il Giurista del Lavoro

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1 I fondamenti giuridici del rapporto di lavoro all'estero e le tutele in caso di licenziamento a cura di Francesco Natalini Direttore Responsabile dei periodici di Centro Studi Lavoro e Previdenza e Consulente del Lavoro in Vercelli Si deve in primo luogo premettere che i fondamenti giuridici del rapporto di lavoro all estero trovano la loro fonte primaria nella Costituzione che, all'art.35, co.4, tutela il lavoro italiano all'estero e riconosce la libertà di emigrazione. Alla Carta costituzionale si aggiungono anche le norme transazionali, riconducibili al diritto internazionale privato (c.d. d.i.p.) che, da parte loro, stabiliscono l'obbligo per ciascuno Stato: di formulare e attuare una politica nazionale diretta a promuovere e garantire per i lavoratori migranti e per i familiari degli stessi la parità di opportunità e di trattamento in materia di occupazione e di professione, di sicurezza sociale, di diritti sindacali e culturali, nonché di libertà individuali e collettive; di adottare tutte le disposizioni necessarie e opportune per sopprimere le forme di migrazione clandestina e di occupazione illegale di lavoratori migranti, anche contro gli organizzatori di movimenti migratori illeciti o clandestini. Va però anticipato che, in questa materia, l interprete, dovendosi confrontare con un coacervo di discipline interne e internazionali (comunitarie e non), si trova spesso di fronte a difficoltà ben superiori rispetto a quelle emergenti dall esegesi del solo diritto interno, essendo costretto non solo a valutare attentamente i complicati (e non ben definiti) rapporti gerarchici tra le varie fonti, ma anche a tenere conto che le insidie possono provenire semplicemente da una mera traduzione di termini e di concetti, il cui senso voluto dalla norma transazionale (o da essa derivata) non sempre collima con il senso attribuito a quel termine dalla lingua italiana. I fondamenti giuridici del diritto internazionale poggiano a loro volta su alcuni principi generali a cui la normativa (interna o transazionale) deve conformarsi. Il presente intervento è, per l appunto, impostato in modo da fornire una mera disamina generale, sotto un profilo teleologico, di tali principi, declinandone i tratti essenziali, affinché da questi si possa arrivare a comprendere quale siano gli obiettivi e le finalità che intendono perseguire, rimandando il lettore, per un maggior approfondimento, alla normativa, alla giurisprudenza e alla copiosa prassi amministrativa. Il principio della libera circolazione delle persone all interno della UE Ricordiamo che l ordinamento giuridico nazionale non prevede (né potrebbe prevedere) particolari vincoli o adempimenti amministrativi per assumere o trasferire lavoratori italiani in Paesi appartenenti alla Comunità economica europea, salvo il rispetto delle norme di pubblica sicurezza. Infatti, gli artt.45, 47 e 49 del Trattato sul funzionamento dell'unione europea del 25 marzo 1957 (ratificato con L. n.1203/57), come modificato dal Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 (ratificato con L. n.130/08), sanciscano il principio della libera circolazione dei lavoratori cittadini di uno Stato membro all'interno della Comunità, da cui discende quale necessario corollario che non può sussistere (o permanere) nell ordinamento alcuna norma che preveda una qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto concerne l'impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro. Gli unici ambiti in cui la libertà di circolazione può avere limitazioni giustificate esclusivamente da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza, sanità pubblica, da cui consegue che, se non si verte in tali ipotesi, sussiste il diritto di: rispondere a offerte di lavoro; spostarsi liberamente nel territorio degli Stati membri per la ricerca di un occupazione; prendere dimora in uno degli Stati membri al fine di svolgervi un'attività lavorativa, conformemente alle medesime disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che disciplinano l'occupazione dei lavoratori nazionali; restare, a condizioni che costituiranno l'oggetto di regolamenti di applicazione stabiliti dalla Commissione, sul territorio di uno Stato membro, dopo aver occupato un impiego. In attuazione dei predetti principi i Regolamenti comunitari prevedono, tra l'altro, che: 7

2 per ogni cittadino di uno Stato comunitario, a prescindere dal luogo di residenza, sussista il diritto di accedere a un'attività di lavoro subordinato e di esercitarla sul territorio di un altro Stato comunitario, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che disciplinano l'occupazione dei lavoratori nazionali di detto Stato; ogni cittadino di uno Stato comunitario, sul territorio di un altro Stato comunitario, debba godere della stessa precedenza riservata ai cittadini di detto Stato, per l'accesso agli impieghi disponibili; ogni cittadino di uno Stato comunitario o ogni datore di lavoro che esercita un'attività sul territorio di uno Stato comunitario possono scambiare le loro domande e offerte d'impiego, concludere contratti di lavoro e darvi esecuzione, conformemente alle vigenti disposizioni legislative, regolamentari e amministrative, senza che possano risultarne discriminazioni; per tali motivi, non sono applicabili le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative e le prassi amministrative di uno Stato comunitario che limitano o subordinano a condizioni non previste per i nazionali la domanda e l'offerta d'impiego, l'accesso all'impiego e il suo esercizio da parte degli stranieri ovvero che, sebbene applicabili senza distinzione di nazionalità, hanno per scopo o effetto esclusivo o principale di escludere i cittadini degli altri Stati comunitari dall'impiego offerto 1. In ossequio a quanto sopra enunciato i regolamenti comunitari stabiliscono l'inapplicabilità delle disposizioni o delle prassi che in uno Stato comunitario: prevedono il ricorso a procedure speciali di reclutamento di manodopera per gli stranieri; limitano o subordinano a condizioni diverse da quelle applicabili ai datori di lavoro che esercitano la loro attività sul territorio di detto Stato l'offerta di impiego per mezzo della stampa o con qualunque altro mezzo; subordinano l'accesso all'impiego a condizioni d'iscrizione ai centri per l impiego o ostacolano il reclutamento nominativo di lavoratori, quando si tratta di persone che non risiedono sul territorio di detto Stato. 1 Unica eccezione riguarda la possibilità di pretendere la conoscenza della lingua italiana in relazione all attività da svolgere. Questa eventualità può fungere da selezione e da sbarramento, ancorché indiretto, all avviamento di lavoratori non nazionali. Nel concreto ciò sta a significare che, in attuazione di tali principi, dal punto di vista procedurale e documentale, l ingresso e il soggiorno del lavoratore comunitario non è subordinato al possesso preventivo di un contratto di lavoro nello Stato membro e, ai fini dell'assunzione, è sufficiente la presentazione di un documento di identità in corso di validità, da cui risulti la nazionalità del soggetto. Un contratto di lavoro subordinato o autonomo risulta invece necessario quando egli intenda soggiornare per un periodo superiore a tre mesi, a cui si deve aggiungere la disponibilità di risorse economiche adeguate, nonché di un'assicurazione sanitaria al fine di non gravare economicamente sullo Stato membro ospitante. A tale riguardo, allo scopo di garantire comunque il diritto di soggiorno oltre i tre mesi per lo svolgimento dell'attività lavorativa o per la ricerca del lavoro, è previsto, per tutta la Comunità, il rilascio della carta di soggiorno di cittadino comunitario, con una validità minima di 5 anni, mentre se un cittadino UE risiede legalmente in altro Stato membro per un periodo ininterrotto di cinque anni acquisisce addirittura il diritto di soggiorno permanente in tale Stato, che potrà perdere solo qualora si assentasse dal predetto Stato per un periodo continuativo superiore a due anni. Il principio della lex loci laboris Una valutazione prioritaria, da farsi quando una prestazione lavorativa non viere resa nell ambito del territorio nazionale, riguarda proprio il luogo in cui questa viene o verrà svolta (c.d. loci laboris). È infatti fondamentale sapere dove il lavoro verrà prestato, in quanto la disciplina applicabile al rapporto di lavoro dipende di norma dal Paese di destinazione del lavoratore (cioè il Paese di lavoro ), a prescindere quindi dalla sede in cui è ubicato il datore di lavoro o dalla residenza dello stesso lavoratore 2. Tale principio, che tende a privilegiare la sovranità territoriale di ogni Stato, emerge in tutta la sua criticità allorquando si verte in materia previdenziale. 2 In ipotesi di prestazioni temporanee e di breve durata, come nel caso della trasferta, si applica la legislazione italiana, anche se le criticità anche in questo caso non mancano, in quanto non è sempre facile identificare la zona di confine tra trasferta, trasferimento o assegnazione di breve durata (distacco). Inoltre se non c è accordo tra i Paesi non viene meno la potestà territoriale dello stato di lavoro, anche se la prestazione si è protratta per pochi giorni. Infine, le disposizioni sul lavoro all'estero, non si applicano ai lavoratori marittimi ed agli appartenenti al personale di volo, ai quali continua ad applicarsi la legislazione italiana. 8

3 Infatti se è vero, com è vero, che il lavoratore deve essere assoggettato alla legislazione del Paese di lavoro e, quindi, anche a quella previdenziale, se dovesse svolgere, in ragione della tipologia di attività esercitata, reiterati periodi di lavoro all estero (immaginiamo un installatore di impianti particolari o un responsabile commerciale), verosimilmente si troverebbe a fine carriera ad avere un puzzle di contribuzioni versate qua e là in vari Stati, con il rischio magari di non raggiungere (in nessuno di essi) i requisiti minimi pensionistici o, quel che è peggio, di perdere la contribuzione accreditata perché inutilizzabile. Ma dato che tale problema sussiste per tutti i lavoratori cittadini di uno Stato (o comunque ivi soggiornanti per motivi di lavoro), quando prestino l attività al di fuori dei confini, è stata quasi una scelta obbligata, per le autorità nazionali, cercare di trovare una soluzione pattizia attraverso convenzioni bilaterali, visto che il medesimo problema sussiste, evidentemente, a parti invertite, per i lavoratori di ogni Stato. Per quanto concerne i Paesi comunitari la convenzione è per così dire compresa nel prezzo, nel senso che aderire alla Comunità europea significava (e significa) aderire anche alla Convenzione Europea di sicurezza sociale. Ciò appare più evidente per i Paesi che sono arrivati per ultimi a farne parte: in particolare i paesi dell ex blocco sovietico e da ultimi, la Romania e la Bulgaria.? Ma qual è il meccanismo su cui si basano le convenzioni di sicurezza sociale? Trattasi semplicemente di una deroga (bilaterale) al principio della lex loci laboris. Vale a dire che, rispetto alla regola generale, in base alla quale si dovrebbe applicare la legislazione (e quindi anche quella previdenziale) dello Stato in cui si svolge l attività lavorativa, in questi casi si applica (o per meglio dire si può applicare) la legislazione previdenziale dello Stato di invio. Le convenzioni, inoltre, assicurano, in subordine, la possibilità di beneficiare della totalizzazione dei periodi contributivi e di poter esportare le prestazioni negli altri Stati membri (ad es. disoccupazione/aspi). A questa disciplina convenzionale hanno aderito nel corso degli anni anche altri Paesi europei, formalmente non comunitari, ma appartenenti allo Spazio SEE (Norvegia, Islanda e Liechtenstein) oltre alla Svizzera 3, ma anche numerosi Paesi extracomunitari tout court. Pertanto, quando ci si approccia alla disciplina previdenziale da seguire, una prima distinzione deve essere fatta tra: 1. Paesi dell'unione europea e dello Spazio economico europeo (SEE) e Svizzera 4 ; 2. Paesi extracomunitari convenzionati; 3. Paesi extracomunitari non convenzionati; come riassunto nella seguente tabella: - Austria - Belgio - Bulgaria - Cipro - Danimarca - Estonia - Finlandia - Francia - Germania Stati Comunitari - Grecia - Irlanda - Italia - Lettonia - Lituania - Lussemburgo - Malta - Olanda - Polonia - Portogallo - Regno Unito - Repubblica Ceca - Romania - Slovacchia - Slovenia - Spagna - Svezia - Ungheria Spazio SEE - Liechtenstein - Norvegia - Islanda Convenzionati Europa - Svizzera - Croazia - San Marino - Vaticano - Bosnia Erzegovina - Ex Jugoslavia - Macedonia - Monaco - Argentina - Australia - Canada e Quebec - Israele - Jersey - Isola di Man - Isole del Canale Altri Paesi - Messico - Capo Verde - Corea - Tunisia - Turchia - Stati Uniti - Uruguay - Venezuela 3 A far data dal 1 giugno 2002, in base all'accordo stipulato tra la Confederazione elvetica e gli Stati dell'unione europea (Circ. Inps n.118/02 e n.78/23), mentre per quanto attiene alla Convenzione europea di sicurezza sociale, entrata in vigore il 12 aprile 1990, essa rimane di fatto tuttora applicabile solo nei rapporti con la Turchia. 4 Una disciplina specifica è prevista per i lavoratori c.d. frontalieri, cioè quei cittadini italiani che, pur avendo la residenza e il domicilio in Italia, attraversano ogni giorno il confine nei due sensi in virtù di un contratto di lavoro in base al quale svolgono la propria attività nello Stato estero. 9

4 Peraltro, il numero delle convenzioni bilaterali è destinato a crescere, in quanto risulta che vi siano nuovi accordi già firmati, in attesa solo di essere ratificati (Cile, Filippine ecc). Per quanto concerne i Paesi extracomunitari esistono invece convenzioni totali e convenzioni parziali (vedi infra). Il principio della tutela previdenziale del lavoratore italiano: la sentenza della Corte Cost. n.369/85 Se, come si è detto, la deroga al principio della lex loci laboris è possibile nei casi sub 1. e 2., richiamati al precedente paragrafo, non v è dubbio che il menzionato principio esplica in pieno i suoi effetti nei casi sub 3., cioè quando la prestazione viene resa in un Paese extracomunitario non convenzionato con l Italia. Ma, se, in ossequio a tale principio, ne deriva l adozione della disciplina previdenziale del Paese di lavoro, non può escludersi che questa non venga di fatto applicata. Ciò può avvenire per svariate ragioni: in primo luogo perché può trattarsi di un Paese in cui non esiste uno specifico obbligo di contribuzione, oppure perché lo stesso si trova alle prese con emergenze di tipo bellico o gravi sommosse. In tali casi il rischio che avrebbe potuto correre il lavoratore (italiano) chiamato a prestare attività lavorativa in detti Stati era, evidentemente, di trovarsi senza contribuzione (sia pensionistica che assicurativa), in quanto, da una parte, nel luogo di lavoro (pur sussistendone il diritto) nessuno richiedeva il pagamento della contribuzione e, dall altra, non era consentito poterla versare a un Ente di previdenza italiano. Per sopperire a tale possibile situazione di vuoto contributivo, è intervenuta la Corte Costituzionale che, con sentenza n.369 del 30 dicembre 1985, ha sancito l illegittimità costituzionale, per contrasto con l art.35 Cost., sia dell art.1 del R.D. n.1827/35 che degli artt.1 e 4 del DPR n.1124/65 (TU Inail), nella parte in cui non prevedevano una copertura del lavoratore italiano inviato all estero, sollecitando il legislatore a colmare il corrispondente vuoto normativo attraverso l emanazione di una specifica norma, la quale ha visto la luce nel 1987, attraverso il D.L. 31 luglio 1987 (convertito poi in L. n.398/87). Nella richiamata disposizione si prevede che, in tali casi (cioè quando il lavoratore opera in un Paese con cui l Italia non ha sottoscritto una Convenzione bilaterale di sicurezza sociale), i contributi vadano comunque versati (anche) in Italia (ad es. all Inps), calcolandoli però non sull imponibile retributivo effettivo (nel rispetto del minimale ex art.1, L. n.389/89), bensì su retribuzioni fisse, forfettarie, divise per classi, stabilite in origine proprio dal D.L. n.317/87 e poi aggiornate di anno in anno tramite decreto ministeriale (per il 2013 il decreto è del 7 dicembre 2012) 5. Su tali retribuzioni fisse viene altresì riconosciuta una rilevante riduzione di 10 punti percentuali dell aliquota IVS e altre riduzioni riferite a taluni contributi c.d. minori. Insomma, in questi casi la legge nazionale fa un sensibile sconto ai datori di lavoro, in quanto non può escludersi che i medesimi possano essere chiamati a pagare due volte gli oneri contributivi: sicuramente in Italia (ai sensi del D.L. n.317/87), ma anche, verosimilmente, nel Paese di lavoro. Le convenzioni parziali A dire il vero, la distinzione tra Paesi convenzionati e non convenzionati non esaurisce l ambito delle ipotesi previste, in quanto esistono anche Paesi nei confronti dei quali l Italia ha stipulato degli accordi di sicurezza parziali. In tali casi bisogna verificare quali assicurazioni sono coperte dalla convenzione (es. IVS, malattia, maternità, infortuni ecc) e quali restano escluse. Per le prime (cioè quelle rientranti nella convenzione) la contribuzione va assolta sulle retribuzioni effettive (come se fossero state prodotte in Italia), per le seconde sugli imponibili forfettari stabiliti con decreto. Segue: il principio della tutela in materia di prestazioni assistenziali Malattia e infortuni professionali Le prestazioni sanitarie spettano ai lavoratori assicurati e ai familiari a carico, ancorché residenti o dimoranti in Italia, secondo le norme della L. n.833/78. In caso di malattia, sul piano procedurale e documentale, è previsto che il lavoratore debba trasmettere, entro cinque giorni dal relativo rilascio, al datore di lavoro, il certificato medico attestante l'inizio e la durata presunta della malattia, nonché inviare il certificato di diagnosi alla locale rappresentanza diplomatica o consolare che, dopo verifica da parte di un medico di fiducia, ne curerà l'inoltro all'inps 6. 5 A scanso di equivoci, e per evitare fraintendimenti dal punto di vista lessicale, va detto che il regime degli imponibili previdenziali fissi, cioè convenzionali, va applicato paradossalmente proprio dove non c è convenzione bilaterale tra i Paesi. 6 Per i particolari oneri di certificazione per i lavoratori italiani all'estero che si trovano temporaneamente in malattia e con 10

5 Il sistema di liquidazione e pagamento dell'indennità in favore del lavoratore ammalato nei Paesi extracomunitari non convenzionati è analogo a quello previsto per i lavoratori che si ammalano in Italia. Vale a dire: anticipazione del trattamento da parte del datore di lavoro, con successivo conguaglio in sede di versamento contributivo, ovvero pagamento diretto a cura dell'istituto nei casi previsti dalla legge. Per quanto concerne la maternità, l art.3, co.1, lett.c), del D.L. n.317/87 dispone che l'indennità è dovuta secondo la legislazione nazionale per i periodi previsti dagli artt.4 e 5 della L. n.1204/71 (oggi: artt.16 e 17 del D.Lgs. n.151/01), dietro presentazione al datore di lavoro e all'inps dei certificati attestanti rispettivamente la data presunta e quella effettiva del parto, verificati da un medico di fiducia della locale rappresentanza diplomatica o consolare, mentre le prestazioni economiche sono erogate sulla base della retribuzione imponibile convenzionale, determinata con decreto ministeriale. Per evitare la duplicazione della tutela, l art.3, co.3, del più volte richiamato D.L. n.317/87, prevede che, nel caso in cui per la malattia o l'infortunio o la malattia professionale 7 venga corrisposta al lavoratore una prestazione da parte dell'ente straniero presso il quale è obbligatoriamente iscritto in forza della legge locale, l'istituto previdenziale italiano erogatore di analoga prestazione economica riduce quest'ultima in misura corrispondente. È altresì previsto (art.3, co.4, 5 e 6 del D.L. n.317/87) che i datori di lavoro anticipino: le prestazioni economiche di malattia e maternità che sono poi conguagliate in conformità della legislazione nazionale dal datore di lavoro con i contributi dovuti; le prestazioni economiche di indennità temporanea e assoluta dell'assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali, che sono rimborsate trimestralmente dall'inail; le prestazioni di assistenza sanitaria indiretta cioè erogata da strutture sanitarie locali dei cui oneri può essere chiesto il rimborso secondo le modalità che seguono. particolare riferimento alla malattia incorsa durante le ferie all'estero si veda quanto esposto in tema di malattia (circ. Inps n.156/88). 7 Va ricordato che, ai sensi dell'art.3, co.1, lett.a) e b), D.L. n.317/87, la tabella delle malattie professionali vigente in Italia può essere aggiornata con apposito decreto del Ministro del Lavoro in relazione alle tecnopatie proprie delle aree geografiche dove i lavoratori svolgono la propria attività. Da ultimo, va ricordato che l art.7, DPR n.618/80, dispone che il diritto al rimborso delle spese sanitarie sostenute per erogare ai propri dipendenti all'estero l'assistenza sanitaria "indiretta" è previsto nei limiti dei livelli garantiti dal SSN (sempre che tali spese siano da ritenersi congrue in relazione a prezzi, tariffe e onorari del luogo, tenuto conto delle possibilità di assistenza sanitaria e degli usi locali) e che le domande di rimborso debbano essere trasmesse alle rappresentanze diplomatiche o consolari entro 3 mesi dall'effettuazione della relativa spesa, a pena di decadenza dal diritto al rimborso (salvo il caso che l'assicurato non dimostri di non aver potuto rispettare il termine per motivi di forza maggiore). Il principio della libertà di scelta rispetto alla normativa applicabile al rapporto di lavoro Va premesso che, in ossequio al contenuto dell art.57 della L. n.218/95 (legge di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato), i rapporti di lavoro che si svolgono all'estero (sia in Paesi comunitari che extracomunitari) sono disciplinati, in assenza di specifica convenzione applicabile, in base a quanto disposto per le obbligazioni contrattuali dalla Convenzione di Roma del 19 giugno 1980, resa esecutiva con la L. n.975/84. L'art.6, co.2, della legge da ultimo richiamata attribuisce alle parti (datore di lavoro e lavoratore) la facoltà di scegliere la legge applicabile al rapporto, disponendo che, in mancanza di scelta, il contratto di lavoro venga regolato: dalla legge del Paese in cui il lavoratore, in esecuzione del contratto, compie abitualmente il suo lavoro, anche se è inviato temporaneamente in un altro Paese; dalla legge del Paese dove si trova la sede del datore di lavoro che ha proceduto ad assumere il lavoratore, qualora quest'ultimo non compia abitualmente il suo lavoro in uno stesso Paese, a meno che non risulti dall'insieme delle circostanze che il contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto con un altro Paese (in quest'ultima ipotesi si applica la legge di quest'altro Paese). Sulla materia è stato recentemente emanato anche un Regolamento CE: il n.593/08 definito Roma I, con valenza per i contratti conclusi a decorrere dal 17 dicembre 2009, a mezzo del quale si modifica anche la tecnica legislativa: non più un Trattato, seguito da una legge nazionale di recepimento (com è avvenuto con la L. n.975/84), ma direttamente un regolamento comunitario (direttamente applicabile), con attribu 11

6 zione di competenza, in caso di controversia, alla Corte di Giustizia. Va, però, rimarcato che la scelta effettuata dalle parti in merito alla legge regolatrice del rapporto, in base agli art.6, co.1, e art.3, co.1 della L. n.975/84, non vale comunque, in alcun caso, a privare il lavoratore della protezione assicuratagli dalle c.d. norme imperative della legge che regolerebbe il contratto in mancanza di scelta. Oltre alle norme imperative la libertà di scelta può essere inibita, o quantomeno compressa, quando impatta contro le c.d. N.a.n. (Norme di applicazione necessaria), oggi contemplate oltre che dall art.7, co.2 della L. n.975/84 e dall art.17 della L. n.218/95, anche dall art.9 del richiamato regolamento CE n.593/08. Quindi, allo stato, convivono tre definizioni giuridiche di N.a.n., così suddivise in base al seguente schema e con le relative definizioni: L. n.975/84 Art.7 Disposizioni imperative e legge del contratto 1. Nell'applicazione, in forza della presente convenzione, della legge di un paese determinato potrà essere data efficacia alle norme imperative di un altro paese con il quale la situazione presenti uno stretto legame, se e nella misura in cui, secondo il diritto di quest'ultimo Paese, le norme stesse siano applicabili quale che sia la legge regolatrice del contratto. Ai fini di decidere se debba essere data efficacia a queste norme imperative, si terrà conto della loro natura e del loro oggetto nonchè delle conseguenze che deriverebbero dalla loro applicazione o non applicazione. 2. La presente convenzione non può impedire l'applicazione delle norme in vigore nel Paese del giudice, le quali disciplinano imperativamente il caso concreto indipendentemente dalla legge che regola il contratto. NORME DI APPLICAZIONE NECESSARIA (N.A.N.) L. n.218/95 Art.17 Norme di applicazione necessaria 1. È fatta salva la prevalenza sulle disposizioni che seguono delle norme italiane che, in considerazione del loro oggetto e del loro scopo, debbono essere applicate nonostante il richiamo alla legge straniera. Reg. CE n.593/08 (ROMA I) Art.9 Norme di applicazione necessaria 1. Le norme di applicazione necessaria sono disposizioni il cui rispetto è ritenuto cruciale da un paese per la salvaguardia dei suoi interessi pubblici, quali la sua organizzazione politica, sociale o economica, al punto da esigerne l applicazione a tutte le situazioni che rientrino nel loro campo d applicazione, qualunque sia la legge applicabile al contratto secondo il presente regolamento. Altro motivo di compressione del principio della libertà di scelta è rappresentato dal contrasto con le c.d. norme relative all ordine pubblico (italiano), anche in questo caso disciplinate sia dall art.16 della L. n.975/84 che dall art.16 della L. n.218/95, oltre che dall art.21 del regolamento CE Roma I, con queste rispettive definizioni: L. n.975/84 Art.16 Ordine pubblico L'applicazione di una norma della legge designata dalla presente convenzione può essere esclusa solo se tale applicazione sia manifestamente incompatibile con l'ordine pubblico del foro. NORME DI ORDINE PUBBLICO L. n.218/95 Art.16 Ordine pubblico 1. La legge straniera non è applicata se i suoi effetti sono contrari all'ordine pubblico. 2. In tal caso si applica la legge richiamata mediante altri criteri di collegamento eventualmente previsti per la medesima ipotesi normativa. In mancanza si applica la legge italiana. Reg. CE n.593/08 (ROMA I) Art.21 Ordine pubblico del foro L applicazione di una norma della legge di un paese designata dal presente regolamento può essere esclusa solo qualora tale applicazione risulti manifestamente incompatibile con l ordine pubblico del foro. 12

7 Va chiarito che, ai sensi delle richiamate discipline, il concetto di ordine pubblico non va inteso nella sua mera accezione letterale (e in tal senso si richiama quanto già anticipato in premessa sulle criticità e ambiguità che possono emergere anche solo dalla mera traduzione di termini giuridici di derivazione transnazionale nella lingua italiana), quanto piuttosto quale ambito in cui operano norme che contemplano e tutelano diritti primari, fondamentali, previsti dall ordinamento nazionale. Ad esempio, se le parti contrattuali, in caso di lavoro all estero, optassero per la legislazione del Paese di lavoro, nel quale non fossero garantite norme sulla tutela della maternità, la tutela sarebbe comunque assicurata dalla normativa nazionale, che invece la prevede. Sulla base dell interpretazione giurisprudenziale e dottrinale si considerano rientranti nel concetto di norme di ordine pubblico, quelle riguardanti: (per l appunto), la maternità; il godimento delle ferie; la discriminazione tra uomini e donne 8 ; la libertà e dignità del lavoratore; la professionalità; la tutela in caso di trasferimento d azienda mentre, al contrario, non sono state classificate come tali le norme (interne) che garantiscono: la collocazione del riposo settimanale; le festività; le modalità di distribuzione e corresponsione della retribuzione; il divieto di interposizione manodopera; il Tfr; la 13ª mensilità 9. Sulla vicenda è sorta una diatriba in ordine alla possibilità o meno di ricondurre nella categoria delle norme di ordine pubblico anche le norme in tema di reintegrazione del posto di lavoro a seguito di licenziamento illegittimo e, più in generale, la tutela di cui all art.18 della L. n.300/70. A tal riguardo si rinvia a quanto verrà illustrato nel paragrafo dedicato al recesso dal rapporto di lavoro. In conclusione del capitolo si può riassumere la problematica delle deroghe al principio della liberta di scelta della legislazione da applicare al contratto di lavoro, ribadendo che esistono 3 livelli di protezione: 1. il primo, garantito dalle norme imperative; 2. il secondo, dalle N.a.n.: norme di applicazione necessaria (da autorevole dottrina definite superimperative 10 ); 8 Le prime tre fattispecie sono riconosciute a livello internazionale. 9 Cass. n.14662/00; Cass. n.23332/04; Cass. n.26976/ il terzo, assicurato dalle norme di ordine pubblico, cioè da quelle norme assolutamente inderogabili. Tutela del lavoratore italiano da assumere o inviare all estero: il controllo preventivo pubblico Allo scopo di valutare le condizioni di lavoro e di sicurezza, intesa quest ultima anche come incolumità personale (cioè extra lavorativa), prima di assumere o trasferire lavoratori italiani in Paesi extracomunitari, al fine di eseguire opere, commesse o attività lavorative, è necessario seguire una specifica procedura, che prevede il rilascio di un'apposita autorizzazione da parte del Ministero del Lavoro, a cui si aggiunge, in taluni casi, anche un nulla osta da parte del Ministero degli Affari Esteri 11. Va tenuto conto che l obbligo autorizzativo sussiste a prescindere dal fatto che con il Paese di destinazione siano o meno in vigore i già menzionati accordi bilaterali di sicurezza sociale, visto che in questo caso le finalità perseguite sono diverse. Inoltre, i lavoratori disponibili a prestare attività all estero devono iscriversi in un apposita lista, gestita dalle Direzioni Regionali del Lavoro. In ordine all istanza da presentare per ottenere l autorizzazione di cui sopra, recentemente, il Ministero del Lavoro, con nota n.11377/12, ha introdotto la dematerializzazione delle procedure, che si estende anche al rilascio del nulla osta al lavoro, parimenti necessario per l assunzione nei Paesi extracomunitari. In attuazione di tale progetto, a far data dal 15 settembre 2012, è stato attivato il sistema telematico denominato "Lie" (Lista degli italiani che intendono lavorare all'estero), accessibile dal portale internet Cliclavoro ( del Ministero del Lavoro È l espressione usata da M. Magnani. 11 Atteso che la disciplina contenuta nel D.L. n.317/87 prevede procedure amministrative con specifico riferimento all'"assunzione" o al "trasferimento" di lavoratori italiani per l'esecuzione di opere, commesse o attività lavorative all'estero, è da ritenersi che l'invio di lavoratori italiani in trasferta all'estero non sia subordinato all'espletamento di particolari adempimenti di questo tipo, salvo comunque il rispetto delle norme di pubblica sicurezza. 12 Fino al 31 gennaio 2013, la modalità di presentazione delle domande era duplice, permanendo ancora la possibilità di presentarle anche su carta, secondo la consueta procedura consueta, in base alla quale la domanda al rilascio dell'autorizzazione per l'assunzione o il trasferimento di lavoratori italiani in Paesi extracomunitari deve essere spedita, ai sensi dell art.1, co.2, D.M. 16 agosto 1988, nonché art.2, DPR n.346/94 al Ministero del Lavoro, Direzione generale per l'impiego, nonché in copia al Ministero degli affari esteri. Attualmente l unica modalità consentita è quella telematica (on line). 13

8 In ogni caso la domanda deve contenere l'indicazione (art.1, co.6, D.M. 16 agosto 1988): della persona fisica o giuridica per la quale ricorre l'obbligo dell'autorizzazione; del numero dei lavoratori interessati e dei corrispondenti livelli e trattamenti economiconormativi, distinguendo tra personale a tempo determinato e indeterminato e tra personale da assumere o da trasferire; della località dove questi ultimi sono inviati e dell'eventuale programmazione di nuove assunzioni e/o trasferimenti; dell'impegno ad adempiere agli obblighi derivanti al richiedente dalla normativa vigente; l autocertificazione d'iscrizione alla Camera di commercio o al registro delle società di data non anteriore a 6 mesi; la copia del contratto di appalto o, se l'attività da svolgere all'estero non costituisca l'oggetto di un appalto, la specificazione dell'attività contrattuale o del titolo giuridico inerente l'attività medesima (per le organizzazioni sindacali non governative una corrispondente dichiarazione rilasciata dal Ministero degli Affari Esteri art.1, co.5, D.M. 16 agosto 1988). Peraltro, per i datori di lavoro non aventi sede nel territorio nazionale è necessario anche avere (ai sensi dell art.1, co.4, D.M. 16 agosto 1988), la documentazione relativa al conferimento per atto pubblico del mandato ad una persona fisica o giuridica residente in Italia e della corrispondente accettazione del mandatario, con responsabilità solidale per l'adempimento di tutti gli obblighi derivanti dal D.L. n.317/87, mentre se la domanda è presentata direttamente essa va corredata di documentazione equipollente tradotta in lingua italiana e autenticata dalle autorità consolari italiane (vedi infra). Per quanto concerne il rilascio dell autorizzazione, a norma dell'art.2, co.4, del D.L. n.317/87, esso è subordinato alla condizione che: il trattamento economico e normativo offerto al lavoratore sia complessivamente non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi di lavoro vigenti in Italia per la categoria di appartenenza del lavoratore e sia distintamente prevista l'entità delle prestazioni in denaro o in natura connesse allo svolgimento all'estero del rapporto di lavoro. Va ricordato che su questa previsione sono sorte in dottrina alcune perplessità sulla possibile valenza erga omnes di tale previsione, stante l attuale natura dei contratti collettivi (quali fonti di diritto comune) e il possibile contrasto con l art.39 Cost.; il contratto di lavoro per l'estero stabilisca il tipo di sistemazione logistica, impegni il datore di lavoro ad apprestare idonee misure in materia di sicurezza sul lavoro nonché preveda la possibilità per il lavoratore, nel caso che le autorità del Paese d'impiego pongano restrizioni ai trasferimenti di valuta, di ottenere fermo restando il rispetto delle norme valutarie italiane e del Paese d'impiego il trasferimento in Italia della quota di valuta trasferibile delle retribuzioni corrisposte all'estero; sia stata stipulata una polizza assicurativa a favore del lavoratore inviato all'estero a svolgere attività lavorativa per ogni viaggio di andata e di ritorno al e dal luogo di lavoro e di rientro dal luogo stesso in caso di morte o di invalidità permanente; il Ministero degli Affari Esteri rilasci il proprio parere preventivo favorevole e non comunichi al Ministero del Lavoro che le condizioni generali del Paese di destinazione non offrono idonee garanzie alla sicurezza del lavoratore (art.2, co.3, D.L. n.317/87). Per velocizzare l iter autorizzativo e per semplificare le procedure va ricordato che, in base a quanto stabilisce l'art.4, co.1, del DPR n.346/94, l'accertamento delle condizioni politiche, sociali e sanitarie dei Paesi di destinazione viene operato, preventivamente, ogni anno dal Ministero degli Affari Esteri, che formula un elenco dei Paesi per i quali non occorre il proprio parere preventivo (c.d. Paesi white list). L'autorizzazione viene rilasciata dal Ministero del Lavoro nel termine di 75 giorni dalla presentazione della richiesta, ovvero di 90 giorni se presentata all'estero, trascorsi i quali, applicandosi la formula del silenzio assenso, l'autorizzazione si intende concessa 13. Laddove, invece, fosse necessario il parere del Ministero degli Affari Esteri, da rilasciarsi entro 45 giorni dalla data di ricevimento della copia dell'istanza, i termini per l'autorizzazione decorrono dalla data del ricevimento del suddetto parere da 13 Qualora si renda necessaria una modifica o un'integrazione della documentazione presentata dal richiedente, il Ministero del Lavoro ne dà comunicazione allo stesso entro 60 giorni, indicando le modifiche o le integrazioni. In tal caso, i termini per il rilascio dell'autorizzazione decorrono una sola volta dalla data di ricevimento, da parte del Dicastero, dell'istanza regolarizzata o completata (art.5, co.2, DPR n.346/94). 14

9 parte del Ministero del Lavoro, mentre qualora nei 10 giorni successivi alla fine del periodo di 45 giorni il prescritto parere non sia pervenuto, lo stesso si considera come acquisito in senso favorevole all'espatrio e i termini per il Ministero del Lavoro decorrono dall'ultimo dei predetti 45 giorni (art.4, DPR n.346/94). L'art.2, co.5, D.L. n.317/87 stabilisce infine che qualora i datori di lavoro abbiano depositato contratti tipo concordati con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale o che abbiano espressamente aderito a tali contratti, la richiesta di autorizzazione all'assunzione o al trasferimento all'estero si intende accolta: se il Ministero del Lavoro non provvede nel termine di 30 giorni dalla ricezione della domanda corredata della relativa documentazione; se il Ministero del Lavoro non provvede entro 90 giorni dalla data di ricezione della domanda e della relativa documentazione, qualora il Ministero stesso ovvero il Ministero degli Affari Esteri abbiano comunicato, entro 30 giorni dalla data della ricezione suddetta, di dover procedere a ulteriori accertamenti. Adottando tale procedura si riducono quindi di molto i termini per il rilascio dell autorizzazione e, quindi, anche per l attivazione del c.d. silenzio assenso in caso di inerzia del Ministero del Lavoro. Ciò si spiega, evidentemente, con il fatto che le condizioni contrattuali non devono essere completamente verificate in quanto, conformandosi al contratto tipo, sono già preventivamente considerate idonee. Inoltre, per i predetti datori di lavoro è prevista, in eccezionali casi di comprovata necessità e urgenza, la facoltà di assumere o trasferire all'estero i lavoratori senza attendere l'esito della domanda di autorizzazione, previa comunicazione dell'assunzione o del trasferimento ai Ministeri del Lavoro e degli Affari Esteri, da effettuarsi entro i tre giorni precedenti le assunzioni o trasferimenti. Ancorché la procedura sia ormai telematica (online), se si intende far ricorso ai contratti tipo è necessario comunque far riferimento a una procedura specifica, come viene evidenziato nelle FAQ contenute nel portale Cliclavoro. Sul fronte sanzionatorio l art.2 bis del D.L. n.317/87 prevede che i datori di lavoro i quali, senza l'autorizzazione del Ministero del Lavoro, impieghino fuori del territorio nazionale lavoratori italiani, sono puniti con un ammenda da 258,00 a 1.032,00 e, nei casi più gravi, con l'arresto da tre mesi a un anno. Peraltro, trattandosi (nel primo caso, cioè quello più lieve) di reato contravvenzionale punito con la sola ammenda è possibile, a parere di chi scrive, accedere all istituto della prescrizione obbligatoria ex art.15 del D.Lgs. n.124/04 ed estinguere il reato pagando una sanzione amministrativa ridotta a ¼ del massimo ( 258,00), cifra tutto sommato contenuta, che in alcuni casi potrebbe far addirittura propendere il datore di lavoro, che si trova stretto con i tempi e che non vuole attendere la data del rilascio (o quella da cui decorre il silenzio assenso), a correre il rischio (mettendo quindi in preventivo la possibile sanzionabilità), inviando comunque il lavoratore all estero senza autorizzazione. Come già accennato, in caso di assunzione direttamente all estero, il datore di lavoro deve, dopo aver ottenuto l'autorizzazione di cui sopra, ottenere il relativo nulla osta sempre dalla predetta Direzione regionale. Il datore di lavoro che riceve il nulla osta deve comunicare l'assunzione del lavoratore entro le 24 ore precedenti l'inizio del rapporto di lavoro, inviando il modello Unilav secondo le consuete modalità previste nel D.M. 30 ottobre 2007 e annotare sul LUL i dati relativi ai lavoratori occupati presso sedi operative situate all'estero. Rientrano nel concetto di tutela preventiva nei confronti del lavoratore, in attuazione del richiamato principio, anche le informazioni che per legge devono essere fornite all'atto dell'assunzione. Infatti, in occasione dell'avviamento del lavoratore a svolgere la sua prestazione lavorativa all'estero per un periodo superiore a 30 giorni, prima della partenza e comunque entro 30 giorni dall'assunzione, il datore di lavoro deve fornire al lavoratore, ai sensi del D.Lgs. n.152/97, le seguenti informazioni: durata del lavoro da effettuare all'estero; valuta in cui verrà corrisposta la retribuzione; eventuali vantaggi in danaro o in natura collegati allo svolgimento della prestazione lavorativa all'estero; eventuali condizioni del rimpatrio del lavoratore 14. Il principio della tutela allargata del lavoratore italiano all estero Come si noterà, analizzando il contenuto dell art.2 del D.L. n.317/87, se ne ricava un obbligo di ricorrere all autorizzazione preventiva anche in presenza di datori di lavoro stranieri. 14 L'informazione relativa alle indicazioni di cui alle lett.b) e c) può essere effettuata mediante rinvio alle norme del contratto collettivo applicato al lavoratore (art.2, D.Lgs. n.152/97). 15

10 Vale a dire che, per un italiano che, ad esempio, vada a lavorare a Shanghai in un ristorante, alle dipendenze di un datore di lavoro straniero, cioè non avente sede nel territorio nazionale, quest ultimo dovrebbe chiedere l autorizzazione al Ministero del Lavoro italiano, al punto che per tali ipotesi la legge prevede il conferimento per atto pubblico del mandato a una persona fisica o giuridica residente in Italia e la corrispondente accettazione del mandatario con responsabilità solidale per l'adempimento di tutti gli obblighi ex D.L. n.317/87, mentre se l istanza è presentata direttamente essa va corredata di documentazione equipollente tradotta in lingua italiana e autenticata dalle autorità consolari italiane. La domanda che, però, sorge spontanea è la? seguente: ma quali obblighi, previsti da una legge italiana, possono gravare su un datore straniero e che assume sul suo territorio? E quali sanzioni, possono essere applicate in caso di inadempimento? Ovviamente, verosimilmente, nessuno potrà perseguire il datore di lavoro straniero nel caso in cui ometta di richiedere l autorizzazione, per difetto di territorialità da parte degli Organi preposti alla vigilanza e, di riflesso, anche da parte dell Autorità Giudiziaria nazionale. Forse l unico vantaggio potrebbe derivare per il lavoratore (italiano) dal poter richiedere l intervento di prestazioni assistenziali in Italia a prescindere dall assicurazione del datore di lavoro estero (es. dall Inail in caso di infortunio). Il principio fiscale della tassazione universale e quello tendente a evitare la doppia imposizione Premesso che fino al 31 dicembre 2000 i redditi di lavoro dipendente prodotti all estero, ancorché da residenti fiscali in Italia, erano tassati unicamente nello Stato estero di lavoro e non soggiacevano all Irpef, dal 2001 si è tornati al regime ordinario, il quale, facendo leva sul principio della tassazione universale, c.d. worldwide income taxation, dispone (ex art.3 del Tuir) la tassabilità nel nostro Paese: di tutti i redditi, ovunque prodotti, se il soggetto è residente fiscale in Italia; solo di quelli prodotti in Italia se il soggetto non è residente fiscale in Italia Ai sensi dell art.23, co.1, lett.c) del Tuir si considerano prodotto nel territorio dello Stato i redditi derivanti da lavoro dipendente ivi prestato. Il concetto di residente fiscale é declinato dall art.2, co.2 del Tuir, dal quale si ricava che la circostanza che i lavoratori svolgano attività lavorativa all estero, in via continuativa, non basta ad acquisire la residenza fiscale all estero, nel senso che rimangono ancora qualificati residenti fiscali in Italia ai sensi della norma richiamata, se detti lavoratori conservano comunque in Italia il domicilio o la residenza ai sensi dell art.43 c.c.. Peraltro, anche qualora il lavoratore si fosse stabilito all estero (in virtù del contratto) e avesse provveduto alla cancellazione dell iscrizione all anagrafe della popolazione residente del proprio Comune iscrivendosi all AIRE (Anagrafe Italiana Residenti all Estero) 16, tale circostanza (pur necessaria) non è considerata sufficiente dall Amministrazione Finanziaria per perdere lo status di residenti (fiscali) in Italia, laddove il soggetto mantenga, comunque, in Italia o il luogo della propria dimora abituale (residenza) o il centro dei propri affari e interessi (cioè il centro degli interessi professionali, economici o degli affetti familiari) 17. Ne deriva quindi che, nel caso di lavoratore (cittadino) italiano che svolga la sua attività all estero, si possono presentare due opzioni: 1. lavoratore italiano che, avendo spostato il domicilio o la residenza all estero, è assoggettato unicamente al regime fiscale di quel Paese; 2. lavoratore italiano che, non avendo la residenza fiscale all estero, resta comunque soggetto Irpef. Nel caso sub 2), se tra i due Paesi non vi sono convenzioni fiscali, ivi comprese quelle contro le doppie imposizioni (nel qual caso la loro disciplina prevale sul Tuir, ponendosi come norma gerarchicamente superiore), è abbastanza probabile che il lavoratore possa subire una doppia tassazione: a. nel Paese di residenza fiscale, in virtù del principio di attrazione in quel Paese di tutti i redditi prodotti dal residente fiscale (in qualunque luogo siano stati prodotti); b. nel Paese di lavoro, in virtù del principio in base al quale esiste un evidente sovranità fiscale di uno Stato sui redditi prodotti sul suo territorio (che in 16 L'Anagrafe degli italiani residenti all'estero AIRE è stata istituita con la circolare Istat n.22/69 e è regolamentata dalla L. n.470/88. L anagrafe è costituita da schedari che raccolgono le schede individuali e le schede di famiglia rimosse dall'anagrafe della popolazione residente in ragione del trasferimento all'estero delle persone cui si riferiscono, nonché di quelle istituite in seguito a trascrizione di atti di stato civile pervenuti dall'estero. L'AIRE è gestita dai Comuni in cui erano residenti gli interessati o i loro ascendenti e presso il Ministero dell'interno. 17 Cfr. circolare n.304/e del 2 dicembre 1997; circolare n.9/e del 26 gennaio 2001; R.M. n.351/e del 7 agosto

11 qualche modo riconduce al già richiamato principio della lex loci laboris). Per attenuare tale impatto, ancorché sia previsto che le imposte definitivamente pagate all estero possano essere recuperate attraverso il meccanismo del credito d imposta (anche se fino a concorrenza dell imposta pagata in Italia sull importo del reddito prodotto all estero 18 ), il Legislatore, attraverso l introduzione del co.8 bis, all art.51 del Tuir, ha permesso (per il soggetto ancora residente fiscale in Italia che svolge la sua attività in modo continuativo all estero, cioè per più di 183 giorni in un anno solare e in via esclusiva) di poter calcolare l Irpef su un imponibile forfettario (di norma diviso per settori e per classi), anziché sulla retribuzione effettiva, con tutti i vantaggi che ne possono derivare da tale criterio impositivo, in quanto determinate somme o valori, erogati al lavoratore in aumento rispetto alla retribuzione nazionale (es. indennità estero, benefit) ed eccedenti l importo previsto per la classe, restano completamente detassati. Va ricordato che tali importi sono gli stessi che ogni anno, a mezzo di un decreto ministeriale (che prende le mosse dal D.L. n.317/87), vengono emanati per determinare l importo della retribuzione imponibile previdenziale su cui calcolare i contributi, laddove la prestazione del lavoratore venga resa in Paesi con i quali non esiste un accordo bilaterale di sicurezza sociale. In buona sostanza il Legislatore dell art.51, co.8 bis ha preso a prestito gli stessi importi previsti (imponibili contributivi) nei confronti di quei lavoratori inviati in Paesi non convenzionati sul piano previdenziale/assistenziale/assicurativo con l Italia. Ovviamente, ancorché si sia adottato lo stesso parametro imponibile, sia a livello previdenziale che fiscale, non significa necessariamente che debbano essere applicati congiuntamente, potendosi determinare situazioni nelle quali a livello previdenziale si debba adottare la retribuzione effettiva e a livello fiscale quella forfettaria o viceversa, ma anche che si applichi sempre quella effettiva (ad es. in caso di lavoratore che svolge la sua attività in un Paese convenzionato a livello previdenziale, soggiornandovi per un periodo inferiore a 183 giorni in un anno solare) o sempre quella forfettaria (ad esempio nel caso di lavoro svolto in un Paese extra UE non convenzionato, per un periodo superiore a 183 giorni 18 Va detto che, essendo l Italia un Paese con una tassazione comunque elevata, tale problema di incapienza non dovrebbe verificarsi, atteso che la nostra tassazione è quasi sempre superiore a quella di altri Paesi e quindi è possibile recuperare, di norma, l intero credito di imposta. in un anno solare). Va però tenuto presente che il recupero del credito di imposta per imposte pagate all estero deve rispettare la proporzione esistente tra l imponibile forfettario e quello effettivo, nel senso che lo scomputo può avvenire solo in ragione della quota percentuale di imposta corrispondente al rapporto tra i due imponibili. Ad esempio: se l imponibile forfettario ex art.51, co.8 bis è pari all 80% di quello effettivo, anche il credito per le imposte pagate all estero può essere scomputato dal lavoratore nella stessa misura (e non al 100%). La tutela in caso di recesso Riprendendo quanto già anticipato quando si è trattato del principio della libertà di scelta della legislazione applicabile al contratto, si è detto che la medesima scelta non può impedire comunque l applicazione delle norme relative all ordine pubblico del Paese i cui organi giudiziari dovrebbero applicare detta legge (in questo caso dell Italia), come si evince dall art.16 della L. n.975/84, dall art.16 della L. n.218/95 e dall art.21 del Regolamento CE n.593/08. In tal senso è doveroso segnalare che, in materia di recesso, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che la tutela ex art.18 della L. n.300/70, che prevede come beneficio primario nei confronti del lavoratore la reintegrazione nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo (o perlomeno questa era l impostazione di base prima delle modifiche apportate dalla Riforma Lavoro alla norma statutaria), vada ascritta nel novero di quei diritti primari, fondamentali, per l appunto rientranti nel concetto di ordine pubblico. Trattasi della sentenza n.15822/02 19, per la verità molto criticata in dottrina e smentita, per una vicenda analoga, da un'altra giurisprudenza di merito (vedi infra), nella quale si arriva a sostenere che: Nel caso in cui un rapporto di lavoro sia sorto, sia stato eseguito e si sia risolto all'estero, e se le parti, al momento della stipulazione, non hanno esercitato la facoltà di scelta di cui all'art. 3 della Convenzione di Roma 19 giugno 1980, esso è regolato dalla legge del luogo di esecuzione della prestazione lavorativa, a meno che questa legge, previa verifica che il giudice è tenuto ad eseguire d'ufficio, non risulti manifestamente incompatibile con l'ordine pubblico italiano; in quest'ultimo caso il giudice applicherà i criteri di cui all'art. 4 della Convenzione di Roma 19 giugno Si veda anche la recente Cassazione n.1302 del 21 gennaio

12 Nella vicenda in esame la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata, in quanto non aveva tenuto conto del suesposto principio, e in particolare della contrarietà all'ordine pubblico italiano di una normativa, quale quella in vigore negli Stati Uniti d'america, che non prevede una tutela contro il licenziamento ingiustificato, o comunque non prevede un eguale garanzia. La Corte ha ritenuto peraltro che la disciplina della tutela contro il licenziamento illegittimo sia comunque di natura contrattuale, atteso che dal contratto discendono non solo i singoli specifici vincoli direttamente voluti dalle parti, bensì anche quelli previsti dalla legge (artt.1339 e 1374 c.c.): attraverso norme dispositive (non espressamente escluse dalle parti art.1487, co.1 c.c.) o norme inderogabili (art.1487, co.2 c.c.). In questo ambito, come si diceva, si collocherebbero quindi le norme che disciplinano lo scioglimento del contratto di lavoro a tempo indeterminato con il licenziamento: in particolare, il divieto di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo (art.1, L. n.604/66), e l'obbligo della reintegrazione nel posto di lavoro (art.18, L. n.300/70). Questo divieto e questo obbligo sono vincoli che, pur previsti dalla legge e con norme inderogabili, traggono la loro causa immediata (ex art.1374 c.c.) dal contratto: hanno pertanto natura contrattuale (e di essi il Ccnl è talora solo una non necessaria risonanza). Quando, dunque, si deduce la violazione da parte del datore di lavoro dei limiti inerenti alla sua facoltà di recesso del rapporto di lavoro, si deduce un inadempimento contrattuale. Pertanto, nell'ambito dei rapporti fra il diritto interno e il diritto straniero, questo inadempimento, riguardando un'obbligazione contrattuale, deve essere valutato (secondo la Cassazione) alla stregua del diritto applicabile in virtù della Convenzione di Roma 19 giugno 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (art.57, L. n.218/95). Il caso concreto affrontato nella sentenza n.15822/02 riguardava l'accertamento dell'illegittimità del licenziamento intimato a un lavoratore per la lamentata assenza di giusta causa e giustificato motivo e la reintegrazione nel posto di lavoro presso la sede di New York, ove egli era stato assunto, aveva lungamente lavorato ed era stato licenziato. Ma, una volta assodato che trattavasi di violazione di un obbligo contrattuale, si trattava di stabilire se la violazione di norme in tema di licenziamento (con conseguente reintegrazione nel posto di lavoro) potesse integrare il concetto di violazione di norme di ordine pubblico. Come ogni clausola generale, anche questa, da una parte esige la specificazione dell'interprete, mentre dall altra (riconoscendo all interprete maggiore spazio e autonomia) consente di adeguare il principio non solo ai multiformi irripetibili aspetti assunti dalla realtà di un determinato momento storico, bensì anche ai mutamenti della coscienza nel tempo 20, atteso che l'esigenza che i principi del nostro ordinamento debbano essere intesi non in senso astratto ed universale bensì in relazione alla coscienza della convivenza in un determinato momento storico, è stata rilevata anche dalla giurisprudenza 21. In tal modo l'ordine pubblico non è costituito da singole norme imperative (nelle quali non si identifica, espressamente differenziandosene artt.643, 1343 e 1354 c.c.), né dai principi generali dell'ordinamento (che, deducibili attraverso progressiva generalizzazione delle singole norme e in ognuna di queste restando inscritti, non sono ipotizzabili come esterno limite delle stesse), né da singole norme costituzionali (lo specifico limite dell'ordine pubblico non avrebbe ragione e funzione alcuna). L ordine pubblico è quindi costituito dai principi che formano la struttura etica della convivenza, che certamente comprendono le regole fondamentali poste dalla Costituzione (e dalle leggi a base degli istituti giuridici nei quali si articola l'ordinamento positivo nel suo adeguarsi all'evoluzione della società), ma non si esaurisce con essa, in quanto non tutti i principi caratterizzanti l'ordinamento giuridico italiano sono posti dalla Costituzione (concorrendovi anche le leggi), di talché il concetto di ordine pubblico non può essere ridotto nell'ambito, molto più ristretto, dei supremi principi costituzionali. Ovviamente, a questo punto era necessario ricondurre il predetto concetto alla disciplina del recesso dal rapporto di lavoro. Per fare ciò la Corte richiama sia la Costituzione, che vede il lavoro come fondamento della Repubblica (art.1, co.1 Cost.) nonché fondamentale diritto dovere d'ogni cittadino (art.4 Cost.), sia la legislazione ordinaria: "la libertà e la dignità" del lavoratore (L. n.300/70), la professionalità (art.2103 c.c.), l'anzianità (ad es. l'art.5 della L. n.223/91), nonché la protrazione del 20 In tal modo, la stessa formula, inizialmente recependo i valori emersi dalla Rivoluzione francese dalla dottrina definiti come le grandi idee di "libertà e dignità" della persona ha poi espresso i valori del sec. XIX con l'art.10 preleggi del cod. civ. del 1865, quindi le idee del codice del 1942, e ora i principi dell'ordinamento repubblicano. 21 Cass. n.3399/55 e Cass. n.1428/52. 18

13 rapporto in alcune ipotesi di sospensione del lavoro (come le leggi sulla Cassa per l'integrazione dei guadagni) e nel trasferimento d'azienda (art.2112 c.c.). Sulla materia specifica del licenziamento la Corte ricorda che il progressivo irrigidimento delle norme interne in materia, che ha portato a un area di applicabilità meramente residuale della recedibilità ad nutum, ex art.2118 c.c., costituirebbe la prova secondo cui "la stabilità del posto di lavoro costituisce principio di ordine pubblico". L interpretazione adottata dalla Corte è stata criticata da una parte della dottrina 22, in quanto sembra effettivamente eccessivo ricomprendere la normativa di tutela contro il licenziamento nell ambito delle norme contro l ordine pubblico, anche perché non va sottaciuto che una larga fetta di imprese non sono soggette all art.18 (quindi non si tratta di norma di applicazione generalizzata) e nondimeno non si può certo immaginare che esse possano violare, in caso di licenziamento, una norma contraria all ordine pubblico. Inoltre, non va sottaciuto che l art.18 era anche stato anche ammesso a referendum abrogativo (Corte Cost. n.46/00), da che si deduce che la normativa in esame non può essere assurta a rango di elemento essenziale del nostro ordinamento. Si diceva che esiste anche un orientamento giurisprudenziale opposto, ancorché si tratti di giurisprudenza di merito, che ha ritenuto invece che nella nozione di ordine pubblico internazionale non rientra la disciplina dei licenziamenti collettivi 23. Pertanto, la sensazione che se ne trae è che la Corte sia partita dal voler riconoscere una tutela sostanziale al lavoratore licenziato all estero, costruendo a ritroso una cornice giuridica che potesse portare a legittimare il proprio pensiero, anche se va rimarcato che tale orientamento è stato poi ribadito in una successiva sentenza del In materia di recesso non vanno poi sottaciute altre pronunce che, ad esempio, hanno stabilito che la legittimazione passiva in capo alla società che ha intimato il licenziamento sussiste qualora, in base al quadro probatorio, si evinca che il contratto di lavoro era stato stipulato tra il lavoratore licenziato e la predetta società (estera) e non con la società presso cui il lavoratore effettivamente prestava la propria attività. Ciò significa che, qualora venga appurato che quest'ultima sia solo una semplice filiale, che agisce per conto e nell'interesse della prima società, senza dunque avere alcuna titolarità in merito ai rapporti contrattuali e, in particolare, con quelli di lavoro, il rapporto viene imputato all impresa principale (datrice di lavoro sostanziale ) 25. Da ultimo si cita anche una risalente pronuncia della giurisprudenza di merito 26, nella quale, partendo dal presupposto di dover applicare a un licenziamento la legge italiana (magari, semplicemente, per effetto di opzione), si affrontano due aspetti peculiari della materia: il concetto di comune al cui ambito fa riferimento l art.18 per valutare la consistenza numerica aziendale; l obbligo di esperire il c.d. repechage. Nel primo caso il giudice ritenne che si potesse fare capo alla corrispondente istituzione locale straniera e nel secondo stabilì che la ricerca di un eventuale occupazione alternativa deve essere estesa all intero complesso aziendale e non limitarsi al solo Paese estero di destinazione, quantomeno nel caso in cui il lavoratore abbia manifestato la propria disponibilità a lavorare anche in altri Paesi esteri. 22 A. Stanchi e R. Restelli: Lavoro all estero e risoluzione del rapporto, in Diritto e Pratica del Lavoro n.3/ Tribunale di Napoli, sentenza 29 aprile Cass. n del 9 maggio Cass. n del 15 luglio Pretura di Milano del 26 aprile

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