24 settembre 2003 MARIO NOTARI. Le categorie speciali di azioni e gli strumenti finanziari partecipativi nella riforma delle società

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1 24 settembre 2003 MARIO NOTARI Le categorie speciali di azioni e gli strumenti finanziari partecipativi nella riforma delle società SOMMARIO: 1. Introduzione. 2. Cenni alla situazione previgente ed alla sua evoluzione. 3. L ampliamento delle fattispecie tipiche (azioni ed obbligazioni) e la tipizzazione dei cosiddetti ibridi (mediante gli strumenti finanziari partecipativi ex art. 2346, comma 6, cc.). 4. Linee dell indagine: gli elementi delle fattispecie e i diversi profili delle relative discipline. 5. Gli apporti dei sottoscrittori di strumenti finanziari partecipativi ex art. 2346, comma 6, c.c. Il caso degli strumenti finanziari partecipativi emessi ai lavoratori dipendenti (art. 2349, comma 2, c.c.). 6. Neutralità causale degli strumenti finanziari partecipativi. La causa dell apporto e la sua rappresentazione contabile nel bilancio della società emittente. 7. Il contenuto della partecipazione azionaria e i nuovi confini della fattispecie. Cenni alle nuove tipologie di categorie speciali di azioni: azioni correlate ; azioni postergate nelle perdite. 8. (segue): azioni prive di voto (e rapporto con le azioni di risparmio); azioni a voto condizionato, a voto contingentato e a voto scaglionato. 9. Il contenuto degli strumenti finanziari partecipativi ex art. 2346, comma 6, c.c.. I diritti patrimoniali. 10. (segue): il diritto di voto e gli altri diritti amministrativi. 11. Particolari figure di obbligazioni, sotto il profilo dei diritti patrimoniali: obbligazioni subordinate, obbligazioni a rendimento variabile e strumenti finanziari che condizionano i tempi e l entità del rimborso del capitale all andamento economico della società (art c.c.). 12. Gli strumenti finanziari di partecipazione all affare ex art ter, comma 1, lett. e), c.c.: cenni ricostruttivi della fattispecie. 13. Primo esame delle novità dei profili di disciplina: a) la competenza all emissione. 14. (segue): b) i limiti quantitativi all emissione. 15. (segue): c) il regime di circolazione e la qualificazione degli strumenti finanziari partecipativi ex art. 2346, comma 6, c.c., in termini di strumenti finanziari ai sensi dell art. 1 T.U.F (segue): d) il diritto di opzione e l acquisto da parte della società emittente. 17. (segue): e) l organizzazione di gruppo e la tutela degli interessi di categoria. 1. Introduzione. In questo lavoro ( * ) intendo svolgere un primo esame delle novità che la riforma del diritto delle società di capitali dedica * Il presente scritto, pubblicato nel volume collettaneo AA.VV., Il nuovo ordinamento delle società. Lezioni sulla riforma e modelli statutari, Ipsoa, 2003, p. 46 ss., è tratto dal testo di alcune relazioni sul tema della azioni e degli strumenti finanziari partecipativi nella riforma del diritto societario, presentate negli ultimi mesi del 2002 e nei primi mesi del In particolare, esso rappresenta la rielaborazione, con integrazioni ed aggiunte, dell intervento al Convegno di Studi sul 1

2 alla fattispecie azionaria ed agli altri strumenti finanziari per mezzo dei quali le società per azioni raccolgono capitali di rischio e di debito. Più in particolare, dopo un cenno alla situazione attuale ed alla sua evoluzione, verrà abbozzata una prima analisi dei nuovi confini delle fattispecie tipiche già presenti nell ordinamento con particolare riguardo alle azioni ed alle categorie speciali di azioni nonché dei tratti caratterizzanti delle nuove fattispecie tipiche introdotte dalla riforma, che in parte occupano lo spazio in cui in passato si muovevano i cosiddetti titoli atipici o strumenti ibridi (alludo in special modo agli strumenti finanziari partecipativi e non partecipativi, di cui all art. 2346, comma 6, c.c., ed agli strumenti finanziari di partecipazione all affare dei patrimoni destinati, di cui all art ter, comma 1, lett. e, c.c.). 2. Cenni alla situazione previgente ed alla sua evoluzione. Il diritto societario in vigore sino all attuale riforma rifletteva la tradizionale distinzione tra capitale e debito, disciplinando due figure tipiche, dai contorni tendenzialmente rigidi, di strumenti finanziari attraverso i quali le società acquisiscono mezzi propri (azioni) e risorse finanziarie (obbligazioni). L'esigenza di variare e graduare le caratteristiche dei due modelli tipici, percepibile non solo negli ultimi anni, ha comportato diversi ordini di effetti. Anzitutto ha indotto alla ricerca dei limiti interni della fattispecie azionaria e di quella obbligazionaria, tramite la creazione di categorie speciali di azioni ovvero tramite l'emissione di obbligazioni dai contenuti volti ad andare incontro alla domanda dei mercati finanziari. Inoltre, si è assistito all'introduzione, da parte dell'ordinamento giuridico, di nuove figure tipiche o meglio, di nuove specificazioni dei due modelli tipici già esistenti che in parte hanno soddisfatto il bisogno di disporre di strumenti misti : si pensi ad esempio alle norme che hanno espressamente disciplinato le obbligazioni convertibili dirette (nel 1974) e le azioni di risparmio, senza diritto di voto (nel 1974 e ancora, in senso più elastico, nel 1998). Infine, non sono mancate nuove creazioni di strumenti atipici, a tema Verso il nuovo diritto societario. Dubbi ed Attese, Firenze, 16 novembre 2002, già edito sul sito nonché del testo seguito nel seminario organizzato a Milano il 13 gennaio 2003, dal Collegio Notarile di Milano, dal titolo Azioni e strumenti finanziari, della relazione presentata al Convegno Paradigma sul tema Forum sulla riforma del diritto societario, Milano, febbraio 2003, ed infine dell intervento al Seminario Assogestioni, sul tema La riforma delle società di capitali, Milano, 17 giugno

3 volte di natura vicina ai titoli di debito, altre volte incorporanti operazioni assimilabili all'associazione in partecipazione; di tali titoli atipici si è discusso non poco, in dottrina, senza tuttavia mettere seriamente in dubbio la loro tendenziale ammissibilità. Al di là di siffatti strumenti, comunque, già le due figure tipiche delle azioni e delle obbligazioni consentono una non disprezzabile elasticità. Tra i due estremi le azioni ordinarie e le obbligazioni pure e semplici è infatti possibile dar vita ad una serie di varianti, tale da creare una gamma di tipologie intermedie (quasi) senza soluzione di continuità. Lungo la linea che mette in comunicazione le azioni con le obbligazioni possiamo collocare (partendo dalle azioni ordinarie) le azioni privilegiate, le azioni privilegiate con voto limitato, le azioni di risparmio e le azioni di risparmio con particolari privilegi volti ad attribuire un rendimento quasi garantito, nonché, sull'alto versante (partendo cioè dalle obbligazioni pure e semplici), le obbligazioni indicizzate agli indici di borsa, le obbligazioni con rendimento legato agli utili della società emittente, le obbligazioni c.d. subordinate e le obbligazioni c.d. irredimibili. Come si vede, le fattispecie intermedie si avvicinano progressivamente e la differenza tra le soluzioni più distanti dai due estremi di partenza è ben poca, sì da potersi dire che le nozioni di azioni e obbligazioni, se spinte ai confini, arrivano quasi ad incontrarsi. Ciononostante, permangono notevoli dubbi (specialmente per le ipotesi più forzate ) e significativi fattori di rigidità nei modelli tipici, attinenti al contenuto sia delle azioni che delle obbligazioni. Il confronto comparatistico e la globalizzazione dei mercati finanziari hanno quindi indotto ad una riflessione sulla struttura finanziaria delle società per azioni e sugli strumenti finanziari da essa emessi, tema sul quale la legge delega per la riforma del diritto societario non ha mancato di fornire indicazioni e criteri innovativi di rilevante portata. 3. L ampliamento delle fattispecie tipiche (azioni ed obbligazioni) e la tipizzazione dei cosiddetti ibridi (mediante gli strumenti finanziari partecipativi ex art. 2346, comma 6, cc.). La riforma del diritto societario è intervenuta, per un verso, sul fronte delle azioni e delle obbligazioni, apportando un significativo ampliamento delle rispettive fattispecie, i cui contorni vengono estesi in diverse direzioni, assumendo una maggiore elasticità, seppure non sino al punto da alcuni auspicato nel corso del dibattito degli scorsi anni; per altro verso, introduce invece una figura, assai ampia, degli 3

4 strumenti finanziari partecipativi, prevista dall art. 2346, comma 6, c.c., cui si affianca una tipologia apparentemente assai simile, ma più specifica, consistente negli strumenti finanziari di partecipazione all affare dei patrimoni destinati, di cui all art ter, comma 1, lett. e), c.c.. Per ciò che concerne le azioni, la dilatazione della nozione non riguarda la fattispecie paradigmatica delle azioni cosiddette ordinarie, il cui contenuto rimane pressoché invariato, posto che la partecipazione azionaria riflette le caratteristiche e gli elementi essenziali della stessa figura della società per azioni. L ampliamento è invece percepibile sul piano delle variabili sul tema che l autonomia negoziale può di volta in volta apportare, soprattutto mediante la creazione di speciali categorie di azioni. A tal riguardo, oltre a sancire espressamente l atipicità delle categorie speciali di azioni (art. 2348, comma 2, c.c.), la riforma aumenta assai le possibilità di forgiare il contenuto delle azioni dotate di diritti diversi, sia sul piano dei diritti amministrativi (con particolare riferimento al diritto di voto, che diviene un elemento naturale ma non più necessario della partecipazione azionaria, quanto meno per metà del capitale sociale), sia sul piano dei diritti patrimoniali (la cui possibile estensione concerne figure già note nella nostra prassi societaria e figure importate dal diritto statunitense, come le cosiddette tracking stocks), ma anche sotto il profilo dei diritti intersoggettivi tra i soci o tra i soci e la società (si pensi alle azioni riscattabili, di cui all art sexies c.c.). Più limitate o forse solo meno appariscenti le novità che conducono ad un ampliamento della fattispecie delle obbligazioni, rispetto alle quali la riforma incide soprattutto sul contenuto patrimoniale, includendovi ipotesi che, seppur note alla prassi non solo italiana ma anche straniera, potevano ritenersi al limite della categoria o addirittura estranee, come avremo modo di vedere più avanti. Le restanti novità in tema di obbligazioni, peraltro di notevole spessore, concernono invece il profilo della disciplina, con particolare riguardo alla competenza ed ai limiti all emissione. Sul fronte degli altri strumenti finanziari, il legislatore ha proceduto a tipizzare gli strumenti finanziari atipici o ibridi, dando vita ad una categoria assai ampia ed indefinita di strumenti finanziari partecipativi (prevista dall art. 2346, comma 6, c.c., nonché dagli artt. 2349, comma 2, e 2351, comma 5, c.c.), accanto alla quale si colloca la speciale categoria degli strumenti finanziari che partecipano all affare dei patrimoni destinati (di cui agli artt ter, comma 1, lett. e, e 2447-octies, c.c.), salvo quanto 4

5 avrò occasione di rilevare in seguito circa la possibile differenza tra le due tipologie. La nuova categoria degli strumenti finanziari partecipativi è tratteggiata, sul piano della fattispecie, da poche indicazioni, che a stento consentono di intravederne i confini, ed è oggetto di un impianto disciplinare forse ancora più scarno. Tale laconicità è probabilmente finalizzata a mantenere un ampio spazio di manovra all autonomia negoziale delle società emittenti, in linea con quanto accade anche nell ambito degli stessi strumenti tipici delle azioni e delle obbligazioni. Mi sembra potersi affermare sin d ora, comunque, che la categoria degli strumenti finanziari partecipativi ex art. 2346, comma 6, c.c., non esaurisca il novero degli strumenti finanziari emettibili dalle società per azioni, di natura diversa dalle azioni e dalle obbligazioni, costituendo quindi un tertium genus che non chiude però la porta alla creazione di ulteriori strumenti finanziari atipici (i quali vengono peraltro relegati in una posizione ancor più marginale e residuale di quanto avveniva in passato). Il punto sta ora nel cercare di individuare quali siano i nuovi confini delle fattispecie tipiche, ivi compresi i nuovi strumenti finanziari partecipativi ex art. 2346, comma 6, c.c., nonché quali siano i profili di disciplina applicabile agli uni ma non agli altri. 4. Linee dell indagine: gli elementi delle fattispecie e i diversi profili delle relative discipline. La linea lungo la quale intendo condurre l indagine è quella dell individuazione dei diversi aspetti ed elementi che compongono, da un lato, il profilo della fattispecie e, dall altro, quello della disciplina seppur non sempre così facilmente distinguibili tra loro per creare una sorta di griglia attraverso cui esaminare gli istituti in oggetto. Occorre far presente che la stessa distinzione tra elementi della fattispecie e profili di disciplina, oltre ad essere talvolta sfumata, viene qui proposta con finalità prevalentemente espositive, nella consapevolezza che già nell esame di alcuni elementi della fattispecie rientreranno aspetti e disposizioni da annoverare, più propriamente, nel profilo della disciplina. Pur con l ineliminabile approssimazione di tale distinzione, procederò ad esaminare anzitutto l oggetto dell apporto del sottoscrittore dei titoli emessi dalla società, per poi passare all individuazione dell operazione economica sottostante all emissione dei titoli, unitamente alla causa giuridica del rapporto tra società emittente e sottoscrittore; legato a questo aspetto è quello della raffigurazione contabile delle entità apportate alla società e 5

6 della loro rilevanza nel bilancio d esercizio. L analisi della fattispecie si completa quindi con il contenuto degli strumenti emessi dalla società, con ciò intendendo indicare l insieme dei diritti spettanti al titolare degli strumenti finanziari medesimi, potendosi fruttuosamente suddividere tale analisi a seconda della tipologia dei diritti, esaminando prima i diritti patrimoniali, poi il diritto di voto ed infine gli altri diritti amministrativi. I profili di disciplina, invece, cominceranno con l individuazione della competenza all emissione dei diversi strumenti finanziari, per poi passare alla presenza di limiti quantitativi, peraltro espressamente previsti solo per le obbligazioni. La disciplina applicabile si completa infine con il regime di circolazione (e il connesso problema dell acquisto da parte della stessa società emittente), nonché con il tema del diritto di opzione in sede di emissione e con l organizzazione di gruppo dei possessori degli strumenti finanziari della medesima tipologia E chiaro che nello svolgimento di tale indagine cercherò di privilegiare la fattispecie che per la prima volta appare nel nostro ordinamento, vale a dire quella degli strumenti finanziari partecipativi ai sensi dell art. 2346, comma 6, c.c., mentre per le azioni e le obbligazioni mi limiterò a qualche cenno, specialmente dedicato alle novità che la riforma ad essa ha riservato, senza alcuna pretesa di completezza od organicità. Dal punto di vista terminologico, indicherò gli strumenti finanziari di cui all art. 2346, comma 6, c.c., direttamente tramite il riferimento alla norma del codice civile oppure mediante la locuzione strumenti finanziari partecipativi, come risultante dalla rubrica della sezione V, che tratta appunto delle azioni e di altri strumenti finanziari partecipativi. 5. Gli apporti dei sottoscrittori di strumenti finanziari partecipativi ex art. 2346, comma 6, c.c.. Il caso degli strumenti finanziari partecipativi emessi ai lavoratori dipendenti (art. 2349, comma 2, c.c.). Il primo aspetto oggetto di indagine è la tipologia dell apporto del sottoscrittore, laddove con il termine apporto intendo designare il modo generico ed atecnico la prestazione sinallagmatica dovuta alla società in cambio dell emissione dello strumento finanziario. Nulla sembra cambiato per ciò che concerne le azioni (i cui conferimenti rimangono circoscritti al denaro, ai beni in natura ed ai crediti, ai sensi dell art c.c.) e le obbligazioni (per le quali ogni tentativo di andare al di là del versamento di denaro assume quanto meno un sapore un po scolastico). 6

7 Per gli strumenti finanziari partecipativi, il dato letterale della norma che parla dell apporto da parte dei soci o di terzi anche di opera o servizi consente di affermare che l apporto può avere ad oggetto sia i beni conferibili ai sensi dell art c.c. (denaro, beni in natura e crediti), sia altre prestazioni non conferibili, tra le quali vengono menzionati espressamente le opere ed i servizi, ma che potrebbero anche consistere in altre tipologie, quali ad esempio gli obblighi di non fare, il consenso all uso del nome, etc.. Sebbene la Relazione lasci intendere che l intenzione del legislatore fosse rivolta in special modo alle prestazioni d opera, di servizi e ad altri apporti non conferibili, non si vedono ragioni per limitare tale categoria entro siffatti limiti, soprattutto se si considera che il testo originariamente previsto in una prima bozza elaborata dalla commissione ministeriale contemplava solo gli apporti dei soci o dei terzi diversi dai conferimenti previsti dall'articolo Così stando le cose, si può dire che, dal punto di vista della tipologia dell apporto, la categoria delle entità a fronte delle quali possono essere emessi gli strumenti finanziari partecipativi ex art. 2346, comma 6, c.c., rappresenta un genus nel cui ambito i conferimenti ex art c.c. costituiscono una species più circoscritta. Tale affermazione non può tuttavia essere ripetuta telle quelle per ciò che concerne gli strumenti finanziari ex art ter c.c., che, già sotto tale profilo non possono pacificamente essere parificati agli strumenti finanziari partecipativi ex art. 2346, comma 6, c.c.. Infatti, sebbene come per le obbligazioni non vi siano limiti normativi che contribuiscono a delimitare l area dei beni, eventualmente diversi dal denaro, che possono essere trasferiti dai sottoscrittori alla società emittente (per quanto sia ovvio che, ove venissero apportati beni diversi dal denaro, non si potrebbe più qualificare in termini di contratto di mutuo il rapporto giuridico sottostante all emissione del prestito obbligazionario), occorre verificare le eventuali differenze tra quanto la società riceve a fronte di tali strumenti (lettera e dell art ter c.c.) e gli eventuali apporti di terzi, previsti dalla lettera d) della medesima norma (cfr. infra par. 12). Il che, peraltro, richiede anche l esame di altri aspetti delle fattispecie, a partire dalla natura e dalla causa giuridica dell operazione a fronte della quale vengono emessi gli strumenti finanziari partecipativi ai sensi dell art. 2346, comma 6, c.c.. Parimenti, fonte di qualche incertezza è la disposizione introdotta ex novo nel secondo comma dell art c.c., ai sensi del quale l assemblea straordinaria può altresì deliberare l assegnazione ai dipen 7

8 denti della società o di società controllate di strumenti finanziari, diversi dalle azioni, forniti di diritti patrimoniali o diritti amministrativi, escluso il voto nell assemblea generale degli azionisti. In tal caso possono essere previste norme particolari riguardo alle condizioni di esercizio dei diritti attribuiti, alla possibilità di trasferimento ed alle eventuali cause di decadenza o riscatto. Si tratta a mio avviso dei medesimi strumenti finanziari partecipativi previsti dall art. 2346, comma 6, c.c., dei quali vengono ribaditi quasi letteralmente gli stessi connotati essenziali, ragion per cui ogni riflessione che verrà in prosieguo svolta relativamente a questi ultimi dovrà estendersi anche ai primi. Tuttavia, per ciò che concerne l apporto, non è chiaro come si realizzi la fattispecie dell art. 2349, comma 2, c.c.. Si consideri infatti che nell ipotesi disciplinata dal primo comma i dipendenti ricevono gratuitamente le azioni, che vengono emesse a fronte di un aumento di capitale mediante imputazione di utili, cui i soci rinunziano a favore dei dipendenti. Si tratta pertanto di un emissione di azioni priva di alcun conferimento e si risolve, dal punto di vista dei dipendenti, in una sorta di gratifica gratuita, che trova il proprio motivo nella sussistenza del rapporto di lavoro. Mutatis mutandis sembra di poter replicare il medesimo schema anche relativamente al secondo comma, ben potendo la società assegnare gratuitamente ai dipendenti strumenti finanziari partecipativi ex art. 2346, comma 6, c.c., che incorporano diritti patrimoniali di partecipazione ai futuri utili, oppure diritti patrimoniali di natura mista (in parte consistente in un credito in senso stretto e in parte nella partecipazione al rischio d impresa), e così via, pur in mancanza di qualsiasi apporto da parte dei lavoratori. E chiaro che la società, così come imputa riserve a capitale e assegna gratuitamente le azioni, ai sensi del primo comma, finisce in questi casi per assumersi, senza corrispettivo, un debito, un onere o una compressione dei diritti dei soci, a favore dei dipendenti. Al pari di quanto avviene per le azioni emesse ai sensi dell art. 2349, comma 1, c.c., quindi, gli strumenti finanziari assegnati ai dipendenti ai sensi dell art. 2349, comma 2, c.c., si differenziano dagli altri strumenti finanziari partecipativi ex art. 2346, comma 6, c.c., per la loro genesi, fondata su una gratuità collegata al rapporto di lavoro, ma non necessariamente per il contenuto e per le altre caratteristiche. Solo eventualmente, infatti, le azioni emesse a favore dei prestatori di lavoro e gli strumenti finanziari partecipativi emessi a favore dei prestatori di lavoro conferiscono diritti diversi, per scelta della società emittente, rispetto alle azioni ordina 8

9 rie o agli altri strumenti finanziari partecipativi (casomai) emessi dalla società. 6. Neutralità causale degli strumenti finanziari partecipativi. La causa dell apporto e la sua rappresentazione contabile nel bilancio della società emittente. Quale secondo aspetto della fattispecie, occorre esaminare il tema della causa giuridica e della funzione economica dell operazione sottostante all emissione degli strumenti finanziari. Direttamente dipendente da tale aspetto anche se non solo da esso è poi la questione della contabilizzazione dell apporto nel bilancio della società emittente Anche a questo riguardo, nessuna novità si profila ovviamente per le azioni (la cui causa è tipica e riflette la causa societatis dell intero rapporto contrattuale, con la conseguenza che il conferimento dà luogo all iscrizione in patrimonio netto della voce capitale ) e le obbligazioni (che incorporano un operazione di finanziamento, di regola qualificabile come mutuo in senso proprio, e che danno luogo ad una specifica posta nella voce debiti del passivo dello stato patrimoniale). Assai delicata si presenta invece la questione per gli strumenti finanziari partecipativi e per gli strumenti finanziari che partecipano all affare dei patrimoni destinati. Il dato normativo è scarno di indicazioni al riguardo, al punto che pare possibile ritenere che gli strumenti finanziari partecipativi di cui all art. 2346, comma 6, c.c., non siano caratterizzati da una causa tipica, bensì rappresentino una figura neutra dal punto di vista della causa negoziale del rapporto giuridico ad essa sottostante. A differenza delle azioni e delle obbligazioni, in altre parole, gli strumenti finanziari partecipativi costituirebbero cioè una struttura vuota, il cui contenuto e la cui causa debbono essere di volta in volta determinati dalle parti, senza che il legislatore ne abbia fissato a monte i contorni. Siffatta lettura è avallata oltre che dal dato letterale della norma, che non pone alcun limite al riguardo dalla storia e dalla genesi dell istituto, che, come ricordato inizialmente, è andato ad occupare gran parte dello spazio vuoto dei titoli atipici o dei cosiddetti strumenti ibridi, tutti per l appunto caratterizzati dalla mancanza di una rigida causa giuridica e funzione economica. Attribuire agli strumenti finanziari partecipativi una determinata causa o funzione, quindi, vanificherebbe la finalità di fornire una veste giuridica (seppur minimale ) ai diversi possibili titoli atipici che di volta in volta l autonomia negoziale avrebbe interesse di porre in essere, in quanto rimarrebbero nuovamente scoperti tutti gli strumenti fi 9

10 nanziari caratterizzati da una causa diversa da quella predefinita dal legislatore. La tipizzazione dell atipico, in altre parole, si è volutamente limitata ad alcuni profili dell istituto, senza spingersi alla sua funzione causale. Seguendo tale impostazione, si può ipotizzare una pluralità di possibili cause dell apporto effettuato dai sottoscrittori degli strumenti finanziari partecipativi: (a) esso può anzitutto consistere nella provvista di un operazione di finanziamento, con obbligo di rimborso a favore dei possessori degli strumenti finanziari; si tratterebbe allora di strumenti ibridi nel senso che, a fronte di un operazione di finanziamento, vengono attribuiti diritti, sia patrimoniali che amministrativi, sino ad ora riservati alle sole azioni, nei limiti di cui più avanti si dirà (cfr. par. 9 e 10); (b) quanto versato alla società potrebbe altresì rappresentare un apporto a titolo di associazione in partecipazione ai sensi degli artt e ss. c.c., a fronte del quale all associato vengono attribuiti diritti amministrativi, anche di controllo, incorporati negli strumenti finanziari partecipativi, oltre all obbligo di restituzione dell apporto alla scadenza pattuita (sempre che non vi siano perdite, con l effetto di cui all art c.c.) ed alla partecipazione agli utili della società, siano essi commisurati alla sua intera attività, ad una determinato settore o anche ad un particolare affare (senza che sia necessario, a tal fine, costituire un patrimonio destinato ai sensi degli artt bis e ss. c.c.); (c) l operazione incorporata negli strumenti finanziari partecipativi potrebbe altresì riprodurre lo schema causale e la funzione economica dei contratti contemplati dall art c.c. ed assoggettati parzialmente alla medesima disciplina del contratto di associazione in partecipazione consistenti, il primo, nella cointeressenza agli utili di un impresa senza partecipazione alle perdite e, il secondo, nella partecipazione agli utili e alle perdite di un impresa senza il corrispettivo di un determinato apporto ; (d) l apporto dei sottoscrittori potrebbe inoltre essere acquisito dalla società come capitale di rischio o meglio di capitale proprio (o comunque come entità economiche definitivamente facenti parte del suo patrimonio), senza alcun obbligo di restituzione a favore dei possessori degli strumenti finanziari, i quali, pur non ricevendo azioni, potrebbero avere una significativa remunerazione dell investimento, mediante diritti sugli utili, sulle riserve o altro ancora; si avrebbe allora un'altra figura di strumento ibrido, in quanto un apporto di quasi capitale sarebbe non solo privo 10

11 del diritto di voto nell assemblea generale degli azionisti, come si dirà in appresso ma anche dotato di diritti amministrativi certamente inferiori a quelli delle azioni, anche di quelle più scolorite come le azioni di risparmio (cui competono diritti quasi sicuramente inaccessibili ai possessori di strumenti finanziari ex art. 2346, comma 6, c.c., come ad esempio il diritto di opzione sull emissione di nuove azioni); (e) la neutralità causale dell istituto, infine, lascia aperta la porta a qualsiasi ulteriore combinazione di cause tipiche oppure a cause del tutto atipiche, per quanto non sia facile immaginarne in astratto i possibili connotati. Dal punto di vista della rappresentazione contabile delle diverse operazioni sottostanti all emissione degli strumenti finanziari partecipativi, la loro asserita neutralità causale unitamente alla varietà tipologica delle entità che possono essere oggetto di apporto potrebbe dar luogo a tre differenti situazioni: (i) laddove gli strumenti finanziari incorporassero un operazione di natura meramente finanziaria, in virtù della quale la società risulta debitrice in senso stretto nei confronti dei titolari degli strumenti finanziari, ne conseguirebbe che l apporto, essendo previsto in qualche modo un obbligo di rimborso, darebbe luogo all iscrizione in bilancio di una voce di debito, analogamente a quanto avviene per le obbligazioni; come per queste ultime, dovrebbe iscriversi in bilancio solo l importo dell obbligo di restituzione in linea capitale, mentre non troverebbero spazio nella situazione patrimoniale gli oneri dipendenti dalle diverse possibili forme di remunerazione, siano esse costituite da interessi, interessenze o partecipazioni ai risultati della società; (ii) in altre circostanze, invece, la tipologia dell apporto o la sua causa potrebbero non dar luogo ad alcuna appostazione nel passivo dello stato patrimoniale, né nei debiti, né nel patrimonio netto; ciò potrebbe dipendere dalla combinazione della natura delle entità apportate e della causa dell operazione incorporata negli strumenti finanziari partecipativi; è quanto dovrebbe accadere, se non erro, proprio nell ipotesi espressamente prevista dal legislatore, di prestazioni d opera o servizi a favore della società, giacché rimane fermo il divieto della loro imputazione a capitale (in tal senso si esprime anche la Relazione), sempre che da ciò non consegua un obbligo restitutorio avente ad oggetto prestazioni patrimoniali di diversa natura (ad esempio denaro); lo stesso dicasi, d altronde, nell ipotesi in cui gli strumenti finanziari partecipativi incorporassero uno schema negoziale 11

12 analogo a quello poc anzi citato, menzionato dall art c.c., in base al quale ai possessori degli strumenti viene riconosciuta una partecipazione agli utili e alle perdite senza il corrispettivo di un determinato apporto (il poi ci riporta anche alla previsione dell art. 2349, comma 2, c.c., esaminata supra nel par. 5); (iii) non si possono infine escludere ipotesi in cui gli apporti effettuati in cambio degli strumenti finanziari partecipativi siano imputati ad una voce del patrimonio netto, ovviamente diversa dal capitale, avente natura di riserva (eventualmente targata a favore dei possessori dei relativi strumenti finanziari); così dovrebbe accadere laddove l apporto non desse luogo ad alcun obbligo di restituzione e divenisse perciò capitale proprio (di rischio) della società emittente, fermo restando che si dovrebbe necessariamente trattare di un apporto conferibile ai sensi dell art c.c.; vero è che si porrebbe altresì, per tacer d altro, il problema della stima dell apporto diverso dal denaro, ma si tratterebbe di un problema non insormontabile, allorché si pensi che la dottrina da tempo ammette senza particolari dubbi la figura dei versamenti in conto capitale effettati con beni in natura e non in denaro, dando così luogo direttamente all iscrizione di una voce di patrimonio netto senza che ciò comporti una violazione della disciplina sulla valutazione peritale dei conferimenti in natura. 7. Il contenuto della partecipazione azionaria e i nuovi confini della fattispecie. Cenni alle nuove tipologie di categorie speciali di azioni: azioni correlate ; azioni postergate nelle perdite. Procedendo nell indagine della fattispecie, passiamo ora ad analizzare il contenuto dei diversi strumenti finanziari intesto come l insieme dei diritti, patrimoniali ed amministrativi, incorporati nei titoli emessi dalla società per azioni cominciando con la partecipazione azionaria e, nel suo ambito, con i diritti patrimoniali spettanti agli azionisti. A tal riguardo, fermi restando i limiti generali imposti dal tratto tipologico della società per azioni e dal divieto del patto leonino, risultano certamente estese le facoltà di creare categorie speciali di azioni dotate di particolari diritti patrimoniali (o confermate le interpretazioni estensive già sostenute nel vigore dell attuale disciplina). Ciò dipende sia dall introduzione di nuove figure tipiche di categorie speciali di azioni il caso più evidente è quello delle azioni correlate, previste dall art. 2350, comma 2, c.c. sia dal riconoscimento espresso dell atipicità delle categorie speciali di azioni, ad opera del nuovo precetto generale contenuto nell art. 12

13 2348, comma 2, c.c., ai sensi del quale la società, nei limiti imposti dalla legge, può liberamente determinare il contenuto delle azioni delle varie categorie. Così è anzitutto per le azioni correlate, espressamente previste dall art. 2350, comma 2, c.c., ai sensi del quale la società può emettere azioni fornite di diritti patrimoniali correlati ai risultati dell attività sociale in un determinato settore. Lo statuto stabilisce i criteri di individuazione dei costi e ricavi imputabili al settore, le modalità di rendicontazione, i diritti attribuiti a tali azioni, nonché l eventuali condizioni e modalità di conversione in azioni di altra categoria, il tutto nel limite previsto dal terzo comma, ove si prevede che non possono essere pagati dividendi ai possessori delle azioni previste dal precedente comma se non nei limiti degli utili risultanti dal bilancio della società. Limitando in questa sede il discorso ad alcuni cenni essenziali, si noti anzitutto che con la nuova tipologia di azioni speciali si può giungere sino al punto di stabilire che le azioni correlate percepiscono utili solo se il settore correlato è in utile ed anche se gli altri settori non producono utile (fermo restando il divieto, appena ricordato, di distribuire utili se la società nel suo complesso non ne ha prodotti); con la conseguenza che vi potranno essere esercizi in cui gli azionisti correlati percepiscono un dividendo, mentre quelli ordinari non ricevono alcunché, o vice versa. Dal che deriva altresì l opportunità di regolare espressamente le sorti, negli esercizi successivi, degli utili del settore correlato non distribuiti in quanto assorbiti dalle perdite dei settori non correlati o vice versa (dovendosi forse ritenere, in mancanza di espressa disposizione statutaria, che si produca una sorta di aspettativa latente a favore della categoria di azioni il cui settore ha prodotto l utile non distribuito). Tali considerazioni iniziali fanno subito percepire quanto sia stata ampliata la fattispecie azionaria, soprattutto dal punto di vista del (già evanescente) concetto di esercizio in comune dell attività economica, contenuto nell art c.c., che viene ulteriormente sbiadito. Nelle società di capitali, infatti, tale requisito veniva ricondotto, più che al piano gestorio dell attività economica, al profilo della ricaduta dei suoi risultati, che evidentemente, nell ipotesi delle azioni correlate, sono ancor meno comuni che nelle azioni ordinarie o nelle altre categorie di azioni caratterizzate da privilegi di natura patrimoniale (che, per le altre azioni, rappresentano a loro volta degli svantaggi di natura patrimoniale). 13

14 Si noti poi che i diritti correlati ai risultati del settore, sebbene nell ipotesi paradigmatica siano rappresentati da privilegi sugli utili, possono consistere anche in altri diritti patrimoniali, come chiaramente risulta dalla lettera della legge. Il che, non solo consente di agire sulle riserve, anche al fine di regolare nel tempo l eventuale andamento diseguale dei settori correlati e non correlati, ma permette altresì di stabilire diversi diritti di rimborso o di riparto in sede di liquidazione della società e forse anche in sede di liquidazione della singola partecipazione azionaria a causa di recesso. Quanto al perimetro dell attività cui le azioni in parole vengono correlate, sembra chiaro che esso sia più ampio di quello che caratterizza i patrimoni destinati, ai sensi degli artt bis e ss. c.c.: in altre parole, mentre l affare dei patrimoni destinati dev essere un operazione o un attività suscettibile di avere un inizio e una fine, il settore dell attività sociale cui vengono correlate le azioni ex art. 2350, comma 2, c.c., può essere più ampio e può consistere in una delle attività incluse nell oggetto sociale. Volendo esemplificare, in una società di engineering, il settore potrebbe essere rappresentato da tutte le commesse per la costruzione di dighe idroelettriche, mentre l affare potrebbe essere rappresentato dalla realizzazione di una singola determinata diga. Non pare tuttavia debba sussistere un vincolo inverso, ovverosia l impossibilità di correlare le azioni ex art. 2350, comma 2, c.c., ad un attività avente un perimetro più ristretto, anche coincidente con uno specifico affare (al termine del quale si produrrà la conversione delle azioni, come espressamente consentito, in linea generale, dalla norma stessa); in questa direzione, del resto, non sembra doversi nemmeno escludere la possibilità di emettere azioni correlate ad uno specifico affare che a sua volta costituisce l oggetto di un patrimonio destinato ai sensi dell art bis c.c., ben potendo la società preferire tale soluzione a quella degli strumenti finanziari che partecipano ai risultati dell affare, previsti dall art ter c.c. (cfr. par. 12). Oltre alle azioni correlate, il nuovo art c.c. consente con certezza numerose tipologie di diritti patrimoniali speciali, più o meno noti alla prassi, dei quali non sembra più possibile negare l ammissibilità (diritto di postergazione nelle perdite, diritti di priorità o maggiorazioni sulle riserve, diritto a particolari prestazioni economiche da parte della società, etc.). Si possono quindi estendere a tutte le società per azioni alcune considerazioni svolte in tema di azioni di risparmio di società quotate, relativamente, ad esempio, alla possibilità di configurare in aggiunta al diritto agli utili e 14

15 non in sua sostituzione speciali diritti patrimoniali che attribuiscano un rendimento finanziario il più possibile certo, anche attingendo alle riserve o addirittura spingendosi sino al punto di creare un vero e proprio obbligo di corrispondere somme a titolo di interessi sul capitale investito. Il definitivo riconoscimento delle azioni postergate nelle perdite, inoltre, parrebbe rendere applicabile, quanto meno in via analogica, la disciplina dettata dall art. 145, comma 5, T.U.F., per l ipotesi in cui le azioni di risparmio siano dotate del privilegio della postergazione nelle perdite. ciò vale, come ebbi occasione di sostenere in sede di commento della norma del T.U.F., sia per l obbligo di ripristino della proporzione tra azioni a voto pieno e azioni a voto non pieno proporzione dettata dall art. 2351, comma 2, c.c., rimasto invariato dopo la riforma sia per l implicita limitazione legale del diritto di opzione a danno degli azionisti postergati ed a favore degli azionisti non postergati, solo i quali avranno perciò diritto di sottoscrivere le azioni di compendio dell aumento di capitale deliberato al fine di ripristinare la proporzione delle due categorie di azioni sussistente anteriormente alla riduzione del capitale per perdite. 8. (segue): azioni prive di voto (e rapporto con le azioni di risparmio); azioni a voto condizionato, a voto contingentato e a voto scaglionato. Nell ambito dei diritti amministrativi, il diritto di voto assume una rilevanza tale da dover essere esaminato quale elemento a sé. Anche a questo riguardo, la fattispecie azionaria risulta assai ampliata, in quanto, sempre attraverso la creazione di categorie speciali di azioni, il voto diventa un elemento graduabile sino al punto di poter venir totalmente meno senza alcuna contropartita o altra variazione di contenuto delle partecipazioni azionarie. La riforma sposta il confine della nozione di azione ancora più in là di quanto avvenne per le società quotate nel 1974 prima e nel 1998 poi, con le azioni di risparmio, per le quali, anche dopo l ultima novella ad opera del T.U.I.F., le società emittenti debbono tuttora pagare il prezzo della privazione del voto, dovendole dotare di particolari privilegi di natura patrimoniale. Viene quindi totalmente abbandonato il necessario bilanciamento di cui l ordinamento si faceva carico tra la componente amministrativa e quella patrimoniale dell azione, nel senso che alla compressione della prima deve necessariamente corrispondere un rafforzamento quantitativo della seconda (Bione). Tale funzione di riequilibrio, già attenuata con l ultima novella in tema di azioni di risparmio, non viene più svolta su base 15

16 imperativa, bensì interamente affidata al mercato o comunque alla libera negoziazione tra i diversi soggetti coinvolti. Paradossalmente, sono proprio le azioni di risparmio a conservare una maggiore residuale rigidità sotto tale profilo, rispetto alle altre categorie speciali di azioni, anche totalmente prive del diritto di voto. Ciò rende assai problematico il rapporto tra la disciplina generale dettata per tutte le s.p.a. e contenuta nell art c.c., da un lato, e la disciplina speciale dettata per le società con azioni quotate in mercati regolamentati, contenuta negli artt. 145 e ss. T.U.F., dall altro. Scartata in partenza la tesi dell abrogazione tacita degli articoli del T.U.F. non solo in considerazione dell art bis, comma 2, c.c., bensì anche per l impossibilità di ravvisare un contrasto tra le due discipline, tra loro affatto incompatibili, e per la clausola di salvezza con cui inizia il secondo comma dell articolo del codice e data per scontata l immutata applicabilità delle norme del T.U.F. alle società quotate, occorre infatti capire come incida, su queste ultime, la riforma della norma generale contenuta nell art c.c.. Due le interpretazioni plausibili: (i) alle società quotate si applica sia la disciplina generale dell art c.c., sia quella speciale del T.U.F.: esse dunque possono emettere, come tutte le altre società per azioni, azioni prive del diritto di voto o a voto limitato (ma non azioni a voto contingentato o scaglionato, di cui al comma 3 dell art c.c.) ed inoltre possono emettere una particolare tipologia di azioni prive del diritto di voto, denominate azioni di risparmio, con alcune prerogative inaccessibili alle società non quotate (si pensi al fatto di poter essere al portatore, seppur nella limitata rilevanza che tale circostanza assume nel regime di dematerializzazione) e con una disciplina legale sempre direttamente applicabile (obbligo di prevedere privilegi patrimoniali, obbligo di prevedere quali diritti spettano in caso di cessazione della negoziazione nel mercato regolamentato, organizzazione di categoria, etc.); rispetto alle normali azioni prive del diritto di voto, quindi, il nomen azioni di risparmio varrebbe ad indicare una tipologia dai contorni più definiti (anche se ampiamente modificabili dall autonomia statutaria) con alcune prerogative ed alcune rigidità disciplinari; (ii) la disciplina speciale del T.U.F., proprio in quanto disciplina speciale, rappresenta una deroga, per le sole società con azioni quotate, rispetto alla disciplina generale dell art c.c., costituendo un esempio di quanto previsto dal art bis, comma 2, c.c., nella parte in cui dispone che le norme di questo capo si applicano alle società emittenti di azioni quotate in mercati regolamentati in quanto non sia diversamente disposto 16

17 da altre norme di questo codice o di leggi speciali : le società quotate, in altre parole, potrebbero sì emettere azioni prive del diritto di voto, ma solo del tipo azioni di risparmio, nei limiti e con le caratteristiche derivanti dagli artt. 145 e ss. T.U.F.. Sebbene sia difficile trovare indici decisivi per sostenere la fondatezza dell una o dell altra soluzione, la prima di esse si lascia preferire, sulla base delle seguenti argomentazioni. Anzitutto la stessa norma del codice, laddove ha considerato eccessivo lo spazio lasciato alle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio (categoria non coincidente, è vero, con le società quotate, ma da esse prevalentemente composta), ha espressamente inibito alle società aperte alcune modalità di limitazione del diritto di voto (precisamente quelle del voto scaglionato e del voto contingentato, di cui all art. 2351, comma 3, c.c.); sarebbe singolare pensare che il legislatore della riforma si sia preoccupato di limitare tali facoltà, tutto sommato abbastanza peculiari, ma, nel momento in cui ha aperto incondizionatamente alla azioni prive del diritto di voto non abbia disposto analoga limitazione pur ritenendola dovuta. In secondo luogo, la storia dell istituto è sino ad ora andata in senso contrario rispetto alla direzione che discenderebbe dall accoglimento della tesi qui avversa: proprio le società quotate, infatti, sono state considerate, prima nel 1974 e poi nel 1998, il luogo elettivo per le maggiori concessioni all autonomia statutaria in tema di azioni prive del diritto di voto, sulla base della duplice considerazione che, da un lato, è proprio nei mercati finanziari che può ravvisarsi l interesse a disporre di uno strumento di partecipazione all investimento azionario senza che ciò comporti la partecipazione attiva alle decisioni assembleari, e che, dall altro, il mercato stesso può fungere da contrappeso rispetto all autonomia statutaria, recependo o rigettando le soluzioni offerte dalle società emittenti. Aderendo alla soluzione sopra esposta sub (ii), invece, non solo si annullerebbe il divario già sussistente a favore delle società quotate, bensì si invertirebbe il rapporto tra queste ultime e le società non quotate; il che, se è vero che rientra nel disegno generale della stessa legge delega, non pare altrettanto giustificabile in una materia come questa, caratterizzata da un evoluzione storica assai diversa. Infine, anche la lettera della legge non aiuta ad avallare la tesi qui contestata: entrambe le norme (art. 2351, comma 2, c.c., e art. 145, comma 1, T.U.F.), infatti, utilizzano un espressione volta ad attribuire una fa 17

18 coltà, piuttosto che limitarla ( lo statuto può prevedere la creazione di azioni senza diritto di voto, per un verso, e le società con azioni ordinarie quotate possono emettere azioni prive del diritto di voto ); l inciso iniziale dell art. 2351, comma 2, c.c., in questo contesto, fa salva la norma speciale, che non deve pertanto ritenersi tacitamente abrogata dalla sopravvenienza di una nuove norma che regola una fattispecie parzialmente uguale. Al di là delle società con azioni quotate e del problema delle azioni di risparmio, l apertura del legislatore della riforma per ciò che concerne la limitazione o l eliminazione del diritto di voto è quasi totale. Rimangono, a limitare l autonomia negoziale, il divieto di voto plurimo (art. 2351, comma 4, c.c.) e l obbligo di far sì che almeno la metà del capitale sociale sia rappresentato da azioni a voto pieno (art. 2351, comma 2, ultima frase, c.c.), così come rimangono alcuni dubbi già emersi nel vigore dell attuale disciplina, quale ad esempio quello circa la possibilità, negata dalla prevalente giurisprudenza, di attribuire una sorta di voto separato nelle deliberazioni di nomina degli organi sociali, sì da attribuire ad una categoria di azioni il diritto di nominare un certo numero di consiglieri o di sindaci, e ad un altra categoria di azioni il diritto di nominare i rimanenti (sul tema qualche nuovo spunto di riflessione può tuttavia derivare dalla disciplina degli strumenti finanziari partecipativi, di cui infra). Tra le tipologie di limitazioni del diritto di voto espressamente contemplate dal legislatore, spiccano in particolare le seguenti: (a) il voto condizionato, ovverosia la subordinazione del diritto di voto al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative (art. 2351, comma 2); (b) il voto contingentato, ovverosia la limitazione del diritto di voto ad una misura massima in relazione alla quantità di azioni possedute da uno stesso soggetto (art. 2351, comma 3); (c) il voto scaglionato (anch esso previsto, senza ulteriori spiegazioni, dall art. 2351, comma 3). A parte rilevare l indisponibilità delle due ultime figure per le società aperte quelle cioè che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio può essere utile in questa sede svolgere le prime brevi riflessioni circa il significato pratico che possono assumere tali previsioni. Il voto condizionato può assumere qualsiasi sembianza, posto che l unico limite alla determinazione dell evento condizionante (ed ai possibili connessi termini iniziali e finali) sta nell impossibilità di dedurre una condizione meramente potestativa, in ossequio al precetto della disciplina del contratto di cui all art c.c.. L esame comparatistico fornisce un esempio di voto condizionato, consistente nelle azioni senza diritto di voto 18

19 previste nell ordinamento francese, le quali, in caso di mancato soddisfacimento per due anni consecutivi del privilegio patrimoniale in tema di distribuzione degli utili, attribuiscono ai loro possessori il diritto di voto al pari delle azioni ordinarie, sino a quando non verranno nuovamente distribuiti utili in misura tale da soddisfare il privilegio. Senza dubbio la condizione può consistere anche nel lancio di un o.p.a., avente particolari caratteristiche o a prescindere da esse, con il che le azioni a voto condizionato possono divenire un utile strumento per il confezionamento di poison pills contro scalate non gradite al gruppo di maggioranza relativa o al manegement. Non si vedono inoltre impedimenti a prevedere che la condizione possa avere un effetto temporaneo potendo cioè il diritto di voto andare e venire a seconda del realizzarsi o meno dell evento condizionante oppure anche un effetto definitivo, di guisa che le azioni, verificatasi la condizione, acquisiranno o perderanno in pianta stabile il diritto di voto (o parte di esso). Il che potrebbe equivalere, se non rimangono altri diritti diversi a differenziare la categoria di azioni, ad una conversione automatica delle azioni a voto condizionato in azioni ordinarie o viceversa. Il voto contingentato rappresenta invece un ipotesi in sé maggiormente definita, assai simile ma non uguale a quella del tetto massimo di possesso di azioni. Il voto contingentato, infatti, consiste nella previsione in base alla quale alcune azioni (che potrebbero costituire una categoria in virtù di questa sola caratteristica, così come potrebbero essere connotate da altri diritti diversi ), invece che attribuire un voto ciascuna, senza limiti, attribuiscono sì un voto ciascuna, ma fina ad un massimo, ad esempio, di mille azioni. Le azioni eccedenti, possedute dal medesimo soggetto (e qui la clausola statutaria potrebbe ampliare il limite anche ai soggetti facenti parte del medesimo gruppo), sono prive del diritto di voto, ovviamente fintanto che rimangono nelle sue mani. O meglio, si dovrebbe dire che le azioni contingentate attribuiscono ad un solo soggetto un numero massimo di voti, nel loro complesso, senza che si possa individuare, nel pacchetto posseduto dalla stessa persona, alcune azioni dotate di diritto di voto ed altre azioni, quelle eccedenti, prive del diritto di voto. Il voto scaglionato, dal canto suo, può essere agevolmente rappresentato da un esempio. Si ipotizzi che, a fianco delle azioni ordinarie che danno diritto ad un voto ciascuna secondo la regola generale (ed inderogabile per almeno la metà del capitale sociale), sussista una categoria speciale di azioni, che danno diritto ad un voto ciascuna per le prime mille 19

20 azioni possedute dal medesimo soggetto, ad un voto ogni due azioni, per le seconde mille, ad un voto ogni tre azioni per il terzo migliaio, e così via. E un fenomeno in un certo senso inverso a quello del voto plurimo, ma da esso evidentemente diverso, in quanto il peso delle azioni viene proporzionalmente ridotto, anziché essere aumentato. L ultimo aspetto da analizzare nell ambito del contenuto della partecipazione azionaria è quello degli altri diritti amministrativi. Pur non riscontrandosi particolari novità, né disposizioni specifiche al riguardo, mi sembra di poter affermare che il nuovo precetto generale dell art. 2348, comma 2, c.c. (nella parte in cui, come già ricordato, afferma che la società può liberamente determinare il contenuto delle azioni delle varie categorie ), dovrebbe contribuire ad avallare quelle interpretazioni, apparentemente ostacolate in passato da parte della giurisprudenza, volte ad ammettere la creazione di categorie speciali di azioni dotate di diritti diversi di natura amministrativa. A tal riguardo, sembra però difficile consentire una libera derogabilità in peius rispetto ai diritti amministrativi ordinariamente attribuiti alle azioni, mentre non si ravvisano impedimenti ad ammettere il riconoscimento, a speciali categorie di azioni, di diritti amministrativi ulteriori o maggiorati. In questo senso, mi pare ammissibile attribuire ad alcune azioni un potere di controllo analogo a quello attualmente spettante ai soci di s.r.l. allorché non vi sia il collegio sindacale (art. 2489, comma 1, c.c., testo vigente); del pari, non vedo ostacoli nel riconoscere solo ad una categoria di azioni il diritto di richiedere la convocazione dell assemblea, ai sensi dell art c.c., con una percentuale inferiore di azioni oppure, al limite, anche qualora vi sia il possesso di una sola azione. Di certo possono esservi altri esempi, fatta salva la necessità di verificare, caso per caso, istituto per istituto, la presenza di eventuali ragioni ostative alla deroga, anche in melius, della disciplina legale. Non si può peraltro escludere, alla luce della novella dell'art. 2441, comma 4, c.c. (ove si prevede che nelle società con azioni quotate sui mercati regolamentati lo statuto può altresì escludere il diritto di opzione nei limiti del dieci per cento del capitale sociale preesistente, a condizione che il prezzo di emissione corrisponda al valore di mercato delle azioni e ciò sia confermato da apposita stima della società incaricata della revisione contabile ), che vengano create categorie speciali di azioni caratterizzate dal fatto di poter essere private del diritto di opzione, nei limiti ora ricordati. Si tratterebbe cioè di ipotesi in cui lo statuto si avvale della facoltà di consen 20

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