Rivitalizzare il ragionamento, oltre «i materiali»

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1 Editoriale Rivitalizzare il ragionamento, oltre «i materiali» 1. L Italia va male, ma il diritto tributario va peggio rispetto alla media di un Paese dove, dopotutto, c è ancora un importante struttura manifatturiera, e i servizi essenziali apparentemente funzionano. Gli operatori del settore ne sperimentano ogni giorno la paralisi legalistico burocratica, anche se non ne intuiscono le ragioni, ed invocano taumaturgici interventi del fantomatico «legislatore», ma gettare la colpa sui «politici» è un diversivo. Essi soffrono infatti della stessa degenerazione diffusa nella società che li esprime, cioè i discorsi solo apparentemente provvisti di un filo conduttore, di cui mi ero già occupato sul numero 4 del 2012 (1), e su cui torno in questo fascicolo a proposito della «sensatezza» come caratteristica delle scienze sociali (2). In queste ultime il problema non sono i discorsi sbagliati, ma al tempo stesso dotati di una loro compiutezza e quindi «confutabili», innescando una proficua dialettica «nel merito». Man mano che il disorientamento sociale nel settore progredisce, però, nei discorsi iniziano a inserirsi parafrasi di normativa, stereotipi, luoghi comuni, figure retoriche, banalità, manifestazioni di erudizione, convenevoli, asettiche citazioni che piano piano coprono tutto con una cortina di incomprensibilità ammiccante. Non sono frasi immediatamente prive di senso o fuori tema, e quindi sono difficili da smascherare, e mettono in difficoltà l interlocutore, che penserà di non aver capito, oppure di essere sprovvisto degli strumenti culturali per apprezzare chissà quali verità recondite, nascoste all interno dello scritto o del discorso. Si comincia con poche frasi, fino ad arrivare a una valanga di discorsi solo apparentemente provvisti di senso compiuto, che svuotano la capacità di riflettere, e sono terribilmente contagiosi, fino a trasformare «l operatività» della tassazione in quell incubo che ci troviamo davanti. Cioè una Babele dove gli operatori si capiscono reciprocamente sempre meno, e possono comprendersi solo se hanno avuto esattamente lo stesso problema, altrimenti ognuno riferisce il proprio e prosegue per la propria strada, senza che gli altri capiscano di che si tratta. Quest incomunicabilità, sintomo di una malattia ormai in stadio avanzato, complica anche le questioni più semplici, paralizzando le decisioni delle istituzioni di ogni ordine e grado. Mi sono soffermato sull origine accademica del problema dell appiattimento deresponsabilizzante sui «materiali normativi» (3), che si è esteso ai più diversi settori dell operatività tributaria, dalla pratica professionale, all editoria specialistica, alle istituzioni amministrative e giurisdizionali. In questa breve prefazione chiediamoci cosa possono fare quelli che cercano di riflettere e di capire. Prima di tutto bisogna rendersi conto che le contraddizioni e le schizofrenie derivano dal disorientamento di classi dirigenti prive di adeguati interlocutori sulla determinazione della ricchezza ai fini tributari, dopo la separazione tra studio economico e giuridico della tassazione, con quest ultimo appiattito sui «materiali normativi». La classe dirigente più a contatto, per ragioni di ufficio, con la tassazione fronteggia il disorientamento come può, cercando di salvaguardare nell immediato la coesione sociale, ma senza strategie di lungo respiro, con continui effetti di annuncio, profittando della memoria corta e della miopia di una pubblica opinione impegnata in altri problemi. (1) R. Lupi, «Parlare senza dire nulla: il contagio sugli Uffici tributari», in Dialoghi Tributari n. 4/2012, pag (2) R. Lupi e M.R. Silvestri, «Lo smarrimento del senso comune nel diritto tributario (a proposito del principio di sensatezza delle scienze sociali applicato al diritto)», in questa Rivista, pag (3) Si tratta di una degenerazione del giuspositivismo, diffusa in tutti i settori del diritto, ma particolarmente intensa in materia tributaria. Dove è particolarmente nocivo il circolo vizioso in cui ci si sofferma solo sui materiali normativi, si smette di pensare, ci si deresponsabilizza e poi si addebita il malessere al legislatore, invocandolo perché vi ponga rimedio (vedi i posts su studitributari.com. e

2 Editoriale Nasce così una enorme confusione di cui sono vittime gli operatori del settore, nelle aziende, negli studi professionali, negli uffici delle Agenzie fiscali e della Guardia di Finanza e nelle Commissioni tributarie. Soprattutto chi lavora negli uffici tributari delle grandi aziende, veri esattori del Fisco, deve rendersi conto che la fastidiosa insistenza su contestazioni senza danno per l Erario, le fumose disquisizioni su IAS, transfer pricing, antieconomicità, costi black list, Durc, detrazione di IVA non dovuta e via enumerando, sono un sintomo da curare indirettamente, spiegando alla pubblica opinione, alle classi dirigenti, i punti di forza e di debolezza della tassazione attraverso le aziende e attraverso gli uffici. Altrimenti, il disorientamento provocherà tempeste sociali destinate a sfogarsi proprio sulle aziende, destrutturando ulteriormente l ultima struttura creatrice di reddito della nostra società. 2. Cerchiamo quindi di capire in che modo i cultori del diritto tributario non ancora contagiati dal virus indicato al punto precedente possono fronteggiare la disgregazione del settore, in buona parte dipendente da una nuova tipologia di discorsi, che travalica la categoria del «giusto-sbagliato», e richiede quella del «sensato-insensato». Occorre distinguere le affermazioni sbagliate, che possono essere esaminate nel merito, approvate o criticate, dalle cortine fumogene, dove questo tentativo diventa un boomerang, in quanto chi combatte contro le ombre finisce sempre per ferirsi da solo. Non a caso una delle leggi di Murphy avvertiva di «non discutere mai con un idiota: la gente potrebbe non notare la differenza». «L idiota» non è uno che dice cose sbagliate, o palesemente insensate, ma appunto uno che «parla senza dire nulla», anche in modo strumentale, come i protagonisti del film «Amici miei», con le loro «supercazzole brematurate», spesso citate su Dialoghi. L insidia è che la destrutturazione del ragionamento è graduale, e sono frequentissimi, nel procedere della decerebralizzazione (4), i discorsi in cui la sensatezza (di cui si può discutere) e l ineffabile sproloquio si mescolano variamente. All interno dei discorsi privi di senso compiuto bisogna però ulteriormente distinguere, perché qualche volta sono fatti a fin di bene, soprattutto dalle istituzioni che devono «decidere per il meglio», evitando di creare precedenti potenzialmente impegnativi e imbarazzanti. Il potere, emanazione della politica e caratteristica delle istituzioni giuridiche, può essere oggetto di vari aforismi, uno dei quali è never explain, never complain, come se chi deve decidere non dovesse mai spiegarsi né lamentarsi, ma fare la cosa giusta, senza tante chiacchiere. Il potere non insegna, ma si assume le proprie responsabilità e decide, obiettivo ostacolato dagli obblighi di motivazione, che però possono essere aggirati appunto col meccanismo dei discorsi apparentemente in tema, ma senza filo conduttore. Altrimenti ogni sentenza diventa un trattato, ed un precedente che può essere utilizzato per accusare l istituzione di incoerenza e contraddittorietà, mentre «parlando senza dire nulla» si limitano i rischi, e si fa prima. Certo, questo schema può anche essere una degenerazione, come conferma l ineffabilità di tante decisioni, di cui è emersa poi la matrice corruttiva (5). Patologie a parte, per le autorità gli intenti sistematici sono un secondo fine, addirittura un lusso in situazioni di emergenza come la nostra. All interno delle motivazioni lo studioso deve quindi distinguere, senza cercare verità nascoste in passaggi scritti per «fare volume», e sapendo contestualizzare la situazione che l organo doveva risolvere. Insomma, quando si tratta delle istituzioni, «par- (4) Il percorso inverso mi sembra invece improbabile, perché le idee sbagliate si correggono, ma dalla decerebralizzazione non ho visto mai tornare indietro nessuno, proprio come un anticipo della Morte. (5) A proposito, questo convitato di pietra della corruzione è trattato in questo fascicolo (A. Ragno, R. Lupi, «I timori di corruzione come ostacolo alla valutazione della ricchezza non determinata attraverso le aziende», in questa Rivista, pag. 272), ponendo le premesse per ulteriori interventi.

3 Editoriale lare senza dire nulla» è peccato veniale, spesso compiuto a fin di bene, perché è preferibile una decisione sostanzialmente corretta, ancorché mal motivata, ad una erudita, forbita e sostanzialmente ingiusta. Sono rispettabili anche i discorsi solo apparentemente di senso compiuto dovuti alla ricerca di un «risultato di servizio» (6); anche in questi casi prevale infatti l impostazione istituzionalistica di Dialoghi, secondo cui gli organi del gruppo, anche quando scrivono parole solo apparentemente sensate, restano sempre l oggetto dell analisi. Il problema è quando «parla senza dire nulla» chi dovrebbe sistematizzare le decisioni delle istituzioni e le riflessioni della pubblica opinione. È qui che alligna l infezione, e bisogna essere intransigenti. Perché dalle affermazioni sbagliate ci si difende nel merito, ma da quelle senza senso ci si può difendere solo dicendo che esse ne sono prive. Rivoltando la legge di Murphy, l unico modo per confutare i discorsi privi di senso compiuto (7) è dire chiaro e tondo che sono inconcludenti e sconclusionati. In una certa misura l abbiamo fatto nel passato, ma vedremo di migliorare dal prossimo numero. Raffaello Lupi (6) Compresi quelli che tendono a disorientare il giudice, e che sono un asso nella manica dell Amministrazione, in un contesto amministrativistico in cui vale l aforisma di nostra invenzione «giudice frastornato, ricorso rigettato». (7) Cioè quelli di un idiota, nel senso indicato dalla legge di Murphy, o di un «troppo furbo» (impostore).

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5 Sommario 3 Maggio - Giugno 2013 Aspetti strutturali «Seconde case a disposizione»: l eliminazione della tassazione reddituale «virtuale» di cespiti infruttiferi di Raffaello Lupi Lo smarrimento del senso comune nel diritto tributario (a proposito del «principio di sensatezza» delle scienze sociali applicato al diritto) di Raffaello Lupi e Maria Rita Silvestri Il gioco delle tasse (l evasione fiscale in un volume di Franco Fichera) di Raffaello Lupi Aziende e lavoratori indipendenti: anche gli studiosi confondono? di Stefania Capitani, Raffaello Lupi Accertamento Dolci e Gabbati: quando la reazione all elusione travalica la rimozione del vantaggio fiscale indebito di Antonio Tomassini, Raffaello Lupi È utilizzabile l adesione per un diverso periodo d imposta e un diverso tributo? di Fiorella Bianchi, RL I timori di corruzione come ostacolo alla valutazione della ricchezza non determinata attraverso le aziende di Andrea Ragno, Raffaello Lupi Evasione fiscale Le intuizioni della Corte dei conti sulla cd. «lotta all evasione» di Raffaello Lupi, Matteo Santi Redditi d impresa Rendita vitalizia, reddito d impresa e doppia imposizione di Stefano Palestini, Raffaello Lupi, Dario Stevanato Ammortamento dei distributori di carburanti: la stazione è servita «a pezzettini» di Raffaello Lupi, Alessia Vignoli, Stefano Palestini Redditi diversi Conferme giurisprudenziali che i fabbricati demoliti dall acquirente restano tali ai fini tributari di Giorgio Gavelli e Matteo Targhini, RL Dichiarazioni di intenti ideologicamente false e «buona fede» del venditore in un caso di frodi IVA dal lato delle vendite di Emiliano Covino, RL IVA 239

6 Sommario Prestiti di personale, ed esclusione da IVA dei riaddebiti al costo (anche attraverso società «in house») di Simone Covino, Raffaello Lupi, Alessia Vignoli Imposta di registro Contro la formalizzazione all estero dei finanziamenti bancari non serve scomodare l «abuso del diritto» di Federico Maria Giuliani, Raffaello Lupi Equitalia è obbligata per l imposta di registro dovuta sulle sentenze civili in cui è parte in causa? di Fabio Gallio e Federico Terrin, RL Catasto Classamento degli immobili da parte dell UTE: un intervento in ordine sparso dei Comuni di Mario del Vaglio, RL Processo tributario La trappola dei vizi formali si ritorce contro il contribuente: dalla decadenza alla prescrizione? di Maria Rita Silvestri, RL Esperienza comune e stima del valore di una licenza taxi: difetto di prova o di motivazione? di Fiorella Bianchi, RL

7 Aspetti strutturali «Seconde case a disposizione»: l eliminazione della tassazione reddituale «virtuale» di cespiti infruttiferi di Raffaello Lupi Con la manovra IMU, a partire da quest anno, le «seconde case» non locate sono tassate esclusivamente ai fini IMU e la loro rendita catastale è esclusa da IRPEF. Sul piano della determinazione tributaristica della ricchezza, la manovra giustamente elimina la tassazione di un «reddito virtuale», a fronte dell utilizzo personale del fabbricato, coordinando meglio le tassazioni reddituali e patrimoniali degli immobili, eventualmente anche cumulandole, per le seconde case produttrici di reddito. Il fabbricato utilizzato direttamente è tassato solo come patrimonio, mentre quello che dà reddito è tassato sia sul patrimonio sia sul reddito. L obiezione secondo cui in questo modo si disincentivano le locazioni è una tipica conseguenza della confusione tra «determinazione della ricchezza» ed «effetti economici delle imposte». Completiamo le riflessioni sulla tassazione immobiliare «IMU IRPEF» (1), dedicandoci alle «seconde case» sfitte. Il reddito catastale di queste ultime è stato, dal 2013, escluso da IRPEF, completando un pluriennale percorso di smantellamento della «tassazione virtuale» del reddito dei fabbricati utilizzati direttamente dal titolare. L effetto trascinamento della tassazione catastale dei redditi agricoli sulla tassazione delle «seconde case» sfitte Quest ultima rappresentava, sul piano della determinazione tributaristica della ricchezza, una incrostazione risalente a tempi remoti, un effetto di trascinamento della tassazione catastale dei redditi agricoli. Si era passati dalla tassazione forfetaria di un reddito esistente, per i terreni agricoli, alla tassazione virtuale di un reddito potenziale, per i fabbricati pacificamente sfitti. Nel lontano 1973, con il decreto della riforma tributaria sull IRPEF, infatti, si proponeva di tassare i fabbricati solo in modo forfetario, con rendite personalizzate, che sarebbero state modificate in relazione alle variazioni del canone di locazione. La tassazione del reddito effettivo derivante dalla locazione era stabilita solo dal «regime transitorio» del decreto suddetto, nell art. 88, che rinviava a disposizioni analoghe contenute nell art. 2 della legge 23 febbraio 1960, n Solo con la legge n. 413/1991 il riferimento al canone di locazione fu inserito nella normativa «a regime», aggiungendo il comma 4-bis all art. 34 del T.U.I.R. (2). Pian piano si è quindi fatta strada la differenza tra «forfetizzazione di un reddito esistente», tipica dell agricoltura (3), e tassazione di un reddito virtuale, per immobili tenuti a disposizione del proprietario. C era proprio l idea, traslata dall agricoltura, che l uso diretto di un immobile fosse reddito in natura per chi ne disponeva, tanto è vero che, per le unità immobiliari «messe a reddito», e non utilizzate (1) Iniziate con E. Covino, R. Lupi, «Ambivalenza dell immobile tra utilizzazione diretta e bene di investimento : proposte per la riforma dell IMU», in Dialoghi Tributari n. 2/2013, pag (2) Comma 4-bis all art. 37 del T.U.I.R. post riforma (3) Tanto è vero che anche oggi, in base agli artt. 31 e 35 del T.U.I.R., la mancata coltivazione esclude la tassazione del reddito agrario e riduce quella del reddito dominicale. 241

8 Aspetti strutturali direttamente dal proprietario, era prevista (4) una riduzione del reddito fondiario al 20%, guardando solo alla determinazione della ricchezza. Su questa logica, puramente economicotributaria, si inserì poi il tentativo di utilizzare il Fisco come strumento di politica economica, elevando questa quota all 80% (5) nell illusione di utilizzare il Fisco come strumento di politica abitativa, secondo le stesse equivoche commistioni tra «determinazione della ricchezza» ed «effetti economici delle imposte» di cui diremo al punto seguente. Pian piano, negli anni successivi è entrata in crisi l idea che «godere in proprio di un bene» fosse «reddito imponibile», e che il reddito potenziale di un immobile che sicuramente non produce reddito fosse sufficiente a tassare un modesto «reddito virtuale». La prima spallata è venuta con l eliminazione della tassazione della rendita catastale della prima casa; in proposito c è stata una convergenza tra ragionevoli criteri di determinazione della ricchezza e pulsioni politico-mediatiche di un popolo dove i proprietari di casa sono dominanti rispetto agli inquilini. Restavano le seconde case utilizzate direttamente (ad es. per villeggiatura) e quelle semplicemente «sfitte», tenute vuote per periodi più o meno lunghi, nel timore di perderne la disponibilità per via della locazione. Anche per le residenze secondarie, la giustificazione della tassazione del reddito catastale, come «quantificazione del godimento virtuale del bene», come «tassazione del non costo», appariva sempre meno giustificabile, anche se i proprietari di seconde case avevano meno «appeal» politico, in quanto meno numerosi e meno mediaticamente bisognosi. Il fatto è che la determinazione di imponibile virtuale è un assurdo effetto collaterale della tassazione forfetaria agricola, dove invece - sia pure per l autoconsumo degli ortaggi e l allevamento degli animali da cortile - un reddito c è. Per i fabbricati, l idea che si trattasse di cespiti naturalmente fruttiferi, il cui «autoconsumo», da parte del titolare, dava luogo a un reddito «virtuale» anche davanti all evidenza della «non locazione», era una vera e propria aberrazione logica sul piano della determinazione della ricchezza. Tanto è vero che per gli stessi terreni, come abbiamo visto al punto precedente, la «non coltivazione» elimina quasi del tutto la tassazione del reddito catastale. L assurdità dell effetto di trascinamento, sui fabbricati, della forfetizzazione catastale, è confermata dal fatto che la tassazione viene meno anche sui terreni non coltivati. Allora, che senso ha mantenerla per i fabbricati non locati, che è logico tassare come patrimonio, e non come reddito? L eliminazione della tassazione della rendita catastale relativa alla prima casa, pure se disposta per motivi di impatto politico (la «prima casa» è «mediaticamente vendibile» in termini di consenso), deriva da una caratteristica strutturale comune a tutti i fabbricati, sul piano della determinazione della ricchezza. Il reddito forfetario si giustifica, certo, ma solo come second best quando un reddito reale, pur difficilmente quantificabile, è fortemente verosimile. La tassazione delle rendite catastali dei fabbricati a disposizione era quindi una imposta patrimoniale mascherata, che è stata giustamente trasformata, con l IMU, in «patrimoniale effettiva», incrementando la leva finanziaria dei Comuni. «Determinazione della ricchezza» ed «effetti economici della tassazione sul mercato abitativo» La razionalizzazione indicata al punto precedente è ostacolata dalla tipica confusione tra «determinazione della ricchezza» ed «effetti economici della tassazione sul mercato abitativo». È la stessa distorsione che abbiamo visto al punto precedente, sull illusione di usare la leva fiscale per alimentare un mercato delle locazioni, ostacolato da ben altri problemi sulla garanzia della proprietà e la certezza di rientrare in possesso degli immobili (sono anch essi problemi di funzionamento della macchina pubblica, ma non hanno nulla a che vedere con la tassazione, né possono essere attenuati da agevola- (4) Art. 38 del D.P.R. n. 597/1973. (5) Era il 1982, con la «legge Formica» (n. 168/1982), la stessa che introdusse le agevolazioni «prima casa» nell imposta di registro. 242

9 Aspetti strutturali zioni tributarie). Troviamo riflessi di questi sfasamenti su un articolo de Il Sole - 24 Ore del 13 marzo 2013 (6), che, a pag. 15, titola, in modo sensazionalistico, «Effetto IMU», «Case sfitte premiate: l ultima assurdità di un imposta sempre contestata». Dopo questo titolo arrivano una serie di espressioni e suggestioni sensate, ma di un senso comune «non filtrato» (7), non oggetto della sistematizzazione, tra riflessioni diverse, che le rende scientifiche nel senso indicato anche in questo fascicolo (8). Alcuni passaggi di questo «sensazionalismo sensato» meritano di essere riportati, come il «regalo a chi tiene le case sfitte o, peggio, le affitta in nero». Seguono i paragoni con i «virtuosi» proprietari che affittano, bastonati da un IMU che assorbe più di un mese di canone. L articolo trascura però che i proprietari in esame, pur bastonati, percepiscono un reddito che i titolari di seconde case a disposizione non realizzano. Per questo i proprietari di immobili affittati pagano anche l IRPEF, mentre i titolari di seconde case utilizzate direttamente pagano solo l IMU. Poi, tanto per dipingere l IMU come una specie di mostro per tutti, si citano, per chi abita la casa di proprietà, le imperscrutabili bizzarrie delle rendite catastali, come se queste non riguardassero tutti quanti, proprietari di prime e di seconde case. Qui, dopo aver dipinto uno sgomento generale dei proprietari, l articolo individua gli «unici che si fregano le mani», cioè coloro che possiedono una casa per le vacanze o comunque sfitta: saranno loro a beneficiare, quest anno per la prima volta, dell unico reale risparmio fiscale degli ultimi anni. Si ignora che questi apparenti «beneficiati» pagano l IMU con una aliquota molto più elevata di quella prevista per le prime case. Fino al punto che, con l IMU di una villetta vicino Roma, usata un mese l anno, una famiglia di tre persone va a Rimini un mese in pensione completa, senza tener conto di TIA, TARES, utenze, consorzi, manutenzioni e rogne varie connesse al mantenimento di una seconda abitazione. Dall IMU sulle prime case arriveranno tanti soldi (9) solo perché le prime case sono tante, non perché sono «tartassate», visto che l aliquota è meno che dimezzata, e poi ci sono le detrazioni (10). Individualmente, però, le «prime case» pagano molto meno delle seconde «a disposizione», che in blocco pagano meno semplicemente perché «sono meno numerose». Bisognerebbe confrontare in quale misura il costo erariale stimato in 1,6 miliardi, dovuto all eliminazione delle seconde case sfitte dall IRPEF, si accompagni ad un maggior gettito IMU su tali immobili, per effetto degli aumenti di aliquota. In assenza di una comunità scientifica in grado di essere un punto di riferimento in materia per la pubblica opinione e le classi dirigenti, le discussioni sulla determinazione tributaristica della ricchezza restano affidate alla buona volontà della redazione economica di un giornale, e troppo spesso, benché sensate, scadono nel semplicismo dei discorsi conviviali (11). Sono argomenti con un qualche senso, ma «non scientifici» perché scoordinati, confusionari, allusivi e riduttivi. Conditi di insinuazioni e di sensazionalismo (12). Notiamo infatti una resipiscenza nel nostro articolo, che a un certo punto avverte di star indugiando su una serie di personali divagazioni, senza dare una «notizia»: a questo punto, per salvare le forme, ci si riallaccia alla cronaca, affermando che la pretesa agevolazione alle seconde case sfitte è «spiegata dalla circolare delle Entrate commentata» in altra sede del giornale. Peccato che si tratti di una precisa scelta legislativa, rispetto alla quale è del tutto (6) A firma di Saverio Fossati. (7) Che comunque è sempre preferibile all insieme di parafrasi normative, luoghi comuni e discorsi solo apparentemente di senso compiuto in materia tributaria su cui vedasi numerosi post su e (8) R. Lupi e M.R. Silvestri, «Lo smarrimento del senso comune nel diritto tributario (a proposito del «principio di sensatezza» delle scienze sociali applicato al diritto)», in questa Rivista, pag (9) I 4,5 miliardi di cui parla Fossati. (10) Vedi E. Covino, R. Lupi, «Ambivalenza dell immobile tra utilizzazione diretta e bene di investimento : proposte per la riforma dell IMU», in Dialoghi Tributari n. 2/2013, pag (11) Quando va male, invece, sono parafrasi e stereotipi solo apparentemente di senso compiuto. (12) Il giornalismo è importantissimo, ma non può rimpiazzare la riflessione, dove essa manca, ed è pericoloso quando vuole erigersi lui a punto di riferimento, senza la necessaria organizzazione dei concetti e il necessario approfondimento. 243

10 Aspetti strutturali irrilevante la circolare delle entrate, che serviva solo come «aggancio» per presentare come «una notizia» quello che in realtà è «un commento», un saggio, una opinione, che torna subito fuori con la domanda retorica del «chi c è dietro», del premio e della punizione. L articolo prosegue infatti chiedendosi «perché, tra tutte le tipologie di proprietari abitativi, vengano premiati proprio quelli che hanno fatto la scelta dell investimento improduttivo e non sociale». Torna la commistione tra determinazione tributaristica della ricchezza ed effetti delle imposte. Se un proprietario non affitta un immobile, perché teme di perderne il controllo, perché lo dobbiamo tassare su un reddito fittizio? Invece questa domanda viene saltata e l articolo prosegue con l interrogativo retorico secondo cui, «di fronte al nuovo incentivo fiscale per le case sfitte, chi mai dovrebbe correre a registrare la locazione?». A parte la stranezza di sentir chiamare «incentivo fiscale» l eliminazione della tassazione di un reddito «virtuale», il vero motivo dei mancati affitti non sta in un fantomatico incentivo fiscale, ma nell incertezza del diritto connesso al recupero dell immobile, con l affitto da dichiarare anche in caso di morosità del conduttore, con cause senza fine, danneggiamenti, proteste dagli altri condomini, blocco degli sfratti e incertezza nella giustizia. Tutte prospettive davanti alle quali la tassazione o meno del reddito virtuale è una variabile trascurabile. Perché il proprietario non vuole agevolazioni fiscali, ma la certezza dei suoi diritti. Segue la graziosa concessione secondo cui la casa vacanza è un diritto ed è un diritto anche possedere immobili urbani lasciandoli vuoti (13), dopo la quale ci si chiede però «perché premiare questi due atteggiamenti in un periodo come questo, dove il mercato degli affitti è strangolato dall IMU (normalmente con aliquote intorno all 1%) e dalle abitazioni principali vengono drenati 4,5 miliardi, sempre di IMU». A parte che non è un premio, abbiamo già spiegato che si tratta di un riflesso della determinazione della ricchezza, rispetto alla quale è insensato tassare redditualmente chi «potrebbe avere un reddito se affittasse l immobile». Non pertinente appare anche il riferimento dell articolo agli affitti «in nero», secondo cui quello che sarebbe apparentemente «a disposizione» sarebbe in realtà locato «in nero». Si rileva che gli affitti «in nero» «non sarebbero stati scalfiti dalla cedolare secca», senza accorgersi del forte aumento di contratti registrati, per la diversa forma di pressione basata sul diritto dell inquilino a un canone di locazione simbolico, che è il vero pungolo che spinge alla regolarizzazione, per le ragioni indicate sul precedente numero di Dialoghi (14). Ma l assurdità dell argomento degli affitti in nero va stigmatizzata: ha senso tassare qualcuno su un reddito fittizio perché qualcun altro evade su un reddito reale? Per carità, è un discorso sensato, ma di quella sensatezza del sentire comune, che era echeggiato anche per difendere l ILOR sui redditi dei lavoratori indipendenti. Siccome qualcuno di loro evade, allora tassiamoli tutti di più! Dio riconoscerà i suoi, come diceva l arcivescovo di Béziers nella crociata contro gli Albigesi. È un sistema strano, in cui lo Stato, nell incapacità di individuare chi affitta «in nero» la casetta al mare, tassa un pochino tutti quelli che teoricamente lo potrebbero fare, cosicché alla fine i conti tornano. Io e altri otto paghiamo sul reddito virtuale della casa al mare, perché uno l affitta in nero nel mese di agosto. Sono argomenti troppo semplicistici per un quotidiano economico nazionale. Dopo aver completamente ignorato la determinazione della ricchezza ai fini tributari, fingendo di non vedere che il beneficiario di un reddito da locazione consegue un reddito, mentre chi tiene a disposizione la casa non prende un centesimo, l articolo divaga sulla politica abitativa (cioè sugli effetti economici dell imposta). Invocando una mitigazione delle tasse sull affitto per invogliare i proprietari a concedere gli alloggi in lo- (13) Ringraziamo il giornale di Confindustria, che a volte sembra «lotta continua», del mancato esproprio proletario delle casette al mare di impiegati e commercianti. (14) Vedi in proposito C. Dettori, G. Spaziani Testa, R. Lupi, «Cedolare secca e contrasto di interessi inquilino-proprietario : un primo bilancio di due provvedimenti da non confondere», in Dialoghi Tributari n. 1/2013, pag

11 Aspetti strutturali cazione (15). L argomento è sensato, ma sconclusionato sul piano della determinazione tributaristica della ricchezza, in quanto estende alle imposte sui redditi un argomento tipico delle imposte sui consumi. Si propone di tassare di meno il reddito del fornitore per agevolare il consumo del cliente! Senza capire che il vero ostacolo alle locazioni immobiliari non è tributario, ma è la scarsa tutela della proprietà da parte di una macchina pubblica inesistente, per i motivi indicati sopra. La macchina pubblica è paralizzata (limitandoci agli immobili), sia quando si tratta di gestire le case popolari, sia quando si tratta di venderle, sia quando si tratta di individuare gli immobili affittati «in nero», sia quando si tratta di accatastare gli immobili (16), sia quando si tratta di tutelare il proprietario che ha affittato «in bianco», che non viene pagato e a cui distruggono casa. È normale quindi che, in questa latitanza della macchina pubblica, si crei un circuito fiduciario in cui si affitta solo «all amico». Del resto, se la macchina pubblica funziona solo «per l amico», trasformando i diritti in favori, è normale che anche l affitto diventi un rapporto fiduciario, e che in questo quadro sia regolato «in nero». Tutto torna. Le case non rimangono sfitte perché lo Stato abolisce l assurda tassazione di un reddito virtuale, ed economicamente incomprensibile, ma perché non garantisce la certezza dei rapporti con l inquilino. Il quadro è quello di una macchina pubblica che non funziona anche perché, quando si compie un intervento razionale, viene sempre sommerso dal bla, bla, bla di qualche opinionista che «parla senza dire nulla», ma con suggestioni apparentemente in tema. (15) Con deprecazione generica, «Se l affitto è la sola possibilità rimasta per avere un tetto per chi non ha i soldi per comprar casa, va detto che il Governo si è mantenuto assolutamente sordo alla possibilità di inserire una norma che contenesse l aliquota IMU almeno su una percentuale bassa». (16) Ricordo una volta che ero ospite a Ballarò lo stupore di una giornalista turca, secondo cui nel suo Paese le rendite vengono riviste, con commissioni paritetiche locali, ogni pochi anni. Per l Italia (Paese in cui «si amministra per legge» cfr. sono davvero «cose turche». 245

12 Aspetti strutturali Lo smarrimento del senso comune nel diritto tributario (a proposito del «principio di sensatezza» delle scienze sociali applicato al diritto) di Raffaello Lupi e Maria Rita Silvestri Un filo conduttore degli ultimi numeri di Dialoghi è la paralisi e l implosione della tassazione su se stessa, con una montagna di contestazioni «di diritto», telecomandate dai «materiali normativi». Ne derivano forzature solo apparentemente di senso compiuto, sempre più diffuse nella letteratura del settore, e negli scritti «professionali». È un fenomeno che evoca la scientificità del diritto come «sensatezza», elaborata da Uberto Scarpelli alcuni decenni or sono, prendendo spunto da una serie di interrogativi di fondo riguardanti anche le altre scienze umane, come l economia, la politica, la psicologia, la morale, ecc. Tutti settori in cui la scientificità si pone in un senso molto diverso da quello delle scienze fisiche, consistendo essenzialmente nell organizzazione e nel coordinamento di molteplici spunti di senso compiuto, accessibili alla maggior parte della pubblica opinione e della classe dirigente. Che però, assorbita da altre occupazioni, ha bisogno di un gruppo di studiosi «dedicato» a mettere in ordine, e a riproporle, le stesse riflessioni da questa effettuate. Su Dialoghi tocchiamo con mano il fallimento dell approccio al diritto come «analisi di materiali normativi», sentenze o novità legislative, variamente mescolate tra di loro, chiosate, e tenute assieme alla meglio con espressioni «di cerniera». In questa centralità del «dato», dei «materiali», la «pratica» e la «dottrina» usano stili diversi, ma il risultato non cambia. La «pratica» si distingue dall accademia solo perché il suo appiattimento è «schematico-riassuntivo», mentre quello dell accademia è prolisso, pedante e sussiegoso. Entrambe però, in modo diverso, «dicono che qualcuno ha detto», senza richiamare al lettore circostanze della vita economico-sociale, dei comportamenti amministrativi, a proposito della determinazione tributaristica della ricchezza, che è la nostra materia. Gli effetti di quest appiattimento sono l indebolimento, fino alla paralisi, della capacità di ragionare in modo autonomo, di interagire direttamente con i fenomeni del settore, e di contestualizzare il senso effettivo dei «materiali normativi»; paradossalmente, appiattirsi sui materiali normativi impedisce di capirli, alla lunga impedisce di ragionare e spinge a «parlare senza dire nulla». Opporsi a questa degenerazione, a questa decerebralizzazione, è uno degli obiettivi di Dialoghi, senza dubbio il più difficoltoso, perché è molto difficile esprimere, con frasi di senso compiuto, che un determinato discorso è solo apparentemente provvisto di un filo conduttore, cioè di una «sensatezza», concetto elaborato nella teoria del diritto, e delle scienze sociali, per sostituire la diversa dicotomia verità/falsità, tipica invece delle scienze fisiche. Col «principio di sensatezza», Uberto Scarpelli cercò di formalizzare in un principio, da lui Maria Rita Silvestri - Dottore in Giurisprudenza. Fondazione Studi Tributari 246

13 Aspetti strutturali chiamato anche di «significanza» (1), la condizione scientifica delle discipline umanistico-sociali; era una reazione all idea, enunciata dallo scientismo dominante nella prima metà del novecento, secondo cui i discorsi non adatti a verificazione empirica erano solo espressioni di «credenze», senza base scientifica, e quindi parlarne fosse inutile. Scarpelli non rifiutava del tutto questo discorso, perché intuiva, al fondo, che valutazioni esistenziali, valoriali, politiche, economiche o giuridiche, sono prive di una base dimostrabile, anche per il noto principio di impossibilità di confermare precetti morali con osservazioni empiriche (2). Scarpelli intuiva però che i richiami a sentimenti esistenti nell animo umano, a seconda dei vari settori di interesse, esprimevano qualcosa, ed erano più «sensati» di un insieme di frasi composte a casaccio, e quindi già a prima vista «prive di senso», generatrici di fastidio e non di interesse. Per questo Scarpelli individuava il suddetto «principio di significanza», accanto a quello di verificazione empirica, ricorrente nelle scienze fisiche; è facile del resto rendersi conto dell esistenza di frasi formalmente non dimostrabili, ma provviste di una loro sensatezza, e di frasi prive qualsiasi di senso compiuto agli occhi dell ascoltatore. L impossibilità di «dimostrare» (3) è compatibile insomma con la possibilità di capire; è una caratteristica delle scienze umane, che non scoprono nulla che non sia stato già pensato o intuito, magari da individui sconosciuti o lontani nel tempo, e non sia pensabile in futuro, anche da individui con cui non abbiamo avuto alcun contatto. Le riflessioni, insomma, non sono scoperte di formule o di teoremi, e non hanno copyright, né proprietà intellettuale o altre primogeniture. Le riflessioni di Scarpelli implicano che lo studioso sociale non abbia quindi il monopolio dei concetti sui quali riflette, ma che debba interagire con un «uditorio», altro concetto di senso comune messo al centro delle teorie di un altro importante teorico del settore, Chaim Perelman (4). Così come l economista studia la razionalità degli scambi nella soddisfazione dei bisogni umani, il giurista studia le istituzioni politico amministrative, e le norme diventano uno strumento per analizzarne le decisioni, influenzate anche, in modo trasparente o torbido, ma comunque inevitabile, dalle funzioni svolte e dalle contingenze. Il discorso giuridico è insomma tanto più scientifico quanto più riesce a coordinare riflessioni con altre riflessioni, senza far perdere all interlocutore il senso del messaggio; bisogna essere quindi sensati in modo articolato; su questo presupposto bisogna accettare di distinguersi solo in modo quantitativo, secondo una serie ininterrotta di sfumature (5), dai generici discorsi conviviali, anch essi provvisti, seguendo Scarpelli, di una loro più grossolana sensatezza. La scientificità non si trova quindi oltre un confine netto, che lo studioso sociale deve scavalcare, per entrare nei terreni di un imprecisato «rigore»: la scientificità resta invece un obiettivo tendenziale, fatto di organicità e coordinamento di riflessioni, su una certa tematica; nel nostro caso si tratta della determinazione della ricchezza e della sua tassazione. Lo studioso sociale diventa «scientifico» quando prende riflessioni umane, semplici se individualmente considerate, e ne articola una pluralità senza diventare complicato, o comunque restando comprensibile. Le riflessioni diventano infatti difficili da gestire man mano che si cumulano, e si coordinano le une con le altre; riuscire a mantenere l accessibilità agli interlocutori nonostante questi intrecci è la via maestra per la scientificità (6), consistente appunto nel semplificare la complessità. (1) Contributo alla semantica del linguaggio normativo, Milano, 1959, nuova ediz (2) è un riflesso della cd. impossibilità di dimostrare empiricamente il dover essere, la legge di Hume di cui diremo subito. (3) Il riferimento è qui a D. Hume, che intuì, già sul finire del Settecento, l impossibilità di dimostrare i valori utilizzando gli stessi meccanismi d indagine utilizzati dalle scienze fisiche. (4) Trattato dell argomentazione, Einaudi, (5) Anche questo gradualismo è un aspetto tipico delle scienze umane. (6) Così come tutti riescono a tirare in aria un birillo, anche il giocoliere dopotutto tira in aria birilli, ma riesce a farlo, con due, tre o cinque. Cosa che non è da tutti. La stessa cosa devono fare gli scienziati sociali. La scorciatoia è fare il contrario, come vedremo subito nel testo, cioè rendere incomprensibili ragionamenti elementari, appunto«parlando senza dire nulla», ma con autorevolezza e sussiego (è il meccanismo stigmatizzato da Capponi, ordinario di diritto processuale civile, nello scritto Il giurista minchione, reperibile sul sito «Judicium.org» admin/saggi/487/b.%20capponi.pdf) e che riprenderemo presto su 247

14 Aspetti strutturali C è però anche una mistificante scorciatoia, imperniata sulla complicazione di questioni semplici; che tende ad assomigliare alla semplificazione di questioni complesse, perché in entrambi i casi semplice e complesso si mescolano. La tecnica di chi parla senza dire nulla, ma con frasi apparentemente autorevoli, è indurre l ascoltatore a ritenere che la mancata comprensione del problema derivi dalla propria situazione di inferiorità conoscitiva. Siamo arrivati, per la strada della sensatezza (dello scarpelliano «principio di significanza»), alla tecnica di «parlare senza dire nulla», ma in modo da disorientare l interlocutore con frasi apparentemente in tema, in modo da istillargli il dubbio che sotto sotto ci sia del vero, o del contenuto scientifico-tecnico, e disorientarlo ai propri fini. Non necessariamente è un comportamento «offensivo», ma può anche essere un modo per togliersi dall imbarazzo, facendo cortine fumogene, dando l impressione di essere competente e preparato. Spesso si tratta di un espediente per «fare prima», a fin di bene, soprattutto quando si tratta di istituzioni oberate di lavoro, che non devono «insegnare», ma «decidere». Quando invece si trova questo atteggiamento in chi deve «insegnare», cominciano i guai. È una degenerazione che, consapevole o meno, deriva dall appiattimento del diritto sui materiali normativi, dove si mettono in dubbio tutte le riflessioni, anche evidenti, che non siano basate su «combinati disposti» e arresti giurisprudenziali. Non si parla più di ricchezza registrata o meno, di contestazioni interpretative, di indagini, di sanzioni, di redditi, consumi, di ritardi nel pagamento, di buona fede, ecc., ma il discorso si consuma in interminabili «qualcuno ha detto che», apparentemente in tema, però privi di senso compiuto. Sono gli scritti in cui si «parla senza dire nulla», disperdendo il «principio di significanza» di Scarpelliana memoria. Con tutte le implicazioni in termini di oggettiva incontrollabilità delle decisioni, di incomunicabilità tra contribuente e Fisco, deresponsabilizzazioni, vessazioni (7), formalismi, ed altre patologie (8) solo apparentemente riconducibili alla legislazione. Ma che derivano invece dall atteggiamento insensato, ed in ultima analisi disumano, di ridurre la legislazione e gli altri «materiali» a feticcio. Un feticcio che paralizza la riflessione, e il buonsenso, fino a rendere questa materia, per tutti gli operatori, quell incubo di cui parliamo costantemente. È un incubo che non deriva dalla quantità o dalla qualità dei «materiali normativi», ma dall atteggiamento verso di essi e verso l articolazione del buonsenso. Cioè di quel principio di sensatezza di Scarpelliana memoria. (7) Perché «parlando senza dire nulla», e confondendo gli interlocutori, il potere riesce ad operare sostanzialmente senza essere verificabile (never explain, never complain, come vedremo a proposito delle istituzioni, cui la letteratura indecifrabile della pubblicistica è tutto sommato gradita). (8) Messe in risalto in R. Lupi, Diritto amministrativo dei tributi, disponibile su voce «pubblicazioni». 248

15 Aspetti strutturali Il gioco delle tasse (l evasione fiscale in un volume di Franco Fichera) di Raffaello Lupi Sul sito «giustiziafiscale.com» rileviamo spesso la mancanza di un punto di riferimento sull evasione fiscale per le classi dirigenti e l opinione pubblica qualificata. In assenza di questo polo di coordinamento delle riflessioni, che dovrebbe essere costituito dalla comunità degli studiosi delle istituzioni tributarie, la società procede in ordine sparso, affidandosi a spiegazioni superficiali e fuorvianti, come l onestà, il senso civico, la solidarietà, e altri stereotipi controproducenti. In questa strada, che finisce per lacerare la coesione sociale e ostacolare la richiesta delle imposte, si inserisce anche il libro di Franco Fichera, «Le belle tasse», che non coglie neppure uno dei problemi reali della richiesta delle imposte, e del coordinamento tra tassazione attraverso le aziende e gli Uffici. Spiegare le tasse ai bambini Il volume di Franco Fichera «Le belle tasse Ciò che i bambini ci insegnano sul bene comune» (1) racconta l esperienza, promossa da alcuni consigli comunali in un quadro di educazione civica, di «spiegare le tasse ai bambini». In una specie di gioco collettivo, simulando le istituzioni di governo, i bambini venivano invitati a versare, a titolo di imposta, una parte dei cioccolatini che erano stati precedentemente loro distribuiti. Alcuni bambini avevano più cioccolatini, altri di meno, per simulare la diversa distribuzione della ricchezza. Questo gioco delle tasse tralasciava però alcune importanti caratteristiche della realtà economico giuridica, che avrebbero dovuto far parte di una siffatta simulazione pedagogica. Mi riferisco, in primo luogo, alla fatica, all impegno mentale ed organizzativo, nella produzione della ricchezza, del tutto diversa da questi cioccolatini che arrivavano dall alto, e che poi si dovevano utilizzare come base imponibile dei tributi. È già un primo importante sfasamento rispetto alla realtà, che rende artificioso «il gioco delle tasse». Ma v è di più, perché i collegamenti tra tassazione e livello della spesa pubblica restano sullo sfondo. Vengono enunciati, certo, gli obiettivi comuni indeterminati, «la spesa pubblica», che però precede la tassazione. Prima si riscuotono le «monete cioccolatini» e si parla di cosa fare degli «evasori» (pagg ). Poi, dopo aver acquisito le entrate, si comincia a parlare della spesa, in uno scenario irreale rispetto alla realtà. Un ulteriore elemento irrealistico è la mancanza di quella che su Dialoghi chiamiamo «la diversa determinabilità della ricchezza», la differenza tra lavoratori dipendenti e consumatori, tassati attraverso le aziende, e lavoratori indipendenti verso il consumo finale, titolari di ricchezza dove le aziende non arrivano. Mancavano poi le sanzioni (limitate al piano morale) ed anche la comparazione tra efficienza dei servizi pubblici rispetto all organizzazione privata. Il comportamento dei bambini che non pagavano la loro quota di cioccolatini era dato quindi da una dose relativamente maggiore di egoismo, moralmente disapprovata dai partecipanti al gioco, ma non da quella diversa esposizione alla richiesta delle imposte, che sussiste invece nella realtà. Emerge una distinzione riduttiva tra gli «onesti» e gli «evasori», che tradisce la realtà sociale, scavando le consuete lacerazioni sociali di cui parliamo sempre su Dialoghi Tributari. Si dimentica invece quanto stiamo rilevando in varie Nota: (1) Einaudi (2011) Torino. 249

16 Aspetti strutturali sedi negli ultimi tempi (2), sulla richiesta dei tributi da parte dei pubblici poteri, o - in loro assenza - da parte delle aziende. Diverse attitudini a contribuire e diversa derminabilità della ricchezza Non c è dubbio che a scuola sia meglio parlare di temi politico-giuridico-sociali, come quelli proposti dal libro di Fichera, anziché perdersi in un umanesimo tardo umanistico, a matrice letteraria o poetica. Oppure che parla di politica, ma di quella dell Iliade o di Guelfi e Ghibellini (3). Il gioco delle tasse è quindi «meglio di nulla», però sarebbe opportuno un intervento istituzionale, anziché episodici eventi ludici, oltreché limitati. Non è facile calare all interno di un gioco la pluralità di variabili che simultaneamente influenzano i comportamenti in materia fiscale. Forse sarebbe stato più opportuno un insegnamento sistematico, in modo concettuale e gradevole, sul ruolo dello Stato, del mercato, dei servizi pubblici, della coesione sociale, della politica, delle aziende, delle istituzioni. Tutti concetti che i bambini vivono per poco, nel gioco, in un contesto dove manca la fatica del produrre reddito, e forse il mancato gettito (segnalato a pagina 46 del libro) deriva da limiti insiti nella giovane età dei partecipanti, che potrebbero anche aver voracemente mangiato le somme evase (provate a chiedere a un bambino di quinta elementare di calcolare il 40% di qualcosa che potrebbe aver già mangiato!). Il «gioco delle tasse» ci ricorda però che persone diverse di fronte a una stessa scelta possono agire con sfumature diverse, tra le quali anche una diversa attitudine verso il valore rappresentato dal «rispetto delle regole», che però «resta da solo», senza scontrarsi con tutti gli altri profili comportamentali esistenti nella vita reale, compresi quelli legati alla diversa determinabilità tributaristica della ricchezza. Profonde carenze formative e trascuratezza della differenza tra «spesa diretta» e «spesa intermediata» Iniziative pedagogiche come quelle raccontate da Fichera sono senz altro apprezzabili, ma insufficienti rispetto a carenze formative profonde. A dire il vero il problema della carenza delle spiegazioni scientifiche della società e, più in generale, dell apprendimento scolastico delle materie attinenti all azienda, al mercato, al sistema bancario, creditizio, monetario e a tutte le relazioni che governano l economia di un Paese è un problema radicato lungo tutto il percorso formativo degli studenti. Invece di fare poche esperienze limitate a qualche centinaio di bambini, bisognerebbe parlare nelle aule scolastiche medie inferiori ed anche superiori, non solo delle tasse, ma anche del mercato, dello Stato e dell organizzazione sociale in genere, in modo da contrastare quell analfabetismo economico sociale che rende facile la demagogia. Ciò in quanto l incapacità di orientamento rende immatura ed emotiva la nostra opinione pubblica, classi dirigenti comprese. Occorrerebbe rivedere a tal fine i programmi scolastici per evitare lo sbilanciamento delle scienze umane sull arte, la letteratura, le lingue antiche e trovare delle forme politicamente neutre per parlare di organizzazione sociale. L espressione «educazione civica» non è adeguata, poiché lascia intendere un indottrinamento di fondo. Personalmente, quella sorta di esaltazione delle tasse che traspare dal volume non mi trova né favorevole né contrario, come studioso dei comportamenti sociali. Mi sarei aspettato tuttavia che Fichera avesse dato atto della differenza tra «spesa diretta» e «spesa intermediata». Nel primo caso chi produce reddito decide direttamente come spenderlo in un consumo privato, mentre nel secondo caso lo consegna al pubblico potere, che spende secondo proprie diverse valutazioni di priorità (4). La bellezza o la bruttezza delle tasse è tutta là, ma è un problema irrile- (2) Segnalo per ora R. Lupi, Compendio di diritto tributario, Dike, 2013, par.3.11, sulla relativa «onestà» delle dichiarazioni dei lavoratori indipendenti, se si considera la bassissima sistematicità della richiesta delle imposte nei loro confronti. (3) Sulla mancanza di formazione politico sociale fornita dalla scuola italiana, e sulle relative ragioni, R. Lupi, Manuale Giuridico di scienza delle finanze, Dike, 2013, par (4) Ivi compresi lo stadio del nuoto e i punti verdi di Roma (le cui vicende di finanza allegra possono essere cercate su google), gli svincoli che finiscono nel nulla, i sussidi ai falsi invalidi, e tutti gli stipendi ad impiegati pubblici che, con tutta la buona volontà, non sanno cosa fare, e sono invitati a prendere lo stipendio e zitti. 250

17 Aspetti strutturali vante sotto il profilo della determinazione della ricchezza ai fini tributari. A chi scrive personalmente piace l intervento pubblico (vedi a condizione di una sua minimale efficienza. Se invece gli ospedali pubblici costano come le cliniche svizzere, e ospitano come un lazzaretto del terzo mondo si potrebbero avere delle riserve, ma non è un problema tributario. Quest ultimo invece rileva a proposito della determinazione tributaristica della ricchezza, e delle spiegazioni dell evasione fiscale (5). Di cui si occupano tutti meno che gli appartenenti alla comunità accademica del diritto tributario. Questi ultimi invece ci ricordano che le tasse servono alle spese pubbliche (6), trascurando il problema che tutti gli altri intuiscono, pur girandoci attorno, cioè quello della diversa determinabilità della ricchezza ai fini tributari. Anche il libro di Fichera, in ultima analisi, ha riportato tutto al solito refrain secondo cui gli italiani sono disonesti, bisogna educarli da bambini, andando a questo scopo per le scuole a distribuire caramelle, che poi diventano «tasse». Visto il contesto scolastico, di bambini di nove anni, potrebbe definirsi una spiegazione riduttiva, «elementare», o per certi versi «puerile». In sintonia con le spiegazioni preindustriali secondo cui il «male» dipende da «un peccatore». Sono riflessi delle istintive recriminazioni che stanno destrutturando il patto fiscale e sociale su cui si fonda la convivenza civile in Italia (7). sull evasione fiscale»; Francesco Delzio, Lotta di tasse. Idee e provocazioni per una «giustizia fiscale», Rubbettino, 2012; Luca Ricolfi, La Repubblica delle tasse. Perché l Italia non cresce più, Rizzoli, 2011; Roberto Petrini, L imbroglio fiscale, Laterza, 2005; Andrea Leccese, Le basi morali dell evasione fiscale, Armando editore, 2008; Gianluca Ferrero, Daniela Bauduin, Elena Falletti, L economia sommersa e lo scandalo dell evasione fiscale, ediesse 2012; Luigi Ferrari - Salvatore Randisi, Psicologia fiscale, Raffaello Cortina editore, 2011; Giuseppe Incarnato, Evasione fiscale. Parola alla difesa!, editore Lampi di Stampa, Ottobre, 2012, pag. 288; Evasopoli. Dossier sull evasione fiscale, curato da Ares, Malatempora, Luglio, (6) Come Franco Gallo in Le ragioni del fisco, Il Mulino, 2008, esaminato retro (S. Covino - R. Lupi, «Determinazione della capacità economica e polemiche sulle tasse: Gallo Vs. Giannino», in Dialoghi Tributari n. 5/2009, pag. 491). (7) E che rischiano di farci regredire a uno stadio «preindustriale». (5) Dell evasione fiscale, che lacera la pubblica opinione italiana, sembra si occupino tutti meno che i professori di diritto tributario. Evidentemente, nel loro appiattimento sulla legislazione e sui «materiali normativi», pensano che esista solo quello che è riportato nelle leggi, nelle sentenze e nelle risoluzioni amministrative. Quindi, non essendo riportata nei materiali normativi, l evasione fiscale non esiste. In proposito quindi scrivono «altri» a partire dagli Artigiani di Mestre, dove Giuseppe Bortolussi con Evasori d Italia, Sperling & Kupfer, 2012, che riprende il precedente Tassati e Mazziati, del 2011; Roberto Ippolito, Evasori, Chi come quanto, l inchiesta sull evasione fiscale, Bompiani, 2008; Alfredo Faieta, Grandi Evasori, Editori Riuniti, 2010; Bruno Tinti, La rivoluzione delle Tasse, 2012; Giuseppe Pignataro, che propone una «tassa d equilibrio per abbattere il debito», in Riequilibrio e Rilancio, Milano, 2011; Leonardo Facco, Elogio dell evasore fiscale, Aliberti editore, 2009; Oscar Giannino, Contro le Tasse, Mondadori, 2007; Johannes Buckler, Pseudonimo di ignoto redattore di un allegato al Corriere della Sera del 2011, «Sintesi di una serie dei principali luoghi comuni 251

18 Aspetti strutturali Aziende e lavoratori indipendenti: anche gli studiosi confondono? di Stefania Capitani, Raffaello Lupi La grande confusione sul concetto di azienda in senso economico contribuisce a ostacolare la comprensione della tassazione attraverso le aziende. La confusione tra aziende e lavoratori indipendenti è comprensibile nei frenetici ritmi dei mezzi di informazione e dei talk show, ma stupisce che in un volume di circa 120 pagine uno studioso resti intrappolato in queste ambiguità. Che ostacolano, non solo la comprensione della tassazione attraverso le aziende e attraverso gli Uffici, ma qualsiasi analisi dell economia e della società. Incapace di capire la differenza fra un pasticcere e un industria dolciaria. Perché anche gli studiosi confondono le aziende col lavoro indipendente? (a proposito di un volume di Giulio Sapelli) Stefania Capitani Un equivoco duro a morire Il saggio di Giulio Sapelli Elogio della piccola impresa (1) conferma la confusione tra «lavoro indipendente» e «azienda», diffusa nelle classi dirigenti e che su Dialoghi abbiamo già considerato uno dei riflessi della carenza di formazione socioeconomica italiana (2); è abbastanza comprensibile che nella confusione dei dibattiti televisivi e nella stringatezza degli articoli sulla stampa l azienda venga confusa con il lavoro indipendente. Stupisce però ritrovare questi equivoci, che ostacolano l analisi della situazione economica italiana, all interno di un saggio di 120 pagine, dedicato proprio a questo tema. Lo scritto, probabilmente per amor di tesi, trascura una distinzione fondamentale evidente ad ogni esponente delle classi dirigenti, e cioè la differenza tra chi lavora e chi coordina e organizza il lavoro di altri. Si vede bene che l Autore ha presente questa differenza, ma anche che egli gioca sull equivoco tra lavoratore dipendente e impresa per portare avanti una tesi «valoriale» su un determinato «tipo di impresa», diciamo «a forte guida padronale», cui si accompagnano tutte le qualità gestionali elogiate da Sapelli (ma anche alcune insufficienze di cui dirà Lupi più avanti). Sapelli non ignora certo che l attività di artigiani e piccoli commercianti è eminentemente un attività di organizzazione del lavoro proprio, dove invece quella dell imprenditore attiene alla supervisione e alla guida di un lavoro altrui. Naturalmente, secondo il gradualismo delle scienze sociali (3), sono numerosissime le imprese in cui il titolare si rimbocca le maniche ogni mattina, e mostra ai collaboratori come si deve svolgere il lavoro, oltre ad organizzarli. L elemento particolare sottolineato da Sapelli è forse l alto numero di attività economiche con queste caratteristiche, in cui un «imprenditorelavoratore» coordina un piccolo gruppo di persone. È però del tutto diverso il senso in cui si considera «azienda» il lavoratore indipendente senza collaboratori («azienda monoaddetto»), perché in questo caso abbiamo solo una azienda in senso materiale, costituita dalle attrezzature Stefania Capitani - Fondazione Studi Tributari (1) Edizioni il Mulino, Bologna, (2) G. Ingrao, RL, «Guide turistiche, lavoro autonomo, impresa ed esenzione IVA», commento a Comm. trib. prov. di Messina, 31 gennaio 2007, n. 525, in Dialoghi dir. trib. n. 5/2007 pag (3) R. Lupi, Manuale giuridico di scienza delle finanze, Dike, 2013, cap

19 Aspetti strutturali del lavoratore indipendente (4). Con i suoi riferimenti all azienda come definita dal codice civile, appunto in senso materiale, Sapelli alimenta l equivoco delle «aziende monoaddetto», materiale che oggettivamente ostacola la comprensione e l analisi. Anche se, come dirà Lupi, la maggior parte delle grandi aziende italiane sono piccole (5), tuttavia, non si può confondere e mettere sullo stesso piano chi vive di lavoro proprio, senza collaboratori, e chi riesce a ingrandirsi al punto di «non sporcarsi più le mani», diventando in prevalenza un organizzatore di lavoro altrui. Se sovrapponiamo queste situazioni, confondendole, non riusciamo più a distinguere quanto nella nostra società è rimasto di economia preindustriale, tendenzialmente basata sul lavoro indipendente, e quanto è stato costruito di economia moderna, basata invece sul lavoro salariato. Quest ultimo è infatti un rapporto giuridico moderno, mentre in epoca preindustriale chi era in grado di offrire lavoro non acquistava «il tempo» del lavoratore, ma la prestazione, il suo servizio solo per il periodo in cui era strettamente necessario. per (condivisibili) ragioni ideologiche Sapelli è senza dubbio consapevole, enunciandole anche nel libro, delle statistiche secondo cui in Italia le «aziende pluriaddetto» (6), pur arrivando a stento a un numero di , danno lavoro alla maggior parte dei lavoratori dipendenti, mentre i 4 milioni di Partite IVA corrispondono sostanzialmente a lavoratori autonomi indipendenti, impropriamente definiti, come sopra rilevato, «aziende monoaddetto». Quest ultima, infatti, non è una astrazione, ma una persona munita di attrezzature, mentre l «azienda pluriaddetto» è un concetto astratto utilizzato per indicare un gruppo di persone. Quella che chiamiamo «azienda» in senso personalistico in realtà in tal senso non esiste, così come non esistono, in senso personalistico, le istituzioni pubbliche o private. Si tratta infatti solo di un gruppo di persone che, riunite in funzione di un obiettivo, modificano il proprio comportamento rispetto a quanto farebbero se fossero da sole. Il lavoratore indipendente invece è una persona che come tale vive la sua vita concretamente: ha una famiglia, conosce la nascita, la morte, la malattia, dispone di tempo libero, e via così. Perciò, mettendo il lavoratore indipendente sullo stesso piano delle aziende, si confondono esseri umani ed entità «non umane». Uno studioso di storia come Sapelli si pone sul piano umanistico, forzato verso un giudizio di valore, anche condivisibile, sull efficienza e positività del lavoro indipendente e della piccola impresa. Tutti preferiamo, come dirà Lupi, una piccola impresa efficiente ad una grande impresa inefficiente e parassitaria, come tante che si sono avvicendate in Italia. Perfettamente d accordo, ma ci piacerebbe anche vedere grandi imprese efficienti competere fuori da nicchie protette, come quelle delle utenze domestiche di varia natura. Sapelli giustamente reagisce ad una immagine criminalistica del «lavoratore indipendente» e del «piccolo imprenditore» (7), visto da più parti come «evasore fiscale» (8); Sapelli giustamente critica il ribaltamento sul lavoratore indipendente di un problema della macchina pubblica, incapace di una richiesta delle imposte adeguatamente sistematica dove le aziende organizzate non possono fare gli esattori del Fisco. Per evitare questa criminalizzazione non serve però, come fa Sapelli, magnificare la maggiore efficienza del lavoro indipendente. Siamo tutti d accordo, il lavoro indipendente è più efficiente del lavoro dipendente aziendale, per non parlare di quello ministeriale genericamente «pubblico». (4) Il martello e l incudine, se pensiamo al fabbro, la pialla del falegname, il cacciavite per l elettricista. (5) Esse nascono per la maggior parte da un lavoratore indipendente che, come si usa dire, «si è ingrandito». (6) Estendendo al massimo l idea di azienda come comunità e considerando anche quelle che hanno per esempio soltanto tre addetti. (7) Come sempre su Dialoghi non crediamo nella criminalizzazione del tassista, del pasticcere o del muratore solo perché non pagano le tasse: che sia l effetto di una disfunzione pubblica, piuttosto che una perversione privata, lo abbiamo sempre scritto. (8) Sul sito è interessante l articolo che stigmatizza questa tendenza alla criminalizzazione, seguita da strizzate d occhio, nel post «Sembra oggi, invece è vent anni fa: un articolo di Tremonti conferma l importanza della comunicazione e la necessità dei contenuti». Infatti, in realtà quello che c è di deviante e veramente perverso è l incapacità della macchina pubblica di tassare il lavoratore indipendente a causa proprio della mancanza di quelle rigidità amministrative di cui parliamo in questo articolo. 253

20 Aspetti strutturali Solo che «maggiore efficienza» non significa «maggiore efficacia», perché il coordinamento, la cooperazione, le «sinergie» tra competenze diverse, se ben organizzate, possono spingere l azienda, come gruppo, ben oltre i limiti raggiungibili dal pur efficientissimo lavoratore indipendente. Lo si vedeva già nell economia preindustriale, dove il lavoro indipendente era diffusissimo, ma ci si doveva mettere assieme per le costruzioni e le opere pubbliche. Nel mondo moderno solo il coordinamento tra tanti lavoratori consente la ricerca e lo sviluppo di nuovi processi produttivi, man mano che l intuizione creativa del singolo, pur ancor oggi fondamentale, perde colpi rispetto ai gruppi di ricerca. Dove ci possono anche essere certamente dispersioni, effetti di annuncio e diseconomie, cui si indirizzano le critiche di Sapelli. Ma lo spettacolo di grandi aziende che funzionano male non è un motivo per proporre un economia fatta di lavoratori indipendenti. Questi ultimi infatti incarnano il massimo dell efficienza, vista la loro capacità di adattamento (flessibilità), su cui si sofferma Sapelli, ma non dell efficacia. Il testo di Sapelli è quindi apprezzabile in quanto, tra le righe, costituisce un giusto invito a non svalutare le aziende che abbiamo, solo perché non ne abbiamo di migliori. Però bisogna fare dei passi avanti. Invece di lamentarci della nostra condizione economico industriale, occorrerebbe trovare un equilibrio tra la «massa critica» dell azienda come gruppo e la flessibilità del singolo. Bisogna cercare di mantenere quelle che Sapelli presenta come qualità del «lavoratore indipendente», cioè fiducia, impegno e flessibilità, anche quando si lavora in gruppo; il miglior modo per farlo, però, è non appiattire più lavoratori indipendenti e aziende negli stessi schemi interpretativi della realtà economica. Aziende in senso personale e materiale: un equivoco sul filo del rasoio Raffaello Lupi Le due anime del libro di Sapelli Ci sono due anime nel libro di Sapelli, perfettamente consapevole, in quanto autorevole studioso di economia e di storia, della differenza tra «azienda», come aggregazione sociale, e azienda in senso materiale, come insieme dei beni del «lavoratore indipendente». La consapevolezza «razionale» di queste differenze emerge nell analisi della struttura economica italiana, nella distinzione delle aziende per numero di addetti, ecc. Dopodiché a questa consapevolezza razionale si affianca una simpatia istintiva verso i «produttori» e una «antipatia istintiva» rispetto ai «burocrati, e soprattutto all insieme dei Soloni», secondo cui le aziende italiane devono crescere, sono troppo piccole, devono fondersi, accorparsi, capitalizzarsi, quotarsi in borsa, per costruire un capitalismo di tipo «anglosassone» o «renano», in entrambi i casi caratterizzato da dimensioni molto maggiori di quelle esistenti in Italia. Intendiamoci, anch io mi aggiungo a questi Soloni, pensando che le grandi aziende italiane dovrebbero superare la dimensione del «capitalismo familiare», ma è un obiettivo che non si raggiunge con le prediche, e soprattutto non si raggiunge mettendo in crisi il modello imprenditoriale che abbiamo per costruirne uno che vorremmo. Ecco, dal libro di Sapelli si percepisce un fastidio per quei settori di intellighenzia che pontificano sulle dimensioni di impresa senza essere mai entrati in una fabbrica, senza sapere come funziona, ma dando consigli sull importanza della crescita dimensionale, dell innovazione, della ricerca e di tante altre belle cose che sappiamo tutti (la ripetizione di ovviomi è una variazione sul tema del «parlare senza dire nulla») (9). L impossibilità di una crescita «per decreto» L auspicata crescita dimensionale, di cui diceva- Nota: (9) Su cui in questo numero R. Lupi e M.R. Silvestri, «Lo smarrimento del senso comune nel diritto tributario (a proposito del principio di sensatezza delle scienze sociali applicato al diritto)», in questa Rivista, pag

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