SAN VITTORE La chiesa parrocchiale di Cannobio a 250 anni dalla Consacrazione

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1 SAN VITTORE La chiesa parrocchiale di Cannobio a 250 anni dalla Consacrazione 1749 maggio

2 Il nuovo San Vittore impresa di tutto un popolo Esattamente per la festa di Pentecoste di 250 anni fa (25 maggio 1749) il cardinale Pozzobonelli, arcivescovo di Milano, mentre era in Visita Pastorale nella Pieve di Cannobio, consacrava la nuova Chiesa Collegiata Plebana dedicata a S. Vittore Martire. Questo è un anniversario privilegiato, perché mentre segna i due secoli e mezzo di quel fausto avvenimento ci proietta anche verso il Terzo Millennio cristiano, ormai imminente. Celebrare infatti i 250 anni di questa chiesa significa inserirsi in un percorso che viene da lontano e ci apre l orizzonte verso il futuro. Una chiesa plebana in questo luogo non è un fatto occasionale. Tutta la storia di Cannobio, infatti, ruota attorno a questo perno strutturale: la sua chiesa plebana. E singolare è pure il legame, ben più che ideale, con la grande chiesa ambrosiana. Scrive Zammaretti, per molti anni interprete appassionato della nostra storia: «Cannobio già in tempi lontanissimi era pieve ed aveva sotto di sé un territorio vastissimo con un gran numero di cappelle. Molte di queste non si staccarono dalla Chiesa Matrice e Plebana che assai tardi e cioè sul finire del sec. XVI ed al principio del secolo seguente. Da Cannobio dipendevano infatti le terre o cappelle di Cannero, Trarego, Viggiona, Oggiogno, Cursolo, Orasso, Gurro, Spoccia, Falmenta, Crealla, Socraggio, Gurrone, Cavaglio S. Donnino, Traffiume, S. Agata, Piaggio o S. Bartolomeo, Brissago (Svizzera), Bassano, Tronzano, Pino L.M., Maccagno Sup., Campagnano e la Valle Veddasca settentrionale. Un complesso di ventisette centri abitati con una popolazione di circa diecimila anime al principio del Trecento. Era dunque più che naturale che, con un sì vasto numero di chiese minori a cui attendere, il prevosto di Cannobio avesse presso di sé un gruppo conveniente di chierici o canonici per la cura spirituale dei fedeli sparsi sopra un vasto territorio parte sulla destra e parte sulla sinistra del Verbano. Da questo stato di cose ebbe dunque origine il Capitolo di S. Vittore: origine parrocchiale non liturgica. Contrariamente a quello che avveniva altrove, il Prevosto di Cannobio era il parroco della Pieve: la chiesa collegiata era ufficiata dal Capitolo che nel prevosto riconosceva il proprio capo. La Pieve di Cannobio è una delle prime, in ordine di tempo, dell archidiocesi ambrosiana ed il Capitolo è antichissimo» (A. ZAMMARETTI, La Basilica e il Capitolo di S. Vittore M. in Cannobio, Novara 1934). Una così antica origine della Pieve rimanda immediatamente alla Chiesa plebana, di cui si hanno notizie certe già dal 1076 quando venne rifatta dalle fondamenta per essere poi consacrata dall arcivescovo di Milano Uberto Pirovano il 10 luglio Ampliata poi nel 1296 con licenza di Ottone Visconti, arcivescovo di Milano, la chiesa di S. Vittore attraversa tutti i secoli gloriosi del Libero Comune, e arriva ai tempi di san Carlo già bisognosa di interventi vari. Il Borromeo ne consacra l altare il 20 giugno 1574 durante la Visita Pastorale. Ma il degrado edilizio continua e la chiesa romanica, erede di tutto il glorioso medioevo cannobiese, è in stato fatiscente all inizio del 1700, quando il gusto architettonico è passato attraverso la classicità e il barocco. Si pensa così non tanto al restauro, quanto ad un totale rifacimento. E così siamo a quegli anni della prima metà del 700 in cui, sotto l impulso e la munificenza del canonico Duminelli, ci si decide per questa nuova chiesa di cui oggi celebriamo i 250 anni. 2

3 Lo studio storico del prof. Mario Crenna, che pubblichiamo appositamente a commento di questa celebrazione anniversaria, racconta episodi inediti sia dei lavori di progettazione e costruzione della chiesa sia delle attività che ne seguirono, dandoci uno spaccato di vita economicosociale oltre che religiosa e pastorale dei tempi in cui la chiesa di S. Vittore è venuta crescendo e conformandosi al modello che conosciamo. L interessante rapido excursus, infatti, ci trasporta dietro vicende minuziosamente descritte in verbali e documenti d archivio, fino a farci toccare con mano quasi fossimo presenti le discussioni e le diatribe, gli entusiasmi e le preoccupazioni, le ponderate decisioni e i faticosi pagamenti a cui la Comunità cannobiese si è sottoposta per consegnare ai posteri a noi questo monumento. Forse tanti altri particolari sono ancora celati in chissà quali faldoni d archivio, ma quelli portati alla luce sono già sufficienti a svelarci il volto reale e concreto di una Comunità decisa a darsi, nella nuova Collegiata, un simbolo solenne e una immagine dignitosa. E se grande fu l impresa di darsi un tempio così ampio e solenne, non meno tribolato ce lo conferma sempre la ricerca del prof. Crenna è stato il compito delle generazioni successive, che non vollero essere da meno dei loro padri. Un secolo dopo la consacrazione che celebriamo, infatti, la Comunità cannobiese non avea ancora finito di decorare la sua chiesa, ora acquistando un altare laterale, ora mettendo in opera l altare maggiore, ora pensando ad una grande ditta organara come il Biroldi per dare alla chiesa uno strumento musicale di grande pregio, ora, infine, proponendosi di decorare la cupola in modo da segnalarvi con volo d angeli la presenza venerata della Sacra Costa. A proposito: nella minuziosa ricognizione dello studioso viene fuori anche il nome del geniale inventore di quel marchingegno che consente due volte all anno di far scendere e far risalire in modo spettacolare (sul modello del Santo Chiodo nel Duomo di Milano) la Santa Reliquia per le feste d inverno e di primavera. Ma l aspetto forse più spettacolare della ricerca del prof. Crenna è la minuziosa quasi pedante ricostruzione della progettazione ed esecuzione della monumentale facciata portata a compimento a metà del secolo scorso, un secolo dopo la consacrazione della chiesa che ora celebriamo. Ciò che, almeno personalmente, ho ricavato dal prezioso studio qui presentato, è che davvero tante generazioni hanno faticosamente e testardamente impegnato energie e denari per realizzare questo San Vittore portandolo a quel compimento che noi abbiamo potuto ricevere. Della sua attuale conformazione ci parla, poi, in appendice, il compianto prof. Zammaretti, del quale ho voluto trascrivere la descrizione contenuta nel suo aureo fascicoletto Le chiese di Cannobio nella storia e nell arte, peraltro datato ormai a più di trent anni fa. Ma un auspicio va fatto in questa circostanza: le rapide pennellate con cui lo Zammaretti descrive la Collegiata di S. Vittore meritano di essere ormai ampliate in una vera e propria guida che, in effetti, ci manca. Potrebbe essere il frutto di queste celebrazioni del 250 anniversario della Consacrazione. Dico una guida, cioè uno strumento abbastanza agile e turistico (ma non per questo meno serio e documentato) che consenta al visitatore una conoscenza meno superficiale del monumento che, insieme con Santa Pietà, S. Ambrogio, S. Marta (ma anche le chiese di S. Anna all Orrido e di Traffiume, Carmine, S. Agata e S. Bartolomeo in montibus) costituisce per Cannobio un percorso artistico e storico di grandissimo pregio. E dico solo delle chiese; ma basterebbe citare il Parasio, il Campanile romanico, i Pironi e le moltissime rilevanze architettoniche e artistiche di Cannobio per far pensare addirittura ad una guida della città che risulterebbe oltremodo ricca e appetibile. Ma torniamo a San Vittore, centro di questa festa. Dopo il sommario racconto dello Zammaretti che riferiamo in appendice, altre opere di grande valore sono state collocate in S. Vittore, mentre di altre il professore non parla esplicitamente. E tuttavia si tratta di opere di grande rilievo, oltre alla sacrestia ed ai suoi ricchi paramenti liturgici, per non dire delle suppellettili, tutte di gran pregio. 3

4 Considerando a parte il prezioso ostensorio e il non meno prezioso calice, opera di oreficeria di alta qualità e vetusta datazione, S. Vittore è arricchita da alcune opere d arte davvero originali. Una, ad esempio, è pressoché sconosciuta, nascosta com è dal tradizionale grandioso padiglione con i suoi vari colori liturgici, secondo l usanza ambrosiana: è una tempera di vaste dimensioni che orna l abside sopra il bel coro ligneo. Si tratta di una solenne Crocifissione di gusto neoclassico, incastonata in una elegante cornice monocroma, che un pittore cannobiese, più conosciuto in Francia che da noi, ha voluto regalare alla chiesa del suo paese natio. È Giovanni Zaccheo, che ha recentemente avuto l onore di una rivalutazione da parte della critica d arte in Francia, dove ha profuso la sua notevole produzione. Ma andiamo alle opere d arte di maggior pregio. Il grande Crocifisso, per ora con collocazione troppo riposta e di scarsa fruibilità in una cappella laterale, merita un ben più alto rilievo, magari anche liturgico. Così merita considerazione il battente scolpito, collocato in cornu Evangelii tra Presbiterio e Coro: di esso si auspica uno studio approfondito che ne stabilisca con la miglior precisione possibile sia l autore (potrebbe essere il Tiberino?) sia la primitiva funzione di custodia delle Reliquie: quella della Sacra Costa, quasi certamente, prima della collocazione sette-ottocentesca in alto nella Cupola. Questa anta, bisognosa tra l altro di un accuratissimo restauro, merita anche una lettura semiologica che contribuisca a chiarirne i simboli e la struttura espressiva, indubbiamente di grandissimo interesse. Ci sono infine i due Trittici, provenienti da Carmine e collocati nella Cappella dei morti per una più sicura custodia e per una più universale fruizione. Anche di queste due opere, recentemente restaurate e portate all onore della fruizione artistica e culturale, meriterebbero una più approfondita conoscenza per la loro forte testimonianza di valori e di fede. L auspicio è dunque ben documentato: uno studio accurato e una esposizione grafica appetibile potrebbero dare origine ad una guida del nostro bel San Vittore che resti come ricordo di questo Centenario e come piccola, ma significativa opera dell imminente Giubileo. San Vittore merita bene da parte di noi Cannobiesi una attenzione amorosa. La grandiosa opera di rifacimento del tetto in beole, portata a termine dal Prevosto Cardano, è stata certamente uno degli interventi più significativi di questa fine del secolo. Altro ancora si può pensare per questo monumento che, a partire dalla celebrazione dei suoi 250 anni, attende che l amore dei Cannobiesi si esprima in sempre crescente attenzione. L anno giubilare che è alle porte può essere occasione propizia per riproporre, come ha cercato di fare anche questa celebrazione centenaria, la centralità artistica e culturale, oltre che pastorale e religiosa, della nostra Collegiata, dedicata al Martire S. Vittore e custode della preziosa e venerata Reliquia della Sacra Costa. Quando alziamo lo sguardo a quella nuvola dorata, entrando nel nostro San Vittore, il nostro cuore di Cannobiesi si riempie di gratitudine per il dono che abbiamo ricevuto: il dono del Santo Miracolo, ma anche il dono di una chiesa che ha incarnato, nella sua storia, una lunga vicenda di generazioni e generazioni, la cui fede e la cui devozione oggi ancora hanno parole di speranza da sussurrare all orecchio, spesso distratto e disattento, delle generazioni future. Germano Zaccheo Vescovo di Casale Monferrato 4

5 Interno della Collegiata di S. Vittore In copertina: veduta della nuova facciata della Collegiata di S. Vittore nel borgo di Cannobio (arch. Ferdinando Caronesi inv. e dis. - A Fumagalli inc.). 5

6 Antina del primo Repositorio della Sacra Costa (v. Bollettino Ss. Pietà, settembre 94) 6

7 Alcuni particolari dell Antina. 7

8 CROCIFISSO in legno di epoca cinquecentesca. 8

9 BURGUS CANOBII ET PLEBS DUE REALTÀ INSCINDIBILI Ricerche d archivio sulla fabbrica della nuova chiesa di S. Vittore tra Sette e Ottocento Protagonisti: i Maggiorenti Una prima informazione ci viene fornita dal Libro mastro della Scuola del Santissimo Sacramento del Borgo di Cannobio nel quale si contiene i legati et altri crediti particulari et ordini di essa Scuola, incominciando l anno In data 8 giugno 1734 vi sta verbalizzato «come, essendosi trattato da molti Principali di questo Borgo di incominciare la fabbrica della nuova chiesa collegiata di S. Vittore, i confratelli hanno deliberato di dare alla detta fabbrica lire mille imperiali in due anni, cioè L. 500 all anno». Non era poca cosa, come oggi può sembrare: equivalevano al salario percepito da un operaio in 535 giornate lavorative. Che il progetto edilizio fosse perlomeno in stadio avanzato lo si desume dal verbale di seduta del Consiglio Maggiore comunale tenutosi il 20 dicembre di quello stesso anno: vi fu ammesso il canonico Giuseppe Maria Duminelli che sollecitò un piano di finanziamento mediante riscossione di un contributo da ogni fuoco (unità famigliare tassabile), consistente «in danaro o giornate, per desiderio anche del padrone Conte Giovanni Borromeo». Nella delibera si legge che tale impegno contributivo fu quantificato in sei lire per ognuno dei 154 fuochi del Borgo, o in equivalenti prestazioni lavorative giornaliere. Può essere assunta come prova dell effettivo avvio dei lavori la delibera del 15 maggio 1735, in cui si stabiliva di contattare i fabbricieri di S. Vittore, mediante consiglieri a ciò delegati, per accertare che l Ordinario fosse stato pienamente edotto circa la «demolizione parziale o totale» dell antica parrocchiale. Una puntualizzazione di ordine amministrativo: non intendeva la Comunità accollarsi oneri derivanti da eventuali emergenze di cantiere, perché del tutto esulanti dall obbligo plurisecolare, assunto dalla municipalità per le spese di culto in S. Vittore al tempo della ripartizione degli oneri di gestione pattuita col Capitolo canonicale (a riprova, il 17 aprile 1761, in previsione della visita pastorale di mons. Giulio Visconti, la Comunità consegnerà L imperiali al tesoriere della Collegiata «matrice di tutta la Pieve» per acquistare tutte le suppellettili necessarie alla sacrestia). Tale precisazione, comunque, non stava a significare disimpegno, come si può ben arguire, ad esempio, dalla delibera del 26 giugno 1736 che di netto dirottava a pro della Fabbriceria la sportula dei consiglieri inosservanti delle convocazioni, sia del Consiglio Maggiore (di 36 membri), sia del Minore (di 12 membri). Emergenze finanziarie E più ancora esplicito è il verbale di seduta del 17 aprile 1743, ove leggiamo che «essendo di tutta necessità il proseguimento e terminazione di questa Chiesa Collegiata», pur di sopperire alla penuria finanziaria, la Municipalità viene autorizzata a sospendere per tre anni la scolastica, ossia la gratificazione annuale di 350 lire imperiali assegnata allo scolastico Andrea Pianta, ancor più essendo diminuito il numero di quei ragazzi del Borgo che, in aggiunta ai propri dozzinanti (pensionanti), egli ammaestra «dai primi rudimenti di grammatica sino alla retorica». Se l ufficialità escogita artifici finanziari, nel Borgo non si è da meno. Ad esempio: il signor Teodosio Petrolino offre sette lire alla Fabbrica della Collegiata purché gli si conceda riserva di caccia dei rondoni stanziali all interno della torre campanaria, facendo però anche divieto ai bracconieri appostati all esterno del campanile di abbattere i volatili ad archibugiate. 9

10 A dieci anni circa dall inizio dei lavori dà l impressione che si stia ormai raschiando sul fondo del barile il fatto che in Consiglio comunale, il 21 maggio 1744, si sia tornati a ribadire la sanzione pecuniaria contro i consiglieri negligenti, a favore della Fabbrica di S. Vittore. Le campane: un concerto buono e giusto Ai primi di gennaio 1748 l impresa edilizia doveva certamente essere conclusa: a quella data sta verbalizzato negli Ordinati Comunali che il prevosto Fobelli, intervenuto alla seduta consiliare, aveva chiesto, in previsione della venuta dell arcivescovo, di allestire per S. Vittore «di fresco riedificato» quel concerto di campane «buono e giusto» come era stato prospettato dal fonditore di Varese Carlo Giovanni Bizzozero. Si trattava cioè di riutilizzare le campane già esistenti, con aggiunta quella di S. Eusebio, mantenendo però intatto il campanone: ne sarebbe risultato un concento di suoni di cui il Bizzozero dichiarava di farsi garante «per un anno e un giorno». Ai figli del campanaro Giovan Battista Ferrari la mansione di far balzare (come si diceva in gergo) tutte le campane nelle feste maggiori, secondo l antico costume (come stava precisato nell ordinanza comunale); ma la grossa solo nelle solennità e nella terza domenica d ogni mese durante la processione attorno alla chiesa. L impianto campanario costituiva una greve aggiunta di spesa; senonché ad alleviare l impatto finanziario concorsero due maggiorenti l alfiere Gio. Antonio Branca e il già citato Teodosio Petrolino con un prestito grazioso gravato da interesse del 4% a decorrere dal quarto anno. Il 19 aprile 1749, a ridosso della visita pastorale del cardinale Pozzobonelli, che nella ormai prossima Pentecoste avrebbe consacrato la chiesa rinnovata, il Consiglio comunale «senza pregiudicare i propri obblighi», cioè in via del tutto eccezionale, si accollò la paratura solenne in S. Vittore, la «cibaria e la musica in modo conveniente», ed ovviamente la riparazione del tratto di strada su cui sarebbe transitato l arcivescovo. La vetustissima chiesa Con quest ultimo dato si esaurisce la documentazione al presente rintracciata: purtroppo scarsa di ragguagli sull effettiva conduzione dei lavori di restauro radicale o di rifacimento della vecchia chiesa di S. Vittore. O per meglio dire: della vetustissima chiesa, perlomeno a motivo di qualche sua struttura originaria ancora superstite, come lascia intendere lo storico Sasso Carmino: «[La pieve originaria] era edificata fino l anno 1076 come consta per autentiche scritture riposte nel suo archivio e da me vedute... consacrata da Uberto Pirovano a dì 10 di luglio E in processo di tempo, cioè negli anni del Signore 1296 essa fu poi ampliata [quindi non riedificata] e ridotta nella forma che insino al presente si vede, e ciò con licenza di Ottone Visconte, allora arcivescovo di Milano, come appare dalle sue lettere... da me vedute nell archivio di tal chiesa». I preziosi documenti qui citati oggi purtroppo risultano irreperibili, ad eccezione di un promemoria di sentenze coercitive emanate dall arcivescovo Argizio il 6 agosto 1182, e da Aldone a nome di Uberto cardinale Legato della Sede Apostolica, il 5 luglio In esse vien fatto obbligo agli homines della Val Veddasca e di Maccagno di prestare la loro opera (o laborerium) alla fabbrica della chiesa di Cannobio, e poi ancora del suo campanile. Vi si aggiunga l ingiunzione di pagamento di L. 60 emesso il 19 aprile 1235 dal vicario arcivescovile Ugo Guarino: quota assegnata ai medesimi per la campana allora collocata sul campanile di S. Vittore. La Pieve: socialità cristiana d altri tempi Sono date e comportamenti che stanno a significare contesti sociali per noi oggi concettualmente ostici e di scarsa rilevanza, già a livello della stessa formulazione quale troviamo ricorrente nei documenti coevi. Vi si legge Burgus Cannobii et plebatus seu ejus jurisdictio: borgo di Cannobio e sua pieve ossia giurisdizione territoriale. 10

11 Dunque due gli elementi costitutivi dell antico comprensorio cannobiese: il Borgo, ossia l organismo comunitario accentrante, e la Pieve, o aggregazione in ambito distrettuale dei loca plebis, delle località periferiche giurisdizionalmente gravitanti sul borgo. Può essere come ipotizza lo storico Sasso Carmine che tale consociazione comunitaria in certo senso ricalcasse la preesistente organizzazione municipale romana. E ammissibile, purché si ravvisi nella pievania (o plebatus) quel rinnovato tipico tessuto sociale risultante dalla graduale cristianizzazione delle popolazioni. Quindi ne consegue che nella realtà comunitaria cannobiese due siano stati anche i fattori aggreganti: da un lato l ordinamento civico di norme ab immemorabili consuetudinarie approdate a codificazione statutaria, dall altro l equipollente univocità religiosa, corporativamente promossa e istituzionalmente significata dalla chiesa battesimale di San Vittore, matrice delle tante cappelle e chiese minori da lei irradiate nei vari loca plebis, dalla Val Travaglia al Gambarogno, dalla Val Cannobina al circondario Brissaghese. A siffatta estesa prestanza di servizio corrispose la gratificante onoranza del diritto di decima presso le comunità rivierasche e valligiane dell area pievana: implicito riconoscimento dell indiscussa primazialità della chiesa di S. Vittore congiuntamente al suo Borgo. La nuova pieve, emblema borghese Fu inevitabile lo scollamento etnico susseguente ai rivolgimenti politici che segnarono ripetutamente e pesantemente anche la regione dell alto Verbano, ed altrettanto scontata l emancipata gestione delle parrocchialità subentrate alle primitive cappellanie. E per S. Vittore significò ridimensionare la propria funzione a semplice luogo di culto, sia pure in un Borgo insigne per personalità giuridica, accreditato dalla libera gestione amministrativa impersonata dal ceto elitario dei Vicini e suffragata dalla solida tradizione notarile. Ed ovviamente, come si è visto, i Principali del Borgo non trascurarono il decoro, seppur emblematico, della loro chiesa rinnovandola nei modi che il Grandazzi elogiava nei suoi Passeggi storici, manoscritto custodito nell archivio parrocchiale: «La presente chiesa moderna fu rifabbricata circa al 1730 con vago maestoso disegno, tutto diverso dall antico, che era a tre navi e con volta bassa, ora è di una sola, chiara ed alta; e l altar maggiore e coro è situato dove prima era la porta maggiore, che di presente è ad oriente; nella tazza superiore, cioè in prospetto e sotto la cupola fatta a cattino vi è il deposito per la reliquia della Costa miracolosa di S. Pietà, e vi si ascende per scala fatta nel pilastrone vicino alla sagrastia, che pur è ampia e ben addobbata, e fornita di vestari di noce ed archivio capitolare [...] vi sono due capelle maggiori formanti croce latina e due minori per parte con elegante orchestra sopra la porta, vaghi confessionali, bussola ecc. L ancona di S. Giuseppe fu dipinta dal virtuoso Amedeo nativo di Cavaglio, che lasciò varie opere assai lodate in Milano Parma e altrove. Avanti la facciata ancor rustica vi è l ossario di polita struttura, ampio circondario ed alta torre campanile di pietre quadratte e sonori bronzi. Eranvi anticamente capellette attorno la chiesa con ossa de morti e dentro la porta maggiore leggi l epitafio sepolcrale del fu canonico Duminelli promotore di detta fabbrica e che fu già curato di Cavaglio, morto nel 1743 e leggi altri epitafij di proposti etc. Il quadro della capella di S. Maria e S. Anna detta del Consorzio fu dipinta dal Sangiorgio milanese, e sotto vi è l antica immagine di Maria Immacolata... [o Madonna di Solidad, acquistata dal priore Antonio Omacino nel 1697] Sonovi due porte laterali, la meridionale cioè verso piazza del campanile in di cui prospetto si estende la contrada di Cima Borgo ed avente ai fianchi molti civili caseggiati col doppio canale di acqua ad uso del vitto e di lavar altre cose; annesso vi è il pretorio rifabbricato in questo secolo con l archivio plebano e l altro della Insinuazione. Di rimpetto vi è l antico palazzo e vasto giardino de nobili signori Mantelli provenuto da nobili signori Carcani eredi di Lorenzo Gallarino. Sonovi pure vicine le carceri ed il portico detto Parasio o palatio publico... e la pioda [posto obbligato di vendita del pesce per i pescatori cannobiesi]. Al portone vi è dipinta la croce rossa in campo bianco di canne, che è lo stemma di Cannobio confirmatoli dal magno Ottone Visconte arcivescovo...». 11

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13 Antico e moderno nel documento planimetrico Di quale entità sia stato nel 700 il rifacimento strutturale della vecchia pieve lo si ricava visivamente e in dettaglio dalla planimetria del progetto redatta da Giovanni Bettetini, qui riprodotta. Chiaramente individuabile l orientamento ad est dell antica impostazione basilicale a tre navate absidate, delle quali la centrale più ampia. Lungo le fiancate delle navatelle laterali si possono notare le scarse rientranze entro cui stavano allogati gli altari minori, per trascorrimenti devozionali dedicati ai santi Teodoro, Michele, Cristoforo, Giovanni, Pietro Martire, Marta, Madonna del Consorzio... Nelle visite pastorali viene ripetutamente lamentata l insufficiente evidenza di codesti altari, o la loro indecorosa attrezzatura di «scalini sopra la mensa» ove deporre i candelieri, o l assenza delle bradelle per il celebrante, nonché la mancanza di spazio condecente per il chierico inserviente. Peraltro le ordinanze impartite dai Visitatori ci lasciano intendere come la praticabilità lungo le navate risultasse compromessa (anche olfattivamente) a motivo della presenza dei tanti sepolcri: della Comunità e delle famiglie Galli, Carmine, Gallarini, Mantelli, Mazironi, Bombelli e di altre ancora che vi si erano aggiunte nonostante il perentorio divieto di S. Carlo e del Cardinal Federico. Gli inconvenienti che ne derivavano sono stati chiaramente descritti: imperfetta otturazione delle sepolture non ben corredate di «coperchi di pietra sovrapposti a distanza tra loro di 8 once, riempiendo di terra lo spazio intermedio acciò non possino render fetore, advertendo che la pietra di sopra non avanzi l astrico ma sia equale». Vale a dire: una pavimentazione sconnessa per il mancato livellamento delle pietre tombali al piano pedonabile. Uno strumento disciplinante, da Controriforma Ma soprattutto la circolazione lungo la navata centrale venne suggestivamente disciplinata dall ordinanza arcivescovile del 24 ottobre Proviamo a figurarci l impatto estetico di una palizzata, o meglio di una paratia di legno che si estendeva in asse alla navata centrale dimezzandola per 33 metri, principiando a non più di un metro dalla porta d ingresso sino a raggiungere senza discontinuità l area del presbiterio; ben fissata al pavimento da pali di larice conficcati ogni 2 metri e mezzo, nei quali intelaiato stava un tavolato d assi alto all incirca metri 2,30. Beninteso, il tutto concepito in modo tale «che si possino levar et raccomodar l asse in occasione di sepelire i morti» nelle tombe sottostanti al tavolato. Così fu ordinato, e così fu eseguito. E per più di un secolo (come risulta dai reiterati richiami delle successive ordinanze di Visita pastorale) in virtù della allora vigente pastoralità controriformista i fedeli del Borgo furono bellamente convogliati in questo modo: «la parte delli huomini sarà dalla mano destra nell entrar in chiesa, quella delle donne dalla sinistra». Rinnovo strutturale e decorosità liturgica Come è ancora ravvisabile nella planimetria, le demolizioni non eccessive interessarono principalmente la fronte, l abside e le pilastrate interne della vecchia pieve, di cui furono riutilizzati, debitamente restaurati, i muri di fiancata con l aggiunta ex novo (e con posizionamento inverso al precedente) dell abside e della facciata. Furono rimpiazzate le soffittature antiche con un unica copertura arcuata ed un ampia cupola. Altre demolizioni a margine interessarono gli ossari antistanti alla nuova facciata, e quel portico addossato alla chiesa dalla parte di settentrione, tanto deprecato nelle visite pastorali perché solitamente, per incuria, frequentato dai cani ad cadavera dilanianda, come censurava con ribrezzo il Cardinal Federico. Eliminate pure le cappelle mortuarie e le recinzioni delimitanti l area cimiteriale, ove (recriminato nelle relazioni di Visita pastorale) vigeva lo strano vezzo di stendere il bucato ad asciugare o di far disseccare miglio, segale o simili: Non exponantur torrefaciendi panni madefacti neque expandantur blada neque aliud quicquam profani agatur vel exerceatur. 13

14 Fu rimandato a tempi migliori il compito di rimpiazzare la facciata rustica, come scriveva il Grandazzi. La priorità fu data all allestimento degli altari, a cominciare dai due prossimi al presbiterio, dell Addolorata e delle Anime purganti, messi a nuovo con marmi già nel E alla fine del secolo la sostituzione con opera marmorea raggiunse anche l antico altare maggiore, ligneo e corredato nel 1627 dal monumentale tabernacolo e dai sopralzi o gradini di mensa, opere scultoree dell allora rinomato intagliatore aronese Bartolomeo Tiberino. Si concluse nel 1808 coll altare marmoreo di S. Nicolò, opera di Giuseppe Catella di Viggiù, esecutore anche della balaustra, pure in marmo, in tutto simile a quella posta di fronte nella cappella di S. Gaetano. Un operazione, questa, che tra doratura, rifinitura dei marmi e trasporto dei materiali sino alla riva di Laveno costò ben 1573 lire italiane. A motivo del mutato orientamento della chiesa si imponeva anche la collocazione di un nuovo pulpito alla parete di mezzodì ossia, conformemente all uso liturgico, dal lato del Vangelo. E infatti nel 1826 su progetto dell arch. Ferdinando Caronesi si provvide a demolire il vecchio oratorio, sede della Confraternita del Ss.mo Sacramento, adiacente ad un caseggiato già proprietà dei Luvati ed allora dei Pugnetti. Economizzando fu poi ricostruito con materiale di recupero, addossandolo alla fiancata absidale di S. Vittore verso mezzodì, congiuntamente alla scala d accesso al nuovo pulpito. Ed a questo lavorarono in parecchi: il falegname Giuseppe Antonio Branca sotto la direzione del falegname milanese Giuseppe Mezzanotti, l intagliatore Carlo Ripamonti, l indoratore Pietro Bossi, il pittore d ornato Carlo Fontana, pure essi milanesi. Tale serie di prestazioni, manuali e artistiche, venne a costare L di Milano; vi s aggiunse quanto dovuto ai mastri muratori fratelli Pini, con totale di spesa di L Un aggravio non indifferente se rapportato alle due lire e mezza, o poco più, della paga media giornaliera percepita in quegli anni da un operaio provetto. Per una decente facciata Senonché una insperata disponibilità finanziaria si era nel frattempo presentata, grazie al lascito disposto il 23 ottobre 1824 a favore dell erigenda facciata di S. Vittore dalla signora Francesca Arena ved. Petrolini rimaritata Castelfranco. Una consistente somma di ottomila lire milanesi, delle quali L depositate nelle mani del curatore avv. Pironi, che, morto lui e pur opponendosi i suoi eredi, su interessamento del vescovo card. Morozzo vennero trasferite a scopo cautelativo all Ospedale Maggiore di Milano, già erede Petrolini. Pochi mesi innanzi, il 16 aprile 1824, il can. Francesco Antonio Gallaroli, nel suo ultimo testamento, destinava duemila lire allo stesso scopo, purché i lavori venissero intrapresi entro dieci anni dal giorno della sua morte, poi occorsa il successivo 10 giugno. Si ebbe così inopinatamente incentivo per completare l opera di rifacimento della chiesa, ridando al S. Vittore quella «decente facciata che i voti universali di questa popolazione reclamano ardentemente», come si esprimeva il Comune. Fu ben presto interpellato, al n 3924 di Corso della Cornacchia in Milano, l arch. Giacomo Moraglia. E costui il 13 giugno 1825 inviava all Amministrazione comunale «la descrizione delle opere occorrenti per la costruzione della nota facciata; colla scorta di essa un esperto capomastro e col disegno alla mano io sono d opinione che potrà stendere una precisa e dettagliata minuta della spesa occorrente. Quando mai per costruire l opera nel modo da me descritto occorresse una spesa superiore a quella che si può errogare, vi è modo di rendere la costruzione meno costosa, accontentandosi di sostituire opere in cotto ad alcune prescritte in pietra, locché facilmente potrà eseguirsi da quella persona che le V. S. sceglieranno a tal uopo quando nell arte sia perfettamente istrutto...» Cinque giorni dopo, il Comune decideva di accettare la somma stanziata dal legato Petrolini obbligandosi ai costi dell impresa, nel senso che si accollava, in ottemperanza alla clausola specifica impostagli dalla legataria, di aprire un comodo accesso dalla contrada principale del Borgo alla piazza antistante alla chiesa, con preventivo di spesa di L

15 Con delibera del 15 luglio tale accantonamento veniva approvato con atto consolare; ma già l 8 agosto il Comune si sottraeva all impegno di costruire la facciata, che però intendeva promuovere, a tal fine deliberando una sollecita perizia sul caseggiato da demolirsi per creare l accesso in questione. Remore burocratiche e inciampi urbanistici. Interludio: l organo Biroldi Ma fu giocoforza adeguarsi alle norme e ai ritmi della burocrazia amministrativa di Stato, essendo la progettata demolizione subordinata all approvazione della R. Segreteria di Stato Interni, approvazione a sua volta ottenibile previa valutazione eseguita dal Perito provinciale; e questi da designarsi dal R. Ufficio della Viceintendenza di Pallanza. Perizia e tipo del caseggiato ad opera del geom. Cielli risultarono approntati il 30 gennaio Nell attesa dell approvazione governativa, il 10 dicembre 1830 il fabbriciere Pietro Martire Carmine su delega del Prevosto e degli altri due amministratori delle Chiese unite di S. Vittore e della Pietà, Giuseppe Duminelli e Giovanni De Stefani (sindaco del Borgo) concordava con il costruttore d organi in Varese Luigi Maroni Biroldi la fabbricazione del nuovo organo, come da suo progetto del precedente 29 aprile: «un opera che riuscirà corrispondente alla fama dell artefice ed al merito del Tempio». L ammontare della spesa era calcolato in L , oltre la cessione al Biroldi di tutto il materiale recuperabile dal vecchio organo, che, costruito attorno al 1619, era già stato radicalmente restaurato e potenziato (da 12 a 16 piedi «per renderlo più maestoso») dall organaro milanese Rocco Longone nel 1765, quando occorse trasferirlo dall antica collocazione (lato dell Epistola) alla cantoria posta al disopra del nuovo ingresso. Basti un dato (seppure di grossolana rilevanza tecnica) per rendere l idea della grandiosità del nuovo strumento, progettato con un attrezzatura di ben 1255 canne: la durata della complessa operazione di montaggio era prevista in 35 giorni, e la consegna era fissata per la Pasqua del Dal Biroldi fu contestata la cassa dell organo progettata, per malintesa iniziativa della Fabbriceria, dall arch. Caronesi, perché non era delle dimensioni richieste: da qui il secondo progetto dell arch. Moraglia, voluto dall organaro e portato poi ad esecuzione con aggiunta di altre 98 lire al totale di spesa. Da parte sua il Comune, con atto consolare del 16 maggio 1829, aveva preso la decisione di non dare corso ulteriore alla pratica del Geometra provinciale Cielli e, anziché l edificio troppo costoso da lui proposto, acquistare i 3/5 della casa dell Eredità Gallaroli. Seppur costasse L. 5000, essa offriva questi vantaggi: una sua demolizione parziale sarebbe bastata per realizzare il progettato accesso alla piazza della chiesa, e la vendita della parte residua avrebbe consentito un rientro finanziario dell ordine di L e più. A copertura delle restanti L di spesa era previsto un prestito agevolato con interesse del 3,5%, ottenibile dall Opera Pia Uccelli. Posta in questi termini, l operazione finanziaria avrebbe di certo ottenuto il nullaosta dalla R. Intendenza, poiché sarebbero state messe a causato le sole L da erogarsi in interessi. Gli altri 2/5 del caseggiato sarebbero stati acquistati per 2000 lire in concorso di spesa dalla Fabbriceria «specialmente incaricata della costruzione della facciata», e perciò, consenziente l Amministrazione comunale, autorizzata a coprire il proprio disavanzo appropriandosi delle 2000 lire dell eredità Gallaroli. 1831: via libera agli appalti Ottenuto, secondo le previsioni, il benestare dell autorità governativa, e avendo anche superato le riottosità dei due curatori dei lasciti Petrolini e Gallaroli, sebbene con ricorso alla Magistratura e con appello al Senato sabaudo, finalmente nel 1831 l operazione d acquisto venne perfezionata ed il 18 ottobre di quell anno, munito di placet mandamentale, nei principali centri urbani, da Cannobio a Borgomanero, si poté affiggere l avviso d asta per l appalto dei lavori alla facciata: 15

16 «L Amministrazione delle Chiese unite del Borgo di Cannobio superiormente autorizzata a far eseguire nel prossimo entrante 1832 la facciata della Collegiata di S. Vittore in esso Borgo, previene chiunque voglia attendere all impresa di tale opera il cui totale importo è peritato nella somma di L nuove di Piemonte, che a partire da questo giorno sino a tutto il 20 Novembre prossimo venturo sono presso di essa ostensibili li Tipo, Descrizione delle Opere e Capitoli relativi, e si riceveranno i partiti che saranno per farsi in diminuzione al suddetto prezzo, tanto per due distinti appalti, cioè per la somministrazione dei vivi di Mierolo rosso e Bevole, separatamente delle Opere da Muratore, come per un appalto complessivo delle opere tutte quali dovranno terminarsi entro il mese di Ottobre del prossimo entrante Non sarà ammesso a fare partito chi non avrà dato prove d abilità nella rispettiva sua professione, non meno che di probità e soddisfazione in simili appalti...». Artigiani e graniti: qualifiche e qualità a confronto Una previsione di spesa e di tempi d esecuzione che ben presto si sarebbe dovuta rivelare quanto mai ottimistica. Infatti, se i preventivi calcolati il 6 luglio 1828 (in base al piano esecutivo disposto dall arch. Moraglia, nella Descrizione delle opere di demolizione e murarie, da appaltarsi al capomastro e di quelle da appaltarsi allo scalpellino) raggiungevano rispettivamente L e L milanesi, tre anni dopo, il 17 agosto 1831, il direttore della cava di Baveno, Gio. Battista Cardini, preventivava la fornitura di graniti e beole ad un costo non inferiore alle L , cifra poi lievitata nel novembre a L Risultarono notevolmente elevate anche le richieste di altri concorrenti all appalto: nel novembre Giacomo Corsi e Tommaso Pellegatta di Viggiù si proponevano, con impiego della pietra locale detta molera per L di Milano; dal cantone di Locarno la ditta Gregorio De Giorgi & C. si offriva al costo ancor più elevato di L nuove di Piemonte, sia pure impiegando «solo mearolo di qualità rosso e bianco»; e granito bianco proponeva anche Giuseppe Calderara di Borgomanero per una spesa di L milanesi, però esclusi i capitelli delle lesene di facciata, le due mensole della porta e l archivolto del finestrone sovrastante. Per i quattro capitelli di ordine ionico e per le quattro basi attiche su cui poggiare le lesene (che il Caronesi prevedeva «o in mearolo o anche in pietra molera purché venissero poi distinti dalli altri vivi mediante una tinta di bronzo, come si vede quasi in tutti i Monumenti antichi»), su suggerimento dell architetto fu interpellato lo scalpellino Pietro Simonetta direttore di cava a Cambiasca, raccomandato anche da Vincenzo Cardini, a sua volta direttore delle cave Pirovano di granito rosso a Baveno. Il Simonetta, apprezzato artigiano che aveva operato con provata perizia al portico della prepositurale di Intra, presentò il 13 dicembre 1831 un preventivo di L milanesi, calcolando «il lavoro di scalpellino, ossia la provvista dei mearoli rossi e delle beole come da disegno, compreso l intaglio delle basi attiche, delle mensole e dei capitelli, il tutto condotto a Cannobio alla riva del lago, rimanendo però a carico della Collegiata il trasporto dalla riva alla chiesa sotto controllo di suo cognato; l alloggio per tutta la durata dei lavori agli scalpellini (8 o 10) occorrenti; un riparo dalla pioggia in cantiere e una sua debita recinzione. Senonché egli faceva presente che, pressati dalle tante ordinazioni, gli scavatori dei graniti avrebbero approntato i materiali non prima della metà del 1833; mentre da parte sua non si sarebbe potuto applicare agli ordinativi della Fabbriceria se non all inizio di marzo del 32. Per parte sua l architetto optava per i graniti, sconsigliando l impiego della pietra di Viggiù sia per i costi (calcolato il trasporto sino a Laveno), sia per la durata tre volte maggiore del miarolo, sia perché la molera, data l esposizione della facciata, col tempo avrebbe presentato mutazione di colore con fastidiose chiazze. 16

17 Bozzetto per le statue, proposto dalla Fabbriceria (febbraio

18 Disegni di G. Motelli per le statue di Davide e Mosè. 18

19 Disegno di G. Buzzi per le statue (non eseguite) dei due Angeli 19

20 Fasi esecutive: dal settembre 1831 al settembre 1833 Già da metà settembre, il Caronesi (che dal giugno precedente era direttore dei lavori) si era premurato di inoltrare alla Fabbriceria la Descrizione dei vivi occorrenti e le dettagliate istruzioni per le varie fasi dei lavori dall escavazione per le fondazioni fino alla copertura in lamiera delle grondaie e alla collocazione delle statue a coronamento della facciata. Tanta sollecitudine è riscontrabile nell avviso giunto a Cannobio di ritirare il plico contenente istruzioni e disegni, inviato da Torino il giorno 16 settembre e «giunto franco di porto all Ufficio del Regio Velocifero Privilegiato di Arona» all indomani. Però a ritardare l inizio dei lavori ci si mise anche l inclemenza della stagione, lamentata da Bernardo Erba di Pallanza, intermediario con la fornace di Carlo Giuseppe Della Rossa, a cui il 26 aprile 1832 si era rivolta la Fabbriceria per la fornitura delle mezzanelle occorrenti. Rimediabile, ma pur sempre intrigante si lamentava il 30 aprile l arch. Caronesi l essersi imbattuti, al momento della posa delle fondamenta, anziché nel muro supposto preesistente della vecchia fabbrica, in una teoria di sepolture: per cui si rendeva necessario «gettare al completo il muro di fondazione anziché fare solo le basi dei piedistalli». Lo stesso giorno da Pallanza veniva comunicato che «siccome il tempo sempre fin ora è stato contrario alla fabbricazione dei mattoni e non ha permesso al proprietario della fornace di mettervi il fuoco», una prima consegna di 4000 mezzanelle era prevista per fine maggio, a seguire altre 4000 il 20 giugno, e tra luglio e settembre le rimanenti Come Dio volle, il 9 maggio si poté comunicare al Caronesi che l 11 successivo «saranno del tutto riempite le fossa delle fondamenta dei due grandi piedistalli e in conseguenza è prossimo il momento di porre in opera i diversi pezzi componenti il primo zoccolo». Ed è ancora del mese di maggio, però del successivo anno 1833, il sollecito pressante inoltrato dalla Fabbriceria, a nome del capomastro Marcellotto Clerici, al Cardini perché fosse presente con gli scalpellini per una prima posa dei vivi della facciata: operazione iniziata infatti due giorni dopo. Il 3 giugno risultavano collocati tutti i graniti superiormente alla porta «senza disgrazia alcuna» e si dava principio «alla messa in opera delle spalle della porta». Il 9 settembre si era prossimi all approdo, come si desume dal promemoria redatto dal Caronesi per l appaltatore Gio. Battista Cardini perché provvedesse ai ritocchi da apportare: «allo spigolo interno della lesena esterna a sinistra entrando in chiesa, da meglio allineare; alle bugne del fianco verso levante; a zoccoli e basi dei piedistalli da martellinare in grana più fina; allo zoccolo corrispondente al piano del pavimento»; ritocchi concordati per L. 624 di Milano. Oculate contabilità e meticolose direttive Va qui rilevato che alla scrupolosa e pressoché ossessiva contabilità dimostrata dai tre citati componenti la Fabbriceria (e particolarmente dal De Stefani) faceva riscontro la tempestività d intervento e l accurata vigilanza dell arch. Caronesi. Basti citare, a dimostrazione, quanto egli comunicava il 12 giugno 1833 al riguardo di particolari architettonici apparentemente di relativa importanza, quali i «pilastrini o acroteri delle statue: non debbono essere eseguiti scrupolosamente come nel disegno, dovendo questi innalzarsi in modo che stando al fondo della piazza non abbiano ad essere del tutto nascosti dallo sporto del cornicione, per lo che converrà fare molte osservazioni prima di sistemarne la cornice e i zoccoli delle statue». E poi ancora, il 26 giugno: «Il canale di gronda che deve coronare le cornici in pendio e fianchi io per me amerei di più che fosse in lamina, purché venga lavorato da qualche destro e onesto fabbro, onde non abbiano a notarsi le congiunzioni stando sulla piazza». Ed il fabbro sarà Giovanni Patra, operante a Milano «in contrada San Vittore al Teatro, dalla parte di S. Maria alla Porta». Anni dopo, il 2 settembre 1852 il De Stefani tratterà di codesti canali di ferro con altrettanto meticolosa cura, rivolta ora alla loro conservazione mediante verniciatura, e con indovinato indirizzo interpellerà Giacomo Redaelli, agente dei battelli a vapore, circa il prodotto tecnologicamente più garantito. 20

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