Strategie d impresa e di marketing delle imprese artigiane del settore alimentare in Toscana

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1 CNA TOSCANA Confartigianato Imprese Toscana CISL - Toscana UIL - Unione Regionale Toscana Strategie d impresa e di marketing delle imprese artigiane del settore alimentare in Toscana Strategie d impresa e di marketing delle imprese artigiane del settore alimentare in Toscana

2 Strategie d impresa e di marketing delle imprese artigiane del settore alimentare in Toscana

3 L indagine è stata realizzata sotto il coordinamento di un apposito Comitato presieduto da Unioncamere Toscana e composto da: Alessandro Compagnino, Regione Toscana Emanuele Berretti, CGIL Toscana Paola Baldi, Regione Toscana Mario Catalini, UIL Toscana Roberto Castellucci, CNA Toscana Maurizio Petriccioli, CISL Toscana Claudio Caponi, Confartigianato Imprese Toscana Riccardo Perugi, Unioncamere Toscana Alberto Susini, Unioncamere Toscana Il Comitato di Coordinamento si è avvalso dell ausilio di un gruppo di lavoro composto da: Giampiero Giampieri, Fai CISL Toscana Roberto Bardi, Flai CGIL Toscana Riccardo Sabatini, CNA Alimentare Toscana Marco Bacci, Confartigianato Imprese Arezzo Giovan Battista Donati, Confartigianato Imprese Arezzo Alberto Susini, Uff. Studi Unioncamere Toscana Riccardo Perugi, Uff. Studi Unioncamere Toscana Riconoscimenti Il volume espone i risultati di un indagine che Unioncamere Toscana ha affidato ad Artex e che per Artex è stata coordinata da Alessandro Ricceri e svolta da Ivan Malevolti (Università degli Studi di Firenze) e da Ilaria Serafini (Artex). Il testo è a cura di Ivan Malevolti. Le elaborazioni statistiche e le appendici sono a cura di Ilaria Serafini. L indagine presso le aziende è stata coordinata da Ivan Malevolti e realizzata da: Francesco Landi, Rossella Michelotti, Luca Zammarchi. Si ringraziano i titolari ed i responsabili delle aziende intervistate per la disponibilità e la preziosa collaborazione che hanno permesso la realizzazione dell indagine. Il presente rapporto può essere scaricato da internet sul sito nell area territoriale Toscana. Logo ORT: Marco Capaccioli, C.D.&V., Firenze Stampa: Centro Stampa 2P s.a.s. Firenze e Pontassieve Ottobre 2006

4 INDICE INDICE... 1 PRESENTAZIONE DELLA RICERCA... 3 PRIMA PARTE - INDAGINE CAMPIONARIA QUALCHE INIZIALE ANNOTAZIONE METODOLOGICA Formazione del campione Le dimensioni economiche Classi per produttività stimata LA DESCRIZIONE DELLE AZIENDE ESAMINATE E L ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO Forme giuridiche Date di fondazione e di subentro Composizione e organizzazione sociali Il lavoro dipendente Risorse umane: titolari e familiari I PRODOTTI DELLE AZIENDE ED I MERCATI DI SBOCCO. LE FONTI DI APPROVVIGIONAMENTO La gamma di produzione Ciclo di vita del prodotto e maturità del mercato La qualità dell offerta Il posizionamento dell offerta Destinazioni geografiche dell offerta I canali commerciali Gli approvvigionamenti EVENTI SALIENTI NELLA STORIA DELLE IMPRESE STRATEGIE DELLE IMPRESE E ANALISI DEI LORO PUNTI DI FORZA E DEBOLEZZA Missione aziendale Gli obiettivi aziendali Punti di forza e punti di debolezza IL VASTO CAMPO DELL INNOVAZIONE Ampliamenti degli impianti e innovazioni di processo Innovazioni organizzative e finanziarie Innovazioni di mercato: clienti e aree geografiche Innovazioni di prodotto, sistema e certificazioni di qualità L approccio di marketing ANALISI DI SCENARIO: OPPORTUNITÀ, MINACCE, RISPOSTE DELLE IMPRESE E ALCUNE PRIME VALUTAZIONI DELL ANALISI SVOLTA Opportunità e minacce Riflessi sull attività aziendale e risposte delle imprese Altre possibili risposte prospettabili: l associazionismo Altre possibili risposte prospettabili: la formazione professionale Un elemento di scenario: la valutazione dell indagine da parte degli imprenditori Scenari futuri: le prospettive di continuità delle imprese Scenari: una prima valutazione della qualità delle imprese... 61

5 8. I RISULTATI DELL INDAGINE IN ESTREMA SINTESI SECONDA PARTE - CASE ANALYSIS E INDAGINE SU ALTRI OPERATORI ALIMENTARI L ANALISI DEI CASI AZIENDALI Schede di imprese artigiane Schede di imprese non-artigiane Brevi considerazioni finali I RISULTATI DELL INDAGINE SU TRE CATEGORIE DI ALTRI OPERATORI Pubblici esercizi con laboratorio in proprio Ristoranti e Catering & Banketing Il dettaglio e la domanda di prodotti artigianali Brevi considerazioni finali ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI E SUGGERIMENTI PROGRAMMATICI.. 99 APPENDICE BIBLIOGRAFIA

6 PRESENTAZIONE DELLA RICERCA La presente indagine prende avvio dai risultati di una prima ricerca sul settore alimentare regionale svolta nel 2004 per l Osservatorio regionale toscano sull artigianato e finanziata ad Artex da Unioncamere Toscana (Malevolti, 2005). L analisi fu condotta sui dati censuari, sugli aggiornamenti dovuti alle analisi congiunturali Unioncamere, su alcuni rapporti dell Osservatorio, su fonti IRPET e su una serie di interviste complesse a testimoni privilegiati. Il rapporto finale aveva prodotto e conteneva un ampia messe di informazioni, conoscenze e spunti di discussione che, nelle conclusioni, dimostravano l esigenza di un ulteriore fase di approfondimento da produrre con una indagine da svolgere direttamente presso le aziende artigiane. In effetti, lo scopo di tale seconda iniziativa risiedeva nel bisogno di pervenire ad una conoscenza meno mediata - dai dati statistici e dalle impressioni o conoscenze settoriali o aziendali degli esperti intervistati - in merito ai comportamenti imprenditoriali e di marketing delle imprese artigiane nella loro articolazione resa complessa da dimensioni strutturali diverse (classi di addetti), dall appartenenza ad attività settoriali assai differenti (classi economiche), a storie e traiettorie di sviluppo o di mantenimento specifiche ad ogni realtà aziendale, ed infine anche a specifiche subculture e preferenze imprenditoriali. La realizzazione della seconda fase della ricerca, sempre sulla base della volontà e del sostegno dell Osservatorio, di Unioncamere e di ARTEX è venuta configurandosi, attraverso la discussione, in un piano di indagine che ha coinvolto non solo le aziende artigiane propriamente dette, ma anche altri operatori del sistema alimentare che con l artigianato presentano punti in parte comuni o che si avvalgono dell offerta di prodotti alimentari artigianali. Inoltre è stata prospettata anche l esigenza di intervistare alcune aziende alimentari non artigiane (così definite ufficialmente dalla statistica) ovvero industriali sia per sorta di paragone sia per cogliere, se esistente, il momento di un avvenuto passaggio dallo stato artigiano a quello, appunto, industriale. In definitiva, l indagine si è articolata come di seguito illustrato: - Indagine campionaria su 100 aziende artigiane con questionario semplificato (cioè molto articolato ma semplificato rispetto a quello del punto successivo) - Analisi di casi: aziende artigiane intervistate con questionario complesso (19) - Analisi di casi: aziende non-artigiane intervistate con questionario complesso (8) - Indagine breve su ristoranti (6) e catering & banqueting (3) con questionari mirati - Indagine breve su pubblici esercizi con proprio laboratorio artigiano intervistati con questionario mirato (9) - Indagine breve su negozi di specialità con questionario mirato (9) - Indagine breve su negozi tradizionali con questionario mirato (7) - Interviste a punto vendita e a centrale acquisti della GD con questionario mirato (2) Le interviste alle aziende artigiane e non artigiane sono state svolte da 3 rilevatori individuati da ARTEX che hanno coperto le diverse aree territoriali della Toscana; i colloqui con ristoratori, pubblici esercenti e negozi alimentari sono state svolte dall estensore della relazione finale e anche con il coinvolgimento di personale di ARTEX. 3

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8 PRIMA PARTE - INDAGINE CAMPIONARIA 1. QUALCHE INIZIALE ANNOTAZIONE METODOLOGICA 1.1. Formazione del campione Sulla base delle analisi svolte nella citata prima fase della ricerca è stato studiato e individuato un campione di 100 aziende grazie ad un criterio combinatorio tra: - da una parte, la rappresentazione proporzionale delle aziende delle differenti classi economiche censuarie (cfr. a fine capitolo l elenco completo delle classi economiche analizzate) associata alla distribuzione per classi dimensionali (numero di addetti) - dall altra, la selezione e la scelta ragionate in rapporto soprattutto alla numerosità assoluta delle unità locali di alcune classi e la preferenza accordata, ai fini dello studio della dinamica dello sviluppo e delle capacità di fare mercato, all esame quanto più completo possibile delle imprese di più ampia dimensione fisica e di conseguenza, ipoteticamente, economica. In particolare, l attenzione critica era stata posta nel ridimensionare il peso relativamente eccessivo dei produttori dei codici ATECO (panificazione), ATECO (pasticceria fresca) e anche ATECO 1585 (pasta alimentare) nonché delle classi dimensionali più piccole (1-2 addetti e, in minore misura, 3-9 addetti). Rispetto a questo lavoro preventivo (ex-ante), i risultati pratici del lavoro di individuazione e poi di presa di contatto con le aziende, ovvero con gli imprenditori, non ha potuto rispecchiare appieno il campionamento elaborato a tavolino così che il campione finale (ex-post) si discosta in varia misura dalle nostre richieste anche se i termini relativi non annullano una buona rappresentatività conoscitiva delle caratteristiche e soprattutto delle problematiche e dei comportamenti del settore nel suo complesso e delle diverse classi economiche (tab. 1). Il riflesso maggiore della discordanza lo si è avuto per la distribuzione tra le classi dimensionali per numero di addetti: infatti, risulta incrementata la rappresentanza delle aziende tra 3-9 addetti (dal 30% al 55%) e relativamente ridimensionate le confinanti classi 1-2 (dal 20% al 13%) e addetti (dal 41% al 23%). Le classi economiche presentano variazioni nei totali poco consistenti e, fatte salve 3 perfette corrispondenze sugli 11 settori, con differenze in più o in meno di 1 o massimo 3 aziende (per i residui 8 settori). Le cause degli scostamenti devono essere fatte risalire: 1) da una parte, alla mancata corrispondenza tra i dati forniti dalle fonti statistiche ufficiali e la realtà rilevata vuoi per il tempo trascorso dalle rilevazioni censuarie e loro aggiornamenti, per cui possono essere cambiate alcune situazioni individuali (ad esempio, passaggio da 2 a 3 addetti) e vuoi per le difficoltà di tali rilevazioni sul terreno reale; 2) dall altra, al metodo seguito nell individuazione concreta dei soggetti da intervistare (indirizzi, numeri telefonici, preavvertimento dell iniziativa da parte delle rappresentanze di categoria ecc.) basata sulla scelta politica iniziale del coinvolgimento delle due organizzazioni artigiane che, a livello dei responsabili provinciali, si è dimostrata carente almeno nella metà dei casi costringendo i rilevatori e i responsabili della ricerca a rimediare alle fallanze con il ricorso a testimoni privilegiati tra cui gli stessi intervistati (metodo a cascata, lo si può definire) o rifacendosi agli elenchi degli archivi camerali provinciali (anche qui con qualche piccola difficoltà). Nel dettaglio, si noti che anche per le 53 aziende individuate regolarmente, giusto la metà non possedevano più o forse non avevano avuto mai una perfetta corrispondenza con i riferimenti statistici. 5

9 Alla fine, possiamo in coscienza affermare, ne è risultato un campione comunque coerente con gli aspetti conoscitivi che ci eravamo proposti di esaminare e che potremmo definire una soluzione del problema satisfying à la Simon, ovvero con gli scopi della ricerca che sono quelli di dare rappresentazione delle principali modalità di stare al gioco competitivo delle imprese artigianali toscane del settore alimentare. Ripartiamo, dopo questo breve riferimento di metodo e per dare inizio al commento dei dati rilevati, dalla stessa tabella di cui sopra - la prima del lunghissimo allegato - con la quale abbiamo cercato di fornire un significato anche economico (ovvero, attività o settori produttivi) delle dimensionalità aziendali. Le imprese di 1-2 addetti sono presenti in tutte le classi economiche salvo due non rilevate (o meglio non trovate), mentre al polo opposto le imprese sopra 19 addetti non sono presenti in 5 classi economiche e con lo stesso fenomeno che si ripete in parte per la classe di ampiezza di addetti (4 classi economiche non rappresentate). La categoria delle 3-9 addetti risulta invece indagata in tutte le attività produttive anche se in misura differente tra il massimo della lavorazione delle carni (13 interviste) e il minimo dei biscotti (1 intervista). La qualificazione delle imprese per classi di ampiezza sulla base degli addetti dichiarati può essere sostituita da una terminologia più descrittiva che potrà tornare utile nella discussione per non fare sempre riferimento alla dimensionalità numerica. Si noti come alcune dizioni sono particolari (aggettivi posposti rispetto ai sostantivi) per ovviare a possibili confusioni con riferimenti usati in altri contesti o per altre categorie imprenditoriali. Proponiamo dunque la seguente corrispondenza: - aziende con 1-2 addetti = microimprese - aziende con 3-9 addetti = imprese piccole - aziende con addetti = imprese medie - aziende oltre 19 addetti = imprese grandi Talvolta potremo trovare in alternativa dizioni tipo grande, media, piccola impresa artigiana. Evidentemente i concetti di piccola, media e grande impresa hanno significato ben diverso anche se non mancano sovrapposizioni, come più volte sottolineato. Chiudendo questa breve ma necessaria presentazione, dobbiamo richiamare altri due aspetti. Il primo riguarda una questione già messa in evidenza nella precedente ricerca sull artigianato. La statistica, infatti, rileva come imprese non-artigiane una serie di microimprese che non sono artigiane solo in termini di tipologie di processo produttivo e modalità di coinvolgimento nel lavoro del titolare (evidentemente, l assenza di manipolazione manuale del prodotto e la mancanza di un titolare vero factotum preso da tutte le incombenze imprenditoriali), restando nella sostanza una dimensionalità ed un mercato di riferimento che di fatto le accomunano intimamente; e questo è il primo aspetto. Pertanto, avanziamo l ipotesi che ci sia qualcosa da rivedere in questo tipo di classificazioni. Inoltre, rispetto alla normativa non sembra ci sia chiarezza applicativa, e questo è il secondo aspetto, nella rilevazione statistica o nell iscrizione agli archivi camerali. Tra l altro risulta ambigua anche la definizione di aziende con produzioni tradizionali che permette dal punto di vista burocratico e giuridico alle imprese artigiane di allargare i propri limiti dimensionali in termini di numero di addetti. In più, come abbiamo potuto rilevare direttamente con l indagine svolta parallelamente presso pubblici esercizi con proprio laboratorio di produzione - di cui al capitolo di chiusura di questa relazione - il ricercatore si trova spesso di fronte a situazioni strutturali e produttive del tutto simili ma con titolari che affermano di appartenere a mondi diversi o di essere scientemente passati da una categoria all altra; si tratta dei casi più eclatanti dei fornai, dei gelatai, dei pasticceri, dei cioccolatieri, talvolta censiti e iscritti come commercianti e talvolta come artigiani. Non abbiamo svolto un indagine a tappeto ma sono bastate alcune esperienze, e anche qualche incidente a causa di qui pro quo, e le opinioni di alcuni operatori per rendersi conto che occorrerebbe una veloce ma allargata indagine specifica per appurare come stanno realmente le cose. 6

10 1.2. Le dimensioni economiche Restando sempre ad una prima descrizione delle imprese esaminate, vogliamo insistere sulla caratteristica delle dimensioni rivolgendo la nostra attenzione a quelle economiche, almeno sulla base delle dichiarazioni che ci sono state fornite in termini di fatturato dichiarato (tab. 2), probabilmente spesso non veritiero se non nell ordine di grandezza e comunque di sicuro riferimento se considerato relativamente all insieme delle dichiarazioni (nel senso che se il mentire è un fatto culturale e sociale, l errore è sostanzialmente uniforme). Tenuto conto che il 15% non ha dato risposte, vediamo che il criterio classificatorio della dimensionalità economica spinge verso il basso buona parte delle aziende trovandosi un gruppo probabilmente ai limiti della sopravvivenza o comunque in una posizione di marginalità (18% sotto 50 mila euro) cui in parte possono essere associate le aziende con fatturato tra 50 e 100 mila euro (9%). Già si comincia a ragionare di imprese diversamente strutturate con la classe successiva (17%, tra 101 e 250 mila euro) e quella seguente (12%, mila euro). Nell insieme si tratta comunque di affari che stanno tutti sotto il vecchio miliardo di lire di fatturato, sorta di soglia convenzionale che tuttavia corrisponde anche ad un cambiamento di prospettive visto che tutte le classi successive (il 29% delle aziende) sono rappresentate da pesi percentuali piuttosto contenuti (tra l 1% e il 6%). Per i 6 casi oltre i 4 milioni di euro e forse anche per quello della classe precedente si può pensare ad una particolare impostazione strategica delle imprese che si preparano ad un salto verso l imprenditorialità industriale (in questo caso piccola industria), ma questa sarà materia dei successivi commenti. Le aziende meno strutturate del campione esaminato si ritrovano nella produzione della pasta alimentare (72% fino a 500 mila euro di cui ben il 45% sotto 50 mila euro) a dimostrazione ulteriore rispetto alla precedente indagine della importanza locale di questo indirizzo produttivo così come del resto avviene per la pasticceria fresca (69%). Anche per la lavorazione del pesce, 2 dei 3 casi si ritrovano posti nelle prime due classi di fatturato; per le altre classi economiche non appaiono grosse differenze rimanendo esse sempre attestate sulla media generale. La casistica settoriale per le imprese un poco più strutturate, o che hanno raggiunto livelli ragguardevoli come artigiane, vede esempi sparsi tra tutte le categorie e le dimensioni economiche salvo la produzione di gelati che appare molto legata ad un rapporto diretto con il consumo locale. Si distinguono invece per un espansione già realizzata, con fatturato oltre 500 mila euro, aziende delle classi economiche: 1589-gastronomia 50% 1551-formaggi 47% 1533-ortofrutta 39% 1513-carni 28% pane 28%. Annotiamo qui, una volta per tutte, che abbiamo usato una terminologia semplificata rispetto all intera dizione ATECO delle varie attività. Se la gastronomia, che si pone indubbiamente in un ambito produttivo molto commerciale, si trova al primo posto dell elenco è indubbiamente la produzione dei formaggi quella che si è avvantaggiata di più sulla strada della crescita strutturale per l appartenenza di alcune aziende (23%) alla maggiore delle dimensioni economiche, oltre i 4 milioni di euro e fino a 7,5, insieme a, casi unici, di aziende dei settori della biscotteria edellagastronomia (17% cad.) e della lavorazione di frutta e verdura (13%). Si può collegare questa grandezza economica alle dimensionalità fisiche in termini di addetti con una doppia elaborazione (tab. 3, distribuzione di riga e tab. 4, distribuzione di colonna). Questa modalità di rappresentazione permette di disegnare visivamente sulle tabelle una sorta di linea spezzata o meglio fascia in diagonale che inizia con tutte le microimprese concentrate in un unica classe economica inferiore a 100 mila euro e che termina con tutte le imprese grandi poste sui valori più elevati del fatturato, a partire da 1,2 milioni di euro. Per le due classi 3-9 e 7

11 10-19 addetti si hanno senza dubbio maggiori frequenze di aziende in corrispondenza delle classi intermedie ma crescenti di fatturato. La distribuzione delle aziende di ogni classe di fatturato tra le classi di ampiezza fisica (tab. 3) vede per valori sotto 50 mila euro un alta frequenza delle microimprese (44%) e delle imprese piccole (56%). Dalla seconda alla quarta classe di fatturato si hanno le maggiori frequenze sempre da parte delle imprese piccole (78%, 88% e 58%) mentre si assiste ad una concentrazione di aziende medie già nella classe mila euro (60%) che si riproduce anche ai livelli economici superiori (40-50%). Come già accennato le fasce alte di fatturato riguardano soprattutto imprese sopra i 19 addetti. Ragionando in termini di distribuzione delle aziende di ogni classe di ampiezza fisica tra le classi di fatturato (tab. 4), senza emendare il dato dalle mancate risposte, il ragionamento non cambia e può essere ancora più chiarito dalla seguente elencazione: - 62% delle microimprese sotto i 50 mila euro; - 60% delle imprese piccole sotto 250 mila euro con la frequenza più elevata nella classe mila euro (28%); - 43% delle aziende di addetti tra 251 mila e 1 milione di euro con presenze anche nelle classi di fatturato superiori (22%; cumulativamente 65%) e senza rappresentanza nelle prime due più basse; - 55% delle aziende sopra i 19 addetti tra 2 milioni e 7,5 milioni di euro con il 33% nella classe più elevata). Possiamo osservare che: a) la distribuzione variamente articolata delle aziende per fascia di fatturato e dimensione fisica ripropone la relazione, nel rispetto delle aspettative, che vede legate tra loro numerosità di addetti e giro d affari; b) la realtà come sempre è variegata e specialmente tra i poli estremi si assiste ad una pluralità di situazioni quantomai varia; come vedremo queste si rispecchieranno nelle performance strategiche di impresa e di marketing Classi per produttività stimata Ma indicazioni ancora più particolari e significative dal punto di vista economico scaturiscono dalla stima della misura della produttività calcolata, in modo molto approssimativo e con significato indicativo, come rapporto tra valore medio della classe di fatturato (operativamente non potevamo pretendere di ottenere un dato preciso da parte degli interlocutori) e numero di addetti aziendali (dato sicuro, certo ). La riclassificazione viene riferita sia alle classi economiche che alle classi per dimensione di addetti. Le classi di produttività sono fortemente differenziate ma con quelle minime troppo frequentate tanto da far presumere un numero non indifferente di dichiarazioni implicitamente compresse verso il basso anche se è presumibile un reale e veritiero effetto di tal segno per un insieme di molteplici cause, come: scarse capacità di fare impresa, eccesso di lavoro marginale non effettivamente necessario, impianti o strumenti o processi obsoleti che costringono ad un attività di lavoro utilizzabile altrimenti. In molti casi l artigianalità dei processi misurata dalla scarsa efficienza può apparire come adeguatezza rispetto a possibili cambiamenti che invece ne dequalificherebbero l offerta; all opposto, ottimi risultati potrebbero far apparire la produzione come ormai sfuggita alla tradizione della manualità e dei saperi artigianali verso una completa standardizzazione tecnologica. Occorre, infine, considerare la capacità di molte imprese familiari o individuali a basso fatturato per addetto di sopportare una conseguente bassa remunerazione netta per la propria attività grazie al costo solo implicito del proprio lavoro, non dovendo effettivamente pagare dei dipendenti (come, vedremo, risulterà dalla risposte in merito agli obiettivi aziendali). In cifre, e con largo margine di approssimazione (tab. 5), si va dai 25 mila euro di produttività (per il 43% del totale delle 85 risposte) alla fascia sopra i 200 mila (6%), disegnando un mondo di imprese polarizzato ma non simmetricamente tra dichiarate insufficienze strutturali 8

12 (cumulativamente: 63% sotto i 50 mila euro o 81% sotto 100 mila) e valori soddisfacenti (1/5 dei risultati). Le migliori performance si hanno nelle classi economiche della lavorazione carni (28% tra 151 e 200 mila euro), formaggi (27% oltre 200 mila più un 9% tra 151 e 200 mila), biscotti come gastronomia (rispettivamente 20% oltre 200 mila e ancora 17% tra 101 e 150 mila); infine, la lavorazione di frutta e verdura (14% in ognuna delle due classi e mila euro). Il dato relativo più contenuto (sotto 25 mila euro) lo si ritrova nei settori della lavorazione del pesce (2 aziende su 3, dato non molto convincente), biscotti e pasta alimentare (60%). Le attività economiche senza esempi nel polo a elevata produttività sono rappresentate da lavorazione pesce, pane, cioccolato, pasta alimentare, einpartedapasticceria fresca e gelaterie. Tranne la prima categoria, le aziende di queste attività spesso sono più vicine al negozio alimentare ovvero al pubblico esercizio senza peraltro presentare un insieme di servizi che creano il vero giro d affari di quest ultimi (come è stato evidenziato nella breve indagine di cui al capitolo 10.1). L affermazione poco prima sostenuta, di una capacità di sostenere basse remunerazioni grazie alla bassa dimensionalità associata alla forma familiare dell impresa, trova una conferma coerente seppure parziale con la successiva elaborazione per classe di addetti. In effetti (tab. 6), quasi un terzo delle aziende che hanno risposto appartengono alla classe dimensionale 3-9 addetti per un fatturato per addetto fino a 25 mila euro (31%); o ancora, il 40% se considerate insieme alle aziende di 1-2 addetti. Se poi si considerano tutte le aziende con fatturato per addetto fino a 50 mila euro, risulta un totale complessivo di imprese, assenti le aziende grandi, che costituisce circa i due terzi del campione (64%). Ma per comprendere meglio il nesso tra classe dimensionale e classe di fatturato per addetto, si guardi alla distribuzione percentuale interna alla prima (tab. 7): nelle microimprese la quasi totalità rientra nel fatturato più basso (80% sotto 25 mila euro) e comunque si esaurisce con la classe di fatturato successiva; il peso delle aziende a basso giro d affari si mantiene alto ma in tono minore nella classe successiva dei 3-9 addetti (54%) e decrescere fortemente nella classe di ampiezza successiva (16%) per poi scomparire in quella oltre 19 addetti. Dunque sembra valere la regola più grandi ovvero più produttive. Il concetto si rafforza ancora: cresce il numero di aziende presenti nelle classi di fatturato successivamente più elevate dei mila euro (36% delle aziende della classe addetti ma nessuna nella classe oltre 19 addetti) e mila (50% della classe oltre 19 addetti). Ogni classe dimensionale è poi caratterizzata dalla presenza decrescente di aziende appartenenti a classi di fatturato crescenti. L effetto finale è tuttavia quello di una relazione, non certamente lineare ma senz altro chiara a fasce, che vede la crescita della produttività legata in buona parte alla maggiore dimensione fisica, almeno in termini di frequenze relative. Se si considerano insieme le ultime due classi di fatturato procapite più elevato, il loro peso per classe di ampiezza cresce a partire dalla classe 3-9 addetti (10%), passa per la classe addetti (16%) e termina con il valore più alto (25%) nella dimensione degli oltre 19 addetti. A conclusione di questo capitolo, si riportano l elenco delle classi economiche analizzate nella ricerca, citando la dizione completa estratta da ATECO Lavorazione e conservazione di carne e di prodotti a base di carne Lavorazione e conservazione di pesce e di prodotti a base di pesce Lavorazione e conservazione di frutta e ortaggi nca Industria lattiero-casearia, trattamento igienico, conservazione del latte Produzione di gelati Produzione di prodotti di panetteria Produzione di pasticceria fresca Produzione di fette biscottate, biscotti, prodotti di pasticceria conservati Produzione di cacao in polvere, cioccolato, caramelle e confetterie Produzione di paste alimentari, di cuscus e di prodotti farinacei simili Produzione di altri prodotti alimentari (gastronomia) 9

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14 2. LA DESCRIZIONE DELLE AZIENDE ESAMINATE E L ORGANIZ- ZAZIONE DEL LAVORO La precedente illustrazione di alcune caratteristiche strutturali di base delle aziende esaminate, in parte espressione dell impostazione metodologica, porta necessariamente ad approfondire l esame descrittivo delle imprese sotto l aspetto della forma giuridica, dell età dalla fondazione o dal subentro dell attuale titolarità, della struttura occupazionale, dei ruoli ricoperti e dunque della qualità delle risorse umane impiegate Forme giuridiche Rispetto al primo punto, la forma giuridica (tab. 8) più frequentata è quella della società in nome collettivo (Snc.: media 53% entro la forbice 50-75% per le diverse classi economiche) con poche eccezioni rappresentate dai settori della lavorazione del pesce (nessuna azienda), dei formaggi e pasta alimentare (23% e 27%). Segue l impresa individuale (24%, con forbice 13-39%) specie per i settori dei formaggi e ancora della pasta alimentare (37%) e della lavorazione carni (29%). La forma giuridica della società a responsabilità limitata (Srl) che è stata ammessa normativamente da pochi anni è arrivata ad interessare solo poche aziende (11%) e non per tutte le classi economiche (6 su 11), solo un poco di più nei casi del formaggio, pasta alimentare (23% e 27% del proprio settore), gastronomia e panetteria (17% e 14%). Infine, un qualche interesse è dimostrato anche per la società in accomandita semplice (Sas, 9%) ma solo in 5 classi economiche (pasticceria, formaggi, panetteria e lavorazione di frutta e verdura, pasta alimentare). Sui motivi di tali preferenze il peso maggiore lo hanno la scarsa dimensionalità e il riferimento ad imprese individuali oltre che una forte inerzia storica e probabilmente un certo grado di ignoranza sui benefici potenziali delle forme più avanzate. Quest ultimi sono peraltro importanti soprattutto quando l azienda assume una struttura ed un impostazione più marcatamente imprenditoriali come dimostra un ulteriore analisi (tab. 9) per la quale l impresa individuale è ovviamente concentrata a parità di peso nelle due classi iniziali di addetti (42% e 50%, totale 92%) come invece l accomandita semplice principalmente nella classe dimensionale 3-9 addetti (67%). La Snc interessa tutte le tipologie ma con forte predominanza delle due classi intermedie (81%) mentre la nuova possibilità costituita dalla Srl sembra aver riguardato solo le aziende appartenenti a quelle intermedie. Esula da questo lavoro un ulteriore esame delle motivazioni di convenienza giuridico-economica, tanto da non considerare necessario rimandare ai singoli settori produttivi; vogliamo solamente ricordare che essa è espressione non solo del numero di addetti ma anche del livello assoluto del fatturato e da motivazioni collegate ai rapporti di parentela. Ed è a tale proposito che ritorniamo alla precedente tabella nella sezione dedicata all istituzione dell impresa familiare (art. 230-bis del nuovo codice di famiglia). Chi l ha costituita rappresenta solo una minima parte (9%) del campione nonostante un indubbia condizione sociale molto diffusa in un contesto territoriale di piccole imprese a carattere familiare; del resto una parte consistente di interlocutori non ha nemmeno risposto alla domanda (40%) accanto a quelli che espressamente rispondono negativamente (51%), segno evidente di una problematica poco conosciuta, volutamente ignorata nel peggiore dei casi, o anche di un evoluzione socioeconomica che non vede necessariamente associati al titolare gli altri suoi familiari. Ma su questo punto ci soffermeremo a lungo poco più avanti Date di fondazione e di subentro Le imprese esaminate nella loro consistenza attuale sono tuttavia il frutto di una storia aziendale, che quasi sempre è personale. Gli aspetti della dinamica d impresa sono stati più volte affrontati in questa ricerca, e ne daremo i risultati parlando di momenti salienti del ciclo di 11

15 vita, delle innovazioni ed altro, ma il punto di riferimento rimanda alla data di fondazione o di subentro rispetto ai veri fondatori (tab. 10). Se una frazione interessante e storica delle aziende vede gli albori della propria vita già prima del XX secolo (10%) almeno per alcuni settori di base o tradizionali (32% dei biscottifici, 21% delle aziende della lavorazione carni e della panetteria, 17%dellegastronomie e9%dellapasta alimentare) con una coda tra le due guerre mondiali (biscottificio e pastificio) visti i tempi critici di quel periodo, la restante parte si distribuisce con una certa uniformità in alcuni dei decenni successivi al 1945 (dal 15% al 17% di tutte le fondazioni). Tuttavia, si notano delle specificità temporali: un impennata negli anni 70 (23%) e un calo negli anni 80 (9%); dopo una ripresa nel decennio successivo a chiusura del secolo segue per i 5 anni vicini alla rilevazione un incremento (4%) che se confermato per il quinquennio successivo potrà costituire la misura del periodo di crisi economica che il sistema economico nazionale sta attraversando. In verità, buona parte delle aziende sono state rifondate nel senso di un subentro ai vecchi titolari (31% nessun subentro ovvero 69% di subentri) che generalmente è corrisposto ad investimenti, ammodernamenti e certamente a cambiamenti nelle modalità gestionali pur nel mantenimento della caratteristiche artigiane e qualitative. I settori più colpiti dalla trasformazione sono quelli dei panifici (93% di subentri), delle gelaterie (75%) e della pastifici (73%) e la totalità dei biscottifici. I passaggi sono avvenuti in massima parte dopo il 1990 (35%) - in particolare nel caso delle produzioni di biscotti (83%), gelati (50%) e pasta alimentare (46%) - mentre le quote decrescono andando a ritroso nel tempo: 20% negli anni 80, 10% negli anni 70 e pochissimi casi in precedenza. Vale la logica che le aziende fondate poco prima e durante il boom economico italiano non potevano necessariamente morire subito, ma che solo l invecchiamento delle persone (di età ma spesso anche di impostazione) e l assenza di giovani familiari interessati a proseguire l attività hanno favorito il crescere progressivo degli abbandoni e, nei casi migliori e qui rilevati, i subentri. I casi della produzione di pane negli anni 70 (29%) e, negli anni 80, del formaggio (30%) e della lavorazione di frutta e verdura (37%), rappresentano i momenti settoriali di maggior crisi aziendale o familiare Composizione e organizzazione sociali I riferimenti alla storia delle imprese e dunque di chi ci opera rimanda al sistema organizzativo del lavoro e alla qualità delle risorse umane. La composizione sociale delle aziende artigiane è quantomai semplificata, il che si riflette come detto sulla forma giuridica scelta, e risulta costituita (tab. 11) per un quarto da imprese con un solo titolare (26%) e per metà da due titolari (48%) quasi sempre appartenenti alla stessa famiglia anche se questa può allargare la sua presenza con un numero maggiore dei suoi membri, come si evince dalla seconda parte della tabella, sia esclusivamente che con altri soci non familiari (58% e 4%); questi ultimi, come unici compartecipi, caratterizzano in effetti una minoranza delle aziende (5%), restringendosi ai pochi casi delle classi economiche dei formaggi, pasticceria, gastronomia cosa del resto che vale anche per le forme miste dove la lavorazione della carne prende il posto della gastronomia. In concreto, dunque, le imprese sono senz altro a forte base familiare mentre quello che varia è l ampiezza della titolarità familiare della ditta con i casi più frequenti di maggiore dimensione (oltre 3 titolari) nei settori della lavorazione dell ortofrutta,dellapanetteria e poche altre attività. Tutto ciò si riflette sulle modalità di lavoro: vediamo dunque in quali forme le imprese coprono i ruoli di lavoro (offerta) di cui necessita l azienda (domanda). Il primo aspetto riguarda l assunzione effettiva o meno di tutti i ruoli di lavoro da parte dell artigiano (tab. 12) che spesso è assunta come verità assiomatica (l artigiano fa tutto). Questa condizione la si ritrova nella quasi totalità delle microimprese (85%) per contrarsi immediatamente nelle piccole dei 3-9 addetti (26%) e scomparire a partire dalla classe addetti, a semplice dimostrazione che la maggiore dimensione, anche minimale, presuppone la divisione del lavoro tanto da far pensare a gravi motivi di relazioni interne dove invece persiste l accentramento delle attività in una sola persona. Queste informazioni sono però ridotte nel loro significato dal numero elevato di 12

16 mancate risposte in proposito (dal 15% al 67%, in media il 40%) che può essere spiegata solo con il rimando implicito alla successiva divisione dei compiti con familiari e soci; ma questo rafforza il precedente ragionamento. Il dato analogo riferito ai familiari e soci (tab. 13) è parzialmente lo specchio di quanto appena affermato con l avvertenza che anche laddove il titolare svolga tutti i ruoli può comunque coesistere la divisione dei compiti tra i familiari e gli eventuali soci. Necessariamente con l ampliarsi dell azienda cresce l esigenza di distribuire i compiti tra i titolari: infatti, appena si passa alla impresa piccola da quella micro la divisone sale a due terzi (63% delle aziende 3-9 addetti) per diventare quasi la regola per le imprese medie (91%) e la regola fissa per le grandi (100%). Sempre tra le imprese piccole, troviamo qualche resistenza alla specializzazione del lavoro tra i titolari nel settore dei gelati (67% senza divisione dei compiti) ma anche nella lavorazione della carne, pasticceria e pasta alimentare (intorno al 40% delle aziende). Fin qui abbiamo parlato di titolari e familiari in senso neutrale, ma come è risaputo esiste una questione di genere sul mercato del lavoro che, tra l altro, si sposa anche con la propensione o la necessità del part-time. Dei titolari (154 uomini e 64 donne) viene studiata la relazione maschi e femmine anche in rapporto alla classe dimensionale di appartenenza (tab. 14). Un aspetto curioso è rappresentato dalla medesima distribuzione percentuale dei due generi tra le classi suddette e per il complesso delle attività produttive; in altre parole le donne sono presenti nelle varie classi di ampiezza aziendale nella stessa misura degli uomini e questo avviene perché globalmente la presenza femminile è sempre pari al 28% (minimo 27% massimo 29%, come dalla tabella successiva). Ma il dato statistico medio nasconde i comportamenti delle differenti classi economiche: ogni attività mostra qualche caratteristica specifica che rende meno significativa la discussione generale sia per i rapporti ponderali uomo/donna che per la distribuzione di uomini e donne tra le classi dimensionali aziendali. Detto questo, consideriamo alcuni casi specifici per i due parametri cui ci siamo appena riferiti. L attività (tab. 15) più femminile è quella della produzione di cioccolata e prodotti affini (55% di tutte le classi dimensionali) con la particolarità di essere presenti soprattutto ed esclusivamente nelle aziende più grosse. A proposito di questa esclusività, facciamo notare che essa si ripropone solo per il genere maschile e con una forte diffusione del fenomeno nelle imprese individuali (in tabella appaiono evidenti nella classe 1-2 addetti) di ben 6 delle 11 classi economiche studiate. Altri casi di esclusività maschile sono sparsi tra le differenti classi dimensionali e classi economiche (7 incroci). La presenza femminile, per restare in tema, la si ritrova comunque già dalla classe minima di ampiezza laddove non si tratti appunto di aziende individuali (in 4 attività) per poi salire nelle imprese piccole dei 3-5 addetti (9 classi economiche) con pesi variabili sul totale dei titolari tra minimi (14% nella produzione dei formaggi e 20% nella lavorazione carni) fino ad alcuni massimi (80% pasta alimentare; 50% cioccolata e panetteria; 40% gastronomia). Successivamente, nelle classi dimensionali più alte, la presenza si stabilizza su 5 attività con pesi femminili generalmente bassi (13-40%), ed solo in due attività economiche paritetici o superiori (50% in ortofrutta 6-9 addetti; 67% in formaggi sopra 19 addetti). In conclusione, troviamo alcune attività e classi dimensionali dove la titolarità è femmina (4 casi) o comunque importante al pari dell uomo (6 casi al 50%) o quasi (2 casi al 40%) rispetto alla generale prevalenza netta o esclusiva del lavoro maschile (31 casi). L altra distinzione importante per i titolari è la questione del loro lavoro a tempo pieno o parziale nell azienda (tab. 16) anche se la questione non dovrebbe proporsi vista la diffusa concezione degli artigiani di piena identificazione della vita con il lavoro. In effetti, il part-time si riduce a pochi casi (5%) e nella stessa misura per i due generi. Il fenomeno tuttavia non interessa tutte le attività nella stessa maniera: non esiste in assoluto nella lavorazione del pesce, ortofrutta, gelati, panetteria, biscotti, cioccolata mentre al contrario esiste per ambedue i generi nella pasticceria enellaproduzione di pasta alimentare (4% e 22%; 7% e 11%). Altre tre attività lo vedono solo per la componente maschile. 13

17 2.4. Il lavoro dipendente Il lavoro dei titolari e dei loro familiari spesso non è sufficiente per rispondere alle esigenze della produzione specialmente quando il giro d affari si sviluppa favorevolmente (tab. 17). La maggior parte delle aziende impiega personale dipendente (82%) con poche differenze per classe economica, al massimo il settore della cioccolata (100%), al minimo nella pasta alimentare (64%), nella lavorazione del pesce eingastronomia (67%) mentre la diversità la si coglie nella distribuzione per classe di addetti (tab. 18) con le microimprese poco rappresentate (23%), le piccole già intensamente coinvolte (85%) e le due superiori logicamente tutte con dipendenti. In termini numerici, i dipendenti delle aziende esaminate (tab. 19: tabella fornita per valori assoluti; i valori percentuali qui di seguito presentati sono frutto di un breve calcolo diretto) sono 576 che rispetto ai 218 titolari danno un rapporto di 2,64 dipendenti per ogni titolare. Si tratta di 507 operai (88%), 60 impiegati (10%) e pochi tecnici (9 ovvero il 2%). Questi ultimi sono tutti maschi di cui uno a part-time, presenti in soli 4 settori. Tra gli impiegati prevalgono le donne (67%) e solo il 10% risulta a part-time; il settore produttivo più frequentato da dipendenti di concetto è la lavorazione dell ortofrutta con il 44% di tutti i dipendenti del gruppo di aziende esaminate e di cui il 79% sono donne che a loro volta rappresentano il 51% delle impiegate del settore alimentare. Non possediamo informazioni particolari per spiegare questa specificità relativamente alle altre attività che hanno 4-7 impiegati o nessuno. Più articolato (tab. 20) il mondo operaio dove le donne rappresentano il 28% della forza lavoro; dato l interesse riguardo all occupazione femminile possiamo ricalcolare il rapporto tenendo conto anche delle impiegate: il dato allora sale al 31%. Ogni classe economica si caratterizza in modo specifico, e qui il tipo di lavoro, la sua faticosità, il grado di attenzione alle operazioni possono avere una influenza differente sulla domanda occupazionale da parte delle aziende. La lavorazione del pesce è tutta maschile (e del resto anche con i titolari era quasi la stessa cosa) o lo è prevalentemente come la panetteria (11% donne) e la produzione di biscotti (13% donne); al polo opposto troviamo la gelateria totalmente femminile e 3 settori con forte ma non maggioritaria assunzione di donne: gastronomia (48%), ortofrutta (45%) e pasta alimentare (44%). Ancora un dato superiore alla media è rappresentato da cioccolateria edaproduzione di formaggi (38% e 35%). Il tasso di part-time è piuttosto elevato specialmente se lo si rapporta a quello dei titolari (ricordiamo: 5% per uomini e per donne) ma è dovuto soprattutto alla componente femminile (26%) riducendosi per quella maschile (16%). Il dato potrebbe però nascondere, al di là di quanto dichiarato e a nostro parere, forme di occupazione saltuaria o stagionale più che come una modalità di orario settimanale ridotto, come dimostrerebbe il caso delle gelaterie dove l occupazione, tra l altro totalmente femminile, è esclusivamente part-time e dunque presumibilmente legata alla migliore stagione di consumo del suo prodotto. Un simile ragionamento può estendersi alle cioccolaterie per la stagione opposta a quella precedente e che interessa sia gli uomini che le donne (40% e 50%) come, ma per motivi differenti, succede anche nel settore dei biscotti (29% e 20%), nella panificazione (27% e 36%), carni (22% e 44%). I pochi tecnici impiegati, presenti in 4 settori (formaggi, biscotti, cioccolata e pasta), sono maschi quasi tutti a tempo pieno (89%). Un ulteriore approfondimento riguarda l impiego di personale extracomunitario (tab. 21). Si tratta di una percentuale dichiarata del 7% sul totale degli operai (35 soggetti) quasi tutti ben stabilizzati a tempo pieno (31 ovvero l 89%) ma con una forte concentrazione (pari al 43% del totale di tutti i settori) nel mestiere più disagiato per il tipo di orario che è quello della panificazione, pari al 15% degli occupati totali in tale attività e al 19% di quelli occupati a tempo pieno, segno evidente che le imprese se li tengono stretti. Extracomunitari importanti, del resto, anche per la trasformazione delle carni (22% degli addetti). La percentuale 14

18 ugualmente alta (20%) per le gelaterie è relativa, in valore assoluto, ad una addetta part-time su 5 donne. Oltre ad aver esaminato la struttura occupazionale, abbiamo cercato di evidenziare anche il ricorso alle nuove forme contrattuali, oltre a quelle vecchie ma dello stesso significato, previste dalle modifiche normative al mercato del lavoro (tab. 22). Solo una parte minoritaria dichiara di aver impiegato personale con queste nuove modalità (23%, colonna totale contratti) di cui più della metà (15%) ricorrendo ad una sola tipologia contrattuale con preferenza verso i cosiddetti CO.CO.CO. (8%) e l apprendistato (6%). Ancora un 8% ha diversificato il proprio approdo alla flessibilità con più forme contrattuali, due (apprendistato e contratti a tempo determinato, 4%) o anche tre modalità. Attività economiche più attente a sfruttare il cambiamento sembrano siano state quelle della produzione del pane (42% della classe economica di appartenenza), pasticceria fresca (31%), gastronomia (33%) ed anche, ma in valore assoluto sono casi, cioccolato (50%) e lavorazione pesce (33%). L argomento della domanda di lavoro da parte delle aziende è tema tanto delicato da dover pensare a qualche ricerca specifica in tale direzione (a parte le indicazioni quantitative della statistica ufficiale). Infine abbiamo considerato una caratteristica specifica dell offerta aziendale che può avere riflessi importanti sugli aspetti occupazionali, per il ricorso al lavoro temporaneo: la stagionalità della domanda (tab. 23). In effetti, mediamente l attività economica nell agroalimentare risente di una certa stagionalità dei consumi, legata agli andamenti climatici e soprattutto alla temperatura ma anche alle principali feste religiose, tanto da coinvolgere quasi due terzi delle aziende (62%) o con una sola punta (46%) o con due o più momenti critici (16%). Ne sono più soggette le aziende di alcuni settori che di altri. Ci sono in maggioranza aziende monostagionali nella lavorazione dell ortofrutta e, ovviamente, nella produzione dei gelati (87% e 75% delle aziende). Abbiamo settori con aziende che presentano due o più punte stagionali e si tratta quasi della totalità delle aziende della pasta alimentare (55% + 27%), tre quarti di aziende della produzione di formaggi edellacioccolata (69% + 8%; 50% + 25%) e due terzi delle aziende della lavorazione pesce e produzione di biscotti. Chi ne risente meno è il settore della panificazione (65% nessuna stagionalità) ma in parte anche la lavorazione carni e gastronomia (50% nessuna stagionalità). Non sempre il fenomeno comporta una domanda di lavoro extra da parte delle aziende o lo è solo in piccola misura, visto i propri margini di flessibilità delle piccole imprese e di quelle familiari in particolare. In effetti, solo due terzi delle aziende occupa 1-2 salariati in più e un terzo da 3 a 5; ma la media per questo secondo caso è un dato fuorviante, perché mentre tutte le aziende di tutti i settori tranne due si dichiarano per una occupazione temporanea, nel caso successivo questo avviene solo per la produzione di formaggi (80%) e la gastronomia (100%). Lavorazione del pesce e biscotteria sono casi a sé per l assenza del fenomeno Risorse umane: titolari e familiari Ritorniamo ora ai soggetti titolari per poter affrontare il tema della qualità delle risorse umane a livello della gestione aziendale (titolari, soci e familiari). Una prima qualificazione deriva dalle classi di età nella presunzione che i giovani siano portatori di maggiori istanze di rinnovamento, sia come titoli di studio e corsi professionalizzanti frequentati (presunzione che a maggiori conoscenze corrisponda una maggiore apertura mentale) sia come lingue conosciute (ritenute essenziali per affrontare i mercati esteri e relazionarsi con gli stranieri in Italia). Iniziamo con i titolari, nel numero totale di 186, per poi proseguire con i 49 familiari (dati assoluti non riportati in tabella). Per i primi (tab. 24) la classe di età predominante risulta quella dei anni (42%) - dunque imprenditoria giovane - seguita a ruota dalla successiva anni (39%); mentre il primo dato convalida la corrispondente categoria dei familiari non titolari (di cui al punto successivo), segno evidente che si tratta principalmente di consorti, il secondo rafforza l idea di una categoria di imprenditori individuali o tali perché il consorte svolge altra 15

19 attività o non è attivo (di solito casalinghe) oltre che di altri rapporti di parentela e comunque a scapito delle forze giovanili qui rappresentate da una minoranza (7%) rispetto a valori di tre volte superiori nella successiva categoria dei familiari non titolari: evidentemente si tratta quasi sempre di figli. Data questa spiegazione di base, forse non completamente esatta per mancanza di rilevazione più fine, possiamo affermare che tra due poli di età (sotto e sopra i 45 anni) le attività più giovani (da sotto i 30 anni ai 45) sono quelle della lavorazione del pesce (80%) anche se con forte predominanza dei più adulti (60%), dei formaggi (64%) e della pasticceria (60%); a proposito della sola fascia anni si segnala anche la specificità giovanile della gastronomia (80%). Sul lato opposto dei maturi e degli anziani, le attività meno giovani sono quelle della lavorazione dell ortofrutta (87%, di cui il 68% adulti maturi), biscotti (82%, di cui 64% adulti maturi), pasta alimentare (60%) e ancora gelati con la sola categoria degli adulti maturi (57%). Tre classi economiche sono prive di giovani titolari, di cui 2, cioccolateria e gastronomia, tali anche per i familiari non titolari come si evince dalla successiva tabella. Difficile stabilire qualche nesso di carattere generale per questi comportamenti che spesso travalicano l aspetto puramente economico per essere più legate al mondo delle relazioni parentali; ad esempio, panetterie e pasticcerie che spesso lamentano l assenza di vocazione dei giovani per lavori che impegnano anche in orari poco appetiti, qui si presentano con valori di presenza almeno medi. Per quanto riguarda i titoli scolastici, oltre la metà non supera la licenza dell obbligo (60%) come somma di titolo elementare (18%) e di media inferiore (42%) anche se oltre un terzo ha raggiunto un diploma superiore (37%) mentre pochi possiedono un titolo universitario. Si può notare, guardando in parallelo alla successiva tabella, che esiste una sostanziale uniformità distributiva dei titoli anche per i familiari, i coniugi o spesso i padri, ma con la differenza che vede premiati i titolari rispetto agli altri almeno per la scuola media (42% contro il 30%) e penalizzati i familiari per il solo raggiungimento del livello elementare (28% contro il 18%). Le migliori performance, come combinazione di diplomi e lauree, le troviamo tra i produttori di biscotti (73%) e i produttori di formaggi (63%) mentre le peggiori, nel senso di sola scuola dell obbligo tra elementare e media nella lavorazione pesce (100%) e nella cioccolata (media inferiore: 87%) cui va aggiunta la panetteria (76%) per l elevato peso del titolo elementare (40%). Questo settore sembra, da questo punto di vista, il più marginale se si collega con il successivo dato riferito ai familiari (80% di cui 60% con sola licenza elementare). Per quasi tutti non sembrano valere corsi professionali o di specializzazione (75%) salvo per i casi virtuosi della cioccolateria (62%) ed in misura minore dei settori ortofrutta, pasticceria, gelati (50%, 50% e 43%). La conoscenza delle lingue, vista come strumento professionale, riguarda circa la metà dei titolari (52%, come da elaborazione diretta sul data base) che si concentrano sull inglese (62%) e poi sul francese (30%) con qualche particolarità settoriale - ma sempre rispettando la predominanza della lingua ormai internazionale - come nel caso dei biscotti edei gelati (50%, 43% francese), carni e pasticceria (in primis francese e poi spagnolo e tedesco), gastronomia (25% tedesco). Se la lingua inglese è veicolo di comunicazione internazionale, si resta tuttavia sorpresi della minima presenza (4% qui e nessun caso per quanto riguarda i familiari come da successiva tabella) del tedesco quando è noto che i migliori clienti per l esportazione e per il turismo fanno parte di tale area culturale. Per i familiari, di cui si è già accennato per qualche paragone (tab. 25), la classe di età più rappresentata risulta quella degli adulti giovani tra 31 e 45 anni (40%) mentre tutte le altre, sempre per fasce di 15 anni, si equivalgono tra loro (18-22%). Alcune attività appaiono più giovani di altre, come le produzioni di formaggi, frutta e ortaggi, altre più vecchie come pasta alimentare o altrimenti con le età tutte ben distribuite come panetteria e pasticceria fresca. Ma, anche se il riferimento generazionale sembra positivo, si osserva che oltre la metà del campione è costituito da persone con basso grado di istruzione (58%) tra scuola elementare, evidentemente le persone più anziane ma purtroppo non le sole (28% rispetto alla presenza del 18% di soggetti sopra i 60 anni), e media inferiore o scuola dell obbligo (30%) mentre si recupera con la scuola media superiore (38%) e pochi casi di laureati (4%). Le situazioni più particolari sul lato della mancanza di un istruzione più elevata riguardano, come scuola 16

20 dell obbligo che comprende anche solo le elementari, le lavorazioni di carne e di ortofrutta (86% e 87%) e la panetteria soprattutto per il grado scolastico meno elevato (60%). Viceversa, troviamo buoni esempi per la pasticceria fresca (67% per le medie superiori) e le produzioni di formaggi (40% diplomi + 20% titoli universitari) e di pasta alimentare (stesse voci: 50% + 25%). La situazione non certamente positiva non viene peraltro modificata dalla frequentazione di corsi di formazione (10%): si hanno infatti, al di là dei riferimenti percentuali della tabella, solo 5 casi dichiarati. Le persone che parlano lingue straniere sono il 22%, con la prevalenza dell inglese (68%) seguito dal francese (27%) e dallo spagnolo (5%). Infine, riunendo i due commenti sui titolari e sui familiari (questi ultimi rappresentano il 21% delle compagini familiari), possiamo affermare che in generale la qualità delle risorse umane artigiane è caratterizzata da titolari che sono mediamente giovani e mediamente maturi in parti quasi identiche ma con esclusione delle giovani leve sotto i 30 anni mentre i familiari non soci si ripartiscono in modo equivalente tra tutte le varie classi di età. È evidente soprattutto l assenza voluta o forzata dei più giovani dai ruoli di titolarità. Ma forse il vero problema è costituito dalla bassa scolarità di un consistente numero di titolari e familiari (circa il 60% con scuola dell obbligo ma spesso solo con licenza elementare) per niente compensata dal ricorso a specializzazioni e formazione: corsi seguiti solo dal 25% dei titolari e dal 10% dei familiari. La presenza di laureati risulta veramente esigua (8 persone su 235). D'altronde, a proposito dei livelli scolastici e formativi, occorre tener presente l origine lavorativa dei titolari (tab. 26): 31% nati in azienda e 69% di subentrati (cfr. tab. 10) che derivano la loro attuale attività in buona parte da esperienze precedenti come operai e impiegati dipendenti nel campo alimentare (49%) o in settori ad esso prossimi come pubblici esercizi, ristoranti, bar e anche hotel (10%) o, ancora, come operai e impiegati ma di altri settori produttivi (14%). Anche una parte dei soggetti provenienti dal commercio e dai trasporti (9%) potevano essere legati alla distribuzione di prodotti alimentari. Dunque, un riferimento continuo al settore di attuale pertinenza con alcune specificità delle classi economiche come quelle della produzione di cioccolato, con titolari tutti ex dipendenti di aziende alimentari, e della lavorazione del pesce con titolari tutti ex commercianti. Sempre origini numerose dalla posizione di dipendenti del settore alimentare nei casi della lavorazione dell ortofrutta edei formaggi (74% e 59%) ma anche di panetteria e pasticceria (52-53%). I produttori di gelati spesso hanno un origine dal settore commerciale legato alla ristorazione e campi affini (60%). 17

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