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1 Il figlio studia e lavora lontano da casa: non c è convivenza né assegnazione dell abitazione (Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza n. 4555/12; depositata il 22 marzo) di Alice Di Lallo Diritto e Giustizia.it L assegnazione della casa familiare viene disposta nell esclusivo interesse dei figli e il fatto che questi trascorrano molto tempo in una città differente, per ragioni di studio o lavoro, fa venire meno il fondamento dell istituto. Con la sentenza n. 4555, depositata ieri, la Corte di Cassazione affronta due questioni relative all indipendenza economica raggiunta dai figli maggiorenni conviventi con il genitore assegnatario della casa familiare. Il caso. In primo grado, la sentenza di divorzio disponeva l assegnazione della casa coniugale all ex moglie e l obbligo in capo all ex marito di contribuire al mantenimento del figlio maggiorenne, ma ritenuto non ancora economicamente autosufficiente. L ex marito, in appello, richiedeva la revoca dell assegnazione della casa familiare e la cessazione del contributo al mantenimento del figlio maggiorenne poiché assunto con contratto a tempo indeterminato con una retribuzione mensile di euro. La Corte rigettava la richiesta di revoca e confermava l assegno di mantenimento a carico del padre, ma in misura quasi dimezzata rispetto alla precedente sentenza di merito. Contraddizione tra indipendenza economica e obbligo di mantenimento. Nonostante la sentenza impugnata avesse ben accertato la sussistenza dell indipendenza economica del figlio maggiorenne, i giudici di appello confermavano la permanenza dell obbligo di mantenimento, sulla base del fatto che il figlio, benché lavoratore, stava continuando i suoi studi universitari e, pertanto, necessitava, quale studente lavoratore, di un contributo per proseguire gli studi che, avuto riguardo ai suoi emolumenti, poteva essere ridotto. La Suprema Corte cassa la sentenza d appello e conferma precedenti orientamenti giurisprudenziali secondo cui la cessazione dell obbligo di contribuzione a favore dei figli maggiorenni cessa allorquando il genitore obbligato provi la raggiunta indipendenza economica del figlio il quale, mediante un attività lavorativa stabile, continuativa, con un reddito corrispondente alla professionalità acquisita nel corso degli anni di studio, è in grado di provvedere direttamente alle proprie esigenze. Assegnazione della casa coniugale: coabitazione od ospitalità. La revoca dell assegnazione della casa familiare veniva chiesta dall ex marito sul presupposto che il figlio lavorava e studiava in un altra città e, a causa dei suoi impegni, tornava solo saltuariamente presso l abitazione assegnata a lui e alla madre con la sentenza di divorzio. I giudici di legittimità, con la sentenza in esame, ritengono opportuno fare luce sulla problematica della nozione di coabitazione convivenza secondo l art. 155 quater c.c. Secondo un primo orientamento della Suprema Corte, per convivenza si intende la stabile dimora del figlio presso l abitazione di uno dei genitori, sussistendo così mera ospitalità laddove il figlio torni a casa solo nei fine settimana. L ospitalità dunque esclude il diritto del genitore ospitante all assegnazione della casa in assenza di titolo di godimento della stessa, anche a prescindere dalla non autosufficienza economica del figlio, idonea al massimo ad incidere solo sull obbligo di mantenimento. Secondo un successivo indirizzo, invece, è sufficiente che il figlio mantenga un collegamento stabile con l abitazione del genitore, facendovi ritorno in base ai propri impegni di studio e lavoro, tale per cui la coabitazione ai fini dell assegnazione non viene meno per lunghe assenze del figlio dalla casa.

2 Ai fini della sussistenza della convivenza il giudice deve valutare in concreto l effettiva presenza del figlio nella casa assegnata. La regolarità del ritorno, il collegamento stabile con l abitazione del genitore, il tempo prevalente trascorso in tale immobile, la frequenza del ritorno del figlio a casa sono tutti criteri che, secondo i giudici di legittimità, fondano il requisito della coabitazione e della convivenza ai fini dell assegnazione della casa coniugale. Tutela ed interesse dei figli a rimanere nell ambiente domestico. La sentenza in commento appare coerente con la ratio dell art. 155 quater secondo cui l assegnazione della casa familiare viene disposta nell esclusivo interesse dei figli e il fatto che questi trascorrano molto tempo in una città differente, per ragioni di studio o lavoro, fa venire meno il fondamento dell istituto, posto a protezione dei figli a seguito della crisi della famiglia d origine. Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 28 novembre marzo 2012, n Presidente Felicetti Relatore Campanile Svolgimento del processo 1 Con sentenza in data 19 dicembre 2005 il Tribunale di Lecce, che aveva già pronunciato con sentenza non definitiva la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto da R.R. e A.M.D., assegnava a costei la casa coniugale, ponendo a carico del R. un contributo di Euro 750,00, da versare mensilmente alla moglie a titolo di contributo per il mantenimento del figlio maggiorenne D., ritenuto non ancora autosufficiente sul piano economico. 1.1 La Corte d'appello di Lecce, con la sentenza indicata in epigrafe, in parziale accoglimento del gravame proposto dal R., riduceva il contributo per il mantenimento del figlio D. ad Euro 400,00 mensili, confermando, nel resto l'impugnata decisione, anche con riferimento all'impugnazione incidentale proposta dall'a., la quale aveva chiesto la declaratoria di inadempimento e la condanna del coniuge al pagamento delle somme non versate in relazione ai contributi dovuti per il mantenimento del figlio come determinati nella causa di separazione fino all'emanazione dei provvedimenti provvisori da parte del presidente del tribunale nel giudizio di divorzio, nonché a rimborsare, previa prestazione di idonea garanzia reale, le spese straordinarie sostenute in via esclusiva dalla madre. Quanto al contributo per il figlio D., si dava atto che costui aveva conseguito un diploma di laurea triennale ed era stato assunto come impiegato tecnico dalla Fiat Avio con decorrenza dal 2 novembre del 2005, con una retribuzione pari a circa Euro 1.500,00 mensili. Si osservava, tuttavia, che il giovane si era iscritto al biennio di specializzazione presso la facoltà di ingegneria di XXXXXX, ragion per cui non poteva ritenersi che avesse conseguito una collocazione adeguata nel corpo sociale. Per tale ragione egli necessitava, quale studente lavoratore, di un contributo per proseguire gli studi che, avuto riguardo ai suoi emolumenti, poteva essere ridotto nei termini specificati. Per la medesima ragione veniva rigettata la domanda di revoca dell'assegnazione della casa familiare all'a., non escludendosi che il figlio, benché lontano per ragioni di studio, tornasse periodicamente dalla madre, avendo per altro ivi conservato la residenza.

3 1.2 Quanto alle richieste dell'a., si osservava che la stessa poteva avvalersi dei titoli costituiti dal verbale redatto in sede di comparizione nell'ambito della separazione personale e della sentenza successivamente intervenuta. 1.3 Per la cassazione di tale decisione propone ricorso il R., deducendo tre motivi. Resiste con controricorso l'a., proponendo ricorso incidentale, cui il R. resiste con controricorso. Motivi della decisione 2 Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi, ai sensi dell'art. 335 c.p.c., in quanto proposti avverso la medesima decisione. 2.1 Con il primo motivo del ricorso principale si deduce, formulandosi idoneo quesito di diritto, violazione e falsa applicazione dell'art. 155 quater cod. civ., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all'art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c, rilevandosi che, avendo la corte territoriale accertato che il figlio maggiorenne D. svolge attività lavorativa in XXXXXX, essendo stato assunto a tempo indeterminato presso la Fiat Avio, il periodo che potrebbe trascorrere nella casa coniugale sarebbe veramente limitato, facendo venir meno quel collegamento stabile richiesto affinché risulti integrato il requisito della convivenza. 2.2 Il motivo è fondato. La censura in esame, come puntualmente rilevato dal P. G. di udienza, implica una problematica quella sulla nozione di coabitazione traibile dall'art. 155 quater c.c., secondo cui il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Secondo un primo orientamento di questa Corte (Cass., 22 aprile 2002, n. 5857), la nozione di convivenza rilevante agli effetti di cui si tratta comporta, peraltro, la stabile dimora del figlio presso l'abitazione di uno dei genitori, con eventuali, sporadici allontanamenti per brevi periodi, e con esclusione, quindi, della ipotesi di saltuario ritorno presso detta abitazione per i fine settimana, ipotesi nella quale si configura invece un rapporto di ospitalità, con conseguente esclusione del diritto del genitore ospitante all'assegnazione della casa coniugale in assenza di titolo di godimento della stessa, a prescindere dalla mancanza di autosufficienza economica del figlio, idonea, se mai, ad incidere solo sull'obbligo di mantenimento. In altra, più recente, pronuncia (Cass., 27 maggio 2005, n ), questa Corte ha affermato che al fine di ritenere integrato il requisito della coabitazione, basta che il figlio maggiorenne pur in assenza di una quotidiana coabitazione, che può essere impedita dalla necessità di assentarsi con frequenza, anche per non brevi periodi, per motivi, ad esempio, di studio mantenga tuttavia un collegamento stabile con l'abitazione del genitore, facendovi ritorno ogniqualvolta gli impegni glielo consentano, e questo collegamento, se da un lato costituisce un sufficiente elemento per ritenere non interrotto il rapporto che lo lega alla casa familiare, dall'altro concreta la possibilità per tale genitore di provvedere, sia pure con modalità diverse, alle esigenze del figlio. In virtù di tale indirizzo, la coabitazione non cessa per l'assenza, anche per periodi non brevi, del figlio per ragioni di studio o di lavoro. L'ampia accezione del rapporto di coabitazione, così elaborata, rivela profili di

4 incompletezza che finiscono con il dilatare enormemente l'area semantica del termine coabitazione, con il rischio di farne sinonimo di ospitalità. Anzitutto, sul piano linguistico essa fa uso esclusivamente del termine coabitazione e della locuzione rapporto di coabitazione, discostandosi dal linguaggio legislativo, sia della legge sul divorzio (che all'art. 6 comma 6 parla di figli che convivono oltre la maggiore età con il genitori), sia degli articoli del libro primo del codice civile, ove a vario titolo è coinvolto il rapporto di filiazione, nei quali si fa uso esclusivo del verbo "convivere" e del termine "convivenza". Non sembra, poi, coerente con la ratio della persistenza della legittimazione iure proprio del genitore l'avere omesso una considerazione approfondita sull'estensione temporale della presenza del figlio nell'unità abitativa con il genitore già affidatario, affermandosi semplicemente che la presenza solo saltuaria per la necessità di assentarsi con frequenza, per motivi di studio o di lavoro, anche per non brevi periodi, non comporta difetto di coabitazione allorché il figlio ritorni ogniqualvolta gli impegni glielo consentano. Difatti, se in tanto la legittimazione persiste in quanto resta invariata la situazione di fatto oggetto di regolamentazione, e più specificamene restano identiche le modalità di adempimento dell'obbligazione di mantenimento, e se è vero che è proprio il fatto oggettivo della convivenza che vale a protrarre l'attività di cura materiale del figlio divenuto maggiorenne poiché il genitore convivente continua a effettuare tutte le prestazioni necessarie e adeguate alle e sigenze di questo sostenendone direttamente e quotidianamente il peso economico, non sembra che possa sottovalutarsi l'estensione in un arco temporale determinato dell'assenza del figlio dalla sede della coabitazione solo ed esclusivamente perché costui vi fa comunque ritorno non appena possibile e in ciò manifesta una volontà di non separarsi definitivamente dal genitore. D'altro canto, non si può negare che assenze protratte per lunghi periodi ben possono travolgere la sussistenza del rapporto di convivenza, pur quando intervallate da ritorni regolari alla sede dove si svolge la coabitazione. Volendo individuare dei criteri di giudizio per accertare la sussistenza o meno della coabitazione nelle zone grigie contrassegnate da una presenza pacificamente non diuturna dei soggetti che si assumono coabitanti, è da ritenere che quello definibile come criterio della regolarità del ritorno, il collegamento stabile con l'abitazione del genitore di cui parla il più recente indirizzo, debba necessariamente coniugarsi con il criterio della prevalenza temporale in relazione a una determinata unità di tempo (anno, semestre, mese) dell'effettiva presenza (ragion per cui nessun valore può attribuirsi, come mostra di ritenere la corte territoriale, al dato formale costituito dal certificato di residenza) del figlio nel luogo di coabitazione con il genitore o, in ogni caso, con il criterio della frequenza con cadenza regolare del ritorno in rapporto a quella stessa unità di tempo assunta per il criterio della prevalenza temporale. 2.3 Non sembra che, con riferimento a entrambi gli orientamenti sopra indicati, la Corte territoriale abbia correttamente applicato la norma in questione, in quanto, pur dando atto che il figlio maggiorenne lavora stabilmente nella città di Torino e studia alla locale facoltà di ingegneria, afferma letteralmente che tutto ciò non esclude che egli torni periodicamente dalla madre, laddove l'indagine che si chiedeva alla corte di espletare era se e con quale frequenza il figlio tornava effettivamente presso l'abitazione coniugale assegnata alla madre, vale a dire di accertare la stabilità del rapporto di convivenza, tenendo anche conto delle condizioni di vita del figlio, delle ragioni dell'allontanamento dalla casa coniugale, della distanza fra il luogo in cui essa e sita e quello in cui il figlio si è trasferito, dei periodi reali di permanenza nell'ambiente familiare originario, che, in effetti, costituisce il fondamento della priorità da valutarsi nell'assegnazione della casa familiare. 3 Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 155 e 155 quinquies c.c. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il

5 giudizio, in relazione, rispettivamente, all'art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c., ponendosi in evidenza la contraddizione fra l'accertato conseguimento dell'indipendenza economica, mediante assunzione a tempo indeterminato, con la percezione di uno stipendio pari, all'incirca, ad Euro 1.500,00 e la permanenza dell'obbligo di mantenimento. Viene al riguardo formulato il seguente quesito di diritto: "Dica l Ecc.ma Corte se, nell'ipotesi in cui il figlio maggiorenne, assunto con contratto a tempo indeterminato, svolgendo un lavoro attinente agli studi effettuati, avendo conseguito un diploma di laurea triennale, con stipendio iniziale da impiegato tecnico di V livello e contratto aziendale che prevede l erogazione di un premio di risultato variabile e di un premio di produzione, pur se iscritto all'università degli Studi per la specializzazione, possa ritenersi non autonomo economicamente e, quindi, in diritto di percepire un assegno di mantenimento". 3.1 Il motivo è fondato, nei sensi appresso indicati. Deve in proposito richiamarsi l'orientamento, già espresso da questa Corte, e condiviso dal Collegio, secondo cui, in regime di separazione o divorzio fra i genitori, l'obbligo di versare il contributo di mantenimento per i figli maggiorenni al coniuge presso il quale vivono cessa solo ove il genitore obbligato provi che essi abbiano raggiunto l'indipendenza economica, percependo un reddito corrispondente alla professionalità acquisita in relazione alle normali condizioni di mercato, ovvero che essi si sottraggono volontariamente allo svolgimento di un'attività lavorativa adeguata. Una volta che sia provato l'inizio di un'attività lavorativa retribuita, costituisce valutazione di merito, incensurabile in cassazione se motivata, quella circa l'esiguità, in relazione alle circostanze del caso, del reddito realizzato al fine di escludere o diminuire l'assegno (ex multis: Cass. 24 gennaio 2011, n. 1611; Cass. 17 novembre 2006, n ; 17 giugno 2006, n ; 24 novembre 2004, n ; 3 aprile 2002, n. 4765). La sentenza impugnata, nel valorizzare la circostanza della prosecuzione degli studi da parte di Da..Ru., ha omesso di accertare se, a prescindere da tale dato, di per sé non esaustivo, il figlio predetto, in relazione al percorso di studi intrapreso, alle condizioni economiche della famiglia, al tipo di occupazione, con riferimento alla corrispondenza alle aspirazioni professionali perseguite, nonché all'entità della retribuzione, potesse aver raggiunto l'indipendenza economica, nei termini sopra delineati. 4 L'accoglimento dei suddetti motivi, assorbenti rispetto alle restanti censure del ricorso principale e al ricorso incidentale, comporta la cassazione della decisione impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Lecce, affinché, in diversa composizione, applichi i principi sopra enunciati, provvedendo, altresì, al regolamento delle spese relative al presente giudizio di legittimità. P.Q.M. Riunisce i ricorsi. Accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il primo e il secondo motivo del ricorso principale, assorbito il terzo ed il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Lecce, in diversa composizione.

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