American Dream Il mito americano

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1 American Dream L America del dopoguerra ha prodotto un modello di società che negli anni a seguire si è imposto al mondo. Dal 1945 al 1960 l egemonia politica, economica e culturale degli Stati Uniti si è costruita sull estromissione dell Europa indebolita dalla guerra. Questo periodo consacra l idea di progresso e di avanzata tecnologica al rango di dogma che si applica tanto all industria quanto all economia e alla cultura. La superpotenza americana, nel 1945, si fondava innanzitutto su una schiacciante egemonia economica, certo illusoria poiché eretta sulle rovine dell Europa e del Giappone e di conseguenza necessariamente provvisoria, ma che ciò nondimeno raggiungeva, in termini di cifre, un livello senza precedenti nella storia. Questa mostra, attraverso opere significative di artisti espressionisti o pop che animarono la scena americana degli anni Sessanta, vuole illustrare lo spirito di entusiasmo e di libertà che s impose nel paese in quegli anni in cui l arte, l industria e l economia parteciparono a uno slancio creativo che sconvolse le abitudini di vita. La meccanizzazione produceva già da lungo tempo oggetti di desiderio che l arte, grazie alla pop art, trasformò in icone moderne, rappresentazioni spesso moltiplicate di simboli di una civiltà potente e dominatrice. Gli Stati Uniti, in uno stesso slancio, seppero altrettanto bene esportare il loro modello di società e imporre un arte che ne era il principale sostegno. Questa rassegna ci mostra, in un parallelo tra le mitiche moto Harley-Davidson e Indian, e le opere di artisti come Mark Tobey, Franz Kline, Andy Warhol, Jim Dine, Robert Rauschenberg, Sam Francis, Robert Indiana, Larry Rivers, il rapporto sottile che esistette tra l industria e l arte in quegli anni di totale euforia. Il mito americano Il desiderio di conquista che anima gli Stati Uniti in questi anni di crescita e di prosperità collettiva trae origine dallo sviluppo intenso dell attività economica del paese tra la fine del XIX secolo e i primi cinquant anni del XX. In questo periodo l industrializzazione trasforma gli Stati Uniti. L agricoltura e l industria si meccanizzano, mentre i servizi conoscono una standardizzazione precoce. Le innovazioni tecnologiche e l utilizzo delle macchine utensili sono molto più importanti qui che altrove. Il telefono, inventato da Alexander Bell, è già diffuso in un milione di esemplari nel Lo spirito d invenzione e la capacità di trasformarla in modello industriale innovativo costituiscono la base di una società in pieno sviluppo. Un dinamismo straordinario, combinato con il desiderio individuale di ricchezza e di successo, spingono i pionieri dell industria a sviluppare sistemi di produzione su ampia scala. Basti citare la perseveranza di Henry Ford, fondatore della celebre Ford Motor Company di Detroit, per illustrare questa tenacia nell imporre un idea che si rivelerà rivoluzionaria: il montaggio in serie di veicoli destinati al grande pubblico. Nel 1908 la prima Modello T esce dalla fabbrica Ford di Detroit, fondata nel La costruzione dell autovettura è semplificata e ne rende il costo particolarmente interessante. Nel 1914 il costruttore di automobili americano istituisce un nuovo metodo di lavoro: la catena di montaggio. Grazie a questa innovazione i tempi di produzione della Ford T si riducono considerevolmente, passand da sei ore a un ora e mezza. La produttività della fabbrica si moltiplica per quattro. L operaio sta quasi fermo e assembla i pezzi che sfilano davanti a lui: è nato il fordismo. Tra il 1908 e il 1927 saranno prodotti più di 15 milioni di Ford Modello T. Il mito americano si costruisce sulla produzione di oggetti che cambiano la vita quotidiana degli individui apportando profonde modificazioni nella loro esistenza. La meccanizzazione trasforma le realtà più comuni, come l uso della cucina, della sala da bagno e delle loro apparecchiature, radicandosi profondamente in una prassi che penetra e trasforma lo spirito umano. La velocità d esecuzione delle varie mansioni divenuta uno standard illustrato

2 sviluppo dell elettrodomestico, dell automobile ecc. Questi oggetti tanto ambiti, la cui produzione tocca livelli di precisione e di eleganza assai elevati, raggiungono il pantheon di una mitologia contemporanea al pari delle opere d arte. Motociclette, automobili, aerei sono le sculture dei tempi moderni, ideali di perfezione, oggetti di desiderio, magnifici nelle loro strutture e nella loro concezione. Insieme alle automobili nascono le prime moto. Le Indian si impongono per prime. Nel 1899 Oscar Hedström, che partecipa regolarmente a gare di bicicletta su pista, mette a punto un tandem motorizzato per l allenamento dei corridori, ispirandosi a un motore del costruttore di automobili De Dion-Bouton per creare il proprio propulsore. George Hendee, rappresentante di biciclette, rimane talmente affascinato dalle prestazioni di questo tandem che propone a Hedström di mettersi in società con lui. Nasce così, nel 1901, la loro prima motocicletta, alla quale danno il nome Indian, modello rivoluzionario per l epoca. Ben presto attorno a queste moto nasono leggende, sfide. Il marchio progredisce e s impone partecipando a varie competizioni. Le gare per dimostrare la supremazia di una casa sulle altre diventano cosa frequente già a quell epoca: per rispondere a una sfida lanciata da Collier, fondatore (insieme al fratello) della Matchless, Jake De Rosier, pilota di Indian, giunge a chiedere alla casa omonima di preparargli una moto specifica per battere il concorrente sulla celebre pista di Brooklands. È così che nasce la famosa moto a motore bicilindrico di 994 cm 3 a otto valvole: una delle prime, se non la prima in assoluto della storia. Per la cronaca, era sprovvista di acceleratore. Nel 1913 Indian è forse uno dei costruttori più innovativi d America, se non del mondo. Tuttavia, malgrado una tecnologia sempre più moderna, la marca attraverserà con difficoltà la crisi del 1929 e uscirà dalla seconda guerra mondiale debolissima. Il mondo industriale non perdona gli imprenditori sfortunati, e la Indian Motor Company continuerà il suo declino fino al 1953, anno in cui cesserà di esistere. Ma le Indian conservano la loro leggenda e restano tra gli oggetti mitici di un epoca in cui l invenzione favorisce i sogni e permette di sviluppare sistemi innovativi, che devono tuttavia rispettare strette regole di competitività. La macchina economica non tollera il fallimento. La spietatezza del sistema impone una legge di vita o di morte sulle imprese come sugli individui. E alcuni soccombono, malgrado il loro talento. L aspetto trionfante dell America vincente è ben illustrato dall epopea Harley-Davidson. Questa marca, adottata da attori cult come Marlon Brando, è un simbolo degli Stati Uniti: Harley-Davidson, del resto, è tra i dieci marchi americani più conosciuti al mondo, insieme a Coca-Cola e Disney. La sua storia appartiene alla leggenda americana che tocca il suo apogeo negli anni Sessanta con un film come Easy Rider, diretto da Dennis Hopper nel 1969, entrato nel repertorio del National Film Registry nel 1998 per il suo apporto significativo al cinema e alla cultura americana. Questo road movie, destinato a diventare un emblema della generazione hippy degli anni Sessanta-Settanta, racconta il viaggio di due giovani motociclisti (Peter Fonda e Dennis Hopper) a bordo dei loro choppers Harley attraverso gli Stati Uniti, da est a ovest, sulla Route 66. Durante la loro cavalcata i protagonisti incontrano una comunità hippy e scoprono quel modo di vita. Dopo varie peripezie proseguono la loro traversata confrontandosi con l America profonda, razzista e conservatrice che rifiuta le novità degli anni Sessanta. Il film rafforza l immagine della marca Harley, ancorandola alla sfera di una mitologia moderna, sostenitrice della libertà e della provocazione. Questa simbologia la rende un oggetto di culto al pari delle opere prodotte dagli esponenti della pop art. Il chopper di Peter Fonda, nel film, era del resto customizzato con una bandiera americana, a immagine delle Three Flags di Jasper Johns. La storia della Harley-Davidson risale al 1903, anno in cui fu fondata da due giovanissimi

3 americani: William Harley e Arthur Davidson. Come molte storie di successo industriale, la leggenda della Harley iniziò in una piccola rimessa di Milwaukee. I due amici, allora ventenni, lanciarono la loro impresa costruendo un prototipo di bicicletta motorizzata. Il primo anno realizzarono solamente tre motociclette, battezzate Silent Grey e vendute a duecento dollari l una. Divenuta un impresa familiare, nel 1907 la Harley-Davidson Motor Company ebbe come primo presidente Walter Davidson e contava allora 18 dipendenti. Ben presto, nel 1908, la Harley-Davidson debutta in gara e Walter Davidson vince la New York s Catskill Mountain sulla sua Silent Grey Fellow davanti a 62 avversari. Grazie a questa vittoria le vendite prendono il volo. Lo stesso anno la polizia di Chicago ordina un lotto di Harley-Davidson (che allora è prodotta in 450 esemplari all anno). Nel 1909 la casa lancia il suo primo motore bicilindrico e diventa la moto più veloce sul mercato. Il famoso logo Bar and Shield (barra e scudetto) vede la luce nel 1910, conferendole un autenticità visiva e un identità culturale. Nel 1919 l impresa ha già più di duecento concessionarie negli Stati Uniti e a partire dal 1913 domina il mercato americano con una produzione di moto. Alla fine della seconda guerra mondiale sono uscite dalla fabbrica motociclette in versione armata. Nel 1946 la casa riprende l attività civile e inaugura una nuova fabbrica a Wauwatosa, nel Wisconsin. Nel 1953 esce negli Stati Uniti il film The Wild One (Il selvaggio), che illustra i conflitti generazionali attraverso l ostilità giovanile contro la tradizione. Questo violento road movie consacra la Harley-Davidson nel ritratto di una società americana in mutazione e annuncia gli sconvolgimenti del decennio successivo. Il film è l adattamento di una notizia ispirata a un fatto di cronaca avvenuto nel 1947 a Hollister, in California, dove quattromila motociclisti fuorilegge irruppero in quella piccola e tranquilla cittadina. Il selvaggio racconta l impennarsi della violenza in questa pacifica borgata sconvolta dal comportamento sfrenato dei teppisti, rappresentanti di una generazione tormentata da un certo mal di vivere. Due bande rivali di giovani motociclisti si affrontano: i Ribelli Neri sotto la guida di Johnny (Marlon Brando) e la banda di Chino (Lee Marvin); quest ultimo corre sulla sua Harley con l atteggiamento insolente di un vero e proprio biker, mentre Marlon sfoggia una scintillante Triumph. Sprezzante delle autorità di polizia, l orda selvaggia distrugge tutto senza che lo sceriffo osi intervenire. Il film farà scandalo alla sua uscita negli Stati Uniti e in Europa alcuni paesi lo censureranno per diversi anni. Ma esso illustra la parte innegabile che il mito del biker occupa presso una gioventù che rivendica indipendenza e libertà. E così Il selvaggio regala una risonanza mondiale, certo molto deformata, al movimento biker iniziato in California, inscrivendolo per sempre nella controcultura, così come il nascente rock n roll e il movimento letterario della beat generation L universo dei bikers s impone da allora come fatto sociale che culmina dopo la guerra in movimenti di rivendicazione tra i quali gli harleysti occupano un posto di primo piano e che determinano fenomeni di appartenenza tendenti a incoraggiare lo sviluppo di comportamenti collettivi i quali portano all emergere di una comunità legata al marchio. Il culto dell oggetto sacralizzato apparenta la motocicletta a un ideale assoluto dotato di qualità di eccellenza tecnica, estetica, simbolica, avvicinandola a un opera d arte. Damien Hirst, del resto, ne realizzerà una versione ricreando il look di una Harley-Davidson Cross Bones a beneficio del Project Angel Food. La mitologia industriale entra così nel pantheon della storia artistica, dimostrando la capacità dell arte di assorbire una realtà quotidiana sublimata. Marcel Duchamp e il ready-made La storia del XX secolo ci insegna che non esiste più frontiera tra l oggetto banalizzato dall uso quotidiano e l oggetto d arte idealizzato. Questa, almeno, la lezione lasciataci da Marcel Duchamp. Infatti, parallelamente alle trasformazioni tecnologiche che permettono la

4 moltiplicazione in massa del prodotto, inducendo modificazioni definitive dei comportamenti sociali, la storia dell arte integra i nuovi elementi della produzione e della moltiplicazione. Ed è proprio a New York, dove si trasferisce nel 1915, che Duchamp sviluppa l idea del readymade, il quale consiste nello scegliere oggetti d uso quotidiano, preferibilmente prodotti industrialmente, ed esporli come opere d arte, aprendo la via alle pratiche avanguardistiche più estreme. Nel 1917, con un gesto provocatorio, egli propone così la sua Fontaine, un orinatoio firmato che sarà rifiutato al Salon della Society of Independent Artists. L oggetto è un semplice sanitario acquistato in un negozio della ditta J.L. Mott Iron Works a New York. Duchamp vi ha solo aggiunto la firma R. Mutt 1917 in colore nero. Con questo gesto l artista proclama il rinnegamento dell immagine artistica così come è stata veicolata dalla storia. Si tratta, per lui, di uno sconvolgimento ragionato della tradizione. Era dal 1915 che egli elaborava l idea di una demolizione radicale delle convenzioni, delle tendenze e delle tecniche tradizionali della pittura. Sotto l influenza di quel gusto dell invenzione che aveva sconvolto le scienze a partire dal XVIII secolo, Duchamp immagina che sia possibile scoprire, in tutti i nostri sentimenti, segreti sensibili dell ordine di quelli svelati dalle scoperte di laboratorio. E si appresta dunque a fare tabula rasa dello spirito, dei suoi valori di espressione, delle sue ragioni e delle sue realizzazioni, allo scopo di attribuire all immagine un ruolo che non ha ancora definito esattamente, ma che pretende radicalmente nuovo. Il progresso diventa fonte di creazione e la pittura rimane una tecnica arcaica alla quale egli sostituisce procedimenti creativi innovativi. Le Grand Verre è, in questo senso, un opera esemplare, poiché si tratta di un lavoro di ricerca mai conclusa, il cui titolo originale è La mariée mise à nu par ses célibatraires, même. Messa a punto tra il 1915 e il 1923 a New York, l opera è composta da due lastre di vetro assemblate (complessivamente 272 x 176 cm), pittura a olio, filo di piombo, polvere Involontariamente danneggiata alcuni anni dopo, fu poi ricostruita. Qui non si tratta più di pittura, ma di un elaborazione progressiva che integra il dato temporale. Duchamp giudica impossibile e irrisorio accedere a nuovi linguaggi basandosi solamente sull utilizzo di mezzi rimasti, in fondo, tradizionali. È in questo senso che egli pone un principio di trasposizione che costituisce la base logica della creazione di un universo sotto la forma del quale egli intende trascendere l antico. La concezione generale dell artista nei suoi rapporti con il mondo reale è quindi ispirata dall idea di un inversione totale, che egli considera la sola in grado di gettare nuova luce sui rapporti tra le cose e sulle operazioni dello spirito. E gli mintenti di Duchamp eserciteranno sull arte un influenza considerevole Il trasferimento di Duchamp negli Stati Uniti rappresenta il preludio di una modificazione nel meccanismo di funzionamento del mondo dell arte. Parigi e la Francia restano assai influenti tra le due guerre, e vi continuano a operare artisti come Picasso che diventa una gloria dell arte internazionale, ma intanto New York, già consapevole delle nuove implicazioni, organizza una risposta creando, sull esempio del Salon parigino, l Armory Show. La sua prima edizione, nel 1913, organizzata da un gruppo di artisti, accorda infatti ampio spazio alle avanguardie europee, ma intende anche affermare una produzione americana che si liberi del suo provincialismo e imponga un arte innovatrice. L Armory Show del 1913, ufficialmente conosciuto come International Exhibition of Modern Art, è la prima grande esposizione di queste opere in America. La mostra contesta e modifica la definizione e l atteggiamento accademico e pubblico nei confronti dell arte, e così facendo cambia il corso della storia per gli artisti americani. Segnando la fine di un epoca e l inizio di un altra, l Armory Show infrange la quiete provinciale dell arte americana, scuotendo il pubblico e mettendo in crisi le accademie di pittura e scultura. Quattromila persone visitano quelle sale nella serata inaugurale. Per la prima volta il pubblico americano, la stampa e il mondo dell arte in generale assistono ai cambiamenti provocati dai grandi innovatori dell arte europea, da Cézanne a Picasso. La mostra suscita profondi cambiamenti nel mercato dell arte americano e

5 porta all accettazione nei confronti delle opere moderne. Con l Armory Show gli americani intendono entrare nella competizione internazionale dell arte, prendendo come punto di partenza le avanguardie europee. Il trasferimento di Marcel Duchamp a New York lo induce a un periodo di riflessione creativa. Egli realizza, come abbiamo visto, opere fondamentali come Le Grand Verre o la Fontaine, ma presto il suo interesse per l arte si attenua e se ne allontana per alcuni anni. Sarà attraverso il surrealismo che egli rinnoverà le sue ricerche artistiche, organizzando numerosi eventi in collaborazione con André Breton. Lo spirito che aveva guidato le sue creazioni prefabbricate ritrova un eco notevole negli anni della seconda guerra mondiale, durante i quali numerosi surrealisti si rifugiano negli Stati Uniti. La ridefinizione dell arte, adottando la provocazione come mezzo d azione, così come l ironia e la libertà, elementi caratteristici anche del comportamento dada, s impone in un mondo che si reinventa. È così che Marcel Duchamp acquista una fama crescente e diviene celebre dopo la guerra. Ma solo nel 1964 saranno prodotte repliche della Fontaine del 1917, in una versione realizzata dalla Galleria Schwarz di Milano. E però già negli anni Cinquanta una nuova generazione di artisti americani che si qualificano neo-dadaisti, come Jasper Johns e Robert Rauschenberg, riconosce Duchamp come precursore. L anticonformismo come marchio di fabbrica Per tornare alla Harley-Davidson e al film Easy Rider, vi ritroviamo le interazioni che guidano il regista del film, Dennis Hopper, ricordando le relazioni che legano il suo percorso al mondo pop degli anni Sessanta, celebrando anche l unione inscindibile di una meccanica elevata al rango di icona con uno spirito anticonformista, caratteristica necessaria e indispensabile dei principali esponenti della cultura pop di quegli anni. Simbolo della gioventù e del rifiuto dei pregiudizi, Dennis Hopper incarna un cinema libertario, al limite della rottura. Con Easy Rider, road movie nichilista e metafisico dalla colonna sonora esplosiva, si crea un nuovo ordine del mondo. Un America in cui si esprimono liberamente gli amanti del rock e degli allucinogeni, uomini che sognano, donne che accettano la propria sessualità, artisti che riconquistano il reale. Easy Rider è un film nel quale Dennis Hopper, con modi di sceneggiatura insoliti, invita per la durata di una scena gli eroi della sua epoca: Phil Spector (il produttore musicale più influente e inventivo della storia della musica pop), Wallace Berman (artista che esponeva regolarment alla Ferus Gallery, grande galleria pop di Los Angeles che nel 1962 accolse la prima mostra personale di Andy Warhol: Campbell s Soup Cans), George Herms (artista noto per i suoi assemblages fatti con oggetti di recupero), e naturalmente gli attori Peter Fonda e Jack Nicholson, prima che diventassero mostri sacri. Questo mix culturale Dennis Hopper lo rivendica. Nel 1969, sulla sua Harley-Davidson, egli è conosciuto dai cineamatori che lo ricordano a fianco di James Dean teppista in Gioventù bruciata di Nicholas Ray (1955). È famoso per aver cofirmato un ready-made con Marcel Duchamp nel 1963, per aver recitato in film sperimentali di Andy Warhol (Tarzan and Jane Regained Sort of, del 1964), per aver collezionato pop art prima di chiunque altro a Los Angeles (Roy Lichtenstein e Jasper Johns), per aver sostenuto i fautori della rivolta politica (da Jane Fonda a Martin Luther King), per aver scattato centinaia di fotografie in bianco e nero di manifestazioni e performance artistiche, per aver pubblicato le sue foto affascinanti di una nuova mitologia americana sulle copertine di Vogue e di Artforum Vengo dall espressionismo astratto e dal jazz, amava dire l attore-regista-artista. Hopper è sempre stato un appassionato amante dell arte e un collezionista ispirato, che ha cercato di inscrivere la moltitudine dei suoi interessi in una rete di rapporti intensi con il mondo contemporanea. Le sue passioni lo portano al di là delle attese del suo pubblico: dal cinema verso la fotografia; dalla fotografia verso la pittura e la scultura; dalla scultura verso la

6 performance; dalla performance verso il cinema sperimentale I suoi amici appartengono ai movimenti pittorici più ribelli e sovversivi del tempo. Espressionismo tra libertà e ufficialità Dennis Hopper incarna perfettamente la generazione americana del dopoguerra il cui atteggiamento disinvolto, sperimentale e conquistatore trova la sua degna rappresentazione nel mondo dell arte che si apre a tutte le possibilità. L espressionismo astratto rappresentato in questa mostra da Franz Kline, Mark Tobey, Sam Francis e, in misura minore, da Larry Rivers, il cui lavoro oscilla tra astrazione e figurazione inventa nuove tecniche, mescolando influenze diverse come il surrealismo (subconscio, scrittura automatica, dripping), l astrazione di Wassily Kandinsky e di Arshile Gorky e l insegnamento di Hans Hofmann. La nozione di espressionismo astratto nasce nel 1948, a New York, nell ambito di un circolo fondato da Willem de Kooning, Franz Kline e alcuni altri artisti, che presto attira personalità assai diverse come Ad Reinhardt e Jackson Pollock, in un clima fortemente ostile al formalismo. In quel dopoguerra che fa da traino al boom economico degli Stati Uniti, New York diventa la capitale mondiale dell avanguardia e, più in generale, dell arte moderna, e l espressionismo astratto è al centro del dibattito. L arte simboleggia questa egemonia appena conquistata dagli Stati Uniti e manifesta la propria autenticità, in un primo tempo, attraverso una rimessa in discussione dei canoni e degli stereotipi. Artisti come Pollock, Rothko e Motherwell rivendicano una totale libertà creativa: secondo Jackson Pollock gli artisti contemporanei non devono più rivolgersi a un soggetto esterno come fonte d ispirazione. Egli inventa il dripping e dipinge per terra, perché, come dice lui stesso: Per terra, sono più a mio agio. Mi sento più vicino al quadro, ne faccio maggiormente parte; perché in questo modo posso camminarci attorno ed essere letteralmente dentro al quadro. Non c è paesaggio né contesto. Io sono la natura! ci dice. La sua pittura si orchestra per ritmi puri alla maniera del jazz, che egli ascolta incessantemente e che è una musica d improvvisazione. Le grandi tele sgocciolate ed esplose di Pollock offrono allo spettatore l opportunità di una riflessione interiore. La trama complessa dei colori enfatizza la superficie della tela e la stesura pittorica. L occhio non viene sedotto da una zona particolare, né diretto al di fuori della cornice dell opera. Non vi è evidenza esplicita di rappresentazione del mondo dietro la tela. Il dripping è una tecnica, e la tecnica stessa diventa arte. Un arte, tuttavia,non priva d intenti politici: anche se l artista rivendica libertà e autonomia, egli è sottoposto alla necessità di costituire una scena americana. Le opere di Jackson Pollock vengono esibite in un periodo in cui, probabilmente, è politicamente vantaggioso mostrare l emergere di una nuova avanguardia americana. In questa prospettiva i collezionisti e i mercanti americani, e in particolare il Museum of Modern Art, cercano di salvare l arte europea dalla minaccia fascista, diventando i nuovi tutori e catalizzatori della scena artistica contemporanea. Così nel 1948, quando viene messo a punto il Piano Marshall, Clement Greenberg pubblica il suo articolo epocale The Decline of Cubism, dichiarando che l avanguardia europea è divenuta ridondante. Alla luce di ciò, quindi, allorché Pollock parla di intenti contemporanei e i critici rivendicano l autonomia dell arte, è utile cercare una connessione tra gli obiettivi dichiarati dal singolo artista o critico e gli intenti più ampi della società di cui sono costretti a far parte per sopravvivere. In questo contesto, e malgrado le rivendicazioni di Pollock, i quadri diventano simboli forti di una politica culturale espansionista. Ciò nondimeno ne nascono opere pittoriche straordinarie, dense di colori gettati sulla tela in strati spessi di pittura. Quanto a Rothko, benché inquadrato nel movimento espressionista astratto, egli rifiuta la definizione alienante di action painter. La sua arte, che si esprime per campi di colore, è definita colorfield painting, di ispirazione spirituale e meditativa, e assorbe lo spettatore in

7 tele monumentali: la dimensione stessa dell opera è necessaria all espressione pittorica. Altro fondatore del movimento, Willem de Kooning sviluppa una sua tecnica e diventa, insieme a Jackson Pollock, l emblema dell action painting, modellando la sua pittura a vigorosi colpi di spatola o di lama. Pure la sua gestualità comporta colature e schizzi di colore. L opera, anche quando è terminata, ha quindi un sapore di incompiutezza che l immaginazione dello spettatore può intendere a proprio modo. A poco a poco questo lavoro ambiguo affascina e s impone a sua volta come una forma di espressionismo astratto. Uno dei primissimi rappresentanti di questo movimento è Franz Kline. Pittore figurativo fino al 1949, egli abbandona poi di colpo la figurazione. Un giorno, intento a ingrandire alcuni schizzi di personaggi con un proiettore ottico, scopre con interesse che un suo disegno a pennello, di una poltrona a dondolo di dieci centimetri per dodici, si trasforma in gigantesche pennellate nere che fanno scomparire qualsiasi immagine, ingrandite al punto da divenire entità a sé, scollegate da ogni realtà se non la propria. Il cambiamento di orientamento del pittore è brusco e decisivo. Da allora egli decide di dipingere quadri costituiti da semplici trame bianche e nere che si sovrappongono urtandosi l una con l altra, seguendo ritmi differenti, definendo una maniera e uno stile caratteristici. I suoi quadri bianchi e neri sono ancorati alla sensibilità artistica americana degli anni Cinquanta, benché segnati da influenze della calligrafia giapponese che egli in parte rifiuta: Lo spazio, secondo la concezione orientale, è infinito afferma infatti, non è spazio dipinto, mentre il mio lo è. La calligrafia è scrittura, e io non scrivo. A volte si pensa che io prenda una tela bianca e che vi dipinga un segno nero, ma non è vero. Dipingo il bianco così come il nero; il bianco è altrettanto importante. La posizione di Franz Kline nei confronti del gesto è ugualmente ambigua. Alla maniera della gestualità liberatrice di Pollock, egli riserva grande spazio all improvvisazione. Tuttavia lavora di frequente sulla base di bozzetti, riservandosi la possibilità di rimaneggiare completamente il quadro; pur essendo aleatorio, il suo gesto è comunque sempre molto curato. Qui abbiamo un opera su carta del 1950 caratteristica delle prime trame in bianco e nero che l artista adotta quasi come un marchio di fabbrica. In contrasto con Kline il suo collega Sam Francis, più giovane di tredici anni, s impone in un registro ricco di colori. Il suo approccio, in effetti, è più vicino a quello di Pollock. Come la maggior parte dei pittori degli anni Cinquanta e Sessanta, Francis può essere annoverato in diversi movimenti: astrazione lirica, espressionismo astratto, tachisme, action painting, colorfield painting, altrettante influenze che si ritrovano nella sua opera senza che nessuna possa ingabbiarlo in modo esclusivo. Profondamente segnato dal colore, il suo linguaggio pittorico si definisce attraverso un energia creativa che si manifesta in macchie le quali modulano lo spazio e la superficie. Francis è il più europeo degli artisti americani: soggiorna infatti a lungo a Parigi tra il 1948 e il 1960, e subisce l influenza di Matisse di cui assimila le innovazioni in materia di colore e bidimensionalità, che costituiscono le basi per una purificazione della forma e una semplificazione del gesto. Su tele spesso di grande formato Sam Francis prende a prestito e mescole diverse tecniche: dripping, all over, tachisme, nome che fa riferimento al caso nel processo creativo: la forma è tache (macchia) soggetta al caso, e nasce spontaneamente. Come Pollock, Francis sviluppa il dipinto utilizzando lo sfondo come rivelatore dell opera, senza passare per la figura. Tende così a semplificare i suoi piani e realizza un grande lavoro sul colore utilizzando anche il nero, considerato un non-colore. Egli spinge all estremo la pratica di decomposizione della figura adottando una sua tecnica tipica di dissoluzione delle forme, conservando al tempo stesso il nucleo iniziale dell oggetto o della figura (un rettangolo o una banda ortogonale). Sam Francis spinge così il processo fino al completo annullamento di ogni rappresentazione. In alcune sue tele questa pratica comporta

8 una liquefazione della materia, la quale si traduce in colature verticali di pittura, una sorta di reticolo, di ragnatela che collega le forme-macchie tra loro in una rete che può essere densa o al contrario liquefatta sulla superficie della tela, operando una fusione tra lo sfondo, spesso bianco, e il colore. È questo il caso, in particolare, dell opera del 1956 (gouache su carta, 74,9 x 55,9 cm) presente in questa mostra: un olio su tela in cui si vede chiaramente la presenza di questo reticolo di colature nere e colorate, simili a fili che collegano le macchie. Ai margini dell espressionismo: Mark Tobey Lontano dall influenza newyorchese, poiché classificato come artista del Pacifico nordoccidentale, Mark Tobey, informale fuori dalla norma, è una personalità totalmente a parte nel panorama della pittura americana del XX secolo. Egli inizia a dipingere nel 1920, in un periodo in cui l arte, negli Stati Uniti, rimane ancorata alla figurazione. La cosiddetta scuola di New York arriverà molto più tardi, all inizio degli anni Cinquanta. Tobey appare dunque come un precursore, ancora molto legato all influenza europea, pur rivendicando una spiritualità orientale. Il suo lavoro riflette il carattere minuzioso e luminoso di una pratica che si è liberata del gesto per raggiungere una scrittura pittorica in cui lo spirito domina il segno, in una tradizione vicina alla calligrafia giapponese. Le sue tele, spazi densi di campiture piatte e linee ripetitive, sono al tempo stesso semplici e complesse, intricate e intuitive. Le tonalità intense di marrone e di grigio, le sottili pennellate di colore, richiamano spesso il mondo naturale, per lo più colto in primo piano. Esse evocano l immagine di un reticolo di cellule osservato al microscopio, una superficie rocciosa erosa dalle intemperie, oppure le striature della corteccia di un albero. La pittura di Tobey ci offre una visione di una grande sensibilità e, al pari di artisti come André Masson in Francia o lo stesso Pollock nelle sue forme più libere, egli ci propone un opera che si concentra sullo sviluppo del segno, al di là della sua interpretazione o della sua lettura. L espressione visiva di Tobey segue un progetto che va al di là di ogni soluzione grafica o estetica e concerne una ricerca che si ricollega a problematiche filosofico-religiose, alle quali l artista si riferisce realmente. Il suo mondo è soggettivo e la sua arte è essenzialmente legata a un atteggiamento mentale che presiede alla costruzione della sua pittura, forma manifesta di una contemplazione interiore e di un esperienza di vita. Domina nella sua opera il concetto di unicità, in riferimento al suo credo che auspica l unione di tutti i popoli e di tutte le religioni. Anche i viaggi, soprattutto in Cina e in Giappone, dove trascorre parecchi mesi in un monastero zen, conferiscono al suo lavoro un respiro particolare ben lontano dalle forme espressioniste della scuola di New York, segnata dall impronta di un art business basato sul successo. Il raccoglimento costituisce infatti il principio fondamentale del lavoro di Tobey, e questo stato d animo, che guida il gesto e l azione, è molto lontano dalle inquietudini mediatiche coltivate dai suoi compatrioti della East Coast, i quali fanno dello spettacolo un principio della creazione. Tobey definisce il concetto fondamentale che presiede alla realizzazione della sua opera attraverso una percezione particolare dello spazio: Spazio multiplo, nel quale la profondità è qualcosa di più sensibile che visivo. Qui è la base della sua riflessione, e questo pensiero contiene i fondamenti della sua arte che egli svilupperà realmente dopo il soggiorno in Cina e in Giappone nel L arte e gli oggetti artigianali del mondo orientale, in effetti, lo affascinano. Egli studia la calligrafia e la pittura al pennello praticate in Cina. E l attenzione riservata ai dettagli, così come la concentrazione dello spirito che egli apprende, influenzano la sua opera. Il suo lavoro acquisisce un dinamismo e una capacità di restituzione fugace ed espressiva delle scene di vita quotidiana, dei personaggi, della natura; il suo tratto si fa più rapido, probabilmente per influenza della pratica dell arte calligrafica nella quale egli si esercita in Oriente. Da questo apprendistato nasce in Tobey la consapevolezza di un mondo sensibile. Egli scopre la linea che si dispiega nello spazio, senza confini, che esclude ogni

9 carattere di costruzione e di razionalità. Contano solo l immaginario, l infinito dello spazio e l energia necessaria a catturarlo. Due opere in mostra, Sumi VII e Untitled, entrambe del 1957, illustrano bene quest arte ispirata alla caligrafia giapponese. In Oriente l unità dei sensi e l armonia dell essere presiedono alla realizzazione dell opera. L emozione, il pensiero e l azione devono fondersi per acquisire lo stato d illuminazione (satori) che permette di raggiungere la conoscenza zen. Tobey si è accostato a queste pratiche e, pur senza parlare di conversione, si può notare l influenza di questo soggiorno in Giappone sulla sua personalità e sulla sua opera. Lo sottolinea del resto egli stesso in occasione di un intervista concessa a Katharine Kuh nel 1971: Al monastero zen mi fu dato un dipinto a inchiostro sumi su cui riflettere; si trattava di un grande cerchio vuoto, eseguito con il pennello. Che cosa rappresentava? Lo guardavo ogni giorno. Indicava l altruismo? Rappresentava l Universo nel quale avrei potuto perdere la mia identità? Forse non riuscivo a cogliere l estetica e la raffinatezza del tratto, che a un allenato sguardo orientale avrebbe invece rivelato molto sul carattere dell uomo che lo aveva dipinto. Dopo quel soggiorno, tuttavia, mi accorsi di avere nuovi occhi; ciò che prima mi appariva di scarsa importanza ora si amplificava, e le riflessioni non erano più basate sul mio precedente modo di vedere. Osservando un grande drago dipinto con il pennello sul soffitto di un tempio, a Kyoto, pensai alla stessa forza ritmica di Michelangelo la rappresentazione delle forme era diversa, le nuvole vorticose che accompagnavano il suo maestoso volo nella sfera celeste erano diverse, ma vi era la medesima forza spirituale Lascia che la natura assuma il controllo del tuo lavoro : queste parole del mio amico Takïzaki in un primo momento mi disorientarono, ma poi si esemplificarono nel concetto di lasciare libero il passaggio. Oggi alcuni artisti parlano dell atto del dipingere. Questo, nel migliore dei suoi significati, potrebbe comprendere ciò che intendeva il mio vecchio amico. Ma la preparazione principale è lo Stato d Animo, e l azione procede da esso. La pace interiore è un altro ideale, forse lo stato ideale da ricercare nella pittura, e certamente è propedeutico all atto del dipingere. Qui Tobey fa evidentemente riferimento agli artisti dell action painting, nella quale non riconosce affatto le qualità necessarie alla creazione armoniosa di un opera. Egli si discosta totalmente da quel movimento, che appare quasi barbarico ai suoi occhi. L espressionismo di Tobey, in effetti, conserva tracce delle aspirazioni romantiche che animano la pittura europea. Lui e Sam Francis hanno sopportato con difficoltà il diktat statale che si è abbattuto sull arte americana del dopoguerra. La loro spontaneità, lo slancio vitale della loro creazione comportavano riferimenti immateriali, perfino spirituali, che l empirismo dei movimenti ufficiali escludeva. Non è dunque un caso se Tobey decise di vivere in Europa e scelse Basilea come città del suo ultimo riposo. Precursori della pop art: Robert Rauschenberg e Larry Rivers Robert Rauschenberg adotta come punto di partenza della sua opera il principio duchampiano del ready-made, motivo per cui Talvolta viene stato qualificato come neo-dada, etichetta che condivide con il pittore Jasper Johns. Rauschenberg dice di voler lavorare nell intervallo tra arte e vita ( in the gap between art and life ). Egli interroga la differenza tra gli oggetti d arte e gli oggetti della vita quotidiana, sulla scia di Marcel Duchamp e della sua Fontaine. All inizio degli anni Cinquanta Rauschenberg comincia la sua attività artistica realizzando dipinti monocromi bianchi, neri, oro e rossi, con carta di giornale incollata e dipinta che produce effetti di differenti texture. Egli vuole già abolire in arte il principio sacrosanto dell espressione di sé. Queste superfici, e in particolare gli White Paintings, vogliono essere specchi, superfici neutre pronte ad accogliere il riflesso del mondo. Il loro autore è l oggi, dice l artista. Il periodo dei Combines, che gli valgono fama internazionale, viene subito dopo, verso il

10 1953. Rauschenberg: Combines è la prima mostra dedicata esclusivamente a questa fase cruciale della creazione dell artista, che segna l inizio del suo successo mondiale. Egli rivendica l impiego dell oggetto ordinario, comune: Gli oggetti che utilizzo sono per lo più imprigionati nella loro banalità ordinaria. Nessuna ricerca di rarità. A New York è impossibile camminare per le strade senza imbattersi in un pneumatico, una scatola, un cartone. Io non faccio altro che prenderli e restituirli al loro mondo. Come indica il nome, i Combines sono opere ibride che associano alla pratica della pittura quella del collage e dell assemblaggio di elementi eterogenei prelevati dal reale quotidiano. Né pittura né scultura, ma le due insieme, i monumentali Combines di Rauschenberg invadono lo spazio dello spettatore e lo interpellano come veri e propri rebus visivi. Dagli uccelli impagliati alle bottiglie di Coca-Cola, dai giornali alle immagini di stampa, ai tessuti, alla carta da parati, a porte e finestre, l universo intero sembra entrare nella sua arte combinatoria per associarsi alla pittura. Amico di John Cage, anche il suono interessa a Rauschenberg, e così nei suoi ultimi Combines egli sviluppa analogie tra musica e arti plastiche. Vicino anche a Merce Cunningham e alla danza, alcune sue opere sono delle scenografie. Ma a partire dal 1962 i dipinti di Rauschenberg cominciano a inglobare non più solamente objets trouvés, ma anche immagini e fotografie trasferite su tela per mezzo della serigrafia. Questo procedimento gli consente di integrare il processo di riproducibilità dell opera e di esplorarne tutte le possibilità. I quadri sono grandi, la tecnica permette ampia libertà di creazione, il soggetto supera il concetto di opera. Utilizzando la tecnica di trasferimento dell immagine per mezzo di trementina su seta, Rauschenberg vi lascia affiorare la sua passione per l immagine fotografica, che non lo abbandonerà mai. Le sue opere sembrano specchi in cui attraverso vari procedimenti di utilizzo di immagini dei giornali: trasferimento, montaggio e collage si riflette la storia degli Stati Uniti negli anni Sessanta. L opera Ringer (1974, 179 x 94,5 cm), presente in mostra, appartiene a questo periodo e rientra in questo modus operandi. È un viaggio che essa ci propone: viaggio al quale aspira l artista, che prende il mondo intero come motivo delle sue opere. Egli fa appello a un arte globale che includa la musica e la danza, e che inscriva il tempo nell opera plastica. Rauschenberg non ha mai smesso di superare i limiti che determinano il concetto di opera, proiettandosi nella sperimentazione, per esprimere sempre meglio la propria adesione a un epoca che lo affascina ma di cui al tempo stesso intuisce i lati nefasti. Secondo Jasper Johns, Rauschenberg è l artista più innovativo del XX secolo dopo Picasso; per lo storico dell arte Leo Steinberg ciò che ha inventato, soprattutto, è una superficie pittorica che restituisce al mondo il suo posto. Iconoclasta, Rauschenberg ha fatto esplodere i limiti dell arte. Per lui l arte ha a che vedere con la vita, non ha niente a che vedere con l arte. La mia ambizione diceva non è di continuare a dipingere arance marce, ma di fare del buon giornalismo. Non faccio né Arte per l Arte, né Arte contro l Arte. Sono per l Arte, ma per l Arte che non ha niente a che vedere con l Arte, perché l Arte ha tutto a che vedere con la vita. In questo senso il suo lavoro è perfettamente contemporaneo a quello di Andy Warhol. Egli esalta una società da cui trae le sue fonti e i suoi materiali, conferendole un riconoscimento culturale che la consacra nella sua identità di società commerciale iperproduttiva, fonte di vita e di prosperità. Rauschenberg ha dimostrato questa capacità di confrontarsi con la realtà anche in periodi più ricenti della sua produzione, come possiamo vedere in mostra nell opera Salsa Verde Glut (Neapolitan), un assemblaggio del 1987 dotato di una punta di umorismo. Rauschenberg e Jasper Johns sono entrambi considerati anche importanti precursori della pop art. E, tra espressionismo e pop art, Larry Rivers è un altra figura fondamentale del panorama artistico newyorchese, amico di numerosi artisti, scrittori e musicisti, da Leonard Bernstein e Jasper Johns, Kenneth Koch e Terry Southern. Ha recitato nel film beat Pull My Daisy

11 insieme ad Allen Ginsberg e Gregory Corso. È l irriverente pittore e scultore protopop, sassofonista jazz, scrittore, poeta, insegnante e qualche volta attore e regista, la cui personalità, in parte ironica, da cattivo ragazzo, ha incarnato lo spirito di un epoca inquieta che ha dato una scossa all arte americana. Andy Warhol non ha mai negato di essere stato influenzato dall arte di Rivers, e in una frase molto rivelatrice, tratta dal libro Popism, riconosce la personalità unica di Rivers come un ingrediente fondamentale nello sviluppo della pop art. Scrive dunque Warhol: Lo stile pittorico di Larry era unico non era espressionismo astratto e non era pop, cadeva proprio nel periodo di mezzo. Ma la sua personalità era molto pop. È il suo carattere pop che spinge Rivers a esaltare la sua personalità in un rapporto di competizione con le sue opere, come se lui stesso facesse parte del messaggio, per portare a segno il suo particolare modo di vedere. I critici lo hanno spesso accusato di distogliere i riflettori dalla propria opera. Ma egli lo riteneva un modo per rendere più autentico il suo lavoro, perché esso non poteva essere legittimato da nessun ismo. È vero, il lavoro di Rivers non è pop e non è espressionismo astratto, è più un dialogo continuo con l arte e le idee, un ponte gettato tra due movimenti artistici significativi. Vi è una certa ironia profetica nel nome di Larry Rivers. Divenuto famoso per la realizzazione di un lavoro sull attraversamento di un fiume, egli ha poi continuato la sua carriera come un importante artista di transizione, un sorta di costruttore di ponti. Nato nel Bronx nel 1923 con il nome di Yitzroch Loiza Grossberg, Larry Rivers è un tipico personaggio newyorchese. Intrapresa la carriera di sassofonista jazz, suona nei gruppi newyorchesi fino al 1945, quando inizia a dipingere. Frequenta la New York University dal 1948 al 1951, studiando con William Baziotes. In questo periodo incontra Willem de Kooning, Jackson Pollock e altri espressionisti astratti il cui stile pittorico gestuale lo influenza fortemente. S ispira anche a pittori europei come Courbet. Nel 1950 parte per un soggiorno di otto mesi a Parigi, dove trova ispirazione nei grandi dipinti storici del Louvre. The Burial (1951), un olio su tela di grandi dimensioni e il primo dei suoi dipinti a entrare a far parte della collezione di un museo pubblico, attinge appunto al Funerale a Ornans di Gustave Courbet (1849), rappresentazione grandiosa di un umile evento. Ma il quadro ha come fonte d ispirazione anche il funerale della nonna di Rivers. Questa fusione di storia personale e storia pubblica, di nostalgia e grandezza, appare sovente nel suo lavoro. Se la sua opera può essere considerata per lo più astratta, come testimonia l opera in mostra Parts of the Body (French + Italian Vocabulary Lesson) del , con una maniera quasi cubista di dipingere il corpo, egli ha anche realizzato nel corso della sua carriera numerose opere figurative, molte delle quali riproducono monete e carte da gioco, monete francesi, membri della sua famiglia e l artista stesso. Pochi artisti del XX secolo competono con la versatilità di Rivers e il suo desiderio di sperimentare, come dimostra la sua capacità di lavorare a diversi generi e con una vasta gamma di supporti. Nei primi anni Sessanta Rivers collabora con la Universal Limited Art Editions alla realizzazione, tra l altro, di una litografia a colori dal titolo Last Civil War Veteran, pubblicata nel 1961, e nel 1963 inizia a lavorare con la Marlborough Gallery. Il suo approccio irriverente e spesso umoristico alla politica, alla storia e al sesso suscita polemiche e ribadisce la sua posizione di innovatore e pioniere. E durante gli anni Sessanta, al massimo della fama e della notorietà, ha ancora modo di sperimentare in maniera considerevole. Le sue opere appaiono a volte volgari, a volte altezzose. Realizza sculture da calchi in gesso e metallo saldato. La sua Lampman Loves It è una scultura raffigurante una coppia impegnata in un rapporto sessuale. Rivers inserisce sempre più oggetti quotidiani, objets trouvés e immagini popolari nel suo lavoro, utilizzando ad esempio l etichetta della scatola di sigari Dutch Masters, basata sui Sindaci dei drappieri di Rembrandt, in una serie del 1960, ma anche complicando il suo lavoro con adesivi e altri ritrovati editoriali. Collabora inoltre con

12 Jean Tinguely e Yves Klein in Europa. Negli ultimi anni, infine, diventa sempre più divertente e sperimentale, lasciandosi alle spalle la serietà di stile tipica della scena artistica degli anni Settanta, Ottanta e Novanta per esprimersi con forza, chiarezza e non senza controversie in opere come History of Matzo: the Story of the Jews, una serie epica che combina la bellezza eterea di Chagall con lo stile popolare di Lichtenstein e Warhol. La pop art: consacrazione della società americana come ideale sociale e culturale La pop art rimette fondamentalmente in questione i criteri che in precedenza avevano caratterizzato l opera d arte, inducendo una riflessione sull oggetto artistico e ponendolo in una dialettica sociologica, desacralizzando l immagine dipinta e la scultura per conferire loro una dimensione di oggetto comunicante (allo stesso titolo della pubblicità), o banalizzandole con il fatto di proiettarle nella sfera dell oggetto industriale multiplo tipico del consumo di massa. Il movimento, nato in Inghilterra negli anni Cinquanta per impulso di Richard Hamilton e Eduardo Paolozzi, si sviluppa in particolar modo negli Stati Uniti degli anni Sessanta. Già verso la fine degli anni Cinquanta artisti come Robert Rauschenberg e Jaspers Johns avevano reagito contro gli ultimi sussulti dell espressionismo astratto, trovando nello spirito antiaccademico dadaista e nella figura di Duchamp i loro ispiratori. Nel solco aperto da questi due pionieri artisti come Claes Oldenburg e Jim Dine, Andy Warhol e Roy Lichtenstein si volgono con decisione verso il denigrato mondo della merce (hamburger, scatole di detersivo, lattine di Coca-Cola) e verso le nuove forme della cultura popolare: pubblicità, fumetti, star del cinema e della politica, in uno slancio entusiasta e critico al tempo stesso. Ma, nonostante l innalzamento di tali oggetti e immagini al rango di opera d arte, sono soprattutto i meccanismi perversi della società dei consumi che questi artisti documentano con umorismo, ironia e inquietudine. Essi assumono il concetto di prodotto seriale come caratteristica fondamentale dell epoca, sottolineandone l esaltazione conseguente alla libertà di scelta, ma anche l alienazione indotta dalla necessità di consumare: l ipersviluppo della pubblicità, dei giornali e dell industrializzazione riduce l uomo allo stato di macchina produttrice e consumatrice. L arte prende in conto questo fatto certamente rivoluzionario, esasperando il fenomeno nella sua trasposizione, appunto, al mondo artistico, rimettendo in causa il carattere sacro dell opera per ridurla allo stato di semplice prodotto consumabile: effimero, usa e getta, a buon mercato. I procedimenti utilizzati dagli artisti rientrano in questo modo di produzione, più industriale che artigianale: l acrilico e la serigrafia permettono una produzione moltiplicata e rapida per una distribuzione su grande scala. L arte entra nella sfera dell industria, l opera non ha più l aura della rarità, diviene semplice oggetto di desiderio offerto a tutti, mettendo di conseguenza in causa il principio di unicità dell opera stessa. Andy Warhol è il più tipico degli artisti pop. Egli produce le sue opere in centinaia di esemplari, sconvolgendo i criteri di un mercato basato sul pezzo unico. Questa euforia esalta una simbologia popolare, elevando al rango di icone figure appartenenti alla cultura di massa, come Mickey Mouse, Marilyn Monroe o Mick Jagger, consacrando questi idoli e trasformandoli in miti imperituri. La tecnica di produzione delle opere ha sempre la priorità nel concetto artistico di Warhol: l assenza di manualità e il trasferimento delle competenze all utensile costituiscono la base già delle sue prime realizzazioni. Questo principio gli permette di aderire pienamente all istante, al quotidiano, di illustrare i fatti più significativi che focalizzano l interesse delle masse, sforzandosi sempre di rendere reale l assioma secondo cui l arte non è nient altro che ciò che gli spettatori consumano. Il modello industriale di produzione in alte tirature è così

13 trasposto nella sfera artistica. Andy Warhol, del resto, chiama il suo atelier The Factory, sottolineando il carattere industriale delle tecniche applicate alla fabbricazione delle sue opere, in perfetta consonanza con i modi di produzione di un automobile, una motocicletta, un treno, una bottiglia di Coca-Cola... Questa analogia è tanto più semplice da stabilire per il fatto che l artista utilizza apparecchiature con un alto potenziale di moltiplicazione. Le stampanti offset facilitano infatti la riproduzione dell immagine in alte tirature. La serigrafia, la stampa tipografica permettono di offrire un prodotto artistico che gli appassionati d arte, sempre più numerosi, si contendono. L arte entra allora nella sfera del consumo, si banalizza. L opera, a sua volta, diviene oggetto e trova significato nella propria capacità di idealizzare la società contemporanea, nella quale essa diventa simbolo e al tempo stesso moneta di scambio. Art is business : questa è la nuova dottrina che si applica alle opere d arte e che gli Stati Uniti impongono al mondo. Più che da uno stile l arte di Warhol discende da uno stato d animo che consiste nel rendere conto della realtà della società moderna, mediatica, basata sul messaggio istantaneo che s impone come riferimento assoluto. Nella massa delle informazioni costantemente trasmesse dai periodici, dalla pubblicità, dai media in generale, l artista preleva un istante, una notizia, un oggetto che immortala in un immagine modellata attraverso colori acidi e che egli impone in una variazione infinita di tonalità. In mostra sono presenti vari esempi della sua straordinaria richezza creativa: Velvet Underground, 1967, con la bottiglia di Coca-Cola; Bomb, 1967, unica scultura da lui realizzata; Jimmy Carter II, 1978, ritratto dell ex presidente degli Stati Uniti; Shoes, 1980, emblematiche degli esordi dell artista... L impatto visivo provocato dall isolamento del soggetto al di fuori del proprio contesto fissa l immagine in una realtà idealizzata a forte valore simbolico. Un fatto spettacolare (come la morte di Marilyn Monroe), un immagine anodina ma ricorrente (come il barattolo di zuppa Campbell s o il dollaro americano, oggetto quotidiano e mitico al tempo stesso) suscitano una moltiplicazione all infinito. L artista diventa manipolatore, spersonalizza il proprio soggetto, lo svuota di ogni contenuto emotivo; il senso stesso dell oggetto si attenua a favore dell immagine. Qual è il valore simbolico di ciò? Una messa in questione della società dei consumi, un incarnazione mitologica di un quotidiano banale e crudelmente effimero. Scegliendo come tema la cultura del quotidiano, l artista nega i valori dell arte moderna, crea un linguaggio autoreferenziale, libero dai vincoli dell arte colta, emancipato dai valori della tradizione. Gli elementi mutuati dai mass media servono da pretesto a un identificazione completa tra la fonte d ispirazione e il suo adattamento. L immagine sussiste in un contesto del tutto nuovo. Essa non trasmette alcun messaggio, non assume alcun valore morale, ha senso solamente per la propria forza di rappresentazione, celebrazione di un fenomeno sociale che diviene modello attraverso l impatto della ripetizione all infinito. Soltanto gli Stati Uniti, nel desiderio di liberarsi dei propri complessi nei confronti della vecchia Europa e desiderosi d imporre la loro supremazia, potevano produrre un simile cataclisma. Jim Dine si afferma in questo contesto. Tra il 1960 e il 1966 tiene cinque mostre personali a New York (nelle gallerie Reuben, Martha Jackson e Sidney Janis) e prende parte a numerose collettive, tra cui l importante New Realists alla Sidney Janis Gallery nel Insieme a Jasper Johns, Claes Oldenburg e Robert Rauschenberg rappresenta gli Stati Uniti alla Biennale di Venezia del 1964: l arrivo della pop art rappresenta l avvenimento di quell edizione, che consacra Rauschenberg attribuendogli il Leone d oro. Quella vittoria annuncia la nuova egemonia americana nel mondo dell arte internazionale. Jim Dine partecipa quindi a questa euforia degli anni Sessanta in cui l Europa e gli Stati Uniti si affrontano in una lotta di potere da cui la Francia, in particolare, invischiata nelle sue contraddizioni del dopoguerra, esce sconfitta da New York, che da allora diventa la roccaforte della cultura mondiale.

14 Jim Dine era già noto come un pioniere di happening (The Smiling Workman, 1959, e Car Crash, 1960), realizzati insieme agli artisti Claes Oldenburg e Allan Kaprow, al musicista John Cage e a Robert Whitman. Tali performance si svolgono nell ambito di installazioni e spesso implicano elementi luminosi e sonori, proiezioni di diapositive o video e anche la partecipazione degli spettatori. Gli happening di Oldenburg e Jim Dine, in particolare, passeranno alla storia. Il celebre Car Crash di Jim Dine era basato su disegni tecnica cui l artista è affezionato e che accompagna tutta la sua opera oggi conservati al MoMA. In seguito Jim Dine afferma la sua creatività in sculture, disegni e dipinti, in una varietà di espressioni e di tecniche attraverso le quali esprime il suo tentativo costante di avvicinarsi ai messaggi essenziali e intimi della vita. La sua filosofia artistica supera il concetto pop, malgrado il fatto che una parte della sua produzione, specialmente le opere dei primi anni Sessanta, s inscrivano nella corrente pop, illustrata da motivi ricorrenti (cuori, teschi ) o da simboli della vita di tutti i giorni (bottiglie, recipienti, attrezzi ) disposti in serie, e a volte l artista inserisce persino oggetti reali nelle sue opere. Jim Dine raggiunge grande notorietà con i primi quadri-collage. Tuttavia molto rapidamente, a partire da metà degli anni Sessanta, la certezza della propria originalità lo spinge a esplorare percorsi particolari che lo portano a Londra, dove si stabilisce tra il 1967 e il Diventa quindi un pittore indipendente e si discosta dall avanguardia, alla ricerca di una propria strada. Più che l identità oggettiva e la natura intrinseca delle cose e degli oggetti, esprime il carattere familiare e sentimentale connesso al loro utilizzo quotidiano e alla loro presenza silenziosa. Più che il materialismo feroce proprio degli anni Sessanta, che esalta l oggetto di consumo nella sua natura industriale e nella sua molteplicità, Jim Dine sembra optare per un certo romanticismo. Di questi oggetti egli declina all infinito il carattere singolare di cui accoglie l aspetto simbolico che gli permette di esplorare la fragilità esistenziale. In mostra i due cuori di Blue Sun (2008) illustrano, appunto, il carattere romantico del lavoro dell artista. Concludiamo il nostro road movie con Robert Indiana, che ci riporta ai viaggi, alla strada, all America e ai suoi simboli legati all automobile e al lungo avvicendarsi delle traversate senza fine. L arte di Robert Indiana, infatti, nasce dai vagabondaggi della sua infanzia e giovinezza che lo pervasero dello spirito del viaggio, della strada e della sua vistosa segnaletica. Nato in Indiana nel 1928, l artista conserverà vividi ricordi della sua primissima infanzia, che influenzeranno sempre il suo lavoro. Racconterà a Adrian Dannatt: Mio padre, Earl Clark, lavorava alla Phillips 66; era addetto al monitoraggio di tutti i carri cisterna sui treni che attraversavano l Oklahoma. Era un incarico amministrativo, non c era da sporcarsi le mani. Vivevamo a Mooresville, dove stava anche Dillinger, e mio padre doveva fare il pendolare, con turni impossibili. Il padre di Indiana lavorò a lungo nell industria petrolifera del Midwest, inizialmente gestendo un distributore di benzina fuori Indianapolis. Allora c erano molte più stazioni di rifornimento di oggi. Quando ero ragazzo il paese era disseminato di stazioni di rifornimento, che avevano un loro stile Il padre lavorò poi per la Trimble Oil, azienda che crollò durante la Grande Depressione. Ma il suo impiego più duraturo fu alla Phillips, alle cui dipendenze rimase per circa dodici anni. Robert Indiana ha ricordi altrettanto chiari dell auto di suo padre, una Ford Modello T che ancora guidava negli anni Trenta, una macchina appartenuta in origine al nonno paterno. Si tratta della famosa automobile che fece il successo della Ford all inizio del secolo e che segnò l avanzata spettacolare dell avventura industriale americana. L infanzia bohémienne di Robert è quindi cadenzata dai numerosi spostamenti nel cuore del Midwest. La strada, con le sue insegne e i suoi pannelli che sfilano, segna l immaginario del piccolo Robert Clark, che più tardi diventerà Robert Indiana e che già scarabocchia sui suoi quaderni cartelli segnaletici dalle composizioni geometriche fortemente colorate. Egli cresce

15 con una forte consapevolezza della segnaletica stradale locale, dei numeri delle strade, e con una stretta identificazione di questi segni, simboli, numeri e schemi di colori con la propria vita familiare. Questa ispirazione rappresenta la base del lavoro dell artista, profondamente ancorato nella mitologia della celebre Route 66 che attraversa gli Stati Uniti da est a ovest per circa quattromila chilometri; essa ha ispirato libri come On the Road di Jack Kerouac e più tardi avrà un ruolo fondamentale nel film Easy Rider di Dennis Hopper, libro e film cult di una gioventù americana che fa surriscaldare i pneumatici delle proprie auto e che trova in questa cultura eccentrica i riferimenti della propria rivolta contro il puritanesimo. La consapevolezza artistica del giovane si sveglia dunque in un contesto propizio alla rivelazione di uno stile in cui i simboli quotidiani della strada costituiscono la base di un ispirazione vicina alla pop art. Egli saprà trasformarli in un iconografia geometrica e brillantemente colorata che lo apparenta immediatamente a numerose correnti artistiche maggiori (hard edge, assemblage e pop art) creando un opera particolarmente originale in cui elabora diverse tipologie di espressione, affrontando i temi dell astrazione e del linguaggio comune, dei miti americani e della propria storia personale. Nel suo lavoro egli è un commentatore ironico ma rispettoso della scena americana. Tanto le sue opera grafiche quanto i suoi dipinti sono dei marcatori della vita culturale e, durante i ribelli anni Sessanta, sottolineano scelte e affermazioni politiche. Le cifre e le lettere costituiscono per Robert Indiana un serbatoio di forme e colori che egli declina secondo una geometria perfetta di parole e numeri (il numero 66 resta per lui un feticcio collegato ai suoi ricordi d infanzia). Il dinamismo dei tracciati così come la vivacità dei colori caratterizzano la sua opera pop e spumeggiante. Molto sensibile all ambiente che lo circonda, l artista s impregna della città ed esteriorizza tale ispirazione attraverso la sua arte, per esempio in The American Dream, in The Bridge (omaggio al ponte di Brooklyn), ma anche e soprattutto nelle opere ispirate a Vinalhaven, città situata su Fox Island nel Maine, dove si trasferisce nel Il Love che egli declina in diversi colori, dimensioni e materiali, e da alcuni anni Hope sono altrettanti modi di dichiarare il proprio amore alla città e più ampiamente a ciò che lo circonda. Pittore agli esordi, in un primo tempo elabora il suo Love per mezzo della serigrafia, procedimento che gli permette di ottenere un disegno preciso e di giocare con la sovrapposizione dei colori. In seguito a una collaborazione con il Museum of Modern Art di New York per la creazione di biglietti di Natale siglati con il suo famoso Love, egli si cimenta nella scultura, non senza successo dal momento che le sue opere plastiche diventano il suo simbolo primario. Esposte nel cuore delle più grandi città, imponenti per le loro dimensioni e per i materiali, le sculture di Robert Indiana incarnano la pop art nella coscienza collettiva e il suo Love si vuole comunicativo, come per placare le parole di una società a volte infelice. Indiana è senza dubbio il rappresentante della pop art meno critico nei confronti della società. Lungi dall impiegare il tono cinico adottato da vari artisti pop di cui Warhol è stato il leader, Indiana si vuole più umanista e moltiplica i suoi messaggi di amore e di pace ovunque nel mondo. Attualmente è un altro messaggio tinto della stessa consonanza, quella di un mondo positivo, che egli affigge instancabilmente: Hope. Questa speranza espressa da Robert Indiana, l ultimo sopravvissuto dell epopea americana degli anni Sessanta, segna una volontà accanita di prolungare il sogno: sogno di una società libera e ribelle nella quale il denaro e il successo sono stati elevati ad arte di vivere, e ad arte tout court. Il mondo ne è stato sconvolto per sempre. Tuttavia alcuni dubbi, da allora, hanno pervaso gli animi riguardo alla durevolezza di un modello che il tempo mette in discussione. Non tutto ciò che brilla è oro, dice il proverbio, e i lustrini degli anni pop hanno lasciato il posto a una società delle apparenze, delle finzioni, generate da un vortice mediatico avido e distruttore delle proprie stesse opere. Il gigante americano sembra ora a sua volta vacillare sulle proprie basi L esportazione del modello ha

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