Droga: ma il problema dov è?

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1 DROGA: MA IL PROBLEMA DOV È? 7 1 Droga: ma il problema dov è? 1.1 Un problema complesso È noto come il fenomeno dell uso e della diffusione di sostanze stupefacenti soprattutto nella fascia d età che tradizionalmente si chiama adolescenza/ giovinezza 1 costituisca una problematica che da molti decenni viene dibattuta a diversi livelli e che comunque coinvolge in modo particolare gli operatori sociali, sia nel loro insieme che nei loro ruoli specifici. Per dare a questo problema un apporto qualificato si richiede una conoscenza della sua rilevanza e dei percorsi che sono attualmente disponibili per affrontarlo, non solo da parte di quanti lavorano nell ambito delle strutture sociosanitarie o ad esse collegate, ma anche in coloro che rivestono un ruolo nelle agenzie di socializzazione e cioè, oltre ovviamente alle famiglie, gli insegnanti e quanti operano nelle strutture di aggregazione specialmente giovanile, come le realtà sportive e del tempo libero. Il punto cruciale, con cui iniziare una presa di coscienza su questo argomento, è che, nonostante l ampiezza degli studi di cui è stato fatto oggetto, esso non ha trovato a tutt oggi una risposta esaustiva né sul piano concettuale (in che cosa consiste e come nasce), né su quello degli interventi cosiddetti terapeuticoriabilitativi e neppure su quei livelli di «minimalismo realistico» che sono detti interventi «a bassa soglia». 1 Per praticità userò qui i termini di adolescenza/adolescente come indicativi di questa fascia dello sviluppo (cfr. Appendice).

2 8 TOSSICODIPENDENZA E INTERVENTO EDUCATIVO Le cause dell inadeguatezza della società nel rispondere all ormai lunga emergenza droga e ai danni che essa provoca, nonché della difficoltà e comunque della marginalità sociale in cui vanno lentamente scivolando i progetti di prevenzione, possono essere individuate nella complessità del problema e nella serie assai diversificata di livelli sociali e culturali che esso coinvolge, com è deducibile dal succedersi, non solo in Italia ma nei diversi Paesi del mondo, di interventi legislativi talvolta contrastanti tra di loro. Ci troviamo infatti dinanzi a un fenomeno che implica dimensioni molto diverse, delle quali solo poche sono realmente controllabili: si va da un aspetto legato alla storia personale, alle dinamiche di trasformazione sociale, al ruolo innegabile e preponderante degli interessi economici, da parte sia delle cosiddette industrie criminali della droga, sia di Stati i cui governi manifestano atteggiamenti a dir poco scarsamente convinti e ambigui nei confronti delle misure che le organizzazioni internazionali propongono per far fronte al dilagare del fenomeno. In questa condizione è molto difficile porre affermazioni basate su dati che abbiano consistenza scientifica e che abbraccino, al tempo stesso, la globalità del fenomeno. Gli inquadramenti attuali della tossicodipendenza 1 finestra...trovano nel concetto di craving (bisogno compulsivo e non dilazionabile di assumere una sostanza, solitamente psicoattiva) la parola chiave che differenzia i modelli più correntemente usati per descrivere la tossicodipendenza. Questi modelli possono essere raggruppati in: 1. Modelli non scientifici Possono ridursi al cosiddetto modello morale, ancora ampiamente diffuso nella società, che individua nella tendenza alla ricerca sfrenata del piacere e in una volontà debole o anche in una personalità «portata al vizio» le ragioni della tossicodipendenza. A questa impostazione corrisponde un atteggiamento punitivo che, in definitiva, chiede solo la protezione della società da questo tipo di «rischio», oppure un atteggiamento paternalistico e deresponsabilizzante, che porta comunque a proposte di tipo custodialistico. 2. Modelli scientifici a) Modello «medico» o rigorosamente «clinico»: considera la tossicodipendenza come la risultante dovuta a precise cause di tipo prevalentemen-

3 DROGA: MA IL PROBLEMA DOV È? 9 te personale, siano esse ipotizzate come una predisposizione già a livello genetico che verrebbe poi attivata da un concorso di eventi ambientali, oppure come processi psicologici, generalmente riferiti alle prime fasi o ai primi anni di vita, che determinerebbero le condizioni per cui il soggetto sarà indotto a strutturare in termini di craving la sua risposta ai propri bisogni, fino a sprofondare nella tossicodipendenza. Questo modello prevede che la risposta terapeutica sia prevalentemente in termini di competenze specifiche degli operatori e sia centrata nel lavoro sulla personalità del tossicodipendente. b) Modello psicosociale o «adattivo»: inquadra la tossicodipendenza come l esito finale di un processo di condizionamenti di vario genere, prevalentemente però di tipo psicosociale e culturale, che di fatto limitano e indirizzano al tempo stesso le possibilità di scelta del soggetto, impedendo oppure rendendo indilazionabile una differenziazione dei bisogni e la conseguente rappresentazione mentale delle risposte possibili. Il concorso dei diversi fattori (culturali, economici, psicosociali, personali) darebbe luogo a una situazione in cui la «scelta» della tossicodipendenza diviene altamente probabile. In questo caso, la risposta terapeutica appare molto complessa e si configura, in ultima analisi, come risposta più al problema che alla persona, richiedendo quindi non tanto specifiche competenze, quanto profondi cambiamenti a livello della struttura sociale. Ritengo che, in realtà, tutte queste ipotesi contengano elementi fondati e che l effettiva differenza tra esse consista più nel livello di osservazione (e di conseguente intervento sul fenomeno) che in una loro radicale opposizione o incompatibilità. Tuttavia, se confrontate sul piano operativo, esse si presentano oggi come nettamente distinte sia nel loro proporsi teorico che nelle conseguenze pratiche. Cfr. M. Ravenna, Psicologia delle tossicodipendenze, Bologna, Il Mulino, 1997; B. Silvestrini, Malati di droga, Milano, Sperling & Kupfer, 1995; M. Clerici, Tossicodipendenza e psicopatologia, Milano, Angeli, 1993; inoltre è utile consultare la voce «Droga: aspetti socio-psicologici», in Enciclopedia delle Scienze Sociali, Roma, I.E.I., 1993, vol. III, pp L ampiezza e la molteplice articolazione di inquadramenti teorici, illustrate nella Finestra 1, evidenziano come anche a questo livello sia forse impossibile prevedere delle risposte (che sono comunque parziali) al problema dell uso e della diffusione delle sostanze stupefacenti, e attestano con chiarezza come la complessità del fenomeno sia tale che esso si estende ancor oggi ben oltre i limiti prevedibili.

4 10 TOSSICODIPENDENZA E INTERVENTO EDUCATIVO Attenendosi al solo aspetto psicosociale, nel suo specifico risvolto pedagogico-riabilitativo, ci si trova subito dinanzi a una sorta di barriera che rende faticoso e incerto l esame sulle cause del fenomeno e, conseguentemente, anche la possibilità d ipotizzare risposte adeguate. La difficoltà nasce, infatti, già nel tentativo stesso di «definire» la tossicodipendenza. Poiché i primi studi e i primi interventi operativi al riguardo sono stati ereditati dalla psichiatria, ed essendo la terapia/riabilitazione del soggetto con problemi di tossicodipendenza tuttora pertinente all area socio-sanitaria, si finisce per essere condizionati, sia nella teoria che nella prassi, da concetti e modalità d intervento che privilegiano, quasi astraendolo dal suo contesto, l aspetto clinico e più ancora clinico-biologico del fenomeno (disintossicazione, uso del metadone, collocazione di molti centri per tossicodipendenti nell ambito dell ospedale, ecc.). È invece di quotidiano riscontro per tutti come tale fenomeno, pur avendo risvolti clinici e potendo comportare effetti patologici a diversi livelli da quelli strettamente somatici a quelli psichici sfugga nondimeno a una collocazione tipicamente biomedica, benché sia anche evidente che l approccio psicosociale è insufficiente da solo a costituire un riferimento adeguato, traducibile poi in termini operativi. Lavorando con persone tossicodipendenti si ha spesso la sensazione di trovarsi dinanzi a qualche cosa di conosciuto, di già visto, per cui vi sono studiosi che riconducono la dinamica psichica del tossicodipendente al modello della psicosi, o della perversione, o altro. 2 Benché le dinamiche della personalità del tossicodipendente possano presentare tratti o meglio ancora, allusioni riferibili a dinamiche già note nella pratica clinica e nel lavoro sociosanitario e assistenziale (psicosi o perversioni, ecc.), si tratta in questo caso, a mio parere, di un fenomeno che è originale, al punto che il riportarlo a modelli già conosciuti può trarre facilmente in inganno, inducendo a ipotesi e conseguenti risposte che sul piano terapeutico e riabilitativo sono in realtà inefficaci se non addirittura controproducenti, in quanto rafforzano la dinamica stessa che ha condotto un dato individuo a «scegliere» la via della droga. 3 È pertanto necessario assumere un livello di osservazione e di riflessione differente, mantenendosi consapevoli dell estrema mobilità e provvisorietà delle 2 J.P. Chartier e L. Chartier, Delinquants et psychanalystes, Paris, Hommes & Groupes, Il concetto di perversione in senso psicodinamico indica ogni incapacità a contenere i propri impulsi meno socializzabili da cui derivano condotte definite appunto perverse, che si caratterizzano: (a) per l incapacità del soggetto a trattenersi dal soddisfare i propri impulsi; (b) per la difficoltà del soggetto a valutare la discrepanza e le conseguenze delle proprie azioni rispetto al codice morale vigente, in modo reiterato e talora sadico; (c) per il fatto che mediante questo comportamento il soggetto procura danni e sofferenze a sé e agli altri; (d) per la circostanza che il soggetto è solitamente dotato d intelligenza normale e non presenta disturbi evidenti di tipo nevrotico o psicotico; cfr. G. Jervis, Manuale critico di psichiatria, Milano, Feltrinelli, 1975, voce «Perversione». 3 C. Olivenstein, Il destino del tossicomane, Roma, Borla, 1984, cap. 1.

5 DROGA: MA IL PROBLEMA DOV È? 11 ipotesi e cercando, al tempo stesso, di cogliere gli elementi (o più probabilmente le dinamiche) che presentano una certa costanza. Analizzando i diversi studi, ho osservato che gli autori che si sono occupati del fenomeno della tossicodipendenza dal punto di vista dell intervento terapeuticoriabilitativo e psicopedagogico hanno assunto come punto di riferimento del loro lavoro il concetto di personalità. La maggior parte delle ricerche sistematiche sulla tossicodipendenza conclude infatti che essa è fondamentalmente un problema di struttura della personalità ed è, in modo ancora più peculiare, riferibile alle prime fasi della vita. 4 Va tenuto presente, inoltre, che gli studiosi per lo più convergono nell attribuire un peso specifico notevole alle determinanti culturali e sociali della droga e, al tempo stesso, a un insufficiente capacità della famiglia e più in generale delle agenzie di socializzazione nell assumere una funzione «tutoria» nei confronti del soggetto che presenti determinate problematiche di personalità. Quest ultimo concetto descrive la sintesi vitale che avviene a livello di elaborazione cognitiva ed emotiva e più specificamente di vissuto nei confronti delle sollecitazioni derivanti sia dai modelli socioculturali riguardo alla droga che dalle insufficienze della famiglia (come di altre istituzioni) nella formazione della personalità. Lo assumo, quindi, quale area che definisce l ottica da me scelta come una delle più rispondenti a una prospettiva di intervento psicopedagogico-dinamico. Ritengo, cioè, che proprio su questo piano si collochi il problema focale di un intervento psicopedagogico-dinamico, 5 inteso come attività complessa che deve mettere l individuo in grado di scegliere soluzioni vitali alternative all uso della droga, vissuto come risposta totalizzante di fronte alle sollecitazioni della realtà, sia interna che sociale. Su queste basi ho scelto di proporre una lettura del fenomeno «droga» come problema di personalità, premettendo alcune considerazioni sul concetto di personalità, che ne costituisce appunto la chiave Sul concetto di personalità Nella nostra cultura, benché sul piano teorico esplicito tutti concordino che la persona umana è una realtà integrale che non può essere suddivisa in psiche e corpo, di fatto si continua però a ragionare in modo dualistico, per cui la nozione 4 C. Olivenstein, Il non detto delle emozioni, Roma, Feltrinelli, 1990; J. Bergeret, M. Fain e M. Bandelier, Lo psicoanalista in ascolto del tossicomane, Roma, Borla, L. Pinkus, La psicoterapia. In M. Grasso, G.P. Lombardo e L. Pinkus, Psicologia clinica, Roma, NIS, 1988, cfr. pp. 129 e segg. 6 Per una riflessione più sistematica sulla personalità cfr. L. Pinkus, Senza radici? Identità e processi di trasformazione nell era tecnologica, Roma, Borla, 1998.

6 12 TOSSICODIPENDENZA E INTERVENTO EDUCATIVO di personalità non ha ancora acquistato la dimensione di uno strumento di comprensione operativa dei fenomeni, incluso quello della tossicodipendenza. 7 È immediata e quasi intuitiva in noi la consapevolezza di una nostra, pur relativa, continuità nel tempo e nello spazio, che soggiace a una determinata percezione dei nostri stati fisiologici e delle loro alterazioni, come pure dei nostri rapporti interpersonali, con le loro caratterizzazioni di ruolo e di status: tutto questo, però, difficilmente viene teorizzato in modo chiaro e operativo, idoneo cioè a essere usato nel programmare gli interventi sulla tossicodipendenza. La complessità dei livelli implicati dal concetto di personalità trascende il sapere di singole discipline ed è chiaro, quindi, che solo un approccio interdisciplinare potrà garantirne, in qualche misura, la comprensione. Il termine personalità, nonostante una vasta convergenza sul suo significato intuitivo, non è ancora così univoco come sarebbe desiderabile. Con esso infatti si vorrebbe esprimere l insieme dei modi con cui l individuo umano reagisce, vive e si comporta nelle varie situazioni e nei vari momenti della sua vita. Conseguentemente, proprio per la difficoltà di cogliere in modo oggettivo e costante questi elementi, soprattutto tenuto conto delle continue interazioni con i contesti socioculturali e con le variabili biologiche (età, salute, ecc.), al momento attuale lo sforzo degli studiosi si è concentrato sulla costruzione di modelli di personalità, cioè di descrizioni fondate su differenti ipotesi dei processi e delle leggi che regolerebbero o che comunque sembrano sufficientemente costanti nelle dinamiche della personalità, al punto di costituire una ragionevole base di generalizzazione e quindi di previsione dei suoi comportamenti. 8 Ritengo che la definizione proposta da Allport possa servire da punto di partenza e di riferimento comune: «La personalità è l organizzazione dinamica all interno dell individuo di quei sistemi psicofisici che determinano il suo adattamento all ambiente». 9 Ritengo necessario precisare, inoltre, il significato dei termini carattere e temperamento, in quanto essi vengono frequentemente usati nel linguaggio corrente come sinonimi, sia fra di loro che con il concetto di personalità. Con carattere ci si riferisce a una configurazione permanente dell individuo, quella cioè che gli è abitualmente associata e che risulta dalle integrazioni intrapersonali e interpersonali delle esperienze che via via compie nel corso della sua esistenza. In questo concetto si sogliono includere prevalentemente gli aspetti più specificamente volontari e quindi collegati ai livelli di maggior consapevolezza, come pure i valori e gli obiettivi etici che l individuo sceglie e con cui si confronta e che sono in rapporto col suo 7 L. Pinkus, Psicosomatica, Roma, NIS, 1989, p. 118; pp S.J. Korchin, Psicologia clinica moderna, Roma, Borla, 1977, vol. I. 9 G. Allport, Psicologia della personalità, Zurigo, PAS Vlg., 1969.

7 DROGA: MA IL PROBLEMA DOV È? 13 status sociale, col suo ruolo e con il sistema culturale di appartenenza. Si può anche aggiungere che, in questa accezione, il carattere è quell aspetto della personalità che ne permette, in certa misura, la prevedibilità e sul quale in gran parte si fondano i nostri rapporti interpersonali e le valutazioni che li precedono o li accompagnano. Il concetto di temperamento, invece, si riferisce piuttosto alla sfera emotiva innata ed ereditaria di un individuo ed è più direttamente in rapporto con le sue qualità biofisiche: esso appare collegato più ad aspetti «istintuali», cioè più connessi alle basi biologiche del comportamento e, comunque, meno dipendenti dai livelli di coscienza e dal dato socioculturale. Gli elementi fin qui presentati consentono di comprendere come il modello più adeguato e anche duttile per descrivere la personalità sia quello di sistema, derivato dall applicazione della teoria generale dei sistemi all ambito della psicologia. 10 In quest ottica, è possibile considerare la «costruzione» della personalità nei suoi elementi distinti eppure interagenti fra loro. L essere umano nasce con una base istintivo-ereditaria piuttosto limitata, che viene modificata e arricchita dalle informazioni che provengono sia da fonti esterne (la madre, l ambiente familiare, i vari gruppi della scuola e dell ambiente di lavoro, gli stimoli culturali e il livello socioeconomico) che da fonti interne (sensazioni dolorifiche, di piacere, di appagamento, ecc.). In questo modo egli acquista gradualmente quella parte di cultura e anche di conoscenza di sé (schema corporeo e, successivamente, immagine dell Io) che gli consentiranno in primo luogo la sopravvivenza e poi l adattamento alle condizioni concrete e al modo di vivere tipico del gruppo e della società dove si è trovato a nascere. Questo processo però è bene sottolinearlo non avviene «in vitro», bensì all interno di un campo di forze interagenti che è rappresentato dalle varie situazioni e condizioni sia biologiche che culturali, personali, economiche, ecc. che il soggetto incontra e deve affrontare. 11 Si può quindi descrivere la personalità come un sistema aperto, risultante dall insieme dei processi che consentono all individuo umano d interiorizzare e integrare in modo omeostatico le informazioni provenienti dall ambiente, coerentemente alla sua specificità e singolarità psicobiologica. 10 La teoria generale dei sistemi in psicologia, partendo dall assunto che tutto è comunicazione, afferma che la comunicazione è regolata da alcuni principi fondamentali, tra cui quello della globalità, per cui la modifica di un elemento del sistema modifica tutto il sistema. Il principio poi della retroazione, superando il concetto «classico» di causalità lineare, introduce il principio della circolarità, in base al quale ogni elemento del sistema influenza ed è influenzato da tutti gli altri elementi che costituiscono l insieme del sistema; cfr. G. Guerra, Mente e scienze della vita, Roma, NIS, C.T. Altan, Modelli concettuali per un discorso interdisciplinare tra psichiatria e scienze sociali, «Psicoterapia e Scienze Umane», n. 1, gennaio/marzo 1975, pp

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