Vecchio Lazio: i vocaboli delle pratiche colturali
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- Camillo Salerno
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1 Logo Lazio Logo Insor Vecchio Lazio: i vocaboli delle pratiche colturali di Ugo R. Gualazzini Quaderno di informazione socio-economica n.14 1
2 REGIONE LAZIO Assessorato all Agricoltura Area A Servizio di informazione socio-economica Via Rosa Raimondi Garibaldi, Roma ISTITUTO NAZIONALE DI SOCIOLOGIA RURALE Via della Stelletta, 20/ Roma Tutti i diritti sono riservati QUADERNI DI INFORMAZIONE SOCIO-ECONOMICA Coordinamento Editoriale: Pier Luigi Cataldi VECCHIO LAZIO: I VOCABOLI DELLE PRATICHE COLTURALI Di: Ugo R. Gualazzini L Istituto Nazionale di Sociologia Rurale ringrazia Pier Luigi Cataldi e Silvano Paone dell Assessorato all Agricoltura della regione Lazio per i contributi recati alla definizione del progetto. 2
3 Indice Prefazione di Daniela Valentini Premessa Parte prima Un tentativo di sintesi regionale Capitolo 1: Una premessa linguistica Capitolo 2: Cerealicoltura, lavorazione del suolo, rotazione agraria Capitolo 3: Leguminose e altre colture Capitolo 4: L allevamento, il pascolo, la macchia Capitolo 5: Attrezzi e mezzi di trasporto Parte seconda Alcuni esempi locali Capitolo 1: La vite nel viterbese Capitolo 2: L ulivo in Sabina Capitolo 3: Le grandi proprietà della Campagna romana e le figure di contadino specializzato Capitolo 4: Castelli Romani: un saggio di vocabolario del lessico vitivinicolo Capitolo 5: Le uve e la mensa contadina in Ciociaria Appendice: Agricoltura e gastronomia reatina in un antica fonte poetica 3
4 Premessa Molte, anzi, moltissime sono le persone cui devo essere grato per il loro prezioso aiuto, a vario livello, nella conduzione e nella stesura di questa ricerca. Non riuscirò neppure a citarle tutte. Il primo pensiero va senza dubbio al professor Corrado Barberis, che ha mostrato grande fiducia nell assegnarmi questo tema e ha saputo incoraggiarmi e guidarmi con paterna dedizione, solidale amicizia, magistrale competenza. L eventuale merito di quest opera va interamente a lui, che l ha voluta, seguita ed attesa con pazienza inimmaginabile. Un caloroso ringraziamento va al dottor Pier Luigi Cataldi ed al dottor Silvano Paone della Regione Lazio i quali, con il professor Barberis, hanno individuato il tema ed hanno deciso di affidarmene lo svolgimento. Un aiuto importante mi è stato fornito dagli archivisti dei diversi Archivi di Stato della regione: voglio ricordare in particolare quelli di Frosinone ed il dottor Augusto Pompeo dell Archivio di Stato di Roma. Un essenziale contributo di segnalazione della bibliografia e di alcuni degli aspetti principali da trattare è venuto da numerosi studiosi di storia laziale di chiara fama: il dottor Italo Arieti, il professor Quirino Galli, il professor Luigi Cimarra, il professor Antonio Parisella; a tutti loro va la più sincera gratitudine. Un debito ho anche nei confronti di alcuni docenti dell Università degli Studi di Firenze, per consulenze specifiche in ambito linguistico ed etruscologico: la dottoressa Elisabetta Bacchereti, il professor Giovannangelo Camporeale, il professor Andrea Dardi, il quale mi ha fornito le basi per poter presentare alcune considerazioni di carattere linguistico, che erano in verità abbondanti nella più ampia stesura iniziale. Grande riconoscenza va alle persone più vicine, che mi hanno sopportato, incoraggiato, consigliato e coadiuvato in tutte le fasi della ricerca: ai miei genitori, in particolare a mia madre, che ha anche condiviso l onere della correzione ed integrazione delle bozze, allo zio Attilio Politi, che mi ha anche accompagnato in alcune delle trasferte laziali, ad Anna Guarneri, al carissimo amico dottor Matteo Morandi, il cui consiglio è stato prezioso nelle fasi iniziali di progettazione del lavoro. Per ultimo, ma solo in senso cronologico, uno speciale ringraziamento 4
5 tengo a rivolgere alle dottoresse Mariachiara Cortesi e Maria Ossola: grazie alla loro riservata gentilezza e dedizione ed alle gradite visite hanno saputo incoraggiarmi e sostenermi al momento di concludere l opera, in un periodo di non lieve malessere fisico. Voglio dedicare il presente volume a cinque docenti che, in tempi diversi e ciascuno nel suo campo, hanno contribuito in modo sostanziale e profondo alla mia formazione. Al professor Gianemilio Vercesi, che ha saputo stimolare e coltivare il mio interesse per la storia negli anni più delicati della formazione, insegnandomi, oltre e più che nozioni, un sicuro metodo di ricerca e di studio ed ancor più le basi ed i meccanismi del ragionamento applicati alle scienze umane. Al professor Giuseppe Ferrami che, negli stessi anni, con un impegno fuori dal comune, ha curato la mia formazione in ambito letterario, insegnando i metodi di analisi del testo e facendo comprendere l importanza del fattore linguistico e lessicale. Egli cercò di migliorare il mio stile espressivo-espositivo, temperando la tendenza ad un periodare prolisso e talvolta involuto. Non gli se ne voglia quando si costaterà qualche ridondanza nel presente scritto: se il suo impegno non ha portato il massimo frutto è sola colpa dell allievo. Al professor Stefano Zamponi, esempio di serietà e disponibilità oltre che luminare nel campo paleografico, archivistico e codicologico. A lui devo gli insegnamenti indispensabili per reperire, decifrare, interpretare, utilizzare e citare correttamente le fonti d archivio, materiale basilare per questo lavoro. Alla professoressa Dinora Corsi, che ha saputo appassionarmi alla storia della Chiesa, la cui conoscenza è indispensabile in ogni studio di storia italiana medievale e moderna. Al professor Guido Vannini, raro esempio di competenza e di cortesia, il quale ha sostenuto la mia formazione nel campo storico e mi ha iniziato con mano sicura ai metodi di ricerca nel campo dell archeologia medievale, della storia del paesaggio e delle comunità rurali, facendo comprendere l importanza delle fonti materiali ed i modi di intersecarne lo studio con quello della documentazione scritta. Tutto ciò è stato essenziale per la presente ricerca. 5
6 PARTE PRIMA: un tentativo di sintesi regionale Una premessa linguistica Oggi qualunque appezzamento, qualunque azienda riceve nel linguaggio corrente il nome di podere: che, un tempo, era riservato solo alle aree di mezzadria viterbese e al massimo sabina. E, anche questo, un aspetto della globalizzazione vissuto dall agricoltura laziale che abbandona le sue specificità contrattuali (patti verolani fra concedente e colono, il patto stucco nei rapporti tra soccidante e soccidario, ecc. ) per adeguarsi ad una realtà nazionale vissuta per così dire all insegna di una globalizzazione. *** Da un punto di vista linguistico, Roma e la ristretta Campagna romana hanno goduto di un isolamento e di una autonomia del tutto eccezionali nella Penisola. Le aree che definiremmo periferiche rispetto al centro-roma, non solo quelle individuate dalla schematica divisione delle storiche province pontificie, ma anche aree subregionali molto più piccole, hanno così subito altre influenze, esterne alla regione. Tali isole si sono create sia a motivo della morfologia del territorio che a causa della presenza o piuttosto assenza di vie di comunicazione destinate agli spostamenti locali, tanto che l assenza di una pianificazione e di una realizzazione viaria rivolta ai collegamenti interni alla regione, fino a tempi recentissimi, ha lasciato distanti e isolati anche comuni e comprensori contigui. L esempio riportato da De Mauro e Lorenzetti 1 è quello dell abbandono dell antichissima strada che metteva in comunicazione i Prelatini di Cora con quelli di Tibur. Così la Tuscia viterbese o Tuscia romana, fin dal nome, palesa l influenza culturale derivata dalla confinante Toscana. L area della Sabina e tutta la zona di confine tra Patrimonio e antico Ducato gravita nell orbita culturale di Umbria e Marche; il Reatino, parte del quale non era laziale sino a tempi recenti, e la zona di Tivoli subiscono 1 De Mauro, T., Lorenzetti, L., 1991, p
7 invece l influenza dell Aquilano; il Frusinate, anche per la sua parte storica, a nord della Terra di Lavoro, e la vecchia provincia di Marittima, a sud di Anzio, sono attratti invece dall area culturale campana. Così l eterogeneità dialettologica del Lazio, concludono ancora i nostri autori, non è altro che la conseguenza della mancata omogeneità antropologico-culturale della regione. Proseguiremo dunque nel delineare rapidamente lo stato degli studi sui dialetti laziali seguendo da vicino il citato contributo di De Mauro - Lorenzetti, oltre che uno stringato articolo di Vignuzzi 2 sulla dislocazione delle diverse aree dialettali e delle isoglosse (le linee di confine tra area e area) che le distinguono. Il Latium vetus è una ristrettissima area, con una sua caratterizzazione specifica, sia etnica che linguistica, che supera appena le porte di Roma. Un imponente contributo lessicale e fonologico viene assorbito dalle lingue delle etnie circostanti fin dai tempi della formazione del Latino che oggi conosciamo come classico, in particolare: etruschismi certi ed altri probabili, concentrati negli ambiti delle istituzioni civili e militari, della politica, abbondantissimi per gli aspetti sacrali e religiosi della società, compresi i nomi di stagioni, presenti nel lessico della letteratura, del teatro, dell architettura; grecismi, alcuni arcaici, altri protostorici, più legati al vocabolario della vita materiale; sabellismi, italicismi e sabinismi, con un influenza talvolta solo di tipo fonologico, che riguardano soprattutto il mondo campestre e contadino, compresa l attività pastorizia. Ciò appare ovvio, dato che tali generi di attività erano largamente prevalenti, per non dire esclusivi, presso queste antiche popolazioni italiche; pure da non dimenticare sono alcuni toponimi. Tale propensione all accoglimento di elementi linguistici esterni rimase una caratteristica del Latino fino ad epoca tarda, con una classe aristocratica romana colta che era bilingue e grecizzante, basti pensare ai Memorabilia dell imperatore Marco Aurelio o alle abbondanti citazioni greche di Apuleio, specie nell Apologia. L accoglimento del Greco anche in Occidente ha infine una tappa fondamentale con la definitiva adesione al Cristianesimo grecizzante, con tutto il suo abbondante portato terminologico. Questa apertura di Roma capitale 2 Vignuzzi, U.,
8 della penisola prima, di un impero che supera i limiti dell Europa in seguito, all accoglimento di elementi linguistici eterogeni va di pari passo con un secondo aspetto, tipico del sistema di controllo che Roma attua nei confronti del territorio che via via viene assogettando. La politica adottata in Italia, fin dalle prime espansioni del dominio romano a spese delle popolazioni confinanti con la costituzione della Lega Latina, prevede non una colonizzazione snazionalizzante, con una conseguente latinizzazione forzata, ma si basa su patti federativi diversificati tra loro, secondo la nota massima divide et impera. La latinizzazione avvenne così gradualmente, convisse con la sopravvivenza degli idiomi locali, ebbe una profondità ed una radicazione diversa a seconda delle aree. Anche le successive conquiste nell Italia settentrionale, nel bacino del Mediterraneo, nell Europa continentale, con la formazione delle diverse province, pur vedendo modificate le modalità politico-amministrative di controllo del territorio conquistato, non comportarono una modificazione della politica culturale e linguistica verso le popolazioni assogettate. E ormai noto che negli ultimi secoli dell Impero d Occidente, sebbene il Latino fosse diffuso ed utilizzato in tutte le province che vi appartenevano, esso si presentava in numerosissime varianti locali o nazionali, soprattutto a livello fonetico, non abbastanza differenti da impedire la comunicazione tra le diverse genti, ma sufficienti per qualificare con certezza la provenienza di un provinciale che si recasse a Roma. Questo fenomeno segna la nascita della proliferazione delle lingue romanze e della selva di dialetti, stigmatizzata da Dante anche per quanto riguarda la penisola italiana. In Italia, paradossalmente, l antichità della colonizzazione, proprio per la sua natura federativa, lascia sopravvivere un sostrato che riemerge con la dissoluzione della struttura statale romana. Su di esso si innesta una successiva evoluzione degli idiomi locali, stimolata anche dal sovrapporsi di elementi linguistici mutuati dalle diverse popolazioni barbariche che via via si stanziano nella Penisola 3, detti superstrati, fino alla creazione dei dialetti odierni. Essi, come è noto, all interno di più vasti ceppi di matrice comune, si sono caratterizzati con infinite varianti, 3 Numerosi sono gli studi specifici: per citare solo un esempio per la dominazione longobarda, forse la più importante per le tracce linguistiche lasciate, si veda: Sabatini, F.,
9 anche lessicali, che distinguono non soltanto il dialetto di un comune da quello del comune vicino, ma addirittura quello del centro urbano da quello della campagna limitrofa, quello di un quartiere cittadino da quello del quartiere vicino. Questa nostra ricerca, sia per il suo carattere preliminare, sia perché occorrerebbero studi molto approfonditi a livello locale, fino ad ora assenti in molte aree, che non potrebbero essere accolti nello spazio di questo volume e che non sarei qualificato per svolgere, si limiterà a considerare alcuni aspetti all interno di questi ceppi, sempre in relazione con quello che rappresenta l elemento di primario interesse di questo studio: la diversa caratterizzazione delle aree subregionali per conformazione geografica, composizione etnicoculturale, conseguenti usi e strumenti dello sfruttamento del territorio nella produzione agraria. Veniamo, dunque, ad un tentativo di identificazione delle differenti aree linguistiche, avvisando fin d ora che non vi è sempre accordo tra gli studiosi, sia nella denominazione che nell individuazione delle medesime e che, come diremo meglio, molte zone sono realmente di confine, presentando di conseguenza caratteristiche miste, proprie di due differenti tipologie linguistiche. Lo spartiacque che identifica la separazione linguistica principale è costituito dalla linea ideale Roma-Ancona, confine linguistico antichissimo, che ricalca abbastanza fedelmente il confine arcaico che divideva l Italia pre-romana in territori di lingua etrusca, non appartenente al ceppo indoeuropeo, a nord, e territori con popolazioni linguisticamente appartenenti al gruppo indoeuropeo, a sud, ovvero Umbri, Sabini, Latini. Si tratta, in realtà, di un percorso medio all interno di un fascio di numerose isoglosse, che segnano il passaggio, per l appunto, da un area linguistica ad un altra, individuando anche il confine settentrionale della latinità umbrosannita o italica 4. Queste linee interessano intensivamente la zona che dai Colli Albani, a sud di Roma, risale il Tevere e lambisce la Sabina, investendola in parte, e termina in buona parte dei casi tra Ancona e Teramo. A nord-ovest del Tevere incontriamo così i dialetti della Tuscia, di stampo umbro-occidentale-toscano, decisamente non- 4 Cfr., ad esempio, la Carta dei dialetti d Italia, a cura di G. B. Pellegrini. 9
10 meridionali. A sud-est si oppongono i dialetti mediani, sabinociociari; essi sfumano, attraverso abbondanti aree di transizione, in quelli di tipo marcatamente meridionale, a partire dalla costa a sud del Circeo. Cercheremo ora di definire un po più precisamente queste tre diverse aree, facendo avvisati, ancora una volta, che le indicazioni fornite hanno puro valore indicativo, anche perché i diversi studiosi, a seconda degli aspetti linguistici e fonetici che privilegiano, ascrivono alcuni dialetti ad un gruppo piuttosto che ad un altro. Ciò è pienamente comprensibile soprattutto se immaginiamo la realtà linguistica regionale non composta da tre blocchi precisamente definiti, ma piuttosto da una caratterizzante gradualità, che vede lo sfumare dell area settentrionale-toscana in quella mediana e, soprattutto, di quella mediana in quella meridionale, in quasi totale assenza di netti confini. Le zone di interscambio tra le tre tipologie sono così molto ampie, con alcuni avamposti di una tipologia insinuati anche piuttosto profondamente nell area di insistenza di un altra. C è inoltre da tenere presente un ulteriore fenomeno, che complica ancora il quadro: la realtà dialettale è in continua evoluzione, il che comporta inevitabilmente che ogni stadio successivo di un dialetto conservi tracce dei precedenti. In questo modo, quando vogliamo esaminare la realtà sincronica del dialetto odierno (o meglio tra XIX e XX secolo, come dicevamo in premessa) in queste vaste zone di transizione, le caratteristiche ibride che possiamo riscontrare non derivano solo dall incontro-scontro di due culture e quindi lingue, ma anche dalle tracce di precedenti spostamenti dell area di espansione dei tipi dialettali in questione. Ciò spiega, almeno in parte, le tracce che riconducono ad una tipologia linguistica diversa presenti talvolta in ristrette zone all interno di un area omogenea; in queste zone, secondo una tendenza nota in linguistica, proprio a causa dell isolamento, si conservano meglio le vestigia di una situazione più arcaica. Uno dei fenomeni più importanti per identificare le tre aree (settentrionale-toscana, mediana, meridionale) è la cosiddetta metafonesi o metafonia delle vocali medie chiuse, che consiste cioè nell influenza esercitata dalla -i ( Ī ) e -u ( Ŭ ) originarie latine della sillaba finale sulla vocale tonica (cioè sulla quale cade l accento) all interno della parola stessa. Facciamo qualche esempio, a 10
11 prescindere dalla diversa morfologia che le parole esaminate possono avere, soprattutto nella finale, all interno delle stesse aree, che per ora non ci interessa. Tipo settentrionale-toscano: vetulus > vècchio -i focus > fòco -i bonum > bòno -i oculum > òcchio -i mortus > mòrto -i venis > vèni Qui, come in Toscano ed in Italiano, la -e- e la -o- medie sono aperte ( -è- ed -ò- ). Tipo mediano (sabino-ciociaro): vetulus > vécchiu -i focus > fócu (fógu) -i bonum > bónu -i oculum > ócchiu -i mortus > mórtu -i venis > vé In questo caso, invece, la -e- e la -o- medie subiscono metafonia, divenendo chiuse ( -é- ed -ó- ). Questo fenomeno determina un effetto tipico dei dialetti appartenenti al tipo mediano: la differenziazione di apertura della vocale media tra maschile, dove la -u finale latina determina la chiusura, e femminile, dove l assenza della -u mantiene invece la vocale aperta. Avremo così, ad esempio, vécchiu -i / vècchia -e < vetulam; bónu -i / bòna -e < bonam; mórtu -i / mòrta -e < mortua, oppure, come nel dialetto di ferentino, mórtu -i = morto / mòrtu = morte, ecc 5. Tipo meridionale (sud-ciociaro e campano): 5 Avvertiamo soltanto del fatto che alcuni linguisti, come Clemente Merlo, fanno derivare l esito metafonetico sabino-ciociaro da un precedente tipo meridionale. 11
12 vetulus > viécchiu -i focus > fuócu -i bonum > buónu -i oculum > uócchiu -i mortus > muórtu -i venis > vié Qui, infine, la metafonia, appartenente al tipo napoletano, produce la dittongazione della vocale media in -jé e -wó (graficamente -ié e -uó). Il fenomeno della metafonesi è, in realtà, molto più complesso ed esteso, ed è soggetto, a seconda delle zone, ad influssi ed assimilazioni, attrazioni che, in casi specifici, danno risultati peculiari ed interessanti. Ad esso si aggiunge, inoltre, tutta una serie di fenomeni legati al vocalismo che sono spesso utili per individuare non tanto le tre tipologie dialettali di cui stiamo parlando, ma piuttosto delle sotto aree, venendo a distinguere in maniera più minuta i dialetti della regione: ad esempio, nel caso del tipo mediano, soccorrono nella distinzione tra il sotto-tipo sabino e quello ciociaro, e ancora, entro di essi, in ulteriori distinzioni con la conseguente individuazione di aree dialettali sempre più piccole. Non è tuttavia, come premesso, argomento di nostro specifico interesse quello, per dir così, della sottile distinzione e classificazione linguistica dei dialetti laziali, con tutte le nozioni specialistiche che l argomento richiederebbe; non saremmo neppure qualificati per un tale compito. Quello che ora ci importa è, invece, dare un idea della estensione e della diffusione dei tre grandi tipi di cui abbiamo detto. La denominazione stessa dei tre tipi non è concordemente accettata dagli studiosi ed anche, ribadiamo, la loro estensione non è da tutti indicata concordemente 6. Noi 6 I nomi che abbiamo utilizzato per individuare i tre tipi dialettali sono accettati, ad esempio, in De Mauro, T., Lorenzetti, L., 1991, che a sua volta cita Vignuzzi, U., 1981, ma non esattamente in Romano, N., Qui l autore preferisce parlare di un area toscana, una laziale (ritenendo, pur con riserve, di poter ricorrere a tale denominazione), una meridionale, con i sottotipi frusinate, sud-ciociaro, campano, oltre, naturalmente, al Romanesco, sorta di quartum genus. Non è, in realtà, solo questione di nomi: le tre aree individuate non coincidono esattamente con quelle da noi preferite, assegnando, ad esempio, buona parte del Viterbese non all area di influenza toscana ma a quella indicata come laziale. 12
13 cerchiamo di seguire le indicazioni degli studi più recenti e ci accontentiamo di quanto detto a proposito della metafonia, il fenomeno linguistico e fonetico sicuramente più considerato per distinguere le tre aree dialettali. Dopo aver dato alcune indicazioni sulla diffusione dei tre esiti metafonici, procederemo dunque a passare in rassegna qualche altro fenomeno utile alla distinzione tipologica. Quanto al fenomeno metafonetico, il tipo settentrionaletoscano, il meno studiato per ciò che riguarda il Lazio e quindi anche quello dai confini più indefiniti, caratterizza approssimativamente il Viterbese, fino ai margini di espansione del Romanesco, che pure ha storica influenza su tutta l area, ovvero fino a Civitavecchia sulla costa ed ai confini della Sabina nell interno. Il tipo mediano, per il quale non introdurremo più specifiche partizioni tra sabino e ciociaro, parte da Rieti ed Antrodoco, confine estremo del Lazio storico, riguarda le valli del Turano e del Salto, con i centri principali di Cittaducale, sulla stessa linea, Petrella Salto e Fiamignano, Pescorocchiano, Borgorose, sino a Poggio Mirteto a nord-ovest ed a Palombara Sabina a sud, ormai in provincia di Roma. Come si può notare, è interessata da questa tipologia quasi tutta la Sabina; i comuni di confine a nord e quelli di nord-ovest lungo il limite della provincia di Viterbo, con a nord Orte, già in questa provincia, risentono invece più marcatamente della tipologia settentrionale-toscana o, al contrario, della tipologia meridionale. E questo il caso di Greccio e, come tracce, della stessa Orte e di Sant Oreste, al di là del Tevere e in provincia di Roma. Ciò dipende, secondo diverse teorie, o da un fatto di colonizzazione linguistica attraverso la Salaria, il che spiegherebbe anche simili influssi nella punta nord della provincia di Rieti, con Amatrice e Leonessa o, più probabilmente, da uno sconfinamento dei caratteri tipici del Teramano, riconducibili, appunto, al tipo meridionale. Greccio, del resto, si trova proprio sulla linea mediana Roma-Ancona nel fascio di isoglosse. Il tipo mediano passa poi dalla Sabina alla Ciociaria, attraverso la valle dell Aniene, da Subiaco e Vallepietra sino a Tivoli, ormai alle porte del comune di Roma e, più a sud, Palestrina e Zagarolo; oggi quest area è interamente in provincia di Roma ed è più o meno intensamente influenzata dal Romanesco, specie nella parte più vicina alla capitale. Procedendo oltre, quasi tutta la Ciociaria è 13
14 caratterizzata da questo tipo, fino alla valle del Liri, con il limite estremo dei comuni di Veroli 7, Sora, Monte San Giovanni Campano, con una punta costituita da Arce, Colfelice, Rocca d Arce, per poi ripiegare verso ovest con Ripi, Ceccano, Amaseno. Attraverso tutta la valle del Sacco la metafonia di tipo mediano si espande verso la costa, attraversando la propaggine sud-orientale della provincia di Roma e giungendo alla provincia di Latina. Così da Anagni, Ferentino, Alatri, Frosinone investe Segni, Montelanico, Carpineto, giungendo sino a Cori e Sezze, a Sonnino che confina con Amaseno, e con due estremi, isolati avamposti nell angolo meridionale della regione: Ausonia, ancora in provincia di Frosinone, e Minturno. Il tipo meridionale, infine, a parte i casi più o meno isolati di Leonessa, Greccio, Sant Oreste (ma con numerose oscillazioni), Amatrice, anche se con forti tracce del tipo sabino (mediano) e, ormai solo come tracce, Orte, dei quali abbiamo già ipotizzato la spiegazione parlando del tipo mediano, e i due avamposti di questo stesso tipo, Ausonia e Minturno, appena citati, è caratteristico dell area meridionale e costiera della regione; essa è in gran parte esterna ai confini storici del Lazio sottoposto allo Stato della Chiesa, essendo appartenuta invece al Regno di Napoli 8. In particolare, il confine del tipo metafonico meridionale in Ciociaria è rappresentato dall alta valle del Liri, con Sora esclusa, ma cominciando da Isola del Liri, Arpino, passando a Ceprano, Pofi, Castro dei Volsci, Vallecorsa, fino a Terracina, in maniera meno compatta, dove è attestato il dittongo -ue-. L esito metafonico meridionale conosce poi una espansione più a nord, verso la costa: in alcuni dei Castelli romani ve ne erano tracce nel XIX secolo, come a Marino o, con maggior vigore, ad Albano, Genzano, Ariccia, ed in altri, Velletri, Nemi, Lanuvio, dove è ancor oggi più evidente, con il passaggio del dittongo -uó- a -ió-, con bióno, nióvo, 7 Qui il fenomeno della metafonesi si restringe soltanto al plurale maschile, divenendone segno distintivo: avremo così vécchi, ócchi e bóni, con chiusura metafonica, contro a vècchiu, òcchiu e bònu che, come si nota, non la presentano. 8 Si rimanda in prima istanza, per una definizione un poco più ampia dei confini storici cui fa riferimento la nostra ricerca, all Atlante storico-politico del Lazio, a cura della Regione Lazio, Assessorato alla Cultura, e del Coordinamento degli Istituti culturali del Lazio, Roma-Bari,
15 ecc. Va detto subito, però, che già nel XIX secolo tutta quest area era fortemente influenzata dal Romanesco e dalle sue peculiari caratteristiche, anche perché, come vedremo meglio in seguito, è compresa nel suo arco di diffusione. E, anzi, molto probabile che tali caratteristiche dipendano non da una diretta derivazione dai dialetti di area meridionale, ma dalla persistenza di caratteri dell antico Romanesco, dialetto di tipo meridionale, che sarebbero sopravvissuti in questa ristretta zona collinare. Esposto, anche se in maniera non esauriente, il tema fondamentale della metafonia come elemento distintivo dei tre tipi dialettali e tentata anche una localizzazione dei tre diversi fenomeni metafonetici, è subito da rilevare che vi sono numerose altre caratteristiche fonetiche, morfologiche, grammaticali, lessicali che identificano questi tre tipi dialettali e la cui diffusione non coincide sempre esattamente con quella di questo primo fenomeno. Questo, come accennavamo, è il principale motivo di parziale discordanza tra gli studiosi che hanno tentato di individuare l estensione dei tre tipi, privilegiando ciascuno fenomeni diversi. Quasi tutti, in ogni modo, concordano apertamente sul fatto che quello metafonico sia l aspetto più qualificante a tale fine. La difficoltà di identificazione di un confine è particolarmente accentuata nella distinzione tra l area di diffusione del tipo mediano e quella invece caratterizzata dal tipo meridionale. Proprio a proposito di questo problema, Romano 9 ha identificato, in Ciociaria, una fascia relativamente vasta che egli chiama di interscambio, nella quale, per così dire, i fenomeni linguistici propri delle due tipologie mediana e meridionale si mescolano e si confondono. Secondo lo stesso autore questa fascia è costituita dai centri immediatamente a nord della media valle del Liri, che per secoli ha di fatto rappresentato un confine tra stati, a sud siamo invece in pieno e definitivo territorio dialettale meridionale, senza compromessi e scambi significativi con i dialetti di tipo centrale [ovvero mediano]. I principali centri interessati da fenomeni di interscambio sarebbero Sora, Veroli, Alatri, Frosinone, Amaseno e l estrema propaggine di Ausonia, cui dobbiamo però aggiungere almeno Ceccano, Arce, Rocca d Arce e Colfelice, 9 Romano, N.,
16 avvisando che questi ultimi tre si trovano in realtà a sud del corso del Liri. Poiché, crediamo, è stata ormai identificata con sufficiente approssimazione l area di diffusione delle tipologie dialettali, passeremo ad elencare rapidamente qualche altro fenomeno linguistico caratteristico e distintivo di esse, secondo l ordine in cui li presenta Ugo Vignuzzi nella sua sintesi 10. Come è ormai evidente, i fenomeni distintivi rispettivamente del tipo mediano e di quello meridionale si ritrovano più o meno compresenti nella fascia che è stata definita di interscambio e non si deve escludere che qualche singolo caso possa riscontrarsi anche al di fuori di tale area e di quella indicata come propria del tipo dialettale di cui sono caratteristici. a) La conservazione delle vocali medie alte originarie latine, che è propria del tipo mediano e di quello meridionale, con un netto confine rappresentato dalla valle del Tevere, essendo assente ad ovest di essa, ma già presente, con tracce più o meno evidenti, nei Castelli Romani nel XIX secolo: casi come vitru < vitrum; i dimostrativi quistu < (ec)cum istum, quillu < (ec)cum illum; munnu < mundum (=mondo). b) Ancora il tratto del Tevere Orte-Roma segna il limite ad occidente della conservazione propria dei tipi mediano della distinzione tra -u ed -o originarie latine in fine di parola, a fronte di una diffusa uniformazione in -o del tipo settentrionale, con l eccezione di S. Oreste che, come si è detto, presenta caratteristiche meridionali pur essendo ad ovest del Tevere. Così troviamo focu < focum; ferru < ferrum, ma quanno < quando; amanno < amando; omo < homo (derivato dal nominativo). Procedendo però verso l area di diffusione del tipo meridionale si hanno delle modificazioni. Sostanzialmente nell area che è stata definita di interscambio, con una lieve 10 Vignuzzi, U., 1981, pp A questa sintesi ancora si rimanda per un approfondimento anche rispetto ai fenomeni che qui veniamo ulteriormente sintetizzando e schematizzando. 16
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