Appunti di Archeologia. Sardegna nuragica 1

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2 Appunti di Archeologia Sardegna nuragica 1

3 Collana Appunti di Archeologia Giovanni Lilliu Giovanni Lilliu SARDEGNA NURAGICA Cura editoriale Paola Sotgiu Sardegna nuragica Guida ai siti a cura di Giulio Concu Glossario a cura della redazione Il Maestrale Progetto grafico e impaginazione Nino Mele Imago multimedia 2006, Edizioni Il Maestrale Redazione: via Monsignor Melas Nuoro Telefono e Fax redazione@edizionimaestrale.com Internet: ISBN La casa editrice esperite le pratiche per acquisire tutti i diritti relativi al corredo iconografico della presente opera, rimane a disposizione di quanti avessero comunque a vantare ragioni in proposito. Il Maestrale

4 Nuraghe Losa, Abbasanta SARDEGNA NURAGICA

5 STORIA DELLE SCOPERTE E DEGLI STUDI Tomba di Giganti Sedda e Sa Caudeba, Villanovaforru Alla metà del secolo XVI Sigismondo Arquer, in Sardiniae brevis historia et descriptio, tabula chorographica insulae ac metropolis illustrata (Cosmographia Universalis di S. Münster), tra le curiosità della Sardegna, descrive, per primi, i nuraghi. Antichissime rovine egli dice costruite a somiglianza di torri rotonde, ristrette in alto, fatte di grossissimi sassi, presentano porte strettissime e, dentro lo spessore del muro, scale che portano alla sommità. Le rovine che gli abitanti dell isola chiamano nuraghos, a forma di fortezza sono forse resti delle opere di Norax, il dux venuto in Sardegna con gli Iberi-Hispani, fondatori della città di Nora. Dopo questo scritto e sino alle soglie dell 800, gli autori che si sono occupati delle antichità sarde hanno avuto interesse soltanto per il nuraghe. Nella concezione metastorica che avevano del più remoto passato (del periodo congetturale, si diceva allora), essi si incuriosivano per il monumento a se stante, vistoso nella sua architettura. Nessuna idea del contorno ambientale e culturale in cui la forma fisica era nata e si era specchiata, costituendo l elemento di maggiore attrazione e significato. Le domande alle quali si tenta di dare risposta sono quelle sul popolo (o popoli) che avrebbe fatto erigere tanti e così singolari edifici e sul tempo della loro costruzione, nonché sulla loro destinazione. Secondo le inclinazioni delle varie epoche, gli autori ne hanno dette delle belle. Nel secolo XVII, come artefici di nuraghi sono chiamati in causa i grandi demiurghi nazionali sardi (oltre Norax, Iolaos e il suo architetto Dedalo); ma anche i Titani- Etiopi (entra in ballo l elemento favoloso dei popoli-giganti). Nel secolo XVIII, la influenza della letteratura biblica porta a fantasticare di genti antidiluviane; taluno, però, scende terra terra vedendo l intervento di Greco- Sardi o di vari popoli locali foederati ac socii. Da ultimo spunta la feniceria, di gran moda nel dibattito ottocentesco sui nuraghi e altre cose della cosiddetta antistoria. Sardegna nuragica _ 7

6 Quanto all età delle torri, si brancola nel buio. Per i più, tempi antichissimi e mitici, quelli degli eroi, dei giganti, dei paladini, degli orchi, e anche del diluvio. Il gesuita Matteo Madao (secolo XVIII) azzarda una data: il 1227 a.c.; ci azzecca per un periodo dello sviluppo dei nuraghi. Ribassista Stanislao Stefanini (stesso secolo), che scende al tempo delle guerre tra i Sardi e gli eserciti punico e romano. Opinioni tra le più disparate sulla destinazione del monumento: fortezza, sepolcro (mausoleo, trofeo, casa d abitazione, silos. A formare questa girandola di pareri, per lo più di gusto retorico e letterario (non passa la minima idea sul contenuto della costruzione in cultura materiale), contribuisce anche la pretesa di dare soluzione etimologica al nome di nuraghe. E qui si assiste alla più accesa e fantasiosa, quanto inutile, gara di proposte: nuraghe dall eroe Norax e da Nora, o dal greco noeros (memorialis) e necraces-necros (defunctum), o dal fenicio nura=fuoco. Un gioco etimologico da eruditi di provincia, che nulla sanno e capiscono di archeologia professa e militante. Il tentativo che si fa di trovare le ragioni esplicative del monumento anche nel confronto con forme architettoniche esterne alla Sardegna finisce nel generico, perché è assolutamente superficiale la conoscenza che se ne ha. Obelischi, tholoi, l etrusca Grotta (o Tanella) di Pitagora, sono portati a riscontro, senza un qualche giusto nesso formale e storico. Su questo sfondo conoscitivo, di tono classicheggiante, barocco, ma soprattutto mitico creatosi intorno ai nuraghi dal secolo XVI al XVIII, l 800 introduce un modo positivo di guardare al fenomeno nuragico. Si avverte cioè la presenza dell occhio archeologico, anche se restano non poche incrostazioni, alimentate dal clima romantico dell epoca, del passato favoleggiare. Al movimento contribuisce l ingresso della cultura laica, sebbene continui l apporto, una volta esclusivo, di uomini di chiesa di spiccata intelligenza (Vittorio Angius e Giovanni Spano). L interesse è altresì ravvivato dal contributo dei viaggiatori stranieri che giungono alla ricerca delle meraviglie dell isola dimenticata. Essi svelano ai locali il megalitismo atlantico e mediterraneo, recano il messaggio pelasgico presunto nel ciclopismo di Micene e italo-etrusco, né si fanno scrupolo di stabilire approcci tra il colossale nuragico e la monumentalità di piramidi, ziqqurath, Su Nuraxi, Barumini 8 _ Sardegna nuragica

7 Tomba dei Giganti di Madau, Fonni teocalli, tumuli anatolici, topes dell Afghanistan, torri del fuoco dell India e chi più ne ha più ne metta. Accostamenti epidermici è vero, pure impressioni talvolta nello stile del viaggiatore, ma tali da spingere l interesse ad allargare positivamente la comprensione del sino ad allora isolato patrimonio monumentale sardo più remoto. Già all inizio del secolo ci si accorge che quest ultimo non è fatto soltanto di nuraghi. Il padre agostiniano Gelasio Floris, per primo, additò la presenza di pietre fitte (menhirs in lingua bretone). Più tardi, a comporre la complessa tematica nuragica, vennero la scoperta di tombe di Giganti, di pozzi (per i quali si favoleggiò di carceri e altre amenità), e l individuazione della piccola plastica in bronzo (nella materia venne purtroppo anche l inganno di centinaia di falsi orripilanti, che fecero mostra privilegiata di sé nel Museo Archeologico e Scienze naturali di Cagliari, sorto nel 1802 e vi restarono sino a quando non li cacciò via Ettore Pais alla fine del secolo). Fu Alberto della Marmora, che alla passione ornitologica e di geologo e all attenzione per la storia e le tradizioni dell isola associava l interesse per le sue antichità a svestire i monumenti nuragici e il nuraghe più di tutti dei veli (o per meglio dire degli spessi e impenetrabili panni) del mito. Visitandone una quantità, disegnandoli, descrivendoli, mettendoli sulla carta topografica, egli dimostrò che le antichissime torri sarde non erano castelli in aria, sperduti in una sorta di deserto dei 10 _ Sardegna nuragica Sardegna nuragica _ 11

8 Nuraghe S. Antine, Torralba Tartari, ma fabbriche legate a precisi territori e a forme di vita con cui facevano tutt uno. Dimostrò anche (ma già l aveva scritto V. Angius, proponendone una classificazione) che la costruzione non era rimasta eternamente un isolato volume a secchio di sabbia rovesciato, ma aveva maturato col tempo, aggregando torri minori alla maggiore delle origini, una complessa storia architettonica e civile. A entrare nella trama di questa storia, compatta e arruffata, provò G. Spano, con l aiuto dello scavo (anche di quello stratigrafico, che mira a leggere le sequenze delle culture e dei tempi) e dei materiali restituiti all interno e all esterno dei nuraghi e di altri edifici megalitici. Sull onda del Congresso internazionale di paleontologia celebratosi nel 1871 a Bologna, un congresso festoso, dove tirava l aria nuova dell unità nazionale (accolse i congressisti la banda cittadina), egli propose tre età o strati della presenza dell uomo in Sardegna nel periodo preistorico, pur restando ancora alla idea biblica delle prime stirpi nel quadro d una storia umana monogenetica e all apporto caldeo-cananeo. Il che stava bene con tutta la cornice orientale, e fenicia particolarmente, nella quale il secolo XIX collocò il dipinto, per la verità assai monotono, dell antistoria della Sardegna. Così forte era, allora, l ideologia fenicia, che Alberto della Marmora, pur essendo uomo di stampo positivista, si lasciò andare al sogno d un impero cananeo esteso dall Asia alla Scozia (al che altri rispondeva col disegno fantastico di una comunità pelasgica diffusa dalla Bitinia alla Celtiberia). Con la tripartizione in Età della Pietra, del Bronzo e del Ferro, caratterizzata da diversi elementi di cultura materiale, G. Spano saldava la preistoria sarda a quella europea, sprovincializzava lo studio delle testimonianze dell epoca cosiddetta congetturale la quale ora non lo era più a causa delle nuove acquisizioni metodologiche e scientifiche, per quanto limitate esse fossero. In particolare, riguardo ai nuraghi, che il canonico di Ploaghe riteneva abitazioni (altri suggerivano ipotesi alternative di tempio, sepolcro e fortezza), l immagine mitologica cade definitivamente. Inserite e legate al territorio che si tenta di delimitare, Sardegna nuragica _ 13

9 espresse dalla struttura economica di un paesaggio fortemente antropizzato, le grandi torri, con i prossimi villaggi, sono opera dice Spano di uomini non barbari o selvatici, ma inciviliti e agricoli. Col tramonto del secolo cede anche il mito più resistente, l ideologia fenicia, l etnico cananeo. Lo rimuove Ettore Pais, che cerca di comporre archeologia nuragica e storia, fondandosi sulla tradizione letteraria che la schiarisce, sebbene a intermittenza. Egli dà il merito dell origine e dello sviluppo della protostoria isolana ai veri protagonisti, ossia ai sardi indigeni, ritenuti di estrazione occidentale, di matrice etnica e linguistica libioibero-ligure (ciò che è giusto, ma solo in parte). Nella perenne dialettica della storia antica mediterranea di Oriente e Occidente, l Occidente viene recuperato ed enfatizzato, rovesciando l ideologia. Ma il risultato più importante dello studio del grande storico romano resta l identificazione di una civiltà locale, con un marchio specifico, molto singolare. Di questa civiltà egli non legge ancora le singole vicende, per quanto tenti di individuare due fasi inseguendo un certo progresso nella metallurgia. La fase più antica, originale, la suggerirebbero i bronzi non figurati; della più recente, tributaria del mercato fenicio-punico, sarebbero segno statuette e navicelle in bronzo, oggetti di ferro, paste vitree e ambra. L ombra dei Fenici, che il Pais aveva rimosso dai nuraghi, si fa nuovamente corpo come decisa ed esclusiva influenza sulla produzione materiale dei Protosardi. Come si vede, il terreno è preparato, sotto il duplice segno dell archeologia e della storia, per il grande sviluppo che la nuragologia (intesa nella globalità dei suoi contenuti) ha avuto e ha in questo secolo. Esso comincia felicemente con un volume di sintesi di Giovanni Pinza (Monumenti primitivi della Sardegna). Anche per il Pinza la civiltà nuragica si produce lungo le Età del Bronzo e del Ferro. Egli studia le classi dei monumenti, i materiali, affronta i problemi cronologici, che rimangono però fondamentalmente irrisolti. Insomma, una visione d insieme della protostoria della Sardegna che, per quel momento, non poteva essere migliore. Il capitolo sui nuraghi è abbastanza elaborato; più in profondità va l esame sui prodotti metallurgici, nei quali è riconosciuta una corrispondenza di tipologia manifatturiera e di formule stilistiche con la produzione etrusca cosiddetta di arte orientale. Interno del Pozzo sacro di S. Cristina, Paulilatino 14 _ Sardegna nuragica

10 Betili da Tamuli, Macomer Il Pinza individua nella Sardegna dei nuraghi una certa indipendenza culturale, una identità regionale, e anche un luogo di conservazione nella mobilità mediterranea, una sorta di scrigno di fenomeni prototipici duri ad aprirsi alle novità e al progresso. Immagine monolitica, chiusa a riccio, della civiltà nuragica. Alla concezione di un processo nuragico senza scosse, basato sulla forza della tradizione di un continuum, resta fedele anche Antonio Taramelli, il maggiore archeologo sardo della prima metà di questo secolo. L antropologia, come la fisionomia etnica e monumentale, è figlia della terra e dell ambiente, egli scrive con accento deterministico. La civiltà sarda antica gli appare un qualcosa senza precedenti, conclusa in se stessa e nei suoi principi, radicata sulla propria identità quasi immutabile. Una sorta di misticismo etnico ed etico del popolo nuragico, un senso di indivisione di tempo-spazio dello stesso. Isolamento, autoctonia, per cui scrive ancora Taramelli fu assai minore la somma di realtà e di affetti utili che la gente sarda poté gettare nel mondo. A parte questa ottica limitante, la stagione taramelliana (trent anni dal 1903 al 1933) fu fervidissima di opere. Scavi di villaggi, dei più grandi nuraghi, di tombe megalitiche, di santuari e di pozzi sacri. E poi nutrite ricerche da campo, la carta archeologica e poi ancora una quantità di pubblicazioni scientifiche e di divulgazione. Infine, la realizzazione dei nuovi musei archeologici nazionali di Cagliari e Sassari. Dall insieme appare un disegno di attività articolata e diffusa nel territorio, mirata a risolvere problemi dell archeologia nuragica. Non solo: indirizzata anche, nel possibile, a esplicare le opere e i giorni di un piccolo mondo antico che per i più era ancora una sfinge. Premeva altresì di svelare i risvolti intricati d una civiltà straordinaria che sembrava non avere avuto proiezioni all esterno, mentre dopo la ricerca risulterà che ce n erano state, e non poche. Le esplorazioni topografiche mettevano in evidenza un assetto d urbanismo per distretti, con villaggi diffusi nel territorio il cui centro direzionale di vita e di lavoro era il nuraghe nelle forme più complesse, ritenuto un vero e proprio fortilizio-reggia (Palmavera-Alghero, Santu Antine-Torralba, Losa-Abbasanta, Lugherras-Paulilàtino: nuraghi scavati, tutti, dal Taramelli). Apporto nuovissimo ed eccezionale fu quello della ricerca nei santuari (Abini-Teti, Santa Vittoria-Serri) e nei templi a pozzo, sicché si poterono chiarire vari aspetti dell architettura sacra e della religione nuragica, fondata prevalentemente sul culto delle acque. Il rinvenimento di ricchi ripostigli di bronzi d uso (Monti Idda- Decimoputzu) e figurati (Santa Vittoria) consentì di studiare tecniche fusorie, classificare forme e individuare stili di una produzione di grande rilievo per affermare la presenza di un florido artigianato locale e, nello stesso tempo, il collegamento con centri metallurgici di altre regioni mediterranee (Etruria, Cipro, Creta, ecc.) e atlantiche. Dunque strutture nuragiche aperte, comunicanti. Una visione in contrasto con quella che il Taramelli offre in generale della civiltà protosarda. Sardegna nuragica _ 17

11 Ricostruzione di capanna circolare L interesse puntuale sulle antichità nuragiche, proposte a studiosi di tutta Europa, cadde in occasione del Convegno archeologico internazionale, tenutosi a Cagliari nel Il Convegno, voluto dal Taramelli, aprì e accreditò l archeologia sarda a un vasto pubblico e fece conoscere, nello stesso tempo, un immagine distinta e gratificante della Sardegna in un periodo oscuro della sua storia recente. Le speranze e il fervore di rinnovamento dell ultimo dopoguerra hanno destato un forte slancio di iniziative nel dominio della nuragologia. Da una parte la mostra dei bronzetti, esposti nell agosto del 1949 a Venezia a un pubblico internazionale che li accolse con favore (seguirono altre mostre in diverse città europee), confermò il valore dell antica arte sarda, e stimolò ad approfondirne il segreto, tenendo conto della fortuna del segno col quale le figurine erano state presentate nel catalogo: il segno, appunto, dell anticlassico o del barbarico. Dall altra parte, nel 51, durando i lavori sino al 55, veniva dissepolto il grande nuraghe Su Nuraxi, a Barùmini. Uno scavo fondamentale, perché dentro il fortilizio e nel contiguo villaggio di capanne si presentò una stratigrafia architettonica e culturale esemplare. Spiccava la sequenza di livelli, nei quali si potevano leggere e ricostruire le vicende di vita e di lavoro d una comunità nuragica dalla metà del II millennio alla fine del VI secolo a.c. Così si dissolveva l idea del monolitismo, della compattezza e del continuum unilineare della civiltà dei nuraghi, cara agli studiosi del passato. Gli altri grandi scavi di fortilizi-regge, che oggi si stanno praticando a Genna Maria-Villanovaforru e a Piscu-Suelli, confermano e precisano la storia nuragica di Barùmini. Non minore è l attenzione per gli abitati. In quelli di Palmavera-Alghero, S Urbale-Teti, Bruncu Màdugui-Gésturi, Seruci-Gonnesa, le divisioni del terreno archeologico mostrano l aspetto materiale e non soltanto materiale del vissuto nel declinare del II millennio a.c.; ma si colgono anche esiti successivi. Situazione analoga nell arce di Antigori-Sàrroch, dove uno scavo ha messo in luce apporti di ceramiche micenee insieme a prodotti locali. Anche il tema delle architetture sepolcrali, precipuamente nella forma della tomba di Giganti, è stato approfondito, chiarendone l evoluzione: dal tipo più antico, con la stele arcuata, a quello di struttura nuragica, alla varietà più recente con fregio a dentelli (in tutto circa 800 anni di svolgimento). Ampliato il quadro e analizzati più nell intimo sono gli aspetti della religione, con l aggiunta di scoperte di altri santuari (S. Cristina-Paulilàtino) e di templi a pozzo tra i quali eccellono, per architettura e suppellettile, quelli di S. Cristina e di Su Tempiesu- Orune. Ma presentano elementi di interesse struttivo pure i semplici pozzi di Sa Testa-Olbia, Cuccuru Arrìus-Cabras e Tatinu-Nuxis. Il progresso negli studi è segnato dalla pubblicazione di singoli monumenti o di generi monumentali (nuraghi, templi, tombe), artistici (statuette) e usuali (prodotti metallurgici). Ma sono i lavori di sintesi sulla civiltà nuragica che oggi ne consentono una conoscenza nel complesso, dilatata all esterno. Ora non si può dire più, come una volta, che la preistoria sarda è un mondo bello, straordinario, il quale però non esce dal proprio guscio per confrontarsi. Diverse mostre l hanno portata nella penisola e all esterno ed è quasi d obbligo affrontarne i problemi in congressi, seminari e altre manifestazioni scientifiche che si rivolgono ad aspetti protosto- 18 _ Sardegna nuragica Sardegna nuragica _ 19

12 rici e storici di culture mediterranee ed europee. La nuragologia si avvicina pian piano ai fasti dell etruscologia. Insomma la civiltà nuragica non è più fuori del mondo, circola (e di più dovrebbe circolare) per largo spazio nella conoscenza degli studiosi e nel dominio del pubblico colto. A ciò è valso e vale un insieme di fattori favorevoli: c è la puntuale attenzione sugli studi nuragici delle università sarde nelle quali esiste l insegnamento delle antichità sarde, perfezionato nella Scuola di specializzazione in studi sardi; c è pure una migliore organizzazione culturale (oltre che di tutela) nelle soprintendenze; sono cresciuti numericamente e in qualità gli archeologi. La presenza di riviste specializzate che trattano anche la nuragologia («Studi sardi», «Nuovo bullettino archeologico sardo», «Quaderni» della Soprintendenza di Sassari), la divulgazione a livello di associazioni e di scuola, l esistenza di musei pure in piccoli centri hanno accresciuto l interesse e la sensibilità del pubblico. Oggi la conoscenza della civiltà nuragica interviene altresì come fatto di memorie, di storia sarda, utile per figurare e rafforzare l identità politica e morale dell isola. Su Nuraxi, Barumini 20 _ Sardegna nuragica

13 SEQUENZA E CRONOLOGIA DELLA CIVILTÀ NURAGICA Fronte Mola - Thiesi Corongiu e Maria - Nurri Molineddu - Oristano Friarosu - Mogorella S. Sabina - Silanus Palmavera - Alghero Caduta l idea del blocco e la mitologia cronologica, il mondo dei nuraghi, secondo gli studi attuali, si presenta come un insieme diversificato, dinamico, articolato nello spazio e nel tempo, con una vicenda storica lunga e peculiare, peraltro non astratta dalle cose esterne. Vi si riconoscono, per singoli periodi, caratteri e modi di pensare e di vivere differenti, dovuti a contributi personali delle comunità, a inclinazioni e a comportamenti d epoca, anche a contatti o apporti etnici di fuori. Mille e trecento anni di storia nuragica (dal 1800 al 500 a.c., senza contare gli strascichi) recano in se stessi dimensioni tali da moltiplicare eventi e rivolgimenti, rispecchiati, d altra parte, dalle forme visibili giunte sino a noi (monumenti e avanzi di cultura materiale). Appunto individuando lo stile diverso dei monumenti e il variare dei materiali ( spie di cangianti modi di produzione degli uomini di allora), sono state identificate e proposte cinque fasi attraverso le quali è passato lo svolgimento, sempre progressivo, della civiltà dei Protosardi. Gli stessi dati archeologici e quelli provenienti dalla misurazione di radioattività di sostanze organiche rinvenute negli scavi (prova del carbonio 14) offrono il supporto per definire, con una certa approssimazione al vero, i limiti cronologici di ciascuna fase. Ecco le cinque tappe nuragiche, con il riferimento alle tradizionali età della preistoria, e i termini di tempo: fase I: a.c. (Bronzo antico); fase II: a.c. (Bronzo medio); fase III: a.c. (Bronzo recente e finale); fase IV: a.c. (Ferro antico); fase V: a.c. (Ferro recente). I 600 anni delle fasi I-II vedono lo sviluppo della cultura cosiddetta di Bonnànaro e il suo passaggio alla facies Subbonnànaro. Nei 300 della fase III fiorisce la bella età dei nuraghi. La stagione delle aristocrazie occupa i quattro secoli della fase IV. Infine, la fase V corrisponde a tempi nuragici di pura sopravvivenza e di resistenza conservativa nelle zone interne e libere, mentre in quelle conquistate dall imperialismo cartaginese la civiltà nuragica appare completamente deculturata. 22 Sardegna Nuragica Sardegna nuragica _ 23

14 URBANISMO ED EDILIZIA Nuraghe Palmavera, Alghero Quello che si vede, qui, discende direttamente dalla preistoria, ha scritto Manlio Brigaglia riferendosi al paesaggio agrario sardo, un paesaggio archeologico. Un blocco nel quale orizzontalmente si sono integrati tutti i successivi assetti storici e che dimostra di essersi saputo adattare alle varie realtà ambientali ed economiche del tempo nuragico e prenuragico. Circa settemila nuraghi e centinaia di villaggi e di tombe megalitiche di età nuragica rappresentano da un lato memorie importanti e significative di epoche che furono, dall altro segnano all antica, nel contemporaneo, i vasti e silenti spazi sui quali insistono da millenni. Compongono un paesaggio alla grande, sia perché è grande, nei volumi e nelle pietre che li formano, la misura delle costruzioni (megalitismo), sia perché la maglia urbanistica si diffonde in grandi campi, disegnando un insieme coerente tra artificio e natura: grandi monumenti di pietra in un isola di pietra. La irregolare costellazione che trapunta, soprattutto di torri, l intero territorio dell isola si cominciò a formare nel Bronzo antico. Ma fu nel Bronzo medio, con l intensificarsi dei nuraghi monotorri, e nel Bronzo recente, quando dai castelli-regge partirono impulsi organizzativi, che essa si andò dilatando sino a definirsi in un assetto e arredo urbanistico appagante i bisogni essenziali della vita. Fondamento economico-sociale ne era il ruralismo e quella del villaggio la cultura. Gli studi non sono giunti al punto da riconoscere precisi disegni del territorio, nella partizione economica dei suoli e nei suoi limiti. Né è possibile, al momento, indicare uno o più sistemi agrari, i quali, comunque, dovettero essere di livello non superiore a quello voluto da una società essenzialmente di pastori e contadini, a seconda della vocazione naturale dei luoghi di residenza. È però certo (e ciò si desume dalla disseminazione dei nuraghi ai quali tanto spesso sono associati nuclei di abitazione) che l uomo era legato alla terra, in modo da farla fruttare al meglio. Sardegna nuragica _ 25

15 Purtroppo la ricerca non è così avanzata da suggerire dove il lavoro fosse libero (quando indirizzato al sostentamento di piccole comunità?) o servile (quando imposto dal profitto di classe dei principi dimoranti nelle regge-castelli, risultato della fatica di folta manodopera dipendente?). È stato fatto un calcolo teorico dello spazio di terreno coltivabile e di pascolo costituente il patrimonio rurale di un villaggio plurinucleare nuragico della zona pastorale. Sette nuraghi, con relativo nucleo abitativo, del comune di Mamoiada (Nuoro), occupano insieme un area di circa 270 ettari. Ciascun nucleo aveva a disposizione 38 ettari di terra per circa 35 abitanti. Ciascun gruppo familiare (di 10 persone) fruiva di poco più di tre ettari per gli usi regolati dalla comunità. Nello stesso territorio di Mamoiada, un vasto tratto di campagna privo di abitazione umana sarebbe stato il salto di godimento collettivo dei pascoli. Nient altro che una supposizione stimolante per una ricerca di economia agraria e di demografia nuragica. Sempre in via di ipotesi, calcolando 30/35 unità presso ogni nuraghe e moltiplicando la cifra per settemila nuraghi che si conoscono tra conservati e distrutti in tutta la Sardegna, questa avrebbe avuto, nel periodo di maggior fiore della civiltà nuragica, 210/ abitanti, più o meno quanti l isola ne contava alla fine del secolo XV d.c., in seguito al grave depauperamento demografico dovuto alla guerra sardo-catalana. I tasselli dell assetto urbanistico-economico del territorio si componevano all interno dell ordine politico e, per così dire, di governo che è stato riconosciuto dai più nel sistema cantonale. Tanti piccoli reamistato, con a capo sovrani nel Bronzo recente e finale e signori d estrazione gentilizia (àristoi) nella prima età del Ferro. Ciò escluse il formarsi di un unità regionale e tanto meno nazionale e, per contro, accentuò la divisione, cui contribuì pure la geografia dell isola dalla natura frantumata. Questa segmentazione territoriale e politica, realizzata in organismi plurimi tanto spesso in conflitto tra di loro, sarà costante in Sardegna in tutti i periodi, tranne quelli in cui potenze imperialistiche (punica, romana, iberica) la ricomposero in forzata unità. La presenza nel territorio, di tanto in tanto e in punti di valore strategico ed economico, di nuraghi-castelli sorta di capitali dove risiedevano i majores (un termine medievale sardo che calza), conferma specularmente la struttura descritta. Nuraghe Losa, Abbasanta 26 _ Sardegna nuragica

16 Tempio a megaron a Serra Orrios, Dorgali Il nuraghe-castello si ergeva, più da vicino, ma separato da muraglia per tutelare la privacy del principe e della famiglia e, nello stesso tempo, segnare il potere ai sudditi, in prossimità quando non in contiguità del borgo. I palazzi-fortilizi di Palmavera-Alghero, Losa-Abbasanta, Su Nuraxi-Barùmini, Genna Maria-Villanovaforru, Seruci-Gonnesa e altri sono esemplari al riguardo. Spirano un aria di Medioevo in anticipo di duemila anni. Preparato nel Bronzo medio, il tipo del borgo nuragico si perfeziona nella fase III ( a.c.), quando trova, oltre quello del nuraghe, il complemento del tempio (uno e anche due) e/o dei sepolcri megalitici nella forma della tomba di Giganti. Un assetto complesso, tendente all ordine, quasi urbano se non lo precludesse la funzione dell insieme mirato e stretto al rurale, e di ruralità improntato anche nella rozzezza e nella grossolanità delle strutture compositive. L ordito è piuttosto arruffato e affastellato, senza vie né spiazzi, a elementi domestici staccati tra di loro che danno l idea di minuscoli vicinati. Un aggregazione fisica fuori dell ordine classico, differente anche dall immagine dei centri abitati mediterranei, tortuosi, con scale e vicoli, con case fatte a scatola addossate le une alle altre e con distacco fra quartieri di abitazione e sedi principesche. Intrico d insieme abitativo, ma limpidezza nella singola casa di abitazione. La dimora, dal perimetro circolare, ha per fulcro l ampio cortile scoperto, e talvolta tramezzato (Bruncu Màdugui), al quale convergono a raggiera i vani protetti da tetto di legno e frasche, al modo delle attuali capanne dei pastori, le pinnettas (o pinnettus), costituenti prezioso patrimonio etnografico. Nel cortile talvolta c è il pozzo (Serra Órrios) e nel vano della cucina si disegna il focolare di forma rettangolare, come sa forredda dell antica casa sarda rimasta sino a tempi recenti (Bruncu Màdugui) o rotondo, col pavimento di argilla che si è cotta per l azione del fuoco (S Urbale- Teti). Altri vani, aventi sedili in pietra alla base della parete, si possono individuare come soggiorno e quelli provvisti di uno o più nicchioni a muro (Su Nuraxi-Barùmini, Bruncu Màdugui, Seruci-Gonnesa) saranno stati stanze da letto, dove il letto era costituito da semplice giaciglio di pelli o strame. Il cortile poi era lo spazio in comune, di aggregazione così degli elementi architettonici come delle espressioni materiali dei componenti la famiglia (anche il luogo delle parole perdute ). Dunque una casa che nasce con la propria famiglia, secondo la lunga tradizione sociale sarda, che accoglieva un gruppo familiare patriarcale di due generazioni (dal nonno 28 _ Sardegna nuragica Sardegna nuragica _ 29

17 al nipote) costituito di una decina di persone. Una casa per la sua forma centripeta racchiusa in se stessa, dove l intimità è sottolineata dal comporsi rotondo del perimetro e dei singoli vani (che sono tante capanne riunite a tangenza), rotondità che dà l idea di qualcosa di avvolgente, di guscio protettivo, quasi di grembo materno come è stato detto in linguaggio psicanalitico. È il modo di costruire a linea curva, applicato in tutte le forme dell architettura nuragica (nuraghi semplici e complessi, templi a pozzo e in antis; esedre e absidi di tombe di Giganti). Prodotto di un vedere e sentire collettivo per circolarità ; secondo un continuum, un non compiuto, l infinito; geometria rotonda, conservatasi sino a noi nell edilizia rurale. Questa forma di casa, definita nel Bronzo recente, si evolve già, agli inizi dell Età del Ferro (IX secolo a.c.), sempre conservando lo schema introverso e centripeto, e raggiunge la perfezione nell impianto e nella struttura verso la metà del VII secolo a.c. (Su Nuraxi-Barùmini). L impianto regola meglio la generale disposizione e composizione dei vani, ora per lo più quadrangolari coordinati al centro non più dal vasto cortile ma da un piccolo Il complesso di Genna Maria, Villanovaforru ed evidente, cioè non esiste più lo spazio con duplice uso di soggiorno e di riposo: infatti mancano i sedili di pietra e i nicchioni a muro. Nel maggiore vano della cucina, nel quale erano riposti, oltre gli oggetti culinari e da mensa, gli attrezzi per la panificazione (macine, contenitori di terracotta, ecc.), appare un piccolo forno (la bassa capacità calorica consentiva la cottura soltanto d un pane a sfoglia, come quello sardo detto oggi pane carasau o caratrio lastricato di precisa linea rotonda, provvisto alle pareti di stipi, talvolta col pozzo. All atrio converge pure dal perimetro circolare l andito dietro l ingresso, avente ai lati sedili internati nel muro (forse anche armadietti) e, non sempre, lo stanzino riservato all ospite indipendente dagli spazi di residenza della famiglia, che non sembra essere, come invece era prima, di tipo patriarcale. La specifica funzione degli ambienti è più determinata ta da musica), che fungeva anche da focolare. Altro elemento di novità, in più del forno, è uno stanzino distinto per la raffinata costruzione, rotondo, con cupoletta in pietra (l intera casa era invece protetta da un vasto tetto a scudo di legno e frasche, aperto in alto in corrispondenza dell atrio, per dare aria e luce). Lo stanzino sta dietro la cucina e il forno. Le pareti a filaretti di quadrelli litici; il pavimento ben lastricato; un sedile di conci, limitato 30 _ Sardegna nuragica Sardegna nuragica _ 31

18 da braccioli all estremità del giro interrotto all ingresso, sufficiente al nucleo familiare; una conca di pietra sostenuta da base a poggiapiede, perfettamente lavorata a scalpello: ecco l aspetto e gli ingredienti del minuscolo e riposto vano. L accuratezza costruttiva (il resto degli ambienti è di fattura per lo più grezza) e la composizione raccolta, quasi da penetrale, offrono l immagine di luogo destinato a un rito domestico: lustrazione collettiva con preghiere del nucleo familiare, o battesimo di bambini con acqua tiepida o in ambiente tiepido perché sta dietro il forno, o consumo sacro in comune d un cibo o d una bevanda contenuta nel bacile al centro del sedile? L aspetto evoluto, civile, comodo riguardo i tempi, della casa si riproduce nell ordito del villaggio della prima Età del Ferro. Sebbene il tessuto edilizio giochi ancora sull aggregazione non proprio ordinata delle case unifamiliari separate, queste ora sono collegate tra di loro da vie strette e tortuose, come comandava la circolarità del perimetro delle singole dimore. Vi sono inoltre spiazzi e pozzi comuni, embrionali fognature, collettori di spurgo dell acqua piovana per non invadere viuzze e case. Insomma il privato fa delle concessioni al pubblico, cosa apprezzabile anche nella presenza di servizi artigianali: laboratori di pietre, di ceramiche. La tessitura del muro, curata in genere, raggiunge talvolta assetto di sapore estetico e funzionale nello stesso tempo. È il caso della fattura elegante degli stanzini per lustrazione e degli inserti nel grezzo murario di fasce con pietre composte a spina di pesce in alcuni tratti di case del villaggio di Barùmini dove, meglio che altrove (Genna Maria, Mandra de sa jua-ossi), si può apprezzare nella sua interezza ed evidenza il nuovo ordine edilizio. Insomma il vecchio megalitismo nuragico del II millennio a.c. se ne va, anche se resistono gli schemi essenziali di quella robusta architettura. Al suo posto sorgono forme di arredo urbanistico e finezze tecniche adeguate e pretese da esigenze di comunità, da bisogni collettivi di una società articolata. È possibile che a ciò abbiano contribuito stimoli e veri e propri contatti con esperienze e culture esterne assai progredite e a livello di città. Né ci stupisce che il tempo del rinnovamento edilizio corrisponda a quello in cui in Sardegna comandavano gli àristoi (capi gentilizi). Il villaggio di Barumini Sardegna nuragica _ 33

19 I NURAGHI Dell ottica protosarda che si fonda sul costruire in rotondo (ottica barbarica nel senso che non è classica, il classico va sull ortogonale), il nuraghe è la forma esemplare, la più vistosa, la veramente architettata. Il paesaggio sardo colpisce a prima vista per la pleiade di volumi fisici rotondi che si succedono in continuità insistenti, martellanti tanto da fissarsi nell occhio e nella mente dei visitatori come elemento assolutamente caratteristico di una terra e d una civiltà straordinarie, dall apparenza mitica, come una sorta di simbolo e di bandiera d un popolo. Questi volumi rotondi sono i volumi dei nuraghi. E i nuraghi significano fascino di Sardegna, oltre la natura vergine e sconfinata, oltre il mare. Già il fatto che se ne abbiano circa settemila (senza contare quelli distrutti) desta la maggiore sorpresa. È un qualcosa per parecchi versi ancora misterioso o difficilmente esplicabile, questo pullulare di torri in ogni parte dell isola, dalle coste alla montagna, in climi, morfologie, suoli ed economie diversi; questo adattarsi di una forma costruttiva rimasta nel nucleo simile a se stessa, a tanta varietà di contorno naturale e di uomini, e per lungo tempo. Evidentemente, una volta maturato, lo standard resse alla prova risultando perfettamente funzionale Il Nuraghe Is Paras, Isili

20 ai luoghi e ai bisogni differenziati dei territori e alle stesse vicende storiche. Il fattore economico e le realtà fisiche più o meno produttive hanno determinato la diffusione qua più fitta (o fittissima), qua meno dei nuraghi. Hanno influito anche la disponibilità e la qualità del materiale da costruzione (più numerosi gli edifici dove la roccia offre blocchi a spigolo facili a collocarsi a secco, in numero minore dove il masso si stacca in elementi arrotondati meno idonei a fare muro). Rari i nuraghi nelle zone alluvionali di pianura, prive di materiale litico. Uno studio sui fattori geografici della distribuzione di 768 torri in circa 3963 kmq della Sardegna nord-occidentale porta la densità di un nuraghe ogni 4,81 kmq. Ma vi sono densità che superano un nuraghe per kmq, come nei territori dei comuni di Siddi e Sini, nella ferace regione della Marmilla. Il popolo chiama nuraghe ogni grosso accumulo di ruderi in grandi pietre, riferendosi perciò non tanto a una forma costruttiva determinata quanto invece a un aspetto vistoso di rovina megalitica. Di fatto il radicale nur di nuraghe si collega con la denominazione nurra che vuol dire mucchio, accumulo e anche il suo rovescio cavità, calanca. Il doppio senso di nurra ha spinto taluno ad applicarlo pure alla forma originaria del nuraghe che, in verità, nelle strutture più grezze altro non sembra che una costruzione venuta su per accumulo di grosse pietre, mentre nell interno a camera cupolata offre l immagine come di grotta, appunto di cavità. Perciò oggi ci si è abituati, in sede scientifica, a chiamare propriamente nuraghe (che è poi una parola della lingua sarda di sostrato appartenente al ceppo mediterraneo preindeuropeo) la forma della torre troncoconica con lo spazio interiore voltato. L estensione del termine ad altre forme megalitiche per certi elementi somiglianti (ad esempio gli pseudonuraghi, o nuraghi a corridoio o a galleria) non è corretta. Il nuraghe, al suo nascere, è un edificio di volume a cono tronco (ossia ristretto alla sommità piana), robusto perché di muratura molto spessa composta a secco con grosso materiale litico, decrescente in dimensioni e viceversa aumentante in qualità di taglio (questo si dice per le torri di migliore fattura tecnica, quella a filari) dal basso verso l alto. Tale è la figura esterna. Le stesse caratteristiche murarie, fatte salve la misura inferiore delle pietre e spesso la maggiore grossolanità di lavo- Interno del nuraghe Santu Antine, Torralba 36 _ Sardegna nuragica

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