Squilibri reali e squilibri finanziari. Oltre la finanza

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1 Squilibri reali e squilibri finanziari. Oltre la finanza Il ruolo dei fattori demografici Il senso della frase nulla sarà come prima, espressa con riferimento agli scenari post-crisi, evoca un mondo non solo emendato dalle intemperanze della finanza, ma soprattutto ricondotto a principi di sobrietà e ad una concezione più virtuosa dei rapporti economici, in sostanza ad una maggiore povertà. E la prospettiva evocata dal politologo Darhendorf, recentemente scomparso, nell intervista concessa al Corriere della Sera del 31 marzo in cui il filosofo politico non nasconde il suo scetticismo sulle capacità taumaturgiche del G20 che si sarebbe riunito a Londra nel mese successivo. E alquanto improbabile, secondo la sua visione di un futuro vicino, che da tali eventi ufficiali emergano ricette risolutive che siano in grado di ricomporre lo scenario compromesso dalla crisi. Le aspettative delineate non sono confortanti: il livello economico-sociale dell Europa si avvicinerà a quello degli anni 50 e 60, mentre l inflazione abbatterà il tenore di vita delle classi sociali meno favorite. Le vere responsabilità saranno ipocritamente attribuite all operare dei soliti paradisi fiscali e alla deregulation thatcheriana e reaganiana degli anni 80 e aggredite dai responsabili della politica economica con ambiguità e scarsa determinazione. In realtà, sostiene il premio nobel britannico, è la cultura del debito che, avendo per un lungo periodo ispirato i comportanti economici delle economie occidentali, ha contribuito in modo decisivo ad approfondire gli squilibri finanziari e a creare un forte disagio globale. Se alcune previsioni possono essere opinabili, come quella dell inflazione che cancella una parte del debito accollandone gli oneri alle classi più povere, l intervista di Dahrendorf ha il pregio di focalizzare, anche se in modo suggestivo e poco scientifico, le cause reali che sottendono l attuale crisi finanziaria. L argomentazione non è certamente nuova né originale. Infatti l anomalia dei deficit gemelli degli Stati Uniti, che ha come contropartita i surplus commerciali e l eccesso di risparmio di alcuni grandi paesi emergenti come la Cina (ma non solo la Cina), costituisce lo scenario tra i più osservati e dibattuti da esperti e non. Tuttavia, se si prescinde dalla notevole produzione di lavori scientifici con taglio macroeconomico, nei media si ritrovano pochi interventi sulle interrelazioni tra squilibri reali e quelli finanziari. È più immediata e forse più accattivante una lettura della crisi che indirizzi il focus sulla finanza spregiudicata ( Dole, 2009) e sui comportamenti ultra-speculativi che la alimentano, oppure che correttamente si preoccupi di ridefinire le regole del gioco imperfette e disattese, rispetto ad una che si proponga di mettere in discussione i rapporti squilibrati tra le grandi aree del mondo e i comportamenti economici che stanno alla base di essi. Sulle caratteristiche macroeconomiche degli squilibri in verità si conosce molto. E dalla seconda metà degli anni 90 che i global imbalances sono ossessivamente ricordati e puntigliosamente analizzati per richiamare l attenzione sulla sostenibilità di un sistema che accumula tensioni sempre meno gestibili dalle politiche economiche dei paesi coinvolti e sempre meno aggiustabili dai meccanismi del sistema monetario internazionale. Non si risparmiano proposte e soluzioni per riformare il sistema monetario stesso e per suggerire revisioni, più o meno incisive, delle stesse politiche economiche (soprattutto di Cina e Stati Uniti) 1. Lo scoppio della crisi ha ulteriormente accentuato le preoccupazioni e sollevato complesse questioni sul come uscirne e, più ambiziosamente, sulla vexata quaestio di una nuova archittetura dei rapporti economici internazionali più stabile e meno squilibrata. Il punto che qui si vuole affrontare si colloca tuttavia all origine dei gravi problemi appena ricordati e riprende un punto di vista che, con una certa vis polemica, è stato recentemente 1 Per un analisi approfondita sui problemi attuali del sistema monetario internazionale cfr. i contributi contenuti in Economic Policy(2007), 51, July.

2 proposto da un commentatore che, sul periodico elettronico Asia Times, si firma con un label alquanto misterioso: Spengler, forse una sigla che raccoglie alcuni economisti e politologi non strettamente allineati alle più diffuse conventional views (Spengler, 2008). La sua interpretazione privilegia con forza le cause reali della crisi, in particolare quelle demografiche che in qualche modo alimentano i comportamenti di consumo poco virtuosi della società americana e, allo stesso tempo, quelli opposti dei paesi che sembrano nutrire una vocazione al risparmio e alla moderazione nei consumi. Questi vizi e, per converso, le simmetriche virtù, dislocati diversamente nello spazio economico mondiale, non sono nuovi. Già negli anni 60 e 70 i baby boomers statunitensi mostravano un inclinazione alla spesa che le politiche reaganiane esaltavano agitando la bandiera della lafferiana diminuzione delle imposte, in realtà non virtuosamente accompagnata da una corrispondente diminuzione della spesa pubblica, come avrebbe invece imposto il credo liberistico. Con una sostanziale differenza, tuttavia. Nei decenni passati l economia americana era fortemente propulsiva e l aumento del reddito interno e mondiale era in grado di creare le risorse necessarie per corrispondere gli interessi e il capitale sulle passività finanziarie emesse. In quegli anni inoltre una componente decisiva era rappresentata dall appeal del dollaro e dall affidabilità del debito americano rispetto alle alternative esistenti nel mercato finanziario internazionale. In sostanza investire in Treasury Bonds era come investire in cash flow rappresentato dalle future entrate fiscali necessarie per ripagarli. Un flusso di reddito comunque garantito dall economia più forte e più solida del pianeta. In pratica erano la forza del dollaro e l enorme potere di signoraggio internazionale i fattori che contribuivano ad incentivare tali comportamenti e a rafforzare la convinzione che i pesanti effetti sulla bilancia dei pagamenti americana sarebbero stati comunque riassorbiti dall indiscussa credibilità del paese come debitore internazionale. I flussi Tuttavia se è fuori discussione la colpevolezza del sistema monetario internazionale riguardo alle crisi finanziarie e bancarie che colpirono a scadenze diverse, ma con particolare virulenza alla fine degli anni 70 e nella prima metà degli anni 80, l economia di alcuni paesi industrializzati, dagli anni 90 la situazione si complica per il cambiamento dello scenario finanziario internazionale e l affacciarsi in esso di nuovi protagonisti. Le crisi che colpirono i paesi emergenti negli anni 90 nascevano, infatti, da un mix costituito da spinte all integrazione finanziaria e fenomeni di forte sviluppo trainato dalle esportazioni, in cui i rapporti tra le grandi aree del mondo sembravano grosso modo confermare il modello descritto dalla letteratura dello sviluppo che vede il capitale defluire dai paesi sviluppati a quelli caratterizzati da una più elevata efficienza marginale del capitale. In sostanza in quegli anni il risparmio mondiale e i flussi finanziari da esso alimentati, anche per effetto dei surplus finanziari di origine petrolifera, sembrarono voler porre le basi per una diversa architettura dei rapporti economici e finanziari internazionali, maggiormente orientata a ridistribuire la ricchezza su aree più vaste del mondo e a promuovere lo sviluppo là dove prima esistevano condizioni di marginalità. Tuttavia i modi della liberalizzazione finanziaria e le mai risolte asimmetrie del sistema monetario internazionale provocarono drammatici blocchi nei flussi finanziari e, di conseguenza, nello sviluppo dei paesi coinvolti. In qualche modo la concorrenza per accaparrarsi le risorse rappresentate dal risparmio mondiale sembrò riacquistare energia, nel senso che gli Stati Uniti accentuarono il loro ruolo di importante paese di destinazione del risparmio mondiale, una linfa assolutamente indispensabile per sostenere quella propensione all assorbimento interno decisamente squilibrata rispetto alla produzione nazionale. Dalla fine degli anni 90 lo scenario, pertanto, presenta elementi di novità. Il fattore demografico sembra diventare uno dei protagonisti dell aggravamento del cleavage nella distribuzione mondiale delle risorse finanziarie. Una frattura che porta una parte di responsabilità della crisi attuale, questa volta più profonda rispetto a quelle degli anni 90, in quanto più pervasiva dal punto di vista spaziale e, soprattutto, originata nel cuore della finanza mondiale. Da una parte, infatti, l invecchiamento demografico di alcuni importanti paesi sviluppati, tradizionalmente motori dell economia mondiale, ha raggiunto livelli eccezionalmente elevati e destinati ad accentuarsi nel lungo periodo. Dall altra Gli stati Uniti, potenzialmente in equilibrio demografico, non ha mai smesso di praticare comportamenti

3 sociali che lasciano poco spazio alla formazione del risparmio e continuano a replicare, in modo sempre più intenso, il loro ruolo di grandi sostenitori della domanda mondiale. Per contro i paesi emergenti (in particolare la Cina), terza parte dello scenario, sono diventati recentemente i grandi fornitori di risparmio degli Stati Uniti e i finanziatori privilegiati della loro economia. In Germania, sostiene Spengler, un cittadino su quattro ha oltre 65 anni, fra trent anni i due quinti, in Giappone circa il 30% e fra trent anni la metà. Ciò ha conseguenze non di poco conto sui comportamenti finanziari di questi paesi sviluppati poiché, anche in considerazione del modello di welfare, il risparmio dei lavoratori più anziani, desiderosi di capitalizzare quote di reddito quando usciranno dal mercato del lavoro, non intercetta un sufficiente impiego da parte delle classi giovani che devono finanziare progetti di spesa necessari al miglioramento della loro vita familiare e professionale. Se i paesi più avanzati hanno difficoltà nel trovare un adeguata quantità di giovani che possano assorbire il risparmio delle classi più anziane, paradossalmente la Cina è in grado di mobilitare un ingente volume di risparmio poiché le nuove generazioni rimangono bloccate dalla povertà rurale e non si trovano nelle condizioni di finanziare un maggior livello di consumi. Non solo, il fragile stato sociale cinese ha finora operato come un potente incentivo per il risparmio e come altrettanto potente disincentivo per la sua allocazione interna. Come corollario di tali squilibri sociali, a loro volta effetto anche di politiche economiche attuate non solo in Cina ma anche in alcuni paesi in via di sviluppo ed emergenti, operano, da un lato, i noti vincoli rappresentati da un mercato finanziario ancora opaco ed estremamente volatile, sostanzialmente chiuso al capitali esteri, dall altro, il fatto che una quota consistente di risparmio si forma nelle imprese di stato in cui una larga quota di profitti non viene distribuita e pertanto ritorna, direttamente o indirettamente attraverso il sistema bancario, alle imprese stesse. Rispetto al passato gli squilibri demografici si sono ancora più approfonditi e i comportamenti si sono ancora più polarizzati. Quando Il presidente Reagan salì al potere nel 1981 i baby boomers trovarono tutto il capitale necessario per finanziare l espansione dell economia americana. Anche allora i comportamenti non erano virtuosi e la propensione al risparmio era modesta ma il dinamismo dell economia americana, favorito da una struttura demografica in cui la componente meno anziana era pesante, garantiva performances in termini di reddito che sarebbero state in grado di onorare l enorme massa di debito che si andava formando. Tuttavia in un economia parca di risparmio, anche se la più avanzata del mondo, la spesa può essere finanziata solo se la finanza è sorretta da elevati livelli di leverage e di innovazione tecnica. In effetti proprio negli anni 80 la fantasia e la spregiudicatezza degli operatori mise in campo una strumentazione e un offerta di prodotti che permisero, con la rivoluzione reaganiana degli anni 80, la più lunga fase di espansione ( ) del secondo dopoguerra. Sostanzialmente da tre categorie di assets, che inondarono la finanza in quegli anni, cioè home mortgage, junk box a leverage buyouts, nacquero una serie di cloni e di prodotti strutturati che contribuirono alla crescita abnorme del grado di leverage e a diluire il debito allontanandolo sempre di più dai contraenti originari. Naturalmente gli effetti positivi furono rilevanti in termini di stimoli all innovazione tecnologica e di fermenti imprenditoriali. Non solo, tali strumenti permisero ai giovani americani di finanziare l acquisto di case e alle imprese di reperire capitale circolante e di entrare nel mercato con una base di capitale anche di modeste dimensioni. Tali ricadute positive sulla dinamica dell economia americana esercitavano, tuttavia, effetti di feedback sui comportamenti finanziari, consolidando la propensione al leverage e all assunzione di posizioni sempre più rischiose e incerte. Anche la politica di riduzione fiscale inaugurata dallo stesso presidente, se da un lato introduceva un potente volano per l economia privata, dall altro accresceva il peso del debito complessivo a carico della componente pubblica. Le condizioni di allora giocavano d altra parte a favore delle politiche creatrici del debito e orientate a favorire il leverage poiché, come è stato sottolineato precedentemente, l indebitamento e le pratiche inventate per espanderlo e moltiplicarlo scontavano fondate aspettative di un futuro aumento della ricchezza che sarebbe stato in grado di onorare l enorme volume di capitale anticipato.

4 Tale scenario non muta nella sua configurazione essenziale negli anni 90, semmai vede le sue contraddizioni accentuarsi ulteriormente. Gli squilibri demografici, infatti, non si riducono e gli squilibri macroeconomici globali che riflettono l asimmetria delle propensioni al consumo e al risparmio delle grandi aree del mondo trovano una loro composizione nel trasferimento di risorse finanziarie verso gli Stati Uniti. I paesi emergenti, la Cina e alcuni dei paesi più industrializzati del mondo prestano risorse alle generazioni di americani che consumano e investono freneticamente finanziandosi con il debito, fiduciosi che comunque non esiste nulla di più sicuro e affidabile della moneta americana. Negli anni 2000 lo scenario inizia tuttavia a mostrare le sue incrinature. A parte il downturn dell economia nel 2001, nell ultima decade la struttura demografica della società americana, che raggiunge il suo culmine di ringiovanimento a metà degli anni 90, incomincia a invertire il segno e sembra perdere le sue capacità di produrre ricchezza futura necessaria per ripianare i debiti che continua a contrarre nel presente. Nonostante ciò i comportamenti non mutano e continuano ad alimentare i global financial imbalances che a loro volta incoraggiano ancora di più l asimmetria macroeconomica prima descritta. I flussi finanziari downhill Letta attraverso questa lente interpretativa l enfasi sulle responsabilità della finanza potrebbe risultare eccessiva in base alla considerazione che l utilizzo del leverage, al di là di ogni ragionevole prudenza, e la sottovalutazione del rischio da parte di tutti gli operatori coinvolti hanno costituito, almeno in una prima fase, strumenti necessari per richiamare risparmio interno ed esterno. In seguito, esauritasi la capacità di produrre redditi futuri adeguati al volume di debito prodotto, divenne prioritario trasferire il rischio del debito, incorporandolo e diluendolo in nuovi prodotti confezionati appositamente per rendere più opaca la vera natura del rapporto finanziario sottostante. Per quanto convincente questa interpretazione non è tuttavia sufficiente per spiegare la genesi della crisi attuale. E infatti difficile attribuire precise responsabilità a ciascuno dei fattori che costituiscono il complesso mix di cause reali e finanziarie che hanno contribuito al suo scoppio. Ruolo del sistema monetario basato sul dollar standard, gravi smagliature nella regolamentazione finanziaria, politiche monetarie poco attente agli effetti di medio e lungo periodo, in definitiva una fitta lista di cause tutte quante teoricamente rilevanti che, a loro volta interagenti con quelle sopra analizzate, possono aver innescato i fenomeni recessivi. Attualmente la dottrina e l armamentario analitico messo in campo producono un flusso continuo di spiegazioni in cui è spesso arduo orientarsi e di cui può risultare scoraggiante misurare il grado di efficacia interpretativa. Più interessante sembra essere invece il problema della diversa distribuzione dei costi e dei vincoli che gli squilibri macroeconomici prima descritti imporranno alle diverse aree dell economia mondiale. Prima tuttavia è utile completare il quadro degli squilibri macroeconomici analizzando l altro versante del problema, quello cioè dei paesi in via di sviluppo ed emergenti che, a partire dall ultimo decennio, sempre più rappresentano i grandi finanziatori dell economia americana. Questo paradosso è stato analizzato dal FMI (Prasad et al., 2007) circa tre anni fa, pertanto alcuni mesi prima del manifestarsi della crisi, in un saggio che analizza in modo molto puntuale e illuminante il fenomeno dei flussi di capitale che si dirigono dai paesi in via di sviluppo ed emergenti(come L India e la Cina) verso quelli più avanzati, in particolare gli Usa. Ciò rappresenta una sorta di paradosso secondo cui i paesi poveri o da poco usciti (Lucas,1990) dalla povertà finanziano i paesi ricchi e che ha il suo paradigma nella relazione che intercorre tra i saldi delle bilance dei pagamenti americana cinese. Sebbene la letteratura non abbia finora offerto molte certezze teoriche riguardo le determinanti dei movimenti di capitali e alla relazione che intercorre tra essi e lo sviluppo economico, (Manzocchi et al., 2002), in questi studi si sottolinea come l evoluzione reale contraddica quell approccio della teoria neoclassica secondo cui i capitali si dirigono verso i paesi con più elevati produttività marginale del capitale e tasso di sviluppo. La struttura downhill dei flussi di capitali, soprattutto negli ultimi anni, non sembra, infatti, rispettare le aspettative della teoria e conferma il

5 paradosso di Lucas: i paesi in via di sviluppo e i paesi emergenti, caratterizzati da tassi di rendimento del capitale mediamente più elevati rispetto ai paesi industrialmente più avanzati e con dinamica del reddito più sostenuta, registrano saldi positivi delle bilance commerciali che, dal punto di vista macroeconomico, costituiscono la contropartita di deflussi di risparmio verso alcuni paesi più industrializzati, in particolare gli Stati Uniti. Questo perverse trend caratterizza grosso modo l intero periodo ma è particolarmente accentuato nel quadriennio , soprattutto con riferimento a India e Cina. Fig. 1 Flussi netti di capitale verso i paesi non industrializzati (mld. di US dollari) Bassa Crescita Media Crescita Elevata Crescita I numeri tra parentesi rappresentano il tasso di sviluppo mediano dei paesi non Industrializzati (campione di 59 paesi) raggruppati in tre fasce di uguale popolazione con tassi di sviluppo crescenti. Cina e India sono considerate separatamente. I dati si riferiscono al saldo della bilancia commerciale che costituisce la contropartita del saldo dei movimenti di capitali. Pertanto le colonne sotto la linea dello zero rappresentano surplus della bilancia stessa. Fonte: Prasad E., Rajan R., Subramanian A.(2007), The Paradox of Capital, FMI, Finance & Development, March, 44/1. Le cause vere di tale anomalia, almeno secondo il lavoro appena citato, devono comunque risiedere nella relazione tra sviluppo economico e surplus della bilancia commerciale, relazione che a sua volta rinvia al ruolo del risparmio e degli investimenti nazionali come motore dello sviluppo stesso. A un livello di estrema semplificazione, che prescinde dalla complessità delle variabili coinvolte e delle interrelazioni fra esse operanti, si può affermare che i paesi che hanno minori problemi di bilancia dei pagamenti correnti o addirittura elevati surplus sono quelli che registrano più elevati tassi di risparmio e, poiché quote più elevate di risparmio offrono maggiore spazio per gli investimenti, una più elevata accumulazione di capitale interna stimola lo sviluppo. Ciò non significa che, in teoria, i capitali esterni non possono assolvere la stessa funzione, tuttavia ciò che si osserva è una innegabile correlazione positiva tra surplus delle bilance commerciali e quindi flussi netti di capitali in uscita tassi di risparmio e di investimento e sviluppo. Ricorrendo ad una frase eroica potremmo affermare che i paesi che ricorrono meno ai capitali esterni si sviluppano di più. Ovviamente l approccio reale, unitamente a quello di matrice demografica-sociologica, prima descritto, non esaurisce le ragioni complesse dei global imbalances né suggeriscono di per se stessi convincenti terapie di exit strategy con riferimento alla crisi attuale, ma piuttosto fotografano in maniera suggestiva comportamenti sociali e macroeconomici esistenti che di fatto continuano ad alimentare gli squilibri.

6 L esigenza di trovare una spiegazione coerente ed accettabile alla crescita sempre più profonda di tali squilibri ha prodotto una voluminosa quantità di interventi che, secondo un recente tentativo di sistematizzazione, potrebbero essere ricondotti a due approcci: traditional view, che enfatizza lo squilibrio che è all origine di tutti gli altri, quello della bilancia dei pagamenti americana, e ritiene che tale situazione è incompatibile con la sostenibilità macroeconomica complessiva e new paradigm 2 che, al contrario, ne difende la sostenibilità. Tale dibattito, tuttavia, può considerarsi un effetto by product del sempre drammaticamente attuale dibattito-chiave che ha per oggetto il ruolo della moneta americana nel contesto delle relazioni economiche internazionali e che negli anni 2000, spinto soprattutto da motivazioni politiche, interne agli Stati Uniti, si è concentrato a livello mediatico sul problema delle ragioni di scambio del dollaro con la moneta cinese. Per dare un idea della ricchezza del dibattito è utile riferire molto sinteticamente le altre spiegazioni proposte. In particolare le ragioni dell approfondirsi dei global imbalances sarebbero costituite da: - la debolezza e la scarsa efficienza dei sistemi finanziari locali, scarsamente affidabili per gli investitori internazionali e inefficienti nel finanziamento sia degli investimenti che della spesa per consumi. In sostanza i canali di intermediazione di questi paesi non sarebbero in grado di tradurre in investimenti gli elevati livelli di produttività realizzati e pertanto l accumulazione di capitale sarebbe alimentata soprattutto dal risparmio d impresa mentre il sistema bancario locale non sarebbe in grado di valutare il merito di credito e il grado di rischio della clientela privata. - l estrema cautela di alcuni paesi emergenti nell attrarre risparmio internazionale dopo le crisi valutarie e finanziarie degli anni 90. Soprattutto nell area asiatica molti paesi di nuova industrializzazione, pesantemente colpiti dagli eventi del decennio precedente, hanno perseguito politiche di formazione interna del risparmio e di raggiungimento di soglie di sicurezza del saldo della bilancia dei pagamenti corrente. - Con riferimento alla Cina, attualmente il più importante creditore degli Stati Uniti, va ricordato che il suo sistema economico è parzialmente isolato dal resto del modo per quanto riguarda i movimenti di capitali e il suo sistema bancario è tuttora controllato dallo stato e pertanto ancora condizionato da strategie di comando. Inoltre il precario sistema di welfare e la pratica di non distribuire i profitti delle imprese di stato incentiva un volume di risparmio, tra i più rilevanti in valore assoluto e relativo, che costituisce la contropartita del surplus della bilancia commerciale e contribuisce alla formazione dello stock di riserve valutarie più elevato del mondo. Se tali spiegazioni colgono solo una parte delle cause della crisi, tuttavia alcuni approcci, anche se non appartenenti strettamente alla traditional view, hanno anticipato l esito implosivo dell accumulo di contraddizioni implicite nei global imbalances e anticipato eventi come la crisi attuale, evitabili soltanto attraverso incisive politiche di riequilibrio dei fondamentali macroeconomici delle grandi aree del mondo (Roubini et al., 2004 e Obstfeld et al., 2000). Per quanto convincenti e argomentate, tutte queste spiegazioni non eliminano le incertezze interpretative. E questa veramente la crisi prevista dalla letteratura più allarmata, una crisi gravida di tutte le conseguenze di non ritorno rispetto a una situazione non più sostenibile, oppure stiamo semplicemente sperimentando un episodio contingente e normale che non inciderà strutturalemente sugli assetti di lungo periodo, in quanto i global imbalances sono l inevitabile conseguenza della globalizzazione finanziaria e pertanto fenomeno non patologico ma il risultato prevedibile di scelte finanziarie e reali che non sono più vincolate da contesti nazionali? In questo secondo caso acquisterebbero rilevanza le tesi che escludono aggiustamenti drammatici e radicali e, anche se tali aspetti in realtà non vengono dettagliatamente analizzati e pertanto non offrono certezze sul piano operativo, propendono per la continuità degli assetti attuali e comunque per un loro mantenimento di lungo periodo. Alcuni di questi studi richiamano inoltre la drammatica domanda sulle prospettive di un futuro 2 Va precisato che la bipartizione è convenzionale e dipende dalle conclusioni a cui giungono gli autori. In realtà, ai nostri fini, sarebbe più opportuno distinguere tra una visione che privilegia le cause reali e una che al contrario privilegia quelle finanziarie, anche se in realtà risulta non facile operare una distinzione di questo tipo (Xafa, 2007).

7 in cui la bilancia commerciale americana potrebbe cambiare segno e l inflazione di attività finanziarie e di liquidità in dollari ad essa collegata potrebbe ridimensionarsi. Ciò comporterebbe un cambiamento strutturale così profondo negli assetti macroeconomici mondiali il cui impatto non è facilmente prevedibile e le cui modalità non possono essere leggibili nelle caratteristiche dell attuale crisi (Cooper, 2005 e Ricardo et al.,2008). Per dare una risposta significativa sugli effetti reali della crisi, in particolare sulla loro intensità e durata, sarebbe pertanto necessario isolare le vere determinanti della crisi stessa e non confonderle con le conseguenze o con i fenomeni che ne costituiscono singoli aspetti, forse più visibili e più misurabili, ma probabilmente fuorvianti ai fini interpretativi. Una risposta che nessun esperto o banchiere centrale è attualmente in grado di offrire. Né il contesto sembra suggerire indicazioni sull evoluzione dello stato del economia e della finanza, in particolari sulle (eventuali) nuove relazioni internazionali su cui esso fonderà i suoi equilibri. Dobbiamo pertanto accontentarci di prendere atto dei dati che emergono da una realtà ancora abbastanza fluida e contradditoria e, in mancanza di modelli dotati di sufficiente forza interpretativa, cercare di cogliere qualche segnale di trend. Le caratteristiche dei global Imbalances A questo proposito è d obbligo fare riferimento all osservatorio del Fondo Monetario Internazionale. Negli ultimi documenti disponibili 3 si tenta, ovviamente con tutte le cautele e i caveat del caso, di quantificare le dimensioni quantitative del default che ha colpito la finanza americana e i suoi effetti sull economia reale e finanziaria a livello globale e di valutare la portata degli interventi finora adottati dai governi coinvolti. Nella massa imponente di dati che i Report delle organizzazioni economiche internazionali forniscono è utile enucleare quelli che esprimono in maniera più sintetica la dimensione dei fenomeni recessivi. La perdita contabile(write-off) di crediti delle istituzioni finanziarie americane nel loro complesso dovrebbero ammontare nel triennio a circa 2,7 mila miliardi di dollari, mentre quelle a livello globale a circa 4 mila miliardi, di cui due terzi in capo ad istituzioni bancarie e il resto distribuito tra fondi pensioni, hedge fund, assicurazioni e altre istituzioni finanziarie. Gli effetti sul Pil, che a livello globale consistono in una diminuzione dell 1,1% nel 2009 e un incremento del 3,1% nel 2010, si differenziano a livello delle grandi aree geografiche: rispettivamente - 3,4% e +1,3% per gli Usa, -4,2% e +0,3 per l area euro, -5,3% e +0,3% per la Germania, - 2,4% e +09% per la Francia, -5,1% e +0,2% per l Italia, -3,0% e -0,7% per la Spagna, -4,4%, +0,9% per il Regno Unito, -5,4% e +1,7% per il Giappone. Meglio i paesi emergenti e in via di sviluppo che, eccetto la Russia(-7,5% e +1,5%), evidenziano nel loro complesso incrementi del 1,7% e 5,1%, con la Cina che comunque si assesta su valori del 8,5% e 9,0% e l India del 5,4% e 6,4%. E evidente che di fronte a tali cifre è arduo non parlare di recessione. Il sisma che ha colpito i mercati del credito e finanziari ha prodotto una forte contrazione del credito al settore privato che, associata a devastanti effetti ricchezza delle famiglie, soprattutto per il crollo dei valori immobiliari e del portafoglio titoli, è responsabile della frenata appena descritta. Quando tuttavia si tratta di fare proiezioni sul futuro, di breve ma soprattutto di medio periodo, lo scenario si tinge di grigio e anche i più raffinati strumenti econometrici risultano non del tutto affidabili. Comunque secondo le stime più aggiornate (almeno al momento in cui queste note vengono scritte) il basso profilo della domanda di credito(si ipotizza che non vi siano vincoli dal lato dell offerta, cioè fenomeni rilevanti di credit crunch) viene ritenuto non di breve periodo e di notevole consistenza. Si prevedono, nel peggiore dei casi, tassi di incremento medi annuali negativi in un range che va dal 0% al 5% del credito al settore privato negli Usa e in Europa, perlomeno fino al 1 trimestre del 2010, e una lenta ripresa che comunque vede i tassi di incremento del credito rimanere su un livello al di sotto del 5% nel successivo quinquennio. 3 IMF(2009), World Economic Outlook, Washington DC, April ; IMF(2009), World Economic Outlook, Washington DC, October; IMF(2009), Global Financial Stability Report. Responding to the Financial Crisis and Measuring Systemic Risks, Washington DC, April ; IMF(2009), Global Financial Stability Report, Navigating the Financial Challenges Ahead, Washington DC, October.

8 Una ripresa pertanto molto modesta e certamente sotto la performance registrata nel primo quinquennio degli anni Tuttavia l impatto della crisi sul sistema produttivo e sul ritmo di sviluppo delle varie aree geografiche del mondo, la sua durata e intensità insieme con le trasformazioni sugli assetti futuri delle relazioni economiche e finanziarie internazionali costituiscono fattori che nemmeno i più attrezzati centri di ricerca sparsi per il mondo riescono a prevedere con sufficiente affidabilità. A parte questa difficoltà di valutare con sufficiente rigore la dimensione esatta dell immenso fenomeno di financial default vi sono ragioni più profonde e di tipo strutturale che rendono problematica una chiara visione degli effetti della crisi in atto. Sempre con riferimento ai Report del Fondo Monetario Internazionale e rimanendo fedeli all approccio dei global imbalances è indicativo che entrambi i documenti della massima istituzione monetaria internazionale dedichino un attenzione e uno spazio consistenti ai meccanismi di propagazione della crisi dai paesi sviluppati, in particolare gli Usa, ai paesi emergenti e in via di sviluppo. Dalla complessa e dettagliata analisi del Fondo a proposito di questi aspetti si possono ricavare alcuni scenari di riferimento. Innanzitutto la gravità della crisi non risiede soltanto nella dimensione quantitativa e qualitativa dei dissesti finanziari (financial distress) ma, in maniera rilevante, negli effetti di spillover che coinvolgono i sistemi finanziari e le economie dei paesi emergenti. Inoltre le caratteristiche di condizionalità insite nella soluzione dei global imbalances rispetto alle possibilità di uscire efficacemente dalla crisi trovano nei Report una risposta alquanto ambigua e, per certo versi contradditoria. Sugli aspetti di propagazione nei paesi emergenti le conclusione del Fondo sono alquanto preoccupate e preoccupanti. Infatti, sebbene non esistano ancora modelli affidabili che siano in grado di simulare con sufficiente approssimazione la natura del ciclo economico in un ambiente globalizzato, è certo che la crisi attuale mostra picchi negativi più acuti rispetto alle crisi precedenti, a riprova che la maggior integrazione finanziaria più che compensa, nel senso che rende più acuto l effetto globale di una recessione che colpisce una parte dell economia globale, la minor concentrazione della produzione globale a livello delle grandi aree territoriali 4. Quest estensione della crisi ai paesi emergenti, se da una parte ridimensiona la speranza che almeno in quella parte del mondo il tasso di crescita dell economia avrebbe potuto contrastare la caduta dell economia globale, dall altra rende meno decifrabile i legami finanziari che costituiscono la struttura dei global imbalances. Se, infatti, i pesi emergenti nel loro complesso, assieme ad alcuni paesi industrializzati come Giappone e Germania, si pongono come creditori netti nei confronti di alcuni i grandi paesi avanzati, tra cui in posizione rilevante gli Stati Uniti, in teoria e scontando le probabili perdite in conto capitale, tali paesi dovrebbero comunque disporre di risorse finanziarie più che sufficienti per non subire gli effetti devastanti del credit crunch. La realtà tuttavia è più complessa e ambigua rispetto allo schema dei saldi finanziari aggregati desumibili dalle statistiche internazionali. In realtà la variegata categoria definita come paesi emergenti è di fatto ancora finanziariamente dipendente dalla finanza globale. Se si fa eccezione per la Cina, paese finanziariamente chiuso e autosufficiente per quanto riguarda l afflusso di capitali, i sistemi finanziari degli altri paesi sono pienamente inseriti nel network della finanza globale che strategicamente e operativamente ha il centro nei paesi più sviluppati. In sostanza il circuito non si esaurisce nella relazione schematica che vede i paesi emergenti virtuosi che investono una parte rilevante del loro risparmio nei mercati finanziari di alcuni paesi avanzati, a loro volta grandi consumatori, ma si articola in un segmento parallelo costituito dai flussi di capitale, in parte costituiti da consistenti investimenti diretti, che 4 Attualmente le economie avanzate rappresentano circa il 55% della produzione globale quando negli anni 80 raggiungevano il 75%. Se da una parte pertanto gli effetti di spillover dovrebbero essere più ridotti proprio per la maggior capacità di produrre risorse in aree regionali prima in posizione marginale, tuttavia l accresciuta finanziarizzazione e integrazione finanziaria dell economia mondiale ha reso più veloci e reattivi i fenomeni di contaminazione delle fasi del ciclo che colpiscono alcune importanti economie. I principali modelli econometrici sono infatti concordi nell evidenziare come alcuni indicatori sensibili, quali il tasso di disoccupazione, i movimenti di capitali, il consumo procapite in parità di poteri d acquisto e il commercio internazionale assumano nella crisi attuale valori più negativi rispetto alle crisi precedenti. Cfr. IMF(2009), cit., April, pag. 13.

9 ritornano nei paesi di origine, anche se il saldo netto complessivo rimane, come è stato descritto nelle pagine precedenti, attivo per i paesi emergenti. Si tratta in pratica di uno scambio ineguale in cui questi ultimi trasferiscono risparmio ai primi in cambio di maggiore esperienza ed expertise legate ai capitali che i paesi avanzati restituiscono parzialmente ai paesi di origine e che hanno la funzione di integrare il gap di l efficienza di mercati finanziari ancora imperfetti. Ovviamente in questo scenario molto stilizzato esistono paesi emergenti o in via di sviluppo che sono strutturalmente debitori netti, così come quasi tutti i paesi dell est europeo che, soprattutto dopo l adesione all Unione Europea, sono diventati fortemente dipendenti dai flussi di capitale dell Europa occidentale. In effetti la struttura della distribuzione dei flussi finanziari conferma la progressiva evoluzione, da debitrice a creditrice, dei paesi emergenti e in via di sviluppo, ma al contempo la crescita del loro peso relativo nell ultimo decennio quali beneficiari di capitali. Se nel 2007 infatti il loro peso relativo sul totale dei capitali in uscita a livello mondiale raggiungeva circa il 32%, essi risultavano pur sempre beneficiari di una quota che si collocava di poco al disotto di quella relativa agli Stati Uniti e all Area euro (Tab.1). Flussi in entrata Flussi in uscita Stati Uniti 39,5 44,9 22,8 30,4 19,7 14,2 Canada 2,9 2,2 1,5 2,8 3,5 1,7 Giappone 8,4 0,8 3,0 17,0 8,5 5,5 Regno Unito 22,6 10,9 22,6 26,2 10,5 21,4 Area euro 30,7 28,2 36,7 25,4 Paesi emergenti e in via di sviluppo 26,6 10,5 21,9 23,6 21,1 31,8 Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Fonte: IMF(2009), Global Financial Stability Report. Responding to the Financial Crisis and Measuring Systemic Risks, Washington DC, April (nostra elaborazione). Vi è inoltre un altra ragione che, in parte, rende incerte le speranze riposte in una nuova funzione trainante della capacità di reazione dei paesi emergenti, complessivamente meno indebitati e con i fondamentali sostanzialmente meno compromessi rispetto ai paesi avanzati. Tale ragione può essere individuata nell associazione dei due elementi di asimmetria presenti nella struttura delle relazioni finanziarie a livello globale, riconducibili da una parte alle diverse preferenze presenti nell ambiente finanziario internazionale e dall altra ai fenomeni di concentrazione dei surplus finanziari. In particolare mentre i flussi di capitale che si dirigono verso i paesi emergenti assumono la forma di investimenti diretti e di portafoglio, che in pratica vanno ad alimentare il circuito dell intermediazione privata o si traducono direttamente in aumento del capitale fisso, i flussi di capitali contrari, quelli cioè che originano nei paesi emergenti sono investiti soprattutto in riserve valutarie e in titoli pubblici 5. In che modo e con 5 A fine 2008 solo l area asiatica deteneva, con 4,8 mila miliardi di dollari, una cifra consistente degli assets esteri mondiali, una cifra di poco inferiore a quella detenuta dai paesi produttori di petrolio(5 mila miliardi di dollari). Cfr. MC KINSEY GLOBAL INSTITUTE (2009), The new power brokers, How oil, hedge funds and private equities are faring in the financial crisis, july. All interno dell area la Cina, quale investitore sovrano, deteneva il 43,1% degli assets dell area asiatica con 2,05 migliaia di miliardi di dollari, seguita dal Giappone (21,2%) e dagli altri paesi asiatici (35,7). La composizione di questi assets inoltre è in gran parte costituita da riserve valutarie e titoli pubblici (Treasuries) ed è detenuta quasi integralmente dalle banche centrali asiatiche che sono pertanto i maggiori asset managers dell area. Nel gruppo ovviamente si distingue la banca centrale cinese che ha il primato a livello mondiale (Tab. 2).

10 quale intensità le caratteristiche di questo framework finanziario che costituisce la forma dei global imbalances possano influire sugli esiti della crisi è alquanto ambiguo. Se da una parte questa composizione degli assets conferisce stabilità al valore dello stock di credito estero dei paesi emergenti e minimizza i rischi che possono derivare dalla bilancia dei pagamenti, dall altra acuisce l asimmetria finanziaria tra paesi debitori e paesi creditori. Tab. 2 Posizione finanziaria internazionale della Cina (% del Pil ) Attività Passività Investimenti diretti Investimenti di portafoglio Azionari Obbligazionari Altri investimenti Riserve Fonte: IMF, International Financial Statistics, anni vari Forse quest asimmetria rappresenta un elemento di stabilità poiché la riduzione degli assets, che pur c è stata, non è comunque tale da compromettere la stabilità finanziaria globale e ostacolare una non traumatica fuoriuscita dalla crisi. L accumulo di assets in forma di riserve, strettamente legata ai surplus della bilancia dei pagamenti corrente, difficilmente, infatti, potrà invertire la sua direzione in maniera così massiccia e rapida da costituire un pericolo per i tassi d interesse e i tassi di cambio del dollaro. E probabile anzi che, anche se con ritmo minore a seguito della riduzione della quota rappresentata dalle esportazioni nette dei paesi emergenti, l accumulo di asset liquidi non subirà sostanziali interruzioni così come non verrà meno la capacità dei mercati finanziari dei paesi avanzati di attrarre surplus finanziari ed eventualmente redistribuirli a livello globale. Global imbalances e approcci di exit strategy Siamo allora irrimediabilmente condannati all asimmetria finanziaria permanente? La sua continuazione è l unica garanzia per superare l empasse economica attuale e il pessimismo di Spengler è il solito grido d allarme che preannuncia l arrivo improbabile della catastrofe? Su questo dilemma i maggiori responsabili del monitoraggio dei fenomeni economici e finanziari mondiali non sono di molto aiuto e gli scenari proposti non offrono molte certezze. Sull argomento gli l ultimi Report del FMI sono alquanto ambigui e per giunta cadono in qualche contraddizione. Da una parte, infatti, si esclude che gli squilibri finanziari globali possano essere responsabili della crisi finanziaria attuale, essendo questa piuttosto il prodotto di gravi comportamenti verificatisi nel settore finanziario dei paesi avanzati, dall altra si auspica che il risanamento finanziario, che contribuirà alla sua soluzione e consentirà la ripresa dell economia mondiale, possa ridurre gli squilibri stessi. Con ciò ammettendo implicitamente che la loro riduzione possa essere essa stessa una delle condizioni per la stabilità. Tuttavia, realisticamente e correttamente, gli analisti del Fondo, pur evidenziando come negli Stati Uniti sia già in atto una diminuzione dei consumi e una tendenza ad accrescere la propensione al risparmio, riconoscono che la domanda di titoli pubblici del Tesoro americano da parte degli investitori esteri, soprattutto i paesi emergenti, non ha mostrato segni di flessione. In particolare, pur tenendo conto della diminuzione delle attività finanziarie sull estero americane, dovuta a disinvestimenti e al crollo dei valori di mercato, l indicatore del livello di global imbalances, dopo il crollo determinato dalla crisi, dovrebbe stabilizzarsi fino al 2014 su livelli

11 che certo non possono essere considerati una radicale inversione di tendenza 6. Anche se, ammonisce il Report di aprile, non si può escludere che la fiducia riposta nei Treasuries statunitensi per qualche ragione possa venire meno con gravi e imprevedibili conseguenze sui tassi di interesse e sugli equilibri finanziari mondiali. 7 Un altro fattore che può compromettere il successo dell exit strategy, più che i global imbalances, sembrano essere gli effetti di spillover legati all elevato grado d integrazione finanziaria. Tali effetti sono ricollegabili non tanto alla dimensione netta del saldo finanziario tra le grandi aree dell economia mondiale, ma piuttosto a quella assoluta e qualitativa dei legami finanziari che vengono adombrati dall operazione di calcolo del saldo. Gli indicatori di financial stress elaborati Fondo 8 evidenziano come il livello di stress finanziario che colpisce sia i paesi avanzati che quelli emergenti, sia più elevato e con un maggior livello di resilience rispetto a quello associato alle crisi finanziarie precedenti, soprattutto rispetto a quelle più con maggior impatto globale, come la crisi asiatica del 1997 e quella che prende avvio dal crollo del mercato finanziario russo dell anno successivo. La maggior intensità dell impatto dipende sostanzialmente da due fattori: il coinvolgimento nel recente episodio di tutti i mercati finanziari (Fig. 2) e il più accentuato contesto di globalizzazione che ha reso i mercati finanziari regionali più interconnessi rispetto al passato. Fig. 2 Attività e passività finanziarie totali dei paesi emergenti (% del Pil) Investimenti diretti Investimenti Debiti finanziari diretti Debiti finanziari Portafoglio azionario Totale Portafoglio attività finanziarie azionario Totale attività finanziarie Fonte IMF, World Economic Outlook, cit. Fonte: IMF(2009), World Economic Outlook, April., cit. 6 L indice di intensità relativo agli squilibri finanziari globali è costruito rapportando la somma non algebrica dei saldi delle bilance correnti al Pil mondiale. Tale valore è diminuito nel corso del biennio dal circa il 6% al 4%, valore che le previsioni ritengono debba rimanere stabile nei prossimi cinque anni. Cfr. IMF(2009), World Economic Outlook, Washington D.C., April, pag Sull argomento esiste un nutrito dibattito che in buona parte utilizza complesse tecniche econometriche. Per un analisi più generale Cfr. LANE P.R., MILESI FERRETTI G.M.(2005), A Global Perspective on External Positions, CEPR Discussion Papers, Per un analisi più specifica del ruolo del debito pubblico americano in relazione agli squilibri reali e finanziari globali cfr. WALKER W.C., PUNZI M.T.(2007), Financing of Global Imbalances, IMF Working Papers, 177; KOTLIKOFF L.J.(2007), Is the U.S. Bankrupt?, kotlikoff/is%20the%20u.s.%20bankrupt% pdf. 8 Nel corso del 2008 il fondo ha elaborato due indicatori di financial stress che si riferiscono rispettivamente alle economie avanzate(ae FSI) e ai paesi emergenti(em FSI). La costruzione di tali indicatori tiene conto dello scostamento dalla media di trend delle variabili(pesate) relative ai mercati che influiscono sull andamento complessivo del settore finanziario: banche, titoli e mercato azionario, mercato dei cambi. Cfr. IMF(2009), World Economic Outlook, Washington D.C., April, Appendix 4.1., pag.160.

12 Nascendo questa volta nell ambito della finanza occidentale, in particolare negli Stati Uniti, la crisi ha avuto un impatto ben più devastante rispetto alle crisi precedenti mentre il legame finanziario più pervasivo tra le diverse aree del mondo ha accentuato i co-movimenti dei fattori di stress e reso gli effetti di spillover molto più acuti ed imprevedibili rispetto a quelli che avevano caratterizzato gli scenari passati. Naturalmente il quadro è complicato dal fatto che da una parte esso è aggravato da fattori di rischio country-specific, ad esempio il forte indebitamento dei paesi dell Europa Orientale nei confronti delle banche dei paesi dell Unione Monetaria, dall altro che i paesi asiatici, in particolare la Cina, e i paesi produttori di petrolio hanno accumulato una quantità di riserve tali da poter contrastare senza eccessivi traumi la caduta dei mercati finanziari interni e il probabile ripiegamento verso i mercati domestici della finanza occidentale. Considerata pertanto l elevata incertezza che anche gli agguerriti modelli di previsione elaborati dalle istituzioni internazionali dimostrano, più che i tempi e le modalità dell exit strategy, il punto centrale sembra essere quello della sostenibilità di un modello che si basa su un gigantesco volume di debito generato da squilibri macroeconomici globali mai finora sperimentati e che, nei suoi termini essenziali, si può articolare nelle seguenti domande: - E in grado l economia mondiale di riprendere il suo corso senza ridurre, anche gradualmente, tali squilibri? Oppure, in caso negativo, dobbiamo preparci ad uno scenario di perdurante depressione con effimeri episodi di ripresa (la profezia di Dahrendorf)? - In alternativa, sono in grado economie emergenti, come Cina e India, e alcuni importanti paesi industriali, come Germania e Giappone, di riassorbire tali squilibri attraverso un aggiustamento della loro domanda globale che privilegi la componente domestica e di conseguenza, riducendo il saldo attivo della bilancia dei pagamenti, ridimensioni la loro posizione di creditori netti? - Una soluzione degli squilibri ha come condizione una riforma del sistema monetario internazionale che ponga fine alla centralià del dollaro e la sostituisca con un assetto multivalutario, probabilmente imperniato su una valuta di riserva internazionale convenzionale (Diritti Speciali di Prelievo)? - Quali effetti può avere sulla stabilità finanziaria mondiale un cambiamento delle scelte allocative del risparmio attuate dai paesi creditori prima indicati? Potrebbe essere la soluzione per un assetto più equilibrato e meno ricco di tensioni oppure una via impraticabile a causa dei vincoli rappresentati da insuperabili divari nel grado di sviluppo dei sistemi finanziari? Nonostante tali questioni siano oggetto di un vivace dibattito scientifico che ha alimentato una letteratura che ha raggiunto notevoli livelli di affollamento, va sottolineato come il tema dei global imbalances appaia sullo sfondo, o sia appena sfiorato, nell affollato concerto di voci che hanno per oggetto la crisi attuale e il suo superamento. Comprensibilmente l attenzione è rivolta al problema delle riforme finanziarie e all adeguatezza degli interventi, fiscali e finanziari, per un uscita, la più indolore possibile, dalla crisi. In particolare il focus si indirizza sulle regole del mercato finanziario e del sistema bancario e sul phasing out dei pesanti programmi anticrisi messi in campo da quasi tutti i paesi allo scopo di evitare che la ripresa venga compromessa da ricadute inflazionistiche e da pesanti ripercussioni sulla sostenibilità dei bilanci pubblici. Come è stato osservato in precedenza anche l occhio vigile e puntiglioso degli organismi economici internazionali si sofferma in modo non eccessivamente critico sul problema degli squilibri, interpretando in modo favorevole alcuni segnali di aggiustamento macroeconomico globale ma esprimendo una eccessiva cautela nel formulare giudizi sulla reale praticabilità di tali cambiamenti. Nell ultimo Outlook del Fondo Monetario Internazionale 9, tradizionalmente ricco di dati, è evidente la preoccupazione di una ripresa ancora fragile, troppo differenziata a livello di grandi aree mondiali, e di una difficoltà a riassorbire con strumenti e timing adeguati la formidabile massa di risorse messe in campo dai vari governi. Suffragato dai risultati che emergono dalle analisi della ricostruzione delle precedenti crisi finanziarie e valutarie dello scorso secolo, l Outlook non si fa illusioni su un veloce recupero 9 IMF(2009), World Economic Outlook, Washington D.C., October, 2009.

13 dei livelli pre-crisi. Anche se nessuno dispone di affidabili sfere di vetro, la storia suggerisce che i margini per recuperare nel medio periodo (sette anni) il livello del Pil pro-capite del periodo pre-crisi sono molto stretti. 10 Sul superamento dei global imbalances gli analisti del Fondo dimostrano, com è stato appena rilevato, una certa parsimonia intellettuale. In breve le loro valutazioni su tale problema possono essere così sintetizzate: - i paesi emergenti stanno reagendo in maniera più vitale rispetto alle economie avanzate e, di conseguenza, i loro dati macroeconomici rivelano un ritmo di ripresa più sostenuto (soprattutto le economie più rilevanti come quella cinese, indiana e, in misura minore, l America Latina); in tale contesto la Cina dovrebbe contribuire per circa la metà alla crescita del Pil a partire dal 2010 e per più di un terzo negli anni successivi; per contro la ripresa dei paesi avanzati viene giudicata sluggish ed esposta al rischio di frenata; - tale ripresa è sospinta da robusti interventi anticrisi che hanno stimolato la domanda interna. Nei paesi emergenti essa ha funzionato come fattore parzialmente sostitutivo della componente estera, che tuttavia non ha ancora raggiunto i livelli pre-crisi, e comunque si svilupperà con un ritmo inferiore negli anni successivi; - tale aumento della domanda interna nei paesi emergenti, soprattutto Cina, associato ad un aumento del risparmio e, di conseguenza, dei consumi interni contribuirà a ridurre la dimensione relativa dei global imbalances ma non sarà in grado di annullare nel medio periodo le perdite di Pil mondiale rispetto alla situazione pre-crisi; - Il processo di rebalancing sopra descritto avviene infatti in un contesto in cui, con riferimento ai paesi con surplus della bilancia dei pagamenti corrente, l aumento della domanda interna di alcuni paesi emergenti, in particolare la Cina, l incertezza circa l aumento dei prezzi del petrolio per quanto riguarda i paesi produttori e la lentezza della ripresa in paesi esportatori, come Giappone e Germania, non sono tali da compensare il crollo della domanda estera dei paesi in deficit, soprattutto gli Stati Uniti. 10 Sulla metodologia impiegata per formulare previsioni sugli scenari di medio periodo post crisi e sul ruolo che hanno alcuni fattori nel determinare il grado di recupero o, addirittura di outperforming, rispetto al trend pre crisi cfr. IMF(2009), World Economic Outlook, Washington D.C., Chapter 4, October.

14 In sostanza, anche in presenza di segnali apprezzabili di ripresa, il FMI si mostra cauto nell associare la riduzione degli squilibri all intensità e stabilità della ripresa. La riconversione della domanda verso gli impieghi domestici della Cina, il più rilevante creditore degli Stati Uniti, è alquanto incerta e, come correttamente sostiene il Fondo, comunque inadeguata se non accompagnata da un corale riorientamento dell intera area asiatica verso una domanda interna capace di compensare il gap di sviluppo rispetto al livello pre-crisi. Né gli Stati Uniti sembrano per ora intenzionati a riprendere le vecchie abitudini di grandi consumatori e pessimi risparmiatori avendo, per effetto della crisi, riscoperto una certa parsimonia nelle abitudini di consumo 11. Anche l Outlook dell OECD 12 non dà particolare risalto al problema dei global imbalances e grosso modo conferma le previsioni del FMI sul loro ridimensionamento nel medio periodo ad opera degli stessi fattori evidenziati dagli analisti del FMI. Le conseguenze di medio periodo dell attuale crisi sull occupazione e sulla perdita di prodotto potenziale a livello dell economia mondiale, soprattutto nei paesi avanzati, non viene esplicitamente correlata agli squilibri finanziari mondiali, o, perlomeno, la prospettiva del nulla sarà come prima non si esprime in ipotesi precise e articolate di possibili nuovi assetti delle relazioni economiche e finanziarie internazionali. Cautela più che giustificata se si considera che ancora non si è ricomposto lo schieramento delle pedine che la crisi ha rimescolato e gli indubbi segnali di ripresa avvengono in uno scenario di molteplici fragilità che potrebbero rendere possibile il verificarsi di prospettive upside, di tipo cioè inflazionistico e a rischio bolla, oppure downside, cioè di permanenza in una situazione di stagnazione con effimeri episodi di ripresa. Eppure, se la critica di Spengler prima richiamata ha qualche fondamento, le domande sul ruolo degli squilibri dovrebbero meritare una qualche risposta che non si limiti al semplice aggiustamento statistico di saldi reali e finanziari tra grandi aree del mondo. Schematizzando il dibattito e tralasciando le complesse e teoricamente irrisolte questioni monetarie internazionali che si intrecciano con accese dispute sull artificiosità dei tassi di cambio fra le valute americana e cinese, può essere utile riprendere alcune posizioni più significative e di segno opposto sui global imbalances allo scopo di tentare qualche empirica valutazione sulle possibilità di successo di exit strategy nel medio e lungo periodo. La crisi attuale sembra confermare il pessimismo della traditional view ma anche di alcuni approcci più possibilisti della variegata corrente etichettata come new paradigm.( Xafa, 2007). La traditional view individua nel deficit di bilancio degli Stati Uniti, che inizia a manifestarsi in maniera consistente dal 2002, e nel deficit commerciale con l estero, che caratterizza gli anni 2000, i fattori principali degli squilibri. Qualunque fossero i fattori strutturali e gli interventi di policy alla loro origine, quest approccio paventava un esito di hard landing qualora le banche centrali dei più importanti paesi creditori, in particolare Cina, Giappone e i paesi produttori di 11 Tutti i dati finora disponibili sembrano infatti confermare tale fenomeno. Il crollo dei consumi registrato dall economia americana è stato vistoso in quasi tutti i comparti dei beni e ha influito sull aumento della propensione al risparmio delle famiglie, anche se quest ultimo fenomeno è in parte attribuibile a motivazioni finanziarie. Particolarmente sensibile è stata la diminuzione percentuale nel terzo e quarto trimestre 2008( 3,1% e 3,5%) e il corrispondente aumento della quota del risparmio sul reddito disponibile familiare( da valori sempre inferiori al 2% durante l intero 2007 a quelli superiori al 3% a partire dal secondo trimestre del 2008 e con la sola eccezione del terzo trimestre 2008). Cfr. BEA, BUREAU OF ECONOMIC ANALISIS, National Economic Acccount, anni vari, In termini di media trimestrale il tasso di incremento annuale è stato di 34,4% a fine dicembre 2008 e di 5,6% a febbraio Un dato peculiare dell attuale crisi consiste nel fatto che la debacle dei consumi e la riscoperta del risparmio da parte delle famiglie americane è strettamente connessa all accumulo di debiti finanziari realizzato nell ultimo decennio (nel 2007 è stato in media superiore al 27% rispetto al valore di trend di lungo periodo, vale a dire ). Il drammatico processo di deleverage che nel quarto trimestre 2008 ha determinato, per la prima volta dal secondo dopoguerra, un valore negativo nell indebitamento netto delle famiglie rispetto al reddito disponibile solleva non poche preoccupazioni poiché la ricostituzione dell equilibrio dei bilanci familiari rischia di protrarre il contenimento dei consumi oltre il breve periodo senza incidere in maniera significativa sulla propensione al risparmio. Cfr. MC KINSEY GLOBAL INSTITUTE(2009), Will US consumer debt reduction cripple the recovery, us consumer debt reductioncripple the recovery.view 12 OECD(2009), Economic Outlook, Vol. 1/85, June.

15 petrolio, avessero deciso di far mancare il loro impegno al sostegno del neo-sistema monetario internazionale(bretton Woods II 13 ). In caso di scoppio della crisi l aggiustamento avrebbe inevitabilmente comportato la svalutazione della moneta americana e l ascesa del tasso di interesse fino al livello tale da ridurre gli squilibri attraverso un riassorbimento del deficit della bilancia commerciale americana e un forte aumento dei capitali in entrata. Alcune varianti rispetto a questa interpretazione, alcune già sopra richiamate, anche se meno deterministiche in tema di crisi e meno focalizzate sugli squilibri dell economia americana, rilevano comunque fattori di instabilità in grado di generare processi cumulativi potenzialmente pericolosi. Sono in grado tali interpretazioni di fornirci indicazioni accettabili sul superamento della crisi o, più pragmaticamente, vi sono indizi sufficienti che possano fornire rassicurazioni sul superamento degli squilibri e sulla ripresa di un processo virtuoso, sempre nell ipotesi che gli squilibri siano i veri responsabili degli eventi negativi che hanno colpito l economia mondiale? Nonostante la domanda sia di quelle da tale da gettare nel panico il più agguerrito degli economisti e anche usando la più imprecisa regola del pollice è difficile trovare sostanziali elementi che giustifichino una risposta positiva. Focalizzando l attenzione sull economia americana e sulla Cina, i due principali protagonisti dei global imbalances, si ricava un quadro di grande incertezza da cui è arduo ritrovare linee guida affidabili. Con riferimento all economia americana i dati del FMI indicano che la domanda interna reale calerà del 3,6% del Pil nel 2009 e inizierà timidamente a riprendersi nel 2010(+ 1,7%). Tale diminuzione, attribuibile soprattutto alla diminuzione degli investimenti(- 14,7% nel 2009) e, in misura minore, ai consumi privati è debolmente contrastata da un forte aumento della spesa pubblica anticrisi e ha posto le premesse per una sensibile riduzione del disavanzo delle partite correnti (da valori del rapporto saldo del conto corrente/pil che hanno raggiunto circa il -6% nel 2005 e 2006 si passa a valori di -2,6 nel 2009 e -2,2 nel 2010 nell ambito di un trend che dovrebbe comunque non discostarsi nel lungo periodo da queste ultime cifre). La Cina, l altro pilastro controparte dei global imbalances svolge, al contrario degli Stati Uniti e del gruppo dei paesi avanzati (compreso il Giappone), un ruolo trainante per ora limitato all area asiatica. Con una crescita annua del Pil reale intorno al 9% nel triennio il paese si pone alla testa dei NIE (New Industrialized Economies) e Asean 5 (Indonesia, Malaysia, Filippine, Singapore, Tailandia). Responsabile della tenuta dell economia cinese è stata la domanda interna che ha più che compensato la dinamica delle esportazioni nette. Rispetto al tasso di crescità del Pil reale il contributo della domanda interna, attribuibile soprattutto agli investimenti, sarà dell 11,9% nel 2009 mentre quello delle esportazioni nette del -3,4%. Nonostante la frenata delle esportazioni nette, determinata dal forte rallentamento della domanda mondiale, gli indicatori dei conti con l estero rimangono ad un livello ragguardevole(+7,8% nel 2009 e +8,6% nel 2010 per quanto riguarda il rapporto saldo delle partite correnti/pil ) anche se non raggiungono i valori del triennio La componente pubblica della domanda interna risente inoltre del forte stimolo fiscale messo in campo dalle autorità di governo segnalando valori del rapporto deficit/pil insolitamente elevati per un paese tradizionalmente virtuoso in tema di finanze pubbliche(-3,3 nel 2009 e 4,1 previsto nel ). E coerente tale quadro con la prospettiva di una progressiva riduzione dei global imbalances compatibile con, se non condizione per, una ripresa soddisfacente dell economia 13 Bretton Woods II è l impropria definizione dell attuale sistema monetario che, in forma diversa e non istituzionalizzata, continua ad essere imperniato sul dollaro. Il suo funzionamento tuttavia, così come nell esperienza storica precedente, è fonte di forti tensioni che non sfociano in crisi finché le banche centrali dei paesi in surplus finanziario sono disposte a finanziare il deficit commerciale statunitense attraverso un abnorme accumulo di riserve in dollari. In particolare la Cina si accolla l onere più rilevante del finanziamento accumulando dollari in eccesso rispetto al saldo relativo all interscambio che intrattiene con gli Stati Uniti. All origine del fenomeno vi è il suo ruolo di destinatario di investimenti diretti di altri paesi che assorbono l offerta mondiali di dollari utilizzando la Cina come destinazione dei flussi finanziari alimentati dal poco virtuoso mix costituito da politiche economiche, comportamenti finanziari e modelli di consumo che hanno caratterizzato l economia americana a partire dallo scoppio della bolla dotcom all inizio degli anni 2000 (Roubini et al., 2005). 14 Cfr. IMF(2009), World, cit., October; WORLD BANK OFFICE(2009), Beijing Quarterly Update, November.

16 mondiale? Con tutte le cautele possibili suggerite dall incertezza e dalla volatilità dei dati disponibili è lecito sostenere che probabilmente la riduzione relativa( relativamente cioè al Pil mondiale) dei global imbalances si accompagnerà ad una riduzione assoluta della crescita. Una prospettiva certo non confortante e che potrebbe essere contraddetta dal verificarsi di condizioni particolarmente favorevoli e virtuose ma che, tuttavia, non sembra trovare alternative più rassicuranti nell attuale scenario macroeconomico. Le ragioni possono essere sintetizzate nei seguenti punti: - l ipotesi che la Cina e l intera area asiatica possano adeguatamente controbilanciare il calo della domanda americana, alimentata dai deficit gemelli e tecnicamente resa possibile dalla forza della sua moneta(bretton Woods II), sembra avere scarso fondamento, almeno nel medio periodo. Soprattutto per due motivi. Innanzitutto per la vischiosità di riconversione di un modello export-led e basato sul processing delle fasi intermedie nell ambito dei processi produttivi che fanno capo a imprese multinazionali dei paesi avanzati o di nuova industrializzazione. In secondo luogo per la ancora ridotta l incidenza delle importazioni asiatiche sull economia mondiale. Sul primo motivo va precisato che la rigidità del modello di sviluppo cinese difficilmente potrà subire un sostanziale cambiamento per opera degli interventi sulla domanda interna. La componente della formazione lorda del capitale costituita dagli investimenti in costruzioni e in infrastrutture fisiche rimane preponderante rispetto a quella dei consumi privati, ancora frenata dalla scarso livello dei reddito disponibile delle famiglie e dalla forte propensione al risparmio precauzionale, spiegabile in un sistema di debole e imperfetta offerta di welfare pubblico 15. Anche nell ipotesi che La Cina, insieme con altri paesi dell area asiatica più dinamica, possa mantenere tassi di sviluppo elevati, il peso delle importazioni non è ancora così rilevante da poter svolgere un ruolo di traino dell economia mondiale, soprattutto considerando che gli altri grandi paesi creditori, come Germania e Giappone, essendo impegnati in complesse operazioni di risanamento finanziario, non sono in grado di integrare il gap di domanda provocato dalla recessione mondiale La riduzione dei global imbalance comporta effetti di medio e lungo periodo sulle caratteristiche dell integrazione finanziaria internazionale difficilmente prevedibili, la cui interpretazione è sensibilmente influenzata dal modello macroeconomico che si intende privilegiare. Tuttavia, nonostante l elevata incertezza, un dato abbastanza condiviso, anche se sottolineato con enfasi differente, riguarda gli effetti moltiplicativi sui mercati finanziari statunitensi del surplus finanziario cinese che costituisce la contropartita del deficit della bilancia commerciale degli Stati Uniti. Infatti, indipendentemente dall approccio teorico adottato, è indubbio che la creazione a costi irrilevanti di un immenso volume di liquidità internazionale assorbita dalle riserve dei paesi in surplus, in particolare la Cina, ha favorito le condizioni di credito facile, soprattutto volte ad inflazionare il mercato immobiliare. Inoltre, secondo molti analisti, la politica monetaria generosa del governatore Greenspan (Warnock,2009), non prontamente corretta dal suo successore Bernanke, ha creato l ambiente altamente propizio a tale tendenza. Se è vero che il modello macroeconomico standard 15 L ultimo rapporto della sede cinese della Banca Mondiale lucidamente rileva le difficoltà e le contraddizioni della svolta di politica economica già timidamente annunciata in occasione del 17 Congresso del PCC del 2007, ma di fatto praticata in occasione della crisi finanziaria mondiale nel corso del Tale politica rappresenta il primo tentativo di puntare sulla domanda interna per compensare il calo di performance della domanda estera e, obiettivo più ambizioso, di sviluppare un più esteso ed efficiente stato sociale utilizzando la domanda pubblica. E tuttavia dubbio che tale riconversione possa realizzarsi in un periodo accettabile e che addirittura possa incidere realmente sulla natura del modello di sviluppo cinese. Gli ostacoli più rilevanti sono soprattutto di carattere economico, ulteriormente aggravati da fattori di natura politica e istituzionale. Sull argomento cfr. WORLD BANK OFFICE(2009), cit.; MC KINSEY GLOBAL INSTITUTE(2009), A consumer paradigm for China, consumer paradigm for china.view 16 Riguardo i paesi asiatici economicamente più forti, in particolare Cina, India e gruppo NIE, di cui fanno parte Corea, Hong Kong(SAR), Taiwan e Singapore, le importazioni dal resto del mondo, che dovrebbero costituire un volano alternativo rispetto a quello finora alimentato dagli Stati Uniti, rappresentano, sempre in percentuale del Pil mondiale, rispettivamente il 2,3% e il 2,2% con riferimento al 2008 (l ultimo anno di statistiche disponibili per i dati delle importazioni ed esportazioni). Nostre elaborazioni su dati ricavati da IMF, International Financial Statistics, anni vari.

17 suggerisce che il debito estero è la contropartita dell eccesso delle importazioni sulle esportazioni, il mondo reale funziona in modo molto più complesso rispetto alle regolarità contabili ex post. L acquisita parsimonia dell economia americana, cioè la riscoperta delle virtù del risparmio, comporterà inevitabilmente un minor afflusso di risorse finanziarie nell economia stessa e pertanto un rallentamento del volano che negli anni 2000 ha sospinto, quasi senza interruzioni, l economia del paese? Non necessariamente, risponderebbe l asettica logica macroeconomica. Riduzione relativa dei consumi, riduzione del deficit commerciale, maggior spazio al risparmio aggregato nazionale e minore debito estero sono elementi che costituiscono una sequenza da manuale difficilmente contestabile. In teoria tale sequenza non implica un rallentamento dell economia nel suo complesso poiché l assorbimento gli investimenti potrebbero compensare il gap di domanda rappresentato dai consumi che a loro volta sono i maggiori imputati dell eccesso di importazioni. Tuttavia parecchi dubbi rimangono sulla capacità dell economia reale di confermare questa versione dell aggiustamento prevista dal modello macroeconomico e, pertanto, è elevata la probabilità che la perdita di appeal internazionale del mercato finanziario americano possa incidere sensibilmente sulla domanda globale e quindi sul ritmo e tempi dell uscita dalla crisi. Poiché l attuale crisi viene quasi universalmente definita come finanziaria qualche breve riflessione sul punto appena considerato può costituire la logica conclusione di questo contributo. Se la teoria economica non è ancora in grado di produrre argomenti convincenti sulla responsabiltà che i global imbalances hanno avuto nel produrre la crisi attuale e che potrebbero avere in futuro come agenti di instabilità sistemica, tuttavia la loro riduzione non è comunque neutrale. Se è vero infatti che una finanza troppo spregiudicata e priva di controlli efficaci ha gonfiato la bolla sino ad una soglia di rischio non sopportabile dal sistema, è anche vero che nello spazio economico globale l economia americana è stata all origine, dopo la crisi del secolo passato e lo shock del settembre 2001, di un lungo ciclo di espansione che ha favorito la domanda di produzioni non americane, soprattutto cinesi. Non estraneo al lungo ciclo espansivo è stato il ruolo della finanza domestica il cui rapporto con lo sbilancio commerciale si è realizzato attraverso un intreccio di stimoli reciproci e di complesse relazioni causali. Se si esaminano congiuntamente alcuni indicatori reali e finanziari riferiti all economia americana (Tab.3), è possibile trovare una conferma del puzzle che da più di un decennio gli economisti di scuole contrapposte cercano di risolvere per trovare una conferma della loro tesi. Tab. 3 Indicatori reali e finanziari dell' economia USA, ( valori medi del periodo in % del Pil) Indicatori reali indicatori finanziari Tasso incremento annuo Pil 2,38 Attività finanz. Risparmio lordo 15,12 sull'estero 92,9 Investimenti lordi 19,54 di proprietà estera: 110,7 Saldo conto corrente 4,93 di cui ufficiali 16,1 Ricchezza famiglie * 393,00 Capitali in entrata 10,1 Deficit bilancio pubblico 3,16 di cui in titoli pubblici 29,3 Capitali in uscita 5,4 * dati al 2007 Fonti: nostre elaborazioni su IMF, Financial Statistics, anni vari; BEA, Bureau of Economic Analisis, National Economic Acccount, anni vari: http: // Se l insufficienza di risparmio rispetto agli investimenti è, grosso modo, confermata dal deficit delle partite correnti, il quale ha come contropartita contabile e funzionale il saldo dei movimenti di capitali, salvo ovviamente le discrepanze statistiche e le partite monetarie, più ambigua è l interpretazione delle altre voci finanziarie, soprattutto se interpretate alla luce dell

18 evoluzione reale del paese. Innanzitutto colpisce la straordinaria capacità dell economia americana di favorire la crescita della ricchezza delle famiglie (il 393% del Pil nel periodo ), certamente un segnale di dinamismo e spregiudicatezza del sistema finanziario domestico, ma soprattutto del grado di apertura finanziaria e delle politiche espansive praticate in questo decennio. Non estranea a tale dinamismo è stata indubbiamente la funzione di hub finanziario svolto dall economia del paese, cioè di rilevante intermediatore di capitali finanziari internazionali. I dati, infatti, evidenziano come l ingente esposizione nei confronti dell estero (110% del Pil nel , Tab. 3) sia in realtà in buona parte prosciugata (circa il 92% ) da uno stock di ricchezza finanziaria di segno contrario rappresentata da titoli esteri collocati nel portafoglio di possessori americani. Schematizzando forse in maniera eccessiva ma efficace, si potrebbe affermare che la capacità di acquisire risorse finanziarie all esterno e il privilegio monetario internazionale ha finanziato sia la spesa pubblica(29,3% dei capitali in entrata) al di là delle possibilità dello stato di produrre gettito fiscale, sia la spesa privata al di là della possibilità di produrre risparmio 17. Tale meccanismo ha potuto funzionare per un periodo apprezzabile proprio perché alimentato da una piazza finanziaria di riferimento per tutto il risparmio mondiale in cerca di affidabilità e qualità, caratteristiche evidenziate dal fatto che tale piazza non solo assorbe i surplus finanziari del resto del mondo ma li ridistribuisce al di fuori del circuito domestico in maniera selettiva, in buona parte in forma di investimenti diretti. Il circuito tuttavia non era virtuoso e adombrava rischi di default non irrilevanti. Tra i più gravidi di conseguenze per l economia mondiale, quello della bolla finanziaria americana e dell ingente accumulo di riserve in dollari nelle banche centrali di paesi come la Cina e il Giappone. Come in una partita di poker gli operatori hanno voluto vedere il primo dei due rischi provocando lo scoppio della bolla proprio nel core del sistema finanziario mondiale, quello considerato essere il più affidabile ed efficiente. Con alcune dissonanze rispetto allo schema della traditional view il sistema è entrato in profonda sofferenza non tanto, o perlomeno, non solo, a causa dei non più sostenibili squilibri dell economia americana, in particolare il deficit con l estero, con gli effetti sui tassi di cambio e di interesse, ma per l incepparsi dello strumento che su cui si imperniava l intero meccanismo di global imbalances, cioè l affidabilità del sistema finanziario statunitense. D altra parte, senza pretendere di rendere endogeni gli squilibri reali rispetto al sistema finanziario, anche la prospettiva di un aggiustamento soft degli squilibri finanziari, quasi questi fossero caratteristiche fisiologiche di un area finanziaria governata da un unica moneta(il dollaro), non si è realizzata. L asimmetria degli squilibri è troppo accentuata perché possa essere riassorbita senza scosse violente. Una volta scoppiata la crisi ora è opportuno interrogarsi sulla capacità di recupero del sistema economico globale in un contesto di rapporti più equilibrati fra le grandi aree del mondo. Riferimenti bibliografici COOPER R.N.(2005), Living with Global Imbalances: A Contrarian View, Policy Briefs in International Economics, Institute for International Economics, november, 3. DOLE R.(2009), Finanza pigliatutto, Il Mulino. 17 A proposito di signoraggio, l afflusso di risorse finanziarie negli Stati Uniti è stato, nel periodo di riferimento, inferiore alla somma dei due deficit gemelli, quello delle partite correnti e quello del bilancio pubblico (Tab. 3) essendo la differenza, a parte le discrepanze statistiche, coperta dall afflusso di risorse monetarie (riserve) che costituiscono una fonte di hot money che si accumula nei bilanci delle banche centrali. Non solo, la posizione dominante della piazza finanziaria americana è fonte di una specie di scambio ineguale poiché la svalutazione del dollaro e il mismatching associato al diverso profilo di rischio, per scadenze e rendimenti, degli assets che compongono la massa di strumenti finanziari scambiati tra Stati Uniti e resto del mondo(passività a breve e a rendimenti estremamente bassi degli Stati Uniti contro attività a più lunga scadenza e a rendimenti più elevati) ridimensionano il valore del debito estero statunitense (Sneddon Little, 2006).

19 IMF(2009), Global Financial Stability Report, Navigating the Financial Challenges Ahead, Washington D.C., October. IMF(2009), Global Financial Stability Report. Responding to the Financial Crisis and Measuring Systemic Risks, Washington D.C., April. IMF(2009), World Economic Outlook, Washington D.C., April. IMF(2009), World Economic Outlook, Washington D.C., October. LUCAS R.(1990), "Why Doesn't Capital Flow from Rich to Poor Countries?", American Economic Review, Vol. 80 (May), pp MANZOCCHI S., PAPI L.(2002), Economia dell integrazione finanziaria, Il Mulino, pp MC KINSEY GLOBAL INSTITUTE(2009),The new power brokers, How oil, hedge funds and private equities are faring in the financial crisis, july. OBSTFELD M., ROGOFF, K.(2000) "The Six Major Puzzles in International Macroeconomics: Is There a Common Cause?", NBER Macroeconomics Annual 2000, Vol. 15, pp , Cambridge, Mass., MIT Press. PRASAD E., RAJAN R., SUBRAMANIAN A.(2007), The Paradox of Capital, IMF, Finance & Development, March, 44/1. RICARDO J.,CABALLERO R.J., FARHI E., GOURINCHAS P.O.(2008), Financial Crash, Commodity Prices and Global Imbalances, NBER Working Paper Series, ROUBINI N., SETSER B.(2005), Will the Bretton Woods 2 Regime Unravel Soon? The Risk of a Hard Landing in , paper written for the Symposium on the Revived Bretton Woods System: A New Paradigm for Asian Development? organized by the Federal Reserve Bank of San Francisco and UC Berkeley, San Francisco, February 4th. ROUBINI N., SETSER, B.(2004), The U.S. as a Net Debtor: The Sustainability of the U.S. External Imbalances, SNEDDON LITTLE J.(ed.)(2006), Global Imbalances and the Evolving World Economy, Conference Series 51, Federal Reserve of Boston, June. SPENGLER (2008), Waking from Lever-Lever Land, Global_ Economy/JL25Dj02.html. WARNOCK F., Greenspan s Conundrum and Bernanke s Nightmare, Darden Business Publishing, University of Virginia, May%202009%20draft%20Conundrum%20and%20Nightmare.pdf XAFA M.(2007), Global Imbalances and Financial Stability, IMF Working Papers, 111.

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