Giovanna MULAS è nata a Nuoro il 6 maggio del Scrittrice, poetessa, pittrice.

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2 Giovanna MULAS è nata a Nuoro il 6 maggio del Scrittrice, poetessa, pittrice. Dal 1998 ad oggi ha pubblicato: Passaggi per L'anima (romanzo), La Musa (novella), Le lettere e le Arti (saggio), Barchette di Carta (racconti), Canticum Praesagum (poesie), Dei Versi (poesie), Come le foglie (poesie), La stanza degli Specchi (romanzo), Il tempo di un'estate (romanzo), Il rumore degli Alberi (racconti), Lughe de Chelu -e jenna de bentu- (romanzo). Mater Doloris -mama de sa suferentzia (romanzo) Suoi racconti sono stati tradotti in francese, tedesco, spagnolo, inglese Cinquantadue primi premi letterari vinti, nazionali ed esteri; gli ultimi: Premio alla Carriera, Base NATO, Napoli 2001, Premio alla Cultura, Roma 2002, Premio alla Cultura, New York 2003, Premio alla Cultura, Roma Critica letteraria per riviste specializzate e prefazioni, sceneggiatura, saggistica. Dirige la pubblicazione di Poesia e Lettere, nel suo format in lingua italiana, IsolaNera. Conferenziere, pluriaccademica, socio dell'istituto Italiano di cultura, Presidente onorario dell'associazione culturale "Carpe Diem", Bonn, ha ottenuto la Nomination at the Nobel Committel of the Svedish Academy Stockolm. Membro dell'aslai, Socio del Circulo Internacional de Literatura Vanguardista y Postmoderna, Membro del Consiglio Direttivo della GIORNALISTI SPECIALIZZATI ASSOCIATI. In pubblicazione "Domo del viento" che fonde il sardo, l'italiano e lo spagnolo ed il saggio "Penelope che parlava alle pietre -frammenti di letteratura- Anima e d'oltre"-. Ulteriori notizie sul ben curato e frequentatissimo sito personale

3 Giovanna Mulas Sa Jana Reina (La Fata Regina ) -Incredibile-, pensò a voce grezza e alta Sisinniu Scanu, e sorrise. -Incredibile aberu- ripetè più forte. Ora il torace si sollevava ed abbassava convulso, i denti gli si erano legati assieme. Il sorriso era scomparso e l uomo scandagliava attorno con occhi quasi severi. Nove teste, rase e pidocchiose, sparpagliate à pedire attorno alla tavola comente sos pilos aintru e su mucadori nieddu e thia Peppa, sa muzere de maistru e muru de cussa bidda e mortos, intenta nel brusìo a sollevare con cucchiaio e forchetta dalla scodella di portata tre culurjones tre colanti di salsa al lardo, pecorino e menta per ogni bocca e pancia vuota; puntarono finalmente la testa più pensante della famiglia. E ammutolirono. Gli occhi grandi di bambini e madre caldi, uguali, circondati da una raggiera di ciglia nere- sostennero pacatamente lo sguardo del capo famiglia. Oltre i vetri latrava un Eolo impaziente, randagio, BalenteBelante; frustava i faggi assonnati piegandoli come canne e come canne, da padrone, facendoli sònare, vibrare, parlare di nenje di streghe antiche e, da amante, palpitare, gemere. Si diceva che, fra quei faggi, avesse vissuto una fata dalla pelle d ebano e gli occhi di carbone ardente, strappata al suo mare da un destino crudele. Si diceva che avesse amato solo una volta, Regina, amato il suo Re tanto da togliergli respiro ed anima e pensiero, amato tanto da lasciarlo andare, poi, scappare lontano, affinché il suo amore non potesse togliergli anche la vita. E si diceva che fu allora, che la fata cominciò a perdere i pezzi del suo cuore, a perdersi lei stessa nei meandri della propria mente. Ogni passo, ogni volo, ogni luogo erano per lei ricordi, AmmentiFrammenti e suferentzia. E in ogni passo, ogni volo, ogni luogo un pezzo di cuore naufragava nei tempi; cuore di fata debole, come debole è il cuore dell uomo. E sedette in una roccia la Fata, e cominciò ad urlare per la disperazione. E l urlo vento divenne e tempesta e uragano orrore d ogni creatura. E poi quiete. Ed impazzì, la Fata. E ancora vaga in forma di civetta, la bocca di ciliegia divenuta becco scuro e duro d osso, viola passita e pazza d amore e senza mente e senza cuore, alla ricerca di chi non è più. Fata, la Fata, Sa Jana Reina, E in sos mirtos, s àrroccas su cantu (dal seno, pieno, il succo), fùriosu su mare,càstiacàstiadi: in ie sa mente, su còro OdoreDolore di Fata e fèmina, màlaria, malàdia e amore (sudore) E nessuno si, mai, potrà consolare. Sisinnio ci aveva sempre creduto. Alla Fata, ci aveva sempre creduto. Ricordo che andava cincischiando in giro, quelle volte in cui su binu onu, il vino buono era stato per lui più buono del solito tanto da convincerlo che sì, poteva mandarne giù ancora qualche litro senza pesanti conseguenze per fegato, denari e moglie; che l aveva vista lassù, gemere in cima à s àrroccas; piangere di un pianto strano, magico, prima di

4 bambina, poi di giovinetta e donna. Infine diveniva urlo, quel pianto, urlo continuo, e lungo, senza modulazione né tono. Urlo di civetta, pareva. O di gatto impiccato. E diceva Sisinnio che la Fata l aspettava.proprio così: l aspettava. Che gliel aveva promesso lei. E promessa di Fata è promessa mantenuta. E lui ci credeva ché voleva crederci. Credere all incredibile. -Incredibile aberu- mormorò Sisinnio. E ora che gli anni erano passati, e così la giovinezza, l uomo si guardava attorno e lì, dove aveva creduto di vedere le testine rase, le sedie erano vuote, e vecchie quanto lui. E lì, dove aveva creduto di vedere la giovane moglie, incinta dell ultima creatura bèddha e prena, intenta a servire i culurgjones colanti di sugo all aglio, lardo e menta e sussurrare antiche preghiere scacciadiavoli; in realtà c era il buio, e solo buio e quel brusìo di voci ora parlava di silenzi ché thia Peppa con la terra ora parlava, non più con Sisinnio. Due notti prima gli era apparsa, Peppa, come frequentemente gli appariva in quegli ultimi tempi. Sisinnio conosceva il significato di quelle apparizioni; sapeva che stava avvicinandosi per lui il momento di partire.e doveva salutare la terra, le cose terrene che aveva conosciute e amate e odiate durante tutta la sua sconsacrata vita, salutare la terra prima che la terra aprisse le sue porte per accoglierlo dentro sé, farlo ritornare da dove era venuto.e Peppa stava ai piedi del letto di Sisinnio, due notti prima. Lui s era svegliato di soprassalto e l aveva vista così, bianca e pura come vergine, bianca e pura come l aveva conosciuta non ricordava più quanto tempo prima.aveva diciassette anni, Peppa, quando Sisinnio l aveva incontrata per la prima volta, e ritornava dal fiume con le sue amiche, carica dei panni lavati dei fratelli e della madre vedova.era bella, Peppa. Sisinnio ricordava che cantava sempre; lui e gli altri pastori sapevano che Peppa era al fiume a lavare quando ne sentivano arrivare, tra i mirti e i fusti di fico d India, la voce; quel canto di sirena acerba.allora Sisinnio s infrattava tra i cespugli e in amore, soltanto e semplicemente, la guardava lavare e cantare, ridere con le amiche di disgrazia. Eccola lì davanti a lui, ancora, Peppa, due notti prima. Muta, sorridente. -Peppinè -, - Peppinedda mea -. Poi Peppa era scomparsa. Doveva salutare la terra, Sisinnio, prima d entrarci dentro, salutare chi aveva amato e chi aveva odiato. Ora, era arrivato il momento di farlo. E uscì di casa, Sisinnio, che la luna già s alzava prepotente, stagliata tra tetti e aie e le colline giù, all occhio parevano fianchi o corone, scrigni attraversati da cicatrici spurie, IncerteIrrequiete non segnate dalle mappe; quei fiumiciattoli magri e stinti come le pecore quando l acqua manca e la terra abortisce d erbe. L avevano seppellita lì, la bambina. Erano passati trent anni ma Sisinnio ricordava perfettamente il posto, quel sughero leggermente ricurvo a destra, un ramo ad indicare il cielo, l altro la terra come che quella bara naturale fosse in realtà un tramite ardito tra un elemento e l altro, tra spirito e corpo. Un fico d India era cresciuto estendendosi in maniera spropositata quasi ad abbracciare, cingere, proteggere l albero e soprattutto ciò che l albero nascondeva, ed erbetta fine, e

5 fresca, a quell ora della notte umida e più tenera, confortata dal canto delle cicale e la fragranza orgogliosa dei cespugli di felce. Giunse lì dopo poco cammino nel bosco, attraversando il sentiero celato dai corbezzoli e rovi. Fissò l albero tra gli alberi e nel buio fitto non lo vide con gli occhi, lo vide con la mente. E con la mente rivide Peppa, piantata lì come il sughero, ad indicargli la via senza parlare. Sisinnio annuì, cadde in ginocchio e mormorò antiche preghiere. Poi prese a scavare la terra brulla a mani nude, ficcò le dita forte e grattò fango e radici, scavò e scavò. Smise, alzò il volto al cielo e, davanti a lui, Peppa intimò scava ancora. E Sisinnio scavò ancora, e ancora, e ancora che gli pareva di non dover mai finire di scavare. Toccò qualcosa, un sacco di tela grezza pareva. E Sisinnio sussultò al ritorno del passato, che fu come uno schiaffo. Ed ecco la bambina, una zingara figlia di zingari, dicevano che fosse in paese. L avevano vista camminare per le strade con la madre mezzo nuda al fianco per qualche giorno, poi neppure più la madre s era vista. Ed era andata, la bambina,a cercargli del formaggio mentre Sisinnio pascolava pecore e capre ed il cane abbaiava ai falchi E lui le aveva dato formaggio e pistoccu ed erano diventati amici; del resto zingari tutti e due erano, chi di corpo, chi di mente. E tutti e due bambini erano, chi di corpo, chi di mente E torna a trovarmi le aveva detto Sisinnio E si aveva risposto la bambina Ed era tornata, per quindici giorni di fila, era tornata lì alla tanca, vicino à su riu e preda, tra sugheri e canne e menta odorosa E il sedicesimo giorno era caduta nel fiume (lui voleva strapparle un bacio l unico- e lei era scappata ridendo) E aveva battuto la testa sul fondale Ma Sisinnio sapeva che nessuno l avrebbe cercata perché la zingara, per gli altri, era Nessuno E Sisinnio sapeva che avrebbero dato la colpa a lui di averla spinta nel fiume E Sisinnio il Maresciallo Giommaria Trimarchi, un continentale, non l aveva cercato Nemmeno avvisato, l aveva Senza vergogne aveva chiuso la zingara nel sacco che il suo padrone usava per metterci il resto da dare ai maiali giù in paese E il sacco l aveva seppellito piangendo E sapendo di fare peccato sapendo che tutta la vita quel peccato l avrebbe pianto e così davvero era stato Sotto una piantina di sughero strana che a lei piaceva tanto perché curvava il fusto e aveva un ramo che indicava il cielo, l altro che indicava la terra La zingara era la prima che Sisinnio aveva davvero amato, senza saperlo. Amata come gli angeli amano. Peppa sorrise e Sisinnio uomo pianse, e Peppa scomparve e Sisinnio gemendo pulì il sacco dalla terra, Perdonami Signore perdona il peccatore perdonami zingara chè seppellita da femmina e non da bestia, dovevi essere, e non nascosta dalla vergogna degli altri Perdonaperdonaperdonaperdona

6 E Peppa, e sa Jana Reina eccole assieme e la zingara lì, Angelo bambina a dare una mano ad una ed una mano all altra. E Sisinnio comprese d essere stato perdonato, dalla TerraDio, perdonato. E con Peppa, sa Jana Reina e la Zingara Bambina danzò tutta la notte Dicono che lo videro danzare su ballu tundu E danzare e danzare e danzare Fino a che il cuore gli scoppiò di danza e di felicità E qualcuno lo vide danzare. (E ancora oggi, qualcuno lo vede danzare). Ma don Puddu coi suoi chierichetti, la mattina, bussò alla porta di Sisinnio per accoglierne la confessione e dargli l ostia, come faceva ogni giorno. E lo vide così, Sisinnio, che pareva addormentato sulla sedia. E don Puddu disse in paese che Sisinnio sorrideva; disse proprio così: sorrideva. In tavola undici scodelle e undici bicchieri avevano trovato E al centro della tavola in su tàlleri trentanove culurgjones trentanove, tre a testa per ogni bocca e pancia vuota E una civetta silente abbarbicata sulla tredicesima sedia, le ali chiuse, il capo chino. ATTENZIONE! Questo testo è tutelato dalle norme sul diritto d'autore. L'autore autorizza solo la diffusione gratuita dell'opera presso gli utenti di questo sito e l'utilizzo della stessa nell'ambito esclusivo delle attività interne a L'autore pertanto mantiene il diritto esclusivo di utilizzazione economica dell'opera in ogni forma e modo, originale o derivato

7 Marcovaldo è un personaggio bizzarro, arroccato in un arcigna megalomania che lo porta a straniarsi dal mondo per lunghi tratti della propria esistenza, salvo poi tornare a materializzarsi attraverso originalissime composizioni (ibridi tra narrazioni, apologhi, strambe affabulazioni e arguti aneddoti). Un singolare cantastorie, scorbutico e a volte irritante nel porsi e proporsi, ma non del tutto privo di genio, che di autodefinisce "Astronomo, filosofo eccellente Musico, spadaccino, rimatore, Del ciel viaggiatore, Gran maestro di Tic-Tac Amante-non per se-molto eloquente Ossequiosissimamente Vostro maestro di quint'essenza Marcovaldo, Contento e Felice, Signore di Cielaiutilandia. Solo sotto le insistenti pressioni ricevute da occulti e potenti sponsor che ne caldeggiavano la pubblicazione su queste pagine elettroniche, abbiamo acconsentito (obtorto collo) ad accoglierlo all interno della grande famiglia di Ce ne vogliano scusare i visitatori del sito. Un uomo pieno di vento Un uomo pieno di vento si dice di quelle persone scosse dentro. Coloro i quali sono mossi da grandi passioni e grandi tormenti che li scuotono come, dal vento, gli alberi sono scossi. Tutto inizia con un lieve tremito delle foglie più nuove. Scuote le propaggini e, in seguito, tutto il ramo. Piega loro, dapprincipio, il capo e, poi, il tronco. Le piante che prima sussurravano fra loro, sono ora mossi da possenti brontolii. Qualche scricchiolio precede il dimenarsi sconnesso dei fusti più giovani e termina con uno stupito stormire di rami e, meravigliati, gli alberi finiscono con lo spezzarsi: fragorosi schianti e tormentosi lamenti di tronchi scassati. Vite illuse dalla calma della valle che ha loro concesso solo qualche anno di quiete, per poi riprendersi il sole che le stupide foglie avevano rapito alla terra. La valle non ama il bosco. Lo tollera se può, ma, di tanto in tanto, si riprende i fianchi muschiosi e il terreno umido. Un-uomo-pieno-di vento vive tutto questo ogni giorno, ad ogni discussione, ad ogni bisticcio. Ad ogni emozione, sorriso o parola cortese, questo vento diviene un bruciante fuoco di passione. Come le braci vive covano sotto il ceppo, per divampare al primo alito del soffieto, così il riso, rumoroso e potente, se ne viene fuori non invitato. Avvolge e riscalda tutta la stanza e consuma ogni racconto ed ogni battuta in una vampa fragorosa. Una donna piena di fiori si dice di quelle persone gioiose nel profondo. Sono anch esse turbate dai cattivi eventi, piangono e, se c è bisogno, si disperano, ma sanno sempre colorare tutto coi sorrisi che hanno imparato a cogliere coi fiori. Bisbigliano le loro piccole felicità che, talvolta, raccolgono in cesti di vimini e regalano a chi ne vuole. Oppure strepitano di gioia, e corrono con le braccia aperte e, chi le guarda, sorride. Le vedo per la piazzetta: attorno i bambini ed i piccoli cani. Il sole li bacia e sembra che nulla possa restare indifferente a tanto candore. Il vetturino saluta con un gesto. Il curato si ferma, snocciola consigli e se ne va stranamente lieto. Il portalettere si ferma un momento a scherzare con loro e, dopo poco, si aggiunge un vecchio signore. Sull angolo, fra i tavoli, quell uomo pieno di vento che si lascia rapire dalla scena di cui fa parte. Immaginate come sarà quando, sonoro e fragoroso, si avvicinerà per cogliere quei fiori. Dapprima sostenuto e tormentoso, ma quando il suo vento comincerà a cantare, allora sì che i fiori voleranno ovunque. Quanta confusione faranno i bambini nel vedere i petali arruffati rincorrersi nei mulinelli d aria. E quanto abbaieranno i cagnolini! Volerà lontano il cappello del Curato che rimarrà così: stupito dal profumo dei fiori e della felicità. Quanto riderà di cuore il vetturino mentre aiuta il portalettere a radunare la posta rovesciata e, tanto, si darà da fare il vecchietto per aiutarli: Una là!, un altra di lì!, un altra ancora

8 Sorrisi come prati di fiori, risate come folate di vento ATTENZIONE! Questo testo è tutelato dalle norme sul diritto d'autore. L'autore autorizza solo la diffusione gratuita dell'opera presso gli utenti di questo sito e l'utilizzo della stessa nell'ambito esclusivo delle attività interne a L'autore pertanto mantiene il diritto esclusivo di utilizzazione economica dell'opera in ogni forma e modo, originale o derivato

9 Serena Accàscina Polizzi è nata a Catania, ma vive da sempre con la sua famiglia a Milano, dove insegna in un liceo pedagogico. Ha pubblicato un libro di poesie I luoghi del sogno (Akkuaria 2003) e sempre per la stessa casa editrice, due anni dopo, un saggio di letteratura intitolato Mille volti dell'amore: donna e famiglia tra l'800 e il 900, che ha presentato a Torino alla Fiera del Libro. Ci ha confessato che (di nascosto) scrive anche racconti. Almeno uno siamo riusciti a rubarglielo. Racconto di soldi neri 1 «Se si potesse trovare la cifra... ma dove la trovo?» Mary aveva appena accompagnato a casa il medico, venuto a visitare sua madre. - È un caso grave, un tumore al fegato. - Non ci sono speranze?» aveva chiesto lei con un filo di voce «Mah! -aveva allargato le braccia il buon dottor Zummo- Forse una speranza c è, un farmaco dalla Svizzera, ma costa l ira di Dio, signorina mia!» E se ne era andato, scuotendo la testa. Dove li avrebbe trovati quei 120 milioni lei, che era una semplice infermiera? Con il suo piccolo stipendio dell ospedale riusciva a mantenere sé e la mamma, ma non nuotava nell oro. Il padre se ne era andato da tempo, almeno 20 anni senza dare notizie di sé e la madre aveva lavorato duramente in mille modi per mantenerla agli studi: aveva fatto da bracciante, lavandaia, domestica, bambinaia e ora che Mary finalmente aveva un posto sicuro si era ammalata, benché ancora giovane, di tumore al fegato, forse per gli strapazzi e i pensieri, povera mamma! Mary tornò in camera e la trovò che dormiva tranquilla: «lasciamola così il più possibile» si disse. In quel momento sentì l allodola che mandava il suo richiamo melodioso. «Domani sarà meglio di oggi!» sembrava le dicesse... ogni mattina la sentiva ed era per lei un conforto, la sua amica allodola. Poi si vestì, una semplice gonna di jeans e una camicetta bianca, che metteva però in risalto la sua giovane e fresca bellezza, e uscì. Era domenica mattina e voleva incontrare qualcuno nella piazza della città, una graziosa cittadina in Sicilia, di fronte alle Isole Eolie. La prima persona che incontrò fu proprio Vito, il farmacista che la conosceva bene e da tempo era innamorato di lei, senza speranza. Quel giorno però Mary era troppo triste e aveva bisogno di confidarsi con qualcuno, perciò lo prese da parte e gli raccontò tutto: sapeva benissimo quel che

10 stava facendo: con la sua confidenza gli stava dando delle speranze: ma per la mamma avrebbe fatto qualunque cosa. Vito l ascoltò attentamente, poi le disse: «So io chi ci può aiutare. Non dirmi nulla, non farmi domande: conosco un amico, Juan, americano della Bolivia. Lui te li trova subito i 120 milioni!» «Sì, e poi io come li restituisco?» Si oppose lei. «Non preoccuparti, sono un regalo! Se mi va bene un certo affare che non posso spiegarti... guadagnerò tanto da farti ricca!» Rispose lui in tono sicuro. «Torna a casa e domani alle sei del mattino busserò alla tua porta, solo tre colpi, per farti capire che sono io. Aprimi senza farti vedere da nessuno e avrai i soldi!» Mary lo guardò bene in faccia: si rendeva conto di quello che Vito voleva in cambio, ci pensava almeno. Se da una parte Vito non le piaceva, dall altra c era in ballo la salute della mamma. E poi nessuno l avrebbe saputo mai, Vito sapeva mantenere i segreti. «Prometti?» Sul mio onore, sulla buonanima di mio padre! rispose Vito in tono che sembrava proprio sincero. Così Mary tornò a casa abbattuta e felice al tempo stesso: sua madre sarebbe guarita in cambio lei avrebbe dovuto sopportare una notte con Vito. Non era brutto, tutt altro, aveva però qualcosa che non le piaceva, qualcosa di poco chiaro, di viscido. Una voce interiore le diceva Stai attenta! Poi entrò in camera della mamma, la vide sofferente, ma con il sorriso sulle labbra. - Sei qui finalmente, sei arrivata! - Per Mary quel sorriso era tutto. 2 Vito con un amico, Marino La Lumia, aspettava al porto: da lontano arrivava un peschereccio di grosse dimensioni: fece un cenno con la luce a intermittenza, poi si avvicinò lentamente: sei sicuro d avere la merce? Gli chiese l amico, un marinaio dai capelli bianchi ma scuro e abbronzato, che pareva quasi un marocchino. Eccoli! Dalla nave spuntarono cinque grossi sacchetti, gonfi di qualcosa, una sabbia bianca dall odore indefinibile. Così te la mandano la roba? pensò Vito avvicinandosi. L amico però gli fece cenno di restare da parte, contrattò un poco e poi pagò. Mezz ora dopo un veloce scafo si accostò a loro a luci e motore spento; sottovoce qualcuno disse «Ehi voi, c è la roba?» L amico rispose: «Nella quantità giusta, né troppa né poca.- E Vito capì che era una risposta convenzionale. Dopo un altra contrattazione, alla quale ancora lui fu estraneo, l amico gli si avvicinò e gli sussurrò «allestiti!» che voleva dire -Sbrighiamoci, andiamo!- In una casupola che sembrava abbandonata lì nei pressi, l amico si fermò: eccoti i soldi» e gli contò esattamente 100 milioni in dollari: «ma come, così te li danno? Certo sulla fiducia rise l amico e gli mostrò i soldi a rovescio. Vito allibì. I soldi dietro erano neri, come bruciati. «ma che soldi mi vuoi dare?» chiese esterrefatto, presentendo un inganno. «Ora ti spiego, calmati, gli disse l amico, sediamoci.» E gli raccontò una lunga storia: della quale Vito capì solo una cosa. I soldi erano buoni: venivano così dall Africa, erano anneriti apposta, per ragioni di sicurezza, poi con una macchina speciale si sarebbero schiariti tramutati in moneta corrente, in veri dollari. Naturalmente venivano dal commercio clandestino di droga, ma nessuno ne faceva cenno e Vito finse di non saperlo. Tuttavia il giorno seguente per lui non fu facile spiegare qualcosa di plausibile a Mary: la ragazza sgranò tanto d occhi e poi gli disse «Mi stai prendendo in giro?» Lui si lanciò in un'accurata e complicata spiegazione sui debiti dei paesi africani, sul commercio dei diamanti in Nigeria, sui capi di Stato che volevano così preservare i loro pagamenti... «Ti giuro tesoro, nel giro di pochi giorni tutto sarà a posto!» e le si avvicinò per darle un goffo abbraccio. Mary si tirò indietro: «voglio vedere i dollari giusti!»

11 «Li vedrai al più presto, questione di due o tre giorni, ora abbracciami.» Mary diffidente s'irrigidì e lui non insistette oltre, andò via in fretta «Ci vediamo presto, magari domani.» L indomani mattina Mary si svegliò al sonoro bussare della porta: «Signorina apra per favore!» Ancora insonnolita andò ad aprire: si trovò davanti il maresciallo del paese: «Sappiamo che ieri è passato di qui Marino La Lumìa, lei ne sa qualcosa?» «Come faccio a sapere, io sto sempre qui a curare mia madre e all ospedale!» «Ma lei non è amica di Vito, il farmacista?» Rincalzò lui, con fare attento, guardandola negli occhi. «E perché non lo chiedete a lui: io nulla so, poi Vito è un amico, ma alla lontana, non come pensate voi!» e sostenne impavida lo sguardo indagatore del maresciallo. Questi continuò a fissarla per un minuto, poi le disse «Va bene, le crediamo, ma torneremo» E se andò, con fare da carabiniere sospettoso. 3 Rimasta sola Mary si sentì gelare: cosa sarebbe successo ora? Decise di rifiutare qualsiasi aiuto da Vito. Quei soldi erano troppo strani, la lasciavano inquieta. Uscita poco dopo per fare la spesa, si ritrovò nella chiesa vuota del paese: era sabato, lei non lavorava, così si trattenne qualche minuto davanti alla Madonna: non era mai stata credente, talvolta solo per abitudine, ma ora sentiva dentro una muta invocazione d aiuto: Pregò senza parole per sé e per la mamma, mentre cercava di tenere a bada la disperazione che le stava montando in cuore. All uscita un signore distinto le si accostò: «Signorina, permette, lei è l infermiera Mary Positano?» Lo guardò: sembrava un tipo affidabile, dimostrava sui quaranta, biondo, occhi azzurri, come tanti siciliani con ascendenza normanna, un fare serio e un po triste: «Non pensi male, io non sono di qui. Sono di Partanna: mia madre ora è qui, ricoverata in casa di cura, con una rara malattia, una bronchite spastica. Mi hanno parlato di lei, dicono che è una brava infermiera, gliela affido. E, poiché so che anche sua madre è malata, le prometto tutte le cure necessarie, non ho problemi finanziari.» Mary lo guardò incredula: possibile che i suoi problemi si risolvessero così in fretta? Ma il suo silenzio fu interpretato male «La prego abbia fiducia in me, non sia sospettosa!» Gli ripose di sì subito: dopo tutto era suo dovere curare i malati, avrebbe avuto un occhio di riguardo. Lo rassicurò e tornò a casa un po più sollevata, seppure non credendo molto a questa soluzione. Ma con il passare del tempo dovette ricredersi: Marco, il signore di Partanna, veniva di frequente a trovarla e vedendo che la propria madre migliorava di giorno in giorno, le dedicava sempre più tempo e attenzioni. Mary ogni giorno andava dalla vecchia signora, le prestava tutte le cure, la distraeva, le dava il buonumore con la sua compagnia. Una volta Marco le chiese «Di quanto ha bisogno per l operazione di sua madre?» Mary nascondeva anche a se stessa un sentimento di forte simpatia per lui. «Di troppo» Gli rispose, tra il triste e il sorridente. Marco aprì un libretto degli assegni «Scriva lei la cifra che occorre!» E Mary trasecolò «Possibile? Perché lei fa questo per me?» chiese con un certo timore negli occhi. Lui la guardò tranquillo«mi sento in obbligo di gratitudine, lei ha fatto tanto per me» E le sorrise, una luce calma negli occhi. Mary cercò di scacciare la voglia di abbracciarlo, Scrisse la cifra e poi non seppe che scoppiare in lacrime. Mentre piangeva, Marco la circondò con il braccio la sostenne, ma non fece nessun tentativo di più. Quando smise di singhiozzare le chiese: «Finito? Suvvia, prenda ora e veda di fare curare bene la sua mamma.» Lei lo guardò in poco, sempre più stupita, poi gli sorrise appena e corse via.

12 Sei mesi dopo, Mary era un altra persona: la mamma si era operata con successo in Svizzera, ora era convalescente a casa, doveva fare ancora controlli, ma per lei tutto era cambiato: la speranza l aveva fatta rivivere. Non incontrava più Marco, che era tornato a Partanna, con la madre guarita, ma la sua vita ora era piena di pace, anche se spesso pensava a lui. Un giorno le capitò di entrare in farmacia: non aveva più messo piede là dentro, da quando era successa la storia: chiese di Vito alla signorina «È via ai Caraibi» le sorrise sfacciata. Perché, forse le interessa?». «No per nulla!» rispose Mary piccata. E se ne andò. Ma si sentì seguire dallo sguardo ironico della ragazza, una rossa dalla bellezza prorompente. Qualche sera dopo dovette ricredersi. Incontrò Vito mentre tornava dall ospedale, la sera tardi: «Che fai qui, non sei ai Caraibi? Non preoccuparti, anzi ti devo ringraziare perché non hai parlato!» e così dicendo l abbrancò con forza. Mary si divincolò, ma tutto fu inutile. Dopo una breve colluttazione, lui la portò in macchina ad un cascinale di campagna, dopo averla imbavagliata. «E ora a noi due!». Lei stava morendo dalla paura. Solo ringraziò il cielo di avere ancora con sé le siringhe con la morfina, portata dall ospedale. Si sarebbe uccisa piuttosto che cadere nelle sue grinfie» «Dunque così hai detto qualcosa al maresciallo? Hai parlato?». «Non ho detto nulla, te lo giuro!» «E io che volevo aiutarti per tua madre! Sei un infame, sai che fine fanno quelli come te?» «Non ho parlato, giuro» «Smettila di giurare, piuttosto preparati, prima di ammazzarti mi voglio divertire!» e così dicendo si avvicinò a lei slacciandosi la cintura. Mary si oppose con tutte le sue forze, ma all ultimo, non resistendo più, pensò di fingere acquiescenza: mentre lui le era sopra estrasse dalla tasca la siringa e gliela conficcò nel fianco. Vedendolo perdere conoscenza si staccò da lui, poi si liberò dalle corde e dal bavaglio e uscì in fretta: la serata era piena di stelle, lei non aveva idea di dove andare, ma cominciò a correre in una direzione, una qualunque, verso una luce. Correndo pensava, «se lo trovano, non possono sapere di me, a meno che Vito non abbia complici...» Mentre fuggiva si imbatté in una persona, che nel buio non aveva visto: sembrava un un sudamericano: «Dov è Vito?» le chiese, e al suo silenzio stava per afferrarla per la gola, ma lei era già via, il cuore stava per scoppiarle nel petto, moriva di fatica, le gambe le dolevano, ma scappava, scappava... E qui si svegliò nel suo letto, tutta sudata per fortuna, si disse, era solo un sogno! il cuore non cessava di batterle e non si addormentò più. La medicina calmante della sera prima le aveva fatto un brutto effetto e non distingueva più tra sogno e realtà.non avrebbe saputo dire se quel che era successo era stato reale o immaginario. Sentiva però un certo dolore alle gambe. 4 Il giorno dopo era domenica, e dopo aver curata e riassettata la mamma, Mary uscì cauta di casa: non voleva guardare la farmacia. Sulla porta della chiesa, sorridente vide lui: «Marco!». Improvvisamente capì d amarlo., ma non doveva tradirsi Come stai?» Marco le sorrideva cordiale «Sei sempre la stessa!» Marco si chinò a baciarle la mano, mentre lei pensava: lui è il ricco e nobile barone Sciacchitano, non devo illudermi, non è certo adatto per me.., e viceversa. «Come sta tua madre?» le chiese «Bene, grazie a te, e la tua? «Completamente guarita!» e "Perché sei qui?" voleva chiedergli, ma non aveva il coraggio. «Prendiamo qualcosa?» Le propose lui. Ma andare al bar del paese, sotto gli occhi di tutti, non era opportuno, così lo invitò da lei a casa sua.

13 Là chiacchierarono del più e del meno. Dopo un ora non si erano accorti del tempo. Lui le parlava dei suoi affari, delle sue terre che producevano vini liquorosi e preziosi. In quel momento bussarono alla porta. Il commissario si affacciò timidamente e le disse: «Posso farle qualche domanda su un certo Vito, un farmacista?» Lei arrossì sotto lo sguardo indagatore di Marco, poi, dopo un momento di riflessione, d impulso raccontò tutto: i soldi neri, il contrabbando, tutto quel che sapeva non era molto, ma ricordava bene ogni parola, ogni sottinteso di Vito. Mentre Marco l ascoltava in un silenzio pensoso lei si rendeva conto che stava forse allontanandolo da sé. Forse lui non l avrebbe più cercata, neppure per amicizia. Ma era più forte il desiderio di parlare, di vedere un po di giustizia. Alla fine il commissario la ringraziò«potrebbe ripetere queste cose ad un processo?» «Si certamente.» Uscito il poliziotto Marco le disse solo «Stai molto attenta, non uscire sola, ti potrebbe capitare qualcosa!» Poi se ne andò. Lei sapeva di averlo perso, forse per sempre, di averlo messo nei guai, poiché anche lui aveva ascoltato tutta la testimonianza. Ma ora era stranamente tranquilla. Il commissario le aveva promesso una protezione, e poi, dopotutto, cosa poteva succederle? Nei giorni seguenti notò vari cambiamenti nel paese: nessuno le parlava più, si scostavano quando lei usciva, nei negozi la servivano per ultima. Che cosa comportava aver parlato? Tutti lo sapevano dunque? Dopo vari mesi giunse la notizia:vito e Marino La Lumìa erano stati arrestati. Da allora in paese smisero di guardarla completamente, lei non esisteva più per gli altri. Un giorno venne a casa sua una lunga macchina blu: «Signorina, per favore con noi! E una testimone importante, non abbia paura: penseremo noi a lei» Era il questore per il processo e lei doveva raccontare ciò che sapeva alla presenza di Vito e degli altri. Quel giorno a Palermo si sentì morire: quando entrò in aula, scortata da due carabinieri che la proteggevano, non vide la folla, né i giornalisti, né Vito e compari dietro le sbarre. Per prima cosa vide lui, Marco seduto in prima fila: questo le diede la forza di parlare: disse tutto quel che sapeva, reggendo lo spinoso interrogatorio della difesa, che cercava contraddizioni. Quando le chiesero come aveva fatto a far operare sua madre, disse che aveva chiesto un prestito ai medici: non fece parola di Marco. Fu l unica bugia... Vito ebbe tre anni di carcere per favoreggiamento, i compari cinque per spaccio di droga e riciclaggio di denaro. All uscita del tribunale Marco non c era più. Il giorno dopo le arrivò un mazzo di magnifiche orchidee.. con un bigliettino: «Grazie per il coraggio. Stasera a cena da me, a Palazzo Sciacchitano» Lo rigirò fra le mani, ci pensò moltissimo: ma decise di non andare quella sera. Tuttavia -si dissevoleva vedere da lontano Marco, un ultima volta. Andò in una casa vicina, da una zia, dalla cui finestra poteva scorgere l entrata del Palazzo e il giardino. Sapeva quel che faceva. Voleva solo guardarlo e poi basta. Mentre gli eleganti ospiti entravano (gli uomini rigorosamente in smoking, le donne in abito lungo) Marco, il padrone di casa li accoglieva dal cancello. Aveva un aria calma, come al solito, ma ogni tanto guardava l orologio. Forse aspetta me! si disse piano lei. Ad un certo punto vide entrare due personaggi. Appena li scorse sentì una scossa, quasi un brivido elettrico: erano due sudamericani,certo ben vestiti, ma uno dei due lo riconosceva bene. Non era stato un sogno quella notte: era l amico di Vito, il motore di tutta la faccenda, quello dell inseguimento notturno. In un attimo comprese tutto. Marco era complice, forse era lui il capo. E benedisse il suo presentimento: aveva fatto bene a non andare alla festa! Una volta avrebbe incontrato il vero amore, -si disse- il suo.

14 E mentre il giorno dopo si accingeva a salire sul treno per trasferirsi a Trento, per un concorso di infermiera, sentì il fischio dell allodola che ogni mattina la svegliava. Ora Mary e sua madre vivono in Trentino, Mary lavora all ospedale di un bel paesino di montagna. E con il medico condotto c è una certa simpatia... Domani sarà meglio di oggi le ripete l allodola ogni mattina, ma forse è una voce dentro di lei, giacché non può essere la stessa allodola. ATTENZIONE! Questo testo è tutelato dalle norme sul diritto d'autore. L'autore autorizza solo la diffusione gratuita dell'opera presso gli utenti di questo sito e l'utilizzo della stessa nell'ambito esclusivo delle attività interne a L'autore pertanto mantiene il diritto esclusivo di utilizzazione economica dell'opera in ogni forma e modo, originale o derivato

15 1 Enzo Napolitano, nato ad Arezzo nel 1939 da genitori partenopei, pur vivendo da venticinque anni a La Spezia si considera orgogliosamente napoletano. Alla passione giovanile per il teatro ha fatto seguito, più avanti, quella per la scrittura. Ha collaborato con i quotidiani Il secolo XIX e La Nazione in cronaca cittadina con note di costume, ha lavorato con radio e tv locali, scritto testi per il gruppo cabarettistico I Tafani. Per quanto riguarda la narrativa, i suoi racconti sono rimasti a lungo nascosti nel cassetto: quando poi ne sono venuti fuori, Enzo Napoletano ha vinto qualche premio letterario e pubblicato su riviste specializzate. Il pregio maggiore che si riconosce è l umiltà, che lo induce a tentare continuamente di migliorarsi. Dice in proposito: Non mi è mai piaciuto essere un dilettante, in qualsiasi campo. na vera signora Prima di accingermi a scrivere questo righe ho riflettuto molto. Mi frenava l eventualità che qualcuno avrebbe potuto farne un uso improprio e pruriginoso, frugando impudicamente nel mio intimo, ma anche e soprattutto perché avrebbe potuto ridere della forma letteraria balbettante. Non sono mai stata brava nel riempire un foglio bianco e ho sempre fatto una gran fatica a scuola per la prova scritta d italiano e questo risultava essere un grave handicap nella esclusiva scuola cattolica di S. Restituta, predefinito attracco formativo e intellettuale del ceto medio-alto cui apparteneva la mia famiglia ma ormai il dado è tratto e m impegno ad andare fino in fondo. Mi chiamo Elisabetta, comunemente Lisa, e devo questo nome alla mia nonna paterna che morì, annegando in mare, poco prima che io venissi alla vita. Mi reputo carina ma di una bellezza discreta, sufficientemente graziosa da reggere con dignità il confronto con le mie coetanee. Non sono però, come si suol dire, appariscente. Sono minuta, tutto sommato ben proporzionata e ho un viso dai lineamenti delicati di cui vado fiera. Abito sulle colline napoletane nella villa a due piani, residenza della famiglia paterna sin dai primi anni dell Ottocento. Nella zona, privilegiata da sempre, ovviamente non condividiamo con il resto della città il problema del sovrappopolamento. Siamo in pochi, ci conosciamo tutti e facciamo parte di quella che era stata una delle aristocrazie più apprezzate in Europa. Questa condizione, permeata com è di napoletanità, non ci provoca alcun tipo di ostilità preconcetta perché abbiamo ben cura di mantenere nel nostro pedigree : la signorilità. Nel Meridione in genere e nel nostro golfo in particolare la più grande onorificenza, più apprezzata dei cavalierati e dei commendatorati e anche di quello che resta dei titoli nobiliari, la più grande gratificazione viene dal sentirsi etichettare Signore. Chille è nu vvere signore!. Il che significa che, come individuo, non facendosi scudo cioè di titoli e gradi, riesce a gestirsi con misura ottenendo rispetto e soprattutto tenendo in considerazione gli altri, a qualsiasi ceto sociale

16 2 appartengano. Noi siamo stati educati con rigore a queste regole di vita. I nuovi ricchi, quelli che con i soldi riescono a comprare tutto o quasi, hanno in questo il loro tallone d Achille e sono facilmente riconoscibili e quindi tenuti ai margini. In questa piccola zona i parchi sono rimasti tali nonostante la loro quotazione commerciale avesse potuto solleticare più d uno a darli in pasto a quel saccheggio indifferenziato che, negli anni Cinquanta, ha cementificato il Vomero e le zone limitrofe. Come tutte le adiacenti, la nostra casa, aveva goduto dell intuizione ambientale di una legge borbonica che impediva, sulle alture napoletane, la costruzione di nuovi edifici che si sviluppassero in altezza tanto da impedire ai preesistenti di godere della vista sul golfo. Un panorama da mozzare il fiato che in un certo senso mi ha impedito di valorizzare appieno le mete dei miei numerosi viaggi la cui bellezza veniva istintivamente raffrontata, soccombendo, a quella che ormai faceva parte del mio DNA e del mio orgoglio partenopeo. Sul davanti un gran parco, curato ora solo saltuariamente, e un portone, con in rilievo un paio di teste di leoni, cui si accede da due speculari rampe in ciottolato leggermente arcuate. Destinata alle famiglie patriarcali dei miei avi, che l avevano occupata sempre per intero, ora sembrava spropositatamente inadeguata per noi quattro (mio fratello abitava ed aveva il suo studio in un bilocale a Piazza dei Martiri) e gran parte delle stanze erano del tutto inutilizzate. Mentre i miei genitori e mia nonna occupavano il primo piano io conservavo sempre la mia camera al secondo, da sola. Un letto con la testiera di ferro a riccioli, abbastanza spigolosa e scomoda per poggiarvi la testa e le spalle quando non ero distesa, un ampio armadio d epoca e una specchiera monumentale, con i bordi che presentavano segni d usura, che rifletteva la mia intera figura anche quando mi esercitavo di nascosto in qualche passo di danza improvvisato. Sulle mensole la mia collezione di pupazzi di peluche, circa trecento, ravvivava l ambiente reso un po' cupo da una tappezzeria a fiorellini rosa che nel tempo si era ingrigita. Nella parete di destra un enorme manifesto del film Via col vento e su quella di fronte un vecchio quadro di famiglia raffigurante il veliero che mio nonno, armatore, riteneva non avesse pari al mondo. Al di sopra del comodino alcuni quadretti, da me ricamati a punto croce, con buffi animaletti e con le mie iniziali in cirillico e poi sul comò una raccolta di boccettine di profumo che ho continuato sino ad oggi a racimolare nei negozi dei nostri fornitori nonostante la mia cronica allergia alla totalità di questi prodotti. Ricordo che dovetti rinunciare a una festa di carnevale perché, dopo essermi leggermente bagnata i lobi con una di queste essenze, mi ricoprii, nel giro di pochi minuti, di chiazze rosse e pruriginose in tutto il corpo. Fui costretta a un ricovero urgente e a una profilassi mirata che si protrasse per una settimana. Quella che in effetti abitava nella villa stabilmente per quasi tutto l arco della giornata era mia nonna, coadiuvata dalle due cameriere, una delle quali in pianta stabile da noi da circa quarant anni, che con piglio deciso dirottava allo svolgimento delle mansioni loro affidate.

17 3 Ho trascorso la mia infanzia e gran parte della mia giovinezza respirando a pieni polmoni l atmosfera rarefatta dell Istituto Scolastico gestito da suore, cape e pezza come si dice a Napoli, in cui frequentavo la scuola al mattino e compitavo nel pomeriggio, e di quella surreale di mia nonna, già molto in là negli anni, che disconoscendo di fatto l avvento della Repubblica, continuava a gestire la sua vita e a voler influenzare la mia come avrebbe fatto una gentildonna dell alta aristocrazia di fine Ottocento. La forma, l etichetta e il galateo: per lei non esisteva nient altro di importante nella vita. Alta, molto alta per la media dell epoca, segaligna, con due occhi di un azzurro chiarissimo (avevo avuto un gatto grigio con gli stessi occhi e ricordo m impauriva) che sembrava non si accontentassero di guardare ma che cercassero di penetrarti, di leggerti nell animo alla ricerca dei tuoi punti vulnerabili. Non ricordo di averla mai vista in vestaglia e men che mai in disordine: l igiene, la pulizia, il terrore dei microbi. Sempre in tiro, con i suoi capelli a crocchia fermati da un grosso spillone d argento, i suoi abiti lunghi e scuri alleggeriti molto discretamente da un candido colletto a crinolina e da un cammeo al collo fissato a un nastro di velluto nero. Il suo muoversi sempre con gesti misurati, mai un bacio, talvolta una lievissima carezza che aveva però tutta l aria di essere solo una sporadica concessione. Credo che ritenesse di volermi bene ma che razionalmente questo dovesse essere il suo comportamento per esternarlo. Per lei ero la ribelle perché lasciavo cadere i libri che mi costringeva a tenere sotto le ascelle durante il pranzo, perché continuavo a dare del tu alla vecchia fantesca che mi aveva da piccola tenuta sulle ginocchia, perché odiavo i vestiti di velluto blu, perché continuavo a trattarla con grande familiarità... Della presenza dei miei genitori ho invece solo un vago ricordo. Mio padre, uomo molto affascinante e soprattutto consapevole della sua prestanza latina, perennemente in viaggio per affari da un capo all altro del mondo, continuò a mietere successi amorosi incurante del fatto che se ne venisse quasi sempre a conoscenza. Le rare volte che mi rivedeva ripeteva sempre il solito gesto di afferrarmi sotto le ascelle, lanciarmi verso l alto per poi riprendermi con maestria e, per chetare il mio terrore, stringermi per un attimo al petto e schioccarmi un bacio in fronte; non mi stancai mai di sperare in qualcosa di meglio. Quando poi non ce la fece più a gestirmi come una palla di gomma si limitava al solito: Ciao, come stai?... tutto bene, vero?... Passava quindi oltre senza attendere la risposta che, per quanto mi riguardava, non sarebbe mai arrivata. Mia madre invece, sfiorita innanzitempo e propensa ad una progressiva pinguedine, sembrava volersi consolare tentando la scalata alla presidenza di svariati enti benefici. Bisognava vederla alle prese con gli scugnizzi, con i diseredati, con gli ex detenuti!!! Avesse riservato a me solo una minima parte di quello che sembrava un reale interessamento avrei toccato il cielo con un dito. Continuamente impegnata a organizzare pranzi, cene o lotterie di beneficenza

18 4 scompariva alla mia vista addirittura per settimane. Sono quindi cresciuta con un angosciante sete d amore il cui mancato appagamento mi portava a un altalenante e preoccupante susseguirsi di depressioni. Avevo cercato di venirne fuori con la collaborazione di Don Martino, celebrato predicatore e figura carismatica, che però si rivelò devastante con una frase che mi aiutò a precipitare più in basso: Ti senti depressa? Questa è la naturale conseguenza del peccato!. Anche se era vero che questa mancanza di tenerezza aveva indurito il mio carattere e che risultassi riluttante a instaurare rapporti amichevoli purtuttavia non mi era affatto chiaro quali fossero realmente le mie colpe o i miei peccati. C era poi una frase in latino, che non ricordo nella sua versione originale, che campeggiava nel refettorio e che diceva più o meno: Si ottiene qualcosa solo se lo si merita. Era colpa mia: non riuscivo a meritarmi una carezza... Ero sempre a battermi il petto, a fare fioretti e penitenze colpevolizzata da ferrei insegnamenti e da diagnosi impietose. Poi entrai con il fiorire del corpo nella pubertà e i relativi fremiti portarono a percepire altre esigenze mentre rimaneva però dentro di me quel sedimento di frustrazioni che non mi permettevano di liberare il mio istinto. Era il periodo in cui inevitabilmente sbocciava l attrazione per l altro sesso. Se ne parlava di nascosto tra amiche e questa scuola parallela, piena di sentito dire o di frasi rubate da libri proibiti, formava il mio approccio al campo sentimentale o sessuale il più delle volte in maniera contorta, non testata scientificamente e soprattutto non praticata. Qualcuna riuscì a passare dalla progettazione alla sperimentazione e la testimonianza arricchì, in qualche modo, il nostro bagaglio. Rimase però nell aria l ambiguità dell eventuale comportamento. Da una parte il labaro ben ritto delle cose di cui non si doveva parlare e tantomeno fare, di cui mi sentivo in qualche maniera la vessillifera, e dall altro quello, molto più libertario e se vogliamo proletario, di ogni lasciata è persa. Per le remore che ormai facevano parte del mio personale bagaglio non ebbi mai il coraggio di abiurare e passare al secondo plotone con la logica conseguenza che sono arrivata vergine al matrimonio ma naturalmente, senza cioè una gran voglia di non esserlo. Il mio matrimonio... Tutte le mie speranze le avevo delegate a quel nuovo evento. Ci conoscevamo fin da ragazzi perché lui era il figlio di un amico di mio padre ed abitavamo a un centinaio di metri di distanza. Raramente avevamo giocato insieme nel parco perché i tre anni di differenza tra di noi erano difficili da colmare, a quell età, per permettere divertimenti comuni e addirittura non ero neanche invitata a interpretare la degente, come si faceva con qualsiasi ragazzina capitasse a tiro, quando c era il gioco della clinica. Pochi rimpianti, quasi sicuramente mi sarei

19 5 rifiutata di accettare. Per la verità neanche lui veniva designato spesso come medico, imbranato com era da una esasperata forma di timidezza, e non ci sapeva fare molto con le donne. Continuava a idealizzarle oltre ogni misura, ci fantasticava e si lanciava in iperbolici voli sentimentali. Quando tornava a terra qualcun altro gliele aveva portate via. Con me ebbe tutto il tempo di svolazzare... Nessuno, in verità, mi aveva nel mirino e quando mi sfiorò la mano per la prima volta fu praticamente scritto che ci saremmo sposati. Gennaro, questo era il suo nome come tradizionalmente era scritto che fosse per i primogeniti della famiglia Caracciolo, era basso di statura, solo un paio di centimetri più alto di me, bel viso da pacioccone su di un corpo accettabile ma completamente disadatto a qualsiasi attività sportiva. Caparbio le aveva tentate tutte ma una innata scoordinazione dei movimenti lo rendeva goffo e non adatto alla competizione. Solo a cavallo se la cavava, sufficientemente, ma se la cavava. Mite, poco propenso a competere sul piano fisico, aveva consumato le sue rivincite sui banchi di scuola. In qualsiasi tipo di studio eccelleva tanto da riuscire a laurearsi in poco più di quattro anni e mezzo in ingegneria chimica. Fu assunto immediatamente da una grossa industria andando a occupare un posto di tutto rispetto all interno dell azienda ma quando si trattò di passare dalla teoria all esecuzione materiale delle proprie conoscenze di colpo si ridimensionò. Per il matrimonio era stata approntata una cerimonia di gran gusto e stile con la presenza massiccia di tutta la società altolocata e un ricevimento raffinato al Circolo Canottieri, all insegna del pesce pregiato più fresco, ricordato ancor oggi con commenti positivi da quanti vi parteciparono.io sfoggiavo un rigoroso abito stile impero che evidenziava i miei pregi e minimizzava i difetti e che mi allineava perfettamente all atmosfera che si era creata. Partimmo poi per il viaggio di nozze in Cina. Facemmo un bel po di giri turistici e consumammo, senza eccessivi entusiasmi, tutto quello che era previsto dovessimo consumare. Mi aspettavo una scintilla che potesse contagiarmi ma Gennaro non dimostrò di essere capace di accendere la miccia. Dietro l angolo, dietro quell angolo che avrebbe dovuto celare la svolta della mia vita, non trovai questo balzo di qualità. Continuai ad abitare nella villa, al primo piano, sottoposto a un costoso restauro, e le atmosfere continuarono a rimanere le stesse. Ci fu un momento, uno solo, in cui intravidi, anche nel groviglio di attrazione e ripulsa che mi investiva, lo spiraglio per approcciarmi in maniera nuova, soddisfacente almeno al sesso. Era estate, una notte torrida, le finestre spalancate e la brezza, l abituale brezza ristoratrice, che tardava.il ronzio di una zanzara, penetrante come un succhiello, interruppe quel sonno stentato ed accesi la lampada sul comodino. Accanto a me, nel letto, Gennaro non c era. Avrà provato a rincorrere il fresco sul terrazzo - pensai - e m incamminai verso il salone.

20 6 Man mano che mi avvicinavo, però, percepivo sempre più nitidamente voci, sospiri e dei veri e propri gemiti e quando silenziosamente misi piede nel salone presi immediatamente coscienza di quello che stava accadendo. Gennaro sprofondato in una poltroncina di vimini e sullo schermo televisivo un groviglio di corpi nudi che praticavano il sesso come non avrei mai immaginato potesse accadere. Rimasi nell oscurità, al riparo della tenda, a fissare il teleschermo sempre in bilico tra la decisione di scappare o, quella che più mi eccitava, di rimanere. Il culto del piacere che quelle immagini e soprattutto quelle voci emanavamo mi avvolgeva e soggiogava... Un mondo sconosciuto, che non mi apparteneva ma verso cui non provavo, con meraviglia, una intransigente ripulsa e lì, nella penombra, rimasi per una mezz ora. Distesa sul letto poi non riuscii e non volli addormentarmi. Aspettai il ritorno di Gennaro, ero in attesa che succedesse qualcosa... rimuginavo. Infine ritornò, mi si distese accanto, e io finsi di dormire. Una mano mi sfiorò, feci finta di niente... mi accarezzò più insistentemente, non resistetti e mi girai verso di lui... Mi fu sopra. Fu subito, però, un gioco scialbo, una deludente imitazione che esaurì fortunatamente in pochi minuti la sua carica lasciandomi una diffusa e acuta insoddisfazione. Forse così non può e non deve funzionare in un matrimonio e, come sempre nella mia vita, non ho ripetuto il tentativo. Non siamo riusciti a mettere al mondo figli, dopo un primo tentativo conclusosi con un doloroso aborto, e ci siamo rassegnati subito senza chiedere la collaborazione di specialisti quasi avessimo un inconscia paura di non saper donare al nascituro nulla di cui potesse essere fiero. D estate ci spostavamo nella sua casa a Capri e il nostro ritmo di vita era ormai consolidato in abitudini e in rituali e per venticinque anni sono stata una moglie fedele, rigorosamente fedele, senza nessuna frustrazione. Dedita, per educazione pluriennale, ai sacramenti non sono mai mancata alla funzione domenicale, dove mi recavo con Gennaro e, quando lui era al lavoro, m impegnavo nel gruppo delle dame di carità di San Vincenzo de Paoli. Cercavo di tenermi informata, di partecipare alla vita di società, giocavo a bridge, andavo alle mostre, a qualche dibattito e talvolta mi sprofondavo nella poltrona davanti alla televisione. Non era quest ultima la mia occupazione preferita perché, devo riconoscere, talvolta nel procedere degli sceneggiati o delle telenovelas viene esaltata una moralità dubbia ed un senso della famiglia che precipita sotto i magli di una crescente liberalità. Io me ne scandalizzavo, anche se erano solo fiction, ma sembravo la sola. La situazione ideale che si tenta di accreditare, in questi ultimi tempi poi, è quella della necessità, quasi terapeutica, del tradimento del marito o della moglie per salvare il matrimonio! Mio fratello, lo snob, l antitradizionalista, quello dalle ampie vedute, continuava a sostenere che è veramente così che si salva una unione e io non ero assolutamente d accordo. - Si stuzzicano le gelosie, si dà una scossa! - Ma guarda me, - gli dicevo io - guarda me e Gennaro. Siamo sposati da venticinqueanni e tutto

21 7 funziona a meraviglia. Allora faceva una smorfia, la sua solita smorfia, e diceva che nel mio matrimonio non c era passione. E se non c erano passione e complicità era come se non ci fosse vita coniugale: molto meglio metterci una pietra sopra. Io di questa passione ne ho sentito sempre parlare, da Santa Teresa a Lady Chatterley, ma sono convinta che sia proprio uno stato d animo riservato a poche prescelte, a me sicuramente no. Sono andata, comunque, per due settimane da uno psicologo e poi ho smesso perché credo sia una truffa, una sauna costosa in un groviglio di parole. Sosteneva, con la presunzione delle sue certezzepuzzle, che, nel mio caso, ci fossero tutte le premesse per un tradimento e, siccome questo specialista era un amico di famiglia, io ho subodorato che quella non fosse una conclusione derivante dall analisi ma che fosse supportata da qualche indizio comprovato, da qualche dritta che gli era venuta dall ambiente. In prima battuta, indispettita, ho accantonato recisamente l ipotesi ma poi, pian piano, il sospetto ha cominciato a farsi strada. - E se fosse vero? se Gennaro veramente mi tradisse? La domenica successiva ero in ginocchio davanti all immagine della Madonna di Pompei e mi sono scoperta a domandarle, tra le preghiere, se lo ritenesse possibile... Come se avessi avuto una risposta rassicurante per un po' di tempo cessai di tormentarmi ma poi ripresi a psicoanalizzarmi. In effetti corrispondevano alla realtà i sintomi che lo psicologo aveva cercato di evidenziare ottenendo la mia chiusura a riccio. Era vero che da molto tempo Gennaro non mi baciava più sulla bocca con passione e che i nostri rapporti erano sempre più frettolosi e radi ma era pur vero che non è che fosse stato molto diverso prima... C era, si, quella volta che avevamo tentato... Adesso si era solo un po' affievolita... Non dicono che è nella norma?... A questo punto ero nel guado; ne avrei dovuto parlare con Gennaro anche se con lui questo gran parlare non c era mai stato. La logica lo pretendeva e sarebbe stata la soluzione più ovvia. In effetti, durante le notti insonni che seguirono, più di una volta mi ero ripromessa di svegliarlo e di parlarne fuori dai denti ma la voce rimaneva in gola e finivo per rigirarmi sul fianco. Mi era moralmente tanto lontana l ipotesi del tradimento che mi sembrava di rischiare il ridicolo solo nell accennarlo. Poi non mi sembrava corretto, senza alcun indizio, rivolgere un accusa simile ad un uomo educato, carino, che non aveva mai dato adito al alcun sospetto. C era stata un occasione in cui, per la verità, avrei potuto approfittare di una sua gaffe per cogliere la palla al balzo ma non riuscii a cogliere l attimo. Aveva tentato di farmi tornare alla memoria quella paella che - diceva - avevamo mangiato insieme all Hotel Miramare di Formia. Non mi risultava che noi fossimo stati insieme a Formia, all hotel Miramare a mangiare la paella e

22 8 glielo contestai. Lui dapprima sostenne la sua versione poi si contraddisse e quindi ammise di aver mescolato varie circostanze diverse e tutto fini lì. L insonnia però continuava a perseguitarmi e a mettermi alle strette per cui decisi di prendere l iniziativa. In breve una mattina, dopo l ennesima notte in bianco, sono balzata giù dal letto e ho telefonato a mio fratello dandogli un appuntamento a un bar del centro dove soleva prendere il secondo caffè della sua giornata. Ma insomma, cosa c è di tanto urgente da non poter aspettare? Scusami... Non dormo da giorni per l angoscia e volevo parlartene. Prendi anche tu il caffè, vero? Si. Ci porta due caffè? Senti, Carlo, mi sento in fibrillazione come mai sono stata. A causa di Gennaro. Debbo sfogarmi. Se non ne parlo con te con chi ne parlo? anche se tu sei amico, più che amico di Gennaro... Ma dopotutto e soprattutto sei mio fratello. Tu lo conosci bene, più di qualsiasi altro. E se lui mi tradisce tu... Non mi ha fatto finire la frase perché ha di colpo piegato il capo e ha cominciato a parlare evitando accuratamente di incrociare il mio sguardo. Sono stordito... Non potevo mai immaginare che l avessi scoperto... Io lo guardavo inebetita. Non capivo niente, non capivo un accidente e lui non mi diceva niente che mi aiutasse a capire. Tu sei un anima devota, Lisa... Sei una moglie e una sorella esemplare, sei però una donna con un ottica diversa, poco incline a transigere sulla ineluttabilità di certi ardori, come li definisci tu, anomali. Ammesso sempre che qui possa valere una regola universale che stabilisca che cosa si deve o non si deve fare per venire incontro ai propri impulsi. Qualche volta ho cercato di fartelo capire ma non sono riuscito a mettere in sintonia la tua assoluta ingenuità con la mia volontà di essere chiaro. Ora che ti si è squarciato il cielo, Lisa, ora finalmente avrai capito... Assolutamente niente, continuavo a non capire niente se non a prendere coscienza che lui conoscesse già da tempo la sbandata di Gennaro e che, in un certo senso, la giustificasse o addirittura fosse dalla sua parte. - Ma che razza di fratello sei, Angelo? si era a questo punto e non mi hai detto niente? Girò il viso e mi fissò confuso, in grande difficoltà, per cui anche un suo estremo tentativo di balbettio fallì goffamente. Mi alzai e me ne andai di scatto ma nel varcare la soglia mi resi conto di aver abbandonato la borsetta sulla spalliera della sedia. Mi faceva ripulsa ritornare da lui ma mi feci forza; gli arrivai alle spalle senza che se ne accorgesse. Parlava al telefonino non tanto sottovoce da impedirmi di ascoltare.

23 9 - Pronto Gennaro? Sono Carlo. E successa una cosa che non avevamo previsto. Mia sorella mi ha voluto assolutamente incontrare stamattina dicendomi poi di aver scoperto la nostra relazione. No, non mi sembra che l abbia poi presa così male. Mi è sembrato piuttosto che fosse imbestialita per il fatto che glielo avessimo tenuto segreto fino ad ora... Mi ero ripromessa, signor giudice, di scrivere solo un memoriale ma mi accorgo di essere andata ben oltre, al limite di una vera e propria autobiografia. Il silenzio della mia cella ha favorito questa lunga confessione che spero sia utile a lei e soprattutto a me impedendovi di sezionare, con sadismo, in tribunale la mia intimità per poi sacrificarla su quell altare che voi chiamate verità. Questi fogli mi consentiranno, durante il processo, di avvalermi del mio diritto di non rispondere senza intralciare il percorso della giustizia. Per quanto riguarda i dettagli del doppio assassinio confermo che sono stati trascritti correttamente nel verbale che contiene la mia confessione e che ho controfirmato. Credevano, signor giudice, di non dovere neanche più essere vincolati ad un minimo di buon gusto e di pudore: li ho scoperti avvinghiati nel mio letto! Su questo na vera signora non è disposta a transigere! Non so se possa costituire un attenuante e non m importa granché. Quello di cui mi pento è però di non aver effettuato prima quello che, dopo l assassinio, ho freddamente messo in atto. Sono andata in auto in via Caracciolo e ho adescato, in segno di spregio e vendetta, uno sconosciuto. Ho raggiunto però, signor giudice, in quell occasione e per la prima volta in vita mia, l orgasmo! Se lo avessi fatto prima, Gennaro e Carlo sarebbero ancora vivi ed io una sgualdrina libera e soddisfatta. Come sempre ho sbagliato i tempi. Distinti saluti, Elisabetta Filangieri ( detta Lisa ). ATTENZIONE! Questo testo è tutelato dalle norme sul diritto d'autore. L'autore autorizza solo la diffusione gratuita dell'opera presso gli utenti di questo sito e l'utilizzo della stessa nell'ambito esclusivo delle attività interne a L'autore pertanto mantiene il diritto esclusivo di utilizzazione economica dell'opera in ogni forma e modo, originale o derivato

24 Giulia Lenci non è soltanto un autrice che dimostra padronanza del linguaggio e della scrittura, ma anche (e questa sì che non è dote da poco) una camaleontica creatrice di storie in cui riesce a identificarsi perfettamente nei personaggi, qualunque ne sia l estrazione, il sesso e l età. Per ha esordito nella scorsa primavera con la cupa short story Eclissi. Torna adesso, a grande richiesta, con un altro racconto inedito in cui si miscelano perfettamente un ossessiva attenzione ai dettagli e un intensa sensualità. Marea Ti ha sempre affascinato. Una manciata d ossa articolate come in un puzzle, ossicini dall apparenza insignificante. Eppure tutto poggia su di loro, sugli incastri perfetti. Non ti stanchi di osservarlo, nella sua eleganza spartana, la sinuosità attraente. E quell incavo invitante, la chiave di volta di un arco dal nome discutibile : scafoide. Lei passa e ripassa davanti a te immerso nel tuo libro. Sai che vuole qualcosa, ma non t interessa. Si muove lenta, quasi non sapesse dove andare. Tu sai che la sua meta sei tu. Non alzi gli occhi. Sei irritato dal ticchettio dei tacchi a spillo. Riesci a sentirlo anche sul tappeto. Punte che trafiggono senza riguardo. Detesti le calzature. Sono umilianti, pensi, per una parte così bella del corpo, così armoniosa e animalesca in quella che ti sembra un autonomia tutta sua. Guardi la forza potente e discreta del tendine ( muscolo estensore lungo dell alluce ) che solleva la pelle sottile mentre il piede vola nell aria. Lei ha cambiato stanza per un attimo. Senti lo sfrigolio di un fiammifero. Poi ancora il ticchettare fastidioso e indolente. Cammina adagio, appoggiando tutto il peso su di una gamba prima di mettere avanti l altra. Sai che incede ancheggiando. Facile che non abbia quasi più niente addosso. Non ti riguarda. Il trucco è in quei legamenti ( calcaneo-navicolare plantare e tibionavicolare ) anche se i muscoli hanno la loro importanza ( pensa all abduttore dell alluce ) e resti meravigliato ogni volta che ne ammiri il disegno, che Ha spento la luce. Ti sposti un po più a destra, dove s affloscia il velo argenteo della sera che avanza. Da sotto le ciglia ti arriva il bagliore tenue della candela che lei depone sul tavolo. Si avvicina e pian piano ti cammina alle spalle. Ha il profumo speziato che ti piace, ma non ti volti, sei troppo preso nella lettura. S è fermata un istante a scrutare le pagine tra le tue mani. Solo un istante. E tutta la sequela magnifica di pezzetti (dal calcagno all astragalo al cuboide e i cuneiformi, fino alle minime falangi distali ), di legamenti (dorsali, plantari,lunghi, corti, laterali, posteriori, biforcati ) di muscoli ( flessori, interossei, brevi, adduttori, lombricali ) tutto questo è nascosto dalla barriera trasparente della pelle liscia. Levigata dalla luce timida della candela.

25 Che strano, questo silenzio. Eppure sta arrivando a te. Con passi soffici, attutiti dal tappeto. E a piedi nudi. Lo noti subito, quando si ferma di fronte. Anche il resto è nudo. Pelle ambrata dal chiarore smorzato della fiammella dietro di lei. I suoi occhi danzano in un luccichio allettante. Ma non ti muovi, sei tutto nei tuoi pensieri che non vuoi abbandonare. Allora lei scosta con una mano i capelli dal viso e sorride. Non ricambi il sorriso. Ti sta seccando. Non vuoi che sieda vicino a te, non vuoi niente. Vuoi stare solo. Prende la poltroncina a fiori e si accomoda proprio dinanzi. Emerge da mille petali colorati. Stai pensando a che animale puoi paragonarla, quando lei si china e ti slaccia i pantaloni. Non ti muovi, non alzi nemmeno il libro appoggiato alle gambe. Ma lei lavora con le dita veloci tra te e il libro e ottiene quel che vuole. Quel che vorrebbe, pensi tu. Sospiri fissandola. Allora solleva le mani, le posa lievi sulle tue tempie e le trascina giù sul tuo viso serio, sul collo. Le stacca e sventola le dita guardandoti di sotto in su, come a prometterti una sorpresa. E infatti. Si spinge indietro e allunga le gambe. Non hai tempo di notare il guizzo dei muscoli (vasto laterale, sartorio ) che qualcosa s impone tra te e il libro. Su di te. Sono i suoi piedi, accovacciati in modo da far tremare i pilastri che hai dentro ( fasci dell aponeurosi dell obliquo esterno) Lanci il libro a terra. Un tonfo secco in cui l alone di luce vacilla. Con le mani le circondi le caviglie (indugi sui suoi malleoli) mentre lei si accomoda meglio coi movimenti di un gatto che affonda e solleva, affonda e solleva. Il suo lavorio ti provoca ondate di brividi che dall inguine si espandono in ogni fibra. Ti aggrappi a lei come un naufrago spaventato dal marasma che ti ribolle addosso. Lei sorride e stringe gli archi dei piedi uno contro l altro, a comprimere il tuo desiderio ed esaltarlo compiaciuta, in massaggio lento dal basso in alto e ancora da un capo all altro dei tuoi pensieri addensati lì tra i suoi piedi. Non vuoi più sapere niente. Vuoi solo sentire. Chiudi gli occhi e allenti la presa. I tuoi polpastrelli seguono il fremere silenzioso delle sue mosse decise e morbide. E una marea che cresce e ti sommerge e poi si ritira abbandonandoti e svelandoti alla pallida luce della notte. E sotto le dita ancora la senti salire dove la tua sensibilità è esasperata, lambirne appena l apice e inesorabile ridiscendere nel fruscio di un gioco che sembra non finire mai. Tu non vuoi che finisca. Ti muovi ad assecondare quell andirivieni, sprofondando nel fermento della frenesia accumulata sotto quegli archi flessuosi e mobili. Anche il tuo respiro si libera in lunghe folate violente, come un vento impetuoso che ti scuote e annichilisce ogni residuo di resistenza, lasciandoti in balia di ondate sempre più alte e di risacche vertiginose che sbattono su te con forza, senza più remore. Non riesci ad appigliarti a nulla, ti dibatti nel panico oscuro di restare sommerso troppo a lungo e non poter respirare. E la lotta tra il tormento della vita e la pace desiderata e temuta della morte. Hai pochi gemiti, prima di desistere e abbandonare le mani ai tuoi fianchi, nella resa che ti strappa un rantolo, nel mugghiare di un maroso inarrestabile, in cui ti immergi disperato, determinato ad affondare senza annaspare. Come un relitto affiori nella quiete ritrovata, il viso imperlato di gocce salate che scivolano lievi. Galleggi nella penombra ovattata approdando a lei con un sorriso. E gli ultimi rivoli leggeri scorrono giù, tra i suoi piedi, come la spuma di un onda.

26 ATTENZIONE! Questo testo è tutelato dalle norme sul diritto d'autore. L'autore autorizza solo la diffusione gratuita dell'opera presso gli utenti di questo sito e l'utilizzo della stessa nell'ambito esclusivo delle attività interne a L'autore pertanto mantiene il diritto esclusivo di utilizzazione economica dell'opera in ogni forma e modo, originale o derivato

27 Eliselle, presentata da non molto tempo, si è già rivelata come uno degli autori più ricercati e apprezzati dai visitatori di Autrice versatile e prolifica, i cui racconti sono apparsi recentemente (tra l altro) nelle antologie Amori diversi (Malatempora) e Tua con tutto il corpo (Lieto Colle). Non ancora contenta delle 1001 iniziative cui si dedica, da giugno gestisce in prima persona anche un editoriale sulla rivista on-line Chic Trills. Mai da sola Quando l ho detto a mamma, quasi mi ha riso in faccia. Non ci ha creduto. E sempre così presa dalle sue cazzate e dai suoi importanti impegni, che non mi ha degnato nemmeno di un commento, nemmeno di uno sguardo, per ribattere a quello che le ho rivelato. L ha preso per uno scherzo. Ha continuato a fare quello che stava facendo, senza battere ciglio, e mi ha intimato semplicemente di piantarla. Di non pensare alle mie solite stupidaggini e di rigare dritto. Di andare a studiare subito. O lo avrebbe detto a papà. Certo, questa eventualità sarebbe stata pericolosa. Mio padre è più severo di lei, ma anche più attento. Le ho prese diverse volte da lui. Schiaffi in faccia, anche, di una violenza inaudita. Mi lasciava il segno per giorni. Poi il segno se ne andava, e mi rimaneva la consapevolezza che, se non altro, mi aveva dato la sua attenzione. Mia madre alla fine non gli ha detto nulla. Io sono uscita di casa incazzata, sfidandola, fregandomene di lei e dei suoi ordini. E quando sono tornata, la tempesta che mi attendevo di trovare non c è stata. Come al solito, mia madre si è rivelata solamente un bluff. E stata la goccia che ha fatto traboccare un vaso già troppo pieno. E quella che doveva essere solo una sfida, si è trasformata in idea. E l idea si è trasformata in progetto. E io, ora, questo progetto lo sto portando a termine. Sono fredda e calma. Come se stessi giocando con la vita di qualcuno che non conosco, o con quella di un ratto di fogna, che non è utile alla società e porta solo malattie. Mi sento proprio così, un ratto. Un ratto infetto. Senza speranza alcuna. Sono sprofondata in uno stato depressivo. E nessuno se ne accorge, in casa mia. Mio padre torna a casa tardi dal lavoro. Poi esce. Va al bar per vedere gli amici. Mia madre si piazza davanti alla televisione per guardare quei programmi idioti del cazzo, pieni di persone che non sanno fare altro se non atteggiarsi a divi o a esperti di qualcosa. Non hanno talento, non hanno cervello, sono complete nullità. Per questo motivo hanno successo. Omologati alla gente media. Che non è niente. Si guarda quegli schifosi programmi da casalinghe frustrate. Quelli dai contenuti meno di zero. Una volta le ho detto quello che pensavo della roba di cui ogni giorno si riempie la testa vuota che si ritrova. 1

28 Mi ha risposto di farmi i fatti miei, e di non parlare a quel modo. Visto che lei e mio papà mi hanno insegnato l educazione, non posso essere così sboccata. Mi ha detto che devo portare rispetto. Si sarà chiesta da chi ho preso l abitudine di dire cazzoculomerda. L ho presa dalla mia migliore amica. Lei è una tosta. Credo che mi mancherà. Oggi ho finalmente iniziato a mettere in atto la fase finale del mio progetto. E un piano meticoloso, non è stata certamente una cosetta da niente, non è roba che si organizza in quattroequattrotto. Serve un sacco di pazienza, e io ne ho avuta in abbondanza. Ho atteso diciassette anni, di certo ho potuto attendere qualche mese in più, senza problemi. L idea mi è venuta da una notizia che ho sentito poco tempo fa al tg. E già immagino gli articoli di giornale che scriveranno su di me. Si butteranno come iene affamate sulla mia carogna, e mi faranno a pezzi. Giocheranno con la mia vita, col mio passato, con la reputazione dei miei genitori. So già i nomi che mi daranno. Mi chiameranno emulatrice, debole, infelice. E probabile che io sia tutto questo, com è probabile che non lo sia. Ma sono certa che quando usciranno fuori questi articoli, non mi interesserà più. Anzi. Probabilmente troverò anche il modo di riderci sopra. Non si può mai dire. Non ho voglia di fare i compiti. Odio inglese, e poi non mi servirà a niente. Accendo il computer scassato, e mi collego in rete. Scarico la posta. Cazzate, spam, altre cazzate. Le solite catene a cui non crede più nessuno. La devono smettere di mandarmi richieste di aiuto per bambini malati o in fin di vita. Perché nessuno chiede aiuto per me? Perché è evidente che sono richieste finte. Quei bambini non esistono, sono invenzioni per farti provare compassione, pietà, tristezza e altri generi di sentimenti che dovrebbero farti sentire più umano, più propenso ad aiutare i tuoi simili. Se ne andassero a fanculo. Sono morta dentro e a nessuno frega niente, perché a me dovrebbe fregare di loro? Ci sono un paio di mail importanti. Queste contano davvero. Mi aspettano. Devo andare, mi aspettano. Vado sul mio sito preferito, digito il mio nickname, la mia password, ed entro. Sono lì che mi aspettano. Come mi avevano promesso. Mi salutano. Sento il calore uscire dallo schermo e trapassarmi l anima. Dicono che la rete è asettica e impersonale, che le emozioni non possono esistere in rete. Si sbagliano. Io le sento, le provo ogni volta che vedo i miei amici, ogni volta che mi rendo conto di non essere da sola. Mai da sola, non credo lo sopporterei. Vivo già abbastanza la solitudine in casa mia, a volte mi soffoca talmente tanto che devo uscire a prendere una boccata d aria. A respirare piombo e libertà. Non mi comprendono. Mi ritrovo a combattere contro i miei demoni senza l aiuto di chi dovrebbe pensare a me. Chi mi ha partorito tra lacrime e sangue ora si rifiuta di fissarmi negli occhi, quando mi parla, e continua a guardare la tv come nulla fosse. E ha il coraggio di dirmi che devo staccarmi dal computer. Perché dovrei? E l unico contatto che ho col mondo. Col mio mondo. Perché dovrei privarmene? Perché mia madre può ignorarmi, fingendo di ascoltarmi, e io non posso fare lo stesso? Sono una ragazzina. L unica giustificazione plausibile per ogni cosa sbagliata che dico o faccio. Sono una ragazzina e non posso capire. Mi trattano come una bambola di pezza senza cervello. 2

29 Mi hanno messo una testa posticcia, rammendata e ricucita al volo, senza troppa cura. Mi vogliono bambola vuota. Mi hanno strappato il cuore, le viscere. Tanto non servono, tengono solo posto per niente. Al posto delle viscere, semplici nozioni. Devo fare questo, non devo fare quello. Devo non devo devo non devo. Nessuno che mi chieda mai se voglio. Se preferisco. Se mi piacerebbe. Anche gli abiti me li compro di nascosto, perché non vogliono che metta roba strana. E così strana che ce l hanno tutte. Tutte tranne me. Così, frego i soldi nel portafoglio di mia madre. Un po ogni giorno. Così non se ne accorge e io accumulo a fine mese un quantitativo sufficiente per andare a fare shopping di nascosto con la mia amica Lily. Invece della scuola, andiamo a comprarci magliettine carine o jeans coi brillantini, da mettere al sabato sera. Io li lascio tutti a casa sua, perché lei non ha genitori come i miei. I suoi non le fanno le storie. Così una volta uscita coi miei soliti stracci addosso, senza far insospettire mia madre vado da lei e mi cambio. Mi trucco. Devo iniziare a parlare di tutto questo al passato. A Lily l ho detto, ma lei non è sembrata troppo convinta. Mi ha detto di lasciare stare, che è una cosa figa ma che forse non ne vale la pena. Che questa merda prima o poi finirà e ce la spasseremo, io e lei. Magari in un piccolo appartamento insieme. Senza genitori tra le palle. Parla bene, lei. Le lasciano fare quel cazzo che vuole. Io le voglio bene, perché lei è davvero una tosta, si fa rispettare anche dai suoi vecchi, ma proprio per questo non può capirmi. Non del tutto. Io sono schiacciata. Soffoco. E non riesco a farle capire la sensazione che provo. Non riesco a spiegarle come mi sento. E troppo lontano dalla sua percezione delle cose. La mia vita fa schifo, non mi piace. La odio, è orribile. A lei la sua piace, e molto. Si lamenta, ma alla fine ha tutto ciò che vuole. Come può comprendermi? Digito il mio nickname. Digito la password. Entro nella chatroom. Saluto globale. La mia valvola di sfogo, la mia unica, ultima speranza. Ci sono tutti, c è anche quello nuovo che conosco poco. Lo saluto. E fidato. Lo hanno trovato da poco. E il nuovo aspirante. L ultimo. Siamo in cinque, il numero perfetto. Ora non ci ferma più nessuno. Nella stringa scrivo una frase in codice, per fare capire che sono davvero io. Le precauzioni non sono mai troppe. Gli altri quattro presenti mi rispondono con le loro. Se ripenso a come mi sentivo all inizio, quando ero sola, mi viene da piangere. Accendevo il computer e giravo in rete, con mia madre di là che stirava guardando la tv e i suoi programmi del cazzo, coi sensi allertati per non farmi beccare. Navigavo senza una méta, cercando non sapendo bene cosa. Cercavo anime gemelle. Anime coraggiose che mi aiutassero nel mio viaggio. Cercavo cercavo cercavo, senza sosta. La mia ricerca è stata lunga, ma alla fine ce l ho fatta. La prima che ho incontrato è stata Babe. Abita all altro capo della città, ci siamo viste un paio di volte. Non mi ha mai detto il suo vero nome. Come me, del resto. Ha la mia età. Ha capelli neri e folti che le ricadono sulle spalle come un fiume di pece. E davvero bella, Babe. E stata lei a introdurre il suo ragazzo, Gotian. Un mostro. E proprio vero che l amore è cieco. Lui è stato il secondo a entrare nel circolo. Si può dire che sia stata Babe a trovare me. Mi ha colpito il suo silenzio sullo schermo. 3

30 Ho visto apparire il suo nick sulla colonna dei presenti, e ho visto sulla schermata della chat la frase di rito Babe è entrata in chat, e poi il nulla. Dopo cinque minuti, una sola frase, secca, lucida, ha preso vita dalle sue dita: La mia vita schifo, tutto è orribile. Ho solo voglia di morire. C'è qualcuno che vuole farlo con me?. Era lei. Ho capito che era destino, che lei era lì per me. L ho contattata in privato. Le ho detto semplicemente: Ci sono io. E da lì è iniziato tutto. Abbiamo cominciato a parlare. Abbiamo creato una zona privata. Eravamo solo io e lei. Per conoscerci meglio. Stessa città, stessi gusti, stessi ambienti, anche se in zone diverse. Ci siamo capite subito. Insieme abbiamo creato una squadra. Lei stessa ha iniziato Gotian. Gli ha fatto promettere con un patto di non rivelare a nessuno, nemmeno al suo migliore amico, che cosa stavamo facendo. Gli ha inciso la pelle con una lametta, ha raccolto una goccia del suo sangue e gli ha detto di giurarlo davanti a noi. Lui ha obbedito. Dopo qualche settimana dal nostro incontro, è stata la volta di FallenAngel. Una biondina con qualche chilo di ciccia che strabordava dai jeans a vita bassa. Si sentiva brutta e sola, per questo ha iniziato a frequentare le chat. E entrata una sera in cui fuori c era un temporale pazzesco. Lo ricordo bene, perché le tapparelle sbattevano impazzite ma mia madre se ne stava tranquilla come se niente fosse davanti alla tv, a vedere qualche talk show o reality inutile, l ennesimo della sua vita. FallenAngel aveva iniziato a dire di aver appena avuto una crisi di panico. E io l ho invitata a parlare in privato. Mi ha detto una frase che mi ha colpito: Penso sempre più spesso che voglio farla finita. E così, anche lei è stata accolta nel progetto. Con l arrivo di Mark, ora siamo al completo. E abbiamo un vantaggio in più. Mark ha diciotto anni, genitori ricchi, che non gli hanno mai fatto mancare nulla. Ha una bella auto spaziosa intestata a lui, ha una patente di guida presa da appena un mese, validissima. Così non dovremo fare troppa fatica, e non dovremo nemmeno rubare un auto a qualcuno. Ce ne andremo in punta di piedi, saliremo con lui, e ci faremo una bella gita in collina. L ultima della nostra vita. Senza disturbare nessuno. Senza trasformarci delinquentelli da quattro soldi. Tutto più che legale. Lo dico in chat. Espongo il mio piano, ora. Il momento è arrivato. Sapevamo tutti che sarebbe giunto. Era solo questione di tempo. Deglutisco, e inizio a picchiettare le dita sulla tastiera. Sono veloce. Sono diventata brava, dopo mesi di allenamento. Dico che sarebbe bello se domani ci trovassimo al nostro solito parco, alla solita ora. Come se niente fosse. Sarebbe bello se Gotian portasse la sua bomboletta spray, per poter scrivere sul muretto i nostri nomi, il nostro addio al mondo con un degno Fuck the world spruzzato con mano ferma su tutto il lato nord, che dà sulla strada. Fregandocene dei passanti che ci guardano con aria di rimprovero, e lanciano improperi e insulti a mezza voce, chiamandoci teppisti e pensando alle spese che il Comune dovrà sostenere per cancellare quelle scritte. Il nostro testamento. Il nostro lascito a questo schifo di vita. 4

31 Dico che sarebbe bello se dopo Mark ci caricasse sulla sua Mercedes nuova di pacca, e ci portasse fuori città. Sulle colline, fuori dalla civiltà. Sarebbe bello se ci fermassimo nel cortile di una vecchia casa abbandonata e in rovina, al sicuro dalla gente, dagli occhi degli adulti, dai giudizi degli altri. E sarebbe bello se una di noi, una in gamba come Babe, scendesse e collegasse un tubo di gomma alla marmitta, e lo facesse arrivare fino all interno dell abitacolo attraverso un piccolo spiraglio del finestrino abbassato. Nell abitacolo dove la aspettiamo io, Gotian, Mark e FallenAngel. E dopo aver preparato tutto alla perfezione, sarebbe bello se anche Babe si unisse a noi. Lo dico in chat, e nessuno interviene. Sono tutti lì ad ascoltare. Pendono dalle mie labbra. Mi sento importante. Per una volta nella vita, mi sento una tosta. Racconto di come mi immagino il nostro viaggio. Noi, addormentati stretti, mano nella mano, che scivoliamo piano nell oblio della morte, accompagnati da sogni di ali e nuvole e fiori e amore, perché morire fa paura e io non voglio avere paura, quando domani accadrà. Babe scrive: Sono d accordo. E risoluta, lo percepisco attraverso lo schermo. Dopo di lei, tutti gli altri. Io e lei, insieme, siamo le più forti. Se siamo d accordo noi, lo sono tutti. Ci diamo appuntamento. Un orario semplice. Ci salutiamo, poi stacco la connessione e spengo il computer. Dò un occhiata in salotto. Mia madre dorme sul divano, col telecomando in mano. Non è riuscita a reggere fino all ultimo al programma che stava guardando. Come madre vale poco. Sognando di vivere un altra vita, sta aspettando mio padre, che ritornerà a mezzanotte. Io so che lei sospetta che ha un altra, e anche io lo credo, ma non mi importa: se non è riuscita a tenerselo stretto, significa che anche come donna vale poco. Non le piace la sua vita, si vede lontano un miglio. In fondo, la capisco. Anche a me fa schifo la mia. Ma non ho intenzione di ridurmi come lei. Quando le ho urlato, l altro giorno, che pur di non vederla più l avrei fatta finita, l ha presa a ridere. Ha creduto fosse una stupida provocazione di una stupida adolescente in preda alle sue crisi ormonali. Si accorgerà presto che non è così. Che si è sbagliata di grosso. Forse dopo capirà. Anche se sarà troppo tardi. Anche se i giornali la dipingeranno come una madre distrutta dal dolore. Anche se insinueranno che la nostra era una famiglia con problemi di comunicazione. Anche se finiranno per intuire che lei era una madre incapace e assente. Che nessuno mi dava attenzione. Di me diranno che l ho fatto per emulare altri ragazzi che, prima di me, hanno scelto lo stesso modo stupido di morire. Ci ricameranno su. Ci scriveranno sopra anche qualche romanzo, chissà. Pieno di tutte le loro paranoie moraliste e buoniste, quelle che amano tanto. Che facciano pure. Mi dispiacerà solo per Lily, che dovrà andare da sola a fare shopping. I miei vestiti se li terrà lei, tanto li ha già a casa sua. Almeno sono sicura che qualcuno li utilizzerà, dopo che sarò morta. 5

32 In fondo non mi preoccupo: si troverà una nuova amica. Perché anche lei, alla fine, proprio come me, odia la solitudine più di ogni altra cosa. Anche lei, come me, non farebbe un bel niente, se fosse completamente e irrimediabilmente sola. Nemmeno shopping al posto della scuola, come facciamo ogni tanto. Come farà da domani, quando io non ci sarò più. ATTENZIONE! Questo testo è tutelato dalle norme sul diritto d'autore. L'autore autorizza solo la diffusione gratuita dell'opera presso gli utenti di questo sito e l'utilizzo della stessa nell'ambito esclusivo delle attività interne a L'autore pertanto mantiene il diritto esclusivo di utilizzazione economica dell'opera in ogni forma e modo, originale o derivato 6

33 Mario Cotrozzi Batacchi partecipò con un elaborato interessante e ben scritto al grande concorso Tandem, lanciato da nel Torna ora per farsi conoscere dai visitatori del sito, con una storia intrisa di malinconica fantasia. Di sé racconta soltanto: Leggo da sessant'anni e da una decina scrivo fiabe e piccole storie per mia nipote. L uomo solo e la città Gli occhi della città non potranno mai vedere l uomo solo. La città guarda passare i suoi abitanti con l assenza di un tiranno davanti al quale sfilano gli schiavi e nessuno se ne preoccupa. Lei, la città, è troppo grande, ha un cuore arido, vive di miti, di coloro che la illuminano guardando tutti dall alto in basso, e tutti sembrano esserne felici evviva tizio evviva caio e alla loro dipartita si muovono apparati e folle piangenti era il migliore è stato una guida per tanti. Nessuno speri mai nell aiuto e nell amicizia della grande città. Nessuno s illuda di poterle confidare una pena o un entusiasmo, essa è più indifferente della luna che ci osserva di notte. Io so bene cos è una città, poiché sono un uomo solo, uno dei tanti che per fame si sono imbarcati su di una carretta del mare per offrirsi un ultima possibilità di sopravvivere. Mi spiace davvero, non volevo affliggervi con i miei problemi, con questa storia ho voluto soltanto raccontarvi cose che non tutti conoscono. Questa è la storia di un uomo solo, che sapendo di non poter sperare nella compagnia della luna, un giorno si mise alla ricerca di qualcuno che lo aiutasse a superare la sua solitudine qualcuno che accettasse la sua amicizia, lo aiutasse a vincere l insensibilità che lo circondava. All inizio della sua avventura percorreva lentamente le strade guardando a lungo la gente, spiando timoroso, cercando sui loro volti un segno d intesa, un occhiata amichevole. Ma nessuna donna aveva voglia di sorridergli perché aveva la pelle scura e non sapeva sorridere. Nessun uomo gli rivolgeva la parola scambiando la sua muta preghiera di confidenza per un inquietudine interiore. Attorno a lui vi era soltanto il colore dell indifferenza, tant è che nemmeno i poliziotti gli badavano, poiché egli era troppo timoroso di recare disturbo. La gente in cui egli scorgeva una lieve traccia d interesse, subito fingeva di non vederlo per timore d essere importunata.

34 Avrebbe accettato perfino la compagnia delle ragazze che trascorrevano le loro notti per la strada, ma non aveva il coraggio di guardarle per non offenderle. Di solito abbassava gli occhi e s incamminava svelto per sfuggire ai loro inviti. Non osava mai dire una parola ai mendicanti per non ostentare la sua generosità dopo aver fatto l elemosina, e spesso non udiva neppure il loro automatico ringraziamento. Era più invisibile dell aria di un mondo destinato ad accorgersi soltanto delle presenze imposte dalle regole del gioco e lui sapeva bene di aver perso la battaglia con la città. Le case, gli uffici, l aria inquinata, i sobborghi, tutto assumeva l aspetto di un castigo, nessuna cosa aveva per lui un gesto cordiale. Sognava i vasti cieli della sua Africa, spazi infiniti percorsi da leggere brezze prati fioriti su cui qualcuno sapesse toglierlo dalla prigionia di quella città senza cuore ma gli uomini della città lo ignoravano perché loro hanno sempre avuto il terrore dell intimità sociale. Egli trascorreva sterili giornate nei suoi silenzi, non ricordava più neppure il timbro della sua voce Immaginava addii e partenze pur di aver qualcuno da salutare, fantasticava tradimenti e abbandoni pur di provare una gelosia, una smania appassionata. Ma la città lo lasciava tranquillo come una statua in una piazza deserta La città aveva i suoi miti da adorare, centinaia, migliaia di dei indifferenti che dall alto dei loro troni pretendevano tempo, energie e danaro. Un giorno decise di andare al giardino zoologico. Vide leoni e pantere, una povera volpe scheletrita, aquile, avvoltoi, tante creature che con la loro prigionia rallegravano i bambini. L uomo solo sperava di trovare un amico tra quelle bestie, ma sebbene provasse per loro una triste simpatia, sentiva che le affinità si spegnevano in una penosa ironia. Le zebre gli parvero non necessarie, i cammelli privi d'interesse, i pappagalli noiosi. La volpe era sempre in piena agitazione per il desiderio costante di fuggire, le scimmie non erano capaci che di farsi dispetti, i leoni apparivano belli, ma rispondevano ad ogni cenno amichevole con rumorosi sbadigli. Le aquile sembravano pensare a cose sublimi e a null altro, gli avvoltoi somigliavano a polli gonfiati, le pantere e le tigri giacevano vanitose come in una mostra d arte decorativa. Nessuno di quei poveri animali, che l indifferenza della città aveva relegato in gabbie, possedeva più nulla della loro splendida natura. Vi fu una volta che si sentì davvero disperato Allora cercò aiuto nella lettura, ma tutti i libri che sfogliava gli parlavano dell uomo, celebrando l amicizia e l amore, rendendogli ancor più pungente il desiderio di una compagnia. 2

35 Qualche buon autore esaltava la propria solitudine, ma soltanto dopo aver ricordato passioni che all uomo solo rimanevano perennemente sconosciute. Ogni nuova lettura non era che un tormento di più. Le fiabe si rivelavano soltanto generose invenzioni di poeti. Allora tentò la compagnia dei clochard, ma loro si rifiutavano di ammettere quello strano uomo che non si lagnava mai dello stato presente e lodava tutti, anche i ricchi e i potenti. I clochard non accolgono chi si rassegna. Allora provò a frequentare le osterie, ma dei suoi modi gentili gli ubriachi diffidavano. La città lo respingeva senza rimedio. L uomo solo era triste più che mai, e allora decise di farla finita pensò alla morte un bel tuffo nel fiume e buonanotte ai suonatori. Ecco! Oggi è arrivato quel giorno. Finalmente ha vinto la sua paura ed è pronto un salto ed è tutto risolto. Ora sta percorrendo lentamente il viale antistante la bassa spalletta del fiume, l aria è tiepida profumata. Il cielo si è ormai tinto dei colori pastello di un alba lucente, qualcuno esce dai portoni ed altri rientrano nelle case. Le prime vetture del tram transitano sferragliando indecentemente Lui le osserva e improvvisamente sente di non avere più il coraggio di proseguire. Allora si siede per mangiare del pane, ha bisogno di pensare, deve trovare una sola ragione per vivere non vuole arrendersi dicendo semplicemente addio alla vita. Non è così che sua madre gli aveva raccontato di come avrebbe potuto vivere la vita al di la del mare in quelle terre opulente cordiali civili. Distrattamente lascia cadere alcune briciole di pane sulla ghiaia del viale, e intanto, con il cuore vuoto di speranza, immagina il buio e freddo abbraccio dell acqua Sua madre sbagliava, non è vero nulla e lui non vuole aspettare oltre meglio andarsene. Gli venne di pensare al fiume...dio com era strano! In tutte le vite degli uomini c è sempre questa miracolosa acqua in cui inizia e termina la vita. Chissà forse è un inconscia reminiscenza. L uomo si fa coraggio, sta per alzarsi ed andare verso il suo destino, si guarda attorno un ultima volta nulla non c è nessuno, nessuno che sappia o che voglia dargli una mano, dovrà morire solo ma no! Non è solo, una frotta di passeri si è sparpagliata ai suoi piedi alla cerca delle briciole di pane cadute. Un passero gli salta rapido e furtivo sulla manica del cappotto per prendere una briciola che vi è rimasta impigliata ed egli ne resta stupito, colto da un felice presentimento. Bene amici miei, grazie dice a se stesso, ora il fiume può attendere. 3

36 Il giorno dopo torna sul viale, sparge una manciata di briciole e i passeri tornarono a guizzargli tra le gambe saltellando, sollevandosi in volo soltanto quando egli sta per calpestarli. Sempre più sorpreso torna ogni mattina sul viale con la sua piccola busta di briciole, e al suo apparire sembra che improvvisamente gli alberi si spoglino delle loro foglie che scendono assieme ai passeri affamati verso di lui. A poco a poco il loro rapporto si concretizza, i passeri prendono confidenza, imparano a riconoscerlo, tant è che non appena gira l angolo della strada gli volano attorno, gli si posano sulle spalle e sulle braccia. Ora l uomo solo sembra essere felice, un po confuso per l attenzione che cominciano a prestargli i passanti, ma con il cuore leggero, anche se ancora non osa sperare. Alla fine però si convince che i passeri riconoscono proprio lui; infatti, se un altra persona passa essi fuggono, e se qualcun altro getta loro del cibo si lanciano a contenderselo, ma per volare via spaventati al primo gesto del benefattore. Soltanto con lui sono confidenti, sono i suoi primi veri amici nella città. Anche la gente ora si accorge di lui. Molto presto il quartiere impara a riconoscere quel ragazzo solitario che viene circondato dal volo dei passeri. Molti si fermano ad osservarlo. I bambini restando a lungo affacciati alle finestre per osservarlo, e a volte gli portano altre briciole o granturco e miglio perché possa restare oltre sul viale tra i suoi minuscoli amici. Sono trascorsi ormai molti giorni dal primo volo amichevole dei passeri, ed ora altri uccelli raggiungono il viale, così come viene gente fin dal centro della città per godersi lo spettacolo. Anche i vigili urbani, che fermi agli angoli delle strade fanno il loro riconoscente lavoro, osservano sorridendo e scuotendo il capo invitano i passanti a non intralciare il traffico. I conducenti dei taxi hanno occupato tutti i posti a disposizione sul viale, semplicemente per commentare tra loro, nelle lunghe attese, quella scena che oltre a sorprendere, fa provare a molti il desiderio di ringraziare l uomo solo per le inaspettate e forti emozioni che sa donare. Vecchi pensionati, disoccupati, amanti degli animali, increduli sacerdoti e ragazzi di tutte le età, tutti si fermano qualche minuto ad osservare per ripartire poi con un largo e pulito sorriso sulle labbra. In certe mattine vengono perfino intere classi di alunni delle elementari, e allora i maestri colgono l occasione per tenere una breve lezione a sfondo morale. 4

37 Dal giorno delle prime briciole molti cominciano a parlare all uomo solo, sia per ringraziarlo delle emozioni che ha saputo donare loro, sia per chiedergli il segreto della confidenza ch egli ispira agli animali. Altri stringono con lui fugaci relazioni. Un macellaio, il quale non poteva contemplare lo spettacolo senza lagrime agli occhi, invita l uomo a casa sua, ed una delle giovani donne, che svolge il suo lavoro come vigile urbano su quel viale, volle fargli conoscere il suo bellissimo bimbo nato da pochi mesi, invitandolo poi a partecipare ad una gita domenicale in campagna. Tutte le mattine, una non più giovane signora gli fa trovare sulla panca un fiore e una lettera d amore. Di giorno in giorno la sua popolarità aumenta, persino un giornale cittadino s interessa della vicenda, pubblicando la sua fotografia mentre i passerotti gli si posavano sulle mani e sulle spalle. Ormai tutta la città conosce l uomo solo, s interessa alla sua sorte, egli è diventato celebre ed è amato. Con il tempo vecchie signorine di sentimenti delicati, maestre, professori, filosofi si sostituirono al pubblico spicciolo e raccogliticcio dei primi giorni, la Società zoofila lo elegge suo membro onorarlo e gli dedica un intera conferenza. Viene invitato ai tè delle signore caritatevoli e infine s innamora di una cara ragazza con la quale si fidanza. Però, anche se quella fiumana di amicizie lo rende estremamente felice un poco lo stordisce, lui si sente sempre più impreparato a contenerla e a volte non sa come proteggersi. L affetto lo circonda come una stanza ben chiusa, ricordandogli con terrore il gelo della città che ignora i suoi figli. Gli è bastato un nonnulla, un solo istante di distrazione, ed ecco che l incanto s è spezzato rendendo un uomo amico della moltitudine. Una città intera ora lo riconosce per nome e una donna gli concede il suo amore. Ma la città e i suoi miti concedono soltanto vittorie temporanee, non permettono a nessuno e ancor meno se viene da un paese lontano, di appropriarsi in quattro e quattr otto del podio e allora iniziano le contro misure pian piano viene ignorato trascurato abbandonato fin quando, alcuni mesi più tardi, l uomo è ricoverato in una clinica per malattie mentali. La sua donna lo lascia e la gente dimentica No, non l ho conosciuto però all epoca ne sentii parlare dev essere stato davvero strambo parlare agli uccelli che fine avrà fatto? Poveretto sussurra la gente scuotendo il capo dicono sia tornato al suo paese! ATTENZIONE! Questo testo è tutelato dalle norme sul diritto d'autore. L'autore autorizza solo la diffusione gratuita dell'opera presso gli utenti di questo sito e l'utilizzo della stessa nell'ambito esclusivo delle attività interne a L'autore pertanto mantiene il diritto esclusivo di utilizzazione economica dell'opera in ogni forma e modo, originale o derivato 5

38 Alice Garofalo, giovane e promettente scrittrice di Modica, ha già dimostrato sulle pagine elettroniche di ( Due caffè, Tre passi di danza, Solo quattro parole ) di possedere una particolare capacità d introspezione psicologica. Questa volta ha deciso di stupirci inserendo nel suo racconto anche un pizzico di noir Lo stesso dolore Un leggero filo di luce era entrato dalla serranda chiusa a stuzzicare le palpebre di Laura. Aveva ancora sonno, ma la luce del mattino l aveva ormai proiettata nel mondo reale, lontano chissà quanto dal suo universo, parallelo ed inenarrabile, che esisteva solo nei suoi sogni. Con gli occhi ancora chiusi, le palpebre incollate dal sonno, il suo primo pensiero era stata la lite con Giulia, la sera prima. Subito dopo, ripercorrendo con la mente il percorso fatto per tornare a casa, si trovava seduta in macchina poco distante dal luna park a scolarsi mezza bottiglia di whisky che aveva subito vomitato in modo convulsivo sul marciapiede accanto alla sua auto. Laura non ricordava come fosse arrivata fino a casa. L ultimo ricordo che aveva della sera precedente era quello di lei barcollante sul marciapiede che rimetteva l anima a Dio (e amen!) ogni due o tre passi. Laura aveva ancora sonno e gli occhi continuavano a restare chiusi mentre la radiosveglia con le notizie delle sette e trenta non si era ancora accesa. Nel preciso istante del risveglio, ogni giorno, rimpiangeva il tempo in cui viveva ancora con i genitori, quando si svegliava con l aroma corroborante del caffé che la madre le portava in camera, prima della scuola. Ogni mattina per Laura rappresentava l inizio di una nuova vita; il sonno è sosta, oblio. Ma non quella mattina. Quel risveglio era stato doloroso come una lama che mi si è conficcata nello stomaco aveva borbottato Laura. Sarà stato quel maledetto whisky! le parole continuavano ad uscirle fuori di bocca impastate e stanche. Aveva steso le gambe e contemporaneamente stretto i pugni per scrollarsi dagli occhi quel sonno che non voleva saperne di lasciarla alla sua vita. Solo il pensiero di Giulia, di nuovo presente nei suoi ricordi, era riuscito a spazzarlo via, come una folata di vento gelido. Laura non si sentiva bene, con uno scatto era riuscita a balzare fuori dal letto e a correre in bagno. Un conato di vomito l aveva infine liberata dai postumi dell alcol. Bel modo di cominciare la giornata! aveva pensato tra sé e sé, più divertita che contrariata. Adesso si sentiva bene, per la prima volta dopo giorni. Laura aveva pensato ancora una volta a Giulia, alla lite, a come se ne era andata la sera prima. Un modo un po brusco, certo; neanche una parola, né una lacrima, ma ormai era fatta. Doveva succedere prima o poi aveva pensato mentre il giornale radio annunciava le prime notizie del mattino. Sulla sedia accanto al letto i jeans che indossava la sera precedente erano ben ripiegati, mentre sul pavimento giaceva appallottolata una leggerissima camicetta bianca. Giulia la adorava. Diceva che mi faceva sembrare una bambina ti dà un aria innocente e sensuale allo stesso tempo- le piaceva prendermi in giro. aveva pensato Laura. Lei e Giulia stavano insieme da due anni. Si erano amate intensamente, avevano lottato contro le rispettive famiglie che non riuscivano ad accettare che una verità tanto sconcertante avesse coinvolto le loro figlie, contro una società che faceva ancora dell omosessualità un tabù. Non si trattava di sesso, né di chissà quale perversione. Folle amore, finché Giulia non era partita per l Olanda. A rovinare tutto non era stato tanto il distacco quanto quello che Giulia aveva confessato a Laura al suo ritorno in Italia. Non ce la faccio più a tenermi questo segreto erano state le sue prime parole, dette al telefono, non aveva neanche avuto il coraggio di guardarla negli occhi in Olanda ho conosciuto una ragazza. Abbiamo fatto sesso ti giuro che non è stato nient altro che sesso!. Laura non poteva crederci. Il dolore le aveva attraversato il corpo come una lama tagliente

39 (lo stesso dolore che aveva provato stamani al risveglio) e non riusciva a pensare ad altro che ad una vendetta Proverai lo stesso dolore! ghignava dentro di lei una voce malefica che l aveva spaventata, ma non sufficientemente da farla desistere dal suo proposito. Dobbiamo vederci, Giulia. Voglio che mi racconti tutto. Vieni stasera al luna park, alle 3:00. A quell ora saranno già andati tutti via; nessuno ci disturberà. Laura non ricordava di aver accartocciato la maglietta e di averla gettata in terra, del resto non era sua abitudine. Si era abbassata per prenderla, ma d improvviso aveva ricordato perché era finita lì. A renderle più chiara la situazione era stata quell enorme macchia di sangue, a tratti ancora umida, all altezza del colletto che disegnava una traiettoria irregolare, fin giù a livello del polsino sinistro, mescolata caoticamente ai colori tenui dei piccoli fiori sparsi qua e là sulla camicetta. Giulia si era presentata in perfetto orario, bella come sempre nei suoi jeans attillati, con l aria serena, sicura in un rappacificamento. Laura, invece, era arrivata al luna park con mezzora d anticipo. Voleva accertarsi che sul posto non ci fosse davvero nessuno. Giulia aveva parcheggiato l auto e Laura le aveva fatto cenno di scendere per salire sulla sua monovolume nera. Immediatamente avevano cominciato a litigare. L aria serena di Giulia si era trasformata in sprezzante dissenso non capisci le aveva urlato in faccia è successo solo una volta ero ubriaca cerca di non fare la bambina! mentre Laura, che a quelle parole aveva smesso di urlare, aveva estratto dal cruscotto un pugnale. La lama scintillava anche in mezzo al buio fitto del luna park, era affilata e a Giulia era sembrata smisuratamente lunga, minacciosa. Laura brandiva facilmente il pugnale con la mano sinistra. Giulia lo riconobbe subito. Un anno prima erano partite insieme. Un viaggio breve ma intenso in giro per i posti più caratteristici d Italia. L ultima tappa era stata Maniago. Proprio lì, nella città famosa per la coltelleria, Giulia aveva acquistato una filiscjna, mentre Laura aveva preso quel pugnale dal manico in legno intarsiato e la lama affilata e lunga. Giulia l aveva presa in giro cosa vuoi farne di quel pugnale? Non avrai mica intenzione di ammazzare qualcuno? ed era scoppiata a ridere. Prima che Giulia potesse fermarla, la lama le si era conficcata nello stomaco, provocandole un dolore straziante che l aveva attraversata da parte a parte, impedendole di respirare. Non avresti dovuto farlo le aveva sussurrato con tono placido Laura all orecchio, mentre Giulia stringeva la mano della sua assassina (fino a poco tempo prima il suo unico vero amore) che continuava ad affondare il pugnale nel suo ventre. Dalla profonda ferita fuoriusciva a fiotti il suo sangue; la sua vita intera stava scorrendo via. Proverai lo stesso dolore. Laura aveva ripensato a quello le aveva sussurrato la sua voce interiore quando Giulia le aveva confessato la verità. Adesso era tutto chiaro, solo una cosa non riusciva a capire. Dove diavolo è finito il pugnale?. Si mise a frugare per tutta la casa, poi aveva ricordato. Prese da terra la camicia ed era stranamente pesante. Il pugnale era avvolto là, con la lama ancora sporca del sangue di Giulia. Lo portò all altezza del naso, annusò l odore intenso, chiuse gli occhi per un attimo e senza pensarci assaggiò quel sangue un ultimo bacio, l ultimo saluto alla mia dolce Giulia disse con voce vibrante. Parole insensate seguite da uno strano luccichio negli occhi, un ritaglio del lampo di follia che l aveva accompagnata nel compimento di quel gesto estremo. Felicità. L ultimo pensiero di Laura. La radio annunciava il ritrovamento del corpo senza vita di una giovane donna accanto alla sua auto nel piazzale di un luna park. A ritrovare il corpo è stato il custode del parco giochi, l unico testimone del delitto. L uomo ha comunicato alla polizia di aver visto una monovolume nera uscire dal parcheggio ad alta velocità. Laura intanto si era seduta ai piedi del letto con in mano il pugnale e le labbra sporche di sangue. Aspettava che qualcuno venisse a prenderla.

40 ATTENZIONE! Questo testo è tutelato dalle norme sul diritto d'autore. L'autore autorizza solo la diffusione gratuita dell'opera presso gli utenti di questo sito e l'utilizzo della stessa nell'ambito esclusivo delle attività interne a L'autore pertanto mantiene il diritto esclusivo di utilizzazione economica dell'opera in ogni forma e modo, originale o derivato

41 Marco Soriano esordì qualche tempo fa su con il racconto Dietro lontananze azzurre. Autore presente in rete, grazie alla pubblicazione di diversi racconti su alcuni dei e Personaggio estremamente riservato, del quale sappiamo soltanto che è di Messina: il resto preferisce che siano i lettori a immaginarlo, attraverso ciò che scrive. Lettera al mondo Finalmente era riuscito a ritornare a casa. Chiuse la porta alle sue spalle, lasciandosi dietro tutto il caos del mondo per introdursi in un altro caos ancora più insopportabile, ma sicuro. Da sempre gli ha tenuto compagnia, questo destino, come disfarsene? In seguito ad una promozione l avevano trasferito in questa asfissiante metropoli dove i delitti non conoscono agguato ma solo volti da ricordare e lui, il novello commissario, doveva cercarli, o cercarli di nuovo, immergendosi completamente con le mani la testa e tutto in un pagliaio di soli spilli, affondando in bracieri colmi di crimine, e come se non bastasse, arrivare sempre dopo a riempirsi gli occhi di assenze trucidate, le destinate vittime. Un lieve sorriso gli affiorò sulle labbra: anche lui, in fin dei conti, si sentiva come una di quelle vittime. Pensò che forse più che promozione avevano voluto punirlo. Ma per che cosa? Non ci pensò oltre, tanto era inutile. Entrò in camera, e lì, più di ogni altra parte del mondo il delirio riaffiorava boccheggiando. Si puntò davanti alla scrivania completamente in disordine. Tutto quel disordine non riusciva più a sopportarlo. Disordine dappertutto, dovunque si voltasse disordine, disordine dappertutto, disordine. Doveva cambiare vita. Andarsene di nuovo. (Come se l avesse deciso lui di andarsene la prima volta). Prendere lui l iniziativa e non farsi sempre scegliere dagli altri: dai delitti, per esempio, che pretendono, come malati petulanti a un medico, quasi che questo fosse un dio, pretendono, anzi esigono una soluzione, un rimedio tempestivo a flagellare le insopportabili afflizioni, come se non dovessero mai morire, o non lo meritassero anche loro. Perché questi casi clinici del delitto bipartiti... Un cadavere e un omicida. E in mezzo lui, commissario novello frustrato da tutti quei casi irrisolti sparsi sulla scrivania come nella sua vita. Da sempre si pretendono risposte e non domande. Guardava quelle carte sparse sulla scrivania, di cui non se ne riusciva a scorgere il minimo pezzetto di scrivania. Lui sapeva che lì sotto c era una scrivania, ma per un altro, sotto tutti quei fascicoli e carte e penne e foglietti sparsi ci sarebbe potuto essere anche qualcos altro, altri foglietti per esempio, carte penne fascicoli e chissà quali segreti, ma mai, mai si sarebbe potuto sospettare che lì, proprio lì sotto ci fosse una scrivania, o un uomo. Il caso che gli fruttò la promozione era stato un puro caso. Trovarsi nel posto giusto al momento giusto. O nel posto sbagliato al momento sbagliato, a seconda dei casi. Questo era stato. (Sappiamo come vanno queste cose). Questioni forse di conoscenze o di abitudini. Ma sarebbe stato molto meglio trovarsi nel posto giusto al momento sbagliato, alla fine, come sempre succede. Troppa confusione nella testa. Fermo davanti a quel disordine sparso si sentì trincerato da una parte, messo da parte, disorientato. Non si capacitava più dove fosse il pericolo e dove il riparo. Attorno a un fuoco in una calda notte

42 d estate, o in un bosco dove i piedi complici lo avevano trasportato, sognò, tanti anni addietro ormai, sognò di spegnersi combattendo e di non aspettare che il famelico delitto si fosse compiuto. Arrivare in orario agli appuntamenti e non farsi mai desiderare. Ma nessuno lo desiderava veramente, non era lui la vittima prescelta, così era libero di prendersela comoda che tanto nessuno l avrebbe aspettato. Così proliferavano i morti e gli assassini vivevano e i commissari impazzivano. Si ripromise di non prendere mai più decisioni in calde notti d estate o in un bosco dove i piedi complici lo avevano trasportato - l avevano sognato. Aveva scritto per uso strettamente personale qualche pagina di criminologia. Sfumati ormai erano i sogni in cui viveva per raccontarsi alla vita. Non riusciva a convincersi come si potessero inventare delle storie per mestiere. Così, invece di scriverle tentò di viverle quelle storie gialle, più che gialle rosse, e di tutti i colori che aveva visto, ma non ne poteva proprio più. <<Se si sa quel che un uomo sta per fare, lo si precede; ma se si vuole indovinare ciò che farà bisogna tenergli dietro, andare a passo con lui. Allora si può vedere quello che egli ha veduto e si può agire come egli ha agito. Il meglio che si possa fare è di tenere gli occhi ben aperti, in attesa di qualche avvenimento imprevisto>>. Tutti quei fogli lo lasciavano fuori fuori bisogna che si cambi vita si cambi vita urlava dentro di sé. Si cambi vita. Sugli autobus, in vestiti da civile, non riusciva a tenersi fermo in una posizione. (Non gli piaceva barricarsi da una parte a suscitare diffidenza più che rispetto oppure fascino che inevitabilmente gli altri, la gente, avrebbero attribuito alla divisa e non a lui). Stupidaggini! Comunque, camuffato in mezzo ai civili (civili?), adesso si sentiva però un specie di spia come lo è del resto ogni scrittore, non riusciva a tenersi fermo in una posizione. L abbiamo detto. Forse per un bisogno, congenito diciamo, di scoprire quanti più possibili punti di vista. Anche da ragazzo, ricordò, sempre lo stesso. La gente salta sugli autobus, non ti chiede nemmeno permesso, o se lo fa è per comando, una formalità idiomatica. Ti urta per sbaglio o anche con determinazione per lasciarti scivolare dal posto dove ti trovi, in piedi, perché i sedili sono sempre occupati e anche se fossero vuoti è un illusione, una voce uscita da chissà quale caverna ti urlerebbe: Ehi! Che sei cieco, non vedi che il posto è occupato? Cose da pazzi. E tu costretto a chiedere scusa e passare avanti. Tanto avanti c è sempre posto. Ti lasci dietro una strana risata di conquista. Riesci ad aggrapparti con fatica a un altra sbarra e non vedi l ora di uscirne da questo forno che va sempre riempiendosi di pugni e di carezze. C è sempre qualcuno a strofinarsi al sedere di qualcun altro e non ti spieghi perché devi essere sempre tu ad accorgertene. Un borseggiatore fruga nella borsetta di una donna più avanti. Nessuno sembra accorgersene. Due seni morbidi s appoggiano alla tua schiena. Sì, alla tua. S irrigidiscono i capezzoli, puoi sentirli martellare alla tua schiena, t inchiodano i polmoni, il respiro, e tu vorresti invece che ti bucassero le mani. Ma ad un altra fermata vieni ancora catapultato in avanti e costretto a lasciare spazio. S incrementano i corpi, si riducono i vuoti, ci si strofina fraternamente col primo che capita. Ma avanti non durerà per sempre. Avanti prima o poi finisce. Cosa c è avanti? Avanti! Urla l autista. Avanti c è posto. Venite avanti. Avanti! Sempre andare avanti. Esiste solo un andare avanti. Ma perché? Vorresti rimanere dove ti trovi e non puoi. La folla s accalca da tutte le parti, non hai più nessun appiglio. Ti trovi incastrato tra di loro. Gli stessi seni di prima che s erano incastrati alle tue ali, adesso sembrano guardarti, seducenti, poi si voltano con mal celata indifferenza a mostrare il profilo delle natiche superbe e morbose da accomodare nel miglior modo possibile, e che in realtà vorrebbero sedersi sopra di te, ma che per un falso pudore studiano ogni mossa. Però non c è posto, e questo un po ti dispiace. Ah, le deliziose rosse e calde labbra da mordicchiare avidamente! In una situazione del genere, da granaio, diciamo, così folle, innumerabile, uno dei vantaggi è rassicurato da una specie di sostenimento globale. Se svieni rimani in piedi. Perché nessuno se ne accorgerebbe. Tutti ti sosterrebbero. Lo sfollamento lo darebbe soltanto la presenza minacciosa di una granata, ma sono solo fantasie, subito sviate.

43 Ecco l autobus curvare d improvviso. Ti trasferisci d un colpo in un altro luogo. Quasi spiaccicato sul parabrezza interno, salvato dalle sbarre che ingabbiano l autista. Qualche costola lesionata, non importa. La porta s apre ed altri civili in questo interminabile cordoglio qual è la vita hanno bisogno d entrare, di tornare a casa ch è tardi. Qualche fortunato deve scendere perché è arrivato nel luogo e nel tempo della sua fermata, non c era nemmeno bisogno di prenotare, un sapere occulto lo ha accompagnato fino al confine da dove dovrà procedere adesso da solo, ed è cosciente di questo. La vita è la stessa cosa: pidocchiosa. E tu, che non c entri nulla col corso di questo fortunato, se non proprio come mero ostacolo, sei costretto a precederlo, a lasciare libero il varco, appunto. Ecco, appunto. Ma non preoccuparti non appena sarà sceso potrai risalire. Però questo non accade e ti ritrovi costretto ad aspettare un altro autobus. Tutto questo disordine sul tavolo bisogna che lo elimini Una volta, quando mi capitò di rimanere a terra e di rivedere l autobus ripartire senza di me, è stato l inizio o il pre-inizio del mio attuale domicilio. Rimasto sul marciapiede non mi rimase altro da fare che aspettare un altro autobus. Non me la presi perché tanto ci avevo fatto l abitudine. Però quella volta faceva davvero un caldo da fornace, tanto più che erano le prime ore del pomeriggio di un estate africana. Fortunatamente poco distante alla fermata vi cresceva l ombra di un albero secolare sotto al quale avevano alloggiato per gli sfortunati come me una panchina su cui ripararsi dall evidente pioggia di fuoco che imperversava fuori dai propri margini. Lì mi ci sdraiai come su una spiaggia, a gambe aperte e testa reclinata a sorbirmi l ombra. Me ne stavo lì tutto tranquillo e silenzioso e all erta per gli autobus che sempre più rari continuavano a marciare nelle arterie di questo mondo paradossale. Tutti passavano, tranne quello che mi avrebbe riportato a casa finalmente. C era poca gente per le strade e quei pochi che passeggiavano a poco a poco venivano inghiottiti dalle cavernose bocche di questi vermi giganti. Passarono credo tre quarti d ora ed io ero ancora lì, solo, ultimo boccone lasciato a marcire. Si fermò un altro autobus dalla cui confusione interna fui particolarmente attratto. Era colmo come quello che mi aveva abbandonato su quest isola d ombra. Mi accorsi che ad un altro stava toccando la mia stessa sorte. Era sceso dalla porta anteriore, e, per non essere d intralcio ad alcuni passeggeri, i quali più che scendere sembravano precipitarsi come frutti fradici e ammaccati sulla strada, aspettava, quest altro io, che scendessero per poi risalire a sua volta e continuare la personale corsa predestinata. Guardavo quel poveretto pensando: non preoccuparti quando tutti si saranno precipitati sulla strada potrai risalire a bordo, oppure verrai qui a farmi compagnia, ed insieme ci sarà più facile ammazzare il tempo. Lo fissavo stranamente con una strana apprensione e allo stesso tempo con una lieve riga di speranza che lo colpisse la mia stessa sorte. Ma sapevo che vi erano poche possibilità. Nessuno poteva essere più scalognato di me. Fuori dalla mia ombra lo continuavo a fissare indifeso in quella pioggia di fuoco. (Naturalmente metaforico, tanto per dire che faceva davvero un caldo infernale, ma più che infernale, da apocalisse, almeno per la sua). Perché, scrutando più attentamente la sua momentanea, avrebbe voluto dire breve, fulminante attesa, mi sembrò di vedere, per una strana coincidenza o gioco di luci, il riflesso di un filo proprio sopra la sua testa. Brillava un filo invisibile, del quale insospettabilmente seguendone l origine, la traiettoria, si poteva essere certi che stava per essere tagliato, senza che nessuno potesse accorgersene, ed io non avrei potuto farci niente. Niente. - Abolire il tempo, il frangente di un attimo in cui tutto si risolve. Uno sparo da un ombra lontana e il mio ipotetico consigliere stramazzato a terra. Finalmente a casa inchiodato al tuo posto. È questo che ti aspettavi di trovare. Non poteva essere che questo. Il mondo cambia sempre là fuori. È dentro che resta sempre uguale. (Ma pure fuori). Stavolta decidi di alterare la quotidianità diventando l eccezione. Spazzi via tutte la carte. Spolveri la superficie ritrovata amata scrivania nera notturna incancellabile malinconia. Ti metti comodo davanti a un foglio nuovo. Vuoi scrivere, adesso è l ora, vuoi scrivere, scrivere una lettera, una lettera al mondo. Ci rifletti un po su. Troppo ci rifletti. Scavi nella memoria in cerca di parole, parole convenevoli, (formali se

44 solo esistesse ) come si conviene in una lettera scritta. Scavi e non le trovi, e più scavi e più il vuoto s allarga, t allontana dal tuo posto. All infinito T i lascia scivolare Gentile Popolo, ( l aggettivo è una convenzione alla cospirazione) Io vi annienterò tutti in un colpo solo. Hion. Già, proprio così si firmò. Hion. Poi prese la pistola d ordinanza (d ordinanza, che strano ordine adesso su quella scrivania) e senza esitare, ho motivo di credere, mirò dritto alla fonte di tutto questo mistero. ATTENZIONE! Questo testo è tutelato dalle norme sul diritto d'autore. L'autore autorizza solo la diffusione gratuita dell'opera presso gli utenti di questo sito e l'utilizzo della stessa nell'ambito esclusivo delle attività interne a L'autore pertanto mantiene il diritto esclusivo di utilizzazione economica dell'opera in ogni forma e modo, originale o derivato

45 Maria Luisa Nicodemo, napoletana, ha insegnato italiano e latino nei licei e che da qualche tempo, per dirla con le sue parole, ha scoperto il piacere di scrivere. Per quanto riguarda la prosa (com è agevole constatare leggendo questa sua storia d esordio su lo fa (oltre che con naturale padronanza del linguaggio) creando brevi racconti in uno stile scorrevole e immediato. Per la poesia vi rimandiamo a un prossimo aggiornamento del sito! Il ragazzo di Scampia Entra e aspetta qua. Il maresciallo verrà fra poco. Posso intanto andare nel bagno? Certo che puoi. In fondo al corridoio a destra e non chiudere la porta. Il corridoio, una sequenza interminabile di porte, è buio e appestato di fumo. Da un lato e dall altro fino alla parete di fondo dove sulla destra si apre la porta dei servizi stampe scolorite e dozzinali raffigurano modelli di armi non più in uso. Trovo l interruttore sul lato della porta ed entro: l ambiente pulito, ma angusto e disadorno ha l asettica freddezza del non vissuto. Quando mi guardo allo specchio vedo che ho le guance rosse e gli occhi lucidi come di febbre. Mi spruzzo un po d acqua ma, non trovando come asciugarmi, prendo un lembo di felpa e me la passo più volte sul viso. Sembra tutto inverosimile, mi dico fissando la mia immagine: inverosimile il luogo, la situazione, ciò che faccio, un incubo dal quale voglio assolutamente svegliarmi, che, tuttavia, incubo non è perché la volante che mi intima l alt, il sequestro del motorino, l imbarazzo dei compagni, l arrivo in Commissariato sono fatti realmente accaduti. Dio mio! Non so che fare. Cosa mai dirò a Luca e cosa soprattutto dirò a mio padre? E a scuola? Non ci vorrà molto a tirare le somme appena uscirà fuori che abito a Scampia. C era da aspettarselo, dirà subito qualcuno. Meglio tornare. Mi ravvio i capelli ed esco. Nella stanza non c è ancora nessuno, ma dalla stanza attigua arriva, strano a dirsi! il ticchettio di una macchina per scrivere e una voce monotona che detta. Mi siedo, ma non riesco a star fermo e mi rialzo: l ansia di avere delle risposte è troppo forte. Per placare la tensione mi guardo intorno, ma non serve, anzi più guardo e più aumenta il disagio di trovarmi in un luogo freddo e squallido come quello. La stanza dalle pareti ingiallite che scaffali stracolmi di fascicoli ricoprono fino ad un metro e più di altezza ha un insopportabile odore di polvere e di fumo; dove rimane appena uno spazio un linoleum logoro e macchiato pende dal muro contribuendo a dare all insieme già abbondantemente triste il tocco che mancava! Nonostante sia giorno, la

46 2 luce è accesa da un neon sospeso al soffitto che diffonde in tutto l ambiente un chiarore artefatto che dà fastidio agli occhi. Finalmente uno dei telefoni sul tavolo prende a squillare! Di corsa entra un agente, alza la cornetta e con un vago cenno della mano mi indica la porta. Penso voglia dire di allontanarmi. Confuso, sto per alzarmi quando sulla soglia compare un uomo alto e calvo. Ha una quarantina d anni, un colorito giallognolo ed un evidente espressione di fastidio nello sguardo. Getta sgarbatamente un fascicolo sul tavolo e si siede. Dunque ti chiami Fernando Mangiacapra e abiti in Via Vittorio Veneto n.14 con tuo fratello, in questo momento in servizio di leva a Taranto, tua madre Concetta Ferrara e tuo padre Antonio, trasportatore. Esatto? Accenno sì con il capo. Stamani, alle otto e trenta, nei pressi del liceo scientifico che tu frequenti gli agenti Squillaci e Tommasini hanno rinvenuto nel portaoggetti del motorino in tuo possesso quindici bustine contenenti una polvere bianca, risultata hashish. Esatto? Confermo di nuovo. Il motorino, come attesta il libretto di circolazione, appartiene ad un tuo compagno di classe, Luca di Caprio, che da circa un mese, come tu affermi, ogni giorno lo lascia a te in consegna. Vuoi continuare tu il racconto e dirmi chi ti fornisce la droga che porti puntualmente ogni mattino a scuola? Maresciallo, - inizio a dire con la voce che dall emozione sembra rifiutarsi di uscire io di quello che ha detto non so nulla di nulla. Glielo giuro. Se non l avessi visto con questi occhi, non avrei creduto mai che c era la droga nel bagagliaio del motorino. Sorride il maresciallo. Cosa avrò mai detto di strano, mi chiedo. In vent anni di servizio aggiunge subito dopo - non ho trovato mai uno, dico uno, che ha confessato subito! Lo comprendo, tuttavia, soprattutto quando si ha a che fare non con uno spacciatore incallito, ma con un povero ragazzo, sprovveduto come te; perché, devi sapere, siamo informati, sappiamo che sei un bravo ragazzo e tuo padre un onesto lavoratore che rischia la vita sulla strada. Ciò non toglie, tuttavia, che anche ad un bravo ragazzo possa capitare di vedere in vetrina un giubbotto di marca, un orologio, un paio di Sax e desiderarle. Desiderare è naturale e non avere il coraggio di chiedere i soldi al padre che fa i salti mortali per far quadrare il bilancio ti fa onore. L imprudenza si commette quando, pur di avere ciò che desideriamo, cerchiamo i soldi in un altro modo, magari accettando di fare un lavoretto innocuo, una cosa da nulla, un pacchetto da portare a scuola ogni mattino! Situazioni come la tua ne ho viste, eccome! Fidati di noi e raccontaci dall inizio ogni cosa.

47 3 Il fatto - ripiglio a dire quasi piangendo - è che veramente io non so nulla. Quello che lei vuol sapere dovrei solo inventarmelo! Benedetto ragazzo! La droga trovata nel tuo motorino non è una fantasia, ma un dato di fatto accertato da due agenti dell Antidroga che ti seguono da giorni. Io ti voglio venire incontro, ma tu neppure devi farmi perdere la pazienza negando tutto in assoluto! Io non nego il fatto. Dico solo che anch io fino ad un ora fa ignoravo di avere la droga nel portabagagli. Tutto qua! Ed io dovrei credere che vai ogni mattino avanti e indietro con il motorino del tuo compagno e non hai mai aperto il bagagliaio? Non dire cazzate, perché già ne sento abbastanza ogni giorno! E furioso! Si alza, accende una sigaretta e va in corridoio, a fumare. Quando dopo qualche minuto rientra sembra più calmo ed accenna nel sedersi anche ad un sorriso. Diciamo che ti credo, ma tu, bada che te lo chiedo nel tuo interesse, prova con me a fare delle ipotesi. Cerca fra le persone che conosci, compagni, parenti, vicini di casa, garzoni di negozi, qualcuno che a tua insaputa potrebbe avvicinarsi al motorino e introdurre la droga nel portabagagli. Nessuno! Ne sono sicuro perché appena faccio ritorno a casa, per timore che a lasciare il motorino nel portone, nonostante la catena, possano rubarlo, lo sistemo nel cortiletto retrostante la nostra cucina, dove all infuori della mia famiglia nessuno può accedere. OK! Va bene così! E lo Spirito Santo a fare l operazione! Tommasini, avvertimi quando arriva il padre: con questo non si ricava un ragno dal buco. Detto questo, si alza rumorosamente seguito dagli agenti e va via. Non ha creduto ad una sola parola. Che faccio? Se almeno venisse mio padre! Mi alzo, ma dalla finestra non scorgo nulla: la strada è deserta; c è solo una volante posteggiata di sotto ed un gatto che dorme tranquillo sul cofano. Vorrei parlare con qualcuno, ma gli agenti stanno in corridoio a discutere e non ho il coraggio di chiamarli e poi cos altro potrei dire che non ho già detto al maresciallo? Meglio aspettare. Penso intanto a mio padre che a quest ora saprà senz altro cosa mi è accaduto e sta cercando di mettersi in contatto con la sua ditta per trovare chi possa sostituirlo alla guida; penso a mia madre che, ignara di tutto, se ne va serena da un bancone all altro del mercato e penso infine a tutte le ipotesi che a quell ora stanno circolando a ruota libera nei corridoi della scuola animando la noia di inizio quadrimestre.

48 4 Penso a tutto questo e anche ad altro quando odo dei passi che si avvicinano. E arrivato mio padre! Mi sbaglio! Compare sulla porta Luca, l avvocato di Caprio ed il maresciallo. Luca entra per primo: è pallido, frastornato ed evita quasi di guardarmi; dietro il padre: sorride, ma dall irrequietezza dello sguardo e dai movimenti troppo rigidi e misurati fa trapelare un agitazione che non riesce del tutto a controllare. Mi dispiace averla fatta venire fin qua, - inizia il maresciallo invitandolo con la mano a sedersi ma ho sentito il dovere di avvertirla che il motorino di proprietà di suo figlio è qui da noi, ma rimane sotto sequestro finché non si siano concluse le indagini relative al reato commesso e non sia chiarita la posizione e le responsabilità del Mangiacapra nel trasporto della droga. Non le nascondo, anche se la procedura non è del tutto corretta, che mi sarebbe molto utile la sua collaborazione per ricostruire gli spostamenti che compie ogni giorno questo benedetto motorino. Glielo dico subito! La storia è cominciata quando mio figlio ha conosciuto Fernando. Io, a dire il vero, ma mi creda! lungi da me ogni discriminazione sociale, all inizio, per gli ovvi motivi che tutti conosciamo, non volevo che fra tanti compagni che abitano nella zona frequentasse proprio un ragazzo di Scampia, ma, lei sa come diventano testardi i figli quando si mettono in testa qualcosa, dai oggi, dai domani, alla fine l ha spuntata. E, a dir la verità, non sono pentito perché la presenza di Fernando è stata per mio figlio un incentivo a studiare e, diciamolo pure, a mettere la testa a posto. Dopo la scuola, invece di tornarsene a Scampia, il ragazzo viene da noi, pranza e dopo una mezzora Rossella, l altra figlia più piccola, in una stanza e loro due in un altra iniziano tranquilli a studiare. Quando hanno finito, per agevolargli il ritorno, Luca gli presta il motorino che Fernando puntualmente riporta il mattino a scuola. Questo è quanto personalmente conosco. Altro non so. Ed anche noi! - sbotta il maresciallo, stanco e deluso di girare intorno all argomento senza fare un solo passo in avanti nell indagine. - Aspettiamo il padre, nella speranza che in sua presenza il ragazzo si decida a dirci qualcosa in più. Lei intanto vada pure e per qualsiasi cosa la terrò informato. Quando si alzano e se ne vanno, vorrei andarmene con loro, ma resto seduto e mi asciugo in silenzio una lacrima. Se ne accorge il maresciallo che dopo un po torna a sedersi di fronte e parlando più a se stesso che a me, ricomincia a ragionare di nuovo sui fatti:

49 5 Indubbiamente c è qualcosa che ci sfugge. Se, come dici, non sei tu a mettere la droga nel portabagagli né qualcun altro dall esterno, che materialmente, abbiamo visto, non può farlo, vuol dire che che la droga non è introdotta nel motorino quando tu rientri a casa, ma prima, prima che tu lasci l abitazione dei di Caprio. Quindi, se due e due fanno quattro, non bisogna fermarsi a cercare a casa tua, ma estendere le indagini anche alla casa di Luca. Proprio così! Diavolo, perché non ci ho pensato prima! Squillaci, ascolta, se l avvocato non è ancora andato via, pregalo immediatamente di ritornare! Squillaci va via, ma non ha raggiunto il portone d ingresso che si odono dei passi e voci concitate provenire dal corridoio.ricompare sulla porta dopo qualche secondo l avvocato seguito da Luca e da Rossella. Che ci fai qua? chiedo alla ragazza che mi guarda senza rispondere. Maresciallo, - inizia l avvocato con un agitazione nello sguardo e nella voce più forte e o meno contenuta della prima volta - sono di nuovo qua perché mia figlia che ho incontrato uscendo chiede, mio malgrado, di parlare a tutti i costi con lei. Ignoro cosa voglia riferirle, ma dall accanimento con cui chiede di essere ascoltata presumo sia qualcosa che possa servire a far luce sulla vicenda di Mangiacapra. Prego. Siediti e racconta con calma. Si siede: è rossa in viso Rossella, accaldata e stringe nervosamente l una con l altra le mani. Quando questa mattina ho saputo cos era accaduto, - inizia con tono di voce così fievole da costringere il maresciallo a sistemarsi più vicino a lei - ho pensato come prima cosa di rimanerne fuori e non dire nulla, ma ci stavo tanto male a stare zitta che ho chiesto alla professoressa di uscire prima e son venuta. Fernando, signor maresciallo, è colpevole, ma di fidarsi troppo degli amici. Lui con la droga non c entra niente! Lo dico perché ho visto personalmente chi la nasconde nel motorino. Finalmente esplode il maresciallo sta venendo fuori qualcosa! Continua. E un amico fra virgolette di mio fratello, un tipo strano, che fuori scuola tutti quelli che fumano chiamano scherzando Sogni d oro. Il nome che cercavamo! Vai avanti. La prima volta che l ho visto è stato per puro caso. Io e Mariella, una mia compagna, eravamo scese in garage a prendere i pattini, quando lo abbiamo visto entrare, avvicinarsi al motorino, aprire lo sportellino e infilarci dentro qualcosa..

50 6 Ma che vai dicendo! - obietta il padre al colmo dello stupore. E assurdo quanto affermi perché il garage è chiuso e soltanto noi di famiglia abbiamo la chiave. Chi ti ha messo in testa simile idiozia? L amore! Ha preso una cotta per Fernando e vuole scagionarlo ad ogni costo! ribatte Luca ironico. Può essere, ma ciò non esclude che quanto dico sia vero! Lo scontro è aspro e va avanti per qualche minuto. Seduto su una poltrona di pelle dal cuscino sfondato e i braccioli lisi, l avvocato è amareggiato: ha i gomiti poggiati sulle ginocchia e la testa fra le mani. Ad un tratto si alza, finge di guardare fuori, ma subito dopo torna ad abbandonarsi sulla poltrona con il capo reclinato all indietro e le mani aperte sulle gambe quasi a frenarle dal tremore che le scuote. Mi dispiace, - interviene il maresciallo nel vederlo così affranto ma quanto riferisce sua figlia è attendibile. Sogni d oro, all anagrafe Esposito Giuseppe, non è nuovo a questo genere di affari.lo tenevamo d occhio da tempo. Ciò che non capisco perché mandava la droga a spasso per Napoli sul motorino guidato da Fernando e non la faceva arrivare direttamente a scuola. Questo potrebbe spiegarcelo, Luca. Non le pare? Certo! Ma Luca tace! Tutti gli sguardi sono puntati su di lui ma, impassibile come se la cosa non gli riguardasse, non alza neppure il capo. Solo quando, esasperato dal suo silenzio, il padre s alza e al colmo dell ira afferrandolo per il giubbotto gli grida di tirar fuori la verità, altrimenti gliela fa sputare a suon di schiaffi, finalmente articola qualche parola: Avevo avevo un debito con lui Un debito? Con i soldi che ti ho sempre dato? Gli avevo ammaccato la fiancata dell auto con il motorino e per il danno mi aveva chiesto un rimborso di quattrocento euro. Non potendo darglieli, prima ha minacciato di picchiarmi e poi, in cambio dei soldi, ha preteso il favore di portargli ogni giorno un pacchetto a scuola. Fammi capire chiede il padre avvicinandosi - perché il signor Sogni d oro pretendeva che gli pagassi tu i danni, quando avrebbe dovuto provvedere l assicurazione? Perché l incidente è avvenuto quando l assicurazione era già scaduta da un mese. E i soldi che ti avevo dato per pagare la polizza?

51 7 Li avevo spesi. Il padre è distrutto, non aggiunge altro: si lascia cadere sulla poltrona. Rossella lo guarda e alla fine va a sedersi accanto a lui sul bracciolo E tutto chiaro - incalza il maresciallo. Solo non riesco a capire perché davi a Fernando il motorino e non lo portavi tu direttamente? Non volevo, nel caso si fosse scoperto, venir accusato di complicità. Sotto scuola mi avevano visto più di una volta parlare con Sogni d oro. E non hai pensato che potevi mettere nei guai il tuo compagno? Certo! Ma non sarebbe accaduto perché di lui nessuno avrebbe mai sospettato. Belle chiacchiere! aveva aggiunto il maresciallo. Erano le quindici quando lasciai il Commissariato. Il gatto era sceso dal tetto e mio padre non era ancora tornato. Meglio così! commentò Squillaci salendo in auto - S è risparmiato un bel po di collera il pover uomo! Sali e mettiti la cintura, ti accompagno a casa, ma non prenderci l abitudine! ATTENZIONE! Questo testo è tutelato dalle norme sul diritto d'autore. L'autore autorizza solo la diffusione gratuita dell'opera presso gli utenti di questo sito e l'utilizzo della stessa nell'ambito esclusivo delle attività interne a L'autore pertanto mantiene il diritto esclusivo di utilizzazione economica dell'opera in ogni forma e modo, originale o derivato.

52 Cristina Vannini Parenti, pubblicitaria e scrittrice milanese, si racconta così: Dopo tante esperienze di vita e di lavoro ho deciso di prendere la penna in mano ed iniziare a scrivere ciò che ho potuto osservare della vita. Nessuno dei miei diplomi o specializzazioni mi sono stati di supporto quanto la strada che ho percorso intorno al mondo. Il dolore Guardo. Osservo e contemporaneamente aggiusto, con movimenti sicuri, i guanti di lattice. Esploro quella carne troppo illuminata ed infine, con una sola occhiata, denudo il corpo inerme che ho di fronte. La sagoma che vedo è immersa dentro ad un sonno troppo profondo, assolutamente irreale che la rende inanimata plastica, tanto da suscitare tra me e lei un distacco emotivo totale. Riesco a percepire ogni sua cellula, intuisco la massa del suo male, mi allineo al ritmo dei suoi battiti cardiaci, respiro con la sua stessa cadenza. Quindi sono pronto. - Bisturi! - Si, dottore, eccolo! La capo infermiera, solerte come sempre, ha già preparato tutti gli strumenti per l operazione. Il silenzio della sala si rompe, si frantuma in mille operosi rumori d ordine familiare, per me che passo più tempo fra le sale operatorie che con mia moglie. Senza saper il perché sollevo il lenzuolo che copre il volto del mio piccolo paziente. M incanto per un attimo ad osservare quel visino tanto sereno. Una cosa che non faccio mai. Un gesto da non fare. - Dottore. Il mio assistente sussulta. Ha ragione da vendere. Ma è troppo tardi: l atto ha preceduto la ragione ed io mi sono lasciato coinvolgere in sentimenti di tenerezza verso il mio paziente. Un emozione pericolosa. In ospedale tutti lo sanno. Taglio. Incido la sua carne dando inizio ad un ennesimo intervento. I gesti sono automatici. Con notevole fermezza e decisione scandisco la procedura del mio intervento chirurgico. Ma, comportamento bizzarro, la mia mente si dissocia dalla danza delle mie azioni e intraprende una strada tutta sua. Nella mia fantasia affiora il volto di questo bimbo o, più precisamente, la sua espressione di stupore al risveglio. Ancora incredulo sull accaduto, non ricorda questo momento. Non ha coscienza di quest istanti di intimità fra lui e il suo dottore. Diffidente e ancora anestetizzato, si tocca il torace in cerca delle prove che testimonino la verità sul suo intervento. Poi sorride sicuro; quello è il primo istante di una lunga e inesorabile guarigione.

53 Un attimo di incertezza dovuta all emozione di questa esperienza. Poi: - Tampone. Sembra che dentro me tutto torni alla normalità, a quella sensazione asettica di distacco che rende sicure le mie mani. E invece ecco che riprende questa delirante visione. Ora un po annebbiato si fa strada un altro volto sconosciuto di bambino. Penso: - Cosa fai qui? Non ti ho mai visto, eppure ho la sensazione di conoscerti tanto bene. Nessuno dei miei colleghi può percepire questo colloquio privato. Nessun altro è ammesso. L esclusiva di una notte d amore rubata alla normalità, desiderata fino alla febbre nell anima, strappata al buon senso di una vita coniugale. Eppure lo rifarei. Ripeterei quella follia che, in una notte sola, mi ha regalato il cielo che non ho mai toccato in altra occasione. Una notte selvaggia, dettata dal puro desiderio della lussuria. E tu, dolce e sconcertante anima, sei stato l incarnazione di un sogno irripetibile. Non ti ho mai voluto conoscere, ma di te sò tutto: giorno per giorno, ora dopo ora. - Stiamo perdendo il polso. defrebillatore! - Presto dieci milligrammi di atropina - Libera! Questo corpo inerme, sfigurato dal forpice che gli dilata la ferita, questa carne troppo giovane, potrebbe essere la tua, caro Marco! Osservo gli organi del mio paziente-bambino in cerca del male che gli devo asportare e simultaneamente incido la mia anima in cerca del mio. Per troppo tempo ho aspettato che il tumore di questa paternità non accettata rosicchiasse la mia dignità. Cerco, incido, tampono L intervento è urgente, signora, non si può più aspettare; bisogna operare con urgenza! Lo ricordo quel colloquio: la mamma di questo bambino non voleva affrontare la dura realtà, proprio come io non ho voluto affrontare le conseguenze di quell amore impudico. Dottore, mi assicuri che tutto andrà bene, che mio figlio guarirà! Quante volte ho sentito le suppliche dalle mamme; quante volte mi hanno chiesto un miracolo sperando di non avere di fronte a loro solo un chirurgo. La prego faccia tutto il possibile

54 Sì, lo farò, oggi andrò fino a dove non mi sono mai spinto prima; guarirò ciò che non è in mio potere sanare; oggi opererò la carne e, con lei, anche la mia anima per ricacciare il dolore nei meandri più profondi degli inferi. - Polso ristabilito. - Pinza. Prelevo campioni di tessuto, raschio, tampono di nuovo, disinfetto, poi infine ricucio. Un doppio intervento, una sola anestesia. Non ho la certezza di ciò che è accaduto oggi, qui, in questa sala operatoria, tra il calore delle lampade al neon e l odore acido del disinfettante. So che in seguito, io e questo bambino, insieme, cureremo le nostre lesioni; che nella penombra della camera dell ospedale vedremo sgonfiarsi ed impallidire le nostre cicatrici. E dopo, ancora, arriverà il momento di togliere i punti e muovere i primi passi lungo il corridoio che porta al salone delle visite. Doloranti, ma felici ci sentiremo infinitamente più leggeri. Insieme scopriremo le prime foglie verdi apparire tra i rami dei tigli del giardino e fra la timidezza e la paura del domani ci lasceremo volgere lo sguardo: uno dentro l altro, fino a raggiungere la luce della nostra anima. ATTENZIONE! Questo testo è tutelato dalle norme sul diritto d'autore. L'autore autorizza solo la diffusione gratuita dell'opera presso gli utenti di questo sito e l'utilizzo della stessa nell'ambito esclusivo delle attività interne a L'autore pertanto mantiene il diritto esclusivo di utilizzazione economica dell'opera in ogni forma e modo, originale o derivato

55 Matteo De Simone è nato il 13 maggio 1981 e vive a Torino. Appassionato di musica e scrittura, è voce e chitarra della rock band Nadar Solo. Dopo la maturità classica e due anni di università alla facoltà di lettere, studia narrazione alla scuola Holden di Torino fondata da Alessandro Baricco. Ha pubblicato un racconto sulla raccolta Kermessebook, esperimenti di scrittura visuale e un altro racconto verrà pubblicato in estate 2005 dalla rivista Alchimie, in distribuzione presso tutte le librerie Feltrinelli. Collabora con la rivista tematica "Il contesto", con Auday (fanzine letteraria legata al festival Astigiano Passepartout), zai.net, Smemoranda.it e con Gufetto.it come recensore musica live. Si occupa da tempo di blog ( e scrittura per il web ed è ideatore e realizzatore, con Alice Avallone, del blog letterario Attualmente è impegnato in un progetto di mediazione tra il carcere e la società civile ( in collaborazione con "Il contesto", la cooperativa C.A.S.T e il regista Davide Ferrario. Realizza saltuariamente colonne sonore per produzioni video documentarie e industriali e brevi cortometraggi. Galak Il cioccolato bianco è sicuramente il cioccolato più bistrattato tra le tipologie di cioccolato. Io, che sono una persona legata alla propria infanzia, relazionandomi con una grande quantità di gente adulta che dimostra di non comprendere la mia passione per il cioccolato bianco, essendo una persona legata alla propria infanzia, sto male. Un tempo non era così. Un tempo eravamo tutti bambini. C'erano innumerevoli cose che non era possibile fare da bambini e tra queste, insieme al divieto di bere vino senz' acqua, guardare cartoni animati violenti, guardare i film interi fino alle dieci e mezza, mangiare le merendine Ferrero con il latte che però era latte finto, chimico, nocivo, c'era una nozione che non era un divieto esplicito ma una consapevolezza che diffusa dalle parole della mamma rimaneva nell'aria, arrivava a colpire ogni volta che la mano bambina spezzava un quadretto di cioccolato nero, era la nozione che il cioccolato fa cadere i denti, rovina lo stomaco, rovina l'intestino, rovina il fegato. Un bambino non dovrebbe mai esagerare con le dosi di cioccolato, certi bambini per colpa del cioccolato vanno all'ospedale, se un bambino ha il diabete, col cioccolato muore. Insieme alla bocca impastata felice, la coscienza si sporcava ingoiando la cioccolata in quel primo contatto con la morale, col peccato. Io ero solo un bambino, riflettevo su tutte queste cose, mi dicevo che ero solo un bambino e mia mamma e mio papà sapevano cosa era giusto e io non ero nessuno per ritenere di avere ragione. Non rubavo mai il cioccolato nero dalla dispensa. Fin da allora infatti mi caratterizzavo per un forte senso di responsabilità, assennatezza, rispetto delle regole, oltre ad essere molto solerte nello svolgimento degli uffici durante l'eucarestia nella parrocchia di Don Enrico. Oggi, lo dico con orgoglio, non sono cambiato. Allora mentre gli incubi alimentari, la presenza del male nel mondo, del male

56 dentro presente sottoforma di desiderio per le cose buone ingannatrici si facevano spazio modificando il corso di un'infanzia, altrettanti eroi positivi si sistemavano sul cammino della crescita, fornendo spesso una valida alternativa al pericolo, spaccando in due il mondo con semplicità, aiutando il processo di identificazione di bene e male necessario allo sviluppo di ogni coscienza adulta. Ad esempio: thè no, camomilla si. Cartoni giapponesi no, Walt Disney si. Fiesta Ferrero no, Crostatine del Mulino Bianco si. Telegiornali no, Costanzo si. Chiesa si. Catechismo si. Oratorio si. Tavoletta fondente Perugina no. Tavoletta bianca Galak. Si. Galak era un mondo di latte. Con Galak potevo mangiare tutta la cioccolata che volevo. Era buonissimo. Era come mangiare la cioccolata, ma senza il cacao e questo lo rendeva un prodotto accessibile al pubblico che purtroppo più di tutti ama la cioccolata pur essendone il più danneggiabile, il pubblico dei bambini. Aveva quel sapore inconfondibile di latte e produceva un'irradiazione di calore nella gola e nel naso, un pizzicore che spingeva a mordere ancora la barretta, che rispetto alla barretta al latte kinder (che nonostante il latte chimico presente al suo interno rimaneva, secondo me bambino ingenuo, decisamente buona), era più grande e permetteva di godere più a lungo. A vederle sembravano saponette, come quelle che mi sarebbe piaciuto mangiare, quando lavandomi le mani in bagno prima di pranzo, odorando il loro profumo velenoso inebriante, sognavo di gustarne un pezzetto, e continuavo a farlo, anche se la sola volta che ci avevo provato, avevo dovuto sputare via.. Ma quelle barrette Galak, che sembravano saponette, erano cioccolato, non facevano male e si potevano mangiare. Non ero il solo da piccolo ad adorare il cioccolato Galak. A scuola, se durante l'intervallo non stavo attento, i compagni mi rubavano le preziose barrette e se le pappavano senza ritegno davanti a me, cosa che all'età di sette o otto anni, mi faceva soffrire e sentire vittima di una profonda ingiustizia. Altre volte, tornando da scuola col mio compagno Gino, riflettevamo molto spesso utilizzando i pensieri giusti dei nostri genitori e io dicevo il Galak è buono perchè non fa male e lui si, è vero, una volta ne ho mangiate sei barrette e non mi è venuta la diarrea. Eravamo contenti del Galak. Io, lui, tutti quanti. E allora? Che cosa è successo oggi? Perchè il cioccolato bianco Galak non interessa più a nessuno? Dove sono finiti quei bambini che rubavano il cioccolato Galak? Non esistono più. Sono cresciuti. Sono caduti nel tranello del piacere. Hanno creduto di essere abbastanza forti. Immaginano che la condizione di adulti gli consenta oggi di fare quello che gli pare con il proprio corpo. Ritengono che sia giusto rifarsi di un'infanzia, a loro giudizio, di privazioni e sensi di colpa. Fumano le sigarette. Divorano panini col salame. Si sbronzano il venerdì e il sabato sera con i superalcolici come Gin, Rhum, Vodka, e il vino rosso a confronto è una limonata. Si sfondano di profiterol, sacher torte, uova di pasqua fondenti, praline lindt, pasticcini, gianduiotti. Anche Gino, anche lui, che fino a dieci anni fa frequentavo ancora. Una volta siamo andati a fare una passeggiata salutare in montagna per fuggire

57 il caos, l'inquinamento che divora come un cancro le nostre città, rifarci i polmoni con quell'aria vergine, metterci alla prova sui sentieri di montagna e per quel che mi riguarda, sentire nel contatto con la natura l' avvicinamento a Dio. Allora ho detto Gino, avremo bisogno di energia, ci portiamo su due Galak per rifarci il sangue? Quello mi ha riso in faccia, ha estratto dal marsupio due tavolette di Novi alle nocciole. Ha detto sprezzante scherzi?, questo è cioccolato vero. E dopo aver scartato la confezione, ha addentato la tavoletta con una voracità che mi ha fatto male al cuore. Il cioccolato vero. Io credo che bisogna cambiare le cose, non posso vedere l'umanità andare a rotoli in questo modo, incontro alla propria autodistruzione, devo fare qualcosa. I miei genitori mi hanno insegnato una morale giusta, io ho sempre posseduto la dote di capire quella morale, fin dai primi anni di vita. Ho una responsabilità, la mia sensibilità me la assegna. Certo non è stato facile in tutti questi anni fuori dal mondo. Ho avuto modo di riflettere a lungo, sviluppare una grande consapevolezza. Adesso mi sento pronto a impegnarmi seriamente, sono un uomo capace di imparare dagli errori. Grazie alla disponibilità di Don Enrico, che invecchia ma non ha mai rinunciato a portarmi ogni settimana le sue parole di carità, mi sono reso conto che aprire la testa della mia fidanzata Caterina con un posacenere è stato un grande errore, certamente un pessimo modo di cominciare il mio operato. Anche se aveva sputato sbavando il Galak che le avevo infilato in bocca contro la sua volontà, non è giustificabile un'azione così efferata, è una cosa che ora so e con questo stato d'animo mi accingo a cominciare la nuova terapia. Cercherò di darmi da fare, con l'aiuto di Dio, perché la gente ricominci ad apprezzare le cose buone, le cose sane. E' una cosa che ritengo di vitale importanza. ATTENZIONE! Questo testo è tutelato dalle norme sul diritto d'autore. L'autore autorizza solo la diffusione gratuita dell'opera presso gli utenti di questo sito e l'utilizzo della stessa nell'ambito esclusivo delle attività interne a L'autore pertanto mantiene il diritto esclusivo di utilizzazione economica dell'opera in ogni forma e modo, originale o derivato

58 La scrittrice lombarda Melania Bonfanti progredisce di giorno in giorno, con velocità sorprendente, sia nell ideazione delle trame che nell efficacia dello stile. Battezzata in rete dall ormai celeberrimo sito noir-horror Scheletri, sollecitata dallo stesso Patrizo Pacioni che ne ha apprezzato le qualità di scrittura, ha poi esordito in aprile su col racconto La casa della bambola. Già matura a nostro avviso, nonostante la giovanissima età, per la costruzione di storie più lunghe, complesse e articolate (romanzi al sangue tanto per intenderci!) torna ora con questo originalissima storia a tinte fosche che vi permetterà di apprezzarne direttamente il tumultuoso evolversi. Fuori! Minchia che botta, ragazzi! Bel modo di planare dritti dalle stelle alle stalle; vorrei solo potermi ricordare qualcosa delle stelle, invece non riesco nemmeno a capire dove diavolo mi trovi. Eccomi qua, sdraiato da qualche parte come un pesce morto; sento il pavimento appiccicoso e lercio sotto le braccia nude e le mani. Che schifo: odio quando la polvere mi si spalma sulle dita, lascia una patina ruvida e secca che fa accapponare la pelle come lo stridere di una forchetta su un piatto di porcellana. Un neon mi vomita in faccia la sua luce moribonda. Ma dove diavolo sono, in un cesso pubblico? Scucio le ciglia e apro gli occhi; quando la realtà smetterà di vorticare, magari metterò a fuoco qualche dettaglio. Ma guarda: un televisore. Un televisore? Cheppalle! Sono tramortito nel sottopassaggio della stazione, quello è lo schermo che mostra gli orari delle PARTENZE. Ecco perché sono avvolto da un ammorbante fetore di piscio. Tiro su il collo e cosa vedo? La marmaglia. Scialati a terra individuo i ciuffi di capelli scomposti sulle loro teste. Belva, che mal di cranio! Traballo, ma riesco a sedermi sulle chiappe scarne. Butto la testa all indietro, per respirare meglio. Da lontano si avvicina un ronzio, poi un rombo, poi un boato e mi travolge un terremoto che scuote le pareti e le ossa e ci metto un po a capire che si tratta solo di un treno che passa e scorre, passa e scorre, sul binario proprio sopra di me. Le vibrazioni mi trapassano la carne e stringono lo stomaco: lo sbattono e mi viene il voltastomaco. Devo sboccare! Mi volto e lascio andare tutto, mi pulisco la bocca con la mano e rutto. Che schifo il sapore acido del vomito in bocca. Mi si forma un tappo in gola, quando sbocco, e posso trangugiare quanta saliva voglio, ma il tappo non si muove. Dai, Carpa, tirati su! Quando do gli ordini a me stesso, mi sento vecchio. Guardali i miei ometti, i bimbi che dormono come angioletti. Smuovo le teste arruffate della marmaglia con la punta del piede e osservo i loro occhietti luccicanti e le pupille dilatate quanto una macchia d olio sulla camicia della festa. - Sveglia bambini! Dolce atterraggio, vero? 1

59 I ragazzi mugugnano, biascicano qualche insulto; sbattono la testolina a destra e a manca, poi aspettano, respirando. È un momento magico perché attendi di sentire il tuo corpo tutto intero e ringrazi di averla sfangata anche stavolta. Riemergi dal buio. È speciale: prima di quel momento c è solo l oblio dello sballo, poi torni a casa, con i piedi sulla solida terra sporca. Gli amici si decidono a sorridere. Mostro i denti anch io, imitando l espressione di un vecchio sadico: - Bentornati bambini! - Levati dalla mia faccia, Carpa! La voce baritonale del Boia mi attraversa il cervello. Si stiracchia e, ancora sdraiato, s accende una sigaretta, scottandosi le dita con la fiamma dell accendino, quindi bestemmiando. Killer, lì a fianco, ci guarda con occhi sgranati: forse il suo cervello non è ancora tornato a casa, in quel cranio biondo, e non ci riconosce. Infine ridacchia, si copre gli occhi con un braccio perché il neon lo aggredisce. Fisso entrambi dall alto delle mie gambe: il Killer e il Boia. Ormai i loro veri nomi sono caduti in disuso, sono riposti in un abisso di anni trascorsi tra sfiga e sfigati, sbronze, bastardi e cazzotti. Il Boia non ricordo nemmeno più come si chiami, ho presente solo il cognome, cioè Boiesi. Il Killer di nome fa Achille, son sicuro, ma del cognome non c è più traccia nella mia mente. Certo che i soprannomi hanno un potere enorme: ti privano di un identità per dartene una nuova. Io, per esempio, fui Mariano Carpanini fino alla terza media, da lì in poi il Carpa. Mariano se la passava meglio, sguazzando nella bambagia, viziato, coccolato e soffocato dalle grosse tette della zia Maria; il Carpa un po lo invidia, quando lo ricorda, perché rappresenta la parte malvagia che c era in quel ragazzino un po finocchio; il Carpa è il marcio, come lo sono Killer e Boia rispetto a loro stessi. - Meniamo le tolle. salta su il biondo. - Buono - replica Boia, el chico moreno, tirandosi in piedi. Imbocchiamo la scalinata e attraversiamo l atrio della stazione. La biglietteria è chiusa, dietro al vetro è scesa quella tendina fatta di strisce di stoffa orizzontali. La sala d attesa è deserta, ma sulle poltroncine nere imbottite si possono ancora vedere le impronte anonime di chiappe anonime. Usciamo all aria aperta, sul piazzale che circonda un aiuola tanto secca che nemmeno l erbaccia riesce a colonizzarla. Tutti i rettangoli per il parcheggio sono occupati da carrozzerie lustre. Da qualche parte dovrebbe esserci anche la nostra automobile, cioè la mia, ma nessuno di noi si ricorda bene dove l abbiamo lasciata. - Prendi le chiavi e pigia il bottone del comando a distanza: se, tra tutte, la serratura di una macchina scatta, allora è la nostra. suggerisce il Boia. Mi tasto la camicia, i pantaloni di cotone con la piega e pure le scarpine della domenica, quelle con la fibbia, ma delle chiavi del mezzo non c è traccia. - Le avete voi, magari - dico ai compagni. Los chicos si cacciano le mani nelle tasche, ma ste chiavi non saltano fuori. Rientriamo alla stazione, setacciamo il pavimento lercio, ma niente chiavi. - Torniamo al locale dove abbiamo fatto serata, saranno lì. si fa avanti Killer. - E dove siamo stati? gli fa Boia. - Che ne so? ribatte Dove siamo stati, Carpa? - Non me lo ricordo. Rammento solo che dovevamo andare a casa ma quanto siamo a pezzi? - Anch io ho in mente solo l idea di andare a casa. dice Boia Ma cosa ci siamo calati? - Ragazzi che botta! ride Killer. - Bambini miei, - butto lì da domani ce lo scriviamo su un biglietto dove parcheggiamo e il biglietto lo infiliamo nel portafogli, così la macchina non ce la perdiamo più. 2

60 - Buono, - fa Killer ma hai perso le chiavi, quindi ora siamo fottuti comunque. - Hai ragione anche tu. sospiro, mentre mi accendo una sigaretta. - Non si può fumare nei luoghi pubblici! sgrida Killer. - Ma chi vuoi che venga a dirmi qualcosa, ora? parlo con la paglia che pende da un angolo della bocca e gli occhi socchiusi, in posa da maschio maledetto. Cala il silenzio. - Cosa stiamo aspettando? Boia interrompe la melodia senza nota dell assenza di suono. - Non ne ho idea. sbadiglia Killer. - Qualcuno ha un idea su come tornare a casa? chiedo, così, per curiosità. - Zero - ammette il Boia. - Possiamo dormire qui, in stazione. rilancio. Attimo di silenzio. - No, no, no torniamo a casa! sbotta il biondo. - E come? Non troviamo la macchina e, se anche la trovassimo, non avremmo le chiavi! Non siamo mica in un cazzo di film, dove collego i fili e bruumm si parte! gli faccio notare poco gentilmente. - Andiamo dai Carabinieri? - See, dai Bamba, come no? Basta chiedere se ci aiutano a trovare l auto, perché siamo così imbottiti di stupefacenti che non ricordiamo nemmeno dove l abbiamo parcheggiata! Ci sbattono dentro in tempo zero! A proposito, cosa ci siamo calati? - Anche questo è un mistero - fa il Boia Non mi sembra di aver preso droga statera. - Figurati se passiamo un sabato notte senza calarci! Almeno un acido ce lo siamo fatti di sicuro. Eppoi non ricordiamo niente: come possiamo dire di non avere il cervello fuso? - Ehi, belli, torniamo a casa? salta su Killer. - E come, come torniamo a casa? lo rimbrottiamo. - Non mi frega come, voglio andare a casa! Killer comincia a sudare e ad agitarsi. - Voglio andare a casa! Voglio andare a casa! - piange. - Boia, mi sa che questo è preso male. Te l ho detto che l acido l abbiamo buttato giù: guarda com è ridotto Killer. - Carpa, aiutami a sostenerlo che lo portiamo all ospedale, qui vicino. - Noooooo!!!! Killer caccia un urlo che stende Voglio andare a casa! precisa, poi, con calma. Al Boia viene l idea di telefonare a qualcuno per farci dare uno strappo fino a Pavia. Cerco il mio cellulare, ma non ce l ho addosso e nemmeno gli altri trovano il telefono. - Per la Madonna! mi sfugge. - Hip- hip- hurrà! I compari fanno il coro. - Zitti, belve! Mi sa che ci hanno derubato! - Guarda: a me mancano i documenti. osserva il Boia. - Anche a me, - sbuffo però i soldi li ho ancora! - Ci hanno fottuto l identità? Qualcuno gira, spacciandosi per noi? Dei cloni, magari - - Ma va, pirla! lo zittisco ci deve essere un altra spiegazione. È strano che ci abbiano lasciato i soldi. - Voglio tornare a casa! Killer richiama l attenzione. Penso che gli mollerei volentieri un ceffone da ribaltarlo, tanto per farlo star zitto però mi dispiace perché a mala pena si regge in piedi, trema tutto e suda. Senti, senti: l altoparlante sputa una vocina metallica di donna bionica, che annuncia il treno per Pavia pronto sul quarto binario. - Che fortuna, vero bambini? sorrido ai ragazzi. - Carpa, aiutami a tener su Killer, così prendiamo il treno. 3

61 Agganciamo l amico sotto le ascelle e lo trasciniamo fino al quarto marciapiede: il treno è effettivamente pronto; fa un rumore d inferno, anche se ha solo due vagoni malconci, bianchi e verdi con le porte blu. Salto sul predellino e da lì sul vagone; mentre Boia solleva Killer da dietro, io lo afferro per le braccia e lo tiro a me, lo sostengo, poi, con il mio compare lucido, lo aiuto a svaccarsi su un polveroso divanetto blu, picchiettato da un disordine di pallini verdi. - Dai Carpa, lasciamolo tranquillo. propone Boia, riferendosi al Killer. - Sì, hai ragione. rispondo Achille, stiamo andando a casa. - Bene bene, perché, sapete, è proprio lì che voglio andare: devo tornare a casa mia! - Certo, bimbo mio. - Tu capisci, vero Carpa? Non senti anche tu un desiderio irrefrenabile di tornare a casa? Ci penso. Sono costretto a riconoscere che il chico ha ragione: provo la stessa voglia di trovarmi tra le mura domestiche, nel mio letto, magari con mia madre che rompe le palle perché ho bevuto e ho speso troppi soldi. - Sapete che vi dico? ci richiama Boia Ho la stessa, identica sensazione. Ci guardiamo perplessi, poi Killer rutta e ci mettiamo a ridere. - A proposito, non abbiamo i biglietti. Boia è un tipo sveglio e queste cose le nota. - Resta con Killer, - dico io vado a cercare il controllore. Il biglietto ce lo possiamo far dare direttamente da lui. È notte, le biglietterie sono chiuse, quindi non dovremo pagare la sovrattassa di cinque euro. Boiesi fa un cenno d assenso. Percorro il corridoio, traballante per via delle vibrazioni del motore antiquato; passo dal vagone di coda a quello di testa, al buio, aggrappato alle maniglie dei sedili per non cadere. Nella pallida luce dei faretti sparsi sul binario, intravedo ombre scure sibilanti. Mi cago sotto perché credevo che io e la marmaglia fossimo gli unici su questo bidone viaggiante, prima dell alba, ma mi sbagliavo e i bisbigli che seguono il mio ingresso nel vagone lo provano. Con le gambe di burro, avanzo verso l estremità della motrice e più mi avvicino alle forme indistinte, più mi è facile riconoscere le loro voci come umane. Circa a metà dello scompartimento, incrocio lo sguardo con un uomo anzianotto, strizzato in un completo marrone chiaro, una camicia bianca abbottonata fino all ultima asola sul collo, una cravatta a strisce rosse, bianche e blu ed un cappello marrone di quelli che portano i giornalisti nei film anni 60, con la fascetta scura intorno, la falda stretta e la conca in cima. La giacca del vestito è aperta e la camicia bianca, liscia e senza pieghe sul torace, pare volersi lacerare all altezza dell enorme ventre dell uomo, i bottoni supplicano pietà, torturati a morte dalle asole e, tra l uno e l altro della fila, in verticale, si scorgono giganteschi ovali di pelle chiara e peli radi tra la stoffa. Le grosse cosce dell uomo sono mollemente adagiate nei pantaloni marroni a sigaretta, dai quali spuntano due minuscole scarpe appuntite di vernice, che contrastano con la grandezza delle dita delle mani che fanno capolino dalle maniche. Lo strano individuo ha la forma di una pera anche il faccione è a forma di pera: la fronte è stretta, gli occhi sono piccoli e molto ravvicinati, velati da occhiali da vista tondi, il naso quasi invisibile, la bocca sottile, ma dagli angoli allungati e piegati all ingiù. Sotto il mento quadrato, la pelle livida forma un gigantesco rigonfiamento che deforma il viso e sborda sul collo della camicia. I capelli sono radi e le orecchie rotonde, ma appena accennate. La pera umana conversa sottovoce con una vecchia grinzosa, dalla faccia piena di rughe e macchie, simile ad uno straccio bagnato e annodato. Ha i capelli tagliati corti e piegati in onde che li fanno assomigliare ad una nuvola, o a panna montata, o a cotone idrofilo. Suppongo siano completamente bianchi, poiché i neon malaticci, al di là del finestrino macchiato di pioggia vecchia, li colorano di giallo pallido. 4

62 La signora fa scorrere tra le dita ad artiglio i grani di un rosario d argento, che scintilla alla luce dei faretti. Il treno sbuffa, sento chiudersi le porte scorrevoli e lo scatto indeciso del vagone mi fa sbilanciare all indietro e quasi finisco per cadere sulle chiappe. L anziana si volta a guardarmi. Sorride. Con la voce roca mi avverte: - Sta attento a non scivolare!. Ricambio il sorriso gentile e le chiedo se ha visto il controllore. - Quando sarà il momento, verrà a cercarti. Non temere. risponde. Si volta verso l uomo a forma di pera e sghignazza, mostrando i denti posticci e strizzando la pelle come si fa con un paio di mutande bagnate. La ringrazio e faccio per tornare dai ragazzi. - Siediti qui, vicino a noi: è così triste viaggiare da soli. se ne esce la signora. - Non sono solo, nell altro vagone mi aspettano due amici. - Raggiungeteci! Faremmo volentieri quattro chiacchiere con dei giovanotti. Come si fa a rifiutare un invito gentile? In tutta la mia vita non ho mai imparato; in un minuto, infatti, trascinando Killer che blatera di voler tornare a casa, ci appostiamo nei sedili a fianco dei due personaggi. - Quanta bella gioventù! sospira la donnina, guardandoci, oserei dire, famelica. - Può dirlo forte, Perpetua! Non si vedono molti ragazzi su questo treno, anzi, credo di non averne mai visti. ride l uomo vestito di marrone. I due ci squadrano sognanti, animati dall adrenalinica sensazione che dà il nutrire delle segrete aspettative nei confronti di qualcuno saranno mica trafficanti d organi? - Benebene, - continua lo strano individuo panciuto di dove siete, ragazzi miei? Questo ha l aria d essere un pederasta, più che un trafficante assomiglia al classico personaggio cattivo dei film: grosso, sudato, perverso. - Siamo di Pavia. ribatte svelto Boia. - Bella città anche se non ho idea di quanto tempo sia passato dall ultima volta che ci ho messo piede. Cala il silenzio pesante, quello che ti obbliga a trovare qualcosa da dire, ad ogni costo; quello che risveglia un solletico nella tua coscienza per dirti che, se continui a stare zitto, si capirà perfettamente che ti stai smaronando, che ti annoi e non hai assolutamente voglia di perdere tempo a parlare di niente con un uomo e una donna che somigliano rispettivamente a Ciccio Bastardo, del film Austin Powers, e al fantasmino verde dei Ghost Busters. - Come vi chiamate? riprende la signora. Io, Boia e Killer ci fissiamo a vicenda. Ci si secca la bocca: ricordiamo di essere Carpa, Boia e Killer, ma non c è più traccia dei nostri veri nomi. Come tutto il resto dei nostri ricordi, si sono smarriti, spenti lentamente nel buio sintetico di qualunque droga ci siamo fatti. La signora sollecita una risposta. - Io sono Carpa; loro sono Boia e Killer. butto lì imbarazzato, sperando che non faccia troppe storie. - Questo signore replica la vecchia, senza fare una piega è l Uomo col Cappello Marrone e io sono la Perpetua. Devo riconoscere che, messi a confronto con i loro, i nostri sembrano normalissimi nomi di battesimo. - Come mai vi trovate qui? salta su l Uomo col Cappello Marrone, mentre si sporge oltre al bracciolo del sedile e allarga la bocca in un sorriso apocalittico. - Non riuscivamo più a trovare l auto, - spiego poi abbiamo anche perso le chiavi, il cellulare, i documenti insomma, avendo a disposizione solo qualche soldo, abbiamo colto l occasione di prendere questo treno. - Perpetua e l Uomo rimangono con gli occhi piantati su di noi, sbigottiti. 5

63 Mi chiedo se io abbia bestemmiato, senza accorgermene, invertito l ordine delle parole, parlato al contrario come un posseduto, o qualcosa di simile perché lo sguardo di quei due è davvero suggestivo: un misto di stupore e animo ferito. - Scusa, ragazzo, non ho capito bene - biascica l uomo-pera. - Abbiamo perso l auto e le chiavi e non sapevamo come tornare a casa. mi precede il Boia con il fare seccato che non manca mai di assumere, quando vuol farti capire che gli stai rompendo le palle. - Voglio tornare a casa! piagnucola Killer. - Ma voi - riprende il grasso, ma la Perpetua gli molla un calcione contro la caviglia sottile che lo fa sobbalzare. - Quanto parli, Uomo dal Cappello Marrone! lo rimbrotta Lascia che i ragazzi si esprimano, non opprimerli - - Voi come mai viaggiate su questo treno? domanda Boia che si rende conto d aver creato tensione. I due passeggeri sorridono, forse aspettavano questo momento come la manna dal cielo. In fondo, ognuno di noi ama parlare di se stesso, specialmente con gli estranei perché hai l impressione che siano sempre più sinceri degli amici; inoltre, parlare con chi non conosci è come appellarsi direttamente alla tua anima ad alta voce, senza che vengano a chiederti con chi stai discutendo?. Non devi giustificarti, o convincere il tuo interlocutore, ma persuadi te stesso, parli solo per te stesso. All unisono, gli strani personaggi attaccano a raccontare le rispettive vicende, ma le parole s intrecciano e si fondono e s accavallano e non si capisce più una mazza, allora Perpetua afferra il suo rosario e lo sbatte in faccia all Uomo col Cappello Marrone: - Zitto tu, pallone gonfiato! l Uomo ammutolisce. È troppo bello vedere una vecchietta così incazzata. - Dovete sapere che, qualche anno fa, ero collaboratrice domestica nella casa del parroco del mio paese. Ero la perpetua, in poche parole, e tutti mi chiamavano la Perpetua, così sono la Perpetua anche ora. Sbrigavo tutte le faccende, cucinavo e, soprattutto, mi occupavo del giardino della canonica, un fazzoletto di terra al quale il monsignore teneva molto per via di una bellissima statua della Madonna che avrebbe rischiato di sfigurare, tra erbaccia e fiori mezzi morti. Tutto filò liscio fino al giorno in cui il parroco decise di adottare un gatto: una bestia sudicia e malvagia. Quel gatto era Satana travestito! Tra me e Boia passa uno sguardo che quasi ci fa scoppiare a ridere in faccia alla signora e ci mordiamo le labbra per trattenerci, mentre Killer, bocca e occhi spalancati, si beve ogni parola del racconto. - Dal giorno in cui quel gattaccio mise le zampe luride in canonica, - continua la Perpetua stringendo più forte il rosario tra le dita per me iniziò l inferno: la bestia giocava tra i fiori e strappava tutto, tutte le mie piantine, spargeva resti di uccellini morti ovunque, la sua orribile coda era sempre in mezzo ai piedi e, quando la pestavo, lo schifoso animale faceva certi balzi da farmi perdere anni di vita per lo spavento. Per non parlare di quello che combinava in casa: lasciava peli in ogni angolo, si faceva le disgustose unghiette su mobili, divano e poltrone, pisciava e Dio mi perdoni scagazzava dappertutto; si mangiava addirittura le pietanze che preparavo per il parroco. Bestia senza Dio! - Che rottura di palle! sbotta Boia, ma non so se si riferisca al gatto o al fiume di parole riversato sul nostro cranio dalla signora. - Puoi ben dirlo! ribatte l anziana Arrivai ad un tale stato di esasperazione, che decisi di ammazzare il malefico gatto. La prima volta che ci provai, avvelenai il cibo, ma l animale tornò a tormentarmi, più pimpante che mai, il giorno dopo. Tentai altre volte; un giorno aspettai che facesse capolino in cucina e gli schiacciai la testa tra lo stipite e la porta, per spaccargliela, ma non funzionò; l ottava volta che cercai di ammazzare la bestia lo feci lasciando aperto il portello del forno dentro al quale avevo 6

64 lasciato un bel piatto di carne cruda: aspettai nascosta che il micio si arrampicasse fino al cibo, dopodiché serrai e accesi il forno. Feci cuocere vivo quel demonio! Per tre settimane non lo rividi. Il sabato Santo, la vigilia di Pasqua, il parroco mi chiese di trattenermi in canonica fino al termine della funzione religiosa, verso mezzanotte, perché attendeva una telefonata dalla sorella che stava in America e avrebbe dovuto partorire in quei giorni. Guardavo tranquilla la mia soap opera preferita in TV, comodamente seduta sul divano, quando mi distrasse un rumore lieve, ma fastidioso, una sorta di discontinuo raspare alla finestra. Andai a vedere, ma, nel buio, distinsi solo qualche ramo d albero che poteva aver sbattuto contro i vetri. Tornai a sedermi, ma non passò molto tempo e il fastidioso raspare tornò a farsi sentire, stavolta più chiaro e indubbiamente più vicino. Sentendolo provenire da dietro il divano, mi sporsi oltre lo schienale imbottito per capire cosa succedesse, ma non vidi nulla. Tornai composta. Mi pietrificai dall orrore: davanti a me, sarcasticamente immobile, stava il maledetto gatto del parroco, spelacchiato, ustionato, con un orbita svuotata del suo contenuto e un occhio penzolante tra le vibrisse, come appeso ad un filo. Balzai in piedi di fronte a quello spettacolo raccapricciante e la bestia rediviva avanzò verso di me. Lo fece con movimenti di una lentezza esasperante, poi si arrestò come per dirmi adesso come la mettiamo?. Afferrai un cuscino e glie lo scaraventai contro, ma la gommapiuma passò attraverso quel corpo come fosse fatto di fumo e nebbia. Il gatto aveva raggiunto la sua nona vita, quella eterna. - Accidenti! mormora Killer, coinvolto nella narrazione, bianco come un cencio. - Ditemi se non è opera del Demonio! riprese la vecchia signora Il gattaccio non mi diede tregua, mi inseguì per tutta la casa: con qualche forza misteriosa riusciva a spostare gli oggetti senza toccarli e a scaraventarmeli addosso. Riuscii a scansare sedie, coltelli, persino la caduta del frigorifero, ma, chiudendo ermeticamente ogni uscio alle mie spalle, nel vano tentativo di fermare il demonio, il rosario d argento che porto al collo e Perpetua mostra la collana di grani con la croce pendente si impigliò tra uno stipite e la porta; avendo ai piedi solo le calze di cotone pesante, poiché le ciabatte le avevo scagliate invano contro il mostro, scivolai - Boia e Killer la guardano avidi. - E poi? la incitano. - Non potevo certo restare in una casa infestata da un gatto malefico - - Adesso tocca a me raccontare! la interrompe l Uomo col Cappello Marrone. - Prepotente! lo sgrida Perpetua. - Prepotente a me? Sta zitta che hai parlato fin troppo! - Non capita sempre di avere qualcuno con cui parlare su questo treno! Non si può mica passare tutto il tempo a discutere sul nulla con una testa di pera come te! L uomo la zittisce con un gesto della mano, quindi attacca la manfrina: - Alla fine di aprile, nel mio paesino, arrivano sempre le giostre in occasione della sagra patronale del quattro maggio. Io e la mia signora usavamo spesso passeggiare per le vie del paese, attratti dal viavai festoso dei bambini attorno ai botteghini del luna park improvvisato nella piazza. Un triste anno, però, le roulotte dei giostrai trascinarono con loro anche uno strano carrozzone decorato con lustrini, specchietti, merletti, campanelli e festoni colorati. Ovunque pendevano zampette di coniglio recise, cornetti d avorio e di plastica, mazzi di peperoncini rossi e verdi 7

65 essiccati; c erano candele in ogni angolo, tutte di forme e colori diversi, alcune profumate, altre che puzzavano di morte. Impossibile scordare l assortimento di amuleti e medaglioni che quella stamberga su ruote offriva, aveva un rimedio per ogni cosa: mancanza di denaro, emicrania, malocchio, problemi intestinali, mal d amore e quant altro. Il proprietario del carrozzone non era certo meno pacchiano. Si chiamava Oreste e, nonostante i primi caldi della primavera inoltrata, portava sempre un completo nero, liso, con pantaloni a sigaretta tanto corti e stretti per le sue gambe flaccide, da lasciargli scoperte le caviglie insaccate in orribili calzini bianchi. La giacca non si abbottonava più perché troppo misera per coprire il pancione pachidermico di Oreste, così lasciava in vista una logora camicia bianca ed un panciotto orribilmente ingiallito e macchiato di ruggine dalla catena dell orologio posticcio, tenuto nel taschino. Il gitano sfoggiava una capigliatura con la scriminatura di lato; i capelli erano corti, neri, evidentemente tinti, poiché alla base della chioma si distingueva la striscia grigiastra della crescita. Sotto il naso dritto, appuntito, portava un paio di baffoni tanto folti da sembrare finti. Quel pezzente lo si incrociava per le strade a qualsiasi ora, quasi non gli importasse granché della sua piccola attività commerciale. Apriva la sua stamberga viaggiante solo quando qualcuno gli si accostava supplicante e, bisbigliando, gli confidava la segreta pena, pregandolo di fornirgli uno dei suoi miracolosi rimedi. Erano per lo più donne ad avvicinare Oreste. Qualche tempo dopo la sua comparsa in paese, casa mia iniziò a riempirsi di incensi profumati e candele afrodisiache; chiesi spiegazioni a Bertina, mia moglie, ed ella rispose che Oreste le aveva offerto quelle schifezze non si espresse proprio così, lo ammetto in cambio di quattro chiacchiere. Non dissi nulla. Lasciai credere a Bertina di non essere contrario alle quattro chiacchiere con quell inetto, ma un pomeriggio, quando uscì per andare a messa, la seguii. Non è facile descrivere ciò che provai vedendo mia moglie sfilare veloce davanti al portone della chiesa, senza degnarlo di uno sguardo, attraversare la piazza e imboscarsi, tra una roulotte e l altra, nel carrozzone di Oreste. Fu un misto di dolore e vergogna per l umiliazione, e stupore, perché Bertina aveva dimostrato un intraprendenza che non le avrei mai riconosciuto. Mi appostai silenzioso sotto una delle finestrelle del trabiccolo e restai in ascolto: sentii i due ridere, bisbigliare e di nuovo ridere, chiamandomi pera senza picciolo il senso di questa battuta m è sempre sfuggito. osserva l Uomo col Cappello Marrone, scrutandoci ad uno ad uno in cerca di suggerimenti. Io e la marmaglia abbassiamo la testa. No comment. - Comunque, - continua il ciccione da ciò che origliai capii che Bertina mi stava mettendo le corna e ci provava pure gusto! Lì per lì non feci nulla, anche se avrei voluto incendiare la roulotte con dentro la fedifraga e l amante. Attesi a casa che mia moglie rientrasse e la picchiai. Al mattino la legai al letto, la imbavagliai, staccai il telefono e andai a cercare il fabbro perché sostituisse la serratura vecchia con una nuova della quale solo io avrei tenuto la chiave. Inchiodai le finestre finché non ebbi finito di montare sbarre di ferro, dopodiché, terminati i lavori di restauro, presi l abitudine di recarmi al lavoro, segregando in casa mia moglie. Passarono due settimane, durante le quali i gemiti di mia moglie e la sua sofferenza si rifletterono sulla mia salute, peggiorandola, poi Bertina parve ritrovare serenità e contegno. Sembrava rassegnata alla vita da reclusa. Il quindicesimo giorno rientrai dal lavoro prima del solito e, non appena misi piede in casa, avvertii odore di incenso e di cera di candela, nonché di sudore. Bertina mi raggiunse sorridente nell ingresso. 8

66 Non le lasciai il tempo di spiccicare una sola parola. La colpii in pieno viso con tutta la forza, scaraventandola a terra. Com è entrato quel bastardo? gridai, ma Bertina piangeva e si copriva il naso con le dita per bloccare il sangue che defluiva. Non è un uomo continuai Oreste è il Diavolo in persona!. Mi protesi verso la donna con l intento di afferrarla per i capelli e farle sbattere la testa qua e là, ma un dolore lancinante mi attraversò stomaco e intestino. Caddi sopra Bertina, poi mi sentii sollevare e spostare in malo modo: Oreste aiutò la sua amante ad alzarsi e si rivolse a me con un sorriso beffardo: I giostrai mi hanno subito avvertito che l Uomo col Cappello Marrone aveva spiato Bertina, scoprendo il nostro piccolo segreto Sei l unico in paese a portare ancora un cappello tanto ridicolo! rincarò la dose mia moglie. Fu così che me ne andai. In paese tutti compatirono Bertina, credendo che l avessi semplicemente abbandonata e ignorando la verità - - Fatemi capire: - faccio io voi due viaggiate su questo treno perché non avete più una casa vostra, o siete solo pendolari? Perpetua e l Uomo col Cappello Marrone mi guardano esterrefatti, come per chiedere se sono scemo. - Carpa guarda là! mi strattona Boia. Tutti e tre ci affacciamo al finestrino, attratti da uno sfavillio di luci lampeggianti rosse e blu e da un brulichio di gente indaffarata attorno a tre corpi, accanto ai binari. - Dev essere un incidente. mi fa Boia. - Guardate quanta pula! sorrido io, indicando le auto azzurre e bianche. - E come hanno fatto le ambulanze ad arrivare fin qui? Siamo in mezzo ai campi tra Casalpusterlengo e Ospedaletto Lodigiano - - Carpa, non credo che quei tre abbiano più bisogno di un ambulanza ormai - nota il Killer. - Poveri ragazzi. mormora la Perpetua dal suo sedile blu. - Ma come fa a sapere se siano ragazzi, oppure no? Da qui nemmeno io riesco a distinguere - la zittisco. - Siamo noi. salta su Killer con voce piatta. - Che cazzo dici? lo aggredisce il Boia. - Non possiamo essere noi, cretino: siamo qui a parlarne! Devi essere proprio fuso, Killer - Siamo noi. ripete pallido il biondo. Il treno sfila lento davanti al gruppo indaffarato di soccorritori e alla luce smorta della luna vedo la mia faccia dipinta su un cadavere. - Biglietti, prego. un tono baritonale ci strappa dall isola dello stupore. Un energumeno dalla pelle grigiasrtra e i capelli biondicci che sbucano da sotto il cappello di tela verde, con visiera di plastica nera, tende la mano, in attesa. Killer, io e Boia non sappiamo dove posare gli occhi che bruciano dalla voglia di piangere e di fermare tutto, per rivedere le ultime scene, perché veramente non ci capiamo un accidente. - Crudelio, - lo apostrofa la Perpetua i giovanotti sono appena saliti e non hanno il biglietto: hanno gli spicci e avevano intenzione di comprarlo sul treno. Guardi, sono i ragazzi stesi là. La signora indica al controllore Crudelio tre cadaveri in fila lungo i binari, coperti da un telo bianco. - Ma che diavolo succede? piagnucola il Boia. - Siamo morti, Boia. Morti. risponde Killer che pare essersi ripreso dalla catalessi di poco fa e sfoggia di nuovo i suoi vezzi da spaccone. - Ci avete mentito! urlo in faccia all Uomo col Cappello Marrone. - No, Carpa. Voi ragazzi non avete inteso: entrambi abbiamo ammesso di essercene andati. - Non pensavo che fosse da intendere in senso metaforico! Come cazzo facevamo a capire? - Modera i termini ragazzino! mi rimprovera il controllore Vediamo di spiegare due cosette: la signora Perpetua morì strozzata dal suo rosario, incastrato tra lo stipite e la porta; l Uomo col Cappello Marrone fu ucciso lentamente dalla moglie Bertina e dal gitano Oreste, attraverso la 9

67 somministrazione, ad ogni pasto, di vetro sbriciolato, miscelato con cicuta, perché fosse più sicura la prospettiva del decesso. Io io devo solo controllare che siate in regola per viaggiare su questo treno. Domande? Pietrificati, restiamo a scaldare i sedili con la gola secca. - Giovanotti, - continua Crudelio per quanto vi riguarda, credo abbiate camminato lungo i binari finché un treno non vi ha travolti. Suicidio? - Sta scherzando? replico incazzato Non ce ne siamo nemmeno resi conto! - Allora avreste dovuto andarci piano con la droga. l energumeno solleva il cappello e passa oltre. - Scusi Crudelio, ma i biglietti non li fa? domanda Killer, calmo e insolitamente cortese. - Non preoccupatevi tempo ce n è. Prosegue per la sua strada e si perde nel buio del corridoio. - Cosa intendeva? biascica Boia Dove sono gli angeli, i cancelli dorati, o, alla peggio, le fiamme e i forconi? Perpetua e l Uomo col Cappello Marrone tossicchiano imbarazzati. - Carpa, Killer, Boia dovete sapere ancora una cosa: non esiste pace per noi, solo l eternità dell andata e del ritorno su questo treno. spiega costernato il grasso. - Essendo stati brutalmente assassinati, quindi cacciati dalle nostre dimore, io e la Perpetua abbiamo scelto di viaggiare su questi vagoni, pur di non vagare là fuori, tra i vivi. Voi non avete scelta, invece. Stavate cercando di tornare a casa, quando siete stato uccisi dall impatto con la locomotiva. Siete condannati a cercare la via di casa per sempre. Non scenderete mai da questo treno. l uomo tira il fiato, poi tace. Killer è tranquillo ora, non grida e non si agita, non trema, ma il Boia piange. Io caccio via una lacrima dalla guancia senza farmi scorgere; stendo le gambe e mi stiracchio, sbadigliando. Sogghigno e, prima di spegnere il cervello, dedico una canzone a me e alla mia sfigata mermagia di teste drogate: always have to go back to real lives/ but real lives are why we stay/ for another dream/ another day/ for another world/ another way/ for another way/ one last time before it s over/ one last time before the end 1 ATTENZIONE! Questo testo è tutelato dalle norme sul diritto d'autore. L'autore autorizza solo la diffusione gratuita dell'opera presso gli utenti di questo sito e l'utilizzo della stessa nell'ambito esclusivo delle attività interne a L'autore pertanto mantiene il diritto esclusivo di utilizzazione economica dell'opera in ogni forma e modo, originale o derivato 1 Dobbiamo sempre tornare alle vite reali/ ma le vite reali sono il motivo per cui restiamo/ per un altro sogno/ un altro giorno/ per un altro mondo/ un altro modo/ per un altro modo/ un ultima volta prima che tutto finisca/ un ultima volta prima della fine Out of This World (Bloodflowers; 2000) -The Cure. 10

68 Maria Elena Cristiano è una giovane e precoce scrittrice romana (è nata 29 Aprile 1975 e si occupa di storie horror e noir dall'età di 17 anni, usando lo pseudonimo di "Vampire") la cui narrativa è pervasa essenzialmente da atmosfere gotiche, con particolare riguardo al noir e un ammiccamento all'horror. Un'ironia graffiante e disillusa accompagna i personaggi di ogni suo racconto. Ha all'attivo diverse collaborazioni con siti di narrativa ed alcune pubblicazioni cartacee su riviste per esordienti Suoi racconti sono raccolti da diversi siti di narrativa, fra cui: Buffonimaledetti.org (con il quale collabora come parte della redazione), Libero di scrivere, Domist.net, Club ghost, Skeleton House, La tela nera, Vampiri.net, Terrorepauroso, Nuovi Autori.org, Scrivendo.it, E-writers, Misteritalia. Ha inoltre al suo attivo alcune pubblicazioni su riviste di narrativa quali "Osservatorio Letterario" e "Punto di Vista". Maggiori notizie potrete trovarle su Fumo Il fumo azzurrognolo aveva formato una coltre nebulosa che aleggiava pigra attorno alla luce a neon impolverata. L odore acro del tabacco aveva impregnato ogni lembo di stoffa della stanza, mescolandosi impercettibilmente a quello più pungente dell alcool di marca scadente e donando alla stanza un vago sentore di obitorio. Da fuori provenivano incessanti le urla del pubblico pagante. Li immaginava. Li fiutava. Accaldati e maleodoranti a sbraitare il suo nome come se il ripeterlo potesse fare avverare chissà quale recondito desiderio. Carne morta. Sussurrò allo specchio di fronte al quale era seduto. Spense l ennesimo mozzicone nel posacenere accanto al divano ed esalò, lugubre, l ultimo sbuffo di Marlboro prima della mattanza. Non c era altro modo per definire lo show che da quasi dieci anni si accingeva a replicare con metodica devozione e straripante noia. Cinque minuti e sei in scena mostro. Gary, il trovarobe, lo stava avvertendo dal corridoio del backstage. Non rispose. Sapeva benissimo quanto mancava all inizio dello spettacolo ed era perfettamente pronto a dare il peggio di sè, il meglio, si era accorto, non interessava veramente a nessuno. Pagherebbero qualunque cifra per un ora di sorrisi, ma darebbero la vita per venti minuti di odio. Era la frase con la quale Mike, il suo primo agente morto di overdose quattro anni prima, lo aveva convinto ad abbandonare i panni del mite chitarrista jazz per indossare quello che sarebbe divenuto il suo attuale sudario: Monster il dio del rock. Che stronzata, sorrise e riprese a dipingersi le labbra di nero. Aprì il cassetto della toletta ed estrasse la custodia delle lenti a contatto che infilò con gesto rapido ed esperto. Si alzò accompagnando l impresa con una dolorosa imprecazione, gli anni si cominciavano a far sentire e

69 la sciatalgia anche. Prese dall armadio la fida parrucca di ricci neri e la calzò con cura sui capelli biondi dal taglio a spazzola stile old marine. Si rimirò per qualche istante riflesso fra le lampadine che contornavano la superficie ombrata dello specchio. L opera di restauro era riuscita perfettamente anche per quella sera. La sua figura magra era inguainata in una aderente tutta di pelle nera che metteva in risalto il fisico scolpito da ore di palestra pomeridiana. I ciondoli inneggianti al Signore delle tenebre erano stati lucidati e fissati ai bottoni della salopette, in modo che risaltassero ed attirassero l attenzione dei babbei che anche quella notte avrebbero rimpinguato il suo conto in banca. Il volto era semplicemente spettarle e le lenti a contatto azzurro ghiaccio lo rendevano più demoniaco del solito. Un minuto mostro, sbrigati, là fuori stanno già dando di matto. Uscì sbattendo fragorosamente la porta alle sue spalle. Recitò mentalmente qualche frase scaramantica ed uscì sul palco. Avvolto nella solita mefistofelica nuvola di fumo, che avrebbe dovuto simulare la porta sulfurea dell inferno, ma che in realtà null altro era se non un odorosa dose di borotalco per bambini soffiato da un vecchio ventilatore a pale, urlò la sua rabbia posticcia. (Beccatevi la vostra dose quotidiana di bugie, piccoli bastardi), pensò, (osannate il mostro e pregate che il Diavolo accetti la vostra anima. Io non vedo l ora di tornare in albergo e farmi una doccia). MONSTER MONSTER MONSTER Si avvicinò alla folla che si accalcava sotto le transenne e lo spettacolo ebbe inizio. Alle due e mezza di una notte senza luna e con poche stelle era sdraiato, in stato di semi incoscienza, sul letto matrimoniale di un solitario alberghetto a pochi chilometri dal teatro nel quale si era esibito. Anche per quel giorno aveva fatto il suo dovere: esaltato il pubblico; squartato un paio di bambolotti-neonati rigonfi di vernice rossa per auto, durante una sua personale rivisitazione di una messa nera; tentato di augurare, senza successo, la buona notte alla figlioletta di sette anni che ora dormiva placida nel suo caldo lettino fra le cure, non proprio amorevoli, della sua ex-moglie; controllato l andazzo delle sue azioni bancarie e fissato un nuovo appuntamento con la sua analista. Finalmente poteva godersi un meritato riposo. La quiete dopo la tempesta mormorò alla stanza vuota. Si issò a fatica a sedere sul letto sfatto e si osservò nello specchio di fronte alla spalliera. Strano, pensò, era convinto di essersi tolto la parrucca appena rientrato nel camerino dopo lo spettacolo. Si passò una mano sulla testa ed i suoi polpastrelli accarezzarono le punte ispide dei cortissimi capelli biondi. Si avvicinò titubante alla sua immagine riflessa. La sagoma in boxer compiva esattamente i suoi movimenti, ma il suo viso era incorniciato da lunghi capelli neri ed i suoi occhi rilucevano di una tetra luce azzurrognola. O Cristo! Non proprio. O Dio... O me, fai prima. Si sedette di fronte all immagine distorta e sfiorò la superficie vitrea con la punta delle dita. Il suo speculare gemello fece altrettanto, ma sorridendo. Alla fine è successo, bofonchiò, mi aveva avvertito la mia analista che prima o poi sarei entrato in conflitto con il mio personaggio. Ed ora ci siamo. Ben venuto nel club degli esaurimenti nervosi!. Non sei pazzo James Edgar Manson. Sei molto più savio di tanta gente di mia conoscenza, ed anche più fortunato. Parla anche è peggio di quanto credessi.... Sei convinto che questa apparizione sia il frutto della tua immaginazione?. 2

70 Sì, lo ritengo alquanto probabile. Ti sbagli James. Se vuoi mi presento in grande stile con un abbigliamento e delle sembianze più consone alle rappresentazioni popolari che mi ritraggono. Prego?. Smettila di far finta di non capire. Mi hai evocato per così tanto tempo, così insistentemente e con modi così convincenti, anche se devo ammettere che l heavy metal è troppo anche per me, che non potevo più esimermi dal degnarti di un incontro. Tu...proprio tu...saresti...il.... Diavolo, esattamente. Oddio.... Mai imprecazione fu meno azzeccata figliolo. Ho deciso di assumere l aspetto del tuo alterego ritenendo che fosse meno traumatico e demodé del solito caprone puzzolente. Il diavolo. Sei monotono.... E cosa vuole da me il diavolo?. E cosa mai potrà volere da uno dei suoi più abili pubblicitari: la tua anima, è ovvio. E scommetto che in cambio mi offrirai fama, denaro, immortalità Non ho mai creduto a queste cose. Insomma io ci campo vendendo fumo ai creduloni. Io sfrutto la loro malafede, le loro paure ed i loro desideri. Amico io vendo un prodotto!. E lo vendi talmente bene che io ho deciso di comprarlo. Signor Manson ho voglia di concludere una transazione con te. L immagine bidimensionale si avvicinò al limitare dello specchio. La superficie prese a gonfiarsi ricalcando esattamente le fattezze del mefistofelico interlocutore che acquistò spessore corporeo in un attimo mettendosi a camminare tranquillamente per la stanza illuminata con passo spedito e signorile. Non credo di avere nulla che mi interessi venderti. Non ti ho ancora fatto la mia proposta. Non mi interessa ciò che hai da propormi. Il successo ce l ho, i soldi non mi mancano, le donne mi disgustano già da un paio di anni. Non c è niente che tu possa offrirmi. La felicità, ecco cosa posso offrirti. Sei mai stato veramente felice in questi ultimi dieci anni James?. Queste sono proposte da angelo mio caro. La felicità che intendo io è molto diversa dall accezione celeste. Io ti offro la felicità senza condizioni, niente rimorsi, niente ripensamenti, niente fatica. Ti offro l opportunità di essere amato da chiunque senza che tu debba far nulla per meritarlo. Le folle penderanno dalle tue labbra, i fans si moltiplicheranno a dismisura. Nessuno sarà più in grado di resistere ai tuoi voleri. Per ottenere qualunque cosa ti basterà allungare la mano e prenderla. Non.... Tua figlia James. Melanie non c entra nulla in questa storia. Non è mai stata coinvolta con la mia vita. Non è mai stata veramente mia. Lo sarebbe. Adorerebbe il suo papà e smetterebbe di guardarlo disgustata perché la mamma le ha mostrato le foto degli spettacoli. Non si spaventerebbe più all idea di salire da sola in macchina con lui perché uccide i bambini sul palco scenico.... Io non farei mai del male a mia figlia, non l ho mai fatto a nessuno. Lo so James, io so tutto di te. So quello che pensi, quello che vuoi, quello che sogni e so che posso donarti tutto questo, compreso l amore, anzi no, la venerazione di Melanie. James aveva gli occhi iniettati di sangue e continuava a fissare Monster ritto davanti a sè pervaso da un milione di pensieri contrastanti. Cosa vuoi in cambio?. La tua anima, e.... 3

71 E cosa?. E voglio una prova della tua devozione. Parla. Bene, bene, bene, si sedette sulla sponda sinistra del letto, hai sempre inneggiato a me nei tuoi spettacoli, e, a dire il vero, mi hai già reso un buon servigio. Non sai quanti giovani adolescenti foruncolosi hanno compiuto atti di violenza o di autolesionismo ascoltando i tuoi brani, contribuendo in tal modo a dannare,almeno in parte, la loro inutile anima. Ma tu, amico mio, non hai mai fatto nulla di concreto per me. Mai un gesto, una preghiera, qualcosa insomma che mi inducesse a credere nella tua fede. Buffo gioco di parole, nevvero?. Rise e per la prima volta James fu certo che ciò che aveva dinnanzi non aveva nulla di umano. Dunque ora pretendo che tu mi dimostri obbedienza. Come? Aveva un pulsante cerchio alla testa e fremeva dalla voglia di concludere quella irreale conversazione. Uccidi qualcuno nel mio nome. Un buon vecchio sacrificio umano vecchio stile. Un atto sabbatico in piena regola. Amo le novità, ma sono così drammaticamente attaccato alle tradizioni. Uccidere qualcuno? Sei pazzo. No, sono il diavolo... E come..quando?. Stava davvero pronunciando quelle parole? Un angolino ancora intatto della sua mente gridava allarmato tentando di riportare James alla realtà, ma il resto del suo Io era affascinato da quello che stava vivendo. Accetti allora signor Manson?. Ed in cambio avrò.... Tutto l amore e la devozione del mondo. Accetto. Deglutì rumorosamente. Allora ascoltami, non mi piace ripetere le cose due volte. Presta attenzione e non mi deludere. Che lo show abbia inizio. Si svegliò l indomani con una forte sensazione di stordimento e con una tremenda emicrania che lo costrinse a banchettare con caffè ed analgesici innaffiati da una sostenuta dose di burbon. Verso l una di una mattina infuocata decise di fare quattro passi per la città. Non rammentava neppure il nome dell ennesima località di provincia che stava ospitando il Tour, e che si sarebbe in fretta dimenticata del passaggio di quella carovana di invasati che, per una notte, avevano portato una ventata di eccentricità ad animare la vetusta e consolidata routine del piccolo centro. Camminava lentamente con le mani affondata nelle tasche ed un paio di occhiali scuri dalla montatura pesante di ottone che scintillava funesta fra i raggi obliqui del sole estivo. Nessuno badava alla sua figura smilza e trasandata che vagava senza meta fra i banchi del mercato, che si fermava a spiare dagli angoli dei palazzi gruppetti di ragazzi e ragazze intenti ad amoreggiare o a scherzare più o meno amabilmente, forti dell invulnerabilità della loro adolescenza. Ad un tratto la sua attenzione fu catturata da una giovane mora che sedeva appartata su di un muretto nei pressi della fermata del bus. Aveva i lunghi capelli lisci raccolti in una coda di cavallo legata da un nastro nero, un paio di luridi jeans blu stinti e malconci che dovevano essere almeno un paio di taglie più grandi della sua ed una t-shirt nera con impressa l effige di una croce scarlatta. La ragazza doveva far parte del gruppetto che stava allegramente dissertando sulla conclusione del campionato di Basket universitario, ma non sembrava prestare molta attenzione alla confusione che animava i suoi compagni. Aveva l aria assente e lo sguardo perso in un punto indefinito lungo una traiettoria immaginaria dove solo lei poteva seguire il volo pindarico dei suoi pensieri. Si avvicinò e le si sedette affianco. La giovane non lo degnò neppure di uno sguardo. 4

72 Salve.Le disse cordialmente. Non rispose. Le toccò leggermente una spalla e la ragazza sobbalzò come se fosse stata punta da un ape. Ma sei scemo!,lo apostrofò con poca grazia, chi cacchio sei?. Si sfilò gli auricolari dai quali rombò un assordante assolo di chitarra elettrica. Ecco perché non mi sentivi aggiunse lui sorridendo. E che motivo avrei di starti a sentire, vecchio?. (La detesto. Credo che sceglierò proprio lei) pensò. Bhe, per cortesia, innanzitutto, o hai paura di parlare con uno sconosciuto?. Sentite il nonno com è spiritoso, urlò verso i ragazzi poco distanti, questo tipo mi chiedeva se ho paura di parlare con gli sconosciuti!. Si levarono alte risa e qualcuno indirizzò a James qualche esplicito e volgare gesto di scherno. Non ho paura di parlare con gli sconosciuti bello, sono gli sconosciuti che dovrebbero averne di parlare con me. Diglielo Batsy! gridò qualcuno da dietro le loro spalle. Sei una tipa pericolosa, allora. Lo puoi ben dire cocco. Ne vuoi una prova?. E perché no. Devi essere una di quelle asociali, introverse, complicate teen ager che si stordiscono dalla mattina alla sera di metal, divorano libri e film dell horror, e sono certe che non ci sarebbe fine migliore per i propri genitori che quella di essere le prossime vittime di Freddie Kruegher. E allora? Ci trovi qualcosa da ridire?. Per carità, sono esattamente il mio tipo di donna. Bello se mi vuoi rimorchiare sei fuori tiro massimo.... Non ho nessuna intenzione di rimorchiarti. Non una tipa dura come te. Sono convinto che gli uomini te li scegli da sola già da un paio d anni. Puoi dirlo forte e li faccio anche stancare da un paio d anni, tesoro. Ohhhhhh!!!. Le urla del gruppetto si fecero più forti ed i ragazzi cominciarono ad avvicinarsi alla singolare coppia che si era formata per ascoltare meglio i toni aspri della conversazione. La cosa si stava mettendo piuttosto bene, e se Betsy avesse continuato a prendere in giro il vecchietto probabilmente ci sarebbe scappata anche una piacevole rissa. Non riuscivano proprio ad immaginare un modo migliore per concludere un noioso pomeriggio estivo. Ok, ma oltre a saper parlare di sesso e di morte, avresti anche il coraggio di fare qualcosa di concreto?. Del tipo?. Si tolse gli occhiali da sole, ed estrasse dal portafogli un biglietto da visita che porse alla ragazza, che dopo averlo guardato con aria di disprezzo lanciò un gridolino strozzato: Ma è uno scherzo?! chiese eccitata. No, mi chiamo James Manson e sono l agente di Monster. Al suono di quel nome il capannello di giovani si fece ancora più dappresso ed iniziò a porre domande concitate che si accavallarono fra loro creando un imbarazzante frastuono. James levò una mano per tentare di imporre un po di silenzio, e la piccola folla obbedì. Dopo tutto poteva essere in ballo un incontro con uno dei loro idoli, era meglio prestare la massima attenzione. Stiamo cercando comparse per lo show di domani. Una delle ragazze si è infortunata dopo lo spettacolo di ieri e fece un gesto teatrale con la mano come se stesse accendendo una sottile sigaretta. I ragazzi risero sarcasticamente. Ha ballato una volta di troppo con Mary... fischi di approvazione seguirono l affermazione dell occhialuto skin head che l aveva pronunciata. Esattamente. In conclusione abbiamo bisogno di una sostituta. E tu hai pensato a me? Un soprano non avrebbe saputo scandire meglio quelle sillabe. Se ti interessa... 5

73 Interessarmi? Ma scherzi amico, io darei la vita per poter toccare Monster!!. Bene, allora non mi ero sbagliato sul tuo conto. E cosa dovrei fare..insomma io so cantare, ma... No, no tesoro, non ci siamo capiti. Mi serve una ragazza che partecipi alla messa in scena del rito sabbatico del secondo atto della performance. Mitico.... Il che vuol dire che sei d accordo, giusto?. Certo! Farei qualunque cosa per essere su quel palco. Compreso spogliarti e fingere di essere una vittima sacrificale?. Dai Betsy non sarà la prima volta che qualcuno ammira i tuoi gioielli! Un ragazzo con i capelli rossi ed il volto tempestato di efelidi aveva sparato quell affermazione con la violenza di un colpo d arma da fuoco. Betsy scosse la testa sorridendo, niente affatto imbarazzata dal tenore delle proposte e della conversazione. Accetto. Hey, e i tuoi che ne penseranno? Devo pormi certi scrupoli, in fin dei conti credo che tu sia ancora minorenne. I miei non si accorgono nemmeno della mia presenza, sono troppo persi nei loro affari personali di carriera ed amanti. E poi ho diciassette anni e mezzo l orgoglio di quella rivelazione le pervase il volto di un rossore fiero. Se fosse arrivata al suo trentesimo compleanno sarebbe stata senz altro una donna molto affascinante. Se solo ci fosse arrivata... Si alzò calzando con cura gli occhiali da sole sul naso adunco. Affare fatto allora Betsy e le tese la mano. La ragazza la strinse con gratitudine manifesta. Ci vediamo domani sera verso le sette nel back stage del teatro. Ti spiegherò cosa dovrai fare esattamente e ti presenterò Monster. Sarà lieto di constatare la dedizione dei suoi fans. Li salutò con un cenno della mano e si allontanò nella medesima direzione dalla quale era venuto. Le urla festanti dei ragazzi alle sua spalle gli strapparono un vago sorriso. Doveva sbrigarsi, c era uno show da portare avanti. La notte passò tranquilla e senza incontri. Si sorprese più volte, desto, a fissare con occhi spalancati la sua immagine riflessa nello specchio oblungo che ammiccava,lucente,di fronte al suo letto,ma nessuno si presentò a turbare il suo concitato sonno. La mattina si alzò di buon ora. Restò immobile sotto il getto scrosciante della doccia fredda, osservando, rapito, gli strani e serpeggianti gorghi che i sottili rivoli di acqua formavano sull anello metallico del discarico, prima di svanire per perdersi in un fiume sotterraneo e nascosto che li avrebbe inglobati come figli spersi e ritrovati. Fece un paio di telefonate. La prima al suo agente per avvertirlo che non avrebbe rispettato le scadenze dei prossimi due concerti. Le obbiezioni di Greg gli fecero venir voglia di ringhiare, ma sbattergli il ricevitore in faccia e troncare quella sequela incoerente di ululati da cane ferito, lo fece sentire ancor più padrone della situazione. La seconda chiamata lo fece ripiombare nella sua solita depressione di genitore inconcludente e frustrato: tentò di parlare con Melanie, ma la bambina si rifiutò di concedergli anche solo un breve saluto. La voce sterile e monotona della sua ex-moglie lo apostrofò con la grazia e la comprensione alla quale si era abituato nei trascorsi otto anni di catastrofe, ossia di matrimonio: Mia figlia non ha nessuna intenzione di parlare con un pazzo che si diverte a squartare bambini su un palcoscenico. Prova a cambiare vita James e forse riuscirà a vederti come un essere umano. Un lungo sibilo metallico pose fine per quella mattinata ai suoi sogni di una famiglia felice, o solo di famiglia. 6

74 Fece colazione in camera, ma, a dire il vero, non toccò quasi una briciola di tutto ciò che la cameriera, ammiccante ed ancheggiante come non mai, gli aveva portato. Si stese sul letto fino quasi alle cinque e poi, messi gli abiti di scena nella solita valigetta di pelle nera, si recò a preparare lo show. Arrivò in teatro poco dopo. Non salutò nessuno e si precipitò a sbirciare il dietro le quinte per accertarsi che la sua prescelta non avesse avuto ripensamenti dell ultim ora. Betsy era lì. Indossava il medesimo paio di pantaloni troppo larghi e troppo sgualciti. Un sorriso tirato impresso a fuoco sulla faccia pallida ed un po spaesata. Si diresse in camerino con passo svelto. Chiuse a chiave la porta alle sue spalle. Aprì la valigia e ne estrasse il contenuto. Si spogliò in fretta. Si calzò con cura i pantaloni neri e la canottiera rosso sangue, si aggiustò la parrucca stando attento a non rovinare la piega dei ricci che aveva messo a posto con dovizia la sera precedente, infilò le lenti a contatto azzurre e si accinse a dipingersi le labbra di nero. Quando ebbe terminato Monster lo fissava immobile ed inespressivo come un boia in attesa di compiere giustizia. Per un attimo l irrealtà dell apparizione di cui era stato testimone la notte precedente, e l atrocità di ciò che si accingeva a compiere lo assalì con tutto il peso del male che pervade il mondo. Si portò le mani alla faccia, e con un gesto di stizza si levò il rossetto con un rapido fendente del polso, tracciando un lungo solco nero lucido sulla pelle diafana. Cosa sto facendo. Ma poi il volto minuto di Melanie che lo guardava, atterrita, nascondendosi dietro le gambe abbronzate della madre per difendersi da lui, dal mostro che mangia i bambini, si proiettò violenta e reale di fronte ai suoi occhi offuscati dalle lacrime. Prese il rossetto e ritoccò ciò che aveva appena guastato. Dopo tutto c era uno show da mandare avanti. Betsy si era seduta sugli scalini del retro palco e guardava attonita il febbrile via vai di tecnici delle luci, del suono, di ragazze in reggicalze che cercavano i resti dei loro costumi sotto gli occhi incuranti dei trova robe che ormai adusi a certi spettacoli, sembravano non notarle neppure. Sei tu la ragazza che ha mandato James?. Anche la sua voce era diversa, più roca, più profonda, malefica e affascinante. Betsy alzò gli occhi e assenti con un gesto leggero del capo. Io sono Monster, e tu chi sei?. B-Betsy...Betsy Miller. Si strinsero la mano con forza. Bene signorina Miller, mi aspettavo che fossi un po più graziosa, ma in tempo di carestia non badiamo a certi particolari. Bhe io...in genere sono più carina di così, ma sono un po ecco...nervosa e s.... Spaventata, lo so, spavento la gente per mestiere. Seguimi, devo spiegarti per cosa mi servi. Lui avanzò con passo spedito verso il palco, lei lo seguì come un cagnolino obbediente. Right, a metà del secondo tempo dello spettacolo entrerà una sorta di tavolo coperto da un drappo nero.... Lo so ero fra il pubblico due sere fa...sei stato eccezionale.... Meraviglioso e raccapricciante. Lascia stare i complimenti e ascolta. Dunque, quando entra il tavolo tu fa il tuo ingresso dall altra parte del palco ed indicò la parte opposta delle quinte, da dove una ballerina li stava osservando chiedendosi con rammarico ed astio perché mai Monster avesse rimpiazzato lei, abile spogliarellista di professione, con quella insipida bambolina dal volto sparuto. 7

75 Avanzi fino al bordo del tavolo, mi fissi e ti sfili la camicetta. Poi ti giri verso il pubblico, in modo che tutti possano osservare bene le tue grazie, e ti sdrai sul tavolo chiudendo gli occhi. Io mi avvicinerò dopo pochi minuti e urlerò qualcosa di incomprensibile verso di te. Non ti preoccupare di capire cosa dico perché non lo so neppure io, lo invento ogni sera... La ragazza sorrise imbarazzata. Fatto questo ti trafiggerò con un coltello dalla lama retrattile da cui sgorgheranno fiumi di inchiostro rosso. Tu resterai immobile e con gli occhi ben chiusi. Ricordati solo di spalancare le braccia non appena ti colpisco e di lasciarle immobili lungo i fianchi finché non ti avranno portata via ancora stesa sul tavolo. Non devi muoverti per nessuna ragione al mondo, non c è nulla di più ridicolo di un cadavere che apre gli occhi per vedere che effetto ha sortito la sua esibizione sul pubblico. Siamo professionisti qui, vendiamo paura e la paura è una cosa seria. Sei certa di rammentare tutto quello che ti ho detto? Sì. Ok, adesso sparisci e fatti dare il costume da qualcuno. Ci si vede fra circa tre ore sul palco, e niente errori. Se sbagli ti trafiggo con qualcosa di non retrattile. Siamo intesi?. Certo Monster, farei qualunque cosa per te. Lo so le strizzò l occhio e svanì dietro il palco. Lo show stava per avere inizio. Si accorse di non essere particolarmente nervoso mentre si esibiva per la solita moltitudine di decerebrati urlanti. La voce gli resse bene per tutte le prime canzoni, cosa che non gli accadeva da un paio d anni. Era carico e tagliente come agli esordi ed anche la band sembrava aver notato questa sua ritrovata presenza di spirito, non lesinando bis e acrobazie di accordi urlati e sofferti sopra le Fender quasi fumanti. L intervallo durò meno del solito. Il pubblico era scatenato e non aveva nessuna intenzione di attendere che il suo mito riprendesse fiato per più di dieci minuti. Monster li possedeva. Se ne nutriva. Li amava e li odiava con ogni sfumatura della voce,con ogni goccia di sudore, con ogni rantolo di finta rabbia. E loro erano suoi. Volutamente schiavi di un immagine senza sostanza, di una bugia sui tacchi alti, di un raggio d ombra che offuscava per lo spazio di una canzone la monotonia a colori delle loro vite. Il tavolo coperto dal drappo nero fece il suo ingresso. James provò un piacevole senso d eccitazione. Betsy entrò pochi istanti dopo, adorabile con la camicetta bianca ed il gonnelino da collegiale blu con le pieghe che le scivolavano appena sulla superficie dei polpacci. Avanzò come una vestale. Si fermò esattamente all angolo del blasfemo altare e si voltò verso la platea cominciando a slacciarsi uno ad uno i bottoni della camicia. I capelli fluenti e sciolti sulle spalle le incorniciavano un volto fiero e spavaldo. Mostrò i seni ritti ed ancora acerbi ad una folla accaldata ed eccitata. Si sdraiò con il torace che le si alzava ed abbassava senza controllo. Chiuse gli occhi ed attese. Monster si dileguò dietro le quinte. Estrasse dalla borsa di pelle un lungo coltello per affettare il pane che aveva sottratto dalla cucina dell albergo, e si avventò su di lei senza profferir verbo. La lama le squarciò il petto dalla gola fino all inguine e la ragazza sbarrò gli occhi e lanciò un grido strozzato, mentre un rivolo di sangue vermiglio le affiorava dalle labbra e scivolava lungo la guancia, rapido come era stata la sua vita, un battito d ali e nulla più. Nessuno si accorse di nulla. I tecnici audio lasciarono la loro postazione ed entrarono tentando di passare inosservati. Spinsero il tavolo dietro le quinte e lo abbandonarono lì. La musica continuò senza interruzioni. La folla si scatenò in un delirio orgiastico. 8

76 Una ragazza in jeans irruppe sul palco gridando. E morta! Fermi Smettete di suonare! E morta vi dico Cristo fermatevi!. Il batterista fu il primo a riporre le bacchette. Le chitarre si unirono al silenzio insieme al basso. Monster si voltò adirato verso la giovane in pantaloni che continuava a singhiozzare e ad indicare un punto alle sue spalle con movimenti ritmici e meccanici. Interrompi lo spettacolo James, temo sia accaduto un guaio. Io non interrompo niente! Io sono il Dio del rock e non mi interessa la morte di nessuno se non la mia. Ricominciate suonare! Subito!. Un agente in divisa, accorso dall entrata del teatro, si affacciò: Sospenda lo spettacolo. Qui c è una ragazza morta. La folla sprofondò in una sorta di curioso ed attento silenzio: Monster ha ucciso la ragazza?. Ma quale? Voci anonime sparse nell aria. Quella che si è spogliata!. Monster ha ucciso quella ragazza? Fico!. James fissò il poliziotto con piglio di sfida, poi gettò il microfono sul palco e seguì l uomo. La folla non smise un attimo di incitare il suo idolo. MONSTER...MONSTER MONSTER MONSTER. Lo spettacolo era venuto bene, dopo tutto. L interrogatorio fu lungo e sfiancante. Non vi era dubbio alcuno che la giovane fosse stata accoltellata e non vi era dubbio alcuno che l arma del delitto giaceva con le impronte digitali di James Edgar Manson in un angolo del suo camerino, dove i tecnici l avevano riposta dopo l esecuzione del numero. E non vi era dubbio alcuno che James Edgar Manson era l autore del delitto, confermato dalla testimonianza di almeno un migliaio di persone. Non si difese. Si limitò a tacere e a chiedere di entrare nel suo camerino prima di essere portato via in manette. L agente lo scortò fino alla stanza. La ispezionò a fondo per accertarsi che non vi fossero possibili vie di fuga e quindi lo lasciò solo mettendosi a piantonare la porta. James si sedette di fronte allo specchio. Si sfilò la parrucca e quando vide che l immagine riflessa conservava i lunghi capelli neri parlò: Ho fatto ciò che mi hai chiesto. Hai fatto molto di più. Hai convinto quei ragazzi che la morte fa spettacolo e li hai avvicinati ancor di più a me. Complimenti Monster, mi hai sorpreso. Mi vogliono arrestare. Lo so. Non possono!. Perché? Hai assassinato quella poveretta di fronte ed un numero imbarazzante di testimoni! Non c è ragione per la quale ti lascino andare. Ma che stai dicendo? Fra noi esisteva un patto!. E tu credi che il Diavolo rispetti i patti? Il Diavolo tenta ed infrange, gioca e vince. Non c è regola che non muti o vincolo che non possa violare. Tu mi avevi promesso che...che...mia figlia.... Tua figlia non ti vuole e non ti vorrà mai. L amore è l unica cosa che non posso comprare e tu sei stato tanto ingenuo da pensare che Io,il Signore delle tenebre, Mefisto per gli amici, avrebbe ricongiunto un padre alla sua tenera pargola? Disgustoso. Sei così puerile, quasi puro che mi ispiri tenerezza. Ma allora se tutto è una menzogna, perché? Perché mi hai fatto questo?. 9

77 Per gioco. Per vedere se l idolo nero del rock era veramente un mio seguace. L ho fatto perché eri in debito con me ed era ora che saldassi il conto. Non capisco. Hai costruito la tua fama, la tua carriera su di me. Mi hai nominato, invocato, osannato, per poi schernirmi in privato e deridere i miei seguaci. Com è che li chiamavi? Aspetta, aspetta, credo di rammentarlo...a sì! Imbecilli lobotomizzati, piccoli mostri senza padrone, devoti del nulla, sciocchi creduloni senza speranza. No, mio caro. Non si scherza con il Maligno. Ma ora sai che anch io credo in te e ti sono devoto. Ora hai la mia anima. La tua anima è sempre stata mia. O pensi che solo gli assassini e gli stupratori siano di mia pertinenza? Tu hai deviato e traviato i sogni di una generazione di adolescenti indicandogli la giusta via per arrivare a me. Li hai convinti della vacuità della bontà, della mendacità della speranza, dell assenza di Dio, della irragionevolezza dell amore e della beatitudine che solo gli istinti possono dare. Hai contribuito a risvegliare la bestia che alberga in loro. Sei stato uno dei miei migliori emissari. La tua anima mi spetta. Ora ho capito. Tacque. Tu non esisti. Sei il seme della mia follia. L immagine si dileguò e James si trovò a fissare la buffa parodia di un Monster semi struccato e con ispidi e sudati capelli a spazzola, che lo fissava con sguardo assente dallo specchio contornato di luci. Aprì il cassetto. Estrasse il rasoio e sfilò la lama. Entrò nel piccolo bagno. Aprì l acqua calda e turò il lavabo. Due colpi. Precisi, profondi, fecero zampillare fiotti di sangue dai suoi polsi. Li immerse nel liquido bollente e chiuse gli occhi. Ti voglio bene Melanie. I suoni si fecero lontani, le luci sbiadite, il battito del cuore aritmico e soffocato come il suo respiro. Quando l agente entrò nella stanza insospettito dal silenzio e dall eccessivo tempo trascorso, James Edgar Manson, Monster, giaceva esanime in una pozza di sangue. Sorrideva. Libero. ATTENZIONE! Questo testo è tutelato dalle norme sul diritto d'autore. L'autore autorizza solo la diffusione gratuita dell'opera presso gli utenti di questo sito e l'utilizzo della stessa nell'ambito esclusivo delle attività interne a L'autore pertanto mantiene il diritto esclusivo di utilizzazione economica dell'opera in ogni forma e modo, originale o derivato 10

78 Sandrina Piras nasce nel 1964 a Carbonia, caratteristica cittadina del Sulcis in provincia di Cagliari. Vive e lavora nella magica Torino. È sposata e ha due figli, un maschio e una femmina. Sognatrice per scelta, ama la musica, gli animali, la buona cucina, il vino bianco e soprattutto ciò che rappresenta l'arte. Ha frequentato e frequenta corsi di narrativa e romanzo alla Scuola Holden. Scrive spesso di notte con la luce spenta e con il solo rumore delle dita sulla tastiera. Nella sua vita pochi cambiamenti ma tantissimi gli interessi. Viaggiare e scrivere è ciò che più ama, e che vorrebbe avere la possibilità di fare con maggiore frequenza e continuità. Ha molti amici e cerca di stare sempre bene con tutti. Nel 2001 arricchisce le sue conoscenze con il lancio nella rete del "Salotto Letterario"; una straordinaria avventura telematico-culturale cresciuta con velocità impressionante anche grazie all'aiuto di tantissimi amici che hanno creduto in lei. La sua citazione preferita appartiene a H.Böll: Io sono un clown e faccio collezione di attimi. Ferie Poniamo che, un bel mattino ti svegli e sai già prima di svegliarti che sei una persona felice. Felice perché sei in ferie. Poniamo. Sono molto stanco, le ho aspettate con ansia queste benedette ferie, tutte le notti mi alzo alle tre del mattino per andare al forno dove lavoro, mi occupo della cottura del pane, qualche volta aiuto i miei compagni di lavoro addetti alla produzione quando sono in ritardo e li aiuto anche a portare i sacchi della farina fino all impastatrice. Ma ora ci siamo, ho una gran voglia di muovermi, di divertirmi, di svaccare, nel limite del possibile ovviamente! Voglio che questo primo sabato sera di ferie sia spassoso in tutti i sensi. Chiamo la mia Cristina e le dico di prepararsi, la porto in discoteca questa sera. Dolce Cristina. Cristina ama ballare, è romantica, sogna i fiori d arancio, ma glielo dico sempre: non abbiamo i soldi per sposarci, con l euro il mio stipendio praticamente è come se fosse stato dimezzato e poi siamo troppo giovani, io di anni ne ho ventuno e lei diciotto, eh! Le voglio molto bene certo, Cristina mi fa stare bene, mi piace, mi diverte, sarebbe capace di sollevare il morale ad un esercito di depressi. Da piccola finiva sempre nei guai perché a scuola faceva ridere sempre tutti. La chiamo al telefono. - Ciao Cri, tutto bene? - Ciao Luca, si, si bene, e tu? - Bene bene, dai stasera ce ne andiamo a ballare a Porto Pino sei contenta? - Certo! A che ora vieni da me? - Tra un oretta va bene? - Si, ti aspetto. - Ciao Topo! - Ciao amore mio, a dopo. Spero di trovarci anche i miei amici, l ultima cosa che voglio e che questa serata si riveli più noiosa dei mondiali di scacchi in tv. nell eventualità andremo a buttarci in mare nudi nel cuore della notte. 1

79 Non ho nessuna voglia di tenere sotto controllo gli impulsi anzi, l'idea è di rimanere su di giri per tutto il periodo delle ferie. Mia madre mi fa le ultime raccomandazioni, quest ultimo periodo è stata davvero assillante, avevamo i muratori a casa per la ristrutturazione ed è stata per tutto il tempo nervosa! E quando è nervosa mi stressa, ma ora chiariamo il concetto SONO IN FERIE. Mi lascio cadere sul letto, un occhiatina al giornale, due cracker e una spremuta d arancia prima di prepararmi. Indosso semplicemente una t-shirt nera che fascia i miei pettorali, un jeans ed eccomi pronto, si parte per la nottata allegra e spensierata, ma soprattutto per uscire dallo stato catatonico, ballare e rimettere l umore sulla pista di decollo. Verso le dieci e mezza di sera, mentre esco di casa per recarmi da Cristina, mi squilla il cellulare, è Livio un mio amico. - Ciao Luca! - Ehilà Livio, ciao! - Senti vai mica a Porto Pino stanotte? - Si, sto andando a prendere Cristina, perché? - Me lo dai un passaggio? C è anche Paolo. - Si certo, passo io da te, diciamo tra una mezz ora, appena arrivo ti squillo. - Ok, grazie! A dopo. Arriviamo a Porto Pino verso la mezzanotte. Andiamo tutti sulla spiaggia per una passeggiata, la gioia di vivere si legge sul viso di tutti, i miei amici sono già su di giri, l occhio malandrino e nessuno con la faccia seria, sorridono tutti anche quando non ce n è bisogno. La spiaggia sotto la luna è un incanto di sabbia fine e chiara. Ci siamo sono in ferie! Sorrido a Cristina e sento il suo cuore spalancarsi. Passeggiamo, ridiamo, chiacchieriamo, ci canzoniamo, cantiamo, siamo felici. Alle 2,00 circa entriamo in discoteca, musica altissima, visi sorridenti, voglia di divertirsi. Dopo qualche ora perdo di vista i miei amici, avranno cuccato mi dico, beh spero che si divertano, ma ripensandoci mi rendo conto che Paolo non ci sa proprio fare con le donne, è un incompetente in questo campo, come un palo della luce, ha studiato da cascamorto con un manuale fai da te, figuriamoci! Livio glielo dice sempre che deve leggere maxim, dice d aver imparato molte cose leggendolo. Ha imparato che per portarsi a letto una ragazza non devi fingere che non t interessi, o meglio, devi comportarti come se non fossi particolarmente interessato, insomma devi lasciarla in sospeso. Ma la musica mi riempie l anima, sono contento, contento di esser qui. Mentre ballo spensierato il mio sguardo cade su la divisa di un carabiniere, è in compagnia di un ragazzo,.azzo!!!! E Livio!! Livio mi segnala con un dito. Porca puttana!! si stanno avvicinando a me, mi guardano come se fossi il mostro di Milwaukee, con la differenza che Jeffrey Dahmer uccideva e faceva a pezzi le sue vittime, le bolliva e le congelava, io per fortuna ho altri hobby!!!! Il carabiniere appena vicino mi chiede il mio nome. - Lei è il signor Luca P.? - Si sono io. - Mi segua per cortesia! - Certo ma. Che succede? - Venga, venga mi segua, glielo spiego dopo. 2

80 Esco con loro dalla sala stordito, incuriosito e preoccupato. Appena fuori mi accorgo della presenza di altri tre carabinieri che intrattengono gli altri miei amici, Paolo, Tony e Giulio. Comincio ad innervosirmi, cazzo! devo sapere!!! Ma che è successo per Dio!!!! Il Carabiniere mi chiede le chiavi della mia auto, non resisto e chiedo con un tono di voce più alto ancora una volta che diavolo sta succedendo. - Ecco le chiavi, prego,.ma qualcuno vuol dirmi che sta succedendo??? - Venga signor P., parliamo un momento io e lei. Mentre altri due carabinieri perquisiscono la mia auto il primo m informa dell accaduto..sticazzi!! Dico ad alta voce. Livio era appena stato trovato in possesso di alcune pastigliette di ecstasy. Sono sconcertato, non può essere mi dico. Anche se una cosa va detta: abile è abile a far cazzate!! ECSTASY. ma dico si è bevuto il cervello!!!! Livio si avvicina, tento subito di fissarlo negli occhi ma non riesco a cogliere il suo sguardo. Che imbecille! La mia prima paura è quella del ritiro della patente, poi il coinvolgimento in una storia dove non c entravo davvero nulla. L unico errore di questa sera è l aver concesso il passaggio ai miei amici, perché, comunque vada tutta questa storia, loro sono amici miei. In macchina non hanno trovato nulla, sono le quattro e mezza del mattino e mi chiedono ancora di seguirli, stavolta in questura a Giba, un paesino vicino, con tutti i miei amici, io, Livio, Paolo e Tony. Sono incazzato!! Restiamo in questura per circa quattro ore, quattro ore di attesa e interrogatorio, ma non finisce mica qui! M informano che adesso (le otto del mattino circa) dobbiamo recarci a casa da me, per la perquisizione della mia stanza. Sono molto incazzato!! A bordo della loro auto mi portano a Carbonia dove arriviamo verso le nove circa. A casa c è solo mia madre, abitiamo da soli io e lei, mio padre è morto qualche anno fa, m ifastidisce darle questo dispiacere, non lo merita. - Mammaaa.. sono io apri, ci sono sei persone con me! - Si Luca arrivo. Non posso descrivere il volto di mia madre alla vista dei sei carabinieri, li fa entrare con gentilezza e con garbo chiede che succede. In due si fermano a parlare con mia madre e altri quattro cominciano a perquisire la mia stanza. Sono stanco, assonato, teso e incazzato!! In quattro aprono armadi, cassetti, guardano sotto il letto, sotto il materasso, in mezzo ai libri, fra l abbigliamento. Da piccolo collezionavo le scatolette in cartoncino del mulino bianco, quelle che si trovavano nelle merendine, le hanno aperte tutte! 3

81 Sulla cassettiera trovano una scatoletta di metallo con dentro i miei risparmi (duemila euro circa). - Signor P., e questi soldi? - Sono i miei risparmi. - E li tiene tutti qui? - Perché? Qual è il problema? dove dovrei tenerli? - I risparmi non si tengono a casa. - Sono soldi che ho sudato lei pensa che provengono da spaccio, è così? - Ascolti P. facciamola finita, se ha qualcosa da dirci lo dica subito, tanto le staremo addosso! - Io non ho nulla!! L ho già detto, non ho mai fatto uso di certe sostanze e non so nemmeno come sono fatte!! - Luca ci vuole poco per finire in galera, se la riacciuffiamo in compagnia di persone in possesso di stupefacenti sono tutti cazzi suoi!! Lasciano la camera nel caos più totale e chiudono la perquisizione con esito negativo. Le firme sui verbali sono da farsi in questura a Carbonia, saluto mamma dandole un bacio quasi come per chiederle perdono e via di corsa sempre sulla loro auto. Due firme, una per la perquisizione dell auto e l altra per la perquisizione di casa, due verbali con esito negativo. Mi riaccompagnano a Giba dove ho lasciato la mia auto, sono le 11,30 del mattino e sono finalmente libero. Mentre sono qui a Giba decido di andarmene in spiaggia a Porto Pino, non ho voglia di tornare a casa e litigare con mia madre, mi farò una bella dormita sotto la pineta. Che stanchezza!! Trovo un posticino tranquillo.. stendo il mio telo da spiaggia e intravedo una signora bionda che mi sorride. Si, certo, la riconosco è mia zia Sara, sapevo che era arrivata qui in ferie da Torino ma non ero ancora riuscito a salutarla. - Luca, tesoro, come stai? - Ciao zia!!! - Allora come stai?? Hai il viso un po tirato. - e.. sapessi!!! Il mio primo giorno di ferie!!!..scusami per l espressione ma.una merda!!!! - Ma che ti è successo?? - Vedi Zia. Poniamo che, un bel mattino ti svegli e sai già prima di svegliarti che sei una persona felice ATTENZIONE! Questo testo è tutelato dalle norme sul diritto d'autore. L'autore autorizza solo la diffusione gratuita dell'opera presso gli utenti di questo sito e l'utilizzo della stessa nell'ambito esclusivo delle attività interne a L'autore pertanto mantiene il diritto esclusivo di utilizzazione economica dell'opera in ogni forma e modo, originale o derivato 4

82 Angela Buccella procede spedita verso il successo: dopo la tournée in coppia con Eliselle (altra monella di per la presentazione dell antologia edita da Malatempora "Altri Amori" (in cui è inserito il suo racconto Delirio ), è stata pubblicata recentemente dalle edizioni Lieto Colle nell altra raccolta "Tua con tutto il corpo". Presto in libreria "Glamodama. Milligrammi di Assuefazione". Era di ceramica Era di ceramica la prima volta. Me lo ha detto lei stessa. Era di ceramica la prima volta. Come la sua faccia. Come la sua pelle. Talmente perfetta da sembrare irreale. Era di ceramica la prima volta. Come il mio cuore di cui ha ignorato il rumore. Gettandolo. Lo sguardo resta fisso. La testa inclinata da un lato. Il mascara a gocce di lacrime sulle guance. Seta di carne come labbra di ciliegia da leccare. Raccogli ciuffi di capelli intorno alle dita e canti. Musichette da carillon infantili. Canzoni che non hanno un inizio. Ne canti solo la fine. La loro morte. Danzano parole con ballerine di gesso sulla lingua e si inchinano. Ridi. Ridi e non la smetti. Isterica ridi e guardandoti nello specchio di un ascensore dici Sshhh. Silenzio. L indice davanti alle labbra. Sshhh. Silenzio. Poi con lo stesso dito fingi di decapitarti. La bambina deve dormire. Sshh. Cerchi in borsa. Veloce. Irritata. Frughi nelle tasche come fossero i tuoi ultimi minuti di respiro. Il pennarello. Lo trovi. Ridi. Ridi ancora. Non distogli lo sguardo da te stessa. SShh. Silenzio. SShh. Ora sembra tu lo stia cantando. Tieni il viso alto con il pennarello tracci una linea orizzontale sul collo. La bambina deve dormire. Tracci una linea parallela alla prima.

83 Sshh. La bambina deve morire. Ridi forte. Ma le lacrime continuano a sgorgare dagli occhi. Ti freghi le palpebre con le mani strette a pugno. Ti volti mi guardi. Ti avvicini. Il pennarello nero ora traccia segni sul mio collo. La tua mano è insistente. Ti sento passarlo infinite volte. Poi ti scosti per farmi guardare nel vetro. Leggo piano Sgozzami Sgozzami. La bambina deve morire ti sento ripetere urlando. ATTENZIONE! Questo testo è tutelato dalle norme sul diritto d'autore. L'autore autorizza solo la diffusione gratuita dell'opera presso gli utenti di questo sito e l'utilizzo della stessa nell'ambito esclusivo delle attività interne a L'autore pertanto mantiene il diritto esclusivo di utilizzazione economica dell'opera in ogni forma e modo, originale o derivato

84 Maria Grazia Armone, scrittrice torinese nata a Pachino (SR), è al terzo appuntamento (dopo Vito Lo Crasto e Vincenzina si mette l abito a fiori) con i visitatori di I suoi racconti sono brevi ma intense storie minimaliste nelle quali malinconia e ironia si miscelano con straordinaria naturalezza ed equilibrio. Donne al volante In una strada nebbiosa, che popola i miei sogni, a ridosso di un grattacielo, alto due piani, c è una viuzza dimenticata dal sole dove la pioggia ha cancellato i colori delle case, che, sembravano vecchie quanto il tempo. Nella strada vi sono anonime botteghe e le luci tremolanti oscillano sotto forti raffiche di vento. E una fredda serata di gennaio, le feste sono appena finite e la tristezza è d obbligo. Tutti hanno riposto l allegria insieme agli alberi di Natale ed ai presepi. La gente cammina frettolosa e malinconica pensando al nuovo anno da affrontare e all inverno particolarmente gelido. In quest atmosfera sonnolenta, invidio la solitudine rassegnata della piccola donna vestita di nero. Nella sua dignità vedovile sembra estraniata dal mondo; sembra aver cura solo del suo piccolo mondo. La vedo muoversi dalla vetrina; é paziente ed operosa come una formichina. La signora Sara fa scorrere sui vestiti ancora imbastiti il suo ferro da stiro, da cui si sprigionano nuvole di fumo, nella stanza piena di manichini e modelli ancora imbastiti, ritagli di stoffa, pizzi e merletti. Una ragazza seduta sul banco le racconta qualcosa; Sara la segue, con scarso interesse, emergendo distrattamente dai suoi pensieri e con un sorriso triste sembra scusarsi. La signora Sara è sempre dello stesso umore; non si fa scoraggiare da montagne di lavoro da fare. Trascorre le sue serate tutte allo stesso modo; ogni sera é così uguale alle altre che sembrano riflettersi allo specchio, sono i bambini e i rimpianti a tenerle compagnia. C è qualcosa di là del suo sguardo che si perde nel vuoto: c è lei; sempre lei che innaffia i ricordi con lacrime mai versate.

85 Si rivede adolescente pensare alla vita e sognare l amore e sospira, involontariamente, pensando ai suoi sogni di ragazza. Sara, la quarta di una nidiata di sei figli, era timida ed obbediente e non si sarebbe mai ribellata a qualsiasi decisione dei genitori. Per questo in famiglia scelsero Sara: una bocca in meno da sfamare e la sua virtuosa passività l avrebbe aiutato a sopportare la prozia Rosa che viveva in America ed era ricca e senza figli. Nessuno tenne conto dei suoi sentimenti; d altronde, lei li aveva sempre tenuti per se. Sara avrebbe fatto la sua fortuna se tutto fosse andato come prevedeva la famiglia. La prozia Rosa era una donna che aveva fatto del matrimonio un ottimo investimento, e quando morì il marito rimase unica erede di un discreto patrimonio. L improvvisa ricchezza acuì l innata tendenza di zia Rosa a tiranneggiare chiunque; difatti, i rapporti con la servitù non duravano mai a lungo, la sua arroganza ed il pessimo carattere facevano fuggire anche le persone più pazienti. Così, zia Rosa, rimasta sola reclamò Sara perché era giusto avere qualcuno vicino della famiglia per tenerle compagnia. Per la vecchia signora Sara fu un giocattolo nuovo del quale si stancò subito. Sara cercava di assecondare i capricci della zia, di indovinare i suoi desideri ma questa trovava esasperante ogni atteggiamento della nipote: il modo di essere sottomessa, i suoi rossori, l incapacità a difendere le proprie idee e la scarsa capacità di conversazione. Sara ingoiava le lacrime e resisteva. Qualche volta, zia Rosa la schiaffeggiava e non perdeva occasione per umiliarla. La zia Rosa si annoiò persino a maltrattarla e così rispedì a casa Sara sconfitta e senza dote. Prima di cacciarla via le diede la stoccata finale; fu una scena penosa: sentire la zia che le urlava dietro che la mitezza di pecora la rendeva ancora più goffa e che non la voleva più. Era ora che si trovasse un marito e facesse dei figli, sempre se fosse riuscita a trovare un uomo capace di sopportarla. Così com era arrivata, sconfitta e senza dote, Sara ritornò in famiglia.

86 A casa dovette inghiottire l umiliazione di dei suoi ma qualche tempo dopo incontrò l uomo della sua vita. Un impiegatuccio borioso la chiese in sposa e l avrebbe sposata senza dote. Il matrimonio fu una sua rivincita personale: l aveva riscattata dal fallimento con la zia e lei sarebbe uscita dalla famiglia. Il marito di Sara era un ometto piuttosto scialbo ma per era come gli eroi dei fotoromanzi. Sara sapeva che suo marito non era bello come i divi di cui lei sognava, tuttavia lo vedeva come un dio, e poi lui l aveva scelta, avrebbe avuto cura di lei Sara non riusciva a ricordarsi quando la vita coniugale cominciò a cambiare; la sua felicità cominciò ad incrinarsi Pochi mesi dopo la sua vita era un inferno. Andando indietro con la memoria non sapeva dire esattamente quando le cose cominciarono a cambiare; fu una metamorfosi lenta ma progressiva; lui cominciò e parlarle ed a comportarsi con la stessa acredine della zia. Ogni gesto; ogni parola di Sara nel tentativo, di compiacere il marito serviva solo a dimostrarle che lei era un incapace. Il risultato della sua buona volontà fu di confonderla ancora di più e farla chiudere in se stessa. Tutto questo avveniva mentre lei ingoiava le lacrime pensando ai suoi bambini. Lei non riusciva ad essere come la voleva lui: indipendente ma servile, emancipata ma, al contempo, sottomessa. Un giorno per non contrariare si sottopose alla prima lezione che lui stesso le avrebbe impartito. Lei era atterrita ed osò contraddirlo, per la prima volta in vita sua. Non le era mai stato facile concentrarsi quando aveva paura di sbagliare. Andò avanti, facendo spegnere il motore più volte; la lezione sembrava non finisse mai. Sembrava che fosse tutto finito ma lui cambiò idea. Adesso voleva che facesse retromarcia, doveva fermarsi vicino al burrone Avvicinarsi ad un passo da lui e non aver paura. Sara era atterrita, respirò forte, accese il quadro, avviò la macchina e sentiva lui che le ordinava di fermarsi solo al suo alt.

87 Lui stava ancora urlando: Fai retromarcia a fermati solo quando sarò io ad ordinartelo! Hai capito? Allora non guardarmi come una stupida; non fare spegnere il motore, frena solo quando ti dico io! Poi i suoi ricordi sembrano sciogliersi al riverbero di rimorsi involontari, e lei ritorna nel limbo fatto di giornate sempre uguali. Così il dramma della piccola signora vestita di nero é riassunto in paese col solito luogo comune: si sa che le donne al volante ATTENZIONE! Questo testo è tutelato dalle norme sul diritto d'autore. L'autore autorizza solo la diffusione gratuita dell'opera presso gli utenti di questo sito e l'utilizzo della stessa nell'ambito esclusivo delle attività interne a L'autore pertanto mantiene il diritto esclusivo di utilizzazione economica dell'opera in ogni forma e modo, originale o derivato

88 Angela Aniello, giovane scrittrice pugliese, è ormai una vera e propria habituée delle pagine elettroniche di Nei precedenti appuntamenti ci ha mostrato la parte più immaginifica della propria creatività, attraverso poesie e racconti permeati di profonda religiosità, immersi in un atmosfera fantastica a mezza strada tra il mistico e il new-age. In questa occasione, invece, ha preferito analizzare lo stupito dolore e il rancore di chi, in qualsiasi modo, veda inaspettatamente deluso e tradito il proprio sentimento d amore. Anoressia d amore Roberta osservava il mare in burrasca, come se volesse annegare ogni malinconia fra i marosi rumorosi contro l alta scogliera. Il vortice pericoloso sotto di lei divorava l anima, anoressica d amore. Un mostro nascosto, un ombra cupa e minacciosa, ansimava nel petto, bloccando a tratti il respiro già affannoso. Ciocche impazzite affollavano il viso come i suoi deliri, l odore nauseabondo dei ricordi consumava nell acido stentate apparenze. Maledettooo figliooo di puttanaaa! Il vuoto estese la voce e l impotenza. Quel nome, quel fottuto nome come il suo padrone, martellava le tempie e il cuore contemporaneamente. "Fabiooo! Fabiooo " Ma saliva sempre alle labbra quel nome, come un cobra pronto alla stretta mortale. Fabio era il suo compagno. Dovevano sposarsi Era già tutto pronto quando, infilato sotto la porta, semi-accartocciato, aveva trovato un comune foglio da blocknotes con una sola parola: PERDONAMI! Era sparito così, senza lasciare traccia. E si erano volatilizzati anche i sogni. Adesso era là. Tanta voglia di farla finita, ma poco coraggio. Fabio aveva calpestato ogni cosa, la dignità, l amore ma non meritava la sua vita. No! La vita, no! 1

89 Il mare tempestoso seguiva le ardite impennate dei desideri. Poteva divorare bulimicamente quell incubo e vomitare, poi, tra la spuma biancastra la bile velenosa. Annaspavano i ricordi come foglie languenti trascinate dalla corrente. Si sovrapponevano i volti dei tossici ospiti della comunità Raggio di Sole in cui lavorava ai versi annebbiati delle poesie che custodiva gelosamente. Maledettooo maledetto ma-le-det-to Gocce di mare le imperlarono il volto nel tenue riverbero di un sole coperto da oscuri cumuli-nembi. Roberta sussultò e gli spruzzi gelidi, più efficaci di una sberla, la scossero. Solo allora si rese conto di essere all estremità di un alta scogliera, non ricordava neppure come ci fosse arrivata. Come in trance, a tratti lucida, a tratti assente, sicuramente stordita da tanta sofferenza. Ancora una volta un onda lambì le punte dei piedi. Si ritrasse, ma il piede sinistro rimase incastrato in un piccolo fosso. Ebbe paura non voleva morire. Si guardò intorno, non c era nessuno. Un silenzio mortale avvolgeva quella rupe misteriosa che antiche leggende denominavano "la finestra della morte". Cominciò a sudare. Cercò di smuovere il piede lentamente per non perdere l equilibrio. Una due volte finalmente alla terza riuscì a spostarlo di qualche millimetro. Si era accovacciata e come chioccia malferma indietreggiava per sottrarsi al pericolo. Sentiva nelle orecchie il gorgoglìo dell acqua e non poteva sopportarlo. "Che tu sia maledetto!", urlò ancora con tutta se stessa "Che tu sia maledetto, Fabio", e le lacrime si mescolarono all odore di salsedine. Era la larva di se stessa e si vergognava di non riuscire a reagire. Aveva allontanato tutti ma forse il suo non era un cammino senza ritorno. Forse il tempo avrebbe placato tutto. Adesso doveva solo mettersi in piedi e camminare. ATTENZIONE! Questo testo è tutelato dalle norme sul diritto d'autore. L'autore autorizza solo la diffusione gratuita dell'opera presso gli utenti di questo sito e l'utilizzo della stessa nell'ambito esclusivo delle attività interne a L'autore pertanto mantiene il diritto esclusivo di utilizzazione economica dell'opera in ogni forma e modo, originale o derivato 2

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