"Sulle tracce delle scuole Scomparse"

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2 La presente pubblicazione è stata promossa dal Progetto "Sulle tracce delle scuole Scomparse" del 106 Circolo Didattico "E. Marchiafava" ed è a cura delle referenti Hilda Girardet e Maria Pia Cedrini. Progetto grafico di Angelo Brun Si ringraziano tutti coloro che hanno reso possibile il presente volume. In particolare un sentito ringraziamento va: - al Comune della Città di Fiumicino che ha contribuito economicamente alla pubblicazione, - al Museo Storico della Didattica della Università di Roma Tre per la consulenza e i materiali fotografici e documentari forniti, - al Club Motori d Altri Tempi, - a Luisa Scorletti Triboulet e a Pietro Vergnani per le testimonianze sulla scuola E. Marchiafava e M. Montessori. Le fotografie sono state messe a disposizione da: Museo Storico della Didattica della Università di Roma Tre, Maccarese S.p.a, Rete Bibliolab di Cantarana (Asti) e alle famiglie di Maccarese: Alberina Antonacci, Fiamma Bellotto, Agnese Bortolin, Luca Bravi, Laura Chierico, Franz Drudi, Elsa Ercolini, Rita Fenzato, Laura Finesso, Lorenzo Majnoni, Adriano Mancini, Angelo Mattiuzzi, Katia Mazzanti, Piero Panetta, Albertina Parotto, Antonella Quilli, Antonella Ravarotto, Ludovico Reposi, Iole Turato, Giovanni Zorzi. Foto di copertina: la prima scuola elementare del Villaggio San Giorgio di Maccarese. 2

3 Città di Fiumicino Presentazione Quando, nel Natale 2004, visitai la mostra "Sulle tracce delle Scuole scomparse" fu quasi istintivo suggerire la pubblicazione di quella ricerca. La forma "libro" permette ora infatti di far assurgere a quell'esposizione, cui continuo a plaudire, il carattere di documentazione permanente. Un "oggetto culturale" destinato così a passare di mano in mano, di generazione in generazione. Questa opera nasce con una finalità didattica che persegue un metodo adeguato ai tempi che viviamo: fa uso dell'iconografia, ma in una cornice storica, insegnando così a leggere la realtà per immagini. Una dimensione che rappresenta sempre un "punto di vista" e che, quindi, richiede una particolare consapevolezza sia nei più piccoli, sia negli adulti. "Sulle tracce delle Scuole scomparse" intraprende una strada interessante proprio in questa direzione ponendo il focus su qualcosa che è ormai invisibile ed eppure ha lasciato traccia di sé. Un libro che costituisce, inoltre, un'opportunità per estendere la memoria di ciascuno - arricchendola con porzioni di quella collettiva - tanto nel passato che nel futuro della nostra comunità. Una proiezione in grado di combinare - in una felice formulazione - il vissuto individuale, le fonti orali, le fonti scritte e quelle fotografiche. Il Sindaco Mario Canapini 3

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5 Prefazione Il perché di un Progetto Il Progetto "Sulle tracce delle scuole scomparse" nasce dall'esigenza di guidare le bambine ed i bambini del nostro territorio alla conoscenza ed alla comprensione della realtà che li circonda, attraverso il recupero e la valorizzazione di un fecondo rapporto con il passato. E', infatti, nella ricerca del passato che si fonda la comprensione del presente, si aprono nuovi spazi di riflessione e si costruiscono percorsi attraverso i quali procedono di pari passo la dimensione culturale e la maturazione affettiva, contribuendo alla formazione dell'identità personale e culturale dei nostri alunni. La scuola primaria è infatti l'ambiente educativo di apprendimento nel quale ogni bambino deve trovare le occasioni per maturare progressivamente le proprie capacità di autonomia, di azione diretta, di relazioni umane, al fine di diventare protagonista della costruzione del proprio sapere ed " imparare ad imparare". L'obiettivo principale che la scuola si pone è pertanto quello di valorizzare l'esperienza dei bambini ed avviarli alla ricostruzione dell'immagine del passato muovendo dal presente, attraverso la ricerca storica e l'analisi delle fonti (fotografie, documenti, testimonianze), che vanno concretamente ricercate, lette e confrontate. E' questa la strategia didattica privilegiata di questo Progetto: porre particolare attenzione al vissuto dei bambini ed alle loro esperienze, al fine di suscitare in essi azione, coinvolgimento ed emozione, promuovendo la conoscenza del territorio in cui vivono e guidandoli al confronto ed allo scambio di valori e comportamenti diversi nel presente e nel passato. L'analisi delle tracce che il passato ha lasciato nei ricordi dei genitori, dei nonni e dei bisnonni richiama infatti nei bambini un universo di aspettative, emozioni, interessi, sensibilità, avviandoli alla conoscenza ed alla comprensione della storia del nostro territorio e costruendo nel contempo le abilità di cogliere le relazioni tra gli eventi nel tempo e nello spazio. In questo senso, lo studio del passato rappresenta un passaggio fondamentale nella formazione nei nostri alunni di una positiva immagine di sé, predisponendoli al confronto ed all'incontro con gli altri, allo scambio di esperienze e allo sviluppo delle competenze, valorizzando il presente e di conseguenza progettando il futuro. Ringraziamo in modo particolare il Sindaco del Comune di Fiumicino, Mario Canapini, per avere concretamente contribuito, insieme all'amministrazione Comunale, alla realizzazione del Progetto. Un sentito ringraziamento va inoltre a quanti hanno partecipato alla realizzazione di questo volume, ed in particolare alle insegnanti referenti Hilda Girardet e M.Pia Cedrini. Grazie al loro prezioso lavoro, la nostra Scuola ed il Comune di Fiumicino potranno concretamente divenire parte attiva nell'impegno comune di consolidare la memoria collettiva diffondendola presso le giovani generazioni, valorizzando i molteplici aspetti di un territorio ricco di risorse e di interesse storico, naturalistico, culturale e sociale. Il Dirigente Scolastico Celestina Nava 5

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7 Introduzione Questo volume è nato dall'esigenza di rendere disponibili dei materiali fotografici e scritti capaci di motivare e sostenere la didattica della storia locale fin dalle prime classi elementari. Per questo stesso motivo, abbiamo scelto come tema quello delle scuole elementari a Maccarese, un tempo numerose e ora ridotte alla sola sede della E. Marchiafava. Un tema che è vicino all'esperienza infantile, facile da mettere a confronto nel tempo, quindi adatto agli interessi e alle capacità dei bambini della nostra scuola, e, al tempo stesso, un tema interessante e significativo per la storia del territorio. A differenza di altre "storie della scuola", che possono contare su una ricca documentazione scritta, la nostra indagine ha privilegiato la documentazione fotografica. Siamo infatti convinte che la possibilità di 'vedere' il passato abbia un impatto immediato su tutti e in particolare sui bambini, aiutandoli così nel loro primo approccio allo studio storico. Abbiamo però ritenuto di integrare il materiale fotografico con un breve testo introduttivo alla storia del territorio, in modo da fornire, soprattutto per i periodi più lontani, le conoscenze indispensabili per comprendere appieno il contesto storico sul cui sfondo collocare le singole fotografie. La parte centrale del volume è dedicata alla presentazione del materiale fotografico e, sostanzialmente, coincide con la Mostra "Sulle tracce delle Scuole Scomparse", inaugurata nei locali della Scuola E. Marchiafava nel Natale 2004 e che ha ottenuto vivi apprezzamenti da parte delle famiglie degli alunni, delle classi di scuola elementare e media che l'hanno visitata e da parte dell'amministrazione Comunale che ne ha proposto, sostenendola economicamente, la pubblicazione. Le fotografie sono suddivise in quattro sezioni: 1. Le Origini; 2. Il Villaggio San Giorgio; 3. Marchiafava e le altre; 4. I momenti, le persone, le cose. La prima sezione, "Le Origini", è dedicata al periodo che va dai primi del Novecento fino agli anni Venti. La storia che vi è raccontata è una storia che Maccarese ha vissuto in comune con larga parte dell'agro Romano, del quale faceva parte. La seconda sezione, "Il Villaggio San Giorgio" è centrata sulla bonifica integrale e sulla costruzione del Villaggio San Giorgio, accanto al Castello: è qui che è stata costruita la prima scuola elementare di Maccarese. La terza sezione, "Marchiafava e le altre" è dedicata alle scuole elementari che furono attive a Maccarese per circa un trentennio, dagli anni '50 agli anni '80 e che ora sono 'scomparse', e utilizzate come sedi di istituti di istruzione secondaria. L'ultima, "I momenti, le persone, le cose", è invece una sezione tematica, che non segue l'ordine cronologico e che illustra, attraverso fotografie scattate in epoche diverse, i diversi aspetti della vita della scuola, dai momenti della giornata ai suoi protagonisti, dai libri agli alfabetieri, dai quaderni alle pagelle utilizzate. 7

8 Il volume si chiude con alcuni suggerimenti per l'utilizzazione didattica del materiale documentario pubblicato. Come insegnanti, infatti, siamo consapevoli che se "vedere il passato" costituisce una risorsa è però necessario " insegnare a vedere", e quindi, per i bambini, imparare a "leggere" la fonte fotografica alla luce di conoscenze storiche adeguate. Prima di concludere vogliamo ringraziare tutti coloro che con la loro collaborazione hanno reso possibile la realizzazione di questo volume: in primo luogo le famiglie degli alunni che hanno fornito le fotografie e tutte le persone che con i loro ricordi e le loro testimonianze hanno contributo a chiarire e a definire eventi ed aneddoti particolari. Un sentito ringraziamento va alla dott.ssa Giovanni Alatri che collabora al Museo storico della Didattica dell'università di Roma Tre, e che ci ha aiutato a selezionare il materiale più rappresentativo per la sezione "Le Origini". Sulla base dei suoi documentatissimi e numerosi saggi, nei quali ha ricostruito la storia della scuola nell'agro Romano nei primi decenni del Novecento, abbiamo potuto dar conto della vicenda delle Scuole per i Contadini, presentata nelle pagine a seguire. Un ringraziamento del tutto speciale va, infine, a Giovanni Zorzi, esperto di storia locale e socio della Cooperativa Ricerca sul Territorio e dell'eco Museo del Litorale, che ha messo a nostra disposizione la sua profonda conoscenza della storia di Maccarese, e ha fornito una parte delle fotografie raccolte, soprattutto relativamente agli anni che hanno immediatamente preceduto e seguito la Bonifica. Le Referenti del Progetto "Sulle tracce delle Scuole Scomparse Hilda Girardet e Maria Pia Cedrini 8

9 Per una storia del territorio La storia della scuola nel territorio di Maccarese ha poco più di cento anni, appena un secolo. Eppure in un secolo questo territorio - come quello dell'agro Romano di cui fa parte - ha visto tanti e tali cambiamenti che non solo sono mutate le condizioni di vita dei suoi abitanti ma gli stessi suoi paesaggi originari sono diventati irriconoscibili. Una storia, quella della scuola, che si lega a quella delle possibilità stesse di sopravvivenza umana e che quindi si intreccia ai successi ottenuti nel campo della ricerca sulla malaria e alla realizzazione della bonifica. Una storia, ancora, scarna di documentazione scritta e fotografica e per ricostruire la quale è stato necessario includere fonti e testimonianze che, per i periodi più lontani, riguardano più in generale la storia della lotta contro l'analfabetismo e della scuola nell'agro Romano. Le origini I primi anni del Novecento - data di inizio della nostra indagine - sono stati decisivi per il territorio di Maccarese: i primi grandi successi nella lotta contro la malaria hanno infatti reso possibile avviare quel processo di colonizzazione che, con la bonifica degli anni '20, ha poi trasformato Maccarese nel luogo che tutti conosciamo. Prima di quella data e per i secoli precedenti Maccarese era un territorio del tutto ostile agli insediamenti umani, una zona paludosa e mefitica, infestata dalla malaria, e utilizzata soprattutto come zona di caccia, così come era avvenuto per i secoli precedenti. Vi risiedeva in pianta stabile un nucleo minimo di popolazione: quello strettamente necessario al funzionamento della Tenuta San Giorgio. I lavori stagionali erano affidati invece a compagnie di lavoratori: "i guitti". Spesso ogni compagnia era specializzata in una diversa attività e i suoi componenti di solito provenivano tutti dal medesimo paesino dell'interno (dall'abruzzo o dalle Marche, dall'umbria, dalla Campania e dal Lazio). Gli abitanti di Maccarese, all'inizio del 1900 variavano dalle 80 alle 400 persone, a seconda dei lavori stagionali che richiamavano minore o maggiore manodopera. Per ricostruire le condizioni di vita e di lavoro di queste popolazioni, una delle testimonianze dell'epoca più interessanti e commoventi, è quella di Antonio Dionisi, medico patologo che lavorò assieme a Ettore Marchiafava e ad Angelo Celli alla ricerca sulla malaria presso l'ospedale S. Spirito di Roma (foto a pag. 56). Nel 1899 la Società per gli Studi sulla malaria, diretta da Angelo Celli istituì nell'agro Romano due Stazioni Sanitarie sperimentali - una alla Cervelletta e l'altra a Maccarese - con il compito di monitorare l'andamento della malaria. Antonio Dionisi venne mandato a dirigere quella di Maccarese, dal marzo 1899 al febbraio 1900 e - oltre a somministrare le 9

10 necessarie dosi di chinino - effettuò osservazioni sistematiche, mese per mese, sulla popolazione residente e stagionale che soggiornava a Maccarese in quell'anno. Queste osservazioni furono raccolte nel volume intitolato "La malaria di Maccarese" e costituiscono un materiale prezioso per ricostruire le condizioni di vita e di lavoro a Maccarese. Veniamo così a sapere che le famiglie stabilmente residenti al Casale di Maccarese (ora chiamato Castello San Giorgio) erano quelle del Fattore e del Sottofattore, del Guardiacasale che, tra l'altro, aveva il compito di tenere in buone condizioni gli attrezzi agricoli, e del Guardiano. Vivevano al Casale anche il fornaio con moglie e tre figlie e il loro garzone, due fabbri, un muratore, un dispensiere che vendeva il vino ai bifolchi che "ne bevevano più di quanto dovessero", anche perché l'acqua era pericolosamente insidiosa. E ancora il massaro dei bufali e dei cavalli, il capoccia che reperiva e controllava i lavoratori stagionali e un soldato addetto alla stalla dove si allevavano cavalli per il governo. Al Procoio di Primavera, dove vivevano gli addetti alle bufale, dormivano 26 individui; al Procoio delle vacche, 15. Gli altri lavoranti dormivano in capannoni o in rifugi di fortuna. Nella pagina a fianco riportiamo, le descrizioni di Dionisi delle condizioni di vita del centinaio di mietitori, arrivato da Capranica e Mentana, l'8 e il 9 giugno del 1899, e alla pagina seguente di una compagnia di 'monelli' giunti ad ottobre dello stesso anno per occuparsi della semina e degli altri lavori dei campi. Per quanto riguarda le condizioni sanitarie della popolazione, alla fine di un anno di osservazioni, Dionisi riassumeva così la situazione: su 2480 individui osservati in totale, tra la scarsa popolazione stabile e quella stagionale più numerosa, 1576 persone, cioè il 63%, erano state danneggiate dalla malaria, chi perché l'aveva contratta durante il soggiorno a Maccarese, chi perché aveva avuto attacchi di febbri malariche nei mesi o negli anni precedenti. Commentando l'andamento delle febbri malariche e l'aumento delle febbri terzane e quartane nei mesi estivi, Dionisi scrive: "Ora se si pensa al pericolo che sovrasta minaccioso su ogni individuo, colto da infezione estivoautunnale, che può rapidamente diventare perniciosa, si rimane atterriti dinanzi all'abbandono, nel quale sono stati sempre lasciati i poveri agricoltori e che con molta probabilità, almeno a giudicare dai principii, continuerà ancora, per colpa di tutti." (pag ) Per sottolineare la pericolosità delle febbri estivoautunnali Dionisi ricorda che lui stesso aveva rischiato la vita, dopo essere stato punto da una zanzara catturata proprio a Maccarese. Era il 27 novembre del 1898 quando si verificò un incidente: un giovane studente tedesco fece maldestramente cadere una provetta nella quale erano rinchiuse 5 zanzare anofele. Immediatamente si aprì la caccia alle zanzare: 4 vennero catturate ma la quinta punse proprio Dionisi che, qualche tempo dopo fu assalito dalla forma più pericolosa di malaria e per alcuni giorni fu in pericolo di vita. 10

11 I Mietitori "In vicinanza dei campi da mietere fissavano un lenzuolo o una coperta su due bastoni, costituendo così un simulacro di tenda, e sulla nuda terra davano riposo alle stanche membra, dopo aver passato la giornata sotto i raggi cocenti del sole, arsi dalla sete e oppressi dagli incitamenti del caporale, che esigeva da essi tutti gli sforzi possibili. A Maccarese il fattore, giovane di cuore e intelligente, non permetteva che il bastone colpisse rudemente il dorso nudo dell'operaio, il quale, stanco, rallentava l'opera sua: ma dove la direzione del taglio era affidata ad uomini brutali, questo triste spettacolo non mancava! Come i buoi e i bufali aggiogati a una macchina agricola falciano e mietono, punti da un triste arnese affidato ai bifolchi, così lavorano gli uomini sotto la guida dei caporali a cavallo armati da un lungo randello che qualche volta si stende minaccioso su di loro e qualche volta li colpisce senza pietà. I mietitori sono compensati con lire 24 per 11 giorni di lavoro e ricevono anche pane, vino con acqua, un po' di grasso e di formaggio: il vitto dovrebbe valere una lira; però giunge ad essi assottigliato dalla rapacità dei caporali che talvolta, dopo la mietitura, tornano alle loro case, portando dei barili di vino e delle pizze di formaggio che hanno prudentemente risparmiato e che rivendono poi nell'inverno, agli stessi che avrebbero dovuto usufruirne". (A. Dionisi, La malaria di Maccarese. Dal marzo 1899 al febbraio Roma, Società Editrice Dante Alighieri, 1901, p. 22.) 11

12 I Monelli "Fanciulli, vecchi e adolescenti, giovani sposi, donne vicine a divenir madri erano pigiati nei malsani tuguri che sorgono nel casale della tenuta di Maccarese. Assoldati nella provincia di Caserta da un caporale che aveva ad essi fatto sognare la terra promessa, avevano subito perduta ogni illusione, quando il giorno dopo l'arrivo, svegliati alle 3 ant., avevano dovuto intraprendere, sotto la guida del bastone di uomini a cavallo, una lunga marcia per raggiungere i campi, ove dovevano lavorare. Se un pittore fissasse sulla tela le squadre che si muovono per i pantani nelle prime ore del mattino, stimolate dai minacciosi randelli degli uomini, addetti al servizio della tenuta, si crederebbe di vedere un quadro dei tristi tempi, nei quali la terra raccoglieva il sudore degli schiavi Erano tutti pagati della stessa mercede, 1 lira al giorno, ed eguale produzione si attendeva da essi, dimenticando la tenera età dei fanciulli, la povertà fisica delle donne, e gli acciacchi della vecchiaia. I capi delle aziende agricole sono meritevoli di elogio solo quando riescono a far guadagnare il 50% ai padroni; è perciò prova di inettitudine pretendere dall'uomo la giusta misura di lavoro, che può produrre; la meta da raggiungere esige che l'operaio si sforzi oltre ogni limite e dia il massimo contributo al guadagno (A. Dionisi, La malaria di Maccarese. Dal marzo 1899 al febbraio Roma, Società Editrice Dante Alighieri, 1901, p. 55.) 12

13 Gli alloggi dei Monelli In una casetta di pochi metri quadri abitavano in 19: di questi venivano per la prima volta a Maccarese: Alonso Antonino, di anni 8; Centracchio Domenico, di anni 15, Manzuocco Egidio di anni 12, Saviani Sabatino di anni 15 In un'altra casetta più angusta della precedente alloggiavano in 11 individui che facevano tutti la prima prova in campagna: Andreucci Rosa, di anni 32, maritata a Mancini Pompeo, di anni 56, sarto di professione, trasformato per bisogno in monello, Mancini Alessandro di anni 10 e Mancini Vincenzo di anni 13, figliuoli di Pompeo In una specie di stalla, molto più bassa di quella ove sono i cavalli del personale di sorveglianza pei lavoratori, erano ricoverati altri 19 miseri operai, costituendo uno strano miscuglio di donne, bambini e adulti Alla Moletta detta dei Tre Pini, in una casa sulla sponda dell'arrone erano ricoverati ed ammassati un gran numero di individui: erano ripartiti in tre camerette, due a piano terra e un'altra al primo piano. Il caporale aveva per sé e per la famiglia, composta da moglie e di un figlio, una stanzetta accanto a quest'ultima. (pp.56-57) (A. Dionisi, La malaria di Maccarese. Dal marzo 1899 al febbraio Roma, Società Editrice Dante Alighieri, 1901, p ) 13

14 La lotta contro la malaria In occasione della recente uscita di un volume sulla storia della malaria (Frank M. Snowden, The Conquest of Malaria: Italy ) è stato notato che la lotta contro la malaria ha rappresentato un successo tutto italiano: una vittoria che ha consentito di debellare un male che imperversava da secoli, rendendo praticamente impossibile la vita in vaste regioni del territorio nazionale. Una situazione che, come a volte accade in Italia, è stata rapidamente dimenticata, tanto che quando negli anni 60 (poco più di dieci anni dopo la sconfitta definitiva della malattia) Fausto Coppi tornò dall'africa presentando i sintomi tipici della malattia, la diagnosi fu formulata con un ritardo tale da essergli fatale. La malaria, nota fin dall'antichità, aveva imperversato per secoli rendendo insalubri vaste porzioni dell'italia (dal Delta del Po alla Maremma, dall'agro Romano e Pontino alla Sardegna e alle Puglie). Al momento dell'unità d'italia (1870) la malaria gravava come un macigno sui destini del Paese. Le prime statistiche registravano una media annua di 10, 11 mila morti. Negli anni successivi, la malaria è avvertita non solo come un poderoso ostacolo allo sviluppo ma anche come una vergogna nazionale, simbolizzata dall'immensa area paludosa alle porte di Roma. L'Italia era infatti costretta a fare i conti con un male che i ricercatori francesi o inglesi studiavano solo nelle loro colonie. All'origine della sconfitta della malaria ci fu proprio quella Scuola malariologica italiana di cui fecero parte Angelo Celli, Camillo Golgi, Ettore Marchiafava, G. Battista Grassi e i loro collaboratori, come Antonio Dionisi. E il primo passo venne dal riconoscimento del ruolo di incubazione e di diffusione svolto nella trasmissione della malattia dalla zanzara anofela, così chiamata proprio da Grassi. Questo successo inizialmente venne messo in discussione e solo quando fu possibile provare il ruolo della zanzara anofela venne riconosciuto pubblicamente. Nelle parole che seguono, Anna Fraentzel Celli - moglie del dottor Celli - chiarisce bene la situazione: "Celli e Marchiafava erano riusciti a trovare nel sangue dei malarici l'agente patogeno della malaria, i loro enormi sforzi non erano tuttavia stati compensati, la fama scientifica della ricerca era stata loro contestata ( ) Fino a che non si fosse conosciuto l'agente propagatore del morbo non c'era da pensare alla coltura intensiva nelle zone infestate dalla malaria e i contadini continuavano ad ammalarsi. Era dimostrato che le acque stagnanti e le terre paludose non avevano nulla a che fare con la trasmissione del morbo. Erano forse le zanzare a inocularlo?" (M.L.Heid, "Uomini che non scompaiono", Sansoni Editore, Firenze 1944, p.24) E come Anna Celli racconta nella pagina a fianco, fu una zanzara catturata proprio a Maccarese che permise di provare sperimentalmente il rapporto tra l'insorgere delle febbri malariche e la puntura della zanzara anofela. 14

15 Lo zanzarone di Maccarese "Poco prima delle 3 entravo per il mio servizio pomeridiano nelle grandi e oscure sale dell'ospedale di Santo Spirito quando dalla mia corsia San Carlo sentii venire voci, grida, rumori. Cosa poteva essere accaduto? L'eccitazione era generale: monache, infermieri, ammalati mi si precipitarono di corsa incontro gridando 'Sola ha i brividi di febbre!' E l'avvenimento era tale che avrebbe meritato un'eccitazione anche maggiore di quella. Eravamo al 1 novembre 1898, fuori batteva il sole, l'estate di San Martino Grassi, professore di anatomia comparata presso l'università, durante l'estate era andato in giro nelle diverse zone malariche e aveva chiesto agli abitanti che gli indicassero le zanzare più comuni del luogo. Fra queste ce n'era una piuttosto grande, con delle macchie sulle ali che, volando inavvertita, senza alcun ronzio, pungeva di nascosto lasciando grosse macchie sulla pelle. Fosse questo lo zanzarone che inocula la malaria? Gli esperimenti del Bignami, infatti, avevano portato a escludere la piccola zanzara grigia (Culex) che trasmette la malaria agli uccelli. Grassi fece quindi prendere a Maccarese, il luogo più malarico nei dintorni di Roma, alcuni di questi zanzaroni e indusse Bignami a farne pungere Sola. Sola, orgoglioso dell'onore fattogli, dal 27 settembre dormì nella stanza delle zanzare Sola continuava ad essere scosso dai brividi quasi fosse al Polo Nord ed il suo viso s'era fatto d'un colore tra il grigio e il giallo verdastro Il 3 novembre la temperatura salì a 40 gradi, ma nel sangue non si presentavano ancora i parassiti tanto ardentemente desiderati Un consulto di medici, convocati da Bignami, decise di attendere ancora ventiquattro ore Appena finite di sbrigare le faccende ordinarie del servizio ci precipitammo nel laboratorio. Bignami era già lì, seduto al microscopio e non parlò: in silenzio si alzò e ci invitò con un muto gesto della mano a guardare nel microscopio: scarsi parassiti giovani anulari, mobili, con l'aspetto caratteristico dei parassiti della febbri estivo-autunnali erano lì sotto i nostri occhi. Che spettacolo solenne! Dunque Sola aveva veramente la febbre malarica? Nel pomeriggio comparve finalmente il sudore, e i parassiti divennero innumerevoli. Giunti a questo punto il prof. Bignami ordinò di fargli delle iniezioni di chinino. L'esperimento era ormai finito Non ci fu scienziato italiano o straniero che venisse a Roma senza visitare Sola. Non si chiedeva più 'Hai visto il Papa?' ma solo 'Hai visto Sola?', come cosa più importante. Inoltre, anche il cacciatore di zanzare di Grassi si ammalò, avendo preso l'abitudine di farsi pungere dai 'zanzaroni' per poterli catturare più facilmente, e così anche nel suo caso, come il quello di Sola si dimostrò trattarsi di malaria estivo-autunnale. Nel nostro piccolo ambiente questi due avvenimenti rappresentarono un grande evento e profonda ne fu la risonanza in tutto il mondo. (M.L.Heid, "Uomini che non scompaiono", Sansoni Editore, Firenze 1945, pp ) 15

16 L'analfabetismo All'indomani dell'unificazione, la situazione dell'analfabetismo in Italia era drammaticamente arretrata: i dati ufficiali dichiarano che tra il 1861 e il 1871 gli analfabeti passano dal 78 al 73%. Ma la distribuzione degli analfabeti è ancora più preoccupante: gli alfabetizzati si concentrano nelle città e soprattutto in quelle del Nord d'italia. Nelle campagne del centro e del sud la popolazione è pressoché totalmente analfabeta. La situazione è particolarmente grave nei territori dell'ex Stato Pontificio. La scuola, al di fuori dei centri abitati più consistenti, è praticamente inesistente e questo malgrado la legge Casati, del 1859 (che quindi non si riferisce alle zone, come l'agro romano, ancora sotto il dominio dello Stato della Chiesa) affida ai Comuni la scuola elementare, rendendo unico, gratuito e obbligatorio per tutti il primo biennio. La legge Coppino del 1877 estende la gratuità del primo biennio elementare a tutto il territorio nazionale e porta a 9 anni l'obbligo scolastico. La povertà è però ritenuta impedimento legittimo alla frequenza. Tra il 1886 e il 1902 viene vietato il lavoro minorile prima ai minori di anni 9 e poi ai minori di anni 12: come abbiamo visto anche dalla testimonianza di A.Dionisi, molti bambini lavoravano ben prima di queste età. Se nel primo decennio del 1900, a livello nazionale, viene compiuto un grande sforzo per diffondere l'istruzione e gli analfabeti scendono dal 62% al 47% del 1911, la situazione resta praticamente invariata per quanto riguarda l'agro Romano. Qui, in primo piano continua ad essere combattuta la lotta contro la malaria. E anche la questione dell'istruzione, in un primo tempo, viene assunta come uno strumento della lotta antimalarica. Com'era possibile infatti convincere una popolazione che viveva in condizioni igieniche impossibili e che per ignoranza e pregiudizi non era in grado di seguire delle prescrizioni mediche, a rispettare con regolarità le indicazioni per una buona profilassi che includevano l'assunzione regolare del chinino? Inizialmente furono quindi queste motivazioni a spingere i coniugi Celli e alcuni pochi intellettuali a preoccuparsi dello stato di ignoranza in cui versava gran parte della popolazione contadina dell'agro Romano e ad impegnarsi per la loro alfabetizzazione. Fu proprio Anna Celli ad istituire per prima delle scuole domenicali per i contadini. I maestri erano dei volontari che raggiungevano a piedi e in bicicletta i contadini, che il lavoro dei campi costringeva a spostarsi da una zona all'altra. Le lezioni erano spesso tenute all'aperto, in capanne o ripari di fortuna (foto pag. 37). Qualche anno dopo, il maestro Alessandro Marcucci, diventato direttore delle Scuole per i Contadini dell'agro Romano, ideò un arredamento smontabile, poco ingombrante e facilmente trasportabile con i carri, per seguire la popolazione agricola nei suoi frequenti spostamenti. Nelle pagine seguenti, Marcucci descrive l'attrezzatura che consentiva di fare scuola anche in mezzo ad un campo (foto pp. 32,33 e 57) e sottolinea i vantaggi delle scuole itineranti rispetto a quelle istituite dai Comuni. 16

17 La scuola in un armadio "Fu ordinata la costruzione di 12 cattedre-armadio, anche queste di tipo speciale da noi disegnato, composte ciascuna da due solide casse da sovrapporre e facilmente trasportabili: in esse si contiene tutto ciò che serve alla scuola, il tavolo per il maestro, la lavagna, il pallottoliere, la custodia per i quaderni, il magazzino per il materiale scolastico e didattico, un armadio per la farmacia ed una biblioteca " La scuola ambulante Data la mancanza di una coscienza scolastica nelle nomadi popolazioni della Campagna, alle quali non si può tuttavia disconoscere il diritto alla scuola, data la mancanza di ogni vita civile nei luoghi di agglomerazione, data la insufficienza dei trasporti, ancorchè fosse possibile ottenere o costruire un locale per la scuola e per l'abitazione del maestro, non appare né opportuno né utile confinare un insegnante (secondo la legge, una donna) in mezzo ad un deserto. La scuola ambulante si dimostra per ora come la più rispondente alle condizioni dei luoghi e della nostra popolazione agricola; in quanto svolge la sua azione là dove il bisogno la chiama; in quanto è meno costosa (ogni nostra scuola, a corso completo, serale e festivo, frequentata in media da 40 alunni, non costerà più di lire, cioè in media 30 lire per alunno); in quanto il maestro vi è animato da zelo, da spirito di sacrificio e di emulazione e mantiene continuo il contatto coi maggiori centri. (Da "Le scuole serali e festive nell'agro romano. Istituite dalla Sezione Romana dell'unione Femminile Nazionale". Relazione del Direttore delle Scuole. Anno ). 17

18 La scuola ambulante deve essere serale Ma la scuola ambulante, che ricerca e segue le popolazioni agricole nel loro peregrinare di tenuta in tenuta nella nostra campagna, deve essere serale. ( ) Le scuole diurne che il Comune di Roma ha istituito in qualche centro, molte affidate a maestre, alcune ai parroci, sono poco frequentate, tenuto conto del numero degli analfabeti dimoranti nel luogo, e, perché spesso lontane dalle abitazioni dei contadini, si può dire che costituiscano, pur nella loro misera apparenza, pressoché un lusso, a vantaggio dei ricchi ferrovieri, i soli che possano mandare i figli alla scuola di giorno. I figli dei nostri contadini all'età di sei anni non sono ancora maturi per la scuola. Le bambine, per natura più serie dei maschi, fino ai dieci anni compiono alcune faccende domestiche in assenza della madre che lavora nei campi, così che in questa età le nostre contadinelle sono portatrici d'infanti, e alla domenica molte ne vediamo assise ai nostri banchi col fratellino in collo. Nella nostra campagna i bambini sono dunque maturi per la scuola verso gli otto anni; a quell'età essi sono divenuti già seri, più gravi, osservatori e ragionatori; a quell'età già lavorano e guadagnano. Per essi può dirsi che non esiste fanciullezza; lavorano alle opere più facili: cacciano le cornacchie e i passeri dai seminati, battendo una grossa scatola di latta, conducono e vigilano le bestie al pascolo, seguono i genitori in qualche viaggio, aiutandoli a portare i pesi; insomma han già una parte nel lavoro dei campi, per cui guadagnano pochi centesimi è vero, ma ai quali la povera famiglia non potrebbe rinunciare.per essi, che insieme agli adulti analfabeti, costituiscono la vera popolazione scolastica delle nostre campagne, la scuola diurna è inutile. (da Le scuole serali e festive nell'agro romano, istituite dalla Sezione Romana dell'unione Femminile Nazionale. Relazione del Direttore delle Scuole. Anno ) 18

19 I Protagonisti Del gruppo promotore delle Scuole per i contadini (foto a pag. 34) abbiamo già incontrato i coniugi Celli, Angelo e sua moglie Anna Fraentzel. Del Comitato delle Scuole per i Contadini entrò a far parte fin dai primi tempi anche la scrittrice Sibilla Aleramo, che coinvolse il letterato e poeta Giovanni Cena. Completarono il gruppo, nel 1907, il maestro Alessandro Marcucci, che assunse l'incarico di direttore delle Scuole per i Contadini e più tardi, nel 1930, il pittore Duilio Cambellotti. Grazie al loro volontariato, negli anni tra il 1906 e il 1926, vennero create numerose scuole serali e festive per i contadini dell'agro Romano e, più tardi, dell'agro Pontino. Questo gruppo svolse in pochi anni un compito enorme che contribuì ad avvicinare centinaia di contadini e di povera gente alla scuola, vicenda una battaglia contro l'ignoranza e l'oscurantismo che significava anche il riconoscimento a una dignità umana spesso negata. Di questo erano ben consapevoli i protagonisti di questa avventura, come testimoniano le parole di Anna Celli: "Educhiamo poi questi (i bambini) ed educandoli insegneremo loro che sono uomini anch'essi con diritti di uomini, e che non possono, non debbono lasciarsi trattare come bestie". ("Cenni sulla vita della contadina e dei Bambini nell'agro Romano", in Unione Femminile, anno I, n.10, ottobre 1901). Angelo Celli Era nato nel 1857 a Cagli, nelle Marche. Si era laureato in medicina all'università di Roma. Per un certo periodo lavorò al Laboratorio Batteriologico di Monaco, poi rientrò in Italia, a Palermo, dove aveva vinto il Concorso per la cattedra di Igiene. Poco dopo gli venne assegnata la Cattedra di Igiene sperimentale all'università di Roma. Si occupò di ricerca nel campo della tubercolosi, del colera, della rabbia e infine della malaria. Su sua iniziativa venne istituita la Società Italiana per gli studi sulla Malaria, con il compito di fornire i supporti necessari, anche economici, alla ricerca sulla malaria. Accanto alla sua attività di scienziato e di professore, svolse per sette legislature anche attività di parlamentare, promovendo ogni legge che potesse sostenere la campagna antimalarica e migliorare le condizioni delle donne, dei bambini e dei contadini dell'agro. In particolare fu promotore della legge che imponeva la distribuzione gratuita del chinino da parte dello Stato, "non come opera di beneficenza o carità, ma come doverosa misura di salute pubblica". La sua campagna antimalarica si caratterizzò per essere ad ampio raggio, prendendo in considerazione tutti gli aspetti, da quelli igienici a quelli culturali, ambientali e climatici. Si preoccupò di fornire per i bambini del chinino in cioccolatini e studiò con i suoi studenti il sistema migliore per distruggere le anofele nelle diverse fasi del loro sviluppo individuando nei fumi prodotti dalla combustione della polvere di Zanzolina il rimedio più efficace. 19

20 Nel 1899 sposò Anna Fraentzel, che sarà la sua fedele collaboratrice, impegnata attivamente con lui nella campagna antimalarica e che proseguirà l'attività del marito, dopo la morte prematura di lui, avvenuta nel 1914 a soli 57 anni. Anna Fraentzel Celli Quando Anna Fraentzel arrivò a Roma aveva poco più di venti anni, si era trasferita da poco da Berlino, dove era nata nel 1878, per fidanzarsi con Angelo Celli, molto più anziano di lei, e per proseguire i suoi studi infermieristici. Entrò così a far parte del gruppo di studenti di Marchiafava e Dionisi e insieme ad altri studenti passava le sue giornate all'ospedale Santo Spirito di Roma. Appena sposata, accompagnò il marito nelle sue esplorazioni nella campagna romana, dove scoprì le sconvolgenti condizioni di vita dei lavoratori delle campagne. Fin dal tempo dei suoi primi contatti, quando visitò le rare scuole rurali sparse nell'agro (due descrizioni sono riportate nella pagina a fianco), si rese conto che, accanto alle pessime condizioni igieniche, alla miseria e alla fame, anche l'ignoranza e i pregiudizi della popolazione costituivano un ostacolo per la lotta contro la malaria. Un primo esperimento di aprire delle scuole festive per le madri e i bambini dell'agro, condotto insieme alla Direttrice Scolastica Adele Meneghini, fallisce in parte anche per l'opposizione del parroco del luogo all'istruzione femminile. Fece parte fin dall'inizio del Comitato delle Scuole per i contadini, insieme al marito, a Sibilla Aleramo e a Giovanni Cena. Si impegnò senza risparmiarsi per portare ovunque possibile la scuola vicino ai contadini, per reperire locali e attrezzature, per trovare i maestri volontari, per raccogliere i fondi necessari a sostenere l'iniziativa. Con lo scoppio della I Guerra mondiale, lasciò la Presidenza del Comitato. Nello stesso anno restò vedova e, dopo un primo momento di disperazione, si impegnò nuovamente, questa volta occupandosi della formazione delle infermiere laiche. Nel 1920 ricevette l'incarico da parte della Croce Rossa di dirigere la profilassi antimalarica a Maccarese (che continuava ad essere una delle zone malariche peggiori dell'agro e dove dai tempi di Dionisi nulla sembrava cambiato. Anzi, nel periodo intermedio, erano sparite anche le reti metalliche poste a protezione delle finestre delle case dei lavoratori e dell'azienda). L'anno dopo, nel 1921, le venne affidato da parte del Comitato Romano per l'assistenza Antimalarica l'incarico di Ispettrice del personale ausiliario, e continuò questo impegno per i successivi quindici anni, seguendo le infermiere prima nella loro formazione, presso la Scuola di Malariologia di Nettuno, e poi nella loro attività di profilassatrici. Sibilla Aleramo Era nata ad Alessandria nel 1876, e con la famiglia si era trasferita a Civitanova Marche. Venne costretta a sposare un dipendente del padre, che aveva abusato di lei e da cui ebbe un figlio. Come racconta nel suo romanzo più famoso "Una Donna", il matrimonio fu un fallimento e, dopo aver chiesto invano al marito la separazione, abbandonò la famiglia, sperando di ottenere in seguito l'affidamento del figlio, cosa che invece non avvenne mai. 20

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