PM e LEGO: un gioco molto serio La figura del project manager

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1 I DENTIFICAZIONE AUTOMATICA - TRACCIABILITÀ - MOBILITÀ DATACollection - Anno 12 n. 9 Novembre PT MAGAZINE In caso di mancato recapito inviare al CMP di Roserio per la restituzione al mittente previo pagamento resi. PROJECT MANAGEMENT PM e LEGO: un gioco molto serio La figura del project manager Unione Europea NOVITÀ SULLA RFID

2 Progettare giocando Di Michel Rousseau Un punto comune a qualsiasi progetto RFID è la necessità di provare nel minor tempo possibile l'utilità e i ritorni d'investimento. L'analisi preliminare del progetto è quindi fondamentale per garantire uno sviluppo sereno del pilota o del sistema stesso. Usare per questo un grande tavolo pieno di costruzioni Lego? È una proposta molto più seria di quanto può sembrare 38 DATACollection NOVEMBRE 2006

3 Arrivare alla definizione completa di un progetto attraverso il gioco: è questa l'idea alla base di Lego Serious Play, un concetto sviluppato all'inizio del 2000 dall'imagination Lab ( fondazione senza fini di lucro situata a Losanna, in Svizzera, per conto della società Lego. Questo laboratorio dell'università di Losanna, finanziato da Lego insieme con altre importanti realtà internazionali, sviluppa studi e ricerche sul gioco e l'immaginazione applicati in ambito organizzativo e manageriale. LSP è uno strumento che favorisce la condivisione delle decisioni e accelera il processo di definizione delle soluzioni. Il suo obiettivo principale è quello di portare i partecipanti a "costruire con le proprie mani" un modello tridimensionale del proprio problema, sia esso di carattere strategico, operativo o relazionale. Il principale vantaggio di questo sistema di lavoro è che permette di affrontare i progetti in modo molto rapido, richiedendo in generale un tempo fino a tre volte inferiore rispetto a quello necessario con metodi più convenzionali. Si tratta in effetti di giocare, pur molto seriamente, coinvolgendo tutte le persone implicate nella realizzazione di un progetto. Secondo il paradigma di Lego Serious Play, infatti, ogni persona può contribuire alla discussione, alle decisioni e al conseguimento del risultato finale. Praticamente, i partecipanti utilizzano le costruzioni Lego e una metodologia molto flessibile per immaginare, descrivere e simulare il progetto che si intende sviluppare, interagendo gli uni con gli altri. Questo permette, da una parte, di liberare la creatività di ciascuno, e dall'altra, attraverso la simulazione tridimensionale così realizzata, non solo di definire un linguaggio comune per condividere i concetti, ma anche di sviluppare una conoscenza specifica, frutto di questa esperienza. Altro punto di forza, la possibilità di usare un metodo retrospettivo, cioè di risalire a ritroso fino a ritrovare passo passo le cause di un problema o di evento. E meglio si definiscono le cause di un problema, più si sarà in grado di darne una soluzione soddisfacente. Costruendo il progetto in questo modo inoltre si instaura un dialogo permanente fra i partecipanti e l'oggetto che essi stanno elaborando, cosa che avvicina gli uni agli altri e tutti quanti al progetto stesso. Con un progetto sviluppato in Lego Serious Play, si stimolano ben tipologie di immaginazione: - l'immaginazione descrittiva, quella che serve per descrivere il mondo esterno; - l'immaginazione creativa, che permette di aprire nuove possibilità partendo dalla combinazione, ricombinazione o trasformazione di cose o concetti; - l'immaginazione critica, quella che serve per distruggere o criticare ciò che è stato proposto. Quella che permette di rendersi conto se un elaborato debba essere buttato via per ricominciare daccapo (il solo rischio, in questo caso, è di proporre una soluzione di qualità inferiore a quella elaborata precedentemente). Ecco i quattro passaggi tipici della metodologia LSP. - si stabiliscono gli obiettivi del progetto; - vengono raggruppate intorno a un tavolo le persone coinvolte dal progetto, che si dedicano al lavoro di elaborazione sotto la guida di un tutor certificato Lego Serious Play, che ha il compito di orientare gli interventi dei partecipanti agli obiettivi strategici stabiliti; - i partecipanti costruiscono un modello, dapprima individualmente, poi collettivamente. Nel costruire il modello, ciascun partecipante ne evidenzia e condivide il significato metaforico; - attraverso la condivisione delle "storie organizzative" attribuite al modello, viene costruito un panorama collettivo e vengono stabiliti i principi guida, utili a determinare un orizzonte condiviso di azione. In sintesi la metodologia Lego Serious Play permette di elaborare in tempi brevi una strategia progettuale che permette di costruire un'identità chiara e condivisa dall'insieme dei partecipanti, avendo tutti sempre e costantemente in mente il contesto del progetto e offrendo la possibilità di scegliere quei principi fondamentale che permetteranno di portare il progetto alla sua piena realizzazione. DATACollection NOVEMBRE

4 Quale utilità per un progetto RFID Un progetto elaborato in questo modo potrà rivelarsi estremamente utile nel caso dell'applicazione di tecnologie particolari, prima fra tutte l'rfid. La metodologia Lego Serious Play, infatti, consente di quantificare l'impatto sui processi di ciascun elemento componente l'azienda (reparto, sistema fisico, sistema informatico e così via). E visto che l'rfid tipicamente rimette in discussione gli equilibri fra i vari elementi, ecco che sviluppare un progetto con LSP permette di ridefinire i loro impatti in modo estremamente realistico. Identificando, creando e posizionando questi elementi nel modello in costruzione, si scoprirà con largo anticipo l'entità dell'impatto dei vari elementi sul progetto, potendo di conseguenza decidere in tempo utile quali misure adottare. Si viene a definire insomma non un modello teorico, ideale, ma uno scenario molto concreto - anzi, normalmente il metodo porta alla realizzazione di tre scenari, per altrettanti livelli di risultato. Vale la pena riportare, per esempio, il caso di una simulazione RFID realizzata a proposito di un magazzino. Durante la progettazione LSP, è risultato evidente che l'utilizzo di un portale fisso, inizialmente stabilito dal progetto, poneva più problemi di quelli che andava a risolvere. Dopo molti test ed evoluzioni simulate, soprattutto dopo aver dibattuto con i mulettisti quali fossero le procedure più ergonomiche da adottare, è stato infine deciso di utilizzare degli scanner RFID mobili montati sui muletti. E questa soluzione non sarebbe stata individuata nel corso di una simulazione classica. Ancora una volta, è l'orizzonte della pratica quello che fa la differenza. Si comprenderà quindi perché un approccio come quello sviluppato da Lego Serious Play sia particolarmente adatto a progetti RFID. È noto infatti che, quando si tratta di RFID, il problema non è solo la raccolta dei dati, quanto la rilevazione di eventi pertinenti e significativi, e la possibilità di far derivare da questi, al più presto, le azioni da mettere in atto, di qualunque natura esse siano. Nel contesto di un sistema RFID, l'attivazione di una estremità della rete dovrebbe automaticamente provocare una reazione all'altra estremità: ma come si fa a simulare queste connessioni in modo assolutamente preciso e a prevedere ogni reazione? E questo, a maggior ragione se si tratta di applicazioni in contesto aperto, quelle che un domani dovrebbero essere maggiormente impattate dall'introduzione delle tecnologie RFID. Proprio da questo punto di vista sarà particolarmente utile la capacità di Lego Serious Play di permettere la visualizzazione di queste connessioni e di individuare il modo in cui esse possono evolvere nel tempo e nello spazio. L'uso della metodologia Lego Serious Play per sviluppare progetti come l'implementazione dell'rfid nell'azienda offre un altro vantaggio: la possibilità di rilevare al più presto l'insorgere di situazioni inattese, che molto facilmente possono verificarsi in ambienti complessi, e che la metodologia LSP permette di individuare in modo immediato. Per esempio, durante un workshop Lego Serious Play, un produttore americano di computer, Gateway, scoprì che poteva essere utile proporre non solo hardware, ma anche un servizio di accesso a Internet e soluzioni di finanziamento per l'acquisto dei computer stessi. Per concludere, Lego Serious Play permette praticamente di calare le ipotesi teoriche, di partenza, nella realtà, di costruire un'identità progettuale chiara e condivisa, di delineare l'evoluzione del progetto stesso. Il fatto di concretizzare dei concetti con mattoncini Lego permette di scoprire insieme ciò che funzionerà e ciò che non funzionerà, potendo evitare o uscire al più presto da situazioni critiche. In poche parole, si tratta di comprendere tutte le necessità, per trovare insieme una soluzione ottimale. Per ulteriori informazioni consultate il sito Internet dove troverete tutte le informazioni necessarie, eventualmente anche per una proposta di partnership. Al momento, i partner italiani di Lego Serious Play sono Apricot ( primo Official Partner italiano, e Trivioquadrivio ( che ne è Certificate Partner dal novembre DATACollection NOVEMBRE 2006

5 Il ruolo del project manager: una responsabilità organizzativa Di Mario Damiani A cura di Mario Damiani, uno dei membri fondatori del PMI North Chapter, un ampia riflessione sulla figura del project manager: il suo ruolo, i suoi compiti, le sue responsabilità. Tenendo presente l importanza, per qualsiasi tipo di azienda, di una chiara e consapevole riflessione sulla progettazione in sé, e sulle opportunità che essa apre Un progetto è l'insieme di attività complesse correlate tra loro e finalizzate al raggiungimento di un obiettivo definito nel rispetto di vincoli temporali, economici e qualitativi, spesso molto serrati. Tali azioni si susseguono senza soluzione di continuità in un processo in cui ciascun passo assume una grande importanza. Questa definizione, condivisa in sostanza da tutti, practitioner e ricercatori, proprio a causa della sua genericità, non aiuta molto a distinguere nella pratica che cosa è progetto da che cosa non lo è. Generalmente, possiamo distinguere l insieme delle attività in corso in ogni organizzazione tra processi a flusso e processi ad impulso. Ipotizzando che tutte le azioni intraprese quotidianamente da un impresa, siano esse iniziative strategiche od operazioni ricorrenti, rientrino in queste due macro categorie, cosa davvero caratterizza un azione in modo tale che si possa con certezza definirla progetto? Il dilemma project or not project attanaglia tutte le aziende che iniziano ad avviare processi formalizzati di project management. Non tutte le nuove iniziative possono essere considerate alla stregua di progetti; questi ultimi poi spesso non sono omogenei tra loro e non pos

6 sono pertanto essere affrontati tutti con il medesimo approccio. Occorre quindi stabilire dei criteri di selezione in modo tale da applicare metodi e processi di lavoro congruenti alla natura, alla dimensione, alla strategicità e ad altre caratteristiche dell iniziativa da intraprendere. Consideriamo per esempio cosa avviene all interno di una multinazionale in occasione della selezione ed assunzione di un nuovo collaboratore. È facilmente immaginabile che il tutto si svolga in modo piuttosto routinario, seguendo regole, compiti e processi definiti e noti ai vari interessati. Ipotizziamo ora la stessa azione intrapresa da una piccola azienda artigianale, composta ad esempio dal titolare, dal figlio e da due soli dipendenti. In questo caso, l inserimento di una nuova risorsa può costituire un cambiamento rilevante sotto molti aspetti. Magari occorre provvedere alla logistica, attrezzare un nuovo posto di lavoro, per non parlare della necessità di ridistribuire i compiti e così via. Inoltre, ben difficilmente all interno di questa piccola azienda saranno presenti processi codificati di assunzione del personale. Se nel primo caso la nuova assunzione è sostanzialmente gestita attraverso un processo a flusso sufficientemente consolidato, nel secondo è innegabile che rappresenti un impulso rilevante. Eppure in apparenza si tratta della stessa azione. Ciò che cambia è la prospettiva di questa azione e l impatto che essa ha sull organizzazione in termini di cambiamento dello status-quo. Un progetto, infatti, viene di norma intrapreso per effettuare un cambiamento, per realizzare qualcosa di unico, che prima non c era o era diverso. Ogni novità rappresenta da un lato qualcosa di avvincente, ma dall altro comporta inevitabilmente un grado più o meno alto di incertezza. La strategia determina i cambiamenti che l organizzazione deve intraprendere, cambiamenti che possono essere posti in atto attraverso l implementazione di diversi tipi di progetto... L esistenza di progetti in azienda è una chiara indicazione che l azienda stessa sta intraprendendo il cambiamento.... Il concetto di unicità deve essere comunque letto e interpretato alla luce delle specifiche situazioni. Se pensiamo ad esempio alle aziende di Information Technology specializzate nella realizzazione di progetti complessi per conto terzi, noteremo che spesso le soluzioni da loro realizzate sono per così dire simili nella forma e nei contenuti. Anzi, proprio attraverso l esperienza maturata (e dimostrabile) su casi simili riescono meglio di altre a catturare l attenzione dei propri clienti. Se interpretassimo il concetto di unicità alla lettera, potremmo affrettatamente concludere che queste aziende in realtà non fanno progetti, perché in pratica rielaborano e ridefiniscono soluzioni già messe a punto per altri clienti in precedenza. In realtà, per queste aziende l unicità e quindi l ambito a maggior rischio risiede prevalentemente nel contesto del progetto (organizzazione del cliente, caratteristiche del business, cultura aziendale, bisogni specifici), più che nel suo contenuto (architettura della soluzione, tecnologie da impiegare, metodi di lavoro, risultati da produrre). È questo il caso dei progetti cosiddetti ripetitivi, ossia che possono avvalersi dell esperienza maturata in precedenza su casi simili e che consentono di dominare con sufficiente sicurezza la parte tecnica e metodologica. Come abbiamo già avuto modo di accennare, il progetto ha sempre a che fare con il cambiamento; nella situazione appena descritta, con il cambiamento altrui, nel senso che le organizzazioni che lavorano per commessa sono coinvolte nella gestione del cambiamento generato dal progetto intrapreso nelle organizzazioni clienti. Il project management: cultura e organizzazione Parlare di progetti significa parlare di project management. Un efficace project management è il fattore di successo più importante per il raggiungimento dei risultati sperati in ogni progetto. Il project management non è ormai più riservato esclusivamente ai campi della cantieristica, delle forze armate e dell ingegneria. La diffusione del project management risponde a pressanti necessità di natura economica e organizzativa: la rapida evoluzione tecnologica che richiede una sempre più forte specializzazione, la continua evoluzione dei metodi di lavoro e dei modelli organizzativi, l obbligo di gestire al meglio i tre vincoli fondamentali di ogni progetto rappresentati da costi, tempi e qualità. Il cliente detta legge: vuole la qualità ma anche la varietà, obbligando in tal modo le aziende a creare vaste opportunità di scelte personalizzate a prezzi da grande serie, cercando continuamente nuovi metodi di produzione. Progetti e project management stanno ricevendo progressivamente sempre più attenzione da parte di vari interlocutori. Si pensi ad esempio che Fortune ha indicato il project management come first career choice in un articolo dal titolo Planning a Career in a World without Managers già nel giugno del Parallelamente anche la riflessione e i contributi più speculativi e accademici sono andati crescendo esponenzialmente. Tuttavia fino a qualche anno fa i progetti erano considerati exceptional affairs e il project management era, nella maggior parte dei casi, niente più che una pratica informale riservata ad alcuni ambiti ristretti. Oggi i progetti sono invece una pratica molto diffusa e trasversale a molti settori applicativi. 42 DATACollection NOVEMBRE 2006

7 Anostro avviso il project management è destinato a rappresentare un cambiamento profondo e duraturo; alcuni ipotizzano perfino che sarà uno dei mutamenti organizzativi più profondi e diffusi di questo periodo (Lundin, 1998). Nel passato, infatti, le imprese lanciavano un numero limitato di progetti, generalmente di grandi dimensioni, che coinvolgevano poche persone all interno dell organizzazione. Oggi nella maggior parte delle aziende i progetti crescono continuamente di numero e coinvolgono sempre più attori, rendendo conseguentemente più diffusa, articolata e critica la figura del project manager. Il project management incontra tuttavia ancora oggi alcuni ostacoli rilevanti all interno delle aziende, in quanto rappresenta un cambiamento che muta anche considerevolmente la ripartizione dei poteri e pone in discussione la stabilità dei ruoli. Il principio su cui si basa è rappresentato da una concezione orizzontale dell organizzazione, che implica nel medesimo tempo la riduzione dei livelli gerarchici e la ridistribuzione delle responsabilità. Il capo progetto, infatti, si vede conferire la responsabilità di costituire attorno a se stesso e di dirigere un team di persone multidisciplinare, con specializzazioni e responsabilità specifiche. Questo approccio consente di superare i limiti rappresentati dalla frammentazione di responsabilità proprie dei singoli gruppi funzionali, favorisce decisioni più rapide e focalizza l attenzione sugli obiettivi del progetto. Questo fenomeno impatta più o meno esplicitamente la maggior parte delle organizzazioni dove i progetti crescono continuamente di numero e coinvolgono sempre più le risorse interne. Tutto ciò in un quadro di riferimento complessivo in cui la performance media dei progetti non ha ancora raggiunto un livello ottimale. L indagine statistica più citata da riviste e pubblicazioni del settore, The Standish Group s Chaos Report, descrive uno scenario non molto tranquillizzante. Dal 1994 Standish Group conduce un indagine periodica su parecchie migliaia di progetti del settore IT. Il documento relativo alla ricerca del 2000 riporta che solo il 28% dei progetti arriva in porto secondo i tempi, i costi ed i contenuti stabiliti inizialmente. Un altro 49% richiedono costi superiori al previsto, terminano in ritardo e con risultati inferiori, per qualità o per numero di funzioni, rispetto a quanto prestabilito. Ciò che più colpisce è il dato relativo ai progetti cancellati prima del loro completamento: ben il 23%. Tra i fattori che determinano il successo dei progetti, la stessa ricerca identifica ai primi due posti il supporto del management e il coinvolgimento degli utenti, a dimostrazione del fatto che il project management non è un insieme di strumenti ad esclusivo appannaggio del capo progetto, ma un aspetto culturale ed organizzativo che investe direttamente e con specifiche responsabilità tutti gli attori sociali coinvolti. Se un organizzazione intraprende progetti solo occasionalmente, non ha bisogno di sviluppare capacità sistematiche di project management; sarebbe come dare la caccia ad una mosca usando il bazooka. Se invece l impresa dispiega una parte considerevole delle sue energie a ideare, pianificare e realizzare progetti, allora l approccio individuale al project management non solo appare limitato, ma anche pericoloso. Il cosiddetto project management by heroism vincola i risultati dell azienda alle capacità dei singoli e non consente di trarre dall esperienza individuale un vantaggio per l organizzazione consistente, durevole e ripetibile. Il project manager: una figura in continua ridefinizione Come abbiamo accennato nel paragrafo precedente, secondo noi il project management è un fatto organizzativo che non può essere ristretto al solo capo progetto. È un modo di concepire il lavoro da svolgere, di organizzarsi e di agire conseguentemente. In quest accezione, possiamo identificare tre categorie di attori sociali rilevanti ciascuna delle quali deve esercitare in modo esplicito e manifesto la propria specifica ownership: - la committenza, responsabile delle decisioni di investimento e del varo di iniziative progettuali concretamente eseguibili; - le altre figure aziendali, tra cui in particolare i membri del team di lavoro, che devono essere responsabili della corretta execution delle porzioni di progetto o delle singole attività loro affidate; - il project manager, quale responsabile finale della corretta execution dell intero progetto. Ciò non toglie, ovviamente, che il capo progetto sia fondamentale. Citando ancora una volta il Chaos Report, scopriamo infatti che il terzo fattore di successo dei progetti in ordine di importanza è costituito dalla presenza di project manager esperti. Questo fattore ricorre nel 97% dei progetti definiti di successo e pone, una volta di più, il project manager al centro dell attenzione. Poiché il project management è una disciplina professio- DATACollection NOVEMBRE

8 nale fortemente orientata al fare, parlare di project manager esperti significa porre l accento su figure che negli anni hanno avuto modo di sviluppare la propria expertise e di affermare il proprio ruolo sul campo. Sebbene la figura del project manager sia ormai entrata di fatto nella maggior parte delle organizzazioni, allo stato attuale non esiste un consenso unanime intorno al suo ruolo e alle caratteristiche salienti che lo definiscono. Ciò è in buona parte spiegato dalle diverse interpretazioni che le organizzazioni ne danno. Alcune si avvicinano al ruolo tracciato dalla cosiddetta letteratura classica, che riconosce al project manager il ruolo di leader e manager del progetto, attribuendogli caratteristiche importanti di guida e integratore del gruppo di lavoro, di decisore o influenzatore rilevante di decisioni altrui, di abile comunicatore e tessitore infaticabile di trame relazionali. Una figura insomma piuttosto complessa, più vicina a un manager di medio-alto livello che a quella del tecnico. Se esaminiamo da vicino ciò che accade nelle organizzazioni, però, ci rendiamo conto che i modelli citati in letteratura sono spesso lontani dal rappresentare la realtà. Il project manager è ancora nella maggior parte dei casi un tecnico, un buon conoscitore della materia trattata dal progetto, ma non è altrettanto abile nella costruzione della relazione con il committente e nella gestione sistemica del progetto in relazione agli obiettivi dell organizzazione. Ciò comporta che non di rado il committente tenda a scavalcarlo, alla ricerca di interlocutori più consistenti. Inoltre, il proliferare dei progetti, molti dei quali di piccole o medie dimensioni, all interno delle organizzazioni ha posto la necessità di avere molte figure di coordinamento, in numero certamente superiore ai project manager disponibili. Si diffondono così figure quali gli Accidental-PM, che operano di norma all interno di una specifica funzione aziendale e vengono nominati occasionalmente per gestire un progetto in virtù delle loro capacità specialistiche inerenti i contenuti tecnici del progetto stesso. Ecco quindi che la connotazione tecnica di nuovo prevale. L Accidental-PM non ha però, di norma, competenze nella gestione dei progetti e potrebbe benissimo non ripetere in futuro l esperienza che in quel momento è chiamato a vivere. In alcuni casi, poi, il project manager si trasforma, o per meglio dire si snatura, fino a ricoprire il ruolo di focal point per tutte le problematiche inerenti ai rapporti tra cliente e fornitore, perdendo gran parte delle caratteristiche peculiari di agente del cambiamento e assumendo in sé un compito prevalente di gestione della quotidianità, fino a doversi occupare dei problemi più spiccioli. In questo quadro di riferimento, in cui le organizzazioni attribuiscono al project manager compiti molto diversi e in alcuni casi tra loro contradditori, parlare di ruolo in modo generalizzato, senza tenere conto del contesto specifico in cui il capo progetto opera è a nostro parere un impresa inutile. Le ragioni sono diverse. Innanzitutto possiamo osservare che il ruolo del project manager cambia non solo in base al settore di mercato e alla tipologia di progetto ma anche, diremmo soprattutto, in funzione della cultura dell organizzazione in cui opera. Capita così che all interno di organizzazioni tra loro omogenee per area di business il project manager abbia ruoli che differiscono anche sensibilmente sia per responsabilità assegnate, sia per compiti da svolgere. Non solo: talvolta queste differenze si palesano tra diverse business unit della stessa organizzazione o addirittura all interno della stessa business unit al cambio del suo top manager. Insomma, parafrasando un vecchio proverbio: organizzazione che vai, project manager che trovi. Se poi consideriamo i livelli tipici di inquadramento e la media retributiva, scopriamo che spesso i project manager sono più allineati ai membri del team di lavoro che devono coordinare rispetto ai capi gerarchici delle risorse con cui devono negoziare (spesso litigare) quotidianamente. Sarà pure una visione mercantilista, ma se la retribuzione è proporzionale al ruolo e alle responsabilità, allora possiamo dedurre che organizzazioni non possono (o non vogliono?) chiedere molto ai loro project manager. Tutto ciò con buona pace delle varie associazioni professionali, alcune ben note a livello internazionale, come il Project Management Institute (PMI), che attraverso pubblicazioni, riviste e convegni si prodigano per diffondere la cultura di project management e per sostenere il ruolo visibile e consistente del capo progetto. Con risultati non sempre incoraggianti. In effetti nella nostra comunità professionale capita troppo spesso di parlarci addosso. Le riviste di settore circolano per la maggior parte solo tra capi progetto, i convegni sono seguiti prevalentemente da project manager o da formatori e consulenti che operano nel settore. Di fatto il management aziendale risulta in buona parte assente, per disinteresse o semplicemente perché non coinvolto in modo opportuno. E così le organizzazioni continuano in larga parte ad ope- 44 DATACollection NOVEMBRE 2006

9 rare secondo abitudini generate dalle regole gerarchiche, le stesse che il project management cerca di superare, attraverso processi in cui la struttura aziendale viene per così dire attraversata e vista con un ottica focalizzata al risultato del progetto. Le funzioni aziendali non determinano il progetto ma forniscono risorse e competenze al project manager, che negozia un mandato con la committenza e impiega le risorse e le competenze a lui fornite per il successo del progetto stesso. Senza una condizione culturale favorevole al lavoro a progetto, senza quindi il coinvolgimento e il committment ad operare in tal senso da parte del management aziendale, parlare di ruolo del project manager appare sterile. Il rischio è di definire per l ennesima volta in modo teorico ciò che nei fatti l organizzazione dimostra di vivere ancora come corpo estraneo. Anche nelle organizzazioni in cui la pratica della gestione progetti è diffusa e consolidata, i project manager non hanno in genere lo stesso lo stesso potere di altri manager di pari livello. Ciò in virtù della temporaneità del loro lavoro, che non consente di inserirsi in modo opportuno nella gerarchia aziendale. Ciò che possono al massimo fare è costruirsi una reputazione personale basata sul successo dei progetti precedenti da loro gestiti. A ulteriore dimostrazione del fatto che il ruolo organizzativo del project manager è ancora ben poco consolidato, accade non di rado che i migliori project manager, nel loro precorso di carriera, diventano capi funzionali, venditori o business manager, abbandonando così la loro practice di riferimento. Se da un lato ciò testimonia che il project management è una disciplina professionale complessa, che può preparare in modo egregio a compiti e responsabilità aziendali più elevate, dall altro si evidenzia che in pratica le organizzazioni non ritengono il project management importante o strategico come le funzioni aziendali più tradizionali. Capita spesso di sentire manager più o meno affermati dire: mi ricordo che quando facevo io il capo progetto, configurando in tal modo il project manager come un ruolo di passaggio, una sorta di trampolino di lancio che porta da mansioni prevalentemente tecniche a responsabilità più tradizionalmente manageriali. Resta da interrogarsi dove le organizzazioni vanno a scovare quel 97% di project manager esperti che, secondo l indagine dello Standish Group sopra menzionata, assicurano il successo dei progetti. Conclusioni A differenza di quanto accadeva venti o anche solo dieci anni fa, oggi sono disponibili innumerevoli contributi letterari e formativi che ben descrivono ruoli, competenze e compiti del capo progetto, sia in termini generali, sia relativamente a specifici settori di mercato e persino in ordine a ben determinate tipologie di progetti. Alcuni sono lavori originali che hanno il merito di aver tracciato delle linee precedentemente inesistenti, altri sono la riproposizione più o meno elaborata di concetti già noti. Da parte nostra, in questo articolo abbiamo tentato di porre la questione da una prospettiva diversa, sicuramente meno ortodossa e più scomoda, che possiamo riassumere in una battuta finale volutamente provocatoria: ogni organizzazione ha i project manager che si merita. Più volte ci è capitato di sentire affermazioni come: se i nostri PM non si dimostreranno all altezza anche dopo l investimento che sosteniamo per la loro formazione (magari di due o tre giorni, sigh!) allora dovremo cambiarli, perché noi vogliamo il successo. E se poi scopriamo che ci sono scelte organizzative palesemente contrarie all applicazione dei principi su cui si basa il project management, che si fa? Cambiamo tutti quelli che reggono l organizzazione? Ci farebbe piacere che attorno a questa considerazione si potesse sviluppare un dibattito a cui invitare tutti gli attori sociali rilevanti, a partire da coloro che più di altri, per ruolo aziendale, sono in grado di influenzare le scelte culturali e organizzative dell impresa. Mario Damiani ha conseguito il Master s Certificate in Project Management (G. Washington University) e il Certified Project Management Professional (PMP ). È membro fondatore del PMI North Italy Chapter (VP formazione e certificazione dal 1997 al 2005). Revisore PMBOK Guide 2000 Edition, contributore e revisore del PMBOK Guide Svolge attività di consulenza, docenza e formazione nell ambito del project e program management, implementando strutture di PMO per diverse imprese nazionali ed internazionali. Ha inoltre realizzato programmi di apprendimento di project e program management, di process consulting, di solution selling. Autore di numerosi articoli, ha scritto e pubblicato i libri: Project Management - Basic principles and project life cycle, nelle versioni italiana e francese (1997) e Le dimensioni del Project Management: organizzazione, metodi, relazione, edito dal Sole 24 Ore nel DATACollection NOVEMBRE

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