Per non morire in carcere

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1 Per non morire in carcere di Adriana Lorenzi C è un momento uguale per tutti quelli che vengono arrestati e portati in carcere per la prima volta: quello in cui si pensa di farla finita, di darsi la morte perché al carcere non si può sopravvivere. Non si vuole sopravvivere perché è tanta la vergogna, troppo il senso di colpa e infinito l orrore di essere marchiato come delinquente. La prima volta taglia nettamente l esistenza in due parti: regolarità e irregolarità, libertà e restrizione. Vita e non-vita. Forse in quell iniziale embrione di pensiero la morte per propria mano pare una ribellione, una sorta di vendetta verso il mondo che non mantiene le sue promesse di benessere. Poi ciascuno reagisce e si adatta alle regole, pensando che valga la pena sopravvivere anche solo per andare a morire fuori dalle mura carcerarie, da uomo libero e in mezzo ai propri cari. In carcere, però c è qualcuno che muore per propria mano ed è dolore per tutti. E anche sconfitta: per i compagni e gli agenti, medici e psicologi, educatrici, insegnanti e volontari che non sono riusciti a impedirlo. Non siamo riusciti a restituire alla società esterna qualcuno che ci era stato affidato in custodia perché ce ne prendessimo cura e lo aiutassimo a ripensare alle azioni illegali compiute e a prepararsi a quelle legali da intraprendere a fine pena. Affinché questo sia possibile diventa cruciale che il detenuto si faccia coinvolgere dalle opportunità di lavoro e dalle attività di risocializzazione, di rieducazione che vengono offerte dalla scuola e ad altri enti. Non è da soli che si resiste in carcere. È con pazienza che ci si allena a resistere al carcere. I legami con l esterno sono il gancio al quale aggrapparsi. È per questo che ho accolto con entusiasmo l offerta del Caporedattore del quotidiano L Eco di Bergamo, Andrea Valesini, di tenere in carcere un corso di giornalismo per i redattori e le redattrici di Alterego. Ho chiesto alla Direzione che potessero assistere sia i detenuti sia le detenute che costituiscono ormai le firme di Alterego, quelle che mi piace chiamare le penne del giornale perché scriviamo ancora a mano come si usava un tempo. Non mi pareva giusto offrire questa opportunità solo alla sezione maschile perché più numerosa rispetto a quella femminile. In carcere gli spazi abitati dagli uomini e dalle donne sono ben divisi e i confini invalicabili. Pareva quindi una cosa impossibile e, invece, è stata accordata dalla Direzione che ormai legge le pagine di Alterego, che si stupisce e si complimenta con alcuni detenuti per i loro articoli e registra i cambiamenti di alcune persone che per le pagine del giornale rinunciano alla palestra, che scrivono nonostante siano in articolo 21 oppure che decidono di iscriversi a scuola perché hanno imparato che la cultura serve. E così nella biblioteca del Penale la cornice perfetta per il corso di giornalismo sistemata con passione e fatica da Catia Ortolani e Remo Bianchi eravamo in tanti: detenuti, detenute, agenti, volontari, educatrici, insegnanti che hanno scelto di partecipare per sostenere un idea di collaborazione e formazione utile a tutti. L impossibile è diventato percorribile e si è delineato come buon esempio di resistenza. Per la Giornata della memoria abbiamo anche ospitato uno spettacolo Raccontare Auschwitz con le letture di Gabriella Cremaschi e le musiche per violino di Erica Polini. Non si trattava soltanto di ricordare le vittime della Shoah, che per i più appartengono a un mondo lontano, ma di lasciarsi contagiare dalle parole dei sopravvissuti alle condizioni più dure. Nei Lager gli uomini venivano chiusi per essere umiliati, sfruttati e infine uccisi. Qualcuno però è tornato a casa e ha scritto per capire e far capire. Per non dimenticare e non far dimenticare il male che gli uomini possono fare ad altri uomini, ma anche l infinito bene che alcuni sono riusciti a fare e a ricevere per resistere in quell Inferno. Come? Individuando, racconta Primo Levi, gli scopi di vita che sono un ottima difesa contro la morte, non solo in Lager: trovare un po di pane, rappezzarmi le scarpe, interpretare i segni e i visi attorno a me. Per noi in carcere l oasi come la chiama Remo è la biblioteca del penale. A teatro il 25 gennaio il pubblico era composto oltre che dai detenuti anche da studenti di due classi: la IV C del Liceo Scientifico Amaldi accompagnata dall insegnante Anna Barbato che è diventata un amica della nostra redazione e la VDp del Liceo Psicopedagogico Secco Suardo che è sopravvissuta alla morte ingiustificabile di una compagna per una malattia incurabile e ha saputo trasformare la perdita in eredità da conservare. Ciò che è stato può farsi bagaglio per la vita che chiama a ogni risveglio. E a ogni risveglio ciascuno risponde: ci sono.

2 Pagina 2 ALTEREGO di Andrea Valesini, Caporedattore L Eco di Bergamo di Andrea Valesini, Caporedattore L Eco di Bergamo L ezioni di giornalismo in carcere: figurarsi. Il luogo che più nega il rapporto con la realtà esterna è proprio il carcere. E il giornalismo è mestiere che si nutre del rapporto con la realtà esterna. Lezioni di giornalismo in carcere: un ossimoro, al più un tentativo bizzarro di intrattenere i detenuti sulla pratica di una professione famosa, o famigerata Invece per fortuna, citando lo scrittore Carlo Dossi, continuamente nascono i fatti a confusione delle teorie. Per chi l affronta senza pregiudizi, la realtà è sorprendente e rompe gli schemi mentali ai quali ricorriamo per pigrizia o sicurezza. Quando con Adriana Lorenzi abbiamo pensato l idea del corso in quattro lezioni, non sapevo a cosa sarei andato incontro. Semplicemente mi sono lasciato guidare dalla curiosità umana e da quell opera di misericordia dimenticata da noi cristiani: visitare i carcerati. La realtà ancora una volta ha scompaginato gli schemi. Ho incontrato persone appassionate e assetate di verità che mi hanno inchiodato con domande brucianti e senza possibilità di scampo, svelando le ipocrisie che noi giornalisti usiamo per farci belli. Come quando diciamo che siamo i cani da guardia del potere e invece nella pratica siamo spesso forti coi deboli e deboli coi forti, per dirla con una frase abusata ma efficace. Siamo conformisti per comodità o ignoranza, inseguiamo il senso comune per vendere più copie sottostimando l intelligenza e il cuore dei lettori. Il risultato sono giornali poco creduti perché poco autorevoli, senza guizzi e prevedibili perché poco originali. Nel luogo che più nega il rapporto con la realtà esterna ho incontrato persone desiderose di conoscerla quella realtà, spogliate delle finzioni delle quali spesso noi uomini liberi ci vestiamo per difesa o per darci un immagine. Il carcere ti mette a nudo, ti toglie le protezioni e ti riporta all origine delle questioni riaccendendo le domande sulla vita. Il giornalismo oggi invece sopravvive sulla superficie del reale, troppo spesso incapace di andare a fondo delle vicende umane che dovrebbe raccontare. Le lezioni di giornalismo in carcere non sono state allora un tentativo bizzarro di intrattenere i detenuti, ma un occasione per parlare della vita facendosi sorprendere dalle possibilità che offre anche dietro le sbarre. Dove è possibile perfino preparare una grande torta senza avere una cucina a disposizione, ma armati solo di ingegno e una pazienza infinita. Quella torta che gli allievi-detenuti mi hanno fatto trovare sul tavolo della biblioteca l ultimo giorno di lezione: non la dimenticherò mai. Perché era buona e io sono molto goloso, certo. Perché mi ha commosso anche se non l ho dato a vedere, certo. Ma più di tutto perché testimonia della dignità e del cuore delle persone anche in carcere.

3 NUMERO 13 Pagina 3 LINO MARTEMUCCI rrestato un padre dopo aver ucciso l insegnante del figlio. In un paesino vicino a Valencia, un ragazzino di 14 A anni, dopo aver preso un brutto voto a scuola, torna a casa e, una volta nella sua cameretta, si impicca. Il padre J. C. di 50 anni, preso dal panico si presenta davanti alla scuola del figlio e aspetta l'insegnante che aveva dato il brutto voto al figlio e con una mossa azzardata le dà due colpi di pistola. Una vera e propria esecuzione. Il preside, che in quel momento era affacciato alla finestra che dava sull'entrata della scuola, chiama le forze dell'ordine, ma nel frattempo il vigilantes per la sicurezza dei ragazzi, estrae la pistola e ammazza il padre del ragazzo. La pattuglia, intervenuta sul posto, ammazza il vigilantes. Una tragedia che lascia senza parole. Una famiglia perde due cari in un solo giorno. SONIA PARMIGIANI I topi sono i nuovi abitanti che incrementano il sovraffollamento del carcere di Bergamo urante il controllo dei NAS nei sotterranei del carcere D femminile di Bergamo si è scoperto con stupore che le detenute non erano le sole recluse, ma, all insaputa di tutti, si è creato un altro popolo di detenuti. Ratti e Ratte. La differenza è che le detenute sono esclusivamente donne, mentre il ratto ha la fortuna di avere in cella una ratta e, di conseguenza, i rattini. Insomma i ratti riescono a farsi una famiglia in carcere. Saputa la notizia, le detenute si sono indignate non amando certo l idea di convivere con dei rispettabili ratti in uno stesso luogo, il carcere, dove si sa bene che ciascuno sta ben attento all igiene della persona e dell ambiente. GIUSEPPE CANDIDO Cane gettato in un pozzo viene salvato da un gatto eri mattina, tra le e le 10.30, un cagnolino viene gettato in un pozzo dal suo padrone. I lamenti del piccolo I animale attirano l attenzione di una mamma gatto. Ripresa da una videocamera di sorveglianza, la mamma gatto dimostra coraggio nel mettere a repentaglio la propria vita: tenendosi per le zampe anteriori, cala la propria coda nel pozzo per farsela azzannare dal cagnolino traendolo quindi in salvo. V S. N. erso le i Carabinieri della Compagnia di Modena, comandati dal Capitano A., hanno proceduto all arresto di cinque persone, sgominando una banda che è stata trovata in possesso di assegni circolari in bianco per un valore di 280 milioni di lire. Alcuni testimoni hanno riferito di come al suono delle sirene, allo spiegamento di auto e uomini, avessero

4 Pagina 4 ALTEREGO pensato per un attimo che si stesse girando un film. Altri che stessero arrestando qualche pezzo grosso della Mafia. Certo è stato un pomeriggio alquanto movimentato. Per la Compagnia dei Carabinieri di Modena è la seconda operazione eseguita nel giro di poco tempo. Durante la settimana, infatti, è statai sgominata un altra banda specializzata in valori bollati falsi. R. S. resso il Tribunale di Bergamo, la Guardia di Finanza, P dopo aver fatto irruzione nell aula dove si stava celebrando il processo di Mani sporche, ha arrestato il giudice e il Pubblico Ministero. Le accuse mosse nei loro confronti sono di peculato, concussione e falso in atti d ufficio. I due, molto conosciuti e attivi all interno del Tribunale dove sono soprannominati I paladini della Giustizia, dopo un primo momento di imbarazzo che li ha lasciati letteralmente atterriti, alla vista del fotografo che li stava immortalando, hanno esclamato: Lei non sa chi siamo noi. I STEFANIA COLOMBO eri un uomo ha perso la vita mentre si trovava in vacanza al mare con la famiglia. F.C. di quarant anni si trovava in spiaggia a Rimini in compagnia della moglie e dei suoi due figli di 3 e 5 anni, quando intorno alle si è avventurato per una passeggiata sugli scogli e, per cause ancora da accertare, è caduto battendo violentemente la testa. Inutili i soccorsi, l uomo è deceduto sul colpo. Alla triste scena hanno assistito impotenti moglie e figli. P INGRID ochi mesi fa nella Giornata Mondiale dedicata all Educazione svoltasi a Bergamo è successa una cosa insolita e tutta la città, o quasi, si è fermata. Moltissime le persone presenti, giovani adulti, anziani, donne e bambini erano i protagonisti di questo nuovo e singolare evento pieno di umanità, solidarietà e rispetto verso il genere umano. Il tema centrate Dove stiamo andando? Come stiamo vivendo? è stato come una miccia esplosa in gran parte del pianeta. Ogni essere vivente, o quasi, si è fermato per la prima volta nella storia dell umanità a pensare prima di agire, a osservare e riflettere prima di parlare. La maggior parte degli esseri umani e dei bambini si sono resi conto di dove stavano finendo e allora è emerso un pensiero comune: la voglia di cambiare. GIANNI A. Schianto in autostrada: Muore per salvare un amico n noto industriale bergamasco, Mario Rossi, è morto U ieri sera sull autostrada Serenissima, all altezza di Peschiera del Garda mentre era alla guida della sua BMW. Il passeggero, Piero Bianchi, è ricoverato in coma all Ospedale Borgo Trento di Verona. I due, amici da molti anni, rientravano a Bergamo dopo un soggiorno di tre giorni a Firenze dove il Bianchi, noto professionista bergamasco, doveva recarsi per lavoro ma, avendo l auto in riparazione, aveva accettato il passaggio del Rossi con la sua potente BMW. La pioggia battente aveva lasciato in autostrada ampie pozzanghere e l alta velocità ha provocato, per acqua planning, lo sbandamento dell auto che ha abbattuto il guard-rail e ha finito la sua corsa, capovolta nel cortile di un azienda di mattonelle prospiciente l autostrada. Al primo impatto con il guardrail il Bianchi è stato sbalzato fuori dall auto mentre il Rossi, che aveva la cintura allacciata, è rimasto incastrato ed è stato quindi schiacciato dal capovolgimento dell auto. E QANI KELOLLI ra una giornata bellissima, mi sono tirato a lucido, profumato e gellato al massimo perché avevo un appuntamento di lavoro. All improvviso mi chiama un amico dicendomi che non si sentiva tanto bene e quindi voleva che lo accompagnassi all ospedale. Ero vicino a casa sua e così gli dico di farsi trovare in strada perché l avrei portato al San Carlo di Milano. Così ho fatto. L ho aiutato a scendere dall auto e l ho accompagnato all interno dell ospedale dove parlo con un infermiera per chiederle cosa si potesse fare per il mio amico. Intanto mi guardo attorno e vedo persone che si lamentano, piangono per il dolore, bambini addormentati e altri in giro. Insomma mi accorgo che piano piano quella giornata così bella si stava trasformando in un incubo. A quel punto l infermiera mi risponde: Vedi quante persone come voi hanno dei problemi? Da chi devo cominciare per primo?. Il mio amico le dice: Ho dei dolori forti, ho i calcoli ai reni. Lo so gli disse l infermiera ma devi aspettare come tutti gli altri che sono qua da ieri sera. A questo punto il mio amico mi domanda: Ma io devo aspettare 24 ore?. ANTONIO PELUSO 3 ottobre 2003 ore I Carabinieri hanno arrestato 2 una banda di serial rapinatori, così definita per via delle scorribande milanesi. Parecchie rapine in luoghi diversi, ma la Squadra Mobile di Cremona che sorvegliava comuni e paesi vicino ad Agnadello dove era stata fatta l ultima rapina, ha finalmente messo nelle mani della Giustizia questi rapinatori che paiono professionisti. È stato intervistato il Vicesindaco che era presente. Aveva visto uscire i rapinatori e ha chiamato subito le Forze dell Ordine. Incastrati nel parcheggio, il Vicesindaco ha provato a fermarli tirando delle scarpate nella fiancata della loro auto, una Fiat Uno. È stato fatto subito il processo e i rapinatori tre incensurati e un pregiudicato - devono scontare 16 anni in quattro Adesso sperano nell Appello ma ci auguriamo che i colpevoli paghino per i danni inflitti.

5 NUMERO 13 Pagina 5 L IMPREVISTO E LA SOLA SPERANZA (da Prima del Viaggio di Eugenio Montale) L REMO BIANCHI 'imprevisto è la sola speranza. Questa espressione partorita dal genio del poeta Eugenio Montale, è certamente il leitmotiv di molti di noi detenuti. La capacità di adattamento alle situazioni è direttamente proporzionale alla formazione del carattere, all'educazione ricevuta, alle esperienze vissute, ai sogni, ai progetti futuri e alle speranze infrante. L'imprevisto assume anche il ruolo di unica speranza per quegli uomini e quelle donne vincolati dal conformismo, dalle apparenze, dalla morale che la società impone e che decidono di seguire le regole imposte: matrimonio, figli, rincorsa affannosa del benessere e del denaro. Uomini che dimenticano completamente la differenza tra avere o essere, tra apparenza o espansione. Io considero l'imprevisto come un modo per interrompere un percorso, cambiarlo totalmente, magari migliorarlo. Considero l'imprevisto come un'opportunità diretta all'esplorazione di nuovi tracciati esistenziali che mi hanno aiutato ad appropriarmi di aspetti del mio carattere che non sapevo di possedere. Grazie all imprevisto ho scoperto in me nuove capacità di analisi e di giudizio, malleabilità nell'approccio ad avvenimenti inaspettati. L imprevisto è il se che viene introdotto nella vita e la scombussola. Se i palestinesi e gli israeliani vedessero il bene comune al di sopra di interessi di parte o religione Se i governanti, alle prime avvisaglie della Primavera araba, avessero compreso gli aneliti di libertà dei popoli oppressi Se quel maledetto giorno di molti anni fa non avessi inseguito chimere di ricchezza o di possesso delle quali ero preda Se: appunto. L'imprevisto è stato per me il carcere che ha avuto come conseguenza una sofferenza inaspettata, ma anche l occasione per comprendere gli errori commessi e la successiva presa di coscienza dei miei limiti. L imprevisto del carcere mi ha donato consapevolezza e forza interiore, interrompendo quell'incubo alienante e quella distorsione percettiva della realtà circostante nei quali vivevo. ANTONIO PELUSO ui dentro, in carcere, la cosa più importante è proprio Q l'imprevisto. Ad esempio, ogni volta che ti chiamano per telefonare, oppure dal dottore, o solamente per qualche domandina fatta, cambia il vivere della giornata. E non è poco. In libertà la monotonia non esiste, anche perché, per fortuna, ogni giorno ci capita qualcosa di diverso e sempre nuovo: un tamponamento in auto, un incontro con una bella ragazza, o la moglie che ti dice che è rimasta incinta. Sarebbe una bella sorpresa. Tutti vivono con la speranza o il desiderio che durante le giornate capiti qualcosa di positivo, ma a volte succedono cose negative, che poi verranno rimpiazzate da quelle positive: questo è sicuro. Come quando stavo scendendo dalla sezione per andare a lavorare nella redazione di Alterego. Sembrava una giornata come le altre, ma poi ci hanno avvisato che un giornalista dell'eco di Bergamo sarebbe venuto a fare delle lezioni di giornalismo, un imprevisto che mi ha fatto volare la giornata e poi anche la settimana -, durante la quale mi sono impegnato a capire i trucchi del suo mestiere, a cogliere la sua passione e a confrontarmi con lui. S. N. ome potevi prevedere che quella sera l'avresti scontata, C che quella scintilla che scoccava tra voi avrebbe cambiato per sempre la tua vita? Come potevi prevedere quello che dopo è successo, quando ti ha lasciato in ginocchio, piangente, ferito? Non potevi sapere che il dolore avrebbe arso così forte da inaridirti il cuore e bruciato gli anni migliori. Come potevi prevedere che ogni qualvolta facevi qualcosa e la sorte lanciava la sua moneta in aria se veniva croce, quella croce sarebbe stata sempre più pesante? Quella mattina guardavi il fiume, stanco delle traversie della vita e le tue lacrime ne facevano alzare il livello. Pensavi che sarebbero bastati cinque minuti per arrenderti alla vita. Ma poi ti sei voltato e hai visto quell'angelo e la moneta non era più una croce, ma una testa. Quante volte hai sbattuto, sei inciampato, caduto, ti sei sbucciato e anche rotto. Eppure ogni volta lei era lì, dolce come una madre, bella come una sposa, fatale come un'amante, radiosa come una stella. Ogni volta ti tendeva la mano e ti aiutava a rialzarti, mentre l'altra la poneva sulla tua fronte e sentivi il calore, le forze che tornavano mentre ti esortava: Coraggio che ce la puoi fare. Ti aggiustava l'armatura, la rammendava, la lucidava e via, ti lanciava di nuovo nella mischia. Lei è la Speranza che ci accompagna nel cammino della vita: guai a perderla per la strada, sarebbe la fine. L INGRID 'imprevisto è la sola speranza perché ti dà la forza di cambiare, di andare oltre, di allargare gli orizzonti, di reagire, di scegliere di metterti in gioco, insomma, di conoscerti e conoscere. Per questo per me l'imprevisto non è un termine negativo, anzi. Personalmente l'imprevisto mi ha salvato, mi ha fatto crescere. Nella mia vita non avevo mai previsto di finire qui, in carcere, invece sto vivendo questo imprevisto con la speranza di un cambiamento positivo. Non sono più la stessa da quando sono entrata in carcere: non ho mai avuto pazienza e qui l'ho imparata. Non ho mai convissuto con così tanta gente, soprat-

6 Pagina 6 ALTEREGO tutto donne, e qui lo sto facendo e sto imparando molto perché le altre ti fanno da specchio. L'imprevisto mi ha insegnato a partire dal qui e ora. Se utilizzo questa situazione, questo tempo (anche se sono nel peggior posto per questa società, perché in carcere non vanno certi i giusti, gli onesti) in modo costruttivo, come un opportunità, posso sperare che ci sia un altro modo di vivere, diverso da quello che pensavo prima. L'imprevisto mi ha cambiata in meglio, o almeno spero perché adesso non riesco più a programmare niente con grande anticipo, proprio perché ho imparato la caducità di ogni cosa, niente è statico, tutto può succedere: la terra gira, la natura cambia, i pensieri, le parole. Niente rimane uguale a com era. Da qui l'ottimismo della speranza che viene dallo Spirito che ogni persona di fede ha. Tutto può succedere se Dio e noi lo vogliamo, se questo è il cammino che Lui vuole che facciamo. Lui è amore e nell'imprevisto ci fa intravvedere un'altra strada. Certo, c'è chi nell'imprevisto vede solo il negativo che causa la fragilità, l alibi per non agire per pessimismo o per cattiva educazione. Allora è travolto dalla disperazione, dalla droga, dalla non speranza e non riesce a trovare il senso dell'imprevisto. Eppure mi piace pensare a Steve Jobs che durante il corso di calligrafia che frequentava all'università, grazie ad un imprevisto, ha inventato il Mac, ha fondato la Apple. Ricordo la sua bellissima frase che ogni tanto mi viene in mente e mi aiuta a sperare: Stay foolish, stay hungry. I STEFANIA COLOMBO mprevisto è tutto ciò che è inatteso e inaspettato, può essere un imprevisto positivo, oppure negativo. Tramite un imprevisto possiamo analizzare diversi aspetti delle situazioni della vita che ci permette di vedere con occhi diversi il corso delle cose. Imprevisto significa prendere coscienza dei nostri pensieri e azioni, capire i nostri sbagli o gioire dei nostri successi, di conseguenza ci aiuta a trovare la strada migliore per porre rimedio a tutto ciò che non è andato come avevamo previsto, oppure apprezzare e beneficiare di ciò che di buono il destino ci ha riservato. Qualunque siano i risvolti di un imprevisto, ci pone comunque sempre in condizione di riflessioni e di decisioni da prendere possibilmente secondo un ottica diversa da quella abituale. I precedenti numeri di Alterego sono linkati e scaricabili in pdf sul sito internet della Cisl di Bergamo nella sezione edicola S. N. domenica notte e voglio addormentarmi presto perché È domani ho l esame per la patente del carrello elevatore. Sarà l ansia, sarà la paura e comincio a sognare, anzi ad avere veri e propri incubi: una moltitudine di muletti mi corre dietro. Salgo sul mio per la prova d esame quando un altro con il muso da pescecane mi sbarra la strada. Inverto il senso di marcia e scappo. Mi rincorre e decido che è ora di affrontarci. Rumore infernale di metallo contro metallo. Apro un occhio e capisco che il rumore proviene dalla chiave che gira nella serratura del blindo. Era solo un incubo. Mi preparo perché oggi è il giorno dell esame per il patentino che abilita alla guida di carrelli elevatori al termine del corso iniziato circa dieci giorni fa. È un titolo importante per noi perché ci può aiutare nella ricerca di un lavoro una volta fuori da qui oppure nelle misure alternative. Poi è stata una bella esperienza. Non avevo mai visto organizzare un corso simile in carcere, capace di autorizzarci a condurre un mezzo dentro le mura circondariali. Il prof Massimiliano è stato straordinario nello spiegarci le cose con chiarezza e semplicità. Noi abbiamo seguito con attenzione le sue lezioni anche per dimostrare a lui e agli organizzatori di sapere fare qualcosa di buono, di costruttivo. La nostra soddisfazione è stato apprendere che la nostra media era superiore a quella dei corsisti esterni. D altronde la posta in gioco per noi era molto alta. Cosa ho imparato io? In gioventù mi era già capitato di condurre il carrello elevatore, ma senza conoscere tutto il contorno di leggi e norme sulla sicurezza che sono invece importanti. Ma più di tutto mi ha colpito vedere i filmati cruenti e angoscianti sugli incidenti in apparenza banali e in realtà mortali, dettati dalla superficialità e anche dall incoscienza dei conducenti. Inevitabilmente ho pensato a quante volte un mio gesto abbia determinato delle conseguenze che a tutt oggi sto pagando e insieme a me i miei cari. Bisogna davvero imparare a non dare niente per scontato, a essere un po più responsabili evitando situazione pericolose e scelte sbagliate. Vale per il corso certo, ma anche per la vita. Mi auguro che questo corso venga riproposto per altri detenuti perché offre qualcosa di spendibile anche all esterno così come fa la scuola con le sue attività. Grazie quindi a chi ha organizzato questo corso, al professore che l ha condotto, alle coordinatrici del Patronato san Vincenzo e a don Fausto che ne è l artefice. Al termine degli incontri al prof. Massimiliano ho chiesto: Cosa si aspettava di trovare venendo a fare scuola in carcere?. E lui: A parte la struttura, le mura niente di più né di meno che quello che mi aspetto dai miei allievi fuori. Siete uguali. Anzi per molti versi migliori perché vi aiutate e fate gruppo. Grazie Massimiliano di averci detto che siamo uguali. Grazie di averci considerato come esseri umani e non numeri di matricola chiusi in carcere.

7 NUMERO 13 Pagina 7 Conclusioni sul corso di GIORNALISMO E REMO BIANCHI sistono differenti modi di attivarsi per il recupero dei detenuti e il loro reinserimento sociale. Ci sono qui da noi operatori seri e con spiccato senso di proattivismo che attraverso l organizzazione di eventi culturali o corsi, insegnano la cultura della responsabilità verso se stessi e gli altri e l impegno per il raggiungimento di obiettivi sempre più alti. Durante la presentazione di un libro in carcere, in veste di moderatore dell evento, abbiamo conosciuto il Caporedattore de L Eco di Bergamo, Andrea Valesini, che ha deciso di offrirci il suo prezioso contributo per un corso di giornalismo che si è svolto presso la bellissima biblioteca della sezione penale. Vi hanno partecipato anche alcune detenute: occasione unica di far coincidere la realtà femminile con quella maschile all interno di una struttura di detenzione. Il clima è stato connotato da subito da estrema serietà e partecipazione da entrambe le parti, il nostro relatore ci ha indicato precisamente le specifiche della messa in opera di un edizione di giornale, le scelte degli articoli da pubblicare, le difficoltà relative all obiettività nell affrontare un argomento rispettando la privacy, l attendibilità delle fonti senza scadere, nel caso di cronaca nera, in facili populismi o demagogia giustizialista. Grazie agli argomenti sviscerati siamo riusciti a volare molto in alto, al di fuori di queste mura opprimenti, ci siamo sentiti liberi almeno nel rivelare la nostra anima e il nostro pensiero. Tutti insieme abbiamo scoperto di avere molte cose in comune: la ricerca della verità e dell occasione per un riscatto sociale e una rinascita. LINO MARTEMUCCI tavo finendo il mio lavoro nell'orto-serra, quando un S martedì pomeriggio, come del resto ogni martedì, Adriana, con un omone alto due metri si ferma a salutarmi, mentre ero intento a zappare la terra per dirmi che ci sarebbero state quattro lezioni di giornalismo con Andrea Valesini. Terminato il mio lavoro, mi do giusto una spolverata e vado nella biblioteca della sezione dove ho provato un attimo di smarrimento: oltre a noi maschi c erano anche le ragazze del femminile con le rispettive agenti. Sembrerebbe cosa da poco, ma noi detenuti non possiamo stare insieme alle detenute, a parte quando c'è una manifestazione a teatro, dove loro sono disposte nelle loro file con talmente tanti agenti attorno che è impossibile scambiare due parole. Durante le lezioni Andrea faceva da playmaker, rispondendo e a volte anticipando le nostre domande con serenità e forse con un po' di curiosità. Sta di fatto che è stata una bella esperienza, come del resto è l'incontro con Alterego, poter capire come funziona la realizzazione di un quotidiano acquistato tutte le mattine da milioni di persone. Il corso mi ha arricchito culturalmente e penso che anche Andrea si sia fatto di noi un opinione diversa da quella costruita dai mass-media. Da piccoli ciascuno di noi, almeno una volta, ha pensato di fare l'astronauta, il pompiere o il giornalista e forse i sogni vanno inseguiti per non rimanere nel dubbio: E se avessi fatto questo o quello?. V S. N. orrei ringraziare Andrea Valesini per il coraggio di entrare in prigione, per il tempo che ci ha dedicato, ma soprattutto per quello che mi ha spiegato, per la pazienza nel rispondere alle mie domande e per le conoscenze che mi ha trasmesso. Dopo questa esperienza considero meno male la categoria dei giornalisti. La prima volta che l'ho visto ho pensato: mannaggia, ma perché il nemico è sempre così grosso? Sì perché i giornalisti li ho sempre visti come nemici, non si fanno mai i fatti loro, poi spesso scrivono in modo che, se si va a vedere, sono più bugie che notizie vere e proprie. Eppure più spiegava, più catturava la mia attenzione. Raccontava di articoli ma anche di sue esperienze. Mi ha colpito quando ha parlato con emozione del Kossovo durante la guerra, l'orrore delle fosse comuni. Lo immaginavo dentro un giubbotto antiproiettile sotto il fragore delle bombe. L'ultima mezz'ora era dedicata alle domande. Io, confesso, il ruolo del cattivo, con le mie domande subdole, l'ho fatto bene, in fin dei conti, il delinquente e il condannato sono io. Ma lui non fingeva quando faceva il buono! Durante gli incontri era come se per magia, il carcere sparisse e sembrava di essere nella comune sala riunioni di un giornale. INGRID redo che l incontro tra detenuti e detenute, volontari, C insegnanti, professionisti per condividere idee sul tema così attuale dell informazione sia un passo avanti sia per un istituto penitenziario rieducativo sia per la società. Lo scambio di esperienze non può che servire per ampliare gli orizzonti di tutti. Un famoso proverbio dice L unione fa la forza e io credo che sia la condivisione a essere forza. Il corso di giornalismo con Andrea Valesini mi è piaciuto: c erano tante persone interessate all argomento e non, come capita di solito quando si incontrano uomini e donne, solo all altro sesso.

8 Pagina 8 ALTEREGO E STEFANIA COLOMBO ra un giorno d estate, faceva caldo. Ero seduta sul balcone a fumare una sigaretta quando ho visto arrivare due auto dalle quali sono scese sette persone: Carabinieri in borghese. Alcuni di loro li avevo già incontrati durante le indagini. Ricordo che il primo pensiero è stato: Sono arrivati per arrestarmi. Quando sono entrati in casa, mi hanno consegnato il plico del Mandato di custodia cautelare e mentre lo stavo leggendo, ricordo le frasi ironiche degli inquirenti. Frasi che si potevano certamente risparmiare. Detesto l arroganza e la presa in giro da parte di persone che non hanno alcun diritto di farlo. Mi hanno detto che potevo leggere il mandato in carcere dove avrei avuto molto tempo a mia disposizione. Poi, durante il trasporto in carcere, ho pianto dicendo che mi mancava mio marito e loro mi hanno riso in faccia. Infine si sono messi a ipotizzare quanti anni sarei rimasta in carcere. I loro comportamenti erano davvero fuori luogo e così ho reagito mostrando indifferenza e scegliendo il silenzio tanto che mi hanno chiesto le ragioni della mia apatia. Ho preferito tacere, mi sono limitata ad alzare le spalle e a ignorarli. Quando erano venuti ad arrestarmi, hanno perquisito l abitazione e ancora oggi mi chiedo che senso avesse, dato che il reato risaliva a tre mesi prima. Quando mi hanno detto che dovevano portarmi via, mi sono cambiata i vestiti e tra i rappresentanti delle Forze dell ordine non c era una donna, quindi, in segno di provocazione, mi sono spogliata e rivestita davanti a loro. Volevo suscitare il loro imbarazzo, facendo loro notare che erano in difetto. Tutto è avvenuto in presenza di mia sorella e di mia nipote e la parte peggiore è stata quando mi hanno messo le manette. Ho considerato quel gesto eccessivo in quanto io, donna, circondata da sette uomini, certo non avevo possibilità di fuga. Non ho potuto abbracciare la mia famiglia per l ultima volta prima di essere portata via: le manette me lo impedivano. Ricordo poco del momento in cui mi hanno portata in caserma: ormai mi ero estraniata da tutto quanto e pensavo solo che presto, si sarebbe risolto tutto e sarei tornata a casa. Non sapevo ancora niente di niente di ciò che sarebbe stata la mia vita in un Istituto penitenziario. L ingresso in carcere e le varie procedure iniziali le ho vissute in uno stato mentale dissociato, come se tutto stesse accadendo a qualcun altra. Quando sono salita in sezione, mi hanno messo subito in una cella di isolamento e ci sono rimasta per sei giorni nei quali ho avuto contatti solo con le agenti e i miei avvocati. In quella cella, c ero io con un letto, un armadietto e il plico del famoso Mandato di custodia cautelare che ho letto e riletto all infinito. Ricordo che ho avuto la consapevolezza dell arresto quando i Carabinieri hanno suonato il campanello e la conferma quando mi hanno messo le manette. LAURA P. 9 dicembre 2003, da pochi mesi avevo compiuto 21 anni e 1 dopo una vita di divertimento sono stata investita da un bagliore improvviso. Mi stavo recando nella mia nuova abitazione e mi sono detta: Ma come sono ben organizzati qui, appena passi dal portone di casa, tutto il cortile s illumina. In realtà erano i fari dei Carabinieri che dopo tre anni di indagini mi dicevano: Finalmente diamo un viso alla famosa Leila!.

9 NUMERO 13 Pagina 9 E io Ma chi è questa Leila?. Facevo finta di non capire dato che io mi chiamo in altro modo però il mondo del mio business mi conosceva proprio come Leila. Si presentarono molto cortesemente e, per non essere maleducata, anch io mi presentai mostrando la mia carta d identità. Vedevo che erano molto incuriositi dalla mia automobile, che non era granché, ma forse a loro piaceva la musica che usciva dall autoradio ancora in funzione. Hanno cominciato a controllare i sedili, poi il cruscotto, il portabagagli. Forse, ho pensato, volevano comprare anche loro un auto simile con un bagagliaio ampio e faretti anche alle portiere! Proprio nelle portiere trovarono euro, il mio tesoretto appena riscosso. Mi hanno chiesto perché li tenessi lì e io: Le banche chiedono troppi interessi e visto che sono sempre in giro preferisco tenere con me i soldi. Non si sa mai, in casa possono arrivare i ladri. Dopo circa un ora di perquisizione anche nella mia abitazione senza trovare nulla di compromettente, i Carabinieri chiamano una poliziotta che mi dice che deve procedere a una perquisizione personale. Lì ho incominciato ad agitarmi perché sapevo che sarei finita nelle grane. La poliziotta, infatti, trova due involucri bianchi per un totale di 750 gr di polvere bianca. A lei non potevo certo mentire come facevo con mia madre inventando che erano pastiglie tritate perché non riuscivo a deglutirle intere. Così vengo accompagnata in una Caserma in montagna: ci abbiamo messo un oretta per raggiungerla e mi hanno messa in un salottino con alcuni miei amici mentre uno per uno venivamo schedati, fotografati. A me controllano il cellulare e le schede che hanno il pin che io non riesco affatto a ricordare. Dopo una ventina di minuti circa, mi mettono in una celletta: un tavolo impiantato a terra con sopra una coperta bruttissima dove avrei dovuto sdraiarmi se avessi voluto riposarmi. Ma come, mi dicevo, prima sono tutti premurosi e poi ti riservano un alloggio simile? Sono rimasta lì fino al mattino successivo, al freddo quando poi sono venuti a prendermi per portarmi nel mio nuovo alloggio: il carcere. Un colpo di clacson e il cancello si apre e vengo portata davanti a un portone e poi accompagnata fino all Ufficio Matricola. Lì mi riprendono le impronte digitali, mi fanno delle foto di tutti i miei lati, misurano la mia altezza sarebbe meglio dire la mia bassezza. Arriva una donna poliziotta per accompagnarmi in reparto, i Carabinieri mi salutano e se ne vanno. Attraverso un corridoio e attendo in una saletta dove mi devo spogliare ancora completamente. Un dottore mi domanda della mia salute e mi rimanda dalla donna che mi consegna la fornitura : piatti, bicchiere, un rotolo di carta igienica, posate, spazzolino, dentifricio. Salgo al piano superiore e mi trovo di fronte due file di ragazze con un bicchiere in mano, saprò poi che si tratta della terapia. Pareva un ospedale più che un carcere. Mi viene assegnata la cella numero 13 e penso: che brutto numero, ma entro. Per prima cosa sistemo la branda, chiedo dove sia possibile farsi la doccia e dopo mi infilo in branda e dormo dalle fino alle 7.00 del giorno successivo. Le mie nuove coinquiline pensavano addirittura che fossi morta. M LINO MARTEMUCCI ercoledì 14 gennaio Sembrava una mattina come tutte le altre, ma non era così. Avevo un appuntamento con una mia amica alla Plaza del Toro a Valencia, città in cui vivevo, per contrattare l affitto di uno stand in occasione di una fiera medievale che si sarebbe svolta il mese successivo. Avevo intenzione di vendere panini e piadine durante i giorni della manifestazione. Stabilite le modalità di pagamento, me ne ritornai al mio ristorantepizzeria. Come di consueto mi misi dietro al banco per iniziare a lavorare. Offrii alla mia amica un cappuccino e cominciai a leggere la Gazzetta. Mentre parlavo con l amica di quello che avremmo fatto per la fiera, entrò una persona per comprare le sigarette, o almeno così sembrava. In Spagna per poterle comprare occorre che il proprietario del locale azioni la macchinetta con un telecomando, in modo da impedire ai minori di accedervi. Così azionai il telecomando e continuai a leggere il giornale. Dopo qualche attimo, cominciò a battermi forte il cuore, avvertivo che stava succedendo qualcosa, ma ancora non me ne rendevo conto. Mi rivolsi ancora al tipo per dirgli che poteva prendere le sigarette e quello annuì, guardandomi con aria sospetta. Nello stesso istante entrò un altro uomo che mi chiese dove era il bagno. Io, ancora con lo sguardo sulla Gazzetta, gli indicai la strada: avanti a destra. L ansia cominciava ad aumentare, sentivo il cuore pulsare sempre più forte, come un Audi otto cilindri a piena potenza. In una frazione di secondo, uno dei due si avvicinò al bancone, mostrandomi un foglio di carta: Lei è Martemucci Pasquale? Per lei c'è un mandato di cattura internazionale. L'Italia la cerca. Sono diventato bianco come una parete appena tinteggiata. Mi è crollato il mondo addosso. Nei momenti successivi, durante il breve tragitto verso la macchina della polizia, mi sono guardato attorno e ho visto, in un attimo, il mio mondo svanire. Stava finendo la favola: il ristorante, le amicizie, tutto il lavoro fatto per costruire un futuro. Non credetti più a Dio e a nessuno, pensavo solo che qualcuno mi avesse fatto la macumba. Altro che quello che dice il proverbio, chi semina bene raccoglie bene. Tutte cazzate: la favola era finita. Solo tra molti anni si potrà riavviare, ma questa è un altra storia. Arrivato al Commissariato di Valencia, mi diedero una carta in cui era spiegato il motivo del mio arresto. I miei amici vennero a trovarmi per portarmi gli indumenti e qualche pacchetto di sigarette: Ci vediamo tra un po' di anni, se tutto va bene. Finite le pratiche burocratiche, mi sbatterono nei sotterranei con altre dieci persone, buttati lì a terra, con una coperta e niente più. Allora mi tornò tutto in mente come se il tempo trascorso vivendo onestamente non fosse mai esistito. Forse mi ero illuso che non mi sarebbe successo più niente, che il mio passato non sarebbe tornato, visto che non mi avevano preso con la carne in bocca e mi avevano rilasciato anche il passaporto. Ma non è stato così. La mattina dopo, due poliziotti spagnoli mi portarono a Madrid per parlare con il giudice che mi disse che per la Spagna io non avevo commesso niente, ma per l'italia sì e quindi mi chiese se volevo chiedere subito l estradizione. Risposi che intendevo chiederla il più presto possibile. Via il dente, via il dolore, anche per rispetto dei miei genitori i quali avrebbero

10 Pagina 10 ALTEREGO sofferto molto di più a sapermi in una galera all'estero dove sarebbe stato difficile per loro venirmi a trovare. E INGRID ra il 23 maggio, verso l'ora di pranzo. La settimana precedente ero distesa su una spiaggia tunisina a prendere il sole. Il 20 maggio ero rientrata in Italia per festeggiare i due anni di mia figlia il 22 maggio con tutti i suoi amichetti in un agriturismo bergamasco. Ricordo ancora quella mattina. Mi ero svegliata per avvertire la signora che mi aiutava nelle pulizie di non venire, perché avevo voglia di stare da sola e riposarmi. Stavo guardando Beautiful in tivù con una Becks, un po di coca ed eroina, quando la corrente è saltata. Sapevo che era un trucco usato dai Carabinieri e di solito, ero molto prudente, aspettavo un po' e sentivo il mio cuore palpitare per la paura. Ma quel giorno niente di tutto questo mi è passato per la testa. Mi alzai dal divano senza preoccuparmi di nascondere le varie sostanze e oggetti che si trovavano sul comodino. Abitavo al settimo piano. Scesi con l'ascensore verso i garage ed entrai nella stanza degli interruttori, ma appena tirai su il mio, eccoli lì: 4, 5 o 6 uomini in borghese che mi bloccavano l'uscita. Per un attimo, nella mia mente piena di sostanze, non capii bene, poi, non appena mi chiesero come mi chiamavo e mi dissero di stare immobile, compresi. Due di loro mi presero a braccetto e mi portarono in ascensore, gli altri fecero i sette piani a piedi. Panico. Oramai ero fregata. Non appena messo piede nell appartamento, compresi che sapevano già tutto. Presero le cose sul tavolo e andarono direttamente in cucina e, con mia meraviglia sapevano dov'era il nascondiglio. La prima cosa che feci fu quella di prendere un pezzo di stagnola con un po' di eroina e fumarla, perché incominciavo a star male e non avevo più niente da perdere. Strano ma vero, mi lasciarono tranquilla, seduta sul divano a fumare di fronte a un ragazzo che mi guardava mentre gli altri smontavano la casa. Alla fine mi tolsero la stagnola dalle mani e mi dissero: Prenditi un cambio che devi venire con noi. Il primo pensiero corse a mia figlia, avevo paura che me la togliessero del tutto e il secondo all'astinenza. Tre macchine mi aspettavano fuori casa, sembravo una serial killer. Alcuni vicini sbirciavano dalla finestra. Il mondo mi era caduto addosso. Arrivai in caserma sconvolta. Mi fecero attendere una loro collega per essere perquisita e avvisare un familiare. Fuori dalla caserma c erano mio padre e mio fratello e io non volevo farmi vedere con le manette. Oggi dico grazie a quel 23 maggio del Mi ha salvato da me stessa. Solo oggi la paura e la rabbia se ne sono andate. S.N. ggi vi racconterò uno dei miei tanti, purtroppo, arresti. O C è stato un periodo - quasi sempre a dir la verità - che ho sentito l Italia un po stretta. Un giorno sì e l altro no mi facevano una perquisa in casa e subivo fermi. Mia moglie aspettava mio figlio e così decisi, dopo un appello, di andare a vivere in Germania. Mi trovo una casa carina, apro una boutique di vestiti italiani e tutto procede bene. Un giorno, non ricordo il motivo, mio figlio aveva quasi un anno, decidemmo di tornare in Italia e arrivammo sul Lago Maggiore. Ricordo ancora l azzurro del lago e la corona di colori delle azalee in fiore e la statua di San Carlone che dominava il lago. In un paese mia sorella lavorava in un locale e così decidemmo di fermarci a farle un saluto. Non appena mettiamo piede nel locale percepisco un aria pesante, mi guardo attorno e vedo che è in corso un pranzo di nozze e quindi non riesco a spiegarmi il motivo del mio allarme. Mia sorella distrae l allerta dei miei sensi con baci e abbracci. Il mio disagio, però, non scema e così le dico che ci saremmo visti più tardi ma lei insiste nel volerci offrire un gelato. Proprio mentre mi stavo gustando il gelato, mia moglie mi dice: Quei due ti stanno guardando, sono Carabinieri. Io li guardo e mi accorgo che uno dei due ha una cicatrice sulla guancia e dico a mia moglie: Ha la faccia più delinquente della mia!. Afferrai il bordo del tavolino con l intenzione di scagliarlo verso i due che intanto si erano avvicinati, ma uno tira fuori il tesserino e mi dice: N., favorisca i documenti. Intanto il mio cervello stava elaborando le informazioni: 1. Si sono qualificati; 2. Il mio bambino; 3. Mia sorella lavora qui. Con stizza quindi gli rispondo: Se mi chiami per cognome a cosa ti servono i miei documenti?. Vieni con noi!. Do un bacio al bambino, a mia moglie, a mia sorella e rassegnato seguo i due Carabinieri. Sono capitato nel covo del nemico, quello che si stava sposando era un Carabiniere come del resto tre degli ospiti erano Carabinieri. Com è finita? Mi hanno arrestato mentre mia sorella lanciava i piatti ai Carabinieri, la sposa in lacrime ripeteva Ma non potevate aspettare che uscisse? e lo sposo era arrabbiato. L REMO BIANCHI arresto che ho subito quindici anni or sono è stato una vera liberazione. La schiavitù del denaro e del potere che derivava dallo svolgimento della mia attività lavorativa ufficiale, e soprattutto di quella parallela, l orientamento sbagliato dei miei obiettivi, la necessità maniacale di raggiungere i massimi livelli di carriera e di successo, mi avevano trasformato in un mostro privo di scrupoli e di valori reali. Un uomo nel quale non riuscivo più a riconoscermi e che odiavo, un alter ego malvagio, un predatore di consenso e di stima. Entrare nel carcere di San Vittore, incontrare l umanità che per i più svariati motivi soggiorna nelle patrie galere, venire in contatto con gli operatori penitenziari, prendere coscienza dei miei errori e uscire con una consapevolezza di me stesso diametralmente opposta rispetto al mio modo di vivere e pensare antecedente al carcere, ha suscitato in me un credo fondamentale: niente ha più valore della libertà per povera di denaro o ricca di sentimenti che sia. Anni dopo, nel febbraio del 2009, quando mi hanno riarrestato per la medesima condanna, diventata definitiva, la trasformazione iniziata in quell epoca remota nella cella 217 del IV raggio di San Vittore aveva sortito i suoi effetti. Le notti insonni a pensare al valore della persona che avrei potuto essere senza scorciatoie, le storie di vita complicate raccolte ascoltando gli altri detenuti, le miserie e i talenti che sono patrimo-

11 NUMERO 13 Pagina 11 nio del nostro essere mi avevano trasformato, lentamente ma inesorabilmente nell uomo che sono oggi. Quella fredda mattina di 4 anni fa ho sofferto moltissimo per il mio arresto, ero un uomo differente, ero diventato quello che avevo desiderato essere, avevo il vero consenso e il vero successo racchiusi nel sorriso del mio bambino e nei piccoli gesti della mia compagna e di mia madre. Mi alzavo la mattina con davanti faticose giornate di lavoro con responsabilità nei riguardi dei miei dipendenti e collaboratori che mi apprezzavano e rispettavano nonostante il mio passato guardando solo al futuro. Guadagnavo un terzo rispetto al tempo dei miei traffici illeciti, ma avevo la certezza nel cuore - quella stessa che tuttora alberga in me - di essere finalmente nel luogo giusto e nel momento più opportuno. Ora che finalmente sono vicino alla mia uscita e sono certo di non ritornare in questi luoghi di tristezza, la sfida che mi si pone davanti è lunga e difficile. Ricostruire per la terza volta la mia esistenza non sarà semplice, ma sarà comunque come rinascere ancora una volta. E l agente si sentiva preso in giro e continuava a farmi arrivare folate di vento. Mi chiese come mi chiamavo e io risposi, poi me lo chiese un altro al quale risposi di averlo già detto al suo collega. Alterati i due agenti mi mettono in auto e uno mi dice che mi avrebbe aspettato in caserma e io: Guarda caso vado lì anch io. Incontro con Ambrogio Amati L ANTONIO PELUSO a mattina del 22 ottobre 2008, sono le 6,30 e sto uscendo di casa per raggiungere i miei amici: J., K. e Z. e organizzarci per andare alla nostra destinazione: A. Là c era una banca perfetta per una rapina: un po isolata e con i vetri oscurati in modo che la gente dall esterno non potesse vedere all interno. In realtà quella mattina io e Z. non ci sentivamo molto pronti, ma la squadra era in marcia. Lungo la strada vediamo i Carabinieri e decidiamo di cambiare obiettivo e paese dove notiamo subito una banca che pareva altrettanto perfetta per noi. Parcheggiamo l auto, io e Z. entriamo, mentre J. rimane fuori per controllare e guidare. Fuori dalla banca, però, c era il Vicesindaco che, scorgendo persone estranee, aveva chiamato i Carabinieri. Il nostro amico J. giocava alle macchinette, mentre all interno la Direttrice era riuscita a suonare l allarme. La cassiera ci dice: Vi conviene svignarvela perché l allarme è scattato e noi siamo usciti in fretta. La Direttrice ci ha seguito urlando Fermateli sono dei rapinatori!. Z. si è diretto verso di lei e le ha intimato di rientrare in banca mentre noi ci siamo precipitati sull auto. J. mette la retromarcia e per sfortuna ne passa una alle nostre spalle che ci blocca. Il Vicesindaco comincia a prendere a calci la fiancata della nostra auto e se fossimo stati altri rapinatori forse a quest ora lui non ci sarebbe più. La macchina che ci blocca riparte e così anche noi. Da una traversa sbuca una pattuglia dei Caramba. Ci fermiamo: Z. schizza letteralmente fuori dalla macchina come una scheggia mentre io resto incastrato tra il sedile e la portiera con i miei 115 kg. Alzo la testa e mi trovo la canna di un mitragliatore in faccia mentre una voce urlava di sdraiarmi a terra e di non muovermi. Così feci insieme a J. e ci siamo accorti che il fucile aveva il colpo in canna e l agente che la teneva in pugno era giovanissimo e tremava tutto. Gli abbiamo urlato di togliere il colpo in canna! Ci ammanettarono e il più grosso mi tempestò di domande per sapere di quello che era riuscito a scappare. Gli ho risposto che non conoscevo nessuno e una bella brezza mi è passata vicino e alla fine ho risposto che era un filippino incontrato in discoteca, ma non ero sicuro perché ero ubriaco... L REMO BIANCHI eggere un libro dell autore Ambrogio Amati, giornalista e scrittore specializzato nelle biografie di personaggi religiosi appartenenti al passato, è come rivivere un determinato momento storico apprezzando i risvolti della vita quotidiana attraverso i suoi protagonisti. Lo scorso martedì 5 febbraio, presso la redazione di Alterego nella biblioteca del penale, abbiamo assistito alla presentazione del libro: Il mio destino è amore. L affascinante vita di Camilla Bravi. Partecipanti all evento: la redazione al completo formata da detenuti e detenute, Adriana Lorenzi e Catia Ortolani, il Caporedattore de L Eco di Bergamo, Andrea Valesini in veste di moderatore, la responsabile dell Area Trattamentale Anna Maioli, l educatrice Maria Luisa Manzi e per la Cisl Elina Carrara. Ricevere scrittori come Ambrogio Amati è molto importante per l interazione umana in vista del reinserimento nella vita civile di noi detenuti: lo scambio di idee e informazioni, l analisi della vicenda di Camilla Bravi con la presa di coscienza delle debolezze personali, la decisione di vivere la propria esistenza autonomamente anche nelle scelte più difficili, la rinascita dopo ogni sbaglio. Lo stesso autore ha affermato di aver deciso di presentare il suo libro in un Istituto penitenziario perché convinto delle similitudini tra la vita di Camilla Bravi e le nostre: gli errori commessi e poi il desiderio di riscatto. Come noi, Camilla, alla fine della sua vita ha deciso di raccontarsi in alcuni diari che l autore ha potuto visionare e sui quali ha lavorato per quindici anni, riuscendo a trasmettere tutta l angoscia e successivamente la gioia vissuta da Camilla Bravi nel corso della sua esistenza. Una donna che ha fatto la vita prima di avere la sua conversione e dedicare i suoi giorni alla Madonna che l ha soccorsa nella stagione più dura. La storia di Camilla è stata il pretesto per scambiare impressioni, per confrontarci sulla nostra idea di libertà e di responsabilità, sul margine di verità e finzione ogni volta che ciascuno stila il resoconto della sua vita. Sono sempre più convinto che eventi culturali di questa caratura vadano incentivati e proposti in modo continuativo.

12 Pagina 12 ALTEREGO M O. M. i ricordo di mio padre ogni volta che commetto qualche errore nella mia vita. Mi viene sempre in mente quando mi dava buoni consigli: Non fare questo, non fare l'altro, stai attento, non mentire, cerca di essere sempre onesto, soprattutto studia, altrimenti non combinerai niente di buono nella vita. Sono passati ormai tredici anni dall'ultima volta che ci siamo visti, mi ricordo il suo viso e il suo forte abbraccio che sembrava non finire mai. Mio padre per me è stato sempre un punto di riferimento e un modello da seguire. Era una persona veramente onesta, con un buon impiego, non ha mai fatto mancare nulla alla famiglia. Aveva solo un obiettivo nella vita: quello di farci stare bene. Era veramente una persona molto equilibrata, priva di vizi. Il ricordo più bello che ho di lui è stato prima del mio matrimonio, quando l'ho sentito molto vicino, mentre cercava di farmi cambiare idea, dicendomi che ero ancora troppo giovane per affrontare certe responsabilità. Però quello che ho apprezzato di lui è che ha rispettato la mia scelta senza mettermi il bastone tra le ruote. Con amarezza mi sono accorto di quanto avesse ragione. Gli voglio ancora più bene perché, nonostante avesse previsto quello che poi è accaduto, mi è stato comunque vicino, badando a mia figlia e senza colpevolizzarmi per le mie scelte sbagliate. M MANUEL io caro papà, il mio rimpianto più grande è non averti dimostrato quanto tu per me fossi importante. Il destino ci ha divisi e io ti ho salutato dicendoti arrivederci e non addio, perché oltre la morte c'è qualcosa di più bello dove avremo la possibilità di rivederci. Mi hai insegnato a saper perdonare, hai migliorato lati del mio carattere che la mia vita poteva solo peggiorare. È proprio vero, i reali sentimenti che si provano per una persona si capiscono soltanto nel momento in cui questa viene a mancare. Ti voglio bene, caro papà, perdonami se non sempre sono riuscito a dimostrartelo. Tu, da lassù, mi stai proteggendo, io da quaggiù, cercherò di mettere in atto tutti i tuoi consigli e m impegnerò a non commettere più certi sbagli. La vita è bella e va vissuta, ma sarebbe ancora più bella con te vicino, il mio pensiero va a te ogni giorno. M LAURA P. io padre, l'unico uomo che ho amato e che non mi ha mai tradito, a vederlo è un uomo serio, severo, dà poca confidenza. Urla e urla ancora, però è l'uomo più buono della terra. Quando ero piccola mi viziava e mi coccolava, ogni mio capriccio era un ordine, andava persino contro le decisioni di mia mamma. Ricordo che aspettavo che rientrasse dal lavoro la sera per fargli vedere i compiti e per farmi interrogare. Lui, distrutto dal lavoro, li controllava e aveva persino tempo per ascoltarmi quando gli raccontavo la mia giornata. Un giorno litigai con mamma per una verifica andata male e lei aspettava il ritorno di mio padre perché mi sgridasse. Lui, invece, mi disse: Stai tranquilla che recupererai la prossima volta. Mio papà era un uomo geloso della sua unica

13 NUMERO 13 Pagina 13 figlia e credo che sia vero il detto che i padri amino di più le figlie. Rompeva se tornavo a casa tardi, se frequentavo i ragazzi. Non riusciva a farsi una ragione del fatto che crescessi e non ero più una bimba da riempire di giochi e vestiti. Ancora oggi lui c'è sempre, pronto a correggere i miei sbagli, ad assecondare i miei capricci, nonostante io l abbia abbandonato come dice lui. I INGRID l sostantivo padre mi suscita sempre una grande emozione, soprattutto adesso, a quarant'anni. Mio padre si chiama Bruno come l'orso e un tempo lo vedevo anch'io così: duro, severo, pochi sorrisi e parole. Per lui c'erano solo due cose importanti per riuscire nella vita: impegno/volontà e indipendenza, cioè lavoro. Adesso sul suo viso ho visto spuntare due diamanti, le lacrime, a causa della mia situazione. Ho scoperto, anzi realizzato, che anche lui, prima di essere padre, è un essere umano che ha i suoi pregi e difetti e che papà non si nasce. Questa l illusione che mi sono portata fino dall adolescenza, pensando che super papà si nascesse. L immagine più bella di lui è quando lo vedo adesso con i suoi nipotini, i sorrisi e le tenerezze che ha nei loro confronti e che ricordo poco rivolgesse a me. Anche i padri crescono e non sono nati con il manuale in mano. Solo adesso posso ringraziare mio padre, sia per l'educazione che mi ha dato, sia perché mi ha insegnato a capire e rispettare un altro punto di vista, giusto o sbagliato che sia, visto che sta al Grande Padre giudicare. Per questo la parola padre, per me adesso, ha un altro valore che va oltre il padre terreno. Anche se Bruno è stato un bravo papà, forse troppo materialista, poco capace di esprimere le sue emozioni, ma tanto reale. Forse, è grazie a questa sua visione del mondo e della vita, che io ho scoperto la spiritualità, l'emotività, la sensibilità, non dovendomi preoccupare di cose materiali, visto che se ne era sempre occupato lui. STEFANIA COLOMBO uando ero piccola, mio padre non era molto presente in Q casa, non per disinteresse o perché non ci volesse bene, ma per le troppe ore di lavoro che impegnavano il suo tempo. Però, nonostante tutto, io me lo ricordo. Ricordo le gite in macchina, i frequenti pic-nic e i giochi al mare, soprattutto quando mi sollevava in aria e poi mi faceva cadere in acqua. Le sue continue e prolungate assenze non mi hanno permesso di instaurare un forte legame con lui, purtroppo non era il mio punto di riferimento. Solo dopo molti anni sono riuscita a creare un legame con lui e a capire quanto fosse importante per me. Accadde dopo la scomparsa di mia madre e durò fino a quando lui conobbe una donna con la quale si sposò. Io ero felice di questa sua unione e non ho mai voluto che scegliesse tra sua moglie e me, avrei però desiderato che non si dimenticasse di me, che il mio ruolo di figlia non divenisse meno importante. Nessuno gli ha mai chiesto di scegliere eppure lui lo ha fatto, impegnandosi con la nuova famiglia acquisita, con la moglie, i figli e i nipoti di lei. Ora, quando penso alla mia famiglia, lui non ne fa più parte e anche se questo mi fa male, ho imparato ad accettare la realtà. CATIA ORTOLANI, Insegnante uando ero piccola pensavo che mio padre fosse Giacomo Q Leopardi. Mio padre conosceva a memoria tutte le poesie del grande poeta romantico e le recitava in continuazione, facendole imparare anche a noi figlie. Io, piccolina, ero convinta che fosse lui l'autore di quei versi, cosicché, quando in quarta elementare la maestra ci fece leggere Il sabato del villaggio, fui molto orgogliosa di veder pubblicata sul sussidiario una poesia di mio padre, che io, ovviamente, conoscevo a memoria. Alla fine della lettura la maestra ci disse che quella poesia l'aveva scritta questo Giacomo Leopardi. Io mi alzai in piedi, non so se più stupita o arrabbiata e dissi: Ma quale Giacomo Leopardi, questa l'ha scritta mio padre!!. La maestra e i miei compagni se la stanno ancora ridendo. La peggiore figura della mia vita. Tornai a casa furiosa con mio padre, il quale si giustificò dicendo che non era stata sua intenzione ingannarmi e per farsi perdonare, alla prima occasione mi portò a Recanati a visitare la casa del Maestro. Da quel giorno mio padre diventò papà Leopardi e Leopardi divenne per me semplicemente Giacomino. Quando mio padre morì, corsi in libreria a comprare i Canti di Leopardi e misi il libro nella sua tomba. Sono certa che mio padre avrà riletto quelle poesie con gran piacere durante il suo viaggio. R GIUSEPPE CANDIDO icordi belli ne ho molti: amici, cose materiali, di mio figlio moltissimi, di luoghi ed ex-compagne. Ricordi belli di mio padre ne ho pochi, forse nessuno. Ma ora sono qui a scavare nella mia mente, forse uno riesco a trovarlo fra quelle gigantesche ondate di brutti ricordi. Sembra incredibile, ma sono trascorsi cinque giorni prima che ricominciassi a scrivere questo mio articolo per ricordare un bel momento trascorso con mio padre. Nonostante ciò, non l ho trovato. Come idea di padre non posso basarmi sul mio. Onestamente mi sento a disagio a esprimere pensieri crudi sulla figura paterna che mi appartenne. Parlo al passato perché mio padre da più di un anno è deceduto. Per me un padre deve sapere educare i propri figli, avere valori importanti e costruttivi. Personalmente resto della ferrea convinzione che un padre debba sapere fare le coccole, essere fonte di sicurezza, dare la prima indicazione per imboccare la giusta strada, trasmettere armonia in famiglia, non fare distinzione tra i figli e saper rimproverare con intelligenza il figlio che commette errori. Ecco, il mio non era come questo padre. M REMO BIANCHI i sono seduto almeno dieci volte in questi giorni al tavolo per scrivere un aneddoto, un episodio o qualcosa che assomigliasse a un ricordo particolare riguardo a mio padre e sono andato a fare altro, soprattutto palestra, allenamenti molto duri che mi facessero dimenticare la sensazione di vuoto e la dimensione incolore del rapporto che avevo con lui. Un giorno mi chiama un mio compagno di sventura e mi fa vedere le foto di suo nipote nato lo scorso ottobre e in una di queste mi colpisce lo sguardo del bambino che con amore guarda suo papà mentre lo tiene in braccio con orgo-

14 Pagina 14 ALTEREGO glio. Questa immagine mi ha fatto salire al cuore ricordi lontani di tenerezza e gioie passate e momenti dei quali avevo perso totalmente la memoria. Mio padre era una persona tutta d un pezzo come si diceva: tedesco di nascita, quando si poneva un obiettivo lo raggiungeva a ogni costo. Era il migliore nel suo lavoro e ha ricevuto riconoscimenti e onori tutta la vita, ma non sapeva amare o, perlomeno, non era fatto per fare il padre. Quando avevo dieci anni e vedevo gli altri padri usare comportamenti totalmente opposti rispetto a quelli usati da Remo Senior e mi lamentavo, tutti mi dicevano: è tedesco! In età adulta quando con la mia Harley viaggiando per il mondo sono andato in Germania, mi sono accorto che non era proprio così, anche là i padri sorridevano ai bimbi e li accompagnavano a scuola. Io, invece, andavo e tornavo sempre da solo. Quando sono cresciuto, qualcuno diceva: è colpa della donna che ha vicino! Il suo carattere naturalmente triste era inadatto a mia madre e alla sua infinita dolcezza, intelligenza e bontà. No, non può essere stata colpa di mia madre. Allora sarò stato perché era figlio di un gerarca delle SS o qualcos altro ancora. Ma no, non è niente di tutto ciò. Alla fine è morto in un giorno di sole agostano, avevo vent anni e non c è giorno che io non lo rimpianga e non rimpianga la possibilità che mi sono perduto di cercare fino in fondo, lottando, il suo amore anche se duro e scontroso. QANI KELOLLI passato molto tempo da quando non ho più la possibilità È di parlare, scherzare e anche essere criticato da mio padre. Ho avuto un rapporto abbastanza tranquillo con lui, spesso mi portava fuori e cercava di trattarmi più come un amico che come un figlio e di non farmi mancare niente e di mettermi alla pari con degli altri miei compagni sia nel vestirmi che in altre attività. Sapevamo entrambi che non sempre era possibile. Mio padre era - ed è - un semplice muratore e a causa della polvere di cemento ha dovuto cambiare lavoro e con quella sua paga non riusciva a darmi tutto quello che avrebbe voluto. Molte volte non fumava per comprare a me i pasticcini e quando a volte dovevamo fare la stessa strada, mi accompagnava in bici a scuola e se, per caso, finiva prima il suo lavoro, mi aspettava seduto su una panchina di fronte alla scuola per caricarmi sulla sua bicicletta alla quale teneva tanto e non permetteva a nessuno di toccarla. Ricordo ancora oggi un episodio molto triste. Avevo solo due ore di lezione e così avrei finito prima del solito. Mio padre mi accompagnò a scuola e mi disse che sarebbe passato alle a prendermi perché anche lui avrebbe finito a quell ora e avrebbe fatto un po di spesa e pagato qualche bolletta. Al termine delle mie due ore di lezione, decisi di rimanere in classe con i miei compagni perché le aule erano vuote. Finché un compagno notò dalla finestra del terzo piano mio padre seduto sulla solita panchina che controllava con lo sguardo il portone della scuola. Era stato lì dalle alle e io mi ero dimenticato del nostro appuntamento. Sono corso da lui che con un sorriso mi ha detto Per fortuna sono appena arrivato. Sapevo bene che non era così e mi vergognai molto. Strada facendo, lui mi dà un pasticcino che mi aveva comprato. Quella volta però l ho diviso a metà anche per farmi perdonare. Rientrati a casa, la mamma si è lamentata del ritardo perché le servivano delle cose acquistate da mio padre, ma lui l ha presa in disparte e le ha detto: Ho fatto tardi perché ho aspettato che finisse la lezione il nostro campione. M ANTONIO PELUSO io padre si chiama Domenico ed è nato il 20 dicembre. So che appena nato, suo padre, mio nonno, che lavorava in miniera è stato schiacciato da un carrello pieno di carbone. Così è stato cresciuto da mia nonna e fin da bambino si mise a lavorare per darle una mano. A dieci anni era già responsabile quando mia nonna si risposa e nascono i gemelli, Franco e Anna che mio padre tira su come se fossero suoi figli. A 21 anni conosce mia mamma e incominciano a stare insieme e la storia dura un bel po di anni poi purtroppo l amore tra i miei finisce, anche se dentro questa storia siamo nati io e mia sorella. Mio padre non è mai stato affettuoso, non gli piaceva troppo essere abbracciato e neppure abbracciare, ma ci voleva bene. Non avevamo tanto tempo per stare insieme, ma accadeva il sabato e la domenica e giocavamo con la playstation. In estate andavamo in colonia e lui ci veniva a trovare e ci portava al ristorante e poi facevamo una scampagnata in montagna oppure, se eravamo al mare, un pic -nic sulla spiaggia e poi splendide nuotate. Ma crescendo, ogni anno facevo un passo lontano da mio papà. Siamo arrivati a sentirci solo per telefono e non ci si vedeva per mesi perché lui era impegnato con il lavoro e non si poteva assentare. Devo dire che questo mi ha sempre fatto male, ho anche pensato che così volesse farmi crescere forte e determinato come lui e infatti ho seguito le sue orme e le ho fatte mie. Sono diventato elettricista come lui. Nel 2008 do di matto - anche se a dir la verità non sono mai stato del tutto normale - e così vengo arrestato. Allora ho dovuto fare i conti con il suo sguardo che mi ha congelato. Non sapevo cosa pensasse, cosa avesse nel suo cuore, perché è sempre stato troppo orgoglioso per dire quello che davvero provava. Da quattro anni, da quando cioè sono entrato in carcere, il nostro rapporto è cambiato, è stupendo. Rido, scherzo e parlo con lui e adesso che ho potuto avere anche il primo permesso, l 11 ottobre, sono uscito dal carcere e sapevo che avrei incontrato la mia famiglia, ma non sapevo che ci sarebbe stato anche mio padre. Ha lavorato tutta la notte e fino a metà pomeriggio per esserci. Ero al settimo cielo e anche i suoi occhi dicevano la sua felicità.

15 NUMERO 13 Pagina 15 D GIUSEPPE CANDIDO iventare, essere padre non è solo il piacere di tenere tra le braccia un fagottino come un trofeo della propria mascolinità. Bisogna ricordare che mettere al mondo un figlio è al di sopra della propria gloria. Per fare il padre ci vuole tempo, pazienza, consapevolezza di saper portare all'età adulta quel figlio nel giusto cammino che dovrà affrontare nella vita per sé e per far esistere la specie umana. Inoltre il padre deve far gioire chi ha generato dando sicurezza, insegnando i veri valori, indicando un percorso verso la fede e dotando di un pizzico di malizia nel rapporto col mondo, per non scivolare e perdersi. Essere padre dà quelle sensazioni che non si riescono mai a spiegare con aggettivi o paragoni, sono così belle e forti che solo chi è padre può capire. Essere padre non è facile, ma se c è il vero amore, tutto è più semplice. H REMO BIANCHI o viaggiato moltissimo, ho attraversato con una buona dose di fortuna e di coraggio, a piedi, in treno, in aereo e tanto in motocicletta, almeno un terzo del mondo. Ho portato con me le sensazioni che mi venivano dall ammirare le città, le emozioni colte nello sguardo degli uomini, le parole dette e non dette. Ma soprattutto dal mio peregrinare sempre alla ricerca di qualcosa che ancora oggi non so nemmeno cosa diavolo fosse, ho portato nel mio cuore il sorriso dei bambini e le loro domande dirette, uniche come quelle che mio figlio di sei anni mi pone quando torno a casa. Sono cresciuto con la convinzione che sarei stato un uomo mediocre, un cattivo professionista, oppure un marito a mezzo servizio - anche se chi mi ama afferma il contrario - ma sicuramente un ottimo padre. Ne ho sempre avuto la piena certezza e convinzione fin da adolescente. Ne ero così sicuro perché avevo un vantaggio: sapevo di dover prendere la direzione opposta a quella che mio padre aveva intrapreso con me. Io sarei stato sempre al fianco di mio figlio. La prima volta che ho visto mio figlio non è stata una grande sorpresa, certamente una gran paura e un immenso senso di responsabilità. Già lo conoscevo, lo avevo ascoltato migliaia di volte con l'orecchio appoggiato sulla pancia della mia compagna e lui aveva sentito me, le mie parole e la mia anima. Avevo preso l abitudine di fargli ascoltare, ancora prima della sua nascita della buona musica. Lui era lì con me e non vedeva l ora, come me, di incontrarmi. Mi sono sentito veramente nel ruolo di padre la prima volta che gli ho dato da mangiare con il biberon, lui così piccolo tra le mie braccia e con quel suo sguardo a mostrare la completa dipendenza dai miei gesti. Io ero la sua fonte di vita e lo avrei accudito, protetto, amato e anche sgridato per sempre. Con la sua nascita la mia vita non sarebbe stata più la stessa. Ho passato molte notti insonni, riflettevo sulla decisione più difficile della mia vita avere un figlio con la condanna definitiva che sarebbe arrivata di lì a poco. Ero perfettamente consapevole quanto questo sarebbe stato arduo per me. L'ombra di mio padre aleggiava e io volevo essere un punto di riferimento per lui. Desideravo che mi trovasse sempre al suo risveglio, ma sapevo anche che per un po non sarebbe stato possibile. L angoscia mi attanagliava e mi sconvolgeva. Lo strazio che provano i padri alla fine dei colloqui in carcere, le lacrime represse, gli sguardi tirati, il senso di colpa che arriva direttamente alla bocca dello stomaco è il pugno della vita. È quello che sei stato e che non vuoi essere più a farti veramente male. È questa la certezza della pena, è questa la vera galera. La quotidianità con il mio piccolo non so cosa sia in questo momento, però mi piace immaginarla: al mattino immagino di sentire la sua voce, gli preparo da mangiare e lo vesto e quando queste immagini fanno troppo male, mi rifugio in palestra, combatto il dolore con la fatica fisica, le lacrime con il sudore. Allora la consapevolezza diventa sempre più forte, più presente: sono il padre che ho deciso di essere. ADAM aro figlio, C l'egoismo a volte consola e ci fa anche compagnia. La vita è un deposito di scatole vuote e noi siamo ciò che ne resta. Ero partito sicuro di avere un futuro promettente, come tutti i giovanotti della mia generazione. C è chi ce l ha fatta, chi si è adeguato e, quanto a me, mi sa che ho perso, almeno per adesso. Ho paura di averti perso, figliolo. A volte non si vede la parte gioiosa della vita finché non è finita e io mi auguro che questa distanza fisica e la mia assenza nella tua infanzia non facciano crescere in te del rancore nei miei confronti. Si dice che le azioni di un uomo influiscano sulla vita degli altri e so che le mie influiranno sulla tua vita. C è un detto che dice che tutto quello che fa un uomo prima o poi gli si ritorce contro e, proprio in questo momento che sarebbe dovuto essere il periodo più bello della tua e della mia vita, il

16 Pagina 16 ALTEREGO mio passato è tornato a riscuotere il suo credito e devo convivere con tutto quello che ho fatto di sbagliato e con il senso di colpa di averti lasciato vivere senza padre. Io sono un uomo triste e probabilmente continuerò a esserlo. Mi guardo sempre con sospetto allo specchio e stento ad amarmi e sopravvivo malgrado il disamore verso me stesso. Quando siamo giovani, cerchiamo costantemente l'immagine dell'uomo che ci sarebbe piaciuto essere e ci piace sognare che le cose possano cambiare il nostro mondo, ma a quanto pare io ho perso. Si dice che si cade per imparare a rialzarsi e adesso io sono caduto e ce la sto mettendo tutta per rialzarmi. Molto spesso sono talmente rassegnato che mi viene da chiedermi che cosa avrei potuto insegnarti io che trascuro la gioia e punisco la bellezza. Credo che ormai sia tardi per saperlo. Se potessi tornare indietro nel tempo: mi sarei fidato di te, ti avrei lasciato imparare dai tuoi errori, ti avrei conosciuto per quello che saresti stato nei rari momenti insieme e non avrei preteso di sapere chi sei quando sei con gli altri. Avresti conosciuto i lati morbidi del mio carattere e quelli ostici. Comunque sono certo che diventerai un grande uomo dotato di un amore che seminerai nel solco delle tue amicizie. Purtroppo adesso ti racconteranno solo delle mie assenze, del mio essere irresponsabile e inaffidabile, ma sarà un racconto scritto da altri che conoscono solo una parte di me. Spesso prendo una delle nostre foto di quando avevi poco più di due anni e cerco di catturare nella tua immagine il nostro legame di sangue. Ho nostalgia di te. In questa mia sconfitta io vivo di nostalgia: è un sentimento elastico dentro il quale puoi far transitare tutto quello che ti va, è una specie di muffa del cuore. A volte ho l'impressione che dentro di me ci sia un vuoto però, ascoltando attentamente il mio cuore sento qualcosa: è il rumore della speranza. So esattamente di che cosa mi illudo: il desiderio di essere un padre, la possibilità remota che forse conservavo e per orgoglio ho sempre ignorato e adesso il rimpianto si sta cristallizzando dentro di me, cupo e silenzioso. È il sapore della solitudine. Credevo che avrei seguito la via opposta a quella di mio padre, ma sono stato sconfitto, ho perso e ora mi ci vorrà una vita intera per farmi perdonare. iao papi, C come va lì? Qui tutto abbastanza bene a parte la preoccupazione a mille per l esame di chimica dopodomani. Speriamo bene dato che l ho studiata un sacco anche con un amico che mi ha aiutato. Sai, sento molto la tua mancanza ora più che mai, avrei bisogno delle tue coccole che solo tu sai darmi e del tuo In bocca al lupo! che vale più di tutti gli altri perché mi dà la forza. In questi giorni mi sono impegnata tantissimo, anche sabato ho fatto quattro ore di matematica con l insegnante che mi segue e l ho capita. Anche se penso di andar bene all esame, ho paura e spero che non mi boccino, anche se non saprò tutto per filo e per segno. Cambiando discorso: mi manchi un sacco. È vero: sorrido, mi diverto, studio e sto con i miei amici però quando penso che a casa non ti trovo, non ti posso telefonare per sentire almeno la tua voce, piango. Ricordo la prima volta che sono venuta a trovarti: tutte quelle porte blindate, gli agenti, la perquisizione. Volevo urlare e dire Non faccio del male a nessuno, voglio solo stringere forte il mio papà. Ogni volta che a scuola sentivo la parola papà, dentro di me succedevano cose strane, come tuttora succedono. Provo grande nostalgia, paura di essere da sola e voglia di scappare da tutto. Ma poi mi chiedo: Perché proprio io devo diventare grande senza te, le tue mani che mi abbracciano, il tuo sorriso, la tua vociona che mi sgridava quasi sempre, senza quello sguardo che hai e senza i tuoi occhi che sono la cosa che preferisco di te perché mi sembrano sinceri?. Non voglio che pensi che sei un peso, se lo fossi, saresti il più bello del mondo. Sei il papà più bello del mondo. La mia vita sarà segnata per sempre dalla tua storia, ma io di te sono orgogliosa e anche di mamma che ti vuole un bene dell anima e quando gli parlo di te o lei di te, gli occhi hanno una luce diversa: le si illuminano. Io, papi, ti aspetto prima possibile perché non vedo l ora di vederti al di fuori di quei cancelli che ci dividono e non ci permettono di vederci ogni secondo. Quando torni a casa, sappi che tutte le sante sere sarò da te! Dovrai sopportarmi, ho un camion pieno di coccole e baci! Adesso vado a nanna che sono già le dieci e domani mattina mi devo alzare presto per studiare chimica e mate (per me divento una scienziata!?). Ti lascio con una frase che mi ha colpito: Prendimi ancora per mano. Non importa se non potrai più guidarmi come quando ero bambina. Sarai sempre colui che mi saprà indicare la strada migliore. Non sentirti in colpa, a me vai bene così e sono orgogliosa più che mai di te. Torna presto mio unico pensiero. Ti aspetto a braccia aperte e non ti lascerò mai solo: io sarò sempre la compagna di ogni avventura. Ti mando un bacio enorme e ti stringo forte al cuore. C. RESPONSABILE PROGETTO Mimma Pelleriti (Cisl Bergamo) DIRETTRICE EDITORIALE Adriana Lorenzi REDAZIONE Giuseppe Candido, Remo Bianchi, Elina Carrara, Stefania Colombo, Angela Ghidotti, Ingrid, Qani Kelolli, Lino Martemucci, Catia Ortolani, Laura P., Sonia Parmigiani, Antonio Peluso, Vincenzo Santisi. GRAFICA E IMPAGINAZIONE Bruno Silini (Ufficio Stampa Cisl Bg)

17 NUMERO 13 Pagina 17 P LINO MARTEMUCCI remetto che in permesso non sono ancora andato, ma ci tenevo a raccontare i bei momenti che ho vissuto quando per la prima volta sono uscito dalla struttura per recarmi all'orto-serra. Il primo giorno che ho superato la porta per accedere all'esterno della sezione ero alquanto agitato, ma un agitato positivo. La prima cosa che feci è stata quella di camminare verso il centro del cortilone, non saprei come altro chiamarlo, per poter vedere in lontananza, senza che le sbarre mi impedissero la visione. Spaziare con gli occhi, guardare il cielo, il mio pezzo di cielo, che mi mancava tanto. I sensi, che erano andati in vacanza per un periodo o si erano addormentati, si sono risvegliati, sono ritornati come d'incanto. Molte volte quando un detenuto è in cella, pensa alle cose che stanno fuori: chissà il mondo come è cambiato? Avrò problemi ad attraversare la strada? La confusione, il traffico mi daranno fastidio? Tante sono le domande che mi faccio, ma penso che il giorno in cui rimetterò piede fuori, mi reinserirò talmente in fretta che tutto il tempo trascorso in carcere sembrerà non essere accaduto. Te ne accorgi anche quando esce un tuo concellino che prima di andarsene ti dice: Ti scrivo, non ti preoccupare, non mi dimentico, e invece succede il contrario, forse una cartolina, poi ognuno riprende la sua vita con i suoi problemi. Sono all'aria, sto correndo, ogni tanto alzo gli occhi al cielo per ritagliarmi il mio spazio di libertà. Mi dimentico dei muri che ho intorno. Mi risveglio e continuo a correre. VINCENZO SANTISI desso sono in articolo 21 fuori dal carcere e lavoro in A una cooperativa che coltiva la terra. La mattina sveglia alle 5.00 per uscire dal carcere alle 6.30 e faccio una fatica a essere puntuale in cooperativa perché i pullman sono sempre in ritardo! Mi trovo bene con tutti e in particolare con gli educatori e continuo a lavorare l orto come so fare. La soddisfazione più grande è quella di avere dimostrato di poter fare bene in carcere: l estate scorsa ho trasformato una discarica a cielo aperto in un orto che ha dato tante verdure che abbiamo mangiato zucchine, pomodori, cipolle, melanzane e ora sono fuori a coltivare altra terra. Dopo anni di sacrifici e di detenzione, il mio talento è stato compreso e mi hanno fatto lavorare. Io non ci so stare con le mani in mano. Lavorare è l unica via per conquistare il rispetto degli altri e non perdere quello di sé. E voglio continuare a scrivere per Alterego perché credo di farne parte. Io c ero fin dall inizio, dal primo numero del nostro giornale.

18 Pagina 18 ALTEREGO l immane tragedia di migliaia di innocenti. Il genocidio degli ebrei è una vergogna difficilmente cancellabile. Mi auguro che il Giorno della memoria sia di monito per le generazioni future, perché non sia mai la pazzia di pochi a prevalere, piuttosto la saggezza e la lungimiranza di tutti. REMO BIANCHI rbeit meich frei, il lavoro rende liberi: questo recita l insegna in ferro sul cancello di ingresso al campo di ster- A minio di Auschwitz, testimonianza reale di un ironia folle e terribile partorita da una mente malata innamorata della cultura della supremazia bianca. Sono passati periodi storici, dinastie e imperi, eppure quest abitudine di unire il serio al faceto nelle vicende più ignobili della storia dell umanità non conosce crisi. Sopra la testa di Gesù morente sulla croce per la follia umana, i Romani scrissero con grande senso di scherno I N R I : QUI GIACE IL RE DEI GIUDEI. Il giorno della memoria, la commemorazione della Shoah, assume una connotazione carica di significato in carcere. La differenza sostanziale tra i detenuti sottoposti a un trattamento scevro dei più elementari diritti umani in taluni Istituti penitenziari italiani e l olocausto degli ebrei è difficilmente equiparabile per innegabili differenze etiche: noi uomini ristretti abbiamo scelto di commettere i delitti per i quali stiamo pagando il nostro debito con la società, mentre il popolo di Israele non aveva alcuna colpa da espiare in un lager. Paragonare quella tragedia di dimensioni bibliche alle nostre umane sofferenze è impossibile, eppure noi possiamo comprendere la grande ingiustizia nata dalla privazione della libertà. La libertà è il bene supremo e primario per ogni uomo. L evento dedicato al Giorno della memoria si è svolto nel nostro teatro alla presenza di due classi di studenti delle scuole di Bergamo, dei loro professori e dei nostri. Attori principali di questa manifestazione sono stati: la prof.ssa Gabriella Cremaschi molto preparata e particolarmente espressiva nella lettura di spezzoni di opere letterarie inerenti le deportazioni e la vita quotidiana nei campi di sterminio; Erica Polini, una bravissima musicista che con il suo violino ha eseguito intermezzi musicali e noi detenuti che abbiamo letto alcuni brani prodotti da noi sulle prove di resistenza in carcere e dei sopravvissuti alla Shoah. Seduto in fondo alla sala ascoltavo completamente rapito l esecuzione musicale e a un certo punto per comprendere appieno la tristezza delle testimonianze, ho chiuso gli occhi per immaginare la sofferenza del popolo ebreo ingiustamente condannato a morte e un profondo dolore mi è salito direttamente dal cuore. Le note dispiegavano perfettamente nell aria F KLAUDIA, Liceo Scientifico E. Amaldi unzione della mente consistente nel far rinascere l esperienza passata. Questa è una delle tante definizioni che si possono trovare sul vocabolario sotto la voce memoria. L uomo però ha due scelte: può decidere di non ricordare, di seppellire qualsiasi tipo di ricordo lontano da sé, negando così qualsiasi esperienza passata, quindi negando la propria vita, oppure può ricordare ogni esperienza vissuta, bella o brutta, piacevole o non piacevole, questo non importa. Importa il ricordo, importa il far memoria di ciò che è successo affinché ciascuno possa attingere dalle proprie esperienze per le scelte future. La memoria quindi ha un ruolo fondamentale per l umanità, non possiamo immaginarci senza memoria. Non possiamo immaginarci senza il ricordo di qualcosa di bello, di una persona cara scomparsa, ma soprattutto senza il ricordo di qualcosa che si è rivelato sbagliato, dannoso per la nostra storia e quindi doloroso da rammemorare. Il Giorno della Memoria serve proprio a questo: a ricordare ciò che di disumano e inimmaginabile l uomo è riuscito a compiere. La Shoah rimarrà impressa nella storia dell uomo in eterno. I sei milioni di ebrei (e non) uccisi da altri uomini devono rimanere impressi nella memoria storica dell umanità. È nostro dovere ricordarli e cercare di raccontare ciò che è stato. Per farlo può bastare leggere tutti insieme ad alta voce gli scritti di alcuni sopravvissuti. Così abbiamo fatto in carcere noi studenti insieme a detenuti e insegnanti. Abbiamo ascoltato le parole di Primo Levi, Etty Hillesum, abbiamo seguito le musiche per violino e abbiamo cercato di fare memoria. Ci sono tanti modi per farla, questo è quello che noi abbiamo scelto un venerdì pomeriggio di fine gennaio. Primo Levi nella sua poesia Se questo è un uomo lancia quasi una maledizione a chi non vuole ricordare. Meditate che questo è stato: vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore stando in casa andando per via, coricandovi, alzandovi. Ripetetele ai vostri figli. O vi si sfaccia la casa, la malattia vi impedisca, i vostri nati torcano il viso da voi. Ricordare è d obbligo per tutti ed è stato carico di significato farlo in carcere dove alla fine noi studenti siamo stati liberi di andarcene e i detenuti invece no.

19 NUMERO 13 Pagina 19 ISTRUZIONI PER RESISTERE IN CARCERE N REMO BIANCHI on dimenticarsi mai di quello che si era e di come si agiva nelle situazioni positive della vita quotidiana, nelle virtù e non nei vizi. Mantenerci attivi con allenamenti quotidiani nel fisico, nella mente continuando a studiare e pensare di essere sempre giovani in attesa di affacciarci alla vita come neolaureati alla festa di laurea Non perdere mai la speranza di diventare quello che si vuole essere veramente Non mollare, come mi dice sempre mia madre Credere che la parte peggiore della mia vita sia passata o, come in questo caso, stia passando. LAURA P. erco di non farmi mettere i piedi in testa dalle persone C arroganti, che credono sempre di avere ragione, di dialogare ogni volta che non sono della stessa opinione di qualcun'altra mia compagna Cerco di capire le cose che mi circondano, di non chiudermi, isolarmi anche se a volte riflettere da sola mi fa bene Cerco di essere solidale con le persone più care offrendo i miei consigli e anche la mia spalla sulla quale piangere e chiedo aiuto ai volontari Cerco soprattutto di non vivere da ristretta, organizzando la mia giornata nello stesso modo in cui lo facevo fuori: penso alla spesa e alla telefonata da fare, a uscire nell ora d aria, a lavare i vestiti, stenderli e poi ritirarli all orario stabilito. Faccio le pulizie con la musica nelle orecchie. Curo i miei abiti e la mia persona per essere sempre in ordine Aspetto la posta e scrivo il mio diario. T STEFANIA COLOMBO ollerare il prossimo Mostrare cortesia a chi è cortese con me Sopportare talvolta Aiutare materialmente chi ha bisogno perché un giorno potrei essere io ad avere bisogno di aiuto Iscrivermi a tutte le opportunità che mi offre il carcere Disinteressarmi e non prendere parte alle discussioni nelle quali non sono coinvolta Farmi rispettare, rispettarmi e curarmi Non interrompere i contatti con l esterno, i colloqui con i familiari. N INGRID on chiudermi e cercare di capire i diversi punti di vista Riuscire a non farmi coinvolgere dai pensieri negativi e anche dalle azioni Sforzarmi di non fare le cose per ripicca che fanno male a me prima che agli altri Spendere questo tempo in carcere per migliorarmi e migliorare: una sorta di pausa dalla frenesia della vita fuori, per trovare un equilibrio sul piano fisico, emozionale, intellettuale e spirituale. T ANTONIO PELUSO enere maniacalmente pulita la cella dentro e fuori Essere educato e rispettare chi se lo merita Fare palestra fino allo stremo delle mie forze Giocare a ping-pong e fare delle partite a carte Leggere la Gazzetta dello Sport GIUSEPPE CANDIDO alvaguardare la nostra dignità con azioni semplici che S spesso nella frenesia quotidiana fuori dai recinti ci dimentichiamo Contrastare le debolezze che il pensiero ingigantisce, evitare gli attacchi della frustrazione Non cedere mai alle grazie del letto in ore diurne e svegliarsi presto al mattino Leggere un buon libro e trovare quel senso da sfruttare nella quotidianità Mostrarsi umile Non cedere ai ricatti e rispettare chiunque e comunque Proseguire la mia formazione attraverso lo studio QANI KELOLLI ercare di usare meglio il tempo a disposizione e capire C gli errori per non ripeterli mai più Cercare di rimanere in contatto con più persone che vengono dall esterno Riflettere su quanto è preziosa la libertà Rispettare gli altri compagni della cella e le loro opinioni Non diventare falsi e servili con gli operatori Non parlare spesso di processi Non abbandonarsi o arrendersi Essere cordiale

20 Pagina 20 ALTEREGO Non diventare schiavo della tivù Mangiare sano e poco Tenersi puliti e ordinati LINO MARTEMUCCI ercare di svegliarmi sempre con il sorriso C Fare attività sportiva: calcio, palestra e addominali Stare fuori dalle biciclette (malignare sui reati degli altri senza avere letto le carte) Avere un lavoro che mi tenga impegnato una buona parte della giornata Cercare di sfuggire ai depressi Aspettare il colloquio con i miei cari Preparare una tavola imbandita di cose buone Avere fede in Dio Leggere un buon libro Un poster da camionista a fianco del letto Seguire alla Tv le manifestazioni sportive Vivere. Altre prove di resistenza I ANDREA, Liceo Psicopedagogico P. Secco Suardo l Novecento, uno dei secoli più cruenti e rivoluzionari della storia umana, ormai ci è scivolato via ed è stato in buona parte sepolto dagli avvenimenti del XX secolo; tuttavia c è chi ancora conserva di quel secolo il ricordo di storie con gli amici, amori, sentimenti. Pensare che in un tempo così relativamente ristretto, come sono cento anni, siano crollate antiche ideologie e filosofie, portandosi con sé popoli e imperi, è sorprendente e allo stesso tempo inimmaginabile. La storia come una grande madre ha stretto tra le sue dita la sorte di milioni di uomini, consegnandoci la Prima guerra mondiale, o come si suol dire la Grande Guerra, ma anche la fine del fascismo e del nazismo e personaggi come Gandhi e Martin Luther King, che hanno combattuto per la pace e i diritti dell uomo. E il mondo che ci ha reso poveri, è la nostra storia che ci ha reso soli, ma allo stesso tempo ci ha insegnato a continuare a credere e lottare per il futuro, ricordando sempre che le nostre speranze dipendono solo e unicamente da noi. ROBERTA, Liceo Psicopedagogico P. Secco Suardo Mia sorella ono tanti i tesori che ha lasciato per me, era lei stessa il S mio piccolo tesoro. I ricordi che si legano alla sua memoria sono troppi. C è stata fin dall inizio, fin dal giorno della mia nascita. Quello che sono è quello che lei mi ha fatto essere. Il mio stesso nome l ha scelto lei. La guardavo e vedevo il mio modello, il mio ideale di donna. Sono cresciuta così, come l edera si adatta alla forma del traliccio io cercavo di assomigliarle e nel farlo capivo che quello che davvero contava non era tanto diventare una sua fotocopia, quanto prendere esempio dalle sue qualità, dalla sua dolcezza e dalla sua forza, da quell intrinseca umiltà che faceva splendere ancora di più il suo eccellere. Non ha mai conosciuto mezze misure e nel dare mi ha dato tutto, per questo portandola nel mio cuore posso dire di essere io stessa il suo lascito. Mi ha insegnato il coraggio, mi ha tramandato il suo testamento di forza e di amore, mi ha lasciato la speranza, mi ha dimostrato che in un addio c è un per sempre e che nella morte c è vita. È rimasta con me come un odore che impregna una stanza, come una canzone che non si riesce a non canticchiare sottovoce. Mi ha regalato il dolore e la gioia, il saper apprezzare la vita così com è, con i brutti scherzi che ci tira e le piccole sorprese che ci prepara. Rido spolverando i suoi peluche, sapendola maniaca dell ordine e della pulizia. Non posso non pensarla quando mangio uno e un solo spicchio di mandarino, quello che avanzava e che mi lasciava sempre sul bordo del piatto. Non posso non piangere cucinando i suoi dolci preferiti, guardando la porta della cucina come se mi aspettassi ancora di vederla spuntare in cerca di un assaggio rubato. Mi sono eletta suo monumento, le ho dedicato un angolo della mia identità, le ho conservato un posto nel mio cuore cosicché ogni battito potesse essere almeno in parte anche suo. È troppo terribile pensare che semplicemente non ci sarà più, svanita nel nulla, inghiottita da quel crudele buco nero che l ha strappata via dal mio abbraccio. Non potrò più vedere quella luce che le brillava negli occhi, ma farò risplendere i miei al posto loro e sorriderò per scacciare il vuoto che ha lasciato il suo sorriso. Non potrò più stringere la sua mano, ma terrò altre mani tra le mie e lascerò che allontanino il gelo che ha preso il suo posto accanto a me. Nella sua assenza scopro una presenza infinita ed è come se non se ne fosse mai andata. Vivere è l omaggio che le rendo. LUCA Liceo Psicopedagogico P. Secco Suardo ara Chiara, ti ho conosciuta. No, forse ti ho solo vista C passare. Solo un ciao, o un arrivederci o un bacio. Le poche volte che sei venuta a scuola sei sempre stata circondata dalle tue amiche nonché nostre compagne di classe. Dedicavi a loro il tuo prezioso tempo, com era giusto che fosse. Forse ti sono stato distante, ma l unico modo che ho avuto per conoscerti meglio è stata la musica. Sì, perché solo tramite la musica ho potuto parlare con te. L anno scorso abbiamo presentato il nostro lavoro sulla cura dedicato a te: è stato bello vederti sorridere. Un sorriso di speranza. Purtroppo la fugacità del tempo non ha permesso la nostra conoscenza. Ma io e i nostri compagni ti ricorderemo per sempre come una melodia dentro di noi. She s the one.

DOLCI RICORDI - Adattamento e riduzione -

DOLCI RICORDI - Adattamento e riduzione - PROVA DI ITALIANO DOLCI RICORDI - Adattamento e riduzione - Molti anni fa vivevo con la mia famiglia in un paese di montagna. Mio padre faceva il medico, ma guadagnava poco perché i suoi malati erano poveri

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