QUATTORDICESIMA DEL TEMPO ORDINARIO

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1 QUATTORDICESIMA DEL TEMPO ORDINARIO SACRA PAGINA Dal libro del profeta Isaia 66,10-14c 10Rallegratevi con Gerusalemme, esultate per essa tutti voi che l amate. Sfavillate con essa di gioia tutti voi che per essa eravate in lutto. 11Così sarete allattati e vi sazierete al seno delle sue consolazioni; succhierete e vi delizierete al petto della sua gloria. 12Perché così dice il Signore: «Ecco, io farò scorrere verso di essa, come un fiume, la pace; come un torrente in piena, la gloria delle genti. Voi sarete allattati e portati in braccio, sulle ginocchia sarete accarezzati. 13Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò; a Gerusalemme sarete consolati. 14Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore, le vostre ossa saranno rigogliose come l erba. La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi».parola di Dio. ACCLAMATE DIO, VOI TUTTI DELLA TERRA. Salmo 65 Acclamate Dio, voi tutti della terra, cantate la gloria del suo nome, dategli gloria con la lode. Dite a Dio: «Terribili sono le tue opere!». «A te si prostri tutta la terra, a te canti inni, canti al tuo nome». Venite e vedete le opere di Dio, terribile nel suo agire sugli uomini. Egli cambiò il mare in terraferma; passarono a piedi il fiume: per questo in lui esultiamo di gioia. Con la sua forza domina in eterno. Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio, e narrerò quanto per me ha fatto. Sia benedetto Dio, che non ha respinto la mia preghiera, non mi ha negato la sua misericordia. Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gòlati 6,14-18 Fratelli, 14quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo. 15Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l essere nuova creatura. 16E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto l Israele di Dio. 17D ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo. 18La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen. Parola di Dio. ALLELUIA, ALLELUIA. La pace di Cristo regni nei vostri cuori; la parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Col 3,15a.16a Dal Vangelo secondo Luca 10, In quel tempo, 1il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. 2Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! 3Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; 4non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. 5In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa!. 6Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. 7Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora 1

2 ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all altra. 8Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, 9guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: È vicino a voi il regno di Dio. 10Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: 11 Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino. 12Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città». 17I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». 18Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. 19Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. 20Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli». Parola del Signore. 2. LECTIO Tutti i Vangeli sinottici (anche Lc 9,1-6) ricordano una missione dei Dodici in Galilea; Luca è l unico a parlare di questa missione allargata dei Settantadue discepoli. Sono i testimoni di Gesù, per questo mandati «a due a due», numero richiesto per la testimonianza ufficiale (Dt 19,16); preparano «in ogni luogo» (v. 1) la visita personale di Gesù con cui il regno si instaura. a/ «LA MESSE È MOLTA» L orizzonte a cui guarda Gesù non è solo quello piccolo della Galilea, ma tutto il mondo. Il numero (72, v. 1) dei missionari prescelti - sempre però collegato a quello fondamentale di Dodici (un multiplo dimezzato: 12 x 12.2) - sembra volervi fare allusione. Infatti secondo la Bibbia greca 72 sono appunto i popoli della terra (Gn c. 10: tavola dei popoli). Questa missione dunque, anche se avviene in Galilea, preannuncia la missione universale della chiesa voluta da Cristo risorto (24,47) e realizzata poi nei primi decenni della storia cristiana. Nel libro degli Atti Luca descriverà appunto questo apostolato evangelico che si muove in tutte le nazioni «fino agli estremi confini della terra» (At 1,8). Ma vuole che esso sia preannunciato subito: è il Gesù storico che pensa a tutti gli uomini. La sua catechesi missionaria si fa pressante; non soltanto i Dodici, cioè alcuni prescelti, ma tutti i credenti devono sentirsi coinvolti in questo impegno universalistico di salvezza; ogni cristiano deve sentirsi ed essere in qualche modo missionario. Questo è il senso dell allargamento da Dodici a Settantadue. Non una chiesa che manda missionari, ma una chiesa missionaria per tutti i popoli. b/ «PACE A QUESTA CASA» È il classico saluto orientale, però nei Vangeli diventa la sintesi concentrata di tutto l annuncio: è l augurio e la proclamazione della «pace» messianica predetta dai profeti (Is 9,5-6) e compiuta in Gesù. È un tema missionario sul quale Luca insiste molto. Cantano questa «pace» gli inni liturgici che aprono il suo Vangelo (quello di Zaccaria e quello degli angeli: 1,79; 2,14-15); si diffonde la «pace» al passaggio di Gesù (19,38), nel dono dei suoi prodigi (8,48) e soprattutto nel dono del perdono (7,50). La pienezza della pace verrà comunicata dallo stesso Gesù risorto che si ripresenterà ai suoi proprio con il saluto missionario che aveva loro consegnato (24,36). Augurando la «pace» dunque i Settantadue annunciano che «è vicino a voi il regno» (v. 9), anzi, che Gesù stesso sta per giungere. In questo contesto non è per nulla secondaria la battuta iniziale: «Li inviò in ogni città e luogo dove stava per recarsi» (v. 1). Il piano storico è palese: Gesù preparava così il suo ministero nei villaggi, attraverso un preannuncio portato da discepoli. Ma non ci si può fermare qui, data l implicita ampliazione postpasquale suggerita dal testo: è il prossimo arrivo fra gli uomini del Cristo risorto che i missionari annunciano. Questa è la «pace» che recano i messaggeri di Gesù; anzi - come suggerisce integrando la 1a lettura - la gioia sfavillante e la consolazione divina di Gerusalemme (Is 66,10-14). c/ «QUANDO NON VI ACCOGLIERANNO» Non tutti accoglieranno l annuncio di «pace» mandato da Gesù, e preferiranno l esclusione dal suo regno (vv ). Il missionario dev essere preparato anche al rifiuto: questo è parte della catechesi apostolica di Gesù. È uno dei temi angosciati del Vangelo di Luca. Gesù stesso proprio per questo piangerà sulla sorte di Gerusalemme che lo rifiuta: «Se avessi compreso anche tu in questo giorno la via della pace!» (19,42: voluto richiamo alla finale del Benedictus: 1,79). Perché il rifiuto tocca Gesù in prima persona, la cui partenza dalla Galilea verso Gerusalemme è stata amareggiata dall insensibilità delle città del lago: Corazin, Betsaida, Cafarnao (10,13-15); i luoghi più cari al ministero di Gesù, dove aveva sparso i tesori delle sue parole e dei suoi gesti messianici, alla fine si autoescluderanno dalla salvezza portata da lui! Ma il missionario deve saperlo con tutta chiarezza: l annuncio messianico portato da lui è di Gesù, e il rifiuto che eventualmente gli viene riservato non riguarda lui, ma Gesù! «Chi ascolta voi ascolta me, e chi disprezza voi disprezza me (10,16: passo capitale, omesso dalla lettura liturgica). 2

3 Da notare: - la messe è molta/gli operai pochi - supplicate il Signore che stani operai - ritorno nella gioia sottomissione dei demoni - potere di calpestare serpenti e scorpioni - i vostri nomi sono scritti nei cieli. 4. Passi utili Sal 126; Ap 12,7-12; Is 11,1-10; Eb 2,14s; 1Gv 3,1; Ap 2,17. E tuttavia, per un misterioso piano provvidenziale, anche il rifiuto concorrerà alla diffusione della salvezza. Il pensiero va così spontaneamente ai popoli pagani (simboleggiati dai classici Tiro e Sidone: 10,13-14); respinto dai suoi, Gesù sarà accolto dagli altri popoli della terra, e la chiesa - anticipo del regno di Dio - si diffonderà fra le genti. Il pensiero universalistico, fondamentale per una catechesi missionaria, rimane dominante. d/ «ANCHE LA POLVERE DELLA VOSTRA CITTÀ...» Passaggio classico della catechesi missionaria, non del solo Luca, ma di tutti i Vangeli sinottici (Mc 6,11; Mt 10,14; e già per la prima missione Lc 9,5). Il missionario non vuole portare con sé nulla di quella gente che respinge Gesù, nemmeno «la polvere che si è attaccata ai nostri piedi!» (v. 11). Un gesto di rottura dunque, una specie di scomunica; anzi l amara ratifica di una scelta sbagliata. Luca solo ci informa che effettivamente la predicazione primitiva lo praticherà (At 13, 51). Non è solo una minaccia - esclusione escatologica dal Regno -: è l ultimo tentativo profetico di scuotere l indifferenza delle città insensibili al Vangelo. Luca capisce che quel gesto, apparentemente duro, in realtà cela un implicita benignità; e lo dice esplicitamente, lui solo, integrando molto umanamente le parole di Gesù: «... noi la scuotiamo contro di voi. Sappiate però che il regno di Dio è vicino» (v. 11b). È sorprendente annotare questa volontà di Gesù di liberare da ogni patema e ansia l apostolato impegnativo dei suoi. Saranno esposti a ogni rischio («agnelli in mezzo a lupi», v. 3), saranno spesso respinti; eppure dovranno mantenere la calma e la serena dignità del messaggero a cui non è chiesto altro che di proclamare il lieto annuncio. Nessun turbamento, nessuna recriminazione se respinti; scuoteranno via la polvere e andranno altrove ad annunciare. Come buoni contadini devono soltanto buttare a piene mani il buon seme; sarà Dio stesso a realizzare i frutti del loro lavoro (1Cor 3,6-7). Niente deve scoraggiarli; nonostante tutto «la messe è molta» (v. 2). e/ «I VOSTRI NOMI SONO SCRITTI NEI CIELI» Questa bella pagina missionaria si conclude nel segno della gioia. I Settantadue ritornano «pieni di gioia» perché la loro missione ha avuto successo, e Satana- il negativo di Dio e del suo Regno - è stato vinto (v. 17). Anche Gesù è pieno di gioia; per lui la loro missione fedele e coraggiosa si traduce in una sfolgorante visione di stampo apocalittico: «Vedevo Satana cadere dal cielo come la folgore» (v. 17), ed esprimerà presto la sua gioia in una commossa preghiera di grazie al Padre: «In quello stesso istante esultò nello Spirito Santo e disse: Io ti rendo lode, Padre» (10,21). Ma ancora una volta Gesù si sforza di distogliere la mente dei suoi dall idea del successo (o dell insuccesso). La loro felicità non consisterà nel realizzare, ma nel vedersi annoverati, proprio perché annunciatori del Regno, nel numero degli eletti alla gioia escatologica (v. 20). Nel grande libro celeste (immagine corrente nella letteratura apocalittica; vedi Dn 2,1; Ap 3,5) ci saranno scritti anche i loro nomi. E così si chiude magnificamente questa catechesi missionaria; i messaggeri della gioia di Gesù, anzi della gioia consolante della Gerusalemme messianica (1a lettura), saranno essi stessi per primi pieni della gioia evangelica: «Rallegratevi...!». f/ «PORTO LE STIGMATE DI GESÙ NEL MIO CORPO» Come d abitudine, la 2a lettura non si riallaccia esplicitamente al tema impostato dalla 1a lettura e sviluppato dal Vangelo. Con alcune frasi toccanti e lapidarie si chiude oggi la lettura di questa tormentata e limpida lettera ai Galati. E si conclude, in forma di saluto, nel tema della «grazia» (v. 18). Ma, al termine di argomentazioni appassionate e rigorose, si tratta molto di più che di un augurio. Per Paolo la grazia di Cristo ha trasformato il mondo; in una specie di annientamento cosmico, ha distrutto il mondo antico e ne ha creato uno nuovo. L antico non c è più, non conta più (circoncisione, incirconcisione, vv ); conta solo far parte di questa «nuova creazione» realizzata dalla croce di Gesù. Il mondo è morto («crocifisso», v. 14); Paolo stesso è morto, trafitto dalle piaghe di Gesù crocifisso (v. 17). Nel mondo, in Paolo e quindi nei credenti, vive solo Cristo. È la ripresa, scolpita in parole vigorose e immaginose, dell idea centrale di tutta la lettera: «Sono stato crocifisso con Cristo, e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita che vivo nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (2,20). La letteratura cristiana ha ripreso infinite volte il tema della grazia di Gesù che salva; ma nessuno è mai arrivato ad esprimerla in termini così concisi, incisivi e appassionati. 3. MEDITATIO L esegeta ha posto in luce come in questo invio dei Settantadue Luca intenda descrivere soprattutto la missione della chiesa dopo la Pasqua. Tuttavia, nel brano evangelico odierno, è rispecchiata l esperienza missionaria della comunità cristiana di ogni tempo: il Signore glorioso e vivente manda tutta la sua chiesa a tutto il mondo. La nostra meditazione si sofferma perciò sulla missionarietà della chiesa e del cristiano. 14 a/ IL CUORE DELLA MISSIONE 3

4 L orizzonte del messaggio del brano evangelico di oggi è molto più largo di quanto si è soliti interpretare. Non si tratta di una missione affidata ad un gruppo ristretto di inviati e ministri. In quei 72 Gesù impegna nell invio tutto il suo gruppo, ogni componente del nuovo popolo di Dio, la chiesa, che si raduna intorno a lui. Non si tratta neanche di un invio limitato nel tempo e nello spazio: si rivolge ad «ogni città e luogo» (v. 1), e la prospettiva è quella dell universalismo del Vangelo «fino agli estremi confini della terra» (At 1,8). È un invio, dunque, dove siamo coinvolti anche noi come discepoli battezzati nel Signore e confermati nello Spirito Santo. Emerge qui la missionarietà della vita cristiana, che dobbiamo sempre meglio ricuperare. «La chiesa peregrinante per sua natura è missionaria, in quanto trae origine dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo, secondo il disegno di Dio Padre (Concilio Vaticano II, Decreto Ad gentes sull attività missionaria della chiesa, n. 2; Ench. Vat., I,1090). Perché il Signore invia i discepoli e fa di ogni credente un suo ambasciatore davanti, per preparare la sua venuta? da dove nasce una tale missione? La radice della missione della chiesa e del cristiano è trinitaria, parte anzitutto dal cuore del Padre. Egli, origine eterna di ogni vita e sorgente di amore infinito, manifesta una premura fedele e totale per il suo campo che è l umanità. Egli ha cura della «sua messe», non abbandona il suo popolo «come pecore senza pastore» (Mt 9,36; Mc 6,34; Mt 10,6; Gv 10,14-15). L invio del Figlio, portatore dello Spirito, è segno della premura amorosa del cuore del Padre. Essa, però, non finisce con Gesù, ma, come in una cascata di missione dai molteplici salti, continua e coinvolge via via coloro che appartengono a Gesù, che sono diventati suo corpo e sono stati resi membra vive dallo Spirito (cf Rm 12,4-6; 1Cor 12,27-30). È l esistenza stessa del discepolo ad essere invio; si cammina dietro al Signore Gesù seguendolo, si condivide la sua missione, si è segno vivente della premura del Padre, che è l «agricoltore» attento (cf Gv 16,1-2) di quel campo fecondo e tormentato che è la storia degli uomini. Ecco dunque la missionarietà della vita cristiana. Si tratta di pensare non tanto a difficili partenze e progetti particolari (dove hanno pure il loro spazio autentico i consacrati, sacerdoti e laici), quanto piuttosto di essere coscienti che la stessa esistenza cristiana è (e deve essere) segno della premura del Padre «in ogni città e luogo» dove viviamo; e questo non per un lusso di chi ha tempo, ma come conseguenza del nostro essere cristiano. Un uomo senza voce noi lo chiamiamo un muto; un cristiano che non sa di essere parola buona del Padre nel suo ambiente, che non ricorda l invio che ha ricevuto come battezzato e confermato, è anche lui spiritualmente muto. Chi ci scuote da questo torpore è però la preghiera, alla quale Gesù assegna un ruolo primario nell esercizio della missione. Egli stesso pregava sempre prima di agire, entrava cioè in contatto profondo col Padre per avere maggior coscienza della sua missione. «Pregate il padrone della messe» (v. 2): l invio è pressante e vale per tutti noi, «operai» della messe perché battezzati e confermati. La preghiera ci unisce alla premura del cuore del Padre e ci risuscita alla chiamata. b/ LO STILE DELLA MISSIONE La missione è per tutti e per ogni comunità. Ma non può essere lasciata all improvvisazione o alla semplice bontà d animo naturale. Il discepolo è un inviato, e ha delle istruzioni che lo guidano e uno stile che lo contraddistingue; e questo vale anche per il discepolo del duemila e per la comunità attuale di fronte alle situazioni, molto più difficili e intricate, del mondo contemporaneo. Anzitutto, «non portate bisaccia»: non siate cioè ingombri da ricchezze o da eccessivi mezzi organizzativi. «Non salutate nessuno lungo la strada» (v. 4): non certamente nel senso di una scortesia, ma piuttosto in quello di non perdersi in chiacchiere inutili e oziose, e di andare invece al cuore del messaggio e delle attese. Il Vangelo di Gesù va poi portato alle famiglie e alle città (v. 6), con grande attenzione quindi al contesto umano in cui si entra o si vive; ed esso deve essere accompagnato dai segni della premura di Dio, quali sono, ad es., l attenzione per chi è nel bisogno o la cura per i malati (v. 9). Lo stile missionario del discepolo ha però due caratteristiche davvero fondamentali: il coraggio apostolico e la libertà evangelica, richieste comunque ad ogni discepolo. Il coraggio di essere «agnelli in mezzo ai lupi» (v. 3) è quello di essere portatori di pace e diffusori di non-violenza. In un mondo dominato dall aggressività e dalla violenza, dove si spendono cifre astronomiche per fabbricare strumenti di morte e li si vende senza scrupoli su ogni mercato, la presenza dei discepoli di Gesù, agnelli non-violenti in modo attivo (cf Mt 5,38-46) come lui, «servo sofferente (...) come agnello condotto al macello» (Is 53,7; 1Pt 2,23; Mt 26,63), è profezia del regno, è parola di Dio che vivifica il deserto dell umanità. In un mondo inflazionato di parole e di annunci, il compito di portare la parola di pace può rischiare di confondersi fra i tanti slogan del momento: è il rischio della persecuzione, della sofferenza, della croce. Portare la pace conduce spesso alla croce; ce lo insegnano uomini famosi del nostro tempo (M.L. King, M. K Gandhi, O. Romero) e anche altri testimoni meno conosciuti. Anche la libertà evangelica è parte integrante di questo stile missionario del discepolo e quindi pure nostro e di oggi. È quella libertà di parola e di azione che è frutto della liberazione dal peccato e dalle sue conseguenze. Se il regno è già in noi, come non allargarlo a tutti? e come non portarlo liberamente, sgombri da interessi e da secondi fini? In un mondo in cui l uomo vale per il denaro che possiede o per gli abiti che porta, il discepolo è mandato ad annunciare il regno liberatore, e lo fa senza mezzi sfarzosi, senza interessi personali, e senza fini di lucro (cf 1Ts 2,3-4 pungiglione nella coda. Se il serpente è figura di Satana, lo scorpione è figura della morte, sulla quale egli ha il potere. Calpestare lo scorpione significa superare la paura della fine, che ammorba mortalmente tutta la vita (cf. Eb 2,14s; 1Cor 15,56). La vittoria su Satana restituisce allo stato primitivo, quando non c era la sua menzogna e la sua morte (cf. Sap 2,23s). L uomo ritorna a essere l Adamo a immagine e somiglianza di Dio, secondo la propria specie. Si realizza il sogno messianico di Isaia: il lattante si trastulla sulla buca dell aspide e il bambino mette la mano nel covo di serpenti velenosi (Is 11,1-10; cf. 65,13-25). «niente affatto vi nuocerà». La forza del nemico rimane, ma non reca danno a chi non gli presta orecchio. La sua forza è quella di intimorire e uccidere con la paura: «Ma non temete coloro che uccidono il corpo e dopo non possono fare più nulla» (12,4). In verità «nemmeno un capello del vostro capo perirà» (21,18). Infatti «noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio» (Rm 8,28). Il male, anche se c è, non può danneggiare il discepolo. Al massimo può ucciderlo. Ma in tale caso lo rende simile al suo Signore, suo testimone, associato alla sua morte e risurrezione. Il suo veleno non ha più potere su di lui, né la menzogna che fa ignorare l origine, né la paura che fa temere la fine. Il male, che pure continua nel mondo posto nell incredulità, diventa il luogo della salvezza: ci fa esercitare la misericordia, che ci rende simili a Dio. Come il potere del discepolo è sopra il potere del male, così la forza del suo amore è sopra ogni miseria e sopra la morte stessa: è una fiamma del Signore, inestinguibile (Ct 8,6). Il nemico non è più forte di Dio! Lui dal cielo lo irride (Sal 2,4), e gli fa eseguire il suo disegno (At 4,28)! L Altissimo sta costruendo un tappeto meraviglioso. Lavora dall alto, dirigendo i fili secondo il suo disegno. Il nemico lavora dal basso facendo continuamente dei nodi. Sembra tutto insensato quaggiù! Invece tutto esegue il suo piano prestabilito. Egli è l Onnipotente: «ha misurato con il cavo della mano le acque del mare» (Is 40,12), e le «raccoglie come in un otre» (Sal 33,7)! Il male c è, ma non gli è sfuggito di mano! Se non lo vuole, lo lascia perché rispetta la nostra libertà e, con uno stratagemma che gli costa caro, ne sa trarre un bene maggiore. v. 20: «non gioite in questo». Gesù non vieta di gioire per i motivi precedenti. Rivela ai discepoli una gioia più profonda, che sarà l esultanza stessa del Figlio (v. 21). «i vostri nomi sono scritti nei cieli». Questo è il vero motivo di gioia. Nel nome (= persona) di Gesù è venuto sulla terra il Nome stesso. In lui e con lui, il Figlio, entriamo in seno al Padre. Il nostro nome non è solo nel libro della vita, è addirittura nel cielo (= Dio). Dio si è fatto uomo perché l uomo diventasse Dio. Siamo realmente figli nel Figlio, redenti dal suo sangue e in lui credi (Rm 8,16s; 1,4ss). A questo il suo amore ci aveva destinato fin dal principio. Vedete «quale grande amore ci ha dato il Padre, per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente» (1Gv 3,1). La vostra vita è ormai «lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio», «nascosto con Cristo in Dio» (Col 3,13). Il fine della missione non è solo la liberazione dal male e la restituzione alla condizione di Adamo. È l elevazione all intimità e alla pienezza di vita di Dio. Oltre il ritorno al giardino dell infanzia, c è il ritorno al Padre della luce, nella comunione di vita con lui. La nostra gioia è perfetta per il nostro dimorare in lui e per il suo dimorare in noi (Gv 14,15-24; 15,1-11): è l unità d amore, per cui fin da principio ci ha fatti. Amandolo con tutto il cuore (v. 27; cf. Dt 6,5), diventiamo con lui un unica carne. Siamo sua sposa. Motivo di gioia non sono tanto i frutti immediati della missione - spesso aleatori e contrastati! - quanto il fatto che essa ci rende figli nel Figlio, unendoci a lui in un unico destino d amore per la morte e per la vita. Il primo frutto della missione è per chi è inviato: diventa come Cristo, il Figlio, che ama il Padre e i fratelli. Da qui si capisce come la missionarietà è di tutta la chiesa, se vuol raggiungere il fine di essere come il Figlio. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera. b. Mi raccolgo immaginando Gesù che designa e invia altri settantadue discepoli e i discepoli che tornano da Gesù dopo la loro missione.. c. Chiedo ciò che voglio: secondo le mie condizioni e possibilità, essere cosciente della mia responsabilità nell annuncio del vangelo a tutti i fratelli. E, se il Signore mi chiama a questo servizio a tempo pieno, non essere sordo alla sua voce; capire il triplice significato della missione: vincere il male, tornare alla libertà dei figli e partecipare alla vita di Dio. d. Traendone frutto, ascolto le parole di Gesù. 13

5 universale, nel ritorno dei Settantadue. È la gioia del ritorno al Signore, per stare con lui, il Figlio, e partecipare alla sua esultanza (cf. vv. 21s; 1,28.47). Tale gioia non è ostacolata dalle tribolazioni: trova anzi in esse la propria conferma (6,23; At 5,41). L uomo è fatto per la gioia, perché è fatto per Dio. Diversamente è triste fino a detestare la vita. «i demoni sono sottomessi». Fine primo della missione è la sottomissione del demonio. La nostra lotta «infatti non è contro creature fatte di carne e di sangue». Non è contro gli uomini, ma contro il male che li tiene schiavi: «contro i principati e le potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti» (Ef 6,12). Essi abitano in alto, e dominano l uomo fin nel più intimo. Lo schiacciano, e gli fanno da diaframma perché non possa vedere la gloria di Dio. Ora il male non è liquidato. È solo sottomesso nel suo nome. Bisogna però prestare attenzione ai colpi di coda del drago ferito e vinto, altrimenti la nostra condizione diventa peggiore di prima (11,26). Prima eravamo schiavi. Una volta liberi, dobbiamo lottare per non tornare in schiavitù. Per certi aspetti, è più faticoso dominare il male che esserne dominati! Il cristianesimo, a differenza di ogni illuminismo e umanesimo ateo o meno, non fa come lo struzzo. Riconosce il male. Era in noi come padrone. Il Signore ce ne ha liberato. Rimane in noi come possibilità e tentazione naturale, ma che non porta necessariamente alla caduta. Sappiamo di non essere più schiavi di colui che ha tutto in suo potere (4,6; 22,53). Dio infatti «ci ha liberato dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto» (Col 1,13): ci ha «liberati dalle mani dei nemici», per «servirlo senza timore in santità e giustizia» (1,75). La fede nella parola di misericordia del Padre ci sottrae al potere della menzogna. L annuncio evangelico è un esorcismo che defatalizza la storia di male e ci rende liberi e responsabili. «a noi nel tuo nome». Ora i demoni si sottomettono ai discepoli come prima a Gesù. Nel suo nome, però, non nel loro nome! In nome proprio i discepoli ricadono in preda al male: litigano per il prestigio proprio (9,46ss; 22,24ss) o collettivo (9,49s) e invocano fuoco dal cielo su coloro ai quali sono inviati (9,54)! Nel nome di Gesù invece si accolgono reciprocamente, accolgono l escluso e faranno scendere lo Spirito anche sui samaritani (At 8,15-17). v. 18:«Contemplavo» (al passato continuo). Dall eternità il Figlio contemplava la sua missione di Figlio dell uomo: vincere il male dei fratelli, «scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati» (Ef 1,4). Ma anche alla fine delle tentazioni Gesù ha già contemplato la caduta di Satana, che si allontanò da lui per tornare (4,13); ma cadde sconfitto con fragore quando credette d aver vinto perché aveva in suo potere il Figlio dell uomo (22,53). Non si era accorto - cecità nel male! - che le tenebre non possono chiudere la luce. Ne sono irrimediabilmente sconfitte. Questa contemplazione di Gesù può anche riferirsi alla sua assistenza continua ai discepoli. Mentre essi «operavano nel suo nome», lui era con loro. Anche tornato presso il Padre, dalla sua destra guarda e assiste sempre il discepolo che lo testimonia (At 7,55ss). «il Satana cadere dal cielo». Richiama la caduta di Babilonia, la superba, che precipita come Lucifero, figlio dell aurora (Is 14,12). C è un identificazione di Satana con Babilonia e Lucifero per via della superbia, radice e consumazione di ogni peccato. Egli è «il grande drago, il serpente antico, colui che chiamano diavolo e Satana, e che seduce tutta la terra» (Ap 12,9). Non c è più posto per lui in cielo (Ap 2,8.9). Il suo cadere dall alto significa che non ha più un potere superiore all uomo. Cessa la nostra sudditanza. Inizia però la lotta, che possiamo vincere solo nel nome di chi già l ha fatto cadere dal suo trono. Non ci tiene più schiavi come padrone, ma resta sulla terra e ci insidia al calcagno (Ap 12,13ss; Gn 3,15). Il drago detronizzato cerca di vendere cara la pelle. Per questo, prima della sua sconfitta finale, ci sarà una recrudescenza del male: sarà segno non di forza, ma di debolezza estrema. La vita del discepolo è, come quella di Gesù, inclusa tra le tentazioni e la croce. Inizia con la vittoria battesimale che ci sottrae al potere delle tenebre, e continua in una lotta che si conclude solo alla fine. «Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita» (21,19). «come folgore». La folgore cade dal cielo con impeto e collisione, con fragore e tuono. È una forza elevata, ma concentrata e contenuta; di grande potere devastante, ma solo là dove può colpire. Così Satana è caduto dal cielo. Questa sua caduta dall alto implica la sdemonizzazione della figura di Dio: è vinto il Maligno, che si era frapposto tra noi e lui, dandoci di lui la sua propria immagine. Tale menzogna sta all origine di ogni peccato. Nella missione Dio torna a essere Dio. v. 19: «la potestà». I discepoli inviati hanno la stessa potenza di chi invia. Il greco exousia traduce l aramaico shaltan, da cui «sultano». È un attributo divino. Passa da Gesù ai discepoli. «calpestare su serpenti e scorpioni». È il seguito delle parole che il diavolo rivolge a Gesù nell ultima tentazione (4,10s; cf. Sal 91,13). Il serpente, astuto e nascosto, veloce e mortale, che ingannò fin dal principio, non ha più potere su chi ascolta e obbedisce alla parola del Signore: è da lui calpestato. Si realizza la promessa di Gn 3,15. La sua vicinanza, anche inavvertita, non può più nuocere; il suo veleno resta inefficace (cf. At 28,33). Per questo l uomo torna all Eden, al suo stato originario di signore del creato. Schiacciata la testa dalla cui bocca è uscita la menzogna, la sua vita non è più avvelenata dalla morte, che sta alla fine. Per questo è calpestato anche lo scorpione, che ha il 12 8; 1Ts 3,7-8). Come il coraggio apostolico, così la libertà profetica va richiesta assiduamente nella preghiera al Padre, perché entrambe sono fondamentalmente dono di Dio. c/ L UMILTÀ DELLA MISSIONE La missione è per tutti, e ha un suo stile evangelico caratteristico. Tuttavia la conclusione del brano di Luca (vv ) ci insegna che l elemento di fondo di tale missione deve essere l umiltà. I discepoli tornano euforici, tutto è andato al di sopra delle loro stesse aspettative (v. 18). Ma la loro euforia per i risultati viene subito ridimensionata: e le parole di Gesù insegnano, a loro come a noi, il distacco anche dal successo. Non si devono cercare gratificazioni personali né nel servizio missionario classico (quello del partire per altri paesi) né nella caratteristica missionaria della propria esistenza cristiana. Andare alla ricerca di risultati tangibili può essere pericoloso e illusorio, o ci può avvilire quando, invece di riconoscimenti, accettazioni, conversioni, subentrano ostilità, indifferenza o semplicemente silenzio. Il giusto atteggiamento è invece quello del servizio umile, nella ricerca di compiere la volontà del Signore e di essere ciò che si è diventati con la fede e i segni di Cristo in noi (i sacramenti). Il giusto atteggiamento è paragonabile a quello di un albero, che, grande o piccolo che sia, fa ombra sotto di sé e diventa protezione e rifugio, e di tale risultato non ha motivo di farsene vanto: è così e basta, e si rallegra di esserlo. Medesima realtà ci è chiesta dalle parole evangeliche: «Siamo servi inutili [ossia: senza pretese]. Abbiamo fatto ciò che dovevamo fare» (Lc 17,10). Qual è, allora, la gloria e il vanto che il cristiano può avere, se è lecito avere tale gloria? La prima gloria, l unica vera, è quella della croce: «Non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo» (Gal 6,14; cf 1Cor 1,30-31; 2Cor 10,17). La gloria del cristiano, missionario per esistenza, è quella di sapersi salvato da un amore straordinario, rivelato dentro la croce di Gesù (Rm 5,8; 8,35; Gal 2,20; Ef 5,2). Un amore che ci ha «pescati» dal mare della morte, dice S. Girolamo: Voi che siete stati rivestiti di Cristo e, seguendo la nostra guida, mediante la parola di Dio siete stati tratti come pesciolini all amo (cf Mt 4,19; Lc 5,10) fuori dai gorghi di questo mondo, dite dunque: In noi è mutata la natura delle cose. Infatti, i pesci che sono estratti dal mare, muoiono. Gli apostoli invece ci hanno estratti dal mare di questo mondo e ci hanno pescato perché da morti noi fossimo vivificati» (Girolamo, Omelia ai neofiti sul salmo 41; CCL, 78,564). La gloria e la gioia che noi discepoli dobbiamo avere non sta allora nel successo dell annuncio o nella risposta entusiasta da parte degli uomini: questo è compito di Dio, è questione sua e non nostra. La nostra gioia è quando siamo partecipi della salvezza di Dio, quando i vostri «nomi sono scritti nei cieli» (v. 20). Si fondono in questa espressione l immagine antica del «libro» che Dio tiene in cielo (cf Es 32,32; Is 4,3; Sal 69,37; 87,6) con quella apocalittica dei vari libri celesti, fra cui quello della storia (Ap 5,1-5) e quello della vita, con i nomi dei morti nel Signore (Ap 3,5; 13,8; 20,12; 20,15). Il «nome» in senso biblico indica la persona intera, e il «nome scritto nel libro» celeste indica la certezza che la propria sorte è presso il Signore esaltato nei cieli. È un invito alla serenità del cuore, all agire cristiano umile e distaccato, sapendo che la nostra storia è pervasa dell amore fedele del Signore, e che niente ci strapperà dalle sue mani. «Chi infatti ci separerà dall amore di Cristo? Né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezze né profondità, né alcun altra creatura potrà mai separarci dall amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 8, ). COLLATIO Il tema della missione rischia sempre di essere presentato e meditato in modo fuorviante o almeno riduttivo, quasi che essa fosse riservata ad una sola categoria all interno del popolo di Dio. Occorre ricuperare la sua prospettiva più vera ed ecclesiale, ben ricordata dal brano evangelico di oggi. La missione infatti è compito proprio dei discepoli del Signore. 1/ Il Signore che ci passa accanto invita a seguirlo e a condividere il dono della fede con altri. «Missione» è questo invio ad annunciare la premura di Dio per ogni uomo, a portare la sua pace e la sua tenerezza, a rendere tutti partecipi del suo regno. Forse riflettiamo troppo poco sul significato dell essere «inviati» da Cristo. Ognuno ha il dono di questo invio: e noi dove lo abbiamo nascosto? lo mettiamo a frutto nel nostro ambiente di vita? Cristo che ci invia rappresenta l enorme fiducia che Dio ripone negli uomini: egli ci affida il compito di continuare ad allargare il suo regno. Siamo consapevoli di questa fiducia straordinaria? 2/ L invio dei discepoli «a due a due» (v. 11) ci ricorda che la missione è una realtà ecclesiale. L annuncio del regno ci mette insieme, ed esso non grava mai sulle sole nostre spalle; è soprattutto la comunità che annuncia e porta la pace e la novità di vita. Riflettiamo, allora, se la comunità a cui apparteniamo costituisce un segno visibile nel proprio ambiente. «Siano anch essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,21): così prega Gesù anche per noi oggi. L unità, lo stile evangelico, il coraggio apostolico e la libertà di annuncio: confrontiamoci nel concreto. 3/ È un rischio fin troppo diffuso quello di farci forti dei nostri progetti, dei risultati della missione, delle 5

6 capacità organizzative mostrate dalle istituzioni ecclesiali. Dovremmo meditare più a fondo la richiesta di umiltà apostolica da parte di Gesù. Ci dovremmo gloriare soprattutto perché siamo gratuitamente salvati nella sua croce e perché Dio in Cristo si fida di noi al punto da prenderci come suoi servi. Quante pretese, però, noi spesso accampiamo? sappiamo davvero essere «servi senza pretese», e quindi realmente distaccati anche dal successo o insuccesso della missione cristiana? 4. ORATIO Il brano di Vangelo concentra la nostra attenzione sul tema della «missione» come attività tipica della chiesa, che riguarda la struttura essenziale della comunità cristiana in ogni sua componente. La chiesa, infatti, è per se stessa missionaria e il cristiano partecipa a questo dinamismo ecclesiale in forza dei sacramenti celebrati e vissuti nella fede. Conosciamo le interpretazioni riduttive e deformanti della missionarietà: la mentalità, e di conseguenza lo stile pastorale, che delega l impegno missionario ad alcuni esperti o volontari; la tendenza a valutare la missionarietà sul piano del «fare», quindi del «produrre», quasi a prescindere dalla preghiera e dalla contemplazione. Il brano evangelico odierno scalza tali tentazioni e rischi mediante l appello di Gesù alla preghiera: «Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe» (v. 2). L impegno missionario è sostenibile, quindi sarà fecondo, soltanto se radicato nella preghiera e nella contemplazione del mistero; si tratta di «convertirsi» all equilibrato rapporto dell «ora et labora». a/ LA PREGHIERA PRECEDE L AZIONE MISSIONARIA Modello e maestro è Gesù stesso che alla vigilia di ogni importante «impegno» si raccoglie in preghiera intensa e prolungata. L impegno missionario non si improvvisa e nemmeno si risolve soltanto in organizzazione, efficientismo, in strategie sia pure pastorali. Il rischio è di degenerare nell attivismo, quasi si trattasse di gestire un azienda, garantendo il massimo di produttività. La missione della chiesa parte da molto lontano, scaturisce dal cuore del mistero trinitario ed esige una remota preparazione: la preghiera. Origine e modello della missione ecclesiale è il dinamismo d amore che presiede alla vita della santissima Trinità e che richiede di essere meditato e assimilato nella preghiera. Occorre pregare per sostenere l azione missionaria, affinché «il padrone della messe mandi operi per la sua messe» (v. 2), i quali partano «come agnelli in mezzo ai lupi» (v. 3), fiduciosi soltanto nell aiuto di Dio e nella potenza della Parola che salva. b/ LA PREGHIERA ACCOMPAGNA L AZIONE MISSIONARIA Sull esempio di Cristo, il missionario del Padre, il cristiano deve possedere la capacità della contemplazione, anche nel vortice degli impegni più urgenti e pressanti. Sono proprio le tensioni missionarie che maggiormente spingono «ad extra», quelle che a maggior ragione esigono l accompagnamento della preghiere. Il missionario deve essere un contemplativo per motivare profondamente il proprio impegno e per evitare il rischio di contare troppo sulle proprie forze, misurando i risultati pastorali in termini efficientistici. Il segreto della fecondità della missionarietà della chiesa sta piuttosto nella disponibilità a lasciarsi condurre dallo Spirito, nella fedeltà allo «stile pastorale» evangelico: «Non portate borsa né bisaccia né sandali» (v. 4). c/ LA PREGHIERA AL TERMINE DELL AZIONE MISSIONARIA Dal recupero delle motivazioni sopra evidenziate emerge la necessità di pregare anche al termine di ogni «impresa» missionaria. Si tratta di una preghiera di lode e di ringraziamento per i risultati ottenuti, nella consapevolezza che è un altro a garantire il «successo»: «Non rallegratevi però perché i demoni si sottomettono a voi; Rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli» (v. 20). Non sempre, però, è possibile raccogliere immediatamente i frutti: il più delle volte le consolazioni si fanno attendere. Si tratta, allora, di dare uno «spessore» a questa attesa carica di speranza come quella dell agricoltore che «aspetta pazientemente il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le piogge d autunno e le piogge di primavera» (Gc 5,7). Questa pazienza si alimenta di preghiera fiduciosa, nella certezza che i frutti verranno. d/ ALCUNE PROPOSTE PER LA CELEBRAZIONE EUCARISTICA - In riferimento alla lettura evangelica, l atto penitenziale può essere caratterizzato come richiesta di perdono per lo stile troppo pragmatistico di molta attività pastorale. La comunità celebrante è invitata ad interrogarsi sulla propria coscienza missionaria e sulle concrete applicazioni pratiche. Il confronto con l odierna pagina di Luca mette a nudo le presunzioni, le eccessive sicurezze, i superficiali ottimismi di un azione missionaria fondata su «strategie» umane. - La preghiera del «Padre nostro» può essere brevemente introdotta sottolineandone le espressioni a carattere 6 Dio (dodici)! «li inviò». Anche se per designazione e non per chiamata diretta, sono inviati, né più né meno, come i Dodici e Gesù stesso (v. 16). Inviato, missionario e apostolo sono la stessa parola, rispettivamente con radice italiana, latina e greca. «due a due». A differenza dei Dodici, sono mandati in coppia. Sia per ragioni di reciproco aiuto, sia a motivo della testimonianza - per la sua validità - si richiede la concordanza di due. Inoltre due che stanno insieme testimoniano la presenza del nome che li tiene uniti (cf. Mt 18,20!). Due infine è principio di molti, seme della comunità. «davanti al suo volto». È il volto di 9,51, diverso da ogni altro. È quello che viene per il giudizio (Ml 3,1ss), ma di salvezza. «ogni città e luogo». Città, in relazione a «casa», indica il pubblico in opposizione al privato; in relazione a «luogo», indica dove l uomo abita. Il suo volto arriva in ogni luogo: è il Signore dell universo. Mentre la sua venuta è ovunque, la sua accoglienza è riservata all uomo, come singolo o come comunità. «dove stava lui stesso per venire». La sua venuta, imminente da sempre, è legata all invio di chi va davanti al suo volto (1,17.76; 3,4; cf. Ml 3,1ss). Dove è accolto, è anche seguito nel suo viaggio di samaritano che va a Gerusalemme. Colui che sempre «sta per venire», di fatto viene ogni qualvolta ci convertiamo a lui e facciamo nostro il suo cammino. Egli sta alla porta e bussa: se uno gli apre, inizia il banchetto (Ap 3,20). La sua venuta sarà compiuta quando tutti l avranno accolto. Ciò che dobbiamo sapere è solo che «ora» gli dobbiamo aprire la porta. v. 2: «diceva». L imperfetto indica un azione non finita, che continua. L eco della voce di Gesù risuona ancora nella chiesa. «la messe è molta, ma gli operai pochi». È la coscienza del piccolo gregge, depositario del Regno (12,32), destinato a tutto il mondo. La responsabilità del fratello, per il quale il Signore è morto, è l origine della missione: «L amore del Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti» (2Cor 5,14). Per questo Gesù domanda all ex lebbroso che ritorna: «Dove sono gli altri nove?» (17,17). La missionarietà della chiesa non è fanatismo o proselitismo, ma conoscenza dell amore del Padre per «tutti» e «singoli» i suoi figli. L immagine della messe richiama la venuta decisiva (Gl 4,13; Ap 14,15-16; cf. Gv 4,35ss) per il giudizio di salvezza. Ogni uomo è infatti ormai frumento maturo per diventare corpo del Signore, unendosi a lui nel suo cammino verso il Padre. È interessante notare che l invio dei Settantadue è insieme la semina della Parola e la mietitura. Questo è il momento in cui chi semina incontra chi miete e ambedue godono dell abbondanza dei frutti (Am 9,13; cf. Gv 4,36). Infatti l accoglienza dell annuncio, che è la semina, è già salvezza, cioè mietitura. «Supplicate dunque». Come Gesù pregò per chiamare i Dodici (6,12), così questi pregano perché il Signore designi Mattia (At 1,24). La preghiera, comunione col Padre, è la sorgente della missione, perché ne è anche il fine! Siccome c è la messe, «dunque» bisogna, per prima cosa, non fare o mietere, bensì «pregare». L unione con Dio è il primo e più efficace mezzo apostolico. «il Signore della messe». Tutti gli uomini sono sua messe: gli stanno a cuore, come la messe al contadino. «operai». La responsabilità della salvezza - che viene dalla fede, che viene dall annuncio (Rm 10,14-15)! - come fu del Signore, seminatore della Parola, ora è dei discepoli. Sono «operai» che «collaborano» alla sua stessa fatica (2Cor 5,14-6,2). «stani (= getti fuori)». Devono essere stanati da tutte le paure e false sicurezze di cui al brano precedente. Questo coraggio non è pretesa umana. È dono fatto a chi lo chiede nella preghiera con insistenza, anche se sente resistenze contrarie. v. 17: «ritornarono i Settantadue». Come il Padre per Gesù, così Gesù per il discepolo è principio e termine della missione. La partenza fu sotto il segno della croce, in povertà e umiltà, come agnelli in mezzo ai lupi. Il ritorno è sotto il segno della risurrezione e del trionfo sul male: l agnello sgozzato è il Pastore grande della vita. Il contadino «nell andare se ne va e piange, portando la semente da gettare. Ma nel tornare viene con giubilo, portando i suoi covoni» (Sal 126,6). Questo ritorno dei Settantadue è figura del rientro di ogni missione, alla fine dei tempi: «quando tutto gli sarà sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti» (1Cor 15,28). Il frutto della prima missione fu il pane che ci associa al Cristo morto e risorto. Il frutto della seconda è la vita che conferisce questo pane: la partecipazione piena all esultanza del Figlio, l ingresso nella stessa vita trinitaria. Sono i due aspetti dell unico risultato della missione. «con gioia». La gioia, preannunciata nel Battista (1,14), cantata a Betlem (2,10), propria di chi accoglie la Parola (8,13), che si celebra in cielo per il ritorno del peccatore (15,7.10), che nella risurrezione risulta incredibile (24,41) e che dopo l ascensione riporta i discepoli a Gerusalemme (24,52), trova la sua pienezza alla fine della missione 11

7 ama. Questa somiglianza è già missione. È quella lampada accesa che illumina (8,16; 11,33), quello stare «con lui» (Mc 3,14; cf. 8,2!) che si fa trasparenza davanti ai fratelli, quell essere associati alla sua croce che salva il mondo (cf. 2Cor 4,7-12; 6,10; Col 1,24). Ogni discernimento apostolico deve tener conto di queste parole di Gesù, ed è possibile solo a chi desidera somigliargli nella sua missione in povertà (cf. 2Cor 8,9; Fil 2,5-11). Questo desiderio è un amore che purifica da ogni paura. E il cuore puro vede Dio e discerne il suo volere, perché lo ama. Al ritorno della missione, Gesù ne rivela il senso ultimo. Il cammino è chiaro solo quando è già percorso tutto! Il colore del rientro è la gioia, dono definitivo degli operai. Se «la messe è molta» (v. 2), ora, nelle valli ammantate di grano, «tutto canta e grida di gioia» (Sal 65,14). La gioia dei discepoli (vv ), si fa esultanza di Gesù, perché la sua conoscenza di Figlio è rivelata ai piccoli (v. 21s). Questa sua esultanza rimbalza poi in beatitudine per i discepoli, perché i loro occhi vedono ciò che i loro orecchi odono: il compimento di ogni promessa e profezia (vv. 23s). Per tre volte si parla di gioia, e per tre motivi. In primo luogo (v. 17) i discepoli gioiscono per la vittoria su Satana che si compie oggi, nella loro missione. La storia presente è sdemonizzata. La lotta escatologica tra Michele e il drago (Ap 12,7-12; cf. Dn 12,1-3) avviene già ora nell opera di Gesù che i discepoli continuano nel suo nome e sotto il suo sguardo. Questo ritorno gioioso dei discepoli, che riferiscono sul risultato del ministero apostolico, richiama la consuetudine della prima comunità (cf. At 8,6-8; 11,17s; 14,27; 15,3). In secondo luogo Gesù specifica che la missione non è solo vittoria su Satana che precipita dalla sua posizione di dominio (v. 18). È, anche, ritorno alla condizione originaria del paradiso, in cui l uomo riprende il suo ruolo di signore del creato. Nessun male e nessun veleno, neanche la morte, può danneggiarlo e avvelenargli la vita (v. 19; cf. Sap 1,14; 2,24). In terzo luogo si dice il vero motivo di gioia: la missione non solo è vittoria sul male e ritorno al giardino perduto. È soprattutto «iscrizione» nel libro della vita, che contiene la registrazione del popolo di Dio (v. 20; cf. Es 32,32ss; Sal 69,29; Is 4,3; Fil 4,3; Eb 12,23; Ap 3,5; 13,8; 17,8; 20,12; 21,27). È l elenco di quelli che fan parte della sua famiglia. I nomi di coloro che sono inviati nel suo nome e hanno adempiuto la missione, sono a pieno titolo iscritti nei cieli, ossia in Dio, come Gesù stesso, il primo inviato. Sono associati a lui: i loro nomi, nel suo nome, sono nel Nome. Partecipano, come si dirà subito dopo, del rapporto ineffabile Padre/Figlio. Non sono più «stranieri né ospiti», ma «concittadini dei santi e familiari di Dio», per essere tempio santo del Signore, «per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito» (Ef 2,19.22). Non solo siamo chiamati, ma siamo in realtà figli di Dio (1Gv 3,1). Maria ricevette il saluto «gioisci» (1,28), perché concepì il Figlio dell Altissimo (1,47). Gesù dice ora ai discepoli: «gioite», perché sono entrati con lui in seno al Padre, e possono dire con verità: «Abbà». Fine ultimo della missione è renderci a perfetta somiglianza del Figlio. Beneficiario dell invio è l inviato, che diventa pienamente figlio. Per questo, ciascuno secondo la sua chiamata, siamo tutti inviati a testimoniare l amore del Padre ai fratelli. 2. Lettura del testo v. 1: «dopo queste cose». Sono le esigenze sulla sequela esposte nel brano precedente. Implicano l essere battezzato nello Spirito del Figlio e la vittoria sulle tentazioni, come ha fatto Gesù nel deserto (4,1ss). La missione viene «dopo queste cose», quando c è la disponibilità a seguirlo, usando i suoi stessi mezzi, per amore verso di lui. Prima di «queste cose» non c è missione. C è solo presunzione e volontà di potenza; si è sotto il vessillo nemico, anche se si crede di militare per il Signore. È l unica volta che Luca inizia così un brano. Ciò indica l importanza, per la missione del discepolo, di seguire il cammino del maestro. Diversamente non è abilitato ad annunciare il Regno. Lo impedisce! «designò il Signore». Lo stesso termine è usato nella sostituzione di Giuda con Mattia. Sarà apostolo a pieno titolo, ma non per chiamata diretta di Gesù, bensì per designazione attraverso gli altri (At 1,21-25). Così anche questi Settantadue sono inviati (= apostoli) a pieno titolo, anche se non sono dei Dodici. La loro «designazione» è fatta dal «Signore» stesso, il Gesù glorificato nella chiesa. Questa missione, che si perpetua nel suo nome attraverso gli apostoli, è fatta risalire al Gesù terreno, e gode della stessa sua autorità (v. 16). «altri». Sono «altri» rispetto ai Dodici. La differenza non è nell origine e nel fine. È come quella che c è tra le fondazioni e la costruzione dello stesso edificio. I Dodici, stando all inizio, costituiscono l aggancio al Gesù storico, pietra fondante, e continuano la sua missione verso le dodici tribù d Israele, erede della promessa. I Settantadue la prolungano nello spazio e nel tempo, rivolgendosi a tutte le famiglie della terra che in lui sono benedette (cf. Gn 12,3). «Settanta(due)» (Settanta). Settanta sono in Israele gli anziani (Es 24,1; Nm 11,1624), i membri del sinedrio, i traduttori della Bibbia e i popoli della terra (cf. Gn 10). Tuttavia nella traduzione dei LXX, le nazioni di Gn 10 diventano settantadue; e gli anziani di Es 24 e Nm 11 diventano settantadue se si aggiungono Mosè e Aronne. Al di là della questione se sono settanta o settantadue, il significato è chiaro: la Parola data a Israele deve raggiungere tutti i figli di Dio, tutti i popoli. Settantadue più dodici fanno sette volte dodici: la totalità (sette) degli uomini è popolo di 10 missionario: «Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno». È tutta la chiesa convocata per la celebrazione dell eucaristia che invoca il coraggio e i frutti della missione, affinché un sempre maggior numero di fratelli e di sorelle possano rivolgersi a Dio chiamandolo «Padre». - Per la preghiera dei fedeli una indicazione chiara e precisa viene suggerita dallo stesso Gesù: «Pregate il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe» (v. 2). Questo suggerimento-preghiere può essere articolato in alcune invocazioni e intercessioni particolari: a/ emergono così la motivazione e l ispirazione per una preghiera a carattere vocazionale, affinché lo Spirito Santo susciti gli «operai per la messe», incontrando la disponibilità di uomini e donne pronti a lasciare le reti per seguire il Maestro (cf Mc 1,16-20); b/ la missione attinge dalla contemplazione rinnovate energie: è dunque indispensabile accompagnare con la preghiera gli «operai» che già sono all opera, particolarmente se «in cantieri» faticosi e difficili; c/ la fecondità di ogni apostolato sta nella fedeltà e nella perseveranza: di qui l importanza della preghiera, affinché ogni sforzo sia sostenuto dall aiuto divino e perché nessuno «metta mano all aratro e poi si volga indietro» (cf Lc 9,62). - Il congedo finale può essere opportunamente esplicitato in tutta la sua valenza missionaria, che trae origine dall intero dinamismo della celebrazione eucaristica. La comunità ecclesiale plasmata dall eucaristia, accetta ora gli impegni e le conseguenze degli «imperativi missionari»: andate, annunciate, ammaestrate. 5. OPERATIO a/ EVANGELIZZARE È PARTIRE SU UN MANDATO Il brano evangelico di questa domenica è strettamente collegato a quello della domenica precedente: «E dopo questi fatti...». Luca aggancia la «missione» alla «sequela». Gesù invia i Settantadue letteralmente «davanti al suo volto» (v. 1), che, come si è visto, è risolutamente orientato verso Gerusalemme. La missione dei discepoli trova origine e modello nella missione del Cristo di Dio: lo stesso annuncio e lo stesso stile. Tener sempre presente questo è pastoralmente decisivo. La missione suppone un «mandato», non nasce da decisioni nostre e non si giustifica da se stessa, e il compito dei missionari consiste molto semplicemente nel precedere Cristo annunciando che egli sta per arrivare. Lui e non noi. L apostolato è il regno ormai vicino e il regno è lui, non noi. Le categorie soggiacenti sono quelle della dipendenza e della partenza. Mandati da Cristo, si parte: non gli altri devono venire da noi, ma noi ci muoviamo verso gli altri. L impressione è che spesso ci si trasferisce e non si parte mai. Non si tratta di un cambiamento di residenza, portando con sé il proprio passato, ma di una partenza verso il futuro di Dio, affidandoci totalmente alla sua potenza e alle sue sorprese. Perciò si prende coscienza della situazione («la messe è molta e gli operai sono pochi» (v. 2), e quindi si prega; si parte sereni anche se si è «agnelli in mezzo a lupi» (v. 3), come è detto di «Israele» pecora in mezzo a settanta lupi (le settanta nazioni pagane); si accetta di dipendere da quelli che accolgono, rimettendosi a loro per la cura della propria vita, prendendo quello che vien dato senza pretendere di più o di meglio. Così l inviato riceve fin d ora la rivelazione della potenza che si è compiuta attraverso di lui e anche del vero motivo della sua gioia. Da una parte sperimenta la protezione offerta da Dio, già promessa nel salmo: «Camminerai su aspidi e vipere...» (91,13), e la sconfitta di Satana, promessa ad Israele per la fine dei tempi e ora anticipata dalla sua parola e azione; e, dall altra parte, viene a sapere che non deve muoversi, impegnarsi, resistere per l ebbrezza del successo garantito, ma per la partecipazione alla festa escatologica della comunione con Dio. Una pastorale dell evangelizzazione così intesa resta libera e perseverante, è generosamente impegnata ma mai affannata. Non conterà i risultati, ma genererà dei frutti. b/ QUALCHE VERITÀ EVANGELICA DIMENTICATA È pur sempre capitato, e non sorprende che capiti ai nostri tempi, che alcune verità evangeliche alquanto scomode siano volentieri dimenticate oppure ridimensionate o per convenienza o per acquiescenza a certe sensibilità del momento. Richiamarle e sottolinearle può dunque essere pastoralmente opportuno se non addirittura necessario. La pagina del Vangelo di questa domenica ne offre almeno due. La prima è il carattere anche giudiziale dell annuncio cristiano. Esso è e resta un annuncio di salvezza, una notizia buona e nuova, insomma un Vangelo. Perciò, trattandosi non di una qualsivoglia bella notizia per importante che sia, ma della notizia ultima e definitiva oltre la quale non si può andare e senza la quale non c è speranza, la sua eventuale non-accoglienza comporta un giudizio. L evangelizzazione cristiana non è soltanto universale, ma anche escatologica: infatti si tratta della venuta decisiva del Signore e quindi si usano le categorie della messe (v. 2), del giudizio (vv ), della caduta di Satana (v. 18). Bisogna confessare che a volte si notano strani pudori nel ricordare queste tematiche. Eppure sta scritto con chiarezza che, quando non siano accolti in una città (cioè nella vita pubblica), gli inviati devono uscirne scuotendo contro di essa persino la polvere rimasta attaccata ai loro sandali, e si aggiunge che «in quel giorno», il giorno del 7

8 Signore, quello della grande verità per tutti, «Sodoma sarà trattata più duramente di quella città» (vv ). Qui, come nei «guai» pronunciati sulle città del lago (Corazin, Betsaida, Cafarnao, Lc 10,13), si esprime tutta la serietà di un amore disprezzato, quello di Dio che invia di persona il Figlio ad annunciare la pace portandola di fatto, così come poi il Figlio invia a sua volta i discepoli. Chi rifiuta non solo, come è ovvio, resta fuori dal godimento di tale pace, ma non può non essere giudicato per l indifferenza o il rifiuto consapevole del dono. L evangelizzazione del regno di Dio inaugurato in Gesù crocifisso e risorto comprende necessariamente un giudizio escatologico, poiché è l ultimo tentativo di scuotere l indifferenza delle città insensibili. Certo il regno di Dio rimane «vicino», ma gli inviati vengono esortati ad andare in altre città. Dio non si allontana mai, egli rimane misericordia; ma chi rifiuta la sua misericordia si priva di questa misericordia. È anche questa una verità da predicare. La seconda verità riguarda il carattere «povero» dell annuncio: «Non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada» (v. 4). L evangelizzazione del regno si basa sulla potenza del regno che si annuncia, non sulla potenza di chi lo annuncia. E la potenza del regno è quella delle «stigmate di Gesù», di cui parla S. Paolo (2a lettura, v. 17). Non è con mezzi ricchi che il regno avanza. Il missionario parte per la sua avventura nomade con equipaggiamento sommario, senza appesantirsi con troppi bagagli. Lo strano, però, è che spesso si dimentica l ultima raccomandazione: «Non salutate nessuno lungo la strada», che è un po il contrario di chi cerca la popolarità, vuole trovare un punto di incontro con chiunque, mentre sottolinea l urgenza e la preminente importanza dell annuncio: «Pace a questa casa...». «È vicino a voi il regno di Dio» (vv. 5.9). E ancora si ignora quasi sempre che nel «discorso della cena» secondo S. Luca vi sono altri ordini di Gesù: «Quando vi ho mandato senza borsa, né bisaccia, né sandali, vi è forse mancato qualcosa? Risposero: Nulla. Ed egli soggiunse: Ma ora, chi ha una borsa la prenda, e così una bisaccia; chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una...» (Lc 22,35-36). Non si tratta certamente di arrivare alla teologia delle «due spade» di Bonifacio VIII, ma di riconoscere che c è un «d ora in poi» in cui Gesù non sarà più fisicamente presente a sostenere i suoi inviati, i quali in mezzo alle persecuzioni e alle prove dovranno assumere con intelligenza le misure necessarie per affrontarle, a cominciare dalla «spada» della preghiera perseverante, ma anche la borsa e la bisaccia. È probabile che sottacendo l una o l altra di queste parole evangeliche non si commette «eresia», ma con tali dimenticanze o altre simili, e più gravi, si intacca lo stile di vita integro di un discepolo missionario di Cristo, impedendo che tutta la verità cristiana entri nel vissuto dei cristiani credenti. Quando una verità evangelica non è negata, l ortodossia è salva; ma se qualche verità è dimenticata, l ortoprassi rischia di essere sviata. c/ UNA PAROLA SULLA CONSOLAZIONE CRISTIANA La 1a lettura - con il lirismo oratorio tipico del profeta innominato della seconda parte del rotolo di Isaia - invita ad esultare, a sfavillare di gioia, a saziarsi delle consolazioni di Gerusalemme (v. 10). Ad essa fa eco il ritorno pieno di gioia dei «settantadue» (3a lettura, v. 17). La consolazione cristiana è la risoluzione di una prova (l esilio, i possibili rifiuti), che però non può fare a meno delle prove e che richiede di cambiare dal profondo- «Rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli» (v. 20). La presenza nell Apostolo di forze antagoniste - sofferenza e consolazione, morte e vita, povertà e ricchezza, debolezza e forza- manifesta il mistero pasquale e lo fa ricordare. A sua volta il missionario consolato saprà consolare. Tutto ciò che l inviato prova torna a vantaggio di coloro a cui è inviato. La fonte della consolazione è Dio, il luogo dove si compie, è il Cristo crocifisso e risorto, di lì passa al missionario, e dal missionario alla comunità. La consolazione cristiana porta a capire e a far capire il senso pasquale di ogni prova. L invito è a guardare ogni cosa alla luce del mistero pasquale. ECCO IO INVIO VOI 10, Ora, dopo queste cose, designò il Signore altri settanta(due) e li inviò due a due davanti al suo volto in ogni città e luogo dove stava lui stesso per venire. 2 Ora diceva foro: La messe è molta, ma gli operai pochi! Supplicate dunque il Signore della messe che stani operai per la sua messe. 8 GIOITE INVECE CHE I VOSTRI NOMI SONO SCRITTI NEI CIELI 10, Ora ritornarono i settantadue con gioia dicendo: Signore, anche i demoni sono sottomessi a noi nel tuo nome! 18 Ora disse loro: Contemplavo il Satana cadere dal cielo come folgore. 19 Ecco: ho dato a voi la potestà di calpestare su serpenti e scorpioni e su tutta la potenza del nemico, e niente affatto vi nuocerà. 20 Tuttavia non gioite in questo, che gli spiriti vi si sottomettono. Gioite invece che i vostri nomi sono scritti nei cieli. 1. Messaggio nel contesto Il brano inizia con Gesù che invia (v. 1), e termina con lui inviato (v. 16): manda i discepoli come il Padre ha mandato lui. Sorgente della missione è sempre il Padre, nella sua misericordia per tutti i suoi figli. Il Figlio è il primo inviato perché lo conosce. Dopo di lui, sono da lui e come lui inviati quelli che l hanno riconosciuto come fratello, Luca evita con cura i doppioni e ciò che ne ha l apparenza. Qui invece appositamente - e lui solo! - ne fa uno, riprendendo e ampliando il discorso di 9,1-6. Così evidenzia l importanza di tale testo per la sua chiesa. Essa si sente apostolica (= missionaria), perché chiamata a continuare l opera di Gesù che, con quella dei Dodici a Israele e dei settantadue a tutti i popoli, costituisce un unica missione. Luca ne narra due, perché «due» è il principio di molti: l uno che si ripete nel tempo. Attraverso questa missione identica e molteplice dell unico Signore, il Signore diventa «uno» su tutta la terra (Zc 14,9) e il suo nome è santificato tra tutte le genti (Ez 36,23). Unità e totalità sono le preoccupazioni di fondo del «cattolico» Luca. La missione nasce dall amore del Padre per tutti i suoi figli e termina nell amore dei figli per il Padre e tra di loro. Essa si allarga in un orizzonte sempre più ampio, fino ad abbracciare gli estremi confini della terra: è il cerchio delle braccia del Padre, che si apre a stringere tutti i figli senza perderne alcuno, perché non ha figli da sprecare. Le condizioni della missione dei Settantadue, come quella dei Dodici (9,1-6), sono le medesime di Gesù. La differenza sta nel fatto che lui è il Figlio che ha lasciato il Padre ed è «venuto» a cercare i fratelli (5,32; 19,10). Invece i Dodici sono «chiamati» (9,1) e i Settantadue «designati» a collaborare alla sua opera. Questa missione, come da Israele va fino ai confini dello spazio, così da Gesù si estende fino alla fine del tempo. Poi giungerà il Signore. «Ma è prima necessario che il Vangelo sia annunciato a tutte le genti» (Mc 13,10). Fine della missione è non solo la vittoria sul male (v. 17s), e il ritorno allo stato originario di Adamo, re del creato (v. 19); ma soprattutto il fatto che il nome dei discepoli, nel nome di Gesù, è scritto nei cieli (v. 20), cioè in Dio. Gesù è venuto per darci la gioia di entrare nella sua comunione di Figlio col Padre (v. 21s). Questo lungo discorso ha un esordio: «la messe è molta» (v. 2), cioè tutta l umanità; chi conosce il cuore del Padre è sollecito di tutti i fratelli. Ha un immagine iniziale, che dà il «colore» alla missione: «agnelli in mezzo ai lupi» (v. 3), sotto il vessillo del pastore che si è fatto agnello immolato. Seguono quattro proibizioni che descrivono la missione in povertà (v. 4), e le precisazioni circa l annuncio del Regno: «dite», «dimorate», «mangiate», «prendete cura», «dite» (vv. 5-9). Tale annuncio, urgente e necessario, avviene nella contraddizione e nel rifiuto (vv ). Il tutto si conclude affermando che la missione dei discepoli è la stessa di Gesù, inviato dal Padre (v. 16). Tutta l umanità è messe matura per accogliere la salvezza. Dove c è rifiuto, c è un «ahimè» analogo a 6, Non è minaccia, ma forma estrema di annuncio. L annunciatore rifiutato dice: «ahimè per te!». Denunciando il male, ne porta su di sé la ferita. Così realizza l offerta estrema della salvezza, che è fatta a tutti senza condizioni, anche a chi rifiuta. È ciò che fece il Signore in croce, rifiutato da tutti. La perdizione di chi rifiuta si riversa su chi è rifiutato. Il dramma dell amore non amato, che non rinuncia mai a offrirsi, è l orizzonte stesso della salvezza, negata a nessuno e donata a tutti. Si vede così la serietà del dono e la gratuità dell amore di Dio, che sa perdersi per ogni perduto. Queste parole di Gesù ai suoi inviati suppongono ciò che S. Ignazio chiama: «terzo grado di amore» (Esercizi spirituali 167): il desiderio di scegliere la povertà, la stoltezza e la follia della croce, per somigliare al Signore che si 9

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