba, Mimmo si avvia verso la fratta, ma si arresta quasi subito e, tornando sui suoi passi e camminando all indietro come un gambero, chiede al medico di tirargli su la manica della camicia e di versargli dello spirito: «Puoi farlo da solo.»

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