La Conferenza di servizi come meccanismo di decisione

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1 Conferenza di servizi La Conferenza di servizi come meccanismo di decisione di Girolamo Sciullo La conferenza di servizi, introdotta come istituto generale dalla l. n. 241/1990, nel corso degli anni è stata oggetto di molteplici interventi da parte del legislatore, che ne hanno dilatato il profilo funzionale di base: l essere luogo di incontro e di confronto, nonché (in nuce) di scambio e di accordo fra amministrazioni pubbliche. In particolare, con le variazioni apportate dal d.l. n. 78/2010 la conferenza, nel suo tipo più rilevante (conferenza c.d. decisoria), si presenta ormai come meccanismo che permette l assunzione di decisioni amministrative nonostante l inerzia o il dissenso anche delle amministrazioni portatrici di interessi pubblici particolarmente significativi (o sensibili ). Profili preliminari Il principio di unità, affermato per la tragedia da Aristotele e articolato quanto al tempo, al luogo e all azione dai classicisti italiani rinascimentali (1), trova espressione nel procedimento amministrativo con l istituto della conferenza di servizi. In effetti, in questa si rinvengono sia l unità di tempo, perché le rappresentazioni di interessi che connotano il suo svolgimento non sono ordinate secondo una scansione temporale prestabilita, ma si susseguono in un unico contesto senza soluzione di continuità (2), sia l unità di luogo, perché le stesse avvengono attorno «allo stesso tavolo» (3) (ancorché, in ipotesi, solo telematico, cfr. art. 14, c. 5-bis l. n. 241/1990 e succ. mod.), sia, e soprattutto, l unità di azione, perché gli interessi rappresentati sono oggetto di valutazione non distinta, ma «comune e contestuale» (4), sicché se è forse forzato affermare che ciascuna amministrazione partecipante alla conferenza «si trova inevitabilmente a dover farsi carico anche degli interessi pubblici diversi da quelli affidati alla sua specifica cura», finendo anche con il «trascende[re] lo spazio giuridico di competenza» (5), è indubbio che nessuna può sottrarsi al confronto che si instaura, «reciproco e trasversale» (6), fra gli interessi rappresentati. Dalla cifra strutturale discendono i dati funzionali della conferenza di servizi: istituto di semplificazione (come del resto suggerisce la collocazione della sua disciplina all interno della l. n. 241) (7), perché l acquisizione degli interessi da parte dell amministrazione procedente avviene in parallelo e non in sequenza, ma al contempo di coordinamento (8), (1) Cfr. Aristotele, Poetica, V e VIII, nonché, in particolare, L. Castelvetro, che nel 1570 curò la traduzione e il commento dell opera. (2) Cfr., ad es., G. Corso, F. Teresi, e accesso ai documenti, Rimini 1991, 102. (3) G. Morbidelli, Il procedimento amministrativo, in AA. VV., Diritto amministrativo, I, Bologna 2005, 695. (4) F.G. Scoca, Analisi giuridica della conferenza di servizi, indir. Amm., 1999, 259. Cfr. anche L. Torchia, La conferenza di servizi e l accordo di programma ovvero della difficile semplificazione, in questa Rivista, 1997, 676. (5) G. Cugurra, rispettivamente, La concentrazione dei procedimenti, inprocedimenti e accordi nell amministrazione locale, Atti del XLIII Convegno di studi di scienza dell amministrazione (Tremezzo, settembre 1996), Milano 1997, 94, e Competenze amministrative e limiti territoriali, intempo, spazio e certezza dell azione amministrativa, Atti del XVIII Convegno di studi di scienza dell amministrazione (19-21 settembre 2002), Milano, 2003, 256. (6) G.D. Comporti, Il coordinamento infrastrutturale, Milano 1996, 239. (7) Cfr. F. Bassanini, L. Carbone, La conferenza di servizi. Il modello e i principi, inla disciplina generale dell azione amministrativa, a cura di V. Cerulli Irelli, Napoli 2006, 173 ss., E. Casetta, La difficoltà di semplificare, indir. amm., 1998, 342 e 353, S. Civitarese Matteucci, voce, Conferenza di servizi (diritto amministrativo), inenc. dir., Annali II, t. 2, Milano 2007, 276. (8) Cfr. F. Merusi, Il coordinamento e la collaborazione degli interessi pubblici e privati dopo le recenti riforme, indir. amm., 1993, 22 ss., F.G. Scoca, Analisi, cit., 257, G.D. Comporti, Il coordinamento, cit., 239, D. D Orsogna, Conferenza di servizi e amministrazione della complessità, Torino 2002, 123 ss., e La conferenza di servizi: i procedimenti, inla disciplina generale, cit., 213 ss., A. Sandulli, Il procedimento, intrattato di diritto amministrativo, a cura di S. Cassese, Diritto amministrativo generale, Tomo II, Milano 2003, Giornale di diritto amministrativo 10/2011

2 nel senso che la conferenza è il luogo dell incontro e del confronto degli interessi rappresentati, nonché (in nuce) dello «scambio» (9) e dell accordo (10), in ordine alla loro complessiva compatibilità, fra le amministrazioni che li rappresentano. Quelli fin qui sommariamente richiamati sono i tratti della conferenza di servizi che concettualmente la identificano, verrebbe da dire i tratti del suo ideal-tipo. Altro è la configurazione normativa, potendo il legislatore diversamente tradurre, articolandola in più figure (11), l idea della conferenza, in particolare diversamente modulando, oltre alla sua collocazione all interno del procedimento, l ambito di utilizzo, le regole di partecipazione e di funzionamento (specie per le modalità di assunzione delle decisioni) e quelle relative al mancato idem sentire dei partecipanti a conclusione dei suoi lavori, con il risultato di assegnare alla singola conferenza uno specifico ruolo funzionale, integrativo rispetto a quello, di base, di semplificazione e coordinamento. Per fare un esempio, la conferenza disciplinata dal d.l. n. 121/1989, convertito dalla l. n. 205/ 1989 (12), era configurata nella fase decisoria del procedimento (l approvazione che in essa interveniva dei progetti esecutivi di opere pubbliche sostituiva ad ogni effetti gli atti di intesa ecc. previsti dalla legislazione statale e regionale) e aveva regole di partecipazione e di funzionamento pienamente in linea con gli effetti previsti (la sostituzione presupponeva la partecipazione alla conferenza di tutte le amministrazioni competenti ad adottare gli atti di intesa ecc. nonché l approvazione dei progetti all unanimità). La conferenza disciplinata, con analoga collocazione nel procedimento, dalla poco successiva l. n. 241/1990 (art. 14, c. 2) presentava una configurazione diversa, dal momento che considerava acquisito l assenso (salvo il caso del dissenso postumo) dell amministrazione assente o non adeguatamente rappresentata. Il che si riverberava sul ruolo specifico rispettivamente assolto: nel primo caso, la conferenza costituiva solo un modulo procedimentale volto a favorire l accordo fra amministrazioni suscettibile di sostituire atti amministrativi altrimenti necessari, nel secondo, essa si atteggiava anche a meccanismo di superamento di inerzie (13). È noto che la disciplina originaria della l. n. 241 sulla conferenza di servizi ha subito nel corso degli anni molteplici variazioni, il legislatore essendo intervenuto (non di rado a più riprese) su ciascuno degli aspetti (iniziativa, funzionamento ecc.) sopra indicati, nell obiettivo sia di porre rimedio a difficoltà evidenziate dall esperienza applicativa, sia soprattutto di rendere l istituto in grado di corrispondere al meglio alle esigenze di miglioramento dell azione amministrativa avvertite in modo crescente dallo stesso legislatore. Dopo le modifiche introdotte con il d.l. n. 78/2010 la configurazione normativa della conferenza di servizi sembra essere pervenuta ad un punto di approdo difficilmente superabile in un quadro di compatibilità con il sistema costituzionale. Nel suo tipo più rilevante (quello con carattere decisorio ) la conferenza si presenta ormai come meccanismo, ad applicazione generale, che permette l assunzione di decisioni amministrative (14) nonostante l inerzia o il dissenso anche delle amministrazioni portatrici di interessi pubblici particolarmente significativi (o sensibili ). Il presente lavoro prende in considerazione appunto la conferenza decisoria (15) e si articola nei seguenti punti che danno per conosciuti i profili fondamentali della relativa disciplina normativa (16): evoluzione del ruolo funzionale specifico che ha interessato l istituto; indicazione delle novità introdotte dal d.l. n. 78/2010 con riguardo particolare a detto ruolo; discussione di taluni problemi posti dall attuale configurazione. Evoluzione del ruolo funzionale fino al d.l. n. 78/2010 Ai fini della migliore comprensione dell evoluzione subita dal ruolo funzionale specifico della conferen- (9) S. Cassese, L arena pubblica. Nuovi paradigmi per lo Stato, in Riv. trim. dir. pubbl., 2001, 611 e 612. (10) G. Pastori, Conferenza di servizi e pluralismo autonomistico, inle Regioni, 1993, 1572 s., e G. Morbidelli, Il procedimento, cit., ma ed. 2001, 1369 (con indicazione non ripresa nella successiva edizione). Sul punto cfr. anche F.G. Scoca, Analisi, cit., 276 ss. e F. Merusi, Il coordinamento, cit., 28 ss. (11) S. Cassese, L arena, cit., 610, che parla di «famiglia di istituti». (12) Oggetto della sentenza della Corte costituzionale n. 62/ 1993, in Le Regioni, 1993, 1563 ss. (13) G. Falcon, La normativa sul procedimento amministrativo: semplificazione o aggravamento?, inriv. giur. urb., 2000, 138. (14) La locuzione decisione amministrativa è utilizzata nel significato di atto terminale di un procedimento amministrativo (o provvedimento), cfr. V. Cerulli Irelli, Lineamenti del diritto amministrativo, Torino 2010, 370 e G. Morbidelli, Il procedimento, cit., 684. (15) Per la precisazione della figura (di cui al vigente art. 14, c. 2 e 4 l. n. 241/1990) rispetto agli altri tipi di conferenza di servizi si rinvia a G. Morbidelli, Il procedimento, cit., 696 ss. e spec. 700 e 706 ss. (16) La bibliografia sulla conferenza di servizi è molto ampia. Oltre alle opere citate in precedenza, alle quali si rinvia per ulteriori riferimenti, un contributo relativamente recente è quello di M. Santini, La conferenza di servizi, Roma, Giornale di diritto amministrativo 10/

3 za decisoria occorre tener conto di una pluralità di elementi, che saranno presi in esame anzitutto con riferimento alla disciplina che si è succeduta fino al d.l. n. 78/2010. Un primo elemento è costituito dalla previsione di impiego dell istituto. La conferenza decisoria nasce nella l. n. 241/1990 come facoltativa (cfr. art. 14, c. 2) e mantiene tale suo carattere fondamentalmente (l art. 17 della l. n. 127/1997 ne sancirà l obbligatorietà in talune ipotesi) fino alla l. n. 340/ 1990 (art. 9), alla quale risale l attuale formula dell art. 14, c. 2, secondo la quale essa è «sempre indetta» tutte le volte che l amministrazione procedente deve acquisire intese ecc. e non le ottenga entro trenta giorni dalla ricezione della relativa richiesta. La l. n. 15/2005 (art. 8) aggiungerà la possibilità di indirla quando nello stesso termine intervenga il dissenso di una o più amministrazioni interpellate. A partire dal d.l. n. 163/1995 (art. 3-bis) a richiedere l indizione potrà essere anche il privato la cui attività sia subordinata ad atti di consenso. In breve, nei procedimenti con decisioni (o meglio fasi decisorie) pluristrutturate (17), la conferenza si presenta come strumento di portata generale (quanto ad impiego) e di carattere, obbligatorio, allorché non pervenga il previsto consenso delle amministrazioni coinvolte, o facoltativo, nel caso di manifestazioni di dissenso. In ambedue le ipotesi utilità del suo impiego risiede nella possibilità di avvalersi, da parte dell amministrazione procedente, delle specificità del regime di funzionamento. Un secondo elemento è dato dal tempo di durata della conferenza. Nella l. n. 241/1990 non era stabilito un termine di conclusione, che verrà introdotto dalla l. n. 127/1997, con determinazione rimessa alle amministrazioni partecipanti (art. 17). Alla l. n. 340/2000 (art. 11) risale nella sostanza l attuale previsione dell art. 14-ter, c. 3, secondo la quale i lavori della conferenza - salvo che nei casi in cui sia richiesta la Via - non possono superare i novanta giorni. L inutile decorso del termine, convenzionalmente o legalmente stabilito, fin dalla l. n. 127/1997 (art. 17) comporta la rilevante conseguenza dell applicazione della disciplina dettata per l ipotesi di tempestiva ultimazione dei lavori (cfr. l attuale art. 14-ter, c. 3 e 6-bis): l amministrazione procedente è tenuta ad adottare la determinazione conclusiva della conferenza. Sicché, in sintesi, si può affermare che ultimazione tempestiva dei lavori e inutile spirare del relativo termine sono parificati quanti ad effetti prodotti. Un terzo elemento è rappresentato dal c.d. silenzioassenso (talora indicato, con riguardo al caso della mancata partecipazione, anche come assenza-silenzio) (18), ma in rapporto ai silenzi disciplinati dagli artt. 16, 17 e 20, l. n. 241/1990 meglio qualificabile come silenzio-assenso endoprocedimentale decisorio (19). Presente già nella stesura originaria dell art. 14, esso riguardava inizialmente l amministrazione che, «regolarmente convocata, non abbia partecipato alla conferenza o vi abbia partecipato tramite rappresentanti privi della competenza ad esprimere definitivamente la volontà» (c. 3). La formula, a partire dalla l. n. 340/2000 (art. 11) verrà sostituita con quella, nella sostanza equivalente (20), dell «amministrazione il cui rappresentante non abbia espresso definitivamente la volontà dell amministrazione rappresentata». La diversità della formula non incide sull effetto giuridico: «si considera acquisito l assenso dell amministrazione» in questione. Si tratta di un rimedio contro l inerzia o la non collaborazione che al di fuori della conferenza decisoria determinerebbe, come già notato, una situazione di stallo. Va rilevato che il rimedio, in origine, non trovava applicazione nel caso di «amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e della salute dei cittadini» (c. 4). L esclusione non verrà più menzionata a partire dalla l. n. 127/1997 (art. 17) e sarà, come si dirà, esplicitamente superata dal d.l. n. 78/2010. Altro elemento d interesse risiede nella disciplina della manifestazione del dissenso. Nella versione originaria dell art. 14 era ammesso il dissenso c.d. postumo (espresso «entro venti dalla conferenza ovvero dalla data di ricevimento della comunicazione delle determinazioni adottate», se dal «contenuto sostanzialmente diverso da quelle inizialmente previste») e non erano indicati requisiti per la sua ma- (17) Tali sono definite, com è noto, quelle che si articolano in una pluralità di manifestazioni di volontà collegate, cfr. V. Cerulli Irelli, Lineamenti, cit., 370 e G. Morbidelli, Il procedimento, cit (18) Per la locuzione cfr. G. Paleologo, La legge 1990, n. 241: procedimenti amministrativi ed accesso ai documenti dell amministrazione, indir. proc. amm., 1991, 17. (19) Endoprocedimentale, perché, diversamente da quello previsto dall art. 20, esso non esprime l accoglimento di un istanza avanzata da un privato con definizione dell assetto degli interessi coinvolti, decisorio perché, a differenza di quelli previsti dagli artt. 16 e 17, interviene nella fase decisoria del procedimento. Su tali nozioni cfr. di recente M. Renna, F. Figorilli, voce Silenzio della pubblica amministrazione, I) Diritto amministrativo, inenc. giur., Aggiornamento, Roma 2009, par e 4: (20) Diversamente D. D Orsogna, Conferenza, cit., 251 s. e 262 ss., ma con una sovrapposizione della disciplina dei commi 7 e 9 dell art. 14-ter (il secondo al tempo in vigore). Nel senso del testo cfr. in giurisprudenza ad es. Tar Liguria, sez. I, 3 giugno 2005 n. 803, in Foro amm. - Tar, 2005, 1957 s Giornale di diritto amministrativo 10/2011

4 nifestazione (c. 3). Con la l. n. 15/2005 (art. 10) verrà superato il dissenso postumo, mentre già con la l. n. 340/2000 (art. 12) si introdurrà la regola che il dissenso delle amministrazioni regolarmente convocate, «a pena di inammissibilità, deve essere manifestato nella conferenza di servizi, deve essere congruamente motivato, non può riferirsi a questioni connesse che non costituiscono oggetto della conferenza medesima e deve recare le specifiche indicazioni delle modifiche progettuali necessarie ai fini del dissenso» (21). Dunque da una disciplina fondamentalmente lasca si è passati ad una rigorosa, il dissenso potendosi manifestare solo all interno della conferenza (22) e dovendo risultare «pertinente, motivato e costruttivo» (23). Ultimo, di certo non per ordine di importanza, elemento da considerare sono le regole di assunzione delle decisioni. Come ricordato, la disciplina originaria della conferenza, affinché le determinazioni conclusive dei suoi lavori tenessero luogo degli atti di assenso previsti dalle norme di settore, richiedeva che le stesse fossero «concordate» (art. 14, c. 2). In breve, il principio dell unanimità, che conosceva un correttivo ai fini della partecipazione (silenzioassenso), vigeva senza eccezioni ai fini dell esito positivo della conferenza. Le modifiche intervenute nel corso degli anni hanno progressivamente infranto il principio. Con la l. n. 537/1993 (art. 2) si stabilì che, nel caso di non raggiungimento dell unanimità (24), le determinazioni dotate di effetto equivalente a quelle concordemente assunte in sede di conferenza potessero essere prese dal Presidente del Consiglio previa deliberazione del Consiglio dei ministri. In seguito, il regime dettato si divaricherà in ragione della consistenza degli interessi rappresentati dalle amministrazioni dissenzienti. Nel caso di interessi non ritenuti dal legislatore di specifico rilievo, la l. n. 127/1997 (art. 17) consentì all amministrazione procedente di assumere la determinazione di conclusione positiva della conferenza, prevedendone la comunicazione, a seconda dei casi, al Presidente del Consiglio, al Presidente della regione o al Sindaco, con la possibilità da parte di questi, previa delibera dell organo collegiale (Consiglio dei ministri, Consiglio regionale o comunale) di sospendere la determinazione inviata, nonché, secondo l integrazione introdotta dalla l. n. 191/1998 (art. 2), con la facoltà della conferenza di pervenire a una nuova determinazione che tenesse conto delle osservazioni ricevute. La disciplina fu innovata dalla l. n. 340/2000 (art. 12), che impose all amministrazione procedente, sempre in caso di dissenso sulla proposta avanzata, di assumere «comunque la determinazione di conclusione del procedimento sulla base della maggioranza delle posizioni espresse». Criterio quantitativo questo che è stato superato a partire dalla l. n. 15/2005 (art. 10), secondo cui «l amministrazione procedente adotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento, valutate le specifiche risultanze della conferenza e tenuto conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede». Soluzioni meno varie e strutturalmente più complesse hanno riguardato il dissenso espresso da amministrazioni preposte alla cura di interessi valutati dal legislatore di specifica rilevanza (d ora in avanti interessi sensibili ). Secondo la l. n. 127/1997 (art. 17), nell ipotesi di dissenso di un amministrazione preposta «alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute dei cittadini», l amministrazione procedente poteva richiedere, purché non vi fosse stata una procedura di Via negativa, la determinazione di conclusione del procedimento al Presidente del Consiglio dei ministri, previa delibera dell organo collegiale. Con la l. n. 340/2000 il meccanismo sostitutivo cominciò ad articolarsi, essendosi previsto (art. 12) che, nell ipotesi in cui l amministrazione dissenziente o procedente fosse un amministrazione statale, la determinazione venisse rimessa al Consiglio dei ministri (con la partecipazione consultiva del Presidente della Giunta regionale in caso di dissenso espresso da una regione), mentre, nelle altre ipotesi, che la determinazione spettasse ai competenti organi collegiali esecutivi degli enti territoriali. La l. n. 15/2005 (art. 11), oltre ad allargare il novero degli interessi sensibili a quello della tutela della «pubblica utilità», nel chiaro intendimento di voler tener conto del nuovo assetto del Titolo V, Parte seconda, della Costituzione, articolò ancor più il meccanismo sostitutivo, prevedendo come autorità competente il Consiglio dei ministri, la (21) In contraddizione con la disciplina introdotta, richiamata nel testo, la l. n. 340/2000 mantenne la possibilità del dissenso postumo. (22) Dal che la giurisprudenza trae la conclusione che il dissenso manifestato al di fuori della conferenza sia illegittimo per «incompetenza assoluta», cfr. Tar Molise, sez. I, 10 marzo 2011, n. 109, in De Jure, anche per i precedenti. (23) F. Bassanini, L. Carbone, La conferenza, cit., 182. (24) Unanimità questa che con formula invero oscura la disposizione richiedeva che fosse stabilita dalla disciplina di settore, suggerendo l idea del carattere solo eventuale della stessa. Giornale di diritto amministrativo 10/

5 Conferenza Stato-regioni e la Conferenza unificata di cui all art. 8 del d.lgs. n. 281/1997, a seconda che il dissenso vertesse tra amministrazioni statali, tra un amministrazione statale e una regionale o tra amministrazioni regionali oppure tra un amministrazione statale o regionale e un ente locale o tra enti locali. In realtà i livelli di possibile sostituzione finivano con il risultare più numerosi (fino a tre), il legislatore essendosi dato carico di prevedere una sede decisionale di chiusura. Meccanismo questo senz altro complesso, ma non meritevole delle critiche avanzate in dottrina (25), che come si dirà il d.l. n. 78/2010 ha semplificato. Riepilogando può affermarsi che il principio dell unanimità nell assunzione delle determinazioni conclusive della conferenza decisoria inizialmente previsto, è stato superato, sia pure con percorsi diversamente modulati in ragione della rilevanza degli interessi coinvolti e con soluzioni in progress, e non costituisce più un dato qualificante del regime giuridico dell istituto. Le modifiche introdotte dal d.l. n. 78/2010 Sugli elementi appena considerati il d.l. n. 78/2010 ha apportato dati se non di vera e propria novità, sicuramente di chiarimento, che finiscono con il potenziare il ruolo della conferenza decisoria come si è andato delineando nel corso del tempo. Quanto all impiego dell istituto, è stato previsto un nuovo caso di indizione facoltativa, ossia allorché «è consentito all amministrazione procedente di provvedere direttamente in assenza delle determinazioni delle amministrazioni competenti» (nuovo art. 14, c. 2). Il significato dell innovazione è controverso. Secondo una lettura, che trova supporto nei lavori preparatori della legge di conversione (26), si sarebbe chiarito che non sussiste un obbligo per l amministrazione procedente di indire la conferenza in tutti i casi in cui espresse disposizioni «consentano di prescinderne» (27) (rectius: di prescindere dalle mancate determinazioni delle amministrazioni coinvolte). In altre parole, più che di una vera e propria nuova ipotesi di indizione facoltativa (come sostenuto da altra lettura) (28), si tratterebbe della riduzione dell area dell obbligatorietà della conferenza decisoria. La tesi non pare persuasiva, giacché se l obbligatorietà dell indizione era prima (e resta dopo) legata alla sussistenza del dovere di acquisire atti di assenso e al mancato ottenimento di questi entro trenta giorni dalla richiesta, risulta chiaro che, laddove la normativa consentiva di prescindere dall atto di assenso non conseguito, non poteva configurarsi nessun obbligo di indizione della conferenza non sussistendone il presupposto (la necessità di ottenere l atto di assenso richiesto). Si tratta, invece, di un nuovo caso, in senso proprio, di indizione facoltativa, che consente all amministrazione procedente di utilizzare l istituto quando ritenga opportuno avvalersi delle possibilità di confronto-scambio-accordo proprie della conferenza (29). Altre modifiche hanno riguardato il silenzio-assenso e la manifestazione del dissenso, in entrambi i casi con riferimento alle amministrazioni preposte alla cura degli interessi sensibili. Per il nuovo art. 14-quater, c. 1, il dissenso di uno o più rappresentanti delle amministrazioni, «ivi comprese quelle preposte alla tutela ambientale, fermo restando quanto previsto dall art. 26 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità», regolarmente convocate deve essere manifestato a pena di inammissibilità nella conferenza e risultare pertinente, motivato e costruttivo. Mentre per il nuovo art. 14-ter, c. 7, si considera acquisito l assenso delle amministrazioni, «ivi comprese quelle preposte alla tutela della salute e della pubblica incolumità, alla tutela paesaggistico-territoriale e alla tutela ambientale, esclusi i provvedimenti in materia di Via, Vas e Aia», il cui rappresentante, all esito dei lavori della conferenza non abbia espresso definitivamente la volontà dell amministrazione rappresentata. Si tratta di precisazioni presumibilmente di chiari- (25) Sul punto si rinvia alle senz altro condivisibili considerazioni di F. Bassanini, L. Carbone, La conferenza, cit., 192 ss. e spec. 195 s.. (26) Cfr. Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione, Rif. AC n.3638, Parte II, 5. (27) R. Garofoli, G. Ferrari, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2010, 886 e 889. (28) F. Caringella, Corso di diritto amministrativo, Tomo II, Milano 2011, (29) Il d.l. n. 78/2010 non è intervenuto sulla prassi seguita da alcune amministrazioni di indire la conferenza decisoria senza richiedere preliminarmente l atto di assenso previsto e conseguentemente senza attendere l infruttuosa scadenza del termine di trenta giorni, come stabilito dall art. 14, c. 2. La prassi, pur se priva di copertura normativa, non sembra da valutarsi intermini di illegittimità in relazione all obiettivo sotteso di accelerare l iter di conclusione del procedimento. Essa però non deve tradursi in una compressione dei tempi di valutazione previsti dalla legge per l autorità competente ad esprimere l atto di assenso. In sostanza, il termine per l adozione della decisione conclusiva, rimesso dall art. 14-ter, c. 3, alle amministrazioni partecipanti, non potrà essere inferiore ai trenta giorni previsti dall art. 14, c. 2, a favore delle amministrazioni competenti ad esprimere l atto di assenso Giornale di diritto amministrativo 10/2011

6 mento (dell ambito soggettivo delle disposizioni), giacché con il generico riferimento alle «amministrazioni» già le precedenti formule normative consentivano di ritenere che anche quelle preposte alla cura di interessi sensibili fossero incluse. Nondimeno l innovazione è significativa, da un lato, perché priva di base giuridica «atteggiamenti paralizzanti di alcune amministrazioni (in particolare di quelle preposte alla tutela degli interessi sensibili)», come si legge in un recente documento governativo (30), dall altro, perché ha consentito al legislatore di indicare taluni limiti alla generale applicazione (31). Parrebbe, invece, di portata soggettivamente limitata il nuovo art. 14-ter, c. 3-bis, secondo il quale, «in caso di opera o attività sottoposta anche ad autorizzazione paesaggistica, il soprintendente si esprime, in via definitiva, in sede di conferenza di servizi, ove convocata, in ordine a tutti i provvedimenti di sua competenza ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42». In effetti la disposizione recepisce tardivamente un progetto di modifica normativa discusso a margine del c.d. piano casa nel 2009 e mirante a risolvere un problema applicativo sorto a proposito dell autorizzazione paesaggistica secondo la disciplina allora vigente. Il problema è venuto meno a seguito della disciplina sopravvenuta (32), sicché la nuova disposizione potrebbe essere ritenuta priva di reali contenuti precettivi. Nondimeno essa può reputarsi espressione di un principio di portata generale. Se a seguito delle modifiche introdotte dal d.l. n. 78/2010 il dissenso di un amministrazione (qualsiasi), regolarmente convocata, deve essere manifestato in sede di conferenza (art. 14- quater, c. 1) e se si considera acquisito l assenso dell ammini-strazione il cui rappresentante, all esito dei lavori della conferenza, non abbia espresso definitivamente la volontà dell amministrazione rappresentata (art. 14-ter, c. 7), non c è spazio sul piano giuridico per un espressione di volontà al di fuori della conferenza: da un lato il dissenso espresso all esterno della conferenza non rileva, dall altro il silenzio tenuto in sede di conferenza (compresa la non partecipazione alla stessa) equivale ad assenso, rendendo per ciò stesso irrilevante un eventuale assenso manifestato al di fuori. Il che comporta - ed è quanto afferma l art. 14-ter, c. 3-bis, per il soprintendente di settore, ma con valenza generalizzabile - che l espressione della volontà delle amministrazioni convocate ad una conferenza decisoria non può avvenire (per essere giuridicamente rilevante) che in quella sede. Un ulteriore modifica introdotta dal d.l. n. 78/2010 concerne ancora gli interessi sensibili, ma in relazione al superamento del dissenso manifestato da amministrazioni ad essi preposte. Il nuovo art. 14- quater, c. 3, si inspira ad una logica di semplificazione dei meccanismi sostitutivi in precedenza previsti, che ora risultano ridotti nel numero (dai precedenti possibili tre livelli si scende a uno) e snelliti nella disciplina giuridica. Detto sinteticamente, in presenza di dissenso espresso da una delle menzionate amministrazioni la decisione è rimessa al Consiglio dei ministri, che si pronuncia, in caso di dissenso fra un amministrazione statale e una regionale o fra più amministrazioni regionali, previa intesa con la regione o le regioni interessate, oppure, in caso di dissenso fra un amministrazione statale o regionale ed un ente locale o fra più enti locali, previa intesa con la regione e gli enti locali interessati. In mancanza dell intesa (entro trenta giorni), la decisione può comunque essere assunta dal Consiglio dei ministri, che delibera con la partecipazione del Presidente della regione interessata in caso di dissenso manifestato da una regione in materia di sua competenza (33). (30) Presidenza del Consiglio dei ministri - Ministro per la pubblica amministrazione e l innovazione, La semplificazione amministrativa per le imprese, Dossier n. 3, del 17 maggio 2011, 31. (31) All obiettivo di contrastare comportamenti d inerzia da parte di alcune amministrazioni è riconducibile la previsione del nuovo art. 14-ter, c. 6-bis, secondo cui «la mancata partecipazione alla conferenza di servizi ovvero la ritardata mancata adozione della determinazione motivata di conclusione del procedimento sono valutate ai fini della responsabilità dirigenziale o disciplinare e amministrativa, nonché ai fini dell attribuzione della retribuzione di risultato». Al contempo ci si è preoccupati di garantire per taluni apparati la sostenibilità organizzativa degli adempimenti imposti, stabilendo che «i responsabili degli sportelli unici per le attività produttive e per l edilizia, ove costituiti, o i Comuni, o altre autorità competenti concordano con i Soprintendenti territorialmente competenti il calendario, almeno trimestrale, delle riunioni delle conferenze di servizi che coinvolgano atti di assenso o consultivi comunque denominati di competenza del Ministero per i beni e le attività culturali» (art. 14-ter, c. 2). (32) Il problema riguardava la riconducibilità o meno, all interno della conferenza volta al rilascio dell autorizzazione edilizia, dell annullamento ministeriale avente ad oggetto l autorizzazione paesaggistica resa di regola dall ente locale subdelegato nell ambito della stessa conferenza (sul punto cfr. M. Santini, Note sparse sulla giurisprudenza in tema di conferenza di servizi, in Urb. e app., 2008, 23). Il sistema dell annullamento ministeriale, previsto dall art. 146 del d.lgs. n. 42/2004, nella stesura derivante dal d.lgs. n. 157/2006, è stato definitivamente superato dal 18 gennaio 2010 con l entrata in vigore del nuovo art. 146 come sostituito dal d.lgs. n. 63/2008, in cui si prevede che il soprintendente competente esprima un parere in ordine al rilascio dell autorizzazione paesaggistica da parte dell autorità regionale/locale. (33) Detto meccanismo, sempre ai sensi della disposizione in esame, non vale per i casi di cui all art. 117, c. 8, Cost. (intese fra Regioni), per quelli di realizzazione di infrastrutture e insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale e per quelli di localizzazione di opere di interesse statale, per i quali resta applicabile la specifica regolamentazione che li concerne. Giornale di diritto amministrativo 10/

7 Altre modifiche non toccano gli elementi sui quali ci si è soffermati, ma meritano comunque un accenno perché indirettamente finiscono con il potenziare il (o a dare rilievo al) ruolo funzionale specifico della conferenza decisoria. Anzitutto la rilevanza esterna degli esiti della conferenza, con il superamento dell assetto dicotomico (34) (caratterizzante la disciplina a partire dalla l. n. 340/2000, art. 11). Mentre prima del d.l. n. 78/2010, salve specifiche ipotesi (35), la «determinazione conclusiva» ad esito dei lavori della conferenza era distinta dal «provvedimento finale» conclusivo del procedimento complessivo (precedente art. 14-ter, c. 9 e 6- bis), ora detta duplicità non sussiste più. Il c. 9 è stato abrogato e, secondo il nuovo c. 6-bis è la determinazione conclusiva della conferenza che sostituisce gli atti di assenso di competenza delle amministrazioni partecipanti, o invitate a partecipare ma rimaste assenti. Il che significa che l atto conclusivo della conferenza è al contempo atto finale del procedimento, eccettuato il caso in cui siano stati espressi dissensi da parte di amministrazioni portatrici di interessi sensibili, che determina uno spostamento della sede decisionale in ordine alla questione oggetto della conferenza (36). In secondo luogo, la disciplina della conferenza di servizi per effetto del nuovo art. 29, c. 2-ter, attiene «ai livelli essenziali delle prestazioni» di cui all art. 117, c. 2, lett. m), Cost. e si pone pertanto come vincolante (nel minimo) per le regioni a statuto ordinario e le autonomie locali. A questo punto possono tirarsi le fila delle osservazioni condotte sull evoluzione conosciuta dalla conferenza decisoria. L istituto nasce nella l. n. 241/1990 come modulo procedimentale, di carattere facoltativo, volto a favorire un raccordo fra amministrazioni nel quale si compongano gli interessi da ciascuna rappresentati in ordine ad una decisione amministrativa che richiede la loro adesione (decisione pluristrutturata), raccordo che perciò è in grado di sostituire gli atti unilaterali di assenso altrimenti necessari. Fin dall origine non è di ostacolo al suo funzionamento l inerzia delle amministrazioni coinvolte. Nel corso degli anni la sua disciplina si affina, in particolare svincola l istituto dal rispetto della regola dell unanimità. Oggi esso si palesa come un meccanismo in grado di garantire comunque una decisione di ultima istanza (positiva o negativa), anche in caso di inerzia o di dissenso di amministrazioni portatrici di interessi di particolare rilievo ( sensibili ). La obbligatorietà e la generalità (tendenziali) di applicazione ne fanno - com era nei voti di una parte della dottrina (37)- «modo ordinario» per l assunzione di decisioni pluristrutturate (a partecipazione plurima di amministrazioni) e perciò lo connotano anche come meccanismo idoneo a bilanciare, sul piano del procedimento, la complessità esistente, sul piano organizzativo, nell amministrazione italiana (38). Questioni aperte La configurazione della conferenza decisoria come risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 78/ 2010 pone nuove questioni o ripropone altre già emerse con riferimento alla precedente normativa. In questa sede se ne affronteranno brevemente alcune, più legate al taglio dell analisi condotta, trascurando altre pur rilevanti quali la compatibilità del nuovo art. 14-quater, c. 3, con il Titolo V, Parte seconda della Costituzione (39), e l applicazione della disciplina della conferenza alle autonomie territoriali, in quanto qualificata come attinente ai «livelli essenziali delle prestazioni» dal nuovo art. 29, c. 2-ter (40). Una prima questione è costituita dalla individuazione degli interessi sensibili e correlativamente delle amministrazioni ad essi preposte, ai fini dell applicazione della disciplina specificamente prevista. Occorre peraltro premettere che la differenza di regime fra interessi sensibili e altri interessi si è ridotta per effetto del d.l. n. 78/2010, gli uni e gli altri ricevendo identico trattamento negli artt. 14- ter, c. 7, e 14-quater, c. 1 (silenzio-assenso e modalità di manifestazione del dissenso), ma non è venuta meno nell art. 14-quater, c. 3 (superamento del dissenso). Così come è opportuno ricordare che la loro individuazione nel corso degli anni ha subito (34) Sul quale da ultimo cfr. Cons. Stato, sez. IV, 18 aprile 2011, n (35) Cfr. art. 4 del d.p.r. 20 ottobre 1998, n. 447, e succ. mod., in tema di sportello unico. (36) In tale ipotesi è incerto, stante il silenzio della disciplina, se la decisione favorevole del Consiglio dei ministri debba considerarsi solo conclusiva dell iter della conferenza oppure, in coerenza con la nuova previsione del comma 6-bis, rappresenti anche l atto finale del complessivo procedimento. (37) F.G. Scoca, Analisi, cit., 297 e, in senso analogo, G. Cugurra, La concentrazione, cit.108. (38) Prospettiva questa delineata dai lavori di F. Merusi, Il coordinamento, cit., 22 s. e F.G. Scoca, Analisi, cit., 259. (39) Compatibilità questa che pare doversi ammettere per ragioni non dissimili da quelle invocabili per la precedente disciplina. (40) Per l impiego di tale qualificazione nella l. n. 241/1990 cfr. da ultimo la persuasiva analisi di G. Morbidelli, Regioni e principi generali del diritto amministrativo, indir. soc., 2010, 89 ss Giornale di diritto amministrativo 10/2011

8 variazioni: in particolare, quanto al silenzio-assenso, l originario art. 14, c. 4, non contemplava la «tutela della pubblica incolumità», che ora figura nell attuale art. 14-ter, c. 7, mentre, quanto al superamento del dissenso, uno specifico regime per gli interessi sensibili comincia a delinearsi solo con l art. 17 della l. n. 127/1997. Ancorché le scelte operate dal legislatore fin dall inizio non siano andate esenti da rilievi critici (41), può ritenersi che rientri nell ambito di valutazione spettante al legislatore la selezione degli interessi e la graduazione della loro tutela, nel rispetto peraltro del canone della ragionevolezza e, anticipando quanto si osserverà in seguito, nella salvaguardia della adeguata valutazione di quelli costituzionalmente rilevanti che si profilino in concreto. Quanto appena affermato non esclude che l interprete possa procedere ad una qualche forma di integrazione analogica, in presenza di un dettato normativo frutto, come si è visto, di molte sedimentazioni e condizionato nella fattura dallo strumento talora utilizzato (il decreto legge). In particolare, in tema di silenzio-assenso (art. 14-ter, c. 7), la non menzione fra gli interessi sensibili di quello relativo alla tutela del patrimonio storico-artistico appare addebitabile ad una mera svista del legislatore, considerato che esso figura fra gli interessi sensibili nella disciplina delle modalità di manifestazione del dissenso e in quella del suo superamento (cfr. art. 14-quater, c. 1 e 3), mentre, come già rilevato, il precetto dell art. 14-ter, c. 3-bis, secondo cui in caso di autorizzazione paesaggistica il soprintendente è tenuto ad esprimersi in via definitiva in sede di conferenza, appare generalizzabile quanto a portata soggettiva. Questione più grave pone la previsione dell art. 14- ter, c. 7, che esplicitamente assoggetta alla disciplina del silenzio-assenso le amministrazioni preposte alla tutela della salute e della pubblica incolumità, alla tutela paesaggistico-territoriale e alla tutela ambientale (esclusi i provvedimenti in materia di Via, Vas e Aia). Si tratta di interessi di rango costituzionale e la cui cura, in misura anche non contenuta, può comportare l esercizio di discrezionalità non solo tecnica, ma altresì amministrativa. È noto l orientamento dottrinale che ha prospettato la tesi dell incompatibilità del silenzio-assenso con il potere discrezionale, traendo argomento anche da posizioni espresse dal giudice costituzionale e da quello comunitario (42). Al riguardo non varrebbe osservare che nel caso della conferenza di servizi non si tratterebbe del normale silenzio-assenso (silenzio come accoglimento dell istanza avanzata dal privato, esprimente la valutazione definitiva sull assetto degli interessi coinvolti), ma di un silenzio-assenso procedimentale (silenzio come valutazione di non sussistenza di elementi contrari alla adozione e al contenuto prospettato della determinazione conclusiva della conferenza). Anche nel secondo caso opera, infatti, la finzione insita nel primo (43): il legislatore finge che l amministrazione che in sede decisoria avrebbe dovuto provvedere, pronunciandosi, alla cura dell interesse affidatole, abbia provveduto restando silente. È però da ricordare che il ricordato orientamento è stato persuasivamente contrastato sul piano del fondamento positivo (44). In particolare si è rilevato che dalla giurisprudenza costituzionale e comunitaria non emergono indicazioni risolutive, l illegittimità di casi di silenzio-assenso essendo fatta discendere, a ben considerare, dalla violazione di principi che presiedono ai rapporti fra fonti statali e fonti regionali (45) oppure dalla violazione della normativa europea che richiedeva un provvedimento espresso (46). Si può anche aggiungere che non mancano nella giurisprudenza costituzionale pronunce nelle quali il silenzio-assenso trova esplicito avallo come espressione di un principio fondamentale di discipline di settore (47). E tuttavia da questa stessa giurisprudenza emerge l indicazione che a fronte di interessi di rango costituzionali l ammissibilità del silenzio-assenso incontra limiti. A proposito degli interessi relativi alla tutela del paesaggio - ripetutamente qualificati come «valori costituzionali primari», - la Corte ha precisato che la primarietà, se non legittima una pri- (41) Cfr. G. Corso, F. Teresi, Procedimento, cit., 108, non avendo il legislatore considerato ai fini della sottrazione dalla disciplina del silenzio-assenso (art. 14, c. 3) anche «la difesa nazionale, l ordine pubblico, l incolumità pubblica», che «hanno una posizione certamente non meno elevata». Per analogo rilievo con riguardo alla tutela del patrimonio storico e artistico cfr. F. Merusi, Il coordinamento, cit., 27. (42) Cfr. Morbidelli, Il procedimento, cit., 722 e E. Casetta, La difficoltà, cit., 348. (43) Sul punto cfr. M. Renna, F. Figorilli, voce Silenzio, cit., par (44) Cfr. G. Falcon, La normativa, cit., 135 s. (45) Cfr. Corte cost. nn. 392/1992 e 408/1995. Alla medesima logica sono riconducibili pronunce più recenti quali la n. 88/ 2007, p. 14, e la n. 315/2009, p (46) Corte di giustizia Ce, 28 febbraio 1991, in causa 360/87. (47) Cfr. Corte cost., n. 404/1997, p. 3, (in tema di strumenti urbanistici attuativi), n. 303/2003, p (in tema di titoli abilitativi per interventi edilizi), e n. 336/2005, p (in tema di impianti di comunicazione elettronica). Giornale di diritto amministrativo 10/

9 mazia in un ipotetica scala dei valori costituzionali, «origina la necessità che essi debbano essere presi in considerazione nei concreti bilanciamenti operati dal legislatore ordinario e dalle pubbliche amministrazioni; in altri termini, la primarietà degli interessi che assurgono alla qualifica di valori costituzionali non può che implicare l esigenza di una compiuta ed esplicita rappresentazione di tali interessi nei processi decisionali all interno dei quali si esprime la discrezionalità delle scelte politiche o amministrative» (48). Dunque secondo il giudice costituzionale sussistono interessi definibili a tutela costituzionalmente vincolata (49) o a protezione necessaria (50) - dal novero non ancora puntualmente precisato, ma che ragionevolmente può ritenersi comprendere quelli menzionati dall art. 14-ter, c. 7 - che nei processi decisionali (anche) dell amministrazione devono essere adeguatamente e esplicitamente rappresentati e bilanciati. Da questo orientamento non può evidentemente prescindere la interpretazione della disciplina del silenzio-assenso nella conferenza decisoria. Per una lettura costituzionalmente corretta occorre ritenere che la qualificazione - prevista dall art. 14-ter, c. 7- in termini di assenso del silenzio serbato da un amministrazione preposta alla cura di un interesse sensibile non abbia il significato di una tacita valutazione di non contrarietà, alla luce di detto interesse, rispetto alla determinazione conclusiva prospettata dall amministrazione procedente (significato inammissibile perché riferito ad una valutazione in ipotesi assente e comunque implicita), ma abbia il solo effetto di non precludere all amministrazione procedente l assunzione della determinazione conclusiva. Soprattutto è da ritenere che l amministrazione procedente non sia esentata dall inserire all interno della complessiva valutazione finale la rappresentazione e la ponderazione di tale interesse. Si tratterà di una valutazione per così dire allo stato degli atti, operata cioè sulla base degli elementi emersi nell istruttoria e nel corso dei lavori della conferenza, e sulla base di un livello di conoscenze, in ipotesi non all altezza di quello che l amministrazione rimasta silente avrebbe assicurato. Si tratterà però di una valutazione pur sempre, sul piano costituzionale, giustificata dal comportamento non ispirato alla leale collaborazione (51) dell amministrazione interessata e conforme al principio del buon andamento, che non tollera, come precisato dalla Corte, «situazioni paralizzanti» (52). Nulla poi impedisce di pensare che in caso di particolare carenza conoscitiva la determinazione di conclusione della conferenza possa essere assunta in termini condizionati o negativi proprio in riferimento a tale circostanza. Quella appena esaminata pone all attenzione un altra questione o meglio un interrogativo formulabile nei seguenti termini: come si giustifica sul piano della disciplina complessiva la circostanza che il silenzio tenuto da un amministrazione preposta ad un interesse sensibile sia privo di quell effetto paralizzante che viceversa sussiste nel caso di pareri e di valutazioni tecniche secondo la disciplina dettata dagli artt. 16 e 17 della l. n. 241/1990? (53) La risposta non è agevole. Si può pensare che la differenza, non sussistente in origine (cfr. l iniziale art. 14, c. 4), sia venuta meno in relazione all obiettivo perseguito dal legislatore di promuovere l utilizzo della conferenza. Si può dubitare della ragionevolezza del mantenimento della disciplina dettata per gli interessi sensibili dagli artt. 16 e 17 (54). Forse però la risposta va rintracciata in un esigenza di logica interna della conferenza, luogo nel quale sono chiamate a confrontarsi amministrazioni per l assunzione di decisioni che richiedono manifestazioni di volontà fra loro collegate e che come tale non tollera, se non al prezzo del blocco del suo funzionamento, comportamenti paralizzanti. Si tratterebbe, cioè, non tanto della scelta del legislatore a favore di un istituto o all opposto di una non adeguata valutazione complessiva degli istituti, quanto della necessità avvertita dallo stesso legislatore di garantire il funzionamento della conferenza, con il superamento delle inerzie che ne avevano condizionato l applicazione. Come che sia, l interrogativo spinge a riproporre un altra questione prospettata in riferimento ad una disciplina della conferenza decisoria che non aveva raggiunto gli approdi attuali e relativa alla idoneità (48) Corte cost., n. 196/2004, 23. (49) G. Falcon, La normativa, cit., 136 (50) Per questa espressione, ma in un accezione diversa da quella qui impiegata, G.P. Rossi, Principi di diritto amministrativo, Torino, 2010, 13. (51) Al principio di leale collaborazione la Corte costituzionale si era inizialmente riferita per rintracciare il fondamento dell istituto per poi valorizzare quello del buon andamento. Sul punto si rinvia a G. Pastori, Conferenza, cit., 1564 ss. e spec (52) Corte cost., n. 351/1991, 4. (53) In una prospettiva diversa (in chiave di ordinamento degli interessi) un quesito analogo è posto da G. Falcon, 139. (54) Cfr. le considerazioni di M. Renna, Le semplificazioni amministrative (nel decreto legislativo n. 152 del 2006), inriv. giur. amb., 2009, 657 s. a proposito dei pareri e delle valutazioni tecniche in materia di ambiente Giornale di diritto amministrativo 10/2011

10 dell istituto a perseguire adeguatamente gli interessi pubblici: secondo una posizione autorevolmente sostenuta, si tratterebbe di uno strumento di semplificazione in cui esigenze diverse (efficacia ed efficienza da un lato, garanzia e pubblicità dall altro) tendono ad assestarsi «secondo un rapporto di prevalenza dell ansia di provvedere rispetto ai valori di garanzia, pubblicità e completezza dell istruttoria» (55) e, si è aggiunto, di (almeno) dubbia rispondenza alla logica della «razionalità procedurale» (56) sì da risultare possibile fattore di «un amministrazione senza qualità» (57). Al riguardo è senz altro da convenirsi sul fatto che l amministrazione per essere buona amministrazione ai sensi dell art. 97 Cost. deve coniugare il risultato (sempre più importante nella competizione fra sistemi nazionali) con la legalità, ma ad una valutazione attenta della disciplina e delle ragioni della sua evoluzione - e ferma restando l avvertenza che ogni strumento giuridico è suscettibile di miglioramenti - la conferenza decisoria non sembra operare un inammissibile scambio transattivo della legalità contro l efficienza e l efficacia. L attuale conformazione dell istituto, specie con riguardo ai momenti di funzionamento più delicati (assunzione della determinazione conclusiva, superamento del dissenso qualificato), cerca di contemperare esigenze diverse, accompagnando l obiettivo del perseguimento del risultato con un complesso di garanzie procedurali, motivazionali e sanzionatorie. Com è stato efficacemente rilevato in termini generali, «la semplificazione amministrativa non è finalizzata all amministrazione ideale, ma all amministrazione adeguata» (58). E questo può senz altro assumersi anche per la conferenza di servizi decisoria, chiamata a operare in quello che il dottor Pangloss con tutta probabilità continuerebbe a ritenere il migliore dei mondi possibili. (55) E. Casetta, La difficoltà, cit., 346. (56) Cfr. R. Ferrara, «Le complicazioni» della semplificazione amministrativa: verso un amministrazione senza qualità?, indir. proc. amm., 1999, spec. 371 ss. (57) R. Ferrara, «Le complicazioni», cit., 380. (58) L. Torchia, Tendenze recenti della semplificazione amministrativa, indir. amm., 1998, 405. Giornale di diritto amministrativo 10/

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