Lanfranco Radi Lo Spazio dell Immagine a Foligno (1967)
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1 Lanfranco Radi Lo Spazio dell Immagine a Foligno (1967) Testo della conferenza tenuta presso la biblioteca Jacobilli, Foligno, il 10 marzo 2004 Lo Spazio dell Immagine, la mostra che animò l estate e l autunno dell ormai lontano 1967, per Foligno e non solo, fu certamente un evento: tanti i visitatori, gli artisti, i giornalisti e i critici, non solo italiani, che in quel periodo furono richiamati dalla manifestazione. Anche nel panorama dell arte contemporanea la mostra rappresentò un fatto completamente nuovo, di rottura, quasi una composta anticipazione di quella contestazione che era alle porte. Per la prima volta, infatti, attorno alla riproposizione dello storico ambiente spaziale di Lucio Fontana, vennero presentati contemporaneamente in una mostra altri diciannove ambienti realizzati da giovani artisti delle varie tendenze. Il tema prescelto, in quel momento era di grande attualità in quanto molti avevano abbandonato i percorsi tradizionali del quadro o della scultura per muoversi più liberamente nello spazio. Improvvisamente Foligno si trovò al centro dell attenzione nel mondo dell arte contemporanea. Quella manifestazione, nata da una serie di fortunate circostanze, ho avuto la fortuna di viverla fin dal primo momento. Cercherò di raccontarla attraverso i ricordi, che in me sono ancora tanti, nitidi e vivi, e la ricca documentazione sulla mostra che conservo. Lo farò senza entrare in valutazioni o giudizi critici perché non spetta a me farlo; del resto tutto in questo senso è già stato scritto da importanti firme del giornalismo sulle terze pagine e sugli spazi culturali delle più importanti testate e dai critici più autorevoli non solo sulle riviste specializzate, ma anche in numerosi saggi che trattano la storia dell arte contemporanea. Nonostante la sua complessità, la mostra fu ideata e realizzata molto velocemente nei primi sei mesi del Inaugurata il 2 luglio, doveva rimanere aperta fino all 1 ottobre. Per accogliere le tante richieste dei visitatori, dei critici e del mondo accademico che pervenivano da ogni parte, fu prolungata fino alla fine di quel mese. Per comprendere il perché di questa mostra a Foligno, occorre tornare indietro di qualche anno e ricordare due fatti che in qualche modo possono essere a essa ricollegati: la venuta a Foligno di Dino Gavina e il recupero della scala gotica in palazzo Trinci. Nel 1961 Gavina, industriale del mobile che operava a Bologna, accettò la proposta che gli era stata avanzata dall Isap Istituto per lo sviluppo delle attività produttive collegato all Iri, di ampliare la propria attività costruendo un nuovo stabilimento a Foligno. In quell anno venne costituita la Gavina s.p.a., dove Gavina conservava la maggioranza delle azioni. La presidenza della società fu affidata al nome prestigioso di Carlo Scarpa. Per il progetto della nuova fabbrica vennero a Foligno Achille e Pier Giacomo Castiglioni, due architetti altrettanto famosi. In fabbrica, oltre a Takahama, stretto collaboratore di Gavina, e a Scarpa, era possibile incontrare i personaggi che di volta in volta passavano: Fontana, Capogrossi, Colla, Milani, Perry, Tippet, Marotta e tanti altri. Tra me e Gino Marotta, che in fabbrica stava realizzando le formelle di un grande soffitto per il palazzo della Rai, nacque subito una vera amicizia. Gavina ha indubbiamente il merito di aver portato a Foligno, agli inizi degli anni sessanta, importanti uomini del mondo dell arte e di aver consentito ai suoi amici più vicini di conoscerli e di frequentarli. Alcuni di loro, come Fontana, Colla e Marotta, li ritroveremo nel 1967 al Trinci, anche se 51
2 Manifesto della mostra Lo Spazio dell Immagine, Foligno, 2 luglio - 1 ottobre 1967 Inaugurazione della mostra a Foligno Gavina in tutta la vicenda dello Spazio dell Immagine non ebbe alcun ruolo. In collaborazione con la Galleria l Obelisco di Roma, Gavina portò nella sua fabbrica una mostra itinerante intitolata La Luce, con opere di artisti importanti alcuni dei quali, come Biasi, Boriani, Alviani e Massironi del Gruppo N, erano presenti al Trinci. Anche questa fu una preziosa occasione di incontro. In palazzo Trinci, dopo aver ricostruito tra gli anni cinquanta e sessanta le parti distrutte dai bombardamenti, il Genio civile aveva iniziato a eseguire alcuni lavori nelle sale al primo piano poste nella zona d angolo tra piazza della Repubblica e via XX Settembre. Una parte praticamente sconosciuta del palazzo, fino a qualche anno prima occupata dalle carceri Mandamentali. Le esili strutture quattrocentesche, in gran parte ricoperte da un sottile intonaco dipinto, erano state quasi ovunque ringrossate con muri in aderenza perché il rigido regolamento carcerario, per motivi di sicurezza, prescriveva muri di un determinato spessore. Secondo le decisioni concordate tra le due Soprintendenze e l Amministrazione comunale, in questa parte del palazzo doveva essere riorganizzato il nuovo Museo Archeologico. Con i primi lavori, eseguiti senza aver studiato e progettato l intervento, intere pareti decorate andarono completamente perdute. La Soprintendenza ai Monumenti sospese allora i lavori in attesa di uno studio approfondito e completo. I lavori rimasero fermi alcuni anni, poi il sindaco Lazzaroni e il presidente dell Azienda di soggiorno Stefano Ponti, d accordo con il soprintendente Martelli, per rimuovere la situazione decisero di affidare a me questo studio. Era la fine del Trascorsi al Trinci alcuni mesi a rilevare, a collegare graficamente le varie tracce, a cercarne altre. Le conclusioni alle quali alla fine pervenni furono pienamente condivise dal soprintendente, che autorizzò a iniziare i lavori. Alla fine del 1963 l intervento si era praticamente concluso e l antica scala, prima soffocata da un incredibile serie di sovrastrutture, era tornata ad assumere le sue prospettive originarie. Durante i lavori venivano a trovarmi al Trinci alcuni dei personaggi che avevo conosciuto alla Gavina. In particolare Marotta, che era rimasto colpito dalla bellezza di quell interno straordinario. Indubbiamente la singolare architettura della scala è stata un elemento importante quando si pensò di utilizzare il palazzo per una mostra completamente dedicata allo spazio. Giuseppe Marchiori, presidente del Comitato promotore della mostra, così scriverà nel catalogo:... La scala medioevale, riattivata per l accesso alle sale superiori, nel Palazzo Trinci, è di un disegno essenziale, scarno, senza ornamenti: per così dire una premessa architettonica, di singolare nudità nell articolazione delle masse, nell alternarsi dei pieni e dei vuoti, alle proposte volutamente effimere della ricerca moderna. Lo Spazio dell Immagine viene delimitato e chiuso per un momento della sua trasformazione in mobili sequenze. E il momento è quello per l esperienza in atto, per la prova richiesta all artista, e che potrà essere determinante per lui. Tre momenti dell inaugurazione. Nella seconda foto sono riconoscibili, da sinistra, Palma Bucarelli, Giuseppe Marchiori, l onorevole Flaminio Piccoli e l onorevole Luciano Radi. Nella terza, sulla destra, Gillo Dorfles Giuseppe Marchiori in un momento dell inaugurazione Getulio Alviani, Palma Bucarelli e Giulio Carlo Argan Si è offerta la possibilità, piuttosto rara nelle esposizioni ufficiali, di un esperimento che può tradursi in una soluzione concreta... Nei primi giorni del gennaio 1967 mi chiamò al telefono Gino Marotta. Con Giulio Turcato stava rientrando a Roma e sarebbe passato da me perché aveva urgente bisogno di vedermi. Mentre eravamo a tavola mi spiegò che era giunto il momento di organizzare una grande mostra dedicata allo spazio, facendo anche i nomi di critici che lui aveva già contattato e quella di altri personaggi del mondo dell arte che potevano essere coinvolti. Si ricordava perfettamente di palazzo Trinci e della sua scala interna: era la sede ideale. Occorreva trovare il finanziamento, assicurarsi la disponibilità del palazzo e trovare un ente al quale appoggiarsi per la fase organizzativa. Viste le finalità e l importanza dell iniziativa, mio fratello Luciano, che allora ricopriva la carica di segretario del gruppo parlamentare della Democrazia cristiana, pensò di interessare il partito e illustrò il progetto direttamente al vicesegretario Flaminio Piccoli. Non trascorse molto tempo e Piccoli, persona aperta e sensibile ai problemi della cultura, comunicò a Luciano che il partito, fedele a una sua linea e nel rispetto delle attività culturali e artistiche, aveva deciso di patrocinare l iniziativa. Piccoli venne a inaugurare la mostra e più avanti tornò per partecipare a un incontro con il Comitato promotore. Risolto il problema più importante, occorreva pensare al resto e avviare la macchina organizzativa. Il 23 marzo presso l Azienda di soggiorno si svolse una riunione per la costituzione del Comitato promotore. Oltre a me e a Marotta erano presenti mio fratello Luciano, Stefano Ponti, il critico d arte Giuseppe Marchiori e l editore Bruno Alfieri, venuti da Venezia, e Giorgio De Marchis, ispettore della Galleria Nazionale d Arte Moderna di Roma. Giuseppe Tardocchi, direttore dell Azienda di soggiorno, fungeva da segretario. Il breve verbale di quella riunione è conservato nell archivio della mostra. Giuseppe Marchiori e Giorgio De Marchis vennero nominati presidente e segretario del Comitato promotore. Precisata definitivamente l iniziativa, che si sarebbe svolta sotto gli auspici dell Azienda di Soggiorno e Turismo, venne nominata la Commissione inviti della quale, oltre a De Marchis, avrebbero fatto parte Maurizio Calvesi, Umbro Apollonio e Gillo Dorfles. Nella sua qualità di vicesindaco, Ponti assicurò che il palazzo Trinci sarebbe stato certamente disponibile. Nel corso della riunione che si svolse all Azienda di soggiorno il 7 aprile, fu compilato l elenco degli artisti da invitare: Alviani, Biasi, Bonalumi, Boriani, Castellani, Ceroli, Colombo, De Vecchi, Fabro, Festa, Gilardi, Marotta, Mattiacci, Notari, Pascali, Pistoletto, Gruppo MID, Gruppo N, Scheggi. In previsione di qualche possibile rinuncia vennero poi indicati altri quattro nomi di artisti che nell ordine sarebbero subentrati. Due inviti speciali furono rivolti a Ettore Colla per una mostra di sculture all aria aperta e a Lucio Fontana per la riproposizione dell ambiente spaziale del Il 29 maggio, pervenute tutte le adesioni, l ufficio stampa, che si era nel frattempo organizzato, annunciò ufficialmente la manifestazione attraverso un primo comunicato stampa. Altri cinque comunicati vennero diffusi in seguito per illustrare le varie fasi preparatorie. Per il manifesto Marotta pensò di utilizzare come immagine un particolare della pala di Piero della Francesca conservata a Brera. L uovo sospeso al centro della conchiglia era certamente un motivo emblematico per il tema della mostra
3 Agostino Bonalumi Paolo Scheggi Getulio Alviani La stampa del catalogo, affidata all editore Alfieri di Venezia che ne avrebbe poi curato la distribuzione commerciale, presentò una serie di difficoltà. Molti degli ambienti erano ancora in fase di costruzione al Trinci e non potevano quindi essere fotografati. Per essi vennero utilizzati i progetti, che però non danno ragione e non documentano efficacemente le opere del Gruppo N e del Gruppo MID. Per altri ambienti che vennero solamente trasferiti a Foligno (Pistoletto, Boriani, Scheggi, Pascali), ma anche per l ambiente spaziale di Fontana e per le sculture di Colla, la cui mostra non era ancora ultimata, vennero utilizzate foto relative ad altri allestimenti e foto d archivio. Il più danneggiato degli artisti presenti fu certamente Alberto Biasi, perché il suo spazio, ancora incompleto, venne documentato con foto dell ambiente di Gabriele De Vecchi. Il catalogo non illustra perciò con esattezza e in maniera completa quello che in effetti fu la mostra. Nel volume sono raccolti saggi di Giuseppe Marchiori, Umbro Apollonio, Giorgio De Marchis, Maurizio Calvesi, Germano Celant, Gillo Dorfles, Lara Vinca Masini, Udo Kultermann e Christopher Finch sul tema della mostra e di Giulio Carlo Argan e Palma Bucarelli rispettivamente su Fontana e Colla. Molto richiesto da ogni parte anche dopo la chiusura della mostra, il volume fu spedito alle più importanti gallerie e ai musei d arte contemporanea del mondo. L allestimento della mostra fu curato dall architetto Fabrizio Bruno. In base alle indicazioni fornite dagli artisti al momento dell adesione e a quelle contenute nei progetti successivamente inviati, nel ricercare un percorso all interno del palazzo si cercò di conciliare le esigenze dimensionali di ciascuno con le caratteristiche dei vari spazi disponibili. Molti ambienti completamente chiusi avrebbero coperto e annullato le preesistenze, mentre altri, come i pozzi di Pistoletto, la gabbia di Ceroli e il tubo di Mattiacci, potevano agevolmente convivere con loro. Verso la metà di giugno palazzo Trinci si era trasformato in un enorme cantiere. Si lavorava nella corte a ultimare il complesso allestimento della mostra di Colla, mentre all interno procedeva la costruzione e il montaggio dei vari ambienti. I tempi previsti, continuamente verificati e aggiornati, furono alla fine pienamente rispettati grazie all impegno di tutti. Il giorno prima dell inaugurazione ci fu anche un episodio divertente: nel fare la pulizia generale, sull acqua del mare di Pascali si depositò uno strato di polvere; bisognava vuotare le vasche oltre duemila litri di acqua colorata e non si sapeva come fare. Qualcuno pensò di chiamare i pompieri, che arrivarono al Trinci a sirene spiegate destando all esterno un senso di allarme. I vigili del fuoco che vuotavano le vasche vennero ripresi e le foto finirono sulle pagine dei giornali. A questo punto non resta che ripercorrere l itinerario della mostra e analizzare da vicino, per quanto possibile, i singoli spazi. Entrando dalla piazza in palazzo Trinci, la veduta della corte nella quale si articolava la mostra delle opere di Colla era completamente schermata: un grande tubo ricoperto di tela verde, piegato a gomito verso destra, immetteva i visitatori nella piccola corte interna attorno alla quale si sviluppa la scala gotica. A terra, sotto il ripiano della scala, era collocato, in posizione isolata, un grande corpo di Michelangelo Pistoletto: cilindrico, bianco, con una base a pera questo il termine da lui usato aveva la faccia superiore inclinata finita con una superficie a specchio. Dal primo ripiano della scala il visitatore che si Alberto Biasi Romano Notari Luciano Fabro affacciava ritrovava con sorpresa la propria immagine sullo sfondo di un architettura virtuale completamente deformata. Saliti al primo piano, nella sala a sinistra che si affaccia sulla chiostrina, era collocato il Bleu Abitabile di Agostino Bonalumi. Lo spazio era chiuso da un contenitore cilindrico di 4 metri di diametro. La pianta circolare si apriva nel punto in cui era posto l ingresso. In alto, all altezza di tre metri, era chiuso da un velario che distribuiva una luce diffusa. All interno del cilindro erano addossati dieci pannelli verticali, ricoperti di tela verniciata di bleu, che presentavano un rilievo o gobbo in posizione crescente da terra. La sequenza determinava sulla parete curva un movimento plastico ascendente. Bonalumi venne alcuni giorni al Trinci per finire i pannelli e per mettere a punto lo spazio. L ambiente Interpretazione Speculare di Getulio Alviani era posto nella sala d angolo tra la piazza e via XX Settembre. Racchiuso anch esso in un contenitore cilindrico del diametro di 4,50 metri, era completamente dipinto di bianco. All altezza di due metri e ottanta una struttura radiale sorreggeva il velario attraverso il quale filtrava la luce. In corrispondenza dell apertura d ingresso una quinta più esterna, curva e bianca, restituiva la continuità alla parete. All interno di questo spazio, a tutta altezza, erano installati sette grandi semicilindri di alluminio speculare, liberi di ruotare lungo il loro asse verticale: sei erano posti in posizione radiale a eguale distanza dal semicilindro centrale. Il visitatore che entrava non aveva più riferimenti e ritrovava le proprie immagini, allargate sulle superfici concave e allungate in quelle convesse, che interferivano anche tra di loro. Alviani progettò questo ambiente appositamente per la mostra di Foligno, rielaborando un idea del Nell archivio della mostra sono conservati numerosi disegni che rivelano l evoluzione del progetto. L Intercamera Plastica di Paolo Scheggi occupava la stanza centrale completamente decorata con motivi a gigli. Aveva le dimensioni di 4,50 x 5,55 metri e un altezza di 3 metri ed era costituito da quattro elementi parete: due più lunghi riuniti a L con angoli interni arrotondati e due più piccoli, con una curvatura più accentuata, disposti in posizione contrapposta, in prossimità dell ingresso e sull angolo opposto. La superficie interna dei pannelli, realizzati con tre strati distanziati di compensato, presentava fori circolari che assumevano un diverso valore plastico per la presenza, sullo strato interno, di altri fori più piccoli decentrati rispetto ai primi. La visione perciò cambiava al variare del punto di vista del visitatore. Ordinati e serrati nei pannelli più piccoli, questi segni si liberavano nell attraversare, con una sequenza mossa, le pareti più lunghe completamente bianche. L opera era stata già esposta nel 1966 alla Galleria Il Naviglio di Milano: le foto pubblicate in catalogo si riferiscono a quell allestimento. Nella piccola stanza accanto, in posizione un po arretrata rispetto alla porta, era collocato lo Spazio Oggetto di Alberto Biasi. Per la sua realizzazione l autore inviò un progetto molto dettagliato e un modellino. Profondo 4 metri, aveva sul fronte un apertura quadrata di 2,40 x 2,40 metri. Con una forma troncopiramidale coricata lo spazio si restringeva sul fondo a 0,50 x 0,50 metri. Il pavimento era piano per consentire l ingresso. I quattro pannelli trapezoidali che determinavano lo spazio erano dipinti, secondo un preciso sviluppo prospettico, a fasce ortogonali fluorescenti verdi e rosse, di diversa larghezza, intervallate da righe sottili nere di spessore costante. La visione strutturata apprezzabile dall esterno variava a seconda del punto di vista, modificando le caratteristiche fisiche dello spazio che appariva come un perfetto tronco di piramide. Due lampade di Wood facevano risaltare la fluorescenza della falsa prospettiva. Piccole bacchette appese al soffitto si muovevano al più piccolo contatto accentuando nel visitatore un senso di instabilità. Salendo al secondo piano, nel piccolo vano sotto la cappella del palazzo, con accesso dal ripiano dove lo scalone esterno si ricongiunge all antica scala, era posto il Processo Spaziale Religioso di Romano Notari. L artista folignate realizzò un grande soffitto di 2 x 3 metri nel quale erano incastonati piccoli volumi aggettanti; tutta l opera l aveva poi dipinta con i suoi tipici colori solari. Al secondo piano, direttamente poggiato sul pavimento in cotto della loggetta di Romolo e Remo, era l In-Cubo di Luciano Fabro. Realizzato con un esile struttura in legno tenuta insieme da snodi metallici, il piccolo cubo era ricoperto su cinque facce con una 54 55
4 Michelangelo Pistoletto Eliseo Mattiacci Enrico Castellani tela di cotone bianco. Il visitatore poteva sollevarlo, entrare e richiudersi nel piccolo vuoto che conteneva in maniera esatta ogni suo movimento: il lato del cubo era di 1,83 metri. Nella sala delle Arti liberali e dei Pianeti, senza alcun preciso ordine, erano posti cinque Pozzi di Michelangelo Pistoletto. Realizzati in fibra di vetro, avevano una forma cilindrica diametro 1,40 metri, altezza 1 metro con il bordo superiore arrotondato verso l esterno. Il fondo era risolto con una superficie a specchio. Esternamente erano completamente dipinti di bianco, mentre il colore interno variava dal bianco al giallo chiaro, al giallo, al giallo arancio e all arancio. Il visitatore che si appoggiava sul bordo e si affacciava ritrovava la propria immagine riflessa tra le strutture della copertura e le figure affrescate sulle pareti. Pistoletto aveva già esposto questi pozzi alla Galleria Sperone di Torino; le immagini che compaiono nel catalogo della mostra si riferiscono a quell allestimento. Al centro della sala collegata alla loggetta, dominata dalla copia di un polittico di Nicolò Alunno, era posta la Gabbia di Mario Ceroli. In realtà le gabbie erano tre, una dentro l altra come scatole cinesi, e per arrivare al centro di quella più interna, dove era collocata una seduta, il visitatore doveva seguire uno stretto percorso tra le reti che chiudevano le gabbie. Lo spazio, che aveva le dimensioni di 4 x 4 x 3 metri di altezza, venne completamente realizzato da Ceroli al Trinci utilizzando murali di abete e rete metallica da pollaio. Nella prima parte della sala dei Giganti si snodava Il Tubo di Eliseo Mattiacci. Su una grande pedana di 6 x 5 metri ricoperta di alluminio lucido era poggiato, completamente aggrovigliato, un tubo flessibile di alluminio corrugato dipinto di giallo: uno spazio che stupiva perfino le grandi figure degli imperatori affrescate sulle pareti della sala. Gino Marotta Piero Gilardi all interno, il visitatore perdeva completamente le dimensioni dello spazio ed era preso dai tracciati che sotto le lampade di Wood diventavano luminosissimi. Le immagini grafiche e fotografiche pubblicate nel catalogo si riferiscono all allestimento eseguito nel 1949 alla Galleria Il Naviglio di Milano. Nell archivio della mostra sono conservati due disegni di Fontana: il primo, inviato al momento dell adesione, è firmato L. Fontana, Ambiente Spaziale 1949, mentre l altro fu eseguito sul posto con un sottile pennarello bruno per spiegare come dovevano essere realizzati i tracciati. Nella sala successiva era collocato l ambiente Naturale-Artificiale di Gino Marotta. In uno spazio di 8,35 x 6,36 metri, alto 2,75 metri, Marotta aveva costruito un bosco artificiale utilizzando elementi di metacrilato traslucido stampato. Le pareti erano ricoperte da sottili fogli di acciaio inossidabile specchiante che moltiplicavano il suggestivo effetto in ogni direzione. Il pavimento era rivestito di laminato plastico bianco, mentre il soffitto, al quale erano fissati con un ordine modulare i quattro elementi di ogni albero, era chiuso da un velario bianco che distribuiva in maniera uniforme la luce. L Ambiente Bianco che Enrico Castellani realizzò lavorando al Trinci per molti giorni aveva le pareti segnate da due ampie fughe prospettiche di punti in rilievo e depressi che facevano vibrare la tela bianca con piccole luci e ombre. Sulla parete di fondo si raccordavano rigorosamente attraverso due angoli nei quali la tela, tesa su supporti trapezi, assumeva una doppia ampia curvatura. Subito dopo il Cielo di Tano Festa, dedicato dall autore al fratello scomparso, il poeta Francesco Lo Savio. Nello spazio erano disposti in sequenza cinque elementi autoportanti in legno che avevano uno spessore di 30 centimetri e un altezza di 2,10 metri. I lati esterni degli elementi terminali erano verticali mentre le unioni interne, che assumevano la forma di grandi incastri, consentivano alla parete, completamente dipinta di bleu con piccole nuvole bianche, di muoversi e dilatarsi nello spazio. L opera presentata a Foligno, di proprietà del barone Giorgio Franchetti, non corrisponde esattamente, nel numero e nelle misure degli elementi, a quella che Festa intendeva eseguire al momento dell adesione. Dopo il Cielo, i 32 MQ. di Mare Circa di Pino Pascali. Sul pavimento, con un leggero scatto in prossimità di un angolo, erano ordinate trenta sottili vasche di acciaio verniciate di bianco che avevano ciascuna le dimensioni di 1,10 x 1,10 metri. Le vasche erano completamente riempite di acqua colorata con aniline. Le tonalità, appena diverse da una vasca all altra, sfumavano dal verde turchese chiaro allo smeraldo e al bleu intenso. L immagine del visitatore, che poteva liberamente circolare intorno, si rifletteva sulla superficie colorata dell acqua. Gli ultimi cinque ambienti della mostra riguardavano Nell angolo opposto, davanti al camino, era stato ricostruito lo storico Ambiente Spaziale di Lucio Fontana. L enorme cubo 6 metri di lato fu leggermente ridotto in altezza con il permesso di Fontana, fino a sfiorare le catene delle capriate che Enrico Castellani Mario Ceroli coprono la sala. Realizzato con una struttura in legno, era ricoperto all esterno e all interno con una tela nera che schermava completamente la luce. L ingresso e l uscita, ricoperti anch essi di tela nera, erano prolungati all esterno in modo da assicurare il buio completo. Ultimata la ricostruzione del contenitore secondo le istruzioni che aveva fornito, Fontana venne al momento di realizzare con vernice fluorescente bianca i tracciati puntiformi che in alto attraversavano le pareti e il soffitto. Penetrato Pino Pascali Lucio Fontana 56 57
5 Gruppo N Tano Festa Gabriele De Vecchi Davide Boriani artisti impegnati nel campo dell arte programmata. Descrivere questi ambienti è cosa estremamente difficile e ancor più difficile diventa immaginarne gli effetti. L Ambiente Struttura del Gruppo N, ultimo nella sala dei Concerti, era costituito da una grande sfera rosa, appena sollevata da terra, ottenuta con una fitta serie di canne di alluminio di diversa lunghezza appese al soffitto e libere di muoversi. Sopra al soffitto che chiudeva l ambiente erano disposte le apparecchiature elettriche e i programmatori. La luce filtrava tra i tubi. Quando si entrava nella sfera, le sottili canne, battendo fra di loro, emettevano tintinnii metallici che arricchivano i movimentati effetti luminosi. Il complesso ambiente fu progettato appositamente per la mostra di Foligno. A questo punto il percorso tornava indietro, verso la sala Sisto IV, dove per prima si incontrava la Camera Stroboscopica Multidimensionale di Davide Boriani. L ambiente 3,10 x 3,10 x 2,70 metri di altezza, completamente nero aveva le pareti interne rivestite da specchi verticali diversamente orientati. Sul soffitto erano collocati proiettori stroboscopici e programmatori che emettevano in maniera irregolare la luce. Lo spettatore che entrava, in una condizione di instabilità vedeva la sua immagine moltiplicata all infinito in tutte le direzioni. L ambiente fu realizzato da Boriani nel 1966 e in quell anno venne esposto allo Stedelijk Museum di Eindhoven. Da Boriani si passava all Ambiente Stroboscopico Programmato del Gruppo MID. Appositamente progettato per Lo Spazio dell Immagine, era costituito da un contenitore a geometria esagona, con tre lati più brevi (1,20 metri) contrapposti ad altri tre più lunghi (2,50 metri). Su uno dei lati corti era risolto l ingresso, chiuso da una doppia tenda nera. All altezza di due metri e venti il piccolo spazio era schermato da un soffitto che presentava, disposti a 120, tre fori per il passaggio della luce rossa, verde e bleu emessa da fari sagomatori temporizzati. Le pareti e il soffitto avevano una fitta rigatura verticale bianca e nera. Gianni Colombo e Gabriele De Vecchi, del Gruppo T, aderirono individualmente alla mostra inviando però un progetto unitario con due piccoli distinti spazi: After-Structure quello di Colombo e Ambiente a Strutturazione Virtuale quello di De Vecchi. Ciascun ambiente aveva una pianta quadrata di 2,50 metri di lato, aperta su un angolo per consentire l ingresso. Si trattava di due interpretazioni programmate, disposte su un unica pedana a piani inclinati, che si distinguevano negli effetti che i proiettori creavano sulle pareti diversamente trattate e sul pavimento. Le sculture di Ettore Colla nel cortile di palazzo Trinci Gianni Colombo Gruppo MID Ultimato il percorso interno e scesa l ultima rampa della scala gotica, dall alto dello scalone esterno si scopriva la grande mostra di Ettore Colla nella corte del palazzo. Le varie sculture in ferro erano collocate in uno spazio perfettamente fruibile, di concezione moderna, completamente realizzato in laterizio. Utilizzando mattoni chiari, appena fermati con poca calce magra, erano stati pavimentati i percorsi, individuate le pedane e le basi, delimitati geometricamente i fondi erbosi. Non più quindi opere che si confrontavano con le preesistenze, come era avvenuto a Spoleto qualche anno prima nella mostra Sculture nella città, ma un intera sistemazione che autorevolmente si inseriva tra le severe facciate del palazzo. Lanfranco Radi (Foligno, Perugia, 1932) Nasce a Foligno nel Nello studio del pittore Ugo Scaramucci apprende le nozioni fondamentali delle varie tecniche pittoriche. I primi dipinti, per lo più piccoli paesaggi, risentono della pittura di Carlo Frappi. Ultimati gli studi scientifici si forma alla facoltà di Architettura di Firenze, guadagnandosi la stima di Adalberto Libera, Ludovico Quaroni, Leonardo Ricci. Agli inizi degli anni sessanta riscopre e restaura la scala gotica in palazzo Trinci. Stringe amicizia con Dino Gavina e conosce i personaggi dell arte che frequentano la nuova fabbrica di Foligno: Carlo Scarpa, presidente della società, Fontana, Colla, Capogrossi, Takahama, Milani, Marotta, Tippet, Perry, Li Yuan Chia. Nel 1967 con Gino Marotta promuove e organizza in palazzo Trinci Lo Spazio dell Immagine, una mostra che coinvolge un folto gruppo di giovani artisti emergenti nelle varie tendenze attorno alla riproposizione dello storico ambiente spaziale di Lucio Fontana e alla grande antologica di Ettore Colla nella corte del palazzo. Svanite le fortunate circostanze che per alcuni anni avevano portato Foligno all attenzione del mondo dell arte, concentra il suo impegno nel recupero del patrimonio edilizio del territorio. Le conoscenze acquisite in tanti anni di attività e l amore per il dettaglio trasmessogli da Gavina e da Scarpa lo portano a pubblicare con il figlio Lorenzo Foligno in particolare elementi tipologici dell edificazione storica (1997). Introdotto da Paolo Marconi, il volume è un riferimento fondamentale nella ricostruzione del dopoterremoto. Sempre più spesso si dedica alla pittura: I segni colorati che liberamente traccio con il pennello, a poco a poco entrano in vibrazione e destano un senso di stupore e di meraviglia simile a quello che si prova di fronte a certe manifestazioni della natura: i colori assumono valenze musicali e sprigionano una luce trascendentale. Non ama esporre. Le sue opere sono note solo agli amici che frequentano la sua casa. Presentato da Silvia Pegoraro, partecipa con sei grandi dipinti a una mostra nella rocca di Sassocorvaro nell estate del Con rigore e distacco indaga a lungo, dal vero, anche le forme e i colori del mondo vegetale. Molti dei disegni realizzati a partire dai primi anni ottanta, esposti per la prima volta a Corciano nella mostra Herbe, curata da Antonio Carlo Ponti (1991), sono stati raccolti per l ACRI Associazione fra le Casse di Risparmio Italiane in due splendidi volumi da Pieraldo editore, Roma. In Hortus Celatus (1996), un saggio critico di Italo Tomassoni introduce centotrenta tavole sulle piante spontanee eduli della tradizione popolare, mentre in Hortus Mirabilis (1999) centodieci tavole sui fiori e sui frutti accompagnano un racconto autobiografico dello scrittore Giampaolo Rugarli. Per questi suoi interessi verso la natura ha ricevuto nel 2000 il premio speciale della giuria al premio internazionale Giardini Botanici di Hanbury e il premio internazionale Benozzo Gozzoli per l ambiente naturale a Montefalco
6 Getulio Alviani Agostino Bonalumi 60 61
7 Davide Boriani Enrico Castellani 63
8 Mario Ceroli Ettore Colla 64 65
9 Gabriele De Vecchi Luciano Fabro 66 67
10 Tano Festa Piero Gilardi 68 69
11 Gino Marotta Eliseo Mattiacci fare bn 70 71
12 Visitatori all interno dell ambiente con effetto della luce stroboscopica, foto d epoca, 1967 Gruppo MID Progetto tridimensionale dello spazio, 1967 Pareti in legno truciolare, apparato stroboscopico composto da tre fari occhio di bue muniti di motore elettrico e croce di malta 72 73
13 Gruppo N Alberto Biasi Gruppo N Ennio Chiggio, Toni Costa, Edoardo Landi, Manfredo Massironi 75
14 Romano Notari Pino Pascali 76 77
15 Michelangelo Pistoletto Paolo Scheggi 78 79
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