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1 qwertyuiopasdfghjklzxcvbnmqwerty IIS Polo Tecnico di Adria uiopasdfghjklzxcvbnmqwertyuiopasd fghjklzxcvbnmqwertyuiopasdfghjklzx cvbnmqwertyuiopasdfghjklzxcvbnmq PICCOLO PRONTUARIO DI wertyuiopasdfghjklzxcvbnmqwertyui METRICA E RETORICA opasdfghjklzxcvbnmqwertyuiopasdfg hjklzxcvbnmqwertyuiopasdfghjklzxc ad uso pratico degli studenti vbnmqwertyuiopasdfghjklzxcvbnmq magister phaselus wertyuiopasdfghjklzxcvbnmqwertyui opasdfghjklzxcvbnmqwertyuiopasdfg hjklzxcvbnmqwertyuiopasdfghjklzxc vbnmqwertyuiopasdfghjklzxcvbnmq1 wertyuiopasdfghjklzxcvbnmqwertyui opasdfghjklzxcvbnmqwertyuiopasdfg hjklzxcvbnmrtyuiopasdfghjklzxcvbn mqwertyuiopasdfghjklzxcvbnmqwert yuiopasdfghjklzxcvbnmqwertyuiopas dfghjklzxcvbnmqwertyuiopasdfghjklz xcvbnmqwertyuiopasdfghjklzxcvbnm

2 NOZIONI DI METRICA (A cura di Marina Salvini) VERSO È fondamentale, parlando di sillabe e versi, chiarire subito il funzionamento del sillabismo italiano: due versi sono composti dallo stesso numeri di sillabe se l'ultima tonica è nella stessa posizione. Cioè per stabilire il numero delle sillabe di un verso si contano le sillabe fino all'ultima tonica. La tradizione italiana è isosillabica, cioè un verso dello stesso tipo ha sempre lo stesso numero di sillabe. Se un verso supera la "misura standard" si dice ipermetro (in genere varia di una sillaba), se non raggiunge la "misura standard" si dice ipòmetro. Esistono versi piani (il caso più frequente), tronchi 1 o sdruccioli. L'endecasillabo è il verso più nobile della poesia italiana. Si definisce endecasillabo l'endecasillabo piano: 11 sillabe con l'accento tonico sulla decima posizione seguito da una sillaba atona. (11P) Nel- mez-zo -del -cam-min- di- no-stra -vì¹ -ta Si possono avere anche endecasillabi tronchi: quando il verso, di dieci sillabe, termina con una tonica (11T) e -con- Ra-che-le,- per -cui -tan-to- fe'¹ e si possono avere endecasillabi sdruccioli: quando alla sillaba con accento tonico seguono due sillabe atone (11S) Già -non -com-pie' -di - tal -con-si-glio -rén¹ -de-re. In pratica si definisce endecasillabo il verso che ha l'accento tonico sulla decima sillaba. Allo stesso modo si considerano tutti gli altri versi: il decasillabo ha accento tonico sulla nona sillaba e può essere piano, tronco o sdrucciolo (3-6-9); novenario (2-5-8 o 3-5-8); ottonario (3-7, ma anche 1-3-7); senario (2-5); quinario (1-4 o 2-4 più raramente 3-4); quadrisillabo (-3); trisillabo (-2). L'endecasillabo canonico 2 ha il seguente schema: 4-10 o Ciò significa che, oltre alla 10, ha la 4 sillaba tonica o, in alternativa la 6. Si possono avere entrambe le sillabe toniche (4 e 6), ma non entrambe atone: in questo caso il verso si dice sbagliato. Quindi, con varie possibilità di ritmi fra atone e toniche, si può riassumere lo schema accentuativo dell'endecasillabo: 2 corretto: 4-(6)-10 a minore (la prima parte del verso è un quinario) corretto: (4)-6-10 a maiore (la prima parte del verso é un settenario) corretto: non corretto: (raro e usato soprattutto nel '900). 1 I versi si dicono piani se terminano con una parola piana: quando a una sillaba tonica segue una atona. Es.: pa-rò-la. Si dicono tronchi se terminano con una parola tronca: se l'accento cade sull'ultima sillaba. Es.: per-ché. Si dicono sdruccioli se terminano con parola sdrucciola: se l'accento cade sulla terzultima sillaba. Es.: è-po-ca. Esistono anche parole bisdrucciole (accento sulla quartultima) e trisdrucciole (accento sulla quintultima). 2 Secondo alcuni studiosi, la distribuzione canonica degli accenti nell endecasillabo si esemplifica in tre modelli: i vv. 1, 2 e 7 del canto I della Commedia dantesca. Ovvero: 1) Nel mezzo del cammin di nostra vita (2-6-10); 2) mi ritrovai per una selva oscura (4-8-10); 7) tant è amara che poco è più morte (4-7-10).

3 CESURA: (=taglio) è una pausa all'interno del verso. Le due parti del verso, separate dalla cesura si chiamano emistichi. Il caso più frequente è quello in cui la cesura cade alla fine di parola, dopo la 4 sillaba; esistono vari tipi di cesura: maschile; lirica; italiana; epica. (è lirica se la 3 è tonica e la 4 è atona: che nel lago del cor m'era durata; maschile se la 4 è tonica: che nel pensier rinova la paura; la cesura epica è molto rara; quella italiana si verifica quando cade dopo una parola piana in cui l'accento sia in 4 posizione: fu stabilita per lo loco santo; la parola piana risulta à metà tra un emistichio e l'altro: fu stabili ta). CONTARE LE SILLABE La sillaba, lo ripetiamo, è l'unità metrica del verso ed è composta da una vocale (o gruppo vocalico) unita ad una o più consonanti. Ad una sillaba corrisponde un'unica emissione di fiato. Ad ogni vocale, generalmente, corrisponde una sillaba, ma quando ci sono più vocali consecutive, le cose si complicano e intervengono delle regole. All'interno di parola: DIERESI (due vocali valgono per due sillabe. Si segnala graficamente con, ex.: Trivïa). SINERESI (due vocali valgono per una sillaba, ex.: loda di Dio vero). Fra due parole diverse, all'interno del verso, è normale la SINALEFE (due vocali valgono per una sillaba: Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono), ma si può verificare, più raramente, la DIALEFE (due vocali valgono per due sillabe: «Miserere di me» gridai a lui). (dieresi e dialefe sono sinonimi di iato). Quando la SINALEFE si verifica tra due versi si ha una SINÀFIA. Quando una vocale tonica è seguita da una atona: all'interno di parola si conta una sillaba, ma alla fine del verso si contano due sillabe. Il dittongo AU è generalmente monosillabico. Es.: causa, lauda. La i consonantica non ha valore di sillaba, quindi esclude la dieresi. Es.: tempio. I nessi della i atona seguita da una vocale atona, in fine di parola, sono monosillabici. Es.: minaccia. I nessi con le vocali A, E, O con una vocale tonica sono generalmente considerati due sillabe. Es.: paura = pa-u-ra. Ma ci sono molti altri casi e molte eccezioni che qui non riportiamo, per approfondimenti si rimanda a un buon libro di grammatica italiana (Battaglia S. e Pernicone V., La grammatica italiana, Loescher, Torino 1991; Sensini M., La grammatica della lingua italiana, Mondadori, Milano 1994) o ai manuali di metrica indicati nella nostra bibliografia. 3 Una parola, infine, può essere allungata nella parte iniziale, centrale e finale (protesi: istrada, epentesi: umilemente, epitesi: fue); può essere accorciata nella parte iniziale, centrale e finale (aferesi: [in]verno, sincope: medes[i]mo, apocope: vo[glio]) esiste, inoltre, in poesia come in prosa l'elisione (es.: : Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono). Schematizzando si può così rappresentare in azzurro la parola e in giallo la sillaba che viene tolta o aggiunta: (-) (+) AFÈRESI SÌNCOPE APÒCOPE PRÒTESI EPÈNTESI EPÌTESI RIMA La rima è l'identità di suono, fra due parole o fra due versi, della parte finale comprendendo l'ultima sillaba tonica. La rima è posta nella parte terminale del verso, ma può essere interna a due versi (rimalmezzo o rima al mezzo: es. da Jacopo da Lentini: No, ma lo core meo / more più spesso e forte / che non faria di morte - naturale); quando un verso non rima si dice irrelato. Schemi di rime (per convenzione con la lettera maiuscola si indicano gli endecasillabi, con quella minuscola le misure minori):

4 BACIATA: AA BB CC (frequente nelle quartine dei sonetti e nei distici) ALTERNATA: ABAB CDCD (frequente nelle quartine dei sonetti, nelle sestine o nelle ottave) INCROCIATA: ABBA CDDC (frequente nelle quartine dei sonetti) INCATENATA: ABA BCB CDC (reso famoso dalla Divina commedia, per cui detta anche DANTESCA) REPLICATA: ABC ABC (frequente nelle terzine dei sonetti) INVERTITE: ABC CBA (frequente nelle terzine dei sonetti) Tipi di rima Composta (o spezzata o franta): una parola rima con l'insieme di due o più parole. Es. oncia / non ci ha «cercando lui tra questa gente sconcia, con tutto ch'ella volge undici miglia, e men d'un mezzo di traverso non ci ha.» (Dante - Divina Commedia - Inf. XXX, vv ) Derivativa: tra due parole che hanno omogeneità etimologica. Es. guardi / sguardi «bollir le notti, e n sul giorno esser fredda; e tanto si raffredda quanto l Sol monta, e quanto è più da presso.» (Petrarca - Canzoniere, 135, vv. 49 e segg.) Rara o cara: usa parole rare, insolite o straniere. Es. bovindo / tamarindo «mentre urla il medico la sua lezione e cita ad hoc: Vesalio, Ippocrate, Harvey, Bacone, Sprengel e Koch,» (Arrigo Boito - Lezione d'anatomia - strofa VI, vv. 3 e segg.) 4 Secondo i trattatisti medievali una rima italiana si potrebbe definire sempre "cara" quando vi siano tre consonanti prima dell'ultima vocale, il gruppo massimo di consonanti ammesso in lingua italiana (rostro : mostro); in effetti questo tipo di rime risulta più raro delle altre. Tuttavia non esiste una maniera scientifica per distinguere le rime rare. In ogni caso in italiano sono rare tutte quelle rime tra versi sdruccioli o bisdruccioli (vàndalo / scàndalo). Equivoca: parole di uguale suono ma significato diverso. Es. campo (terreno) / campo (verbo campare) «Non vogliamo ricordare vino e grano, monte e piano, la capanna, il focolare mamma, bimbi... Fate piano!» (G. Pascoli - L'or di notte, vv ) In tmesi: rima tra una parola e una mezza che finisce nel verso successivo. Es. tranquilla-mente / brilla «Ma sia pioggia di mite lavacro: Tutti errammo; di tutti quel sacrosanto Sangue cancelli l'error.» (Manzoni - La Passione, vv. 86 e segg.) Identica: parola che rima con sé stessa. Esempio tipico è la parola Cristo nella Commedia: «Esso ricominciò: «A questo regno non salì mai chi non credette in Cristo,

5 né pria né poi ch'el si chiavasse al legno. Ma vedi: molti gridan "Cristo, Cristo!", che saranno in giudicio assai men prope a lui, che tal che non conosce Cristo;» (Dante - Divina Commedia - Par. XIX, vv ) Inclusiva: una delle due parole è contenuta nell'altra. Es. assalto / alto «Squilli, echeggi la tromba guerriera, chiami all'armi, alle pugne, all'assalto: fia domani la nostra bandiera di quei merli piantata sull'alto.» (S. Cammarano - Il Trovatore - Atto III, Sc. 1 ) Ricca: tra parole che condividono altri fonemi prima dell'ultima vocale tonica. Es. cantare / saltare «Vinca 'l cor vostro, in sua tanta victoria, angel novo, lassú, di me pietate, come vinse qui 'l mio vostra beltate.» (Petrarca - Canzoniere, 326, vv ) Povera: quando l'identità riguarda solo suoni vocalici. Es. mio / Dio. «Erano i capei d'oro a l'aura sparsi che 'n mille dolci nodi gli avolgea, e 'l vago lume oltra misura ardea di quei begli occhi, ch'or ne son sì scarsi;» (Petrarca - Canzoniere, 90, vv. 1-4) Ipermetra o eccedente: una delle due parole è considerata senza la sillaba finale. Es. scalpito / Alpi «Ah l'uomo che se ne va sicuro, agli altri ed a se stesso amico, e l'ombra sua non cura che la canicola stampa sopra uno scalcinato muro!» (E. Montale - Non chiederci la parola, vv. 5 e segg.) Le rime ipermetre sono tipiche di una poesia che non abbia uno schema metrico rigoroso. Tuttavia alcuni poeti riescono a mantenere lo schema metrico del componimento, facendo seguire il verso ipermetro con un verso ipometro, in modo che la sillaba eccedente del verso ipermetro rientri nel computo del verso seguente ipometro, e si abbia così un effetto molto simile a quello della rima in tmesi. Esempio: «Si dondola dondola dondola (Novenario sdrucciolo ipermetro: la sillaba "la" è in più e andrebbe letta nel verso dopo) senza rumore la cuna (Ottonario piano ipòmetro da leggere: "la senza rumore la cuna") nel mezzo al silenzio profondo.» (G. Pascoli - Il sogno della Vergine, vv ) 5 Interna: lega parole che si trovano a metà o all'interno del verso «Così mia sorte ria mi calca e sbassa E mi mette in manett ed in soppressa, Ch'io scrivo al banco, e vivo con la messa, Né vesto lana ispana, o felpa bassa.» (L. Leporeo - Centuria di Leporeambi, 38, vv. 1-4) Oppure lega una parola interna con la parola di fine verso «e pianto, ed inni, e delle Parche il canto»

6 (U. Foscolo - Dei sepolcri, v. 212) Rimalmezzo: benché vengano spesso confuse, la rimalmezzo è qualcosa di più della semplice rima interna; è una rima di tipo metrico, che divide il verso in due semiversi, in due emistichi: «Immune fruga in fretta arraffa Splendido cromo e un lampo è ruga Cupido riso a dire uomo» (E. Cacciatore - Le cose, vv. 1-3) L'endecasillabo che abbia costantemente una rimalmezzo con il verso precedente è detto "Endecasillabo frottolato". Esempio: «Eo non agio figli né fittigli e tengo dui famigli a pane in ventre, per zò besongnia ch'entre in gran pinsieri: non sai ca le moglieri a chioppa a chioppa me coreno per coppa la finestra.» (Gliommero di P.J. De Jennaro) Per l'occhio: a uguaglianza di parole scritte non corrisponde uguaglianza delle parole all'orecchio. Es. comando / mandò «lo qual io scrissi, e mando a lei, che me 'l comandò.» (Francesco da Barberino - Documenti d amore - Proemio, vv ) Per l'orecchio: a uguaglianza di suono non corrisponde uguaglianza delle parole scritte. Es. Nietzsche / camicie «Tu non fai versi. Tagli le camicie per tuo padre. Hai fatta la seconda classe, t'han detto che la Terra è tonda, ma tu non credi... E non mediti Nietzsche... Mi piaci. Mi faresti più felice d'un'intellettuale gemebonda...» (Guido Gozzano - La signorina Felicita - VI, strofa 4) Sottintesa: che nasconde una parola, in alcuni casi oscena. Talvolta si trova in un verso privo dell'ultima parola la cui identità fonica è simile a quella del verso precedente (può costituire anche un'assonanza); questo tipo di rime è spesso usata negli stornelli e nelle canzoni popolari spesso di argomento licenzioso (es. arazzo,...). 6 Rime culturali Esiste poi un'altra categoria di rime, che fonologicamente parlando non sono vere e proprie rime, bensì il risultato della trasposizione in italiano, a forza di copie successive, di testi in altre lingue o dialetti; questo tipo di rima è detto "rima culturale". Il caso tipico è costituito dalla rima siciliana. Rima siciliana Si chiama rima siciliana la rima di "i" con "e" chiusa ("morire" e "cadere") e di "u" con "o" chiusa ("distrutto" e "sotto"). Questo fenomeno si deve alla tradizione manoscritta (toscana) dei testi della "scuola poetica siciliana". Le rime culturali erano molto in voga nella poesia delle origini. «Di sùbito drizzato gridò: «Come? dicesti "elli ebbe"? non viv' elli ancora? non fiere li occhi suoi lo dolce lume?».» (Dante - Divina Commedia - Inf. X, vv ) «Questi parea che contra me venisse con la test'alta e con rabbiosa fame,

7 sì che parea che l'aere ne tremesse.» (Dante - Divina Commedia - Inf. I, vv ) Infatti nel sistema vocalico siciliano "e" lunga, "i" breve e "i" lunga latine danno "i", mentre "o" lunga "u" breve "u" lunga latine danno "u": perciò in siciliano avremo rima "tiniri" e "viniri". Dal momento che i testi della produzione siciliana si sono diffusi prevalentemente attraverso le copie fatte da amanuensi toscani, i quali durante il processo di copia li hanno alterati secondo le proprie abitudini di pronuncia anche nelle rime, rime originariamente perfette come "luci" e "cruci" sono diventate "luce" e croce". SCHEMI METRICI SONETTO: è la forma più usata nella tradizione poetica italiana. Convenzionalmente si ritiene Jacopo da Lentini il primo utilizzatore di questa forma, che viene in seguito consacrata dall'uso petrarchesco. Esso è composto da 14 endecasillabi divisi in due quartine e due terzine. ABAB ABAB; ABBA ABBA per le quartine e CDE CDE; CDC CDC; CDE DCE; CDE EDC per le terzine. Esistono altre forme più rare di sonetto: SONETTO RINTERZATO: è un sonetto tradizionale in cui i 14 endecasillabi sono inframmezzati da settenari; SONET- TO DOPPIO; CAUDATO (ai 14 versi segue la "coda" di una o più terzine). CANZONE: per i Siciliani, ma anche per Dante, era la forma più nobile, per forma e temi, della (consacrata dall'uso dantesco e petrarchesco, gode fino a Tasso, Leopardi, Carducci e D'Annunzio di grande fama e prestigio). È composta da unità-base dette stanze (stanza=strofa), concluse da un congedo. Dante nel De vulgari eloquentia definisce la corrispondenza fra forma e contenuto: cioè alla forma metrica più alta corrispondono gli argomenti più elevati. I versi utilizzati sono, quindi, i più nobili della tradizione, cioè endecasillabi e settenari. La stanza è divisa in due parti: fronte e sirma. La fronte, a sua volta, si divide in due piedi, cioè due parti con versi dello stesso tipo e posti nello stesso ordine. La sirma è invece indivisibile. La divisione tra fronte e sirma, con due versi che rimano, è detta chiave o, da Dante, diesis. Gli schemi di una stanza di canzone petrarchesca (ad es. Chiare, fresche e dolci acque) e del suo precedente duecentesco possono essere così visualizzati: a b C a b C c Canzone petrarchesca (es. Chiare, fresche et dolci acque) I piede Fronte II piede Verso chiave 7 (I volta) (II volta) d e e D f F Sirma (indivisibile: le due volte hanno schema diverso, dunque si considera la sirma intera)... Altre stanze D f F Congedo (ripresa schema ultimi 3 vv.)

8 a b a C d b d C E e f G h h i G Canzone duecentesca (fino a Dante) I piede Fronte II piede I volta Sirma II volta Altre stanze Nelle altre stanze si ripete lo stesso schema, anche se con rime diverse. La lunghezza dei piedi è variabile (2-6 versi). La prima parte della stanza si chiama anche fronte, anche se per Dante questo termine indica un insieme indivisibile di versi. Lo schema della sirma è libero. Si incontra anche un altro schema di canzone (secondo schema), lievemente variato rispetto al primo, in quanto suddivide anche la sirma in due parti (ad es. madonna dir vo voglio). Ma per Dante lo schema della canzone può anche essere quella di una I parte indivisibile FRONTE, seguita da due VOLTE. In pratica si possono avere diverse combinazioni: I schema II schema III schema I PIEDE II PIEDE SIRMA I PIEDE II PIEDE I VOLTA II VOLTA FRONTE I VOLTA II VOLTA 8 Ma non è possibile avere contemporaneamente le due parti indivisibili, cioè: FRONTE SIRMA Nel Seicento e Settecento la canzone diviene più libera dando vita alla canzone leopardiana, la CANZONE LIBERA appunto. COBLAS: sono collegamenti fra una stanza e l'altra, in cui si riprende la rima dell'ultimo verso della prima stanza nel primo verso di quella successiva: coblas capcaudàdas (se la ripresa riguarda una parola si dice coblas capfinìdas; nel caso di evidenti analogie all'inizio di ogni stanza si dice coblas capdenàls). SESTINA è una forma di canzone le cui stanze (6) sono indivisibili, usata da Dante e Petrarca, fino a tutto il '400. Ci sono alcune regole di composizione: nessun verso rima all'interno della stanza, ma ci sono corrispondenze delle stanze fra di loro attraverso parole-rima, variando in ogni strofa la posizione. Nel congedo si ripetono tutte le parole-rima, tre sono poste alla fine del verso, tre sono interne. Tra una stanza e l'altra c'è coblas capcaudadas e il primo verso della prima stanza rima con l'ultimo verso dell'ultima stanza. Sono sestine i componimenti

9 A qualunque animale alberga in terra (Rvf., 22); Non à tanti animali il mar fra l'onde (Rvf., 237) di Petrarca ai quali si rimanda. CANZONE-ODE O ODE è una canzone semplificata, di lunghezza variabile. Le strofe sono composte da 4 endecasillabi con schema ABBA o ABAB (più raramente 5 versi). Fu usata soprattutto nel '500 (Bembo, Chiabrera, Marino fino a Parini). A volte si possono trovare, alternati agli endecasillabi, alcuni settenari. ODE-CANZONETTA O CANZONETTA è, secondo le indicazioni di Dante, un componimento intermedio fra la canzone (stile elevato) e il sonetto (stile umile). Predominano versi brevi al posto degli endecasillabi. Alcuni testi sono testi leggeri, vere e proprie "canzoncine", altri sono più "seri", di argomento più elevato come le ODI di Parini che non rientrano nel metro della canzone-ode. Lo schema è lo stesso della canzone-ode, ma varia la lunghezza del verso: non più l'endecasillabo, ma versi brevi, prevalentemente il settenario, ma anche altre misure. MADRIGALE è una forma breve di poesia accompagnata dalla musica. Gli schemi di rime sono molto vari; i versi sono l'endecasillabo e il settenario variamente associati. Si sviluppa nel '300, si vedano ad esempio quelli di Petrarca (Rvf., 52; 54) e viene ripreso nel '500 con Tasso e nell'800 con Carducci e Pascoli. STRAMBOTTO O RISPETTO è una forma poetica accompagnata da musica. È costituita quasi sempre da 8 versi e si divide in due tipi: ottava siciliana ABABABAB (canzuna) e l'ottava toscana ABABABCC (rispetto o strambotto). Esistono altri schemi di rime, ma sono molto rari. È una forma trecentesca, ma gode di molta fortuna nel '400 (larenzo de' Medici e Poliziano) e nell'800 (Pascoli). SCHEMI METRICI DELLA POESIA DISCORSIVA LASSA è una serie di versi uniti da assonanza. È tipica della poesia religiosa del '300 (ad esempio Jacopone da Todi). È stata ripresa da Carducci nella Canzone di Legnano e da D'Annunzio nella Notte di Caprera. DISTICO è una serie di versi appaiati a coppie di due, di solito in rima baciata. I versi possono essere vari: endecasillaba, settenari, ottonari, novenari. Usato nella poesia discorsiva nella poesia antica e in quella moderna (Carducci; Pascoli). QUARTINA componimento in cui i versi sono in strofe di 4 versi di solito monorimi ed endecasilabi. Diffusa nella poesia didascalica nell'itala settentrionale (Bonvesin da la Riva, Giacomino da Verona). SERVENTESE i provenzali indicavano con questo termine varie forme che non appartenevano al genere illustre e lirico, ma popolare di solito scritto su melodia preesistente. Possono essere quartine di endecasillabi (A- BAB), distici di endecasillabi (AA BB), sirventese caudato; capitolo quadernario e terzina doppia. 9 TERZA RIMA (INCATENATA O DANTESCA) componimento in cui i versi sono raggruppati secondo la rima dantesca: ABA BCB CDC ecc (il verso interno rima con quelli esterni del gruppo seguente). Questo schema è stato reso famoso dalla Commedia dantesca. OTTAVA RIMA O OTTAVA è una strofa di 8 endecasillabi rimati secondo lo schema: ABABABCC. È usata soprattutto nella poesia discorsiva: Ariosto nell'orlando furioso; Tasso nella Gerusalemme liberata; Poliziano nelle Stanze per la giostra di Giuliano de' Medici. SESTA RIMA O SESTINA è una forma narrativa (diversa dalla sestina lirica) di sei endecasillabi con schema: ABABCC. È usata per esempio da Fantoni negli Idilli. NONA RIMA è una forma narrativa di nove endecasillabi con schema: ABABABCCDD. ENDECASILLABO SCIOLTO è una serie continua di endecasillabi senza rima. È di uso soprattutto setteottocentesco, anche si conoscono esempi cinquecenteschi, ma raramente nei secoli precedenti, consacrata dal Giorno di Parini, dai Sepolcri di Foscolo e dagli Idilli di Leopardi.

10 BIBLIOGRAFIA BALDI G. e ZACCARIA G., L'analisi del testo, Paravia, Scriptorium, Torino BELTRAMI P. G., Gli strumenti della poesia, Il Mulino, Bologna BRIOSCHI F. e DI GIROLAMO C., Elementi di letteratura, Principato, Milano J. COHEN, Struttura del linguaggio poetico, Il Mulino, Bologna p. 66. MARCHESE A., Dizionario di retorica e di stilistica, Mondadori, Milano MARCHESE A., L'officina del racconto, Mondadori, Milano MARCHESE A., L'officina della poesia, Mondadori, Milano PAGNINI M., Pragmatica della letteratura, Sellerio, Palermo SEGRE C., Avviamento all'analisi del testo, Einaudi, Torino ZACCARIA G. e BENUSSI C., Per studiare la letteratura italiana, strumenti e metodi, Paravia, Scriptorium, Torino SITOGRAFIA Dizionario di metrica italiana (+ retorica, + esempi e altro) Alla sezione Strumenti si trovano dizionarietti sia di retorica, sia di metrica. Vedi sopra, Tipi di rima e Rime culturali.

11 BREVE GLOSSARIO RAGIONATO DI RETORICA (E METRICA) (A cura di Marina Salvini) Si fornisce in questa sezione un utile glossario di retorica e metrica articolato in quattro parti: 1. Figure morfologiche e metriche; 2. Figure sintattiche; 3. Figure semantiche; 4. Figure logiche. Le figure retoriche sono il centro della poetica classica e sono in relazione allo scarto (deviazione) dalla lingua standard. Non sono peculiari della poesia, ma usate abitualmente anche dal linguaggio comune e dalla prosa. La figura è un processo di connotazione e come tale implica la coscienza dell'ambiguità del linguaggio. La poesia usa il linguaggio figurato. 1. FIGURE MORFOLOGICHE E METRICHE Le figure morfologiche riguardano le trasformazioni che si attuano nella forma della parola e nella sua sostanza fonetica. Una parola ad esempio può essere allungata nella parte iniziale, centrale e finale (protesi: istrada, epentesi: umilemente, epitesi: fue); può essere accorciata nella parte iniziale, centrale e finale (aferesi: [in]verno, sincope: medes[i]mo, apocope: vo[glio]). Queste figure sono necessarie per ragioni metriche come la dieresi (ex.: Trivïa = il dittongo è trasformato in iato) e sineresi (ex.: loda di Dio vero = uno iato conta per una sola sillaba). Allo stesso modo funzionano dialefe (tiene distinte due vocali che si incontrano) e sinalefe (due vocali che si incontrano contano per una sola sillaba) quando nel verso ci sono parole contigue che terminano o iniziano per vocale (Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono). Uno dei caratteri del linguaggio poetico è l'iteratività (ripetizione di un elemento -fonema, sillaba, parola, struttura, posizione ritmica - la principale iterazione fonica è la rima. Seguono: Assonanza (quando c'è somiglianza di suono fra le ultime sillabe di due parole, quando cioè sono uguali le vocali e diverse le consonanti, ad esempio: amore/morte). Consonanza o paronomasia (quando c'è somiglianza di suono fra le ultime sillabe di due parole, quando sono uguali i gruppi consonantici, ad esempio: sedendo/mirando; parlotta/maretta). Simile alla paronomasia è l'anagramma (trasposizione delle lettere di una parola per formarne un'altra, ad esempio: Silvia /salivi). Allitterazione (ripetizione di uno o più fonemi all'inizio di parole successive, o nel corpo di parole, per ottenere un parallelismo fonico o un particolare effetto ritmico. Si veda ad esempio il celebre verso petrarchesco di me medesmo meco mi vergogno). 11 Palindromo (parola o verso che può essere letto da destra a sinistra o da sinistra a destra: Roma/amor); ci sono anche palindromi vocalici (che, or volge l'anno, sovra questo colle). Ci sono altre figure morfologiche e metriche: Arcaismo: è l'uso di un vocabolo caduto in disuso (ex.: frate per fratello). Barbarismo: è l'uso di un vocabolo tratto da un'altra lingua (ex.: computer). Enallage: è l'uso di una parte del discorso al posto di un'altra (ex.: l'aggettivo al posto dell'avverbio ecc.). Idiotismo: è l'uso di un vocabolo o di un lessema regionale (ex.: tengo famiglia al posto di ho famiglia). Neologismo: è l'uso di un vocabolo di nuovo conio. Solecismo: è un vero e proprio errore di morfologia (ex.: il fantozziano vadi). Tmesi: divisione di una parola fra due versi, cioè la prima metà si trova alla fine del primo verso e la seconda metà si trova all'inizio del secondo verso.

12 2. FIGURE SINTATTICHE In questa sezione sono raccolte le figure che hanno a che fare con l'ordine logico della frase, la disposizione degli elementi e le sue variazioni. Per quanto riguarda la soppressione di elementi in una frase ricordiamo: l'ellissi (ex.: a buon intenditor -[bastano]- poche parole); l'asindeto (soppressione delle congiunzioni: ex.: oggi arrivo, domani parto); lo zeugma (è una specie di ellissi, perché fa dipendere da un solo verbo più termini: ex.: parlare e lagrimar vedrai insieme). Sono figure che comportano l'aggiunta di elementi: l'enumerazione o accumulazione (catena esuberante di attributi ad una parola o elenco). Parentesi o frase incidentale è l'aggiunta di elementi non necessari o di precisazioni all'interno di una frase. È segnalata dalle parentesi o dalle virgole. Pleonasmo: è l'aggiunta di elementi ridondanti, superflui e non necessari (ex.: ho battuto la mia testa). Polisindeto: è l'uso marcato delle congiunzioni, ex.: e sempre corsi, e mai non giunsi il fine; e dimani cadrò. Sono figure per soppressione o sostituzione la sillessi (è detta anche "costruzione a senso" ed è la non concordanza fra soggetto e predicato, ad esempio: quanti guai c'è nel mondo) l'anacoluto (un vero e proprio errore logico in cui la prima parte della frase non corrisponde alla seconda: ex.: io speriamo che me la cavo). Altre figure che hanno a che fare con la disposizione degli elementi sono: Chiasmo: è una figura sintattica che si basa sull'incrocio delle parole o dei temi. Ne è un esempio il famoso verso ariorstesco: le donne, i cavallier, l'arme, gli amori). Ciclo: è la collocazione di lessemi con significati uguali o simili alle due estremità della frase, è un chiasmo con solo i termini esterni, ad esempio la frase: a casa voglio andare a casa). Inversione: è l'inversione, appunto, dell'ordine naturale di una frase (ex.: Dolce e chiara è la notte e senza vento; vita natural durante), una forma particolare di inversione è l'anastrofe in cui è cambiato l'ordine di alcune parole (ex.: cammin facendo), mentre l'iperbato consiste nello spostamento di un termine separato dall'elemento a cui si riferisce (mille di fiori mandano incensi = mandano mille incensi di fiori al cielo). Il principio di equivalenza si manifesta a livello semantico-sintattico con l'iterazione (a livello fonoprosodico con la rima, l'allitterazione, l'assonanza ecc.) che si manifesta con le figure dell'anafora (ripetizione di una o più parole all'inizio del verso: per me si va nella città dolente,/ per me si va nell'etterno dolore,/ per me si va tra la perduta gente), dell'epifora (ripetizione di una o più parole alla fine del verso); dell'anadiplosi (consiste nella ripresa di una parola all'inizio di un verso della parola conclusiva del verso precedente: questa voce sentiva/ gemere in una capra.// In una capra ); nell'epizeusi o gemminatio o epanalessi (cioè una ripetizione enfatica, ex.: o natura, natura ; devi studiare, studiare, studiare). Esiste una figura che consiste nell'unione di un'anafora e un'epifora: si chiama complexio. La climax è un'enumerazione di termini con gradazione di intensità maggiore (ascendente) o minore (discendente o anticlimax), ad esempio: si alzò, iniziò a camminare, camminò sempre più veloce, fino a correre come il vento. 12 Endiadi: esprime un concetto con un due termini coordinati (sost. + sost. al posto di un sost. + agg.), ad esempio: vedo prato e fiori al posto di: prato fiorito). Ipàllage: scambio del normale rapporto sintattico fra due parole (ex.: il divin del pian silenzio verde. Verde si riferisce sintatticamente a silenzio, ma idealmente a pian). Ipèrbato: alterazione dell ordine naturale, prosastico, dei termini di una espressione. Annominazione o bisticcio: è l'accostamento di termini foneticamente simili, ma semanticamente diversi. (ex.: selva/selvaggia; ch'i' fui per tornar più volte vòlto; traduttore/ traditore; amore/amaro). Figura etimologica: è l'accostamento di parole aventi in comune la stessa radice etimologica, ad esempio: vivere la vita.

13 Queste figure sintattiche o di posizione non sono prive di suggestioni sonore e di valore semantico. Si creano, infatti, interni rapporti di analogia o opposizione tra le parole chiave e tra i temi. 3. FIGURE SEMANTICHE Sono i tropi veri e propri (sostituzione di un messaggio proprio con uno improprio, figurato, traslato). Esse sono: Allegoria: è un messaggio che si sviluppa su due livelli di senso: uno letterale che rinvia a un secondo livello, quello l'allegorico appunto. Un termine (denotazione) si riferisce a un significato più profondo (connotazione). (ex.: Veltro in Dante). Allusione: il messaggio esprime un significato, ma vuol farne intendere uno diverso ex.: è una fatica di Sisifo. (non opposto, perché in questo caso sarebbe un'ironia). Antonomasia: sostituzione di un nome proprio (di cosa o persona) con un termine che ne indichi la funzione (ex.: il Filosofo = Aristotele; il Notaio = Jacopo da Lentini); oppure attribuire il nome proprio di qualche personaggio famoso o mitico che rese famosa una data attività o qualità (fa il Cicerone = guida; è il Mecenate = promotore culturale). Apostrofe: frase rivolta a qualcuno diverso dal destinatario del testo (ex.: quando Dante si rivolge a Firenze nel VI canto del Purgatorio). Catacresi: metafora ormai consunta ed entrata nel linguaggio comune (ex.: le gambe del tavolo). Enfasi: messa in rilievo di un termine, attraverso accorgimenti di pronuncia o scrittura. Metafora: per Cornificio: «la metafora si ha quando una parola è trasferita da una cosa all'altra, perché sembra che si possa trasferire senza errore a causa della somiglianza». Per Quintiliano: «si trasporta un termine o un'espressione da un luogo in cui è proprio a quello in cui manca il termine proprio o il traslato ne è migliore». (è una similitudine abbreviata) (ex.: Sergio è una volpe = furbo come una volpe; Laura aveva i capelli d'oro = biondi come l'oro). Metalepsi: consiste nell'uso improprio di un sinonimo (dà luogo a giochi di parole, battute; parole di uguale significante, ma diverso significato). Metonimia: sostituzione di un lessema con un altro sulla base della contiguità (la causa per l'effetto; il contenitore per il contenuto; la materia per l'oggetto, il concreto per l'astratto e viceversa). (ex.: Ma negli orecchi mi percosse un duolo; le sudate carte; lingua mortal non dice; bevi un bicchiere). Secondo U. Eco non c'è distinzione fra metonimia e sineddoche. 13 Onomatopea: è la creazione di una parola sull'imitazione di un rumore, è cioè una parola che riproduce un suono (ex.: tic tac; fruscio). Perifrasi: giro di parole per indicare un significato. Figura amata da Dante. E. N. Girardi dice che la perifrasi, oltre a esprimere un concetto senza mai nominarlo, serve all'autore per aggiungere informazioni o sottolineare particolari aspetti di una parola (ex.: Colui che volentier perdona = Dante, in questo caso, sottolinea di Dio l'aspetto del perdono) Personoficazione o prosopopea: attribuire qualità umane a personaggi o oggetti. Similitudine: è un paragone introdotto da "come" e "così" (ex.: il cielo è come un coperchio). Sineddoche: sostituzione di una parola con un'altra avente con la prima un rapporto di tipo estensionale (iperonimo e iponimo) (singolare per il plurale; la parte per il tutto; la specie per il genere e viceversa). (ex.: vidi una vela sul lago; il pane non manca). Sinestesia: molto amata dai simbolisti e dalla poesia del '900; è una forma particolare di metafora che consiste nell'associare termini appartenenti a sfere sensoriali diverse (ex.: voci di tenebra azzurra = udito/vista).

14 4. FIGURE LOGICHE Le figure logiche modificano il senso di una frase. Litote: consiste nell'affermare una cosa negando il contrario (don Abbondio non era nato con un cuore da leone; Raul Bova non è brutto). Equivale ad una attenuazione del pensiero per far intendere più di quanto non si dica. Reticenza: si verifica quando una frase è incompleta e lascia intendere ciò che non è espresso. (ex.: non vorrei darti una brutta notizia, ma ). Iperbole: è l'esagerazione di una qualità spinta oltre i limiti della verosimiglianza, spesso sfocia in un'ironia (ex.: te l'ho detto un milione di volte). Antitesi: è la contrapposizione di concetti antitetici (non fronda verde ma di color fosco). Ossimoro: è una antitesi condensata, cioè l'accostamento di due termini opposti (ex.: dolce amarezza; oscura chiarezza). Antifrasi: si verifica quando si vuol affermare esattamente l'opposto di ciò che si dice. (hai ragione tu - ma in realtà si vuole intendere: "hai torto"). È evidente il valore ironico. Eufemismo: si verifica quando si attenua o si addolcisce un'espressione troppo cruda. (ex.: è passato a miglior vita). Ironia: consiste nel dire una cosa lasciando intendere il contrario (sei proprio bravo! Brad Pitt è proprio brutto!). 14 SITOGRAFIA La presente sezione è tratta in gran parte da: Altri siti di riferimento: N.B. Consiglio caldamente di tenere una personale rubrica, in cui annotare le figure retoriche che qui non trovano trattazione e che eventualmente possiate incontrare nello studio. Potete usare la tabella vuota, nella pagina seguente. Oppure funga da strumento di ripasso, ove annotare i tropi più ricorrenti incontrati in sede di analisi.

15 TACCUINO PERSONALE DELLO STUDENTE Nome figura Descrizione Luoghi letterari incontrati Esempio: CHIASMO 4 elementi a incrocio (es. donne cavallier arme amori) Ariosto, Orl. fur., I 1 15

16 Nome figura Descrizione Luoghi letterari incontrati 16

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