IL DOVERE DI CONCLUDERE IL PROCEDIMENTO E IL SILENZIO INADEMPIMENTO

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1 ARISTIDE POLICE IL DOVERE DI CONCLUDERE IL PROCEDIMENTO E IL SILENZIO INADEMPIMENTO giuffrè editore Estratto dal volume: CODICE DELL AZIONE AMMINISTRATIVA a cura di MARIA ALESSANDRA SANDULLI

2 Art. 2 Capo I PRINCIPI 2 Conclusione del procedimento. 1.Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un istanza, ovvero debba essere iniziato d ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l adozione di un provvedimento espresso. 2. Nei casi in cui disposizioni di legge ovvero i provvedimenti di cui ai commi 3, 4e5 non prevedono un termine diverso, i procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi entro il termine di trenta giorni. 3. Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, adottati ai sensi dell articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri competenti e di concerto con i Ministri per la pubblica amministrazione e l innovazione e per la semplificazione normativa, sono individuati i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di competenza delle amministrazioni statali. Gli enti pubblici nazionali stabiliscono, secondo i propri ordinamenti, i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di propria competenza. 4. Nei casi in cui, tenendo conto della sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento, sono indispensabili termini superiori a novanta giorni per la conclusione dei procedimenti di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali, i decreti di cui al comma 3 sono adottati su proposta anche dei Ministri per la pubblica amministrazione e l innovazione e per la semplificazione normativa e previa deliberazione del Consiglio dei ministri. I termini ivi previsti non possono comunque superare i centottanta giorni, con la sola esclusione dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e di quelli riguardanti l immigrazione. 5. Fatto salvo quanto previsto da specifiche disposizioni normative, le autorità di garanzia e di vigilanza disciplinano, in conformità ai propri ordinamenti, i termini di conclusione dei procedimenti di rispettiva competenza. 6. I termini per la conclusione del procedimento decorrono dall inizio del procedimento d ufficio o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte. 7. Fatto salvo quanto previsto dall articolo 17, i termini di cui ai commi 2, 3,4e5del presente articolo possono essere sospesi, per una sola volta e per un periodo non superiore a trenta giorni, per l acquisizione di informazioni o di certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell amministrazione stessa o non 224

3 IL BUON ANDAMENTO E IL DIVIETO DI AGGRAVAMENTO DEL PROCEDIMENTO Art. 2 direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni. Si applicano le disposizioni dell articolo 14, comma la tutela in materia di silenzio dell amministrazione è disciplinata dal codice del processo amministrativo (1). 9. La mancata emanazione del provvedimento nei termini costituisce elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale. (1) Comma sostituito dall art. 3, comma 2, dell Allegato 4 al d.lg. 2 luglio 2010, n Il tema è affrontato anche in riferimento agli artt. 21-bis l. n del 1971, 31 e 117 d.lg. n. 104 del 2010, che di seguito si riportano. LEGGE 6 DICEMBRE 1971, N Art. 21-bis. (1) [1. I ricorsi avverso il silenzio dell amministrazione sono decisi in camera di consiglio, con sentenza succintamente motivata, entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, uditi i difensori delle parti che ne facciano richiesta. Nel caso che il collegio abbia disposto un istruttoria, il ricorso è deciso in camera di consiglio entro trenta giorni dalla data fissata per gli adempimenti istruttori. La decisione è appellabile entro trenta giorni dalla notificazione o, in mancanza, entro novanta giorni dalla comunicazione della pubblicazione. Nel giudizio d appello si seguono le stesse regole. 2. In caso di totale o parziale accoglimento del ricorso di primo grado, il giudice amministrativo ordina all amministrazione di provvedere di norma entro un termine non superiore a trenta giorni. Qualora l amministrazione resti inadempiente oltre il detto termine, il giudice amministrativo, su richiesta di parte, nomina un commissario che provveda in luogo della stessa. 3. All atto dell insediamento il commissario, preliminarmente all emanazione del provvedimento da adottare in via sostitutiva, accerta se anteriormente alla data dell insediamento medesimo l amministrazione abbia provveduto, ancorché in data successiva al termine assegnato dal giudice amministrativo con la decisione prevista dal comma 2.] (1) Articolo abrogato dall art. 4 dell allegato 4 d.lg. 2 luglio 2010, n. 104, con effetto a decorrere dal 16 settembre CODICE DEL PROCESSO AMMINISTRATIVO (D.LG. 2 LUGLIO 2010, N. 104) Art Decorsi i termini per la conclusione del procedimento amministrativo, chi vi ha interesse può chiedere l accertamento dell obbligo dell amministrazione di provvedere. 2. L azione può essere proposta fintanto che perdura l inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento. È fatta salva la riproponibilità dell istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti. 3. Il giudice può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall amministrazione. Art Il ricorso avverso il silenzio è proposto, anche senza previa diffida, con atto notificato all amministrazione e ad almeno un controinteressato nel termine di cui all articolo 31, comma Il ricorso è deciso con sentenza in forma semplificata e in caso di totale o parziale accoglimento il giudice ordina all amministrazione di provvedere entro un termine non superiore, di norma, a trenta giorni. 3. Il giudice nomina, ove occorra, un commissario ad acta con la sentenza con cui definisce il giudizio o successivamente su istanza della parte interessata. 4. Il giudice conosce di tutte le questioni relative all esatta adozione del provvedimento richiesto, ivi comprese quelle inerenti agli atti del commissario. 5. Se nel corso del giudizio sopravviene il provvedimento espresso, o un atto connesso con l oggetto della controversia, 225

4 Art. 2 Capo I PRINCIPI questo può essere impugnato anche con motivi aggiunti, nei termini e con il rito previsto per il nuovo provvedimento, e l intero giudizio prosegue con tale rito. 6. Se l azione di risarcimento del danno ai sensi dell articolo 30, comma 4, è proposta congiuntamente a quella di cui al presente articolo, il giudice può definire con il rito camerale l azione avverso il silenzio e trattare con il rito ordinario la domanda risarcitoria. Sul tema seguono i contributi a cura di ARISTIDE POLICE e SOLVEIG COGLIANI IL DOVERE DI CONCLUDERE IL PROCEDIMENTO E IL SILENZIO INADEMPIMENTO a cura di ARISTIDE POLICE BIBLIOGRAFIA AA.VV., Principio di legalità ed amministrazione di risultato (a cura di) IMMORDINO-POLICE, Torino, 2004; BENEDETTI, L attuazione della L. 241/90 in materia di termini del procedimento, inla legge n. 241/1990: fu vera gloria? Una riflessione critica a dieci anni dall entrata in vigore (a cura di) ARENA-MARZUOLI-ROZO ACUÑA, Napoli, 2001, 31 ss.; BENVENUTI F., Il nuovo cittadino. Tra libertà garantita e libertà attiva, Venezia, 1994; BORSI, Il silenzio della pubblica Amministrazione nei riguardi della giustizia amministrativa, GI, 1903, IV, 252 ss.; BORSI, Il preteso atto amministrativo tacito nel silenzio dell Amministrazione, Siena, 1931; CALVIERI, Commento all art. 29, Codice dell azione amministrativa e delle responsabilità (a cura di) BARTOLINI-FANTINI-FERRARI, Roma, 2010, 757 e ss.; CANNADA BARTOLI, Inerzia a provvedere da parte della pubblica Amministrazione e tutela del cittadino, FP, 1956, I, 175 ss.; CIMINI, Semplificazione amministrativa e termine procedimentale, NG REG, 1997, 143 e ss.; CIMINI, La colpa nella responsabilità civile delle Amministrazioni pubbliche, Torino, 2008; CIOFFI, Dovere di provvedere e pubblica Amministrazione, Milano, 2005; CIOFFI, Dovere di provvedere e silenzio-assenso della pubblica Amministrazione dopo la legge 14 maggio 2005 n. 80, DA, 2006, 99 ss.; CLARICH, Termine del procedimento e potere amministrativo, Torino, 1995; D ORSOGNA M., Silenzio, clamori di novità, DP AMM, 1995, 393 ss.; D ORSOGNA M., La tutela «avverso» il silenzio della P.A., ingiudice amministrativo e tutele in forma specifica (a cura di) ZITO-DE CAROLIS, Milano, 2003, 169 ss.; FANTINI, Considerazioni sull obbligo di provvedere alla (ri)pianificazione urbanistica e sulla discrezionalità nel «quid», UA, 2005, 963 ss.; FANTINI, L oggetto del giudizio speciale sul silenzio ed il problema dei motivi aggiunti, UA, 2006, 1429 ss.; FIGORILLI, I motivi aggiunti, inil processo davanti al Giudice amministrativo. Commento sistematico alla legge n. 205/2000 (a cura di) SASSANI -VILLATA R., Torino, 2004, 170 ss.; FIGORILLI-FANTINI, Le modifiche alla disciplina generale sul procedimento amministrativo, UA, 2009, 916 ss.; FIGORILLI-GIUSTI, Commento all art. 2,inLa pubblica Amministrazione e la sua azione. Saggi critici sulla legge n. 241/1990 riformata dalle leggi n. 15/2005 e n. 80/2005 (a cura di) PAOLANTONIO-POLICE-ZITO, Torino, 2005, 127 ss.; FIGORILLI-RENNA, Commento all art. 2, incodice dell azione amministrativa e delle responsabilità (a cura di) BARTOLINI-FANTINI-FERRARI, Roma, 2010, 105 e ss.; FORTI, Il silenzio della pubblica Amministrazione ed i suoi effetti processuali, Studi in onore di F. Cammeo, II, Padova, 1933, 534 ss.; FRACCHIA, Riti speciali a rilevanza endoprocedimentale, Torino, 2003; FRACCHIA, Elemento soggettivo e illecito civile dell Amministrazione pubblica, Napoli, 2009; GIANNINI, Il potere discrezionale della pubblica Amministrazione, Milano, 1939; GIGLIONI F., Il ricorso avverso il silenzio tra tutela oggettiva e tutela soggettiva, DP AMM, 2002, 936 ss.; GIULIETTI, Aspetti problematici di tutela nei casi di inerzia tipizzata, n. 11/2009; GIULIETTI, Commento all art. 20, incodice dell azione amministrativa e delle responsabilità (a cura di) BARTOLINI-FANTINI-FERRARI, Roma, 2010, 485 e ss.; GOGGIAMANI, La doverosità amministrativa, Torino, 2005; GOISIS, La violazione dei termini previsti dall art. 2 l. n. 241 del 1990: conseguenze sul provvedimento tardivo e funzione del giudizio ex art. 21-bis l. Tar, DP AMM, 2004, 571 ss.; GRECO G., Silenzio della Pubblica Amministrazione e oggetto del giudizio amministrativo, GI, 1983, III, 137 ss.; GRECO G., L articolo 2 della legge 21 luglio 2000, n. 205, DP AMM, 2002, 1 ss.; GUICCIARDI, Interesse occasionalmente protetto ed inerzia amministrativa, GI, 1957, III, 21 ss.; IANNOTTA L., La considerazione del risultato nel giudizio amministrativo: dall interesse legittimo al buon diritto, DP AMM, 1998, 299 ss.; IANNOTTA L., Principio di legalità ed amministrazione di risultato, Amministrazione e legalità. Fonti normative e ordinamenti, Atti del Convegno (Macerata, maggio 1999), Milano, 2000, 37 e ss.; LAMBERTI, Silenzio: sempre più impervia la via dell innovazione, FA-CS, 2002, 2039 ss.; LEDDA, Il rifiuto di provvedimento amministrativo, Torino, 1964; LEDDA, L attività amministra- 226

5 IL DOVERE DI CONCLUDERE IL PROCEDIMENTO E IL SILENZIO INADEMPIMENTO Art. 2 tiva, in Il diritto amministrativo degli anni 80, Atti del XXX Convegno di Studi Amministrativi, Milano, 1987, 104; LEDDA, Determinazione discrezionale e domanda di diritto, Studi in onore di F. Benvenuti, III, Modena, 1996; LEDDA, Variazioni sul tema dell eccesso di potere, D PUBBL, 2000, 433 ss. (ora anche in Scritti in onore di E. Casetta, vol. I, Napoli, 2001, 101 ss.); LIGNANI, Silenzio (diritto amministrativo), EdD-Agg., III, Milano, 1999, 978 ss.; LIPARI M., I tempi del procedimento amministrativo. Certezza dei rapporti, interesse pubblico e tutela dei cittadini, DA, 2003, 291 ss.; MERUSI, La certezza dell azione amministrativa fra tempo e spazio, DA, 2002, 527 ss.; MIELE, Pubblica funzione e servizio pubblico (1933), ora in Scritti giuridici, I, Milano, 1987, 135 ss.; MIELE, Alcune osservazioni sulla nozione di procedimento amministrativo, Scritti giuridici, I, Milano, 1987, 119 ss.; MONTEDORO, Il giudizio avverso il silenzio, Codice della giustizia amministrativa (diretto da) MORBIDELLI G., Milano, 2005, 251 ss.; MONTEDORO, Il giudizio avverso il silenzio. Art. 21-bis l. TAR, Codice della giustizia amministrativa (diretto da) MORBIDELLI G., Milano, 2008, 280 ss.; MORBIDELLI G., Il tempo del procedimento, in La disciplina generale dell azione amministrativa. Saggi ordinati in sistema (a cura di) CERULLI IRELLI, Napoli, 2006, 251 ss.; OCCHIENA, Situazioni giuridiche soggettive e procedimento amministrativo, Milano, 2002; OC- CHIENA, Riforma della legge 241/1990 e nuovo silenzio rifiuto: del diritto v è certezza, ; PAOLANTONIO, I riti speciali,ingiustizia amministrativa (a cura di) SCOCA F.G., 3ª ed., Torino, 2009, 499 ss.; PARISIO, I silenzi della pubblica Amministrazione. La rinuncia alla garanzia dell atto scritto, Milano, 1996; PASTORI, Dalla legge n. 241 alle proposte di nuove norme generali sull attività amministrativa, AMM., 2002, 305 ss.; PASTORI, Recent trends in Italian public administration, It. Journal of publ. law, n. 1/2009; POLICE, Il ricorso di piena giurisdizione davanti al Giudice amministrativo, II, Padova, 2001; POLICE, Doverosità dell azione amministrativa, tempo e garanzie giurisdizionali, Il procedimento amministrativo (a cura di) CERULLI IRELLI, Napoli, 2007, 135 ss.; RANELLETTI, Il silenzio nei negozi giuridici, RI SCG, XIII (1892), 3 ss., ora in Scritti giuridici scelti, III, Napoli, 1992, 3 ss.; RANELLETTI, Principi di diritto amministrativo, Napoli, 1912; ROMANO A., Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, Padova, 1992 (II ed., Padova, 2001); ROMANO S., Corso di diritto amministrativo, Padova, 1930; SANDULLI A.M., Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1959; SANDULLI M.A., Sul regime attuale del silenzio-inadempimento della pubblica Amministrazione, RD PROC, 1977, 169 e ss.; SANDULLI A.M., Il silenzio della pubblica Amministrazione oggi: aspetti sostanziali e processuali, D SOC, 1982, 725; SATTA, Impugnativa del silenzio e motivi di merito, FA-CS, 2002, 46 ss.; SCOCA F.G., Il silenzio della pubblica Amministrazione, Milano, 1971; SCOCA F.G., Il silenzio della pubblica Amministrazione alla luce del suo nuovo trattamento processuale, DP AMM, 2002, 239 ss.; SCOCA F.G., Rilievi critici sul trattamento processuale del silenzio, in La differenziazione dei riti processuali tra certezza ed effettività della tutela (a cura di) ASTONE-FALZEA P.-MORELLI-SAITTA F.-VENTURA, Soveria Mannelli, 2009, 249 ss.; SCOCA F.G.-D ORSOGNA M., Silenzio, clamori di novità, DP AMM, 1996, 397 e ss.; SGROI M., I tempi del procedimento, Legge 7 agosto 1990 n. 241 e ordinamenti regionali (a cura di) PASTORI, Padova, 1995, 51 ss.; SCOCA S.S., Il ritardo nell adozione del provvedimento e il danno conseguente, ; SCOCA S.S., Il termine come garanzia nel procedimento amministrativo, ; SPASIANO, Funzione amministrativa e legalità di risultato, Torino, 2003; TONO- LETTI, Silenzio della pubblica Amministrazione, D. 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L ambito oggettivo di applicazione del dovere di provvedere. 6. (Segue) Il silenzio significativo come legittima eccezione al dovere di provvedere? 7. La doverosità amministrativa ed il tempo del procedimento. 8. La tutela giurisdizionale della doverosità amministrativa: le incertezze della giurisprudenza e gli interventi chiarificatori del Legislatore. 227

6 Art. 2 Capo I PRINCIPI 1 1. Il fondamento della doverosità amministrativa. Il primo comma dell articolo 2 in commento rappresenta uno dei pilastri della legge n. 241 del Sin dall originaria formulazione del 1990, esso dispone che il procedimento, che consegua obbligatoriamente ad una istanza ovvero debba essere iniziato d ufficio, determina l insorgere dell obbligo per l amministrazione di concluderlo mediante l adozione di un provvedimento espresso. Da questa enunciazione, per la verità non troppo fortunata nello stile, si desume la doverosità dell attività amministrativa, intesa come: doverosità innanzitutto di iniziare il procedimento e quindi doverosità nell esercizio del potere; poi, come doverosità nella conclusione del procedimento; quindi, come doverosità nella assunzione e di conseguenza nella consumazione del potere; infine, come doverosità nella soddisfazione, ove possibile e ove legittima, delle pretese e delle situazioni giuridiche soggettive degli amministrati. Su questi profili si tornerà diffusamente nel corso del lavoro, preliminarmente però è utile interrogarsi sul fondamento della c.d. doverosità amministrativa. La più immediata risposta a tale interrogativo riconduce la doverosità amministrativa al principio di legalità, e ciò spiega probabilmente anche il perché il primo comma dell art. 2 in esame non abbia mai subìto modifiche nonostante i numerosi interventi riformatori che nel 2005 e nel 2009 hanno interessato la legge procedimentale. La doverosità dell azione amministrativa e dei suoi tempi rappresenta una peculiare declinazione del principio di legalità. Del resto, se è vero l assunto secondo cui il cittadino a fronte dell amministrazione non è più il cittadino-suddito, quel suddito che vede nella legalità l unico limite all esercizio del potere (inteso come argine della legge contro il suo abuso o il suo arbitrario esercizio), ma è invece un soggetto compartecipe della funzione pubblica che si esercita attraverso il potere amministrativo (ed il potere pubblico in generale; su questa concezione classica v. BENVENUTI F.), la legalità non è più soltanto limite negativo all esercizio del potere, ma diventa anche e soprattutto affermazione in positivo dell obbligo di esercitare quel potere e di esercitarlo in un tempo utile (o se si vuole, ragionevole). Una acquisizione, quest ultima, che ha origini antiche nel nostro panorama dottrinario e che già in anni lontani intravedeva la possibilità (o meglio, postulava la necessità), nella relazione di interessi tra soggetti privati e pubblica Amministrazione, di un obbligo giuridico di prendere un dato provvedimento (RANELLETTI, Il silenzio nei negozi giuridici; ID., Principi di diritto amministrativo, 21). La legalità, quindi, oltre che essere intesa come garanzia esterna o vincolo esterno all esercizio del potere, può essere collegata alla doverosità dell azione amministrativa nel tempo, in relazione alla quale, appunto, il cittadino si pone come soggetto interlocutore dell amministrazione sulla base di un rapporto che è fondato su doveri e obblighi reciproci. Una lettura del principio di legalità in termini di doverosità amministrativa, del resto, consente di cogliere l intimo legame del principio di legalità dell azione amministrativa con l altro fondamentale principio costituzionale sull Amministrazione pubblica, quello di buon andamento o, per usare la più moderna terminologia del diritto europeo, del dovere di buona amministrazione. Ciò è tanto 228

7 1 IL DOVERE DI CONCLUDERE IL PROCEDIMENTO E IL SILENZIO INADEMPIMENTO Art. 2 evidente da non richiedere che si spendano ulteriori parole (sul tema della doverosità amministrativa nella Costituzione si veda GOGGIAMANI, 80 ss.). Dunque, la prima origine della doverosità dell attività amministrativa nasce e si fonda nella legalità, nel principio di legalità inteso non solo come rispetto del vincolo di legge cioè dell enunciato normativo espresso, principio di legalità formale di derivazione tardo-settecentesca, ma soprattutto in quel vincolo nel perseguimento del fine che caratterizza tutto il diritto pubblico e poi il diritto amministrativo dalla metà dell Ottocento ai nostri giorni (GOGGIAMANI, 6 ss., spec. 41 ss.). L attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge e proprio nel vincolo di scopo rinviene il fondamento legale dell obbligo (o se si vuole, del dovere) di provvedere, della doverosità amministrativa. La doverosità amministrativa, come peraltro in modo molto serio e lucido testimoniano gli scritti della più recente dottrina (CIOFFI, Dovere di provvedere; GOGGIA- MANI), si articola come doverosità di inizio o di avvio della cura di determinati interessi pubblici da parte dei soggetti titolari del potere, doverosità nella consumazione del potere e quindi nell assunzione di decisione o decisioni in relazione a situazioni e interessi controversi e, infine, doverosità di soddisfazione delle situazioni giuridiche soggettive degli amministrati o, meglio, dei cittadini. Se questo è il contenuto minimo della doverosità dell azione amministrativa, ben ci si rende conto di quanto questo tema sia profondamente legato (ed intimamente inscindibile) con lo studio del principio di legalità. Il primo contenuto della doverosità, l obbligo di procedere, l obbligo di attivarsi rispetto a quello che Ledda chiamava il problema amministrativo, è fondato nella legge, nell insieme delle leggi attributive del potere in capo ad uno o più soggetti per il perseguimento dei fini pubblici (LEDDA, L attività amministrativa; ID., Determinazione discrezionale e domanda di diritto). Già le leggi che istituiscono enti pubblici, territoriali o meno, per il perseguimento di fini pubblici, nello stesso momento in cui istituiscono l ente e lo vincolano al perseguimento di un fine, generano quell obbligo di perseguimento dello scopo, rammentato nel primo comma, dell art. 1 della legge n. 241 del 1990: sin da quel momento sorge il dovere (o se si vuole, l obbligo) di azionare il potere amministrativo rispetto a quegli interessi. E tali previsioni legislative costituiscono anche il fondamento dell obbligo di concludere il processo decisionale, di consumare il potere, di decidere sull assetto degli interessi. Anche in questo caso la doverosità integra e si confonde con il principio di legalità proprio rispetto al vincolo di scopo. Un vincolo che si è visto enunciato nell art. 1 della legge 241 ma che caratterizza tutta l attività amministrativa fin da quando, nell 800, a seguito delle rivoluzioni borghesi, in tutti gli Stati liberali di diritto venne ad essere costruita la figura del controllo giurisdizionale sull esercizio del potere rispetto ad un vincolo di scopo. Ed il riferimento al détournement de pouvoir o all eccesso di potere è troppo ovvio, troppo scontato per essere ricordato in questa sede (sul punto v. ROMANO A., Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, nella seconda edizione, 295; LEDDA, Variazioni sul tema dell eccesso di potere). Siamo in presenza di un vero e proprio dovere di soddisfare i pubblici interessi affidati in cura all amministrazione (CIOFFI, Dovere di provvedere, 33 ss.). Infine, quanto alla doverosità delle prestazioni rispetto alle istanze avanzate dai 229

8 Art. 2 Capo I PRINCIPI 2 singoli nei confronti dell amministrazione, il vincolo della legalità trova il suo fondamento in tutte le norme giuridiche e in tutti gli atti e i fatti che originano situazioni giuridiche soggettive più o meno perfette di diritto o di interesse che, in qualche modo, vincolando l amministrazione, rendono doveroso da parte dell amministrazione stessa il soddisfacimento di alcune pretese ovvero il rispetto di situazioni soggettive già compiute e perfette. Questi tre profili della doverosità del provvedere, peraltro, costituiscono niente altro che l esplicitazione di quel dovere di perseguire il risultato che, in tempi recenti, è stato considerato quale nuova frontiera del principio di legalità, la c.d. legalità di risultato (sul punto si vedano IANNOTTA, Principio di legalità ed Amministrazione di risultato, 37 e ss.; SPASIANO; nonché il volume Principio di legalità ed Amministrazione di risultato (a cura di) IMMORDINO-POLICE, Torino, 2004). 2. Il silenzio-inadempimento dell amministrazione pubblica e l opera della giurisprudenza amministrativa. Da quanto detto si desume che la legalità è sostanzialmente l altra faccia di quella medaglia che reca sul verso il principio di doverosità dell azione amministrativa. Ci si deve domandare, a questo punto, quale sia la connessione tra silenzio dell Amministrazione e doverosità amministrativa. In realtà, come pare del tutto evidente, e come notava la dottrina sin dall inizio dello scorso secolo, il silenzio illegittimamente serbato dall amministrazione è nient altro che una delle possibili violazioni dell obbligo di provvedere, una delle più note patologie nella condotta dei pubblici poteri rispetto al generale dovere di provvedere (RANELLETTI, Principi, 108; FORTI, Il silenzio della pubblica Amministrazione ed i suoi effetti processuali, 534 ss.). Tuttavia, stante la natura eminentemente pretoria del nostro diritto amministrativo, è stato del tutto naturale che la regola, e cioè l obbligo giuridico di provvedere, trovasse piena affermazione e chiara evidenza soltanto a seguito della piena affermazione dei rimedi giurisdizionali a tutela della patologia, del silenzio. Com è noto, infatti, la figura del silenzio (inadempimento) nel nostro ordinamento è nata grazie all opera della giurisprudenza amministrativa, che si è ispirata alle riflessioni della dottrina. Il problema da risolvere era quello di trovare un meccanismo in grado di garantire al privato la tutela nelle ipotesi in cui vi era un inerzia (e quindi una violazione dell obbligo di provvedere) dell amministrazione. Soluzione non facile da individuare in un sistema che faceva ruotare la tutela intorno all impugnazione di un atto (il giudizio era sull atto e non sul rapporto ): se il provvedimento mancava, perché l amministrazione rimaneva silente, il sistema di tutela amministrativa entrava in crisi mostrando tutta la sua debolezza, dal momento che non c era nulla da impugnare. La giurisprudenza elaborò così la figura del silenzio-rifiuto e del silenzio-rigetto (evidenzia il declino del silenzio-rigetto, inizialmente riferito al solo silenzio su ricorso gerarchico, LIGNANI, Silenzio, 978 ss.). Fondamentale è stata la decisione del Consiglio di Stato del 1902 (Sez. IV, 22 agosto 1902; le prime storiche decisioni della IV Sezione del Consiglio di Stato che 230

9 2 IL DOVERE DI CONCLUDERE IL PROCEDIMENTO E IL SILENZIO INADEMPIMENTO Art. 2 sanzionano il comportamento omissivo della p.a. risalgono però alla fine del XIX secolo: cfr. Cons. St., IV, 16 marzo 1893, n. 109; Id., 18 luglio 1893, n. 244; e soprattutto Id., 2 marzo 1894, n. 78). La fattispecie che originò la decisione Longo del 1902 era, come a molti noto, l inerzia serbata dall amministrazione su un istanza di riesame di un provvedimento emanato dall amministrazione, quindi un procedimento di secondo grado, come li si chiamava un tempo. La IV Sezione del Consiglio di Stato equiparò tale inerzia ad un provvedimento di rifiuto, come tale suscettibile di sindacato giurisdizionale. Ed in questo si affermò, per la prima volta in modo chiaro sia pure indiretto, che rispetto all istanza di riesame si poneva come doveroso l esercizio del potere. Per altro verso, si aprirono le porte alla tutela del cittadino anche di fronte ad un comportamento inerte dell amministrazione pubblica. Già in quella prima decisione e si ritiene in modo del tutto inconsapevole figurano in nuce le tre specie di doverosità amministrativa di cui si è detto poc anzi: doverosità dell amministrazione di prendere in esame l istanza di riesame; doverosità dell amministrazione di decidere sull istanza accogliendola o rigettandola e, in terzo luogo, doverosità rispetto alla pretesa sostanziale dell istante a vedere esercitata l autotutela amministrativa. Inizialmente, quindi, la giurisprudenza amministrativa ricostruiva l inerzia dell amministrazione come una manifestazione della volontà negativa della stessa; in altre parole, attraverso un procedimento logico di presunzione, il silenzio veniva equiparato ad un provvedimento negativo, di rifiuto, dell amministrazione. La conseguenza di questa impostazione si pagava in termini di effettività di tutela da parte del cittadino. Infatti, seguendo questo schema, il Giudice amministrativo si limitava a pronunciare l annullamento dell atto fittizio di rifiuto, rimettendo la decisione sull accoglimento o meno della domanda del privato ancora una volta nelle mani dell amministrazione. Il ricorrente, cioè, dopo aver atteso i lunghi tempi del processo, riusciva ad ottenere dal Giudice amministrativo una mera dichiarazione dell obbligo di provvedere, ritrovandosi così di nuovo in attesa dell emanazione di un provvedimento formale da parte dell autorità amministrativa che doveva decidere sulla fondatezza delle sue pretese. Da quella decisione del 1902, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha poi continuato in modo sempre più maturo a delineare contenuti e portata della doverosità di provvedere e della sua piena giustiziabilità nelle ipotesi di silenzio illegittimo serbato dall amministrazione. Fondamentale in questo processo di evoluzione verso una maggiore tutela dal silenzio-inadempimento della p.a. è stata la svolta che si è avuta con l inserimento nella sentenza di un contenuto ordinatorio (che si affiancava alla misura demolitoria), vincolante il successivo comportamento dell amministrazione. Ciò ha consentito alla giurisprudenza di dare maggiore incisività di tutela al giudizio avverso l inerzia amministrativa: si è abbandonato così lo schema del silenzio quale atto fittizio negativo e si sono aperte le porte ad un processo di accertamento circa l esistenza in capo all amministrazione dell obbligo di provvedere nel caso concreto (su questo percorso v. SCOCA F.G.-D ORSOGNA M., Silenzio, clamori di novità, 397 e ss.). Come detto, diverse sono state le tappe che hanno portato ad una maggiore 231

10 Art. 2 Capo I PRINCIPI 2 effettività di tutela avverso l inerzia della p.a. (per una ricostruzione si veda PARISIO, I silenzi della pubblica Amministrazione, 39 e ss.). Qui per brevità ci si limita a segnalare la svolta che si è avuta con le decisioni del Consiglio di Stato del 1978 (AP, 10 marzo 1978, n. 10, GC, 1978, II, 269) e del 1982 (VI, 26 febbraio 1982, n. 92, GI, 1983, III, 1, 137). Con queste due importanti pronunce si è superato il mero riconoscimento del dovere di provvedere in astratto e si è giunti a riconoscere che il sindacato del Giudice amministrativo debba spingersi, nelle ipotesi di attività amministrativa vincolata, a stabilire la fondatezza della pretesa del ricorrente. Si è in tal modo sviluppato un sistema di tutela che nato come sindacato sul silenzio e sull illegittimità del silenzio è diventato, sempre grazie all opera della giurisprudenza amministrativa, sindacato sulla fondatezza della pretesa rispetto alla quale l amministrazione è restata silenziosamente inerte. Quindi, sindacato di annullamento e sindacato di accertamento della fondatezza della pretesa. In questo sistema, tuttavia, l effettività di tutela delle posizioni giuridiche del ricorrente era pregiudicata dai tempi eccessivamente lunghi per vedere soddisfatte le proprie pretese; infatti, poiché il Giudice adito non poteva emanare il provvedimento in sostituzione dell amministrazione, oltre ai due gradi di giudizio amministrativo il ricorrente doveva anche attendere il giudizio di ottemperanza e l intervento di un commissario ad acta (sul punto v. PARISIO, I silenzi della pubblica Amministrazione, 76; oggi la situazione è migliorata grazie ai termini brevi previsti dall art. 21-bis,l. TAR ed ora dall art. 117 del Codice del processo amministrativo). Il silenzio dell amministrazione si è evoluto così dalla tradizionale figura del silenzio-rifiuto a quella del silenzio-inadempimento (le due qualificazioni sono però spesso utilizzate come sinonimi). Come è stato notato, il silenzio viene considerato illegittimo non tanto perché comporta gli effetti di un sostanziale diniego nei confronti della pretesa fatta valere dal privato, ma perché costituisce, di per se stesso, un obiettiva inadempienza rispetto all obbligo di definire il procedimento; come tale viene qualificato sfavorevolmente dall ordinamento, indipendentemente che confligga con una pretesa fondata o infondata (LIGNANI, Silenzio, spec. par. 9; criticano i nomignoli attribuiti al silenzio: rigetto, rifiuto, inadempimento, SCOCA F.G.-D ORSOGNA M., Silenzio, clamori di novità, 397 e ss.). Quanto ai termini per la formazione del silenzio-inadempimento, l approdo finale si deve sempre alla predetta Adunanza plenaria n. 10 del 1978, la quale, seguendo la nota teoria di Sandulli (SANDULLI A.M., Manuale di diritto amministrativo, 297 e ss.; ID., Sul regime attuale del silenzio-inadempimento, 169 e ss.), ha ritenuto applicabile al silenzio-rifiuto, per analogia, l art. 25 del t.u. 10 gennaio 1957, n. 3. Ciò ha consentito di individuare dei termini abbastanza brevi di formalizzazione dell inadempimento dell amministrazione. In base al richiamato articolo, infatti, il silenzio-rifiuto si forma decorsi 60 giorni dall istanza ed ulteriori 30 giorni dalla diffida rivolta all impiegato da effettuarsi a mezzo di ufficiale giudiziario. Come si vedrà meglio nei prossimi paragrafi, su questi profili è oggi intervenuto il Legislatore. 232

11 4 IL DOVERE DI CONCLUDERE IL PROCEDIMENTO E IL SILENZIO INADEMPIMENTO Art (Segue) I contributi della dottrina. Dunque, la giurisprudenza amministrativa è centrale nella ricostruzione del principio di doverosità dell agire amministrativo e della tutela giurisdizionale avverso il silenzio inadempimento della p.a., ma tali acquisizioni giurisprudenziali non possono andar disgiunte dall opera che la dottrina amministrativistica italiana ha svolto in modo attento e sagace sin dall inizio del 900. Si è detto del primo scritto giovanile di Oreste Ranelletti, ma si deve segnalare il fiorire di numerose ed assai significative note a sentenza sui temi del silenzio, da cui origina un percorso culturale che è anche un percorso civile e che giunge appunto all affermazione dell obbligo di provvedere come dovere di dare soddisfazione a situazioni giuridiche soggettive degli amministrati (si vedano: BORSI, Il silenzio della pubblica Amministrazione nei riguardi della giustizia amministrativa; ID., Il preteso atto amministrativo tacito; FORTI, Il silenzio della pubblica Amministrazione ed i suoi effetti processuali, 533 ss.; MIELE, Pubblica funzione e servizio pubblico; ID., Alcune osservazioni sulla nozione di procedimento amministrativo; CANNADA BARTOLI, 175 ss.; GUICCIARDI, 21 ss.) La posizione iniziale, quella originariamente pensata da Rannelletti con riferimento, in realtà, al negozio giuridico di diritto privato ed al silenzio significativo nel diritto privato, viene poi sviluppata in termini di doverosità dell agire. Doverosità dell agire che via via si arricchisce di contenuti. Si arricchisce perché, nel momento iniziale era semplicemente doverosità del decidere, quindi soltanto una di quelle tre ipotesi o predicati della doverosità di cui dicevamo, e che poi, viceversa, negli anni 40 e 50 è diventata anche doverosità di procedere, ma non collegata a situazioni giuridiche soggettive di tipo sostanziale, solo a situazioni strumentali (gli studi di Miele e di Guicciardi soprattutto), e poi, infine, doverosità rispetto a pretese sostanziali (dopo l intuizione di Cannada Bartoli, gli studi di Ledda e di Scoca, fino alle ultime acquisizioni: si segnalano fra i molti lo studio monografico di PARISIO, I silenzi della pubblica Amministrazione ed il saggio di SCOCA F.G.-D ORSOGNA M., Silenzio, clamori di novità, 397 ss.). È questo l humus culturale su cui viene costruita la legge n. 241 del 1990 e le previsioni legislative che finalmente codificano il dovere di provvedere nei suoi contenuti precisi e nella sua dimensione temporale. 4. Il tardivo (ma non inopportuno) intervento del Legislatore. A distanza di novant anni dalla prima decisione del Consiglio di Stato, il Legislatore ha posto mano alla codificazione del principio di doverosità. Vi ha posto mano, come si è già accennato, con l articolo 2 della legge n. 241/1990, la cui rubrica, introdotta dalla legge n. 15 del 2005, reca Conclusione del procedimento. Ovviamente la rubrica è assai poco efficace, ma non è certo l imperfezione più grave della novella del In realtà l art. 2 pone in evidenza tutti gli elementi della doverosità amministrativa. Rubrica più significativa sarebbe stata quindi Doverosità dell agire delle pubbliche Amministrazioni oppure dell attività amministrativa autoritativa. La norma infatti impone innanzitutto la doverosità di procedere ove il procedi- 233

12 Art. 2 Capo I PRINCIPI 4 mento consegua obbligatoriamente ad un istanza, ovvero debba essere iniziato d ufficio. In questo inciso del primo comma dell art. 2 si configura il primo significato della doverosità, ipotizzando, nell ambito dei due tipi diversi di avvio di ogni procedimento amministrativo, quello ad istanza di parte e quello d ufficio, che in entrambi i casi vi sia un obbligo di procedere. Se c è un istanza di parte c è un dovere dell amministrazione di esaminarla e di concludere il procedimento: doverosità dell esame. Ovvero, se c è una situazione di fatto conosciuta all amministrazione da cui derivi o scaturisca un obbligo dell amministrazione di provvedere d ufficio, vi sarà un eguale dovere che presuppone il dovere di avvio ufficioso del procedimento e postula poi il dovere di svolgere quel procedimento. La formulazione del primo comma dell art. 2, nelle sue incertezze fra dovere ed obbligo di provvedere (incertezze criticate in dottrina da FIGORILLI-GIUSTI, Commento all art. 2, 136 e ss.), costringe ancora ad interrogarsi su quale sia il fondamento della doverosità amministrativa nei diversi procedimenti avviati ad istanza di parte ed in quelli avviati d ufficio. Pare tuttavia non contestabile l affermazione secondo cui mentre nei procedimenti ad istanza di parte la doverosità nasce dalla stessa proposizione dell istanza (ma non di qualsiasi istanza: sul punto v. infra, nonché il saggio di MORBIDELLI G., Il tempo del procedimento, 251 ss.), la doverosità dei procedimenti ufficiosi nasce altrove, da un altra fonte legale che non è la legge sul procedimento, ma l insieme delle norme giuridiche che rispetto alla pluralità d interessi giustificano, richiedono e rendono necessario l esercizio d ufficio del potere per far fronte ai più disparati interessi. Quindi, la fonte della doverosità dell avvio del procedimento ad iniziativa d ufficio si rinviene in una molteplice serie di norme, tra cui quelle di attribuzione del potere in capo a soggetti od enti pubblici. La pubblica amministrazione poi, indipendentemente dall avvio ad istanza di parte o dall avvio d ufficio del procedimento, ha il dovere di concluderlo. E siamo così al secondo corollario della doverosità: la doverosità del provvedere enunciata come obbligo di conclusione del procedimento amministrativo. Il procedimento non soltanto deve essere iniziato, ma deve anche essere concluso; si badi, questa norma è molto modesta, all apparenza sembra soltanto una norma procedimentale. Ma non è così. La norma infatti pone un vincolo o meglio un preciso dovere di esercitare il potere a mezzo di un provvedimento espresso e si tratta di un acquisizione normativa straordinaria se solo si pone mente allo stato della dottrina del diritto amministrativo negli anni che vanno dal 1940 al Si pensi, ad esempio, al Corso di Santi Romano dove ancora si parla di funzioni libere (Corso di diritto amministrativo, 1930, 144 ss.), oppure allo scritto del giovane Giannini sul potere discrezionale della pubblica amministrazione (Il potere discrezionale della pubblica Amministrazione, 46 ss.): in quell epoca si pensava che il potere discrezionale fosse un potere sostanzialmente fondato sulla libertà nell an oltre che nel quomodo, sulla libertà nel quando, cioè un potere esercitabile o meno in base all apprezzamento politico dell assetto degli interessi, fatto dall amministrazione. Il pensiero di Giannini è del tutto illuminante in proposito: la discrezionalità è ponderazione di interessi; gli interessi non sono determinati o fissati nella 234

13 5 IL DOVERE DI CONCLUDERE IL PROCEDIMENTO E IL SILENZIO INADEMPIMENTO Art. 2 legge; l amministrazione stabilisce quali sono gli interessi da perseguire e quindi stabilisce se è tempo di determinare o perseguire alcuni interessi. Non è più questa la prospettiva degli anni Novanta, perché l obbligo di provvedere o, meglio, di concludere il procedimento significa vincolo per l amministrazione di decidere comunque, di assumere comunque una decisione regolativa sull assetto degli interessi. Dovere anche di rifiutare, questo il pensiero di Franco Ledda a poco meno di trent anni dallo scritto di Giannini, si stravolgeva l assetto delle posizioni appena ricordate per individuare l obbligo dell amministrazione eventualmente di rifiutare, ma sempre di esercitare il potere. Ebbene, qualche decennio dopo, l articolo 2 della legge n. 241 del 1990 ci dice che il procedimento deve sempre essere concluso e quindi il potere deve sempre essere esercitato, ove avviato. Anzi la norma in esame, soffermandosi sulla forma, puntualizza anche che la conclusione del procedimento deve avvenire sempre mediante l adozione di un provvedimento espresso, quindi con un atto scritto. Di più. Correlando l articolo 2 in esame con la previsione di cui alla norma successiva della legge n. 241 del 1990, l articolo 3 (secondo cui com è noto ogni provvedimento amministrativo deve essere motivato, ad eccezione degli atti normativi e di quelli a contenuto generale), si ricava l obbligo per l amministrazione di concludere il procedimento mediante un provvedimento espresso e motivato. Anche la giurisprudenza sottolinea che con queste due disposizioni è stato introdotto nel nostro ordinamento l obbligo per le pubbliche amministrazioni di rispondere in modo non solo espresso ma anche motivato a tutte le istanze dei privati, in ossequio ai principi generali di trasparenza e leale collaborazione (TAR Lazio, Roma, II, 17 settembre 2007, n. 8992, FA-TAR, 2007, 9, 2792; Id., 5 ottobre 2007, n. 9819, FA-TAR, 2007, 10, 3081). La mancata conclusione del procedimento con un provvedimento espresso, di conseguenza, va a violare, nel contempo, due disposizioni della legge n. 241 del 1990: gli articoli 2 e 3(così CIMINI, Semplificazione amministrativa e termine procedimentale, 156). 5. L ambito oggettivo di applicazione del dovere di provvedere. La previsione dell art. 2, comma 1, della legge n. 241 del 1990, colora quindi di illegittimità il mancato esercizio del potere, cioè il silenzio-inadempimento serbato dall Amministrazione pubblica. Giova precisare però che vi sono dei casi nei quali il dovere di provvedere (o meglio, di avviare un procedimento) per la pubblica Amministrazione non sorge e pertanto non si forma il silenzio-inadempimento. Il dovere di provvedere rappresenta infatti il presupposto per il configurarsi dell inadempimento della p.a. Del resto, come è stato da tempo notato in dottrina, se l Autorità non ha alcun obbligo giuridico, il silenzio non può avere alcun significato (RANELLETTI, Principi di diritto amministrativo, 108). Così, se come già detto non vi sono incertezze sull obbligo di provvedere quando il procedimento debba essere iniziato d ufficio (obbligo che trova di regola 235

14 Art. 2 Capo I PRINCIPI 5 il suo fondamento in norme), perplessità possono sorgere nei procedimenti ad istanza di parte. Già prima dell entrata in vigore della legge n. 241 del 1990, infatti, la giurisprudenza amministrativa ha elaborato una ricca casistica di ipotesi nelle quali, pur a seguito di un istanza da parte del cittadino, non scatta in capo al soggetto pubblico l obbligo di provvedere: si pensi alle istanze manifestamente assurde o a quelle totalmente infondate o illegali (ex multis, Cons. St., IV, 11 giugno 2002, n. 3256, FA-CS, 2002, ; Id., 2 novembre 2004, n. 7068, FA-CS, 2004, 3129), nonché ai casi di istanze volte al rilascio di provvedimenti non previsti dall ordinamento (Cons. St., IV, 22 giugno 2006, n. 3921, FA-CS, 2006, 6, 1786) o alle istanze reiterate con lo stesso contenuto in assenza di mutamenti della situazione di fatto e di diritto (a titolo esemplificativo si veda Cons. St., IV, 20 novembre 2000, n. 6181, FA, 2000, 11). L obbligo di provvedere sussiste invece senz altro quando la legge riconosce espressamene al privato il potere di presentare un istanza. La giurisprudenza evidenzia tuttavia come la p.a. debba attivarsi anche in assenza di una norma legislativa che le imponga il dovere di provvedere. L obbligo di provvedere della p.a. si configura infatti anche in fattispecie ulteriori nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongono l adozione di un provvedimento, a prescindere quindi dall esistenza di una previsione legislativa che tipizzi l istanza del privato (Cons. St., VI, 11 maggio 2007, n. 2318, FA-CS, 2007, 5, 1568). In altre parole, l obbligo sussiste ogniqualvolta esigenze di giustizia sostanziale impongano l adozione di un provvedimento espresso, in ossequio al dovere di correttezza e buona amministrazione (art. 97 Cost.), in rapporto al quale il privato vanta una legittima e qualificata aspettativa ad un esplicita pronuncia (così Cons. St., IV, 14 dicembre 2004, n. 7955, FA-CS, 2004, 12, 3502). Ciò significa che in talune fattispecie l amministrazione pubblica ha una sfera di discrezionalità nel decidere se provvedere o meno. Ad ogni modo, se l amministrazione decide di dar corso ad un istanza e avviare il procedimento, deve sempre rispettare tutte le norme della legge n. 241/1990, ivi comprese le disposizioni contenute negli articoli 2 e 3. La giurisprudenza, allorché manchi una espressa previsione legislativa che imponga all amministrazione di provvedere, ha operato una distinzione tra istanze volte ad ottenere rispettivamente: a) atti di contenuto favorevole; b) riesame di atti sfavorevoli precedentemente emanati; c) atti diretti a produrre effetti sfavorevoli nei confronti di terzi, dall adozione dei quali il richiedente possa trarre indirettamente vantaggi. Secondo il Giudice amministrativo, nell ipotesi sub a), l obbligo della p.a. di provvedere si configura se chi presenta l istanza sia titolare di un interesse legittimo pretensivo; in quella sub b) non sussiste di regola la configurazione di un obbligo di riesame (se non per ragioni di giustizia ed equità e in ossequio ai principi di correttezza e buona fede); nell ipotesi sub c) sussiste l obbligo di attivarsi qualora l istante sia titolare di una situazione di specifico e rilevante interesse che lo differenzia da quello generalizzato di per sé non immediatamente tutelabile (Cons. St., VI, 11 maggio 2007, n. 2318, cit.). 236

15 6 IL DOVERE DI CONCLUDERE IL PROCEDIMENTO E IL SILENZIO INADEMPIMENTO Art (Segue) Il silenzio significativo come legittima eccezione al dovere di provvedere? Non si possono poi ignorare le ipotesi di c.d. silenzio significativo (silenzio-assenso e silenzio-diniego). Ipotesi che sono di origine legislativa, a differenza del silenzio-inadempimento che, come s è visto, risulta essere di natura giurisprudenziale. Mentre il silenzio-inadempimento assume la colorazione della patologia a fronte del dovere di provvedere, i procedimenti ad istanza di parte rientranti nello schema del silenzio significativo si pongono come legittima deroga, o meglio come eccezione tipica al dovere di provvedere con provvedimento espresso. Di conseguenza, il campo di applicazione del silenzio-inadempimento è circoscritto proprio dal silenzio significativo. Se si considera peraltro che il silenzioassenso costituisce oggi la regola nel nostro ordinamento per i procedimenti ad istanza di parte (a seguito delle modifiche introdotte nel 2005 all art. 20 della legge n. 241 del 1990), se ne desume che l operatività del silenzio-inadempimento (e quindi dell obbligo di provvedere con un provvedimento espresso) è limitata grosso modo ai procedimenti che iniziano d ufficio e alle eccezioni al silenzioassenso previste dall art. 20 (procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza e l immigrazione, la salute, la pubblica incolumità, ecc.; si deve segnalare poi che il silenzio assenso opera, a sua volta, nelle ipotesi nelle quali non si applica la d.i.a. e, a seguito della riscrittura dell art. 19 l. n. 241/1990 ad opera della l. n. 122/2010, la s.c.i.a.: v. art. 20, comma 1, l. n. 241/1990). L istituto del silenzio significativo solleva però molte perplessità, sia di ordine teorico fra gli studiosi, sia di ordine applicativo fra i pratici. Si deve notare in ogni modo che le ipotesi di silenzio significativo non esonerano sempre la p.a. dall obbligo di emanare un provvedimento espresso. Infatti, l amministrazione continua ad essere obbligata all emanazione del provvedimento qualora debba assumere decisioni diverse rispetto a quelle previste dal Legislatore col meccanismo del silenzio significativo. Così, ad esempio, nelle ipotesi di silenzioassenso, se non è possibile accogliere la domanda dell istante, l amministrazione deve emanare, entro i termini prestabiliti, il provvedimento di diniego (oppure può indire una conferenza di servizi). Viceversa, nelle rare ipotesi di silenziodiniego, la p.a. è costretta ad emanare il provvedimento favorevole qualora intenda accogliere l istanza. Inoltre, l amministrazione è comunque sempre libera di emanare il provvedimento espresso. D altronde, le ipotesi di silenzio significativo non fanno venir meno il potere della p.a. di emanare il provvedimento. Ben può esserci perciò un provvedimento di rigetto della domanda nelle ipotesi di silenzio-diniego o un provvedimento di accoglimento dell istanza nei casi di silenzio-assenso. Anzi, in dottrina è stata elaborata la tesi secondo cui, in base ad un interpretazione sistematica dell ordinamento, l obbligo di provvedere convive con la possibilità che si formino silenzi significativi. In altre parole, si ritiene che l obbligo dell amministrazione di pronunciarsi in modo espresso non viene meno nelle ipotesi in cui la legge preveda il silenzio significativo (TRAVI, Silenzio-assenso e legittimazione ex lege, 607; ID., Commento all art. 2, Le nuove leggi civili commentate, 1995, 8 e ss.; 237

16 Art. 2 Capo I PRINCIPI 6 condividono questa tesi FIGORILLI-RENNA, Commento all art. 2, ; nonché GIULIETTI, Commento all art. 20, 495, che considera il silenzio un mero rimedio legale all inazione dell amministrazione che non fa venire meno l obbligo della stessa di provvedere). Anche una parte della giurisprudenza amministrativa segue questo orientamento, in particolare nelle ipotesi di silenzio-diniego, dove la mancanza di provvedimento e motivazione è maggiormente sentita dal soggetto istante. Secondo la giurisprudenza, infatti, si deve aderire ad una linea ermeneutico-applicativa, improntata a criteri di tutela giurisdizionale piena ed effettiva, che comporta la compatibilità delle ipotesi di silenzio significativo col rito speciale ex art. 21-bis della legge n. 1034/1971 ora art. 117 del Codice del processo amministrativo (TAR Lazio, Latina, 27 giugno 2005, n. 566, FA-TAR, 2005, 6, 2086; TAR Campania, Napoli, II, 29 marzo 2006, n. 3262, FA-TAR, 2006, 3, 1066; TAR Lazio, Roma, II, 17 settembre 2007, n. 8992, cit.; Id., 5 ottobre 2007, n. 9819, cit.; TAR Campania, Napoli, VIII, 11 giugno 2009, n. 3207, FA-TAR, 2009, 6, 1865; in senso contrario si vedano però Cons. St., IV, 20 settembre 2006, n. 5500, FA-CS, 2006, 9, 2517; TAR Sicilia, Catania, I, 20 marzo 2007, n. 475, FA-TAR, 2007, 3, 1127; Id., 17 ottobre 2005, n. 726; TAR Calabria, Reggio Calabria, 23 dicembre 2002, n. 2090, FA-TAR, 2002, 12). Per i giudici amministrativi il silenzio serbato dall Amministrazione anche nelle ipotesi in cui il Legislatore abbia attribuito uno specifico significato al silenzio in termini di rigetto della domanda integra la violazione di un preciso dovere giuridico di provvedere e si risolve in una grave limitazione del diritto di difesa del cittadino (TAR Lazio, Roma, II-bis, 16 marzo 2009, n. 2689, FA-TAR, 2009, 3, 743; Id., II, 3 gennaio 2008, n. 8; TAR Sardegna, Cagliari, II, 20 febbraio 2007, n. 167, FA-TAR, 2007, 2, 782, che riconosce al privato la sussistenza di una pretesa tutelata al procedimento nei casi di silenzio significativo; sulla tutela dell istante e del terzo nei casi soggetti a silenzio significativo si veda GIULIETTI, Aspetti problematici di tutela nei casi di inerzia tipizzata). Ma anche nelle ipotesi di silenzio-assenso si rinviene traccia di questa impostazione (v. TAR Puglia, Bari, II, 18 gennaio 2002, n. 335, FA-TAR, 2002, 229 dove, in un caso di silenzio assenso, si afferma che l art. 20 della legge n. 241 del 1990 non introduce una rottura col principio generale di cui all art. 2 della stessa legge e cioè col dovere di adottare un provvedimento espresso ). Certo, nelle fattispecie di silenzio assenso è meno evidente il bisogno di avere un provvedimento espresso da parte dell interessato, tant è che il comma 8 dell art. 2 della legge n. 241 del 1990, nel testo antecedente alla modifica apportata dall art. 3, comma 2, allegato 4 al d.lg. 2 luglio 2010, n. 104, prevedeva che il ricorso avverso il silenzio dell amministrazione, ai sensi dell art. 21-bis l. TAR, non potesse essere proposto proprio nelle fattispecie di silenzio-assenso (detta esclusione espressa non è riprodotta, invece, nel testo dell art. 117 del Codice del processo amministrativo che attualmente disciplina i ricorsi avverso il silenzio ). Ciò nondimeno, non si può escludere che pure in questa eventualità l istante non abbia interesse ad avere un atto scritto: si pensi alle ipotesi, non poi così infrequenti, nelle quali un soggetto privato (o anche la stessa amministrazione pubblica) pretenda dal cittadino un provvedimento (ad esempio autorizzatorio) espresso e non si accontenti della formazione 238

17 7 IL DOVERE DI CONCLUDERE IL PROCEDIMENTO E IL SILENZIO INADEMPIMENTO Art. 2 del silenzio-assenso. A tacere poi della posizione di eventuali terzi che potrebbero avere comunque interesse ad un provvedimento espresso e motivato. La dottrina, seguendo la tesi sopra descritta, ritiene altresì che nelle ipotesi di silenzio significativo l inadempimento dell obbligo del clare loqui possa rilevare ai fini della responsabilità (soprattutto disciplinare e dirigenziale) dei dipendenti (FI- GORILLI-RENNA, Commento all art. 2, 112; GIULIETTI, Commento all art. 20, 496; per uno spunto in tal senso si veda anche TAR Sicilia, Palermo, I, 20 agosto 2007, n. 1971, FA-TAR, 2007, 7-8, 2671). Del resto, l attuale comma 9 dell art. 2 della legge n. 241/1990 prevede espressamente che la mancata emanazione del provvedimento nei termini costituisce elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale. Accedendo alla tesi sopra descritta, è evidente che le distanze tra silenzio significativo e silenzio inadempimento si riducono drasticamente e le differenze si stemperano. Va infine notato che le disposizioni sul silenzio significativo si pongono quantomeno in contraddizione con gli articoli2e3della medesima legge procedimentale. 7. La doverosità amministrativa ed il tempo del procedimento. L art. 2 della legge n. 241 del 1990 completa la nozione di doverosità amministrativa con le previsioni sui termini procedimentali: il procedimento non solo deve essere avviato, ma deve concludersi con un provvedimento espresso entro un tempo dato. L amministrazione, cioè, non ha solo l obbligo sul se provvedere ma anche sul quando emanare il provvedimento. Il rilievo del termine del procedimento nella configurazione della doverosità amministrativa è evidente perché è dal suo inutile decorso che si forma il c.d. silenzio-inadempimento. D altra parte, l obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso sarebbe del tutto inutile se l amministrazione potesse emanare l atto conclusivo a suo piacimento (TRAVI, Commento all art. 2, 10). La doverosità dell esercizio del potere, in altri termini, è tale proprio in quanto (e solo in quanto) esiste un termine oltre il quale a fronte del dovere di provvedere si consolida (almeno) una situazione giuridica soggettiva di pretesa assistita da idonea garanzia giurisdizionale. E del resto, anche nella antica giurisprudenza sul silenzio il principale sforzo creativo fu quello di costruire un meccanismo procedimentale in grado di porre un termine temporale oltre il quale si potesse contestare l inadempimento dell obbligo di provvedere. Fino alla legge n. 241 del 1990 non vi era un tempo del procedimento, un tempo in senso generale. Vi erano procedimenti che avevano previsioni temporali di durata, ma non vi era una previsione generale sul tempo (un quadro della legislazione amministrativa sui termini si trova in CLARICH, Termine del procedimento, 78 e ss.). La legge n. 241 del 1990, viceversa, stabilisce con una norma di duplice contenuto, che le Amministrazioni determinano il tempo di ciascun provvedimento con atto normativo e, in secondo luogo, che qualora la pubblica amministrazione non provveda, provvede direttamente la legge, stabilendo un termine che, originariamente fissato in trenta giorni, è stato con le riforme del

18 Art. 2 Capo I PRINCIPI 7 portato a novanta giorni ed oggi di nuovo ridotto a trenta giorni dal comma 2, dell articolo 2, come riformulato dalla legge n. 69 del Di conseguenza, dopo la legge n. 241 del 1990, non vi sono più procedimenti amministrativi senza un termine certo fissato per la loro conclusione: la legge procedimentale, infatti, non esclude alcun tipo di procedimento dalla previsione dell obbligo per l Amministrazione di provvedere nei termini (come notato da FIGORILLI-RENNA, Commento all art. 2, 105 e ss.; al principio della certezza del tempo dell agire della pubblica Amministrazione è dedicata la bella monografia di CLA- RICH, Termine del procedimento, passim; sui termini procedimentali dopo le recenti riforme si vedano MORBIDELLI G., Il tempo del procedimento, 251 e ss.; SCOCA S.S., Il termine come garanzia nel procedimento amministrativo). Inutile dire che questa previsione normativa è molto significativa. È molto significativa la previsione originaria dell articolo 2, e ancor più significativa la nuova formulazione dell articolo 2. Con la novella del 2009 come s è detto il termine da applicare nelle ipotesi in cui le Amministrazioni non prevedono un termine diverso è stato riportato di nuovo a trenta giorni. Il Consiglio di Stato, nel parere reso il 2 marzo 2006 sulle modifiche legislative introdotte nel 2005, aveva invece salutato con favore l innalzamento del termine a novanta giorni. Nel predetto parere il Consiglio di Stato pose in evidenza che il termine di novanta giorni era un termine più ragionevole rispetto al termine precedente, perché teneva conto delle realtà delle pubbliche amministrazioni nostrane e soprattutto non costringeva le stesse ad ipotizzare termini più lunghi rispetto alla realtà. Le modifiche introdotte con la legge n. 69 del 2009 fanno emergere la volontà del Legislatore di garantire la celerità del procedimento e ciò potrebbe andare a discapito di una adeguata e accurata attività istruttoria. Le amministrazioni, comunque, possono con regolamento individuare termini più lunghi di conclusione dei procedimenti di loro competenza rispetto ai provocatori trenta giorni indicati dall art. 2 in esame. Peraltro, per scongiurare che le singole amministrazioni prevedano termini eccessivamente lunghi per la conclusione dei procedimenti, come già accaduto più volte in passato, il Legislatore del 2009 ha riscritto l art. 2 indicando dei termini massimi. Così attualmente, il comma terzo dell art. 2 cit. dispone che i termini di conclusione dei procedimenti delle amministrazioni statali devono essere contenuti in novanta giorni. Detti termini vanno individuati con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (non più dunque con regolamento), su proposta dei Ministri competenti e di concerto con i Ministri per la pubblica amministrazione e l innovazione e per la semplificazione amministrativa. Gli enti pubblici nazionali stabiliscono i termini secondo i loro ordinamenti (art. 2, comma 3, legge n. 241/1990). Soltanto nelle ipotesi in cui si rendono effettivamente necessari termini più lunghi (tenendo conto della sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento), si possono superare i novanta giorni. In ogni caso, i termini procedimentali non possono andare oltre i centottanta giorni. Inoltre, i decreti per individuare termini superiori ai novanta giorni devono essere adottati 240

19 7 IL DOVERE DI CONCLUDERE IL PROCEDIMENTO E IL SILENZIO INADEMPIMENTO Art. 2 attraverso un procedimento rinforzato (CALVIERI, Commento all art. 29, 765), e cioè anche su proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e l innovazione e per la semplificazione normativa e previa deliberazione del Consiglio dei Ministri. Il tetto dei centottanta giorni può essere superato esclusivamente nelle ipotesi di procedimenti relativi all acquisto della cittadinanza italiana e per quelli riguardanti l immigrazione (art. 2, comma 4, legge n. 241/1990). Quindi, rispetto al passato il Legislatore del 2009 ha aggiunto al meccanismo teso ad eludere una eventuale inerzia della p.a. (applicazione della norma sui termini per default), anche precise previsioni di carattere temporale, che limitano la discrezionalità dell amministrazione nell indicare la durata dei procedimenti. Poiché i termini non potranno superare i centottanta giorni (tranne le ipotesi relative alla cittadinanza e all immigrazione), si configura in capo alle amministrazioni l onere di (ri)determinare la durata dei loro procedimenti rendendoli meno gravosi e più snelli. Di conseguenza, non ci si potrà più trovare nella situazione paradossale del passato dove la fissazione da parte delle amministrazioni di termini molto lunghi (si arrivava in alcun casi a migliaia di giorni) ha finito col rendere la nuova normativa addirittura peggiorativa rispetto alla situazione precedente fondata sul meccanismo del silenzio-rifiuto ex art. 25 del d.p.r. n. 3/1957 (come notato da CIMINI, Semplificazione amministrativa e termine procedimentale, 163). La legge n. 69 del 2009, all art. 7 comma 4, prevede una deroga espressa per i procedimenti in materia ambientale e per i procedimenti di verifica o autorizzativi concernenti i beni storici, architettonici, culturali, archeologici, artistici e paesaggistici, per i quali si applicano rispettivamente i termini previsti da disposizioni di legge e di regolamento vigenti in materia ambientale e quelli stabiliti dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lg. n. 42 del 2004). Una disciplina derogatoria è prevista anche per i procedimenti di competenza delle Autorità di garanzia e di vigilanza, i cui termini procedimentali devono essere disciplinati in conformità ai loro ordinamenti, fatto salvo quanto previsto da specifiche disposizioni normative (art. 2, comma 5, legge n. 241/1990). Inoltre, il comma 3 dell art. 7 della legge n. 69/2009 ha introdotto un regime transitorio prevedendo che i regolamenti di individuazione dei termini procedimentali possono essere adottati entro un anno dall entrata in vigore della legge. Sempre questo comma prevede che a decorrere dalla scadenza del termine indicato (un anno dall entrata in vigore della legge) cessano di avere effetto le disposizioni regolamentari che prevedono termini superiori a novanta giorni per la conclusione dei procedimenti, mentre possono continuare ad applicarsi i regolamenti, vigenti alla data di entrata in vigore della norma, che prevedono termini procedimentali non superiori a novanta giorni. Ed ancora, il richiamato comma 3 dell art. 7 della legge n. 69/2009, dispone che anche le regioni e gli enti locali si debbano adeguare ai termini previsti dall art. 2 della legge procedimentale, sempre entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge. Anche dalla lettura dell art. 29 della legge n. 241/1990 si ricava che le nuove previsioni sui termini procedimentali valgono per tutte le amministrazioni pubbliche: il comma 2-bis dell art. 29 della legge n. 241/1990, infatti, riconduce ai 241

20 Art. 2 Capo I PRINCIPI 8 livelli essenziali delle prestazioni di cui all art. 117, comma 2, lett. m), della Costituzione cioè ad una materia in cui lo Stato ha legislazione esclusiva le disposizioni della medesima legge concernenti l obbligo di concludere il procedimento entro il termine prefissato nonché quelle relative alla durata massima dei procedimenti. Alle Regioni e agli enti locali residua perciò la sola possibilità di garantire livelli ulteriori di tutela (quindi, una difficile e non ipotizzabile riduzione dei termini rispetto a quelli già stringenti previsti dalla legge procedimentale). Quanto alla sospensione e interruzione dei termini merita di essere segnalato che con la novella del 2009 è stato opportunamente eliminato il controverso riferimento alle valutazioni tecniche (introdotto dalla riforma del 2005). Rimangono le altre ipotesi di sospensione, non superiori però a trenta giorni, concernenti l acquisizione di informazioni o certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell amministrazione o non direttamente acquisibili presso altre p.a.; nonché il ricorso alla conferenza di servizi. Altra ipotesi rimasta intatta è quella dettata dall art. 10-bis della legge 241 del 1990, che interrompe (e non si limita quindi a sospendere) il termine del procedimento. 8. La tutela giurisdizionale della doverosità amministrativa: le incertezze della giurisprudenza e gli interventi chiarificatori del Legislatore. Il Legislatore, nel codificare la doverosità dell azione amministrativa nel tempo, si è occupato anche dei profili relativi alla tutela giurisdizionale. Del resto, è di piena evidenza l intima connessione tra doverosità dell azione amministrativa e rimedi contro il suo mancato rispetto. L arricchimento e il potenziamento delle garanzie giurisdizionali, tuttavia, si è determinato in modo assai lento e vischioso, con non pochi rallentamenti, ritorni al passato, ingiustificati arroccamenti su posizioni di conservazione. Infatti, all inizio del nuovo secolo, accadde in primo luogo che il ricorso avverso il silenzio venisse codificato in modo improvvido e veloce nell agosto del 2000 con la legge n. 205, che introdusse l art. 21-bis alla l. TAR, ora riscritto con modifiche non sostanziali per i limiti della legge di delega negli artt. 31 e 117 del Codice del processo amministrativo (sul punto si vedano, fra i molti, SCOCA F.G., Il silenzio della pubblica Amministrazione alla luce del suo nuovo trattamento processuale, 245 ss.; FRAC- CHIA, Riti speciali a rilevanza endoporocedimentale, 63 ss. e, più di recente MONTEDORO, Il giudizio avverso il silenzio, 251 ss. e PAOLANTONIO, I riti speciali, 499 ss.). Il Legislatore intendeva semplicemente ratificare ex lege la portata di una giurisprudenza antica, quella sopra ricordata ormai consolidata nelle acquisizioni dell Adunanza plenaria del Consiglio di Stato del La suddetta novità legislativa, invece, anche in ragione della cattiva tecnica redazionale dovuta all urgenza della legge, venne interpretata dal Consiglio di Stato come un rimedio avverso il silenzio di contenuto molto meno garantista del vecchio giudizio sul silenzio che l Adunanza plenaria n. 10 del 1978 ci aveva definitivamente consegnato. Un giudizio, quello di cui all art. 21-bis, che secondo l Adunanza plenaria n. 1 del 2002 era rivolto al mero accertamento del mancato rispetto del principio di doverosità, dell obbligo quindi dell amministrazione di provvedere. Il Consiglio di Stato riteneva, in altri termini, 242

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