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2 L emoglobina glicata e la prevenzione della sindrome metabolica: nuove prospettive in Farmacia L emoglobina glicata in Farmacia L emoglobina glicata Il passaggio alle unità IFCC L interpretazione dei risultati Esiste un valore ideale di emoglobina glicata? La sindrome metabolica Pag.1 Pag.2 Pag.3 Pag.4 La sindrome metabolica: come riconoscerla Pag 5 Criteri di identificazione Pag.6 L insulino-resistenza Pag.6 L obesità Pag.8 Alterazioni del metabolismo lipidico Pag.9 Ipertensione arteriosa Pag.10 Diabete e rischio cardiovascolare Pag.11 Prevenzione Pag.12 Piante medicinali utili nella terapia del diabete Piante a polifenoli Pag 13 Piante a glucochine guanidiniche Pag 14 Gymnena silvestre Pag 16 Momordica charantia Pag 16 La Banaba Pag.17 Il cromo Polinicotinato Pag.17 Stenia Reubaudiana Pag.17 Il baccello del fagiolo Pag 19 Piante contenenti fibre(fico d India, glucomannano, ispagul, Pag. 19 chiosano) I trigliceridi: come tenerli sotto controllo Omega-3 e omega-6 Cassia Nomane La prevenzione del colesterolo Pag.21 Pag.26 Il Monascus Ruber Pag.27 I policosanoli Pag.29 Gli steroli vegetali Pag.30 La berberina.un alcaloide che promette ulteriori sviluppi Pag.30 L aglio Pag.31 La Garcinia Gambogia Pag.32 Come controllare la pressione in modo naturale Principali piante utili nella cura dell ipertensione Pag.33 Il biancospino Pag.33 L Olivo Pag. 35 Bibliografia Pag 36

3 EMOGLOBINA GLICATA Emoglobina glicata L'emoglobina glicata (emoglobina glicosilata, emoglobina A1c, HbA 1c, A1C, o Hb 1c ; a volte anche HbA1c) è una forma di emoglobina usata principalmente per identificare la concentrazione plasmatica media del glucosio per un lungo periodo di tempo. Viene prodotta in una reazione non-enzimatica a seguito della esposizione della emoglobina normale ad alte concentrazioni di glucosio plasmatico. La Glicosilazione dell emoglobina è stata associata con le malattie cardiovascolari, le nefropatie, e con la retinopatia del diabete mellito. Il monitoraggio dell HbA 1c nei pazienti con diabete tipo 1 può migliorare il trattamento. Storia L emoglobina A1c fu separata dalle altre forme di emoglobina da Huisman e Meyering nel 1958 mediante una colonna cromatografica. Venne caratterizzata per la prima volta come glicoproteina da Bookchin e Gallop nel Il suo aumento nel diabete fu descritto per la prima volta nel 1969 da Samuel Rahbar e collaboratori La reazione che porta alla sua formazione fu caratterizzata da Bunn ed i suoi collaboratori nel L uso dell emoglobina A1c per il monitoraggio del grado di controllo del metabolismo glucidico in pazienti diabetici fu proposto nel 1976 da Anthony Cerami, Ronald Koenig e collaboratori. Principio Nel normale arco di vita di 120 giorni dei globuli rossi, le molecole di glucosio reagiscono con l emoglobina formando emoglobina glicosilata. In individui con scarso controllo del diabete, la quantità della emoglobina glicosilata che si forma è molto più elevata che nei soggetti sani o nei soggetti diabetici con un buon controllo glicemico ottenuto dalla terapia. Un aumento di emoglobina glicosilata all'interno dei globuli rossi, pertanto, riflette il livello medio di glucosio al quale l'emazia è 1

4 stata esposta durante il suo ciclo vitale. Il dosaggio della emoglobina glicosilata fornisce valori indicativi dell'efficacia della terapia monitorando la regolazione a lungo termine del glucosio sierico. Il livello di HbA1c è proporzionale alla concentrazione media del glucosio durante le quattro settimane tre mesi precedenti. Alcuni ricercatori affermano che la porzione più grande del suo valore sia da attribuire ad un periodo di tempo relativamente più corto, da due a quattro settimane. Nel 2010 l American Diabetes Association Standards of Medical Care in Diabetes ha aggiunto l A1c 6.5% come ulteriore criterio per la diagnosi clinica di dabete mellito, tuttavia l argomento è controverso e questo criterio non è stato adottato universalmete. Misurazione della Emoglobina Glicosilata Esistono diversi metodi di misura dell'hba1c. I laboratori di analisi usano: high-performance liquid chromatography (HPLC) immunoassay Gli strumenti presenti nei point of care (es. Gli ambulatori medici, le farmacie) usano: immunoassay boronate affinity chromatography Negli Stati Uniti, I test utilizzati nei point of care sono certificati dal National Glycohemoglobin Standardization Program (NGSP) per standardizarli nei confronti dei risultati ottenuti dal Diabetes Control and Complications Trial (DCCT) del Il passaggio alle unità della IFCC Nell'agosto del 2008 l'american Diabetes Association (ADA), la European Association for the Study of Diabetes (EASD) e l'international Diabetes Federation (IDF) hanno stabilito che, in futuro, l'hba 1c dovrà essere refertata con le unità della IFCC (International Federation of Clinical Chemistry). La refertazione in unità IFCC è stata introdotta in Europa, fatta eccezione per il Regno Unito, nel 2003, dove, il primo giugno del 2009 è stata introdotta la doppia refertazione che rimarrà in vigore fino al primo giugno La conversione tra le due unità di misura può essere calcolata mediante la seguente formula:ifcc- HbA 1c (mmol/mol) = [DCCT-HbA 1c (%) ] DCCT- HbA 1c IFCC-HbA 1c (%) (mmol/mol) Il modo più semplice per fare la conversione rimane il trucco di Kilpatrik che parte dall assunto che il valore espressi in mmol/mol può essere ottenuto da quello in percentuale con due semplici operazioni: meno 2 meno 2. Per esempio al valore 6 (espresso come HbA %) corrisponde un numero a due cifre, il primo dei quali è 4 (6-2) ed il secondo è 2 (6-2-2). Quindi il 6% si trasforma in 42 mmol/mol. A partire da gennaio 2010 i risultati dell emoglobina glicata venivano espressi dai laboratori sia in unità allineate al sistema DCCT % che in unità IFCC (mmol/mol). 2

5 A partire dai gennaio 2012 i risultati dell emoglobina glicata verranno repertati solamente in unità Ifcc. Perché non viene repertata anche il valore della glicemia media stimata ead ( estimated Average Glucose)? È stato suggerito di convertire il valore dell emoglobina glicata in un valore di glicemia media, ma il mondo scientifico e i diabetologi delle varie nazioni sono divisi sull interpretazioni dei dati, con pareri dunque discordanti. I tempi non sono ancora maturi per l inserimento di tale parametro nel referto.si ritiene che i parametri derivanti dagli studi fatti abbiano dei limiti, quali la mancata inclusione di adolescenti, donne in gravidanza, pazienti nefropatici oltre a soggetti di etnie diverse. Interpretazione dei risultati A partire dalla comparazione dei valori di emoglobina glicosilata con i valori medi di glucosio plasmatico nell'uomo, è stato possibile costruire la seguente tabella: Una riduzione dell'1% dei livelli di HbA 1c riduce del 21% il rischio di complicanze complessive e del 21% la mortalità dovuta alle complicanze del diabete. L'emoglobina glicata - o glicosilata che dir si voglia, consente di valutare a grandi linee l'andamento della glicemia negli ultimi due o tre mesi; si tratta quindi di un esame molto utile per monitorare il controllo glicemico del paziente diabetico, recentemente rivalutato anche nella diagnosi della malattia La glicazione è il processo biologico non enzimatico per cui gli zuccheri si possono legare covalentemente alle proteine. Lo zucchero più abbondante del sangue, il glucosio, può quindi legarsi in modo irreversibile ad una parte specifica dell'emoglobina, formando l'hba1c o emoglobina glicata. Tanto più alta è la concetrazione ematica di glucosio e tanto maggiore risulta la percentuale di emoglobina glicata (HbA1c o A1C)!"!#$%& # %#"''$%& (! )"%($*&!' * *(")!$%!& %' ' % %%"!'$%) & %)' %)'" ($%*%& %! %# "%!$()& (' % *"%)'$()!& () +, #// - # #.- -/ Considerata l'irreversibilità della glicazione, l'emoglobina glicosilata contenuta nei globuli rossi (avidi di glucosio) circola nel sangue per tutta la durata della loro vita (in media 90/120 giorni). Entro certi limiti si tratta di un processo assolutamente normale, che non comporta alcun pericolo per la salute del paziente, dato che l'emoglobina glicata continua a svolgere normalmente la propria funzione. I problemi, piuttosto, sono legati agli alti livelli ematici di glucosio che l'accompagnano. Tutte queste caratteristiche rendono l'emoglobina glicata un parametro molto più utile della comune glicemia nella 3

6 diagnosi e nel monitoraggio del diabete; l'emoglobina glicosilata è infatti espressione della glicemia media nel lungo periodo, non di un singolo momento; come tale non è soggetta a variazioni acute (come l'alimentazione del giorno precedente o lo stress da esame) e non necessita quindi di un preventivo digiuno di almeno otto ore. Prima del prelievo di sangue, dunque, il paziente rimane libero di mangiare e bere secondo abitudini. La più tipica applicazione dell'emoglobina glicata rimane comunque la valutazione del controllo glicometabolico nel medio e lungo periodo; diversi studi hanno infatti dimostrato una stretta correlazione tra il grado di controllo glicemico, valutato in base ai livelli di HbA1c, ed il rischio di sviluppo e progressione delle complicanze croniche del diabete. L'emoglobina glicata è utilizzata sia come indice di glicemia media che come valutazione del rischio di sviluppare le complicanze del diabete. Può altresì essere utilizzata a fini diagnostici secondo criteri in fase di definizione. Nel diabetico, l'efficacia di un farmaco o di un atto terapeutico è valutata attraverso il suo influsso sui livelli di emoglobina glicata. 0 < 6,3% + tra 6,3% e 7,1% tra 7,1% e 9% 1 2 9% L emoglobina glicata può essere usata nella diagnosi del diabete? Si. Nel 2009 un comitato di esperti, nominati dalla American Diabetes Association (ADA) e dalla European Association of the study of Diabetes (EASD) ha suggerito che la misurazione dell emoglobina glicata è più affidabile della glicemia per al diagnosi del diabete. Il comitato di esperti ritiene l HbA 1c più affidabile per i seguenti motivi: 1. ha una migliore standardizzazione 2. è espressione della glicemia media di un lungo periodo e non di un singolo momento 3. ha una minore variabilità biologica 4. ha una minore instabilità pre-analitica 5. non ha necessità di un prelievo dopo 8 ore di digiuno 6. non soffre di alcuna influenza da parte di perturbazioni acute (stress da prelievo) 7. è lo stesso parametro usato per il monitoraggio clinico del diabete il comitato scientifico di esperti ADA/Easd/IDF ha indicato il valore di 6,5% come livello decisionale per la diagnosi di diabete. Al di sotto di tale livello la retinopatia diabetica, utilizzato come marcatore della presenza della malattia, è virtualmente assente. Esiste un valore ideale di emoglobina glicata? Il valore 'normale' di emoglobina glicata nella popolazione è compreso tra il 4 ed il 5-6%. Le attuali linee guida indicano che l'obiettivo primario delle terapie intraprese contro il diabete è quello di mantenere i livelli di emoglobina glicata a concentrazioni non superiori al 7%, meglio se sotto il 6,5%. Nel caso tali valori sconfinino al di sopra dell'8% il trattamento dev'essere prontamente rivalutato. Tanto più alta è la percentuale di emoglobina glicata e tanto maggiore è la probabilità di sviluppare le complicanze del diabete e di aggravare quelle già esistenti; tale relazione è valida soprattutto per quel che riguarda la nefropatia, la neuropatia e la retinopatia diabetica. 4

7 LA SINDROME METABOLICA La Sindrome Metabolica rappresenta una situazione clinica legata ad una serie di fattori e sintomi che se presenti contemporaneamente, espongono il paziente ad un alto rischio cardiovascolare. Non dobbiamo spaventare i clienti della nostra Farmacia: la sindrome metabolica non è una vera e propria malattia. Lo dobbiamo invece considerare un campanello d allarme che ci avvisa come le nostre abitudini alimentari e il nostro stile di vita attuali, se mantenuti tali, potrebbero nel corso degli anni aumentare il rischio di andare incontro a seri problemi quali: infarto, ictus o diabete. È importante far capire che la Sindrome Metabolica è una situazione reversibile, basta dare ascolto al campanello d allarme e correggere le proprie cattive abitudini. In questo modo il farmacista, non solo svolge un servizio importante, ma fa anche prevenzione e salute in Farmacia. Il nome della sindrome Nel 1988 Gerald M. Reaven [12] ha definito sindrome X la manifestazione simultanea di insulinoresistenza, iperinsulinemia, stati pre-diabetici o diabete mellito di tipo 2 conclamato, dislipidemia, obesità centrale, iperuricemia (una concentrazione alta di acido urico nel sangue), e ipertensione arteriosa, considerandola una condizione clinica che precede lo sviluppo di complicanze vascolari. Ad essa si associa un'aumentata incidenza di cardiopatia ischemica, disfunzioni del ventricolo sinistro e scompenso cardiaco. Tutto ciò comporta un forte incremento del rischio di mortalità per cause cardiovascolari. Tale sindrome era conosciuta anche con il nome di Sindrome di Reaven, in suo onore. Le stesse patologie cardiovascolari inducono, a loro volta, insulino-resistenza e aumentano la probabilità che si sviluppi nel tempo un diabete mellito di tipo 2. La sindrome X è stata definita anche sindrome da insulino-resistenza e successivamente sindrome metabolica cardiovascolare. Attualmente la sindrome è stata rinominata plurimetabolica e comprende l'associazione di insulinoresistenza, iperinsulinemia, obesità centrale, intolleranza glucidica o diabete mellito di tipo 2, iperuricemia, dislipidemia e ipertensione arteriosa. Su quasi tutti i testi è ancora comune trovare la dicitura di sindrome metabolica, mentre in Australia tale sindrome è conosciuta con il nome di CHAOS. 5

8 Criteri per l'identificazione Nel 2005 l' International Diabetes Federation ha rivisto i criteri diagnostici, proponendo come metodo per identificare la patologia la presenza nello stesso paziente di 2 dei seguenti disordini: Glicemia a digiuno: oltre 100 mg/dl stadio IFG; Ipertensione arteriosa: oltre i 130/85 mm Hg o terapia ipotensivante; Ipertrigliceridemia: oltre i 150 mg/dl; Ridotto colesterolo HDL: 40 mg/dl nei maschi, 50 mg/dl nelle femmine o terapia ipolipemizzante, associati a una circonferenza vita oltre i 94 cm nei maschi, 80 cm nelle femmine per i pazienti di etnia Europide (i parametri variano in base al gruppo etnico di appartenenza). La circonferenza vita e quindi il grasso addominale, essendo direttamente correlato alla resistenza insulinica, viene ritenuto dalla classe medica il fattore cardine ed imprescindibile per la determinazione della sindrome metabolica. A questi si aggiunge un importante fattore di rischio, l'età, che è determinante a partire dai 45 anni negli uomini e dai 55 nelle donne. In Italia In Italia, la sindrome metabolica interessa circa il 25% degli uomini e addirittura il 27% delle donne. Sono dei numeri altissimi, che equivalgono a circa 14 milioni di individui. I numeri stimati sono importanti. Potenzialmente il farmacista svolge un ruolo fondamentale nella prevenzione. Basti pensare che, per esempio, in una Farmacia dove entrano circa 200 persone il giorno, 50 di queste soffrono della sindrome metabolica e una diagnosi precoce può cambiare la qualità della vita futura di queste persone. Eziologia Il circolo vizioso dell'insulino resistenza. Insulino-resistenza Secondo le ultime analisi l'insulino-resistenza riveste un ruolo centrale nella genesi della sindrome. L'iperinsulinemia, suo derivato, è risultata un fattore di rischio indipendente per la cardiopatia ischemica; contribuisce all'esordio precoce del diabete, nonché alla sua progressione, e concorre alla comparsa delle numerose altre condizioni patologiche associate che si traducono in fattori di rischio cardiovascolare Definizione Per insulino-resistenza si intende una condizione nella quale le quantità fisiologiche di insulina producono una risposta biologica ridotta, cioè una riduzione dell'azione precoce dell'insulina sul controllo glucidico dopo il pasto; ad esso è associata un'inadeguata soppressione insulinica durante il digiuno notturno, in presenza di una sintesi conservata. Ne segue un'alternanza tra insulino-resistenza e iperinsulinemia, verificabile con il riscontro di elevate concentrazioni insuliniche a digiuno e dopo i pasti. Una ridotta soppressione dell'insulina durante il digiuno notturno si verifica anche in caso di iperinsulinemia e non è necessariamente associata a insulino-resistenza. L'insulino-resistenza, peraltro, non è sempre associata all'iperglicemia e non è dunque prerogativa esclusiva dei pazienti diabetici La dimostrazione del ruolo fondamentale dell'insulino-resistenza e dell'iperinsulinemia nel determinare le patologie cardiovascolari è documentata dagli studi clinici. L insulino-resistenza è legata ad una ridotta risposta biologica dei tessuti periferici e quindi dell organismo all insulina. Questo porterà ad una iper produzione di insulina da parte del Pancreas che negli anni provocherà un esaurimento della ghiandola stessa con ridotta produzione di insulina e quindi dabete. Oltre al ruolo svolto nel metabolismo glucidico, l'insulina contribuisce alla regolazione del metabolismo lipidico e proteico e della pressione arteriosa, interferendo con la funzione piastrinica e 6

9 con l'equilibrio tra fattori protrombotici e modulatori della fibrinolisi endogena. Regola inoltre gli stimoli proliferativi sulle cellule muscolari lisce della parete vascolare e influenza la funzione endoteliale: tutto ciò spiega il possibile ruolo che l'insulino-resistenza esercita nel determinismo della sindrome metabolica. Correlazione fra sindrome metabolica, resistenza insulinica e rischio cardiovascolare: Fattori genetici Iperglicemia Obesità Vita sedentaria Insulino resistenza Ipertenzione Dislipidemia Rischi trombotici Microalbuminuria (insufficienza renale) Non sono ancora noti né i meccanismi con cui si instaura l'insulino-resistenza né i siti di interazione insulina-superficie cellulare-comparto intracellulare, nei quali la catena di segnali prodotti dall'ormone si interrompe, impedendo un adeguato utilizzo del glucosio circolante. L'insulino-resistenza si sviluppa quasi sicuramente molto prima della sindrome metabolica e di altre patologie cliniche più avanzate, come lo stesso diabete mellito di tipo 2 e l'arterosclerosi, apparendo in tutti i contesti come una realtà multifattoriale sia in merito alla genesi che ai danni potenziali. Stati pre-diabetici e intolleranza glucidica Gli stati pre-diabetici e il diabete mellito di tipo 2 conclamato sono essi stessi fattori di rischio cardiovascolare annoverati nell'ambito della sindrome metabolica. I pazienti con alterata tolleranza glucidica o con iperglicemia a digiuno mostrano le caratteristiche cliniche della sindrome da insulinoresistenza, con un rischio relativo di sviluppare complicanze macrovascolari (e in particolare cardiopatia ischemica) di due-tre volte superiore a quello di soggetti sani di pari età. Cause di morte Nei pazienti diabetici la patologia cardiovascolare e cerebrovascolare è responsabile del 65% dei decessi e di questo 65%, il 40% è imputabile a cardiopatia ischemica, il 15% ad altre forme di cardiopatia e il 10% ad eventi cerebrovascolare. La prevenzione della sindrome metabolica si fa migliorando lo stile di vita, aumentando l attività fisica e riducendo il peso corporeo. Ridurre il peso migliora tutti i fattori di rischio. Riduce l adiposità addominale, riduce la pressione, riduce i trigliceridi, aumenta il colesterolo-hdl, riduce la glicemia.inoltre l attività fisica riduce la resistenza insulinica in quanto attiva i recettori per l insulina a livello dei tessuti ed in particolare nei muscoli. 7

10 Obesità L'obesità è una situazione di accumulo anomalo o eccessivo di grasso nei tessuti adiposi del corpo che comporta rischi per la salute. La causa di fondo è un'eccedenza energetica che determina un aumento di peso; in altre parole le calorie introdotte sono superiori alle calorie bruciate. L'IMC (un acronimo con il quale si indica l'indice di massa corporea) si calcola dividendo il peso espresso in chilogrammi per altezza espressa in metri al quadrato (kg/m2). Normalmente l'imc si dovrebbe attestare ad un valore che oscilla fra i 18,5 e i 25,superando il valore di 25 si entra nella fascia di rischio del soggetto, dove si possono riscontrare disturbi associati. Il rischio aumenta con l'aumentare del valore, diventando dapprima moderato fino a trasformarsi in alto Una volta raggiunto il valore di 25 la persona viene definita come in soprappeso; Superato il valore di 30 si rientra nel termine obeso Sovrappeso e obesità sono influenzati da molti fattori tra cui la predisposizione ereditaria, fattori ambientali e comportamentali, invecchiamento e gravidanze. Entrano in gioco anche fattori biologici come ormoni, genetica, stress, farmaci e invecchiamento. L'obesità predispone l'individuo ad una serie di fattori di rischio cardiovascolare tra cui il diabete, l'ipertensione e l'aumento del tasso di colesterolo nel sangue. Il diabete di tipo 2 è quello maggiormente legato all'obesità e al sovrappeso. In effetti, il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2 aumenta già con un IMC nettamente al di sotto della soglia dell'obesità (IMC = 30). Il rischio di diabete di tipo 2 aumenta parallelamente all'imc, soprattutto nei soggetti con una predisposizione genetica a questa malattia e cala parallelamente alla perdita di peso. Le persone definite obese possono più facilmente riscontrare valori alti di trigliceridi (ovvero un tipo di grassi presenti nel sangue) e bassi valori di colesterolo HDL, il cosiddetto colesterolo buono, e di elevati valori di colesterolo LDL, definito anche come "colesterolo cattivo". Le persone obese con un forte accumulo di grasso endo addominale (la cosiddetta forma a mela") sono più facilmente soggette a tale situazione metabolica, ed hanno un elevato rischio di malattie coronariche. Con strumenti quali esercizio fisico e dieta e con conseguente diminuzione del peso, è prevedibile che la situazione lipidica nel sangue migliori Sono stati effettuati molti studi approfonditi sullo stretto rapporto che lega l'ipertensione (ovvero la pressione arteriosa elevata) e obesità, e nei paesi sviluppati l'ipertensione causata dall'obesità è calcolata sul 30-65% (a seconda degli studi). Infatti all'aumento del valore dell'imc si riscontra un aumento della pressione arteriosa, il rapporto è stato calcolato che ad ogni 10 kg corrisponda un aumento della pressione di 2-3 mm. Tale simbiosi la si riscontra anche quando il peso diminuisce, ed il rapporto in questo caso diventa che ad ogni 1% di peso complessivo perso corrisponda una diminuzione della pressione di 1-2 Hg Vi è una predisposizione maggiore all'ipertensione nelle persone definite in soprappeso rispetto a quelle con peso normale. Tre volte superiore in genere e sei volte superiore per la fascia di età cha va dai 20 ai 44 anni. Uno strumento fondamentale per orientare il paziente verso un peso ideale e l IMC (Indice di Massa Corporea) o BMI (Body Mass Index) Come calcolarlo: 8

11 Alterazioni del metabolismo lipidico Le alterazioni del profilo lipidico che caratterizzano la sindrome metabolica sono verosimilmente secondarie all'insulino-resistenza, che modifica la fisiologica soppressione del rilascio di acidi grassi da parte del tessuto adiposo nella fase post-prandiale. La maggiore disponibilità di precursori condiziona un aumento della sintesi di C-LDL da parte del fegato e una maggiore disponibilità di trigliceridi nella circolazione sistemica. L'insulino-resistenza si associa ad una ridotta attività delle lipoproteinlipasi di origine endoteliale che, in condizioni fisiologiche, contribuiscono alla sottrazione di trigliceridi dal flusso circolatorio e all'utilizzo dei prodotti del loro catabolismo come fonte energetica da parte dell'apparato muscoloscheletrico. Anche le LDL sono più ricche di trigliceridi e assumono l'aspetto di particelle più piccole e dense di quelle presenti nei soggetti con normale sensibilità all'insulina, manifestando una maggiore aterogenicità. Con il termine catabolismo s'intende l'insieme dei processi di eliminazione che hanno come prodotti finali sostanze più semplici e povere di energia, liberando quella in eccesso sotto forma di energia chimica ed energia termica. Le modificazioni indotte dall'insulino-resistenza sul metabolismo lipidico favoriscono lo sviluppo di obesità, che nei pazienti con sindrome metabolica assume un aspetto centrale con distribuzione viscerale dell'adipe soprattutto a carico dell'addome (Borsa omentale e sottocutaneo). L'insulinoresistenza modifica l'equilibrio tra fattori protrombotici e regolatori della fibrinolisi endogena a favore dei primi, contribuendo anche attraverso questo meccanismo all'aterosclerosi precoce e all'instabilità delle placche ateromasiche. L'iperinsulinemia e un'eventuale iperglicemia agiscono in modo sinergico con l'insulino-resistenza nel favorire una generica condizione di "trombofilia". Tra le anomalie più comuni del sistema emocoagulativo si segnalano l'iperattività piastrinica, l'incremento dei livelli plasmatici di alcuni precursori trombinici così come della stessa trombina e del D-dimero, e infine l'aumento di alcuni inibitori fisiologici della fibrinolisi come l'inibitore dell'attivatore del plasminogeno-1 e l'inibitore trombin-attivabile della fibrinolisi. Per trombofilia si intende una malattia ematologica, dovuta ad una coagulazione eccessiva del sangue, sviluppando di conseguenza trombosi ed embolie, sia venose che arteriose. A tutto questo si associa un'importante disfunzione endoteliale che si esprime principalmente con una riduzione dei vasodilatatori fisiologici (ossido nitrico, prostacicline) e con un aumento dei fattori ad azione pro-aggregante e vasocostrittrice (endotelina-1) Trigliceridi Anche i trigliceridi alti, possono essere un fattore di rischio per la Sindrome Metabolica. In questo caso la prevenzione è essenzialmente di tipo alimentare in quanto spesso valori elvati di trigliceridi sono correlati ad un eccessivo consumo di grassi e zuccheri. Vediamo alcuni valori di riferimento che ci possono orientare: Livello Concentrazione Normale minore di 150 mg/dl Medio alto mg/dl Alto mg/dl Molto Alto pari o superiore a 500 mg/dl 9

12 Ipertensione arteriosa Valori dell' ipertensione arteriosa Diastolica < 80 ottimale < 85 Normale > 89 < 120 < > 139 Moderata primo stadio di ipertensione Sistolica Ottimale Normale medio - elevata primo stadio di ipertensione L'ipertensione arteriosa è una delle componenti cliniche costanti nella sindrome metabolica. Nel diabete mellito può essere una condizione clinica associata che si comporta come un ulteriore fattore di rischio cardiovascolare, o la conseguenza della nefropatia diabetica, la quale esordisce con la microalbuminuria e progredisce successivamente verso la sindrome nefrosica e l'insufficienza renale cronica. Si definisce nefropatia diabetica l'insieme di alterazioni che coinvolgono il rene. L'insulino-resistenza come causa dell'ipertensione arteriosa Il ruolo dell'insulino-resistenza nella genesi dell'ipertensione arteriosa è documentato dall'osservazione che, in assenza di diabete mellito noto o clinicamente evidente, un'insulino-resistenza e un'iperinsulinemia sono state rilevate in oltre il 70% dei pazienti con ipertensione arteriosa essenziale, non necessariamente obesi. La prevalenza dell'ipertensione arteriosa nei pazienti con diabete mellito è circa doppia rispetto a quella della popolazione generale e tende ad aumentare in funzione dell'età, della durata della malattia diabetica, della presenza di obesità e di complicanze macro e microvascolari. La condizione di insulino-resistenza/iperinsulinemia si associa alla riduzione della vasodilatazione endotelio-dipendente. L'aumento delle concentrazioni di insulina circolante favorisce il riassorbimento renale di sodio e di acqua, una maggiore risposta vasocostrittrice all'aldosterone e all'angiotensina II, una ridotta azione dell'ormone natriuretico atriale, la stimolazione dell'attività nervosa simpatica e la modificazione di fattori locali di regolazione del tono vascolare, con inevitabili ripercussioni sulla pressione arteriosa sistemica. Inoltre la stimolazione dei fattori di crescita mediata dall'iperinsulinemia, soprattutto di quelli che agiscono sulla muscolatura liscia vasale come l'insulin-like growth factor-1, contribuisce alla vasocostrizione periferica e quindi all'aumento delle resistenze vascolari periferiche totali. L'ipertensione arteriosa accelera la progressione dei danni microvascolari e macrovascolari indotti dal diabete e dagli altri fattori di rischio cardiovascolare e aumenta la probabilità di eventi clinici di tipo ischemico, come dimostrato nello studio osservazionale UKPDS36 (UK Prospective Diabetes Study). Esiste una correlazione positiva tra valori progressivamente più elevati di pressione sistolica e la maggiore incidenza di infarto miocardico, che risulta peraltro di circa due volte più frequente per ciascun punto di pressione sistolica media nei pazienti diabetici. Oltre ad accelerare i processi di aterosclerosi vascolare, l'ipertensione arteriosa danneggia anche il miocardio modificandone la struttura, la funzione diastolica e quella sistolica. Il risultato finale è il rimodellamento del ventricolo sinistro, fenomeno progressivo ed evolutivo verso l'insufficienza cardiaca. È stata dimostrata una stretta associazione tra diabete mellito e ipertensione arteriosa con lo sviluppo di ipertrofia ventricolare sinistra, con un conseguente impatto maggiore del solo diabete sullo spessore della parete e dell'associazione diabete/ipertensione sulla massa ventricolare totale. La funzione ventricolare sinistra è compromessa sia nei pazienti affetti dalla sola ipertensione che in quelli affetti dal solo diabete, anche se l'entità della compromissione è decisamente più rilevante in coloro che presentano entrambe le patologie. Anche i fenomeni di morte cellulare programmata (apoptosi) vengono facilitati dalla coesistenza di ipertensione arteriosa e di diabete mellito attraverso l'aumento delle concentrazioni di angiotensina II secondario all'iperattivazione del sistema renninaangiotensina. D'altro canto l'aumento dello stress ossidativo secondario alla disfunzione endoteliale, associato all'insulino-resistenza, di per sé sembra facilitare il fenomeno dell'apoptosi a livello delle cellule 10

13 miocardiche, che vanno incontro a necrosi, e contribuire in tal modo allo sviluppo della cardiomiopatia descritta nei pazienti diabetici. In definitiva i pazienti con sindrome metabolica presentano un rischio elevato di sviluppare precocemente l'aterosclerosi, una malattia cronica delle arterie, e le sue complicanze. Riconoscere tale condizione permette di identificare i soggetti il cui profilo di rischio impone drastiche misure di correzione dello stile di vita. Volendo raggiungere i normali valori del peso corporeo ideale, del profilo glico-lipidico e dei valori di pressione arteriosa, bisogna sia fare attività fisica e seguire una dieta equilibrata sia vietare comportamenti scorretti e nocivi ( quali il fumo). Relazioni con la cardiopatia ischemica Il termine "fattore di rischio" apparve per la prima volta nel titolo di un articolo medico del 1963 e divenne successivamente ampiamente accettato anche per caratterizzare altre conseguenze dell'aterosclerosi, quali ictus e arteriopatia periferica. Il rischio cardiovascolare, così come definito da ampi studi osservazionali, non risulta in rapporto ad un solo determinante, ma appare correlato ad un ampio spettro di fattori di rischio che si manifestano in maniera diversa in ciascun individuo. Se un soggetto può presentare alcune di queste condizioni singolarmente espresse ad un livello elevato (per esempio grave ipercolesterolemia familiare, ovvero l'eccesso di colesterolo nel sangue o ipertensione arteriosa di grado severo), altri soggetti possono vedere accresciuto il loro rischio in quanto presentano una costellazione di caratteristiche solo lievemente alterate. Se pure queste ultime non appaiono da sole capaci di influenzare l'incidenza di malattie cardiovascolari, esse si potenziano reciprocamente e il rischio che ne deriva diventa clinicamente significativo. Si parla pertanto di «rischio cardiovascolare globale»: è chiaro che questa globalità è in funzione del tipo e del numero, oltre che del livello dei fattori di rischio considerati, e che potrà ulteriormente variare in funzione di condizioni non incluse o per valori dei fattori di rischio non considerati. Tutti i fattori implicati nella sindrome metabolica sono i principali fattori di rischio cardiovascolari. Diabete e rischio cardiovascolare Vari studi epidemiologici e patologici indicano il diabete come un fattore di rischio indipendente per le cardiopatie sia negli uomini sia nelle donne. La percentuale di morte delle persone affette da diabete per colpa di malattie cardiovascolari si attesta al 65%. Il diabete mellito è inoltre un fattore prognostico negativo per tutti i pazienti con malattia coronarica e in particolare per i pazienti sottoposti ad interventi coronarici percutanei (PCI). La restenosi, anomalia che si verifica quando si riformano placche aterosclerotiche nelle coronarie, in precedenza rimosse con un intervento chirurgico chiamato angioplastica, rappresenta il principale svantaggio degli interventi coronarici per via transcutanea da quando sono state utilizzate per la prima volta. A seguito del danno causato dalla restenosi le cellule muscolari lisce vascolari (VSMCs, acronimo di Vascular Smooth Muscle Cells) modificano il loro fenotipo, prima contrattile ora sintetico (dedifferenziazione), proliferando nella tonaca media e formando così la neointima. Altri studi hanno invece dimostrato che le cellule di midollo osseo circolanti originano la metà del tessuto neointimale. Per fenotipo si intende la totale manifestazione fisica di un organismo, ottenuti da una combinazione fra il patrimonio genetico e le condizioni ambientali in cui vive. La neointima è una nuova struttura organica creata dall'accumulo di cellule muscolari lisce nella tonaca intima, causata sempre da un qualche danno all'organismo provocato da un intervento sulla persona (angioplastica, catetere a palloncino) Per prevenire la restenosi si utilizzano farmaci antiaggreganti (come l'aspirina), ipolipemizzanti (come le statine); si dovrebbe inoltre cessare il consumo di sigarette e similari e infine mantenere un corretto profilo glucidico (ridurre l'assunzione di carboirdati). L'NO (ovvero l'ossido nitrico) sembra svolgere un lavoro di "protezione" del sistema vascolare, inibendo l'attivazione delle piastrine, l'ispessimento della neointima, il reclutamento dei leucociti e l'ossidazione delle LDL. Di fatto, la perdita della vasodilatazione NO-dipendente è un aspetto importante nella disfunzione endoteliale caratterizzante il diabete, poiché inibisce l'attivazione delle piastrine, l'ispessimento della neointima, il reclutamento dei leucociti e l'ossidazione delle LDL. Si pensa che l'no, con alcuni fattori di crescita, favorisca la proliferazione endoteliale, tanto nel corso del cambio endoteliale che nella creazione di nuovi vasi. 11

14 Oltre al rischio concreto che corre una persona di sviluppare malattia aterosclerotica coronarica, esiste anche una cardiomiopatia diabetica che non si associa agli altri fattori di rischio cardiovascolare ma che deriva soltanto dalle alterazioni metaboliche della malattia diabetica. Diverse alterazioni molecolari sono state riscontrate nel diabete mellito. Il tessuto muscolare diabetico, mostra una riduzione dell'attivazione indotta dall'insulina di PI3 kinase e di AKT. Nel miocardio di persone diabetiche è anche presente una alterazione della risposta angiogenetica in seguito ad ischemia, anomalia che si fonde con la riduzione delle capacità riparative. Dislipidemie e rischio cardiovascolare Per dislipidemia si intende un qualsiasi difetto del metabolismo delle lipoproteine. Tra i fattori di rischio cardiovascolare, un ruolo di primo piano è riconosciuto ai disordini del metabolismo lipidico. La maggior parte dei pazienti che presentano aterosclerosi precoce non sono affetti da iperlipemie gravi, piuttosto manifestano aumenti di grado moderato di colesterolo LDL e trigliceridi o una riduzione di colesterolo HDL. Un aumento della colesterolemia, e in particolare dei livelli di LDL, rappresenta un determinante principale di malattia coronarica, specialmente quando inserito nel contesto del profilo di rischio complessivo. L'aumento del grasso viscerale, la cosiddetta obesità addominale, una pressione arteriosa elevata e l'insulino-resistenza sono tutti fattori spesso associati ad un incremento dei livelli plasmatici di trigliceridi e ad una riduzione del colesterolo HDL. La lipodistrofia di Dunnigan è un'anomalia genetica con caratteristiche che ricordano la sindrome metabolica. Ipertensione e rischio cardiovascolare Livelli pressori preipertensivi (fra i 120/80 ed i 139/89 mmhg) sono associati ad aumento del rischio di malattie cardiovascolari. Il rischio risulta comunque abbastanza eterogeneo: alcuni soggetti preipertesi sono infatti maggiormente a rischio rispetto agli altri, come ad esempio anziani, obesi, diabetici ed afroamericani. Sembra che sia la pressione sistolica il fattore maggiormente predittivo di rischio cardiovascolare. Ciò è valido in un ampio range di età. Rispetto alla pressione sistolica, quella differenziale e la pressione arteriosa media non risultano altrettanto costantemente indicative come fattori predittivi del rischio cardiovascolare nelle varie fasce d'età. Un'eccessiva riduzione della pressione diastolica dovrebbe essere evitata nei pazienti con coronaropatie. Bisogna comunque rimanere aggressivi nella riduzione della pressione, soprattutto di quella sistolica, ma clinicamente non si deve dimenticare che se la pressione diastolica scende sotto i 70 mmhg è possibile andare incontro a compromissione del flusso coronarico ed all'aumento del rischio di un evento negativo. La perfusione coronarica avviene infatti prevalentemente durante la diastole, in contrasto con quanto avviene in tutti gli altri settori della circolazione. Il minor rischio di esiti negativi si osserva per una pressione di 128/74 mmhg. La sistole è una fase del ciclo cardiaco in cui il muscolo cardiaco si contrae, la pressione sistolica si riferisce infatti al valore pressorio del sangue arterioso più alto raggiunto durante il battito cardiaco La diastole è il periodo di rilassamento del muscolo cardiaco dopo la contrazione (ovvero la sistole), la pressione diastolica si riferisce infatti al valore pressorio del sangue arterioso più basso raggiunto durante il battito cardiaco Prevenzione Molti fattori possono essere controllati o modificati dallo stile di vita di una persona. Un'attività fisica regolare (circa 30 minuti al giorno) migliora la captazione di insulina da parte dei tessuti, migliora in generale tutto il metabolismo dei carboidrati, nonché contribuisce alla diminuzione del peso corporeo che è notoriamente associato ad una diminuzione dei valori pressori. Una dieta povera di grassi e ricca di alimenti contenenti acidi grassi omega3 (riscontrabili nel pesce) diminuisce il colesterolo totale ed i trigliceridi, aumentando le HDL e di conseguenza migliorando l'assetto lipidico. 12

15 PIANTE MEDICINALI UTILI NELLA TERAPIA DEL DIABETE Prima di iniziare a parlare di fitoterapia dobbiamo ricordare che il diabete è una patologia molto delicata che deve essere gestita e seguita dal medico curante o dal centro antidiabetico. È comunque importante conoscere le piante utili a controllare la glicemia per poter dare dei consigli al banco ed evitare magari il fai da te da parte del paziente. La fitoterapia sarà uno strumento utile soprattutto nella prevenzione dell insorgenza della malattia nelle persone che presentano una predisposizione e sarà utile anche nella prevenzione della Sindrome Metabolica. Piante a polofenoli: attraverso la loro azione antiossidante inbiscono la -glicosidasi Eucalipto (Eucalyptus globulus ) Famiglia: Myrtaceae Origini:Australia Parti utilizzate: Foglie dei rami adulti Fitocomplesso: o Un olio essenziale(1,5-3,5%) particolarmente ricco in eucaliptolo (o 1,8-cineolo) o Monoterpeni (_pinene, p-cimene, ecc) o Triterpeni (derivati dell acido ursolico) o Flavonoidi o Polifenoli e calyptodie o Tannini Per l azione ipoglicemizzante si utilizza la Tintura Madre a bassa gradazione alcolica (30-35 ) o l infuso di foglie, con tempi d infusione lunghi (20 minuti) per evitare alte concentrazioni di monoterpeni e triterpeni. Responsabili dell azione ìpoglicemizzante sono principalmente i polifenoli ed in parte il calyptodie, che attraverso la loro azione antiossidante inbiscono la -glicosidasi, importanti enzimi digestivi, situate sull orletto a spazzola delle cellule dell intestino tenue e deputate alla scissione dei carboidrati complessi come disaccaridi e polisaccaridi in carboidrati semplici (monosaccaridi )che poi vengono assorbiti. Proprio per questo motivo l assunzione dovrà essere fatta prima o durante il pasto principale, Anche i Tannini impedirebbero la digestione delle sostanze amilacee, riducendo così il picco glicemico postprandiale. Posologia: Eucalipto T.M. a bassa gradazione alcolica, 60 gtt x 2 volte al giorno durante pranzo e cena. N.B. L'olio essenziale è presente in Farmacopea ufficiale. È utilizzato per la sua attività balsamica, fluidificante delle secrezioni catarrali dell'apparato respiratorio e sedativa della tosse (in preparazioni galeniche ad uso esterno o per via orale, in capsule o soluzioni liquide). L'aerosol può essere irritativo, e i dati di un recente lavoro dimostrano che oli essenziali ad alte concentrazioni possono ridurre in vitro l'attività ciliare delle cellule della mucosa respiratoria non protetta dal muco. Sperimentalmente l'eucalipto ha ridotto l'iperglicemia in topi sovrappeso, e quindi potrebbe rappresentare una potenziale risorsa anche per il paziente diabetico. Controindicazioni, soprattutto dell olio essenziale: nausea, vomito, gastrite miosi, disturbi dello stato di coscienza, convulsioni (alte dosi di olio essenziale). Ipersensibilità accertata verso uno o più componenti 13

16 . Anche altre piante hanno nel loro fitocomplesso polifenoli con azione ipoglicemizzante: o Noce (juglans Regia) foglie o Vaccinium Myrtillus (Mirtillo nero) foglie o Agrimonia Eupatoria sommità o Rosmarinus Officinalis o Salvia Officinalis Queste piante possono essere usate insieme in una tisana o miscelati insieme come Tintura Madre. Se usate singolarmente è consigliabile la T.M. 60 gtt x 2 durante i pasti L Agrimonia, oltre ai polifenoli, contiene triterpenoidi, flavonoidi e tannini con azione astringente, utile dunque in persone che tendono ad avere episodi di diarrea leggera. La Salvia, oltre ai polifenoli contiene anche flavonoidi che insieme svolgono una blanda azione similestrogenica, inoltre svolge un azione anidrotica bloccando la secrezione delle ghiandole sudoripare.sarà da prediligere nelle donne in menopausa, con ipersudorazine e con iperglicemia. Il Rosmarino con la presenza di acido rosmarinico(attività coleretica) e flavonoidi aiuta la funzionalità epatodigestiva e svolge un azione spasmolitica sulla mucosa gastrointestinale. Piante a glucochinine guanidiniche: Aumentano il numero dei recettori insulinici di membrana, potenziando l effetto insulinico di membrana. Galega officinalis Arctium Lappa (Bardana) Urtica Dioica foglie Galega officinalis Famiglia: Fabaceae Parti utilizzate: Foglie e parti aeree Fitocomplesso: Flavonoidi polisaccaridi polifenoli galegina (derivato guanidinico) La Galega è una pianta che la medicina popolare utilizza comunemente per favorire la lattazione (da cui anche il nome 'galega' dal greco gala aghein) e come rimedio antidiabetico. La galega è la fonte botanica da cui è stata isolata per la prima volta nel 1950 la Metformina. Più che un azione ipoglicemizzante, la pianta svolge un azione anti-iperglicemizzante, non induce rilascio di insulina dal pancreas, ne provoca ipoglicemia. Non presenta effetti sulla secrezione di glucagone, cortisolo, ormone della crescita o somatostatina. La galegina (composto glucochinino guanidinico) aumentano il numero dei recettori insulinici di membrana e potenzia l effetto insulinico all interno della cellula, aumentando l azione dell insulina a livello del tessuto muscolare e adiposo. Oltre a potenziare l effetto dell insulina, la galegina riduce la produzione epatica di glucosio. Inoltre in parte il fitocomplesso, probabilmente per la presenza di polifenoli, riduce l assorbimento intestinale di glucosio. Interazioni: Antidiabetici orali Avvertenze: Sono stati descritti casi di intossicazioni in animali (pecore e bovini) con dispnea, schiuma dalla bocca, accessi di tosse e morte, dovuto al consumo della pianta fresca. 14

17 Arctium Lappa (Bardana) Parti utilizzate:radici Fitocomplesso: Lignani:arctigenina, matairesinolo, lappaoli (azione detossificante) Sesquiterpeni: arctiolo, eudesmolo, fukinone (azione cicatrizzante per uso esterno) Acidi organici (malico, lattico, tartarico) Polifenoli: acido caffeico, acido clorogenico Acido -guanidin butirrico (az.ipoglicemizzante) Steroli: sitosterolo, stigmasterolo (az.antinfiammatoria) Inulina (azione equilibrante sulla flora batterica intestinale) Mucillagini, Tannini (protettiva della mucosa intestinale) Principalmente l estratto della radice di Bardana viene utilizzato nelle affezioni dermatologiche per la sua azione depurativa sulla pelle. Usata in caso di dermatiti, foruncolosi, acne, psoriasi, seborrea. Ha un organotropismo per la cute, apparato urinario, metabolismo glucidico, disintossicante epatico e intestinale. Contiene derivati guanidinici e svolge anche un azione ipoglicemizzante, comunque meno marcata rispetto alla galega. Una delle indicazioni principali sarà dunque nelle affezioni dermatologiche del paziente diabetico. Le foglie per uso esterno usate come applicazioni locali svolgono un attività antinfiammatoria e disinfettante. Urtica Dioica Parti utilizzate: Foglie Famiglia: Urticaceae Fitocomplesso: Sali minerali (K, Ca, Mg), silicati, acidi organici, proteine (23-24% della pianta secca), aminoacidi, flavonoidi, cumarine, vitamina C, B, K. Tra le piante a glucochinine guanidiniche è quella che presenta un azione ipoglicemizzante minore. Svolge principalmente un azione rinineralizzante ed antiastenica per la presenza di protidi, aminoacidi e sali minerali. La presenza di flavonoidi determina una leggera azione diuretica ed antiinfiamatoria, antireumatica. L utilizzo consigliato potrebbe essere nella cura dell astenia fisica del diabetico. N.B. L ortica radice svolge un azione antiprostatica, in particolare sulla componente infiammatoria. 15

18 PIANTE DI MAGGIOR INTERESSE FITOTERAPICO PER LA PREVENZIONE DEL DIABETE Gymnema silvestre Famiglia: asclepiadaceae Origine: India e Paesi dell Africa centrale Droga: Foglie Sinonimi: Gur-mar (dalla lingua Hindu che significa eliminatore di zuccheri ) Fitocomplesso: o Polifenoli o Glucosidi triterpenici (acidi gimnemicia-d), molecole molto simili tra loro, il cui aglicone sono costituiti dalla gimnemagenina e dall gimnestrogenina e fra i quali il più attivo risulta essere l acido gimnemico A1. La Gimnema agisce principalmente attraverso due meccanismi: 1. Riduce l assorbimento intestinale del glucosio attraverso un blocco reversibile dei recettori per il glucosio a livello dei villi intestinali, sembra che in particolare l acido gimnemico abbia un meccanismo di tipo competitivo rispetto al glucosio nel legame con il recettore presente a livello intestinale. 2. agisce sia sul Diabete di tipo I che tipo II in quanto aumenta l azione dell insulina a livello sistemico ed alcuni esperimenti su animali hanno evidenziato un azione rigenerante e rivitalizzante sulle cellule del Pancreas. N.B. è stato sperimentalmente provato che l effetto ipoglicemizzante della pianta avviene solo in presenza di Diabete e in caso di persone sane non produce alcun effetto ipoglicemizzante. Posologia: Gymnema E.S. 300 mg x 2 volte al giorno prima dei pasti Famiglia: Cucurbitaceae Origine: Cina e regioni sud-est asiatiche Mormodica Charantia L. Fitocomplesso: o Glucosidi (momordicosidi) o Flavonoidi o Licopene o Glucosidi steroidei (Luteolina, citrullina, charantina, cryptoxantina) o Proteine ad azione insulino-mimetica (polipeptide-p) o Tracce di alcaloidi Meccanismo d azione: i glucosidi steroidei ed in particolare la charantina svolgono un azione stimolante la secrezione di insulina da parte delle cellule del Pancreas oltre ad inibire la -glicosidasi intestinale, enzima presente sui villi intestinali che trasforma i carboidrati in monosaccaridi facilmente assimilabili. È una pianta utile nel diabete tipo II e riduce sensibilmente sia la glicemia postprandiale sia i valori dell emoglobina glicata. Posologia: 1 o 2 capsule da 100 mg (titolate al 7-8% in fitosteroli) da assumere durante i pasti principali. 16

19 Famiglia: Lytraceae Droga: foglie Banaba (Lagerstroemia speciosa) Fitocomplesso: o Triterpenoidi: (acido corosolico, acido maslinico) o Kaempferolo o Ellagitannini (lagerstroemin, flosin B e reginin A) o Tannini (lagertannini) Meccanismo d azione: In particolare l acido corosolico svolge un azione insulino-simile, in particolare sembra stimolare, come l insulina, l up-take cellulare di glucosio. Il vantaggio è che la pianta a differenza dell insulina, che deve essere somministrata per via sottocutanea, è efficace anche se somministrata per via orale svolge un azione insulinosimile ed ha un meccanismo d azione che possiamo definire complementare ai farmaci ipoglicemizzanti di sintesi. Posologia: è stato sperimentalmente dimostrato che l estratto oleoso di Banaba svolge un azione ipoglicemizzante più marcata rispetto all estratto secco, probabilmente per un maggiore assorbimento a livello intestinale e quindi una maggiore biodisponibilità. Banaba Capsule di gelatina molle, 30 mg /die di estratto standardizzato all 1% in acido corosolico, da assumere preferibilmente durante o dopo i pasti principali. La Banaba ed in particolare l acido corosolico dunque apre nuovi scenari nel futuro della terapia del diabete. Cromo polinicotinato Il cromo stimola l attività degli enzimi responsabili del metabolismo del glucosio, è utile per l energia dell organismo e per al sintesi degli acidi grassi e del colesterolo. Il cromo e parte integrante del GTF (Glucose Tollerance factor ) ed è stato dimostrato che una sua carenza è una delle cause principali dell insulino-resistenza. Oltre a migliorare il metabolismo degli zuccheri dei grassi e del colesterolo, svolge un azione preventiva nello sviluppo della Sindrome Metabolica. Meccanismo d azione: Il cromo favorisce l attacco dell insulina ai recettori specifici di membrana, probabilmente è un cofattore importante per la formazione di legami disolfuro tra l insulina e il recettore. In questo modo migliora sia il metabolismo glucidico, ma anche quello proteico e lipidico. STEVIA REUBAUDIANA La stevia è un a pianta endemica dell America Meridionale. Viene attualmente coltivata in tutta l America Centro-meridionale e in Asia (Thailandia, Cina, Corea, Giappone). La popolazione endemica chiama la pianta Guarani che significa erba dolce. Droga: Foglie. Anche se tutte le parti della pianta hanno sapore dolce, le foglie hanno una più alta concentrazione in principi dal sapore dolce. 17

20 Fitocomplesso: 42% di sostanze idrosolubili e in particolare di terpeni glucosidici: o Stevioside o Steviolbioside o Rebaudioside A o Reubaudioside B o Rebaudioside C o Dulcoside A o Dulcoside B Lo stevioside e il reubaudioside hanno un potere 300 volte più dolcificante del saccarosio. Il dulcoside a e B hanno un azione dolcificante 100 volte maggiore del saccarosio. I principi attivi hanno un potere dolcificante 300 volte superiore al saccarosio e le foglie essiccate sono 15 volte più dolci dello zucchero tradizionale. Da non dimenticare dunque l utilizzo della pianta come taglio tisana in aggiunta ad eventuali tisane preparate in farmacia come correttivo del sapore e per renderla più gradevole. Vantaggi nellutilizzo dell estratto di Stenia Reubaudiana: o potere dolcificante 300 volte quello del saccarosio o privo di calorie o acariogeno o stabile al calore la pianta potrà essere utilizzata in tutta sicurezza in caso di: o trattamento dell obesità o mantenimento del peso corporeo o prevenzione e riduzione della carie e della placca o trattamento del diabete Lo stevioside e il reubaudoside sono stabili al calore ( fino a 250 ) e stabili in un intervallo di PH compreso fra 3 e 9. Queste caratteristiche lo rendono un ottimo additivo come dolcificante, nella preparazione di prodotti da forno. La leggera attività antibatterica mostrata da alcuni dei composti contenuta negli estratti, li rende non fermentabili e poco favorevoli allo sviluppo della placca batterica, quindi perfetta per entrare nella composizione di caramelle chewing-gum e bevande. Anche nella sperimentazione animale lo stevioside ha dimostrato un azione ipoglicemizzante. L azione dello stevioside e delo steviolo sono stati studiati su ratti con diabete tipo I (insulino dipendente) e di tipo II (insulino-indipendente) e in entrambi i casi si è registrato una netta riduzione dei tassi ematici di glucosio. È stato dimostrato sperimentalmente, utilizzando isolotti pancreatici sani di topo e linee di cellule -pancreatiche con diabete di tipo I, che sia lo stevioside, ma in modo più marcato lo steviolo, inducono un aumento della secrezione di insulina dagli isolotti incubati e l effetto risulta dose dipendente. Abbiamo dunque a disposizione in Farmacia un dolcificante senza calorie e che svolge un azione insulinotropico e anti-iperglicemico. Studi sull uomo hanno dimostrato che un pasto standard contenete 1 gr di stevioside somministrato a 12 pazienti con diabete di tipo II è stato in grado di abbassare i livelli di glucosio post-prandiale del 18% circa, Dopo il trattamento con lo stevioside, la secrezione di insulina è aumentata del 40% e non è stata notata glicosuria. In un altro esperimento condotto su persone con diabete tipo II, l utilizzo del reubauside, a concentrazioni 7 volte maggiori rispetto all introito quotidiano tradizionale, ha dimostrato effetti positivi sull omeostasi del glucosio e sul profilo lipidico e sulla pressione sanguigna. Questo apre nuovi scenari e prospettive future incoraggianti sulla prevenzione della sindrome metabolica. 18

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