ORGANO MENSILE DELL' AICCE, ASSOCIAZIONE UNITARIA DI COMUNI, PROVINCE. REGIONI

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1 Direz. e Redaz.: Piazza di Trevi, Roma ANNO XXXI - N. 2 - ~ Febbraio 1983 Spedizione in abbonamento postale - Gruppo 111/70 dal quartiere alla regione per una Coniuriità europea federale ORGANO MENSILE DELL' AICCE, ASSOCIAZIONE UNITARIA DI COMUNI, PROVINCE. REGIONI per la costruzione della pace, una politica efficace a favore del Quarto Mondo, la piena occupazione nella Comunità È tempo di una autentica unione economica e politica europea Ferri Hofmann - il CCE unanime a favore dell'iniziativa costituente del Parlamento Europeo - l'esigenza di un Governo europeo, responsabile a un Parlamento dell'unione e capace di iniziativa legislativa, di orientamento politico e di applicazione delle norme - un Parlamento Europeo (Camera popolare) dotato di effettivipoteri legislativi e di bilancio - la trasformazione del Consiglio dei Mimitri in Senato degli Stati - il ruolo fondamentale dei Poteri locali e regionali nel contesto dell'unione e il pieno rispetto del principio di sussidiarietà Coerente con la linea politica che gli è propria da lunga data, il Consiglio dei Comuni d'europa, che raggruppa direttamente o indirettamente più di enti locali e regionali europei, non può non sostenere pienamente e interamente l'iniziativa del Parlamento Europeo di proporre una revisione degli attuali Trattati della Comunità, avendo per obiettivo la realizzazione di una vera Unione Europea. Tale sostegno del CCE trae origine soprattutto dal testo della Risoluzione finale adottata dai XIV Stati generali dei Comuni d'europa svoltisi a Madrid dal 23 al 26 settembre 1981, che hanno visto la partecipazione di eletti locali e regionali. In questa Risoluzione si afferma che «il CCE, una delle prime forze democratiche della costruzione europea, è pronto a dare tutto l'appoggio di cui è capace al lavoro costituente che ha preso le mosse il 9 luglio 1981 nel seno del Parlamento europeo a Strasburgo. Esso si attende che quest'ultimo proponga ai Parlamenti nazionali ed ai cittadini europei, in occasione delle prossime elezioni europee, un progetto per l'europa che corrisponda, finalmente, alle necessità economiche e politiche del momento e che permetta all'europa di svolgere pienamente il suo molo per il rispetto dell'autodeterminazione dei popoli e la salvaguardia della pace mondiale*. I1 contributo che il CCE spera di poter dare attualmente ai lavori della Commissione Istituzionale del Parlamento Europeo deriva da due esigenze: una relativa alla realizzazione di una Unione Europea partendo daiia revisione dei Trattati attuali; l'altra alle preoccupazioni precise degli enti locali e regionali. Questi ultimi ritengono sia loro dovere chiedere alla Commissione Istituzionale di inserire nel progetto alcuni punti che, pur riguardandoli direttamente, sarebbero tali da rafforzarne la portata complessiva agli occhi di più di eletti locali e regionali, in contatto diretto e quotidiano con le popolazioni che amministrano. Comunque il CCE ritiene opportuno sottoporre alla Commissione Istituzionale la proposta qui allegata, destinata a suscitare una riflessione sull'inserimento nel futuro Statuto dell'unione Europea di una elencazione dei diritti fondamentali dei cittadini. I. LA REVISIONE DEI TRA'lTATI E GLI ELEMENTI ESSENZIALI DELLO STATUTO DELL'UNIONE EUROPEA 1. I1 CCE ritiene che la struttura e le competenze attuali della Comunità, ma soprattutto per la loro carenza i poteri decisionali delle sue istituzioni, sono inadeguati per affrontare e risolvere le più grandi sfide del nostro tempo. 2. I1 primo obiettivo di una riforma dei Trattati dovrebbe essere quello di definire i compiti del17unione, tenendo conto dei problemi che gli Stati europei debbono affrontare oggi: problemi l SOMMARIO' l I1 documento del CCE a favore dell'iniziativa costituente del Parlamento Europeo, pag. 1; Indebitamento estero e sviluppo economico, di Gianni Ruta, pag. 4; Rivoluzione telematica e occupazione, di Beatrice Rangoni Machiavelli, pag. 5; L'impegno federalista deila Regione Lombardia, pag. 7; Cronaca deile Istituzioni europee, di Pier Virgilio Dastoli, pag. 8; La costruzione dell'europa passa per i problemi del bilancio, di Pietro Adonnino, pag. 9; Ancora sulla XVII CPLRE, pag. 10; Quale lingua per il popolo europeo, di Giorgio Pagano, pag. 12; Autonomie locali e Regioni in Europa, pag. 14; I libri, pag. 15.

2 ~ ~~ ~-~ -, 2 COMUNI D'EUROPA febbraio l983 che riguardano lo sviluppo economico e sociale, i rapporti internaziona- 11. LA COLLOCAZIONE DEGLI ENTI LOCALI E REGIONALI NELLO STATUTO li, la pace e la sicurezza. Poiché si tratta di problemi la cui soluzione im- DELL'UNIONE EUROPEA pegna ogni Stato dell'unione, e che dipende anche dall'esistenza dell'unione stessa, sarebbe necessario definire: 1. Quando - il Trattato fu elaborato, i Governi che lo ratificarono avea. il criterio sulla cui base saranno ripartiti i compiti tra gli Stati membri Vano l'intenzione di Creare Una istituzione la cui ev0luzi0ne però 6 Stata e l'unione, diversa dalle aspettative e che si è realizzata in un contesto economico b. le procedure secondo le quali - tenuto conto dell'evoluzione dei fat- totalmente differente. ti - le competenze saranno trasferite dagli Stati membri all'unione (e, Gli amministratori locali e regionali (oltre unità in tutta la se sarà necessario. dall'unione agli Stati membri). Comunità) ricordano che se l'avvenire e la prosperità degli enti locali e ~ a La Risoluzione del Parlamento Europeo traccia un quadro regionali sono strettamente legati al progresso della costruzione euroche sembra corrispondere alle esigenze. Ma questa non sembra altrettanpea, la riuscita dell'unione Europea dipenderà sopratutto dall'impegno to esplicita in merito alle procedure che debbono garantire lo sviluppo dei poteri locali e regionali, che sono le cellule di base della democrazia dell'unione dall'interno. In tal caso, sarebbe necessario: in Europa. - affermare chiaramente che l'attribuzione di nuove competenze all'unione deve essere accompagnata da nuovi poteri per l'unione stessa e le sue istituzioni (Parlamento), - prevedere procedure adeguate che conciliino la doppia esigenza di garantire sufficientemente gli Stati membri e di non permettere di bloccare lo sviluppo dell'unione con un diritto di veto. 3. Una riforma dei Trattati tendente a realizzare una autentica Unione Europea dovrebbe poggiare su alcuni elementi fondamentali, irrinunciabili da un punto di vista istituzionale e dei valori democratici e umani che li ispirano. Secondo il CCE, questi elementi sono: a. La definizione del ruolo preciso della Commissione e del Parlamento. La Commissione deve poter sviluppare appieno i suoi compiti esecutivi e di iniziativa politica. Deve sempre più proporre, con i suoi «progetti di legge, orientamento e applicazione» la politica da realizzare. Esegue le decisioni, e prefigura così l'esecutivo. b. I1 Parlamento deve avere una doppia articolazione: una in rappresentanza dei popoli, l'altra in rappresentanza degli Stati, e deve poter disporre di poteri legislativi e di bilancio, nel rispetto dei limiti delle competenze dell'unione. C. L'attribuzione alle Istituzioni della Comunità - nel quadro delle proprie competenze - di poteri decisionali adeguati: in caso contrario l'unione non potrebbe assicurare né la compatibilità e la convergenza delle politiche degli Stati membri, né lo sviluppo delle politiche comuni. d. L'allargamento delle competenze dell'unione, che vadano ad aggiungersi alle competenze economiche e monetarie, e quelle relative ai rapporti internazionali e di sicurezza. Tutte queste competenze dovranno essere assunte dalle istituzioni stesse, anche nel corso del periodo di. transizione durante il quale saranno utilizzati metodi decisionali - intergovernativi o comunitari - diversi. Una revisione dei Trattati che non comportasse questi tre obiettivi fondamentali sarebbe insufficiente per promuovere una reale Unione Europea. 4. Per quanto riguarda l'articolazione istituzionale, sembra necessario definire alcuni punti. Una volta acquisito il ruolo centrale del Parlamento dell'unione e della Commissione-Governo, bisognerebbe stabilire: a. i rapporti tra i due rami del Parlamento e la procedura di conciliazione; b. i rapporti politico-istituzionali tra il Parlamento e la Commissione-Governo. Per quanto riguarda il punto a., tenuto conto del fatto che una Camera sarà espressione del popolo europeo e l'altra degli Stati (evoluzione possibile dell'attuale Consiglio dei Ministri), bisognerà fare attenzione affinché una delle due non prevalga sull'altra in ogni circostanza. Bisognerebbe ricorrere a procedure più articolate: per esempio, stabilire la preminenza della Camera dei popoli nel settore economico e sociale, e della Camera degli Stati nei settori dei rapporti internazionali e della sicurezza: ricorrere a decisioni prese dalle due Camere nei settoti finanziari e di bilancio, quando le suddette decisioni abbiano incidenze sulle risorse proprie degli Stati membti. Quanto al punto b., l'obiettivo dovrebbe essere quello di garantire il controllo politico del Parlamento sull'esecutivo, senza compromettere la stabilità di quest'ultimo. 2. Nel Trattato di Roma figurano solo gli Stati membri, ed è bene sottolineare che vi sono solo due riferimenti ai poteri locali e regionali: nel Preambolo del Trattato, che tratta degli squilibri fra le diverse regioni della Comunità, e nel paragrafo 3 dell'art. 68 che limita le possibilità degli enti pubblici territoriali di accesso ai prestiti. Si constata invece che la politica sociale europea e il suo strumento, il Fondo sociale europeo (art. 123) e la politica regionale comunitaria con il suo strumento, il FEDER, hanno una incidenza rilevante sugli enti locali e regionali. Parallelamente molti settori citati nel Trattato, i trasporti (art. 61), le attività delle imprese pubbliche (art. 90), la formazione, il perfezionamento professionale (art. 118), la rieducazione professionale (art. 125) sono problemi che interessano moltissimo gli enti locali e regionali. Inoltre, il Trattato fa riferimento all'occupazione e alle condizioni di lavoro e non riconosce la particolare funzione degli enti locali e regionali come datori di opera e investitori negli Stati membri. Inoltre, la Commissione, in questi ultimi anni, ha preso nuove iniziative, ad esempio il programma d'azione per l'ambiente, che hanno conseguenze importanti per gli enti locali e regionali. I1 Trattato ha il grave difetto di non riconoscere la necessità di chiedere il parere degli enti locali e regionali su iniziative che la Comunità assume e che hanno riflessi sulla gestione degli enti. Nonostante la volontà dichiarata nel preambolo del Trattato «a porre le fondamenta di una Unione sempre più stretta tra i popoli europei» e la preoccupazione di «rafforzare l'unità delle loro economie e di assicurarne lo sviluppo armonioso riducendo le disparità fra le differenti regioni e il ritardo di quelle meno favorite», questi obiettivi non si potranno conseguire senza un dialogo tra la Comunità e le grandi Organizzazioni rappresentative degli enti locali e regionali europei e senza una rappresentanza degli interessi dei poteri locali e regionali nelle Istituzioni della Comunità. 3. I1 Consiglio dei Comuni d'europa ha creato, in collaborazione con l'unione delle Città e dei Poteri locali d'europa il «Comitato Consultivo delle Istituzioni locali e regionali degli Stati membri della Comunità». Tuttavia la Commissione si serve solo raramente del forum che le viene offerto. I1 Comitato Consultivo deve sempre assumere direttamente tutte le iniziative, ma è frenato nella sua azione dal carattere ufficioso del suo Statuto. I1 solo Comitato Consultivo ufficialmente riconosciuto dal Trattato è il Comitato economico e sociale. Le categorie che vi sono rappresentate sono ampiamente specificate e non è prevista la presenza di rappresentanti degli interessi degli enti locali e regionali in seno alle delegazioni nazionali designate dagli Stati membri. In ogni caso, ai poteri locali e regionali che rappresentano gli interessi generali dei loro amministrati, non viene riconosciuta la stessa importanza che viene data agli interessi di categoria rappresentati in seno al Comitato economico e sociale. 4. Per tutte queste ragioni sarebbe bene che il progetto di Unione riconoscesse con disposizioni precise la giusta collocazione degli enti locali e regionali in una Europa democratica e il contributo che essi possono dare alla realizzazione degli scopi della Comunità. In proposito, il paragrafo 4 capoverso a. della Risoluzione del 6 luglio 1982 ricorda che i diritti individuali - e quelli collettivi dell'uomo - debbono essere salvaguardati dall'unione. Sembra utile ed auspicabile ricordare che le libertà locali sono una espressione di questi diritti. Quando, sempre nella stessa Risoluzione, si legge fra i molti compiti dell'unione Europea quello di superare gli squilibri regionali, ci sembra

3 febbraio l983 COMUNI D'EUROPA 3 anche opportuno ed auspicabile precisare che alla realizzazione di questa politica debbono contribuire gli enti locali e regionali direttamente interessati. Infine, quando al paragrafo 9 della Risoluzione si propone di fissare le procedure per la ripartizione delle risorse tra l'unione e gli Stati membri, sarebbe necessario precisare che questa ripartizione deve tener conto delle collettività territoriali di questi Stati, in conformità con il principio di sussidiarietà affermato nella Risoluzione. 5. Di conseguenza il Trattato potrebbe essere emendato nel modo seguente: a. converrebbe includere nel preambolo dello Statuto dell'unione Europea l'affermazione che «gli Enti locali e regionali costituiscono uno dei principali fondamenti democratici della costruzione europea, alla quale partecipano a loro livello di competenza»; b. bisognerebbe inserire un nuovo articolo nel Trattato, che istituzionalizzi un organo consultivo degli enti locali e regionali e lo collochi nell'ambito delle istituzioni comunitarie. 6. La realizzazione dell'unione Europea comporterà il trasferimento di un certo numero di competenze all'unione. Bisogna rilevare tuttavia che il principio fondamentale delle libertà locali e regionali non è inserito in tutte le costituzioni degli Stati membri, anche se è acquisito dalla storia di questi paesi. Il Consiglio dei Comuni d'europa ritiene che il Parlamento Europeo dovrebbe, nell'elaborazione dello Statuto dell'unione, prevedere I'elencazione dei diritti fondamentali individuali e collettivi dei cittadini, che dovrebbero far parte integrante del suddetto Statuto RIFLESSIONI SULLA NECESSITÀ DI INSERIRE UNA LISTA DI DIRInI FON- DAMENTALI DEI CInADINI NEL FUTURO STATUTO DELL'UNIONE EUROPEA 11 parere del CCE è basato sulle seguenti riflessioni: 1. La Comunità europea esercita un potere statale che le è conferito dagli Stati membri. È necessario perciò che i diritti inalienabili individuali e collettivi dei cittadini di fronte a questo potere comunitario siano garantiti ed elencatì nel futuro Statuto dell'unione europea. Queste disposizioni, ovviamente, prevarrebbero su quelle di diritto nazionale. 2. Poiché i diritti fondamentali, come ogni elemento di diritto, sono espressione della tradizione democratica di un paese, questa elencazione dei diritti fondamentali nel prossimo Statuto dell'unione europea sarebbe l'espressione della coscienza democratica dell'europa. 3. Oltre a ciò, una lista scritta dei diritti fondamentali degli europei costituirebbe un elemento decisivo per la giustificazione e lo sviluppo di una Costituzione europea. 4. I1 preambolo deila Costituzione di una Unione Europea, che citi l'unione economica, sociale, politica, e forse anche i problemi della sicurezza degli europei, non basterebbe a garantire i Diritti dell'uomo e del Cittadino. Di tutto questo si avverte l'esigenza in quanto non basta aderire alla Convenzione dei Diritti dell'uomo per garantire i diritti economici fondamentali, i diritti dei partners sociali, la partecipazione politica e la garanzia delle libertà locali. Parigi, 10 dicembre 1982 (approvato all'unanimità dal Comitato direttivo del CCE) Il Comitato direttivo del Consiglio dei Comuni d'europa tuzionale del c c ~ presieduto, da Hofmann, Il Comitato direttivo del Consiglio dei Comuni d'europa ri è riunito a Parigi il 10 dicembre, avendo aii'o. d.~., tra l'altro, la preprazione delljassemblea dei delegati, fisaja per il 18 e 19 marzo 1983 a Magonza, il resoconto della nhnione dei segretari generali, tenuta ilgiorno precedente (in particolare per quel che si $eri va al congresso delle città gemellate di Bnghton e alle prime considerazioni sugli Stati generali di Torino), ilconvegno europeo sulla disoccupazione, l'esame dei risultati del gruppo di lavoro del CCE sui problemi istituzionali e, injine, l'(tappello» ai comuni per la pace, lanciatc dalla Sezione italiana. Per quel che rrguarda l'assemblea dei delegati di Magonza, il Comitato direttivo ha stabilito che Ho fmann presenterà il rapporto sulla situazione politica europea in generale, mentre Martini terrà il rapporto su KL 'esame del ruolo e dell'importanza della Conferenza dei poteri locali e regionali d'europa per linzficazione europea). Per quel che nguarda gli Stati generali di Torino, stabilita la data per la prima metà di aprile, sono stati formulati i tre temi che riguardano: 1. Il ruolo delle collettività regionali e locali europee nella trasformazione economica che corcerne l'europa: loro mezzi finanziari e loro possibilità d'azione. 2. L'Europa, per che fare? Le ragioni politiche, economiche, sociali e di sicurezza che spingono le collettività locali e regionali a chiedere uno statuto per L'Unione europea. 3. Le collettività locali e regionali, l'opinione pubblica e i problemi europei: attraverso quali mezzi lottare contro la disin formazione politica e sviluppare in particolare la presa di coscienza delle realtà europee. Circa le prossime attività. Serafini ha confermato che continua il suo sforzo per associare la Confederazione europea dei sindacati, il CCE e il Movimento Europeo intorno al progetto di una Conferenza sulla disoccupazione in Europa. Il Comitato direttivo ha approvato, poi, il documento elaborato dalgruppo di lavoro isti- ii CCE incontra il Parlamento europeo In occasione dei XIV Stati generali di Madrid (23-26 settembre 1981), i rappresentanti delle collettività locali riunite nell'ambito del Consiglio dei Comuni d'europa rivolsero un messaggio di sostegno aii'iniziativa costituente intrapresa dal Parlamento europeo, invitandolo a uproporre ai Parlamenti nazionali e ai cittadini europei un progetto per L'Europa che risponda alle necessità economiche e politiche attuali e permetta all'europa di svolgere pienamente il suo ruolo per il rispetto dell'autodeterminazione dei popoli e la salvaguardia della pace mondialex. Il 6 luglio 1982 il Parlamento europeo ha adottato - come è noto - i propri orientamenti politici per la realizzaziotre delllunione europea. Erro si dichiara (i convinto della necessità che l'europa, di fronte all'aggravamento dei conflitti internazionali, possa svolgere pienamente il ruolo che le compete nel mondo, cioè quello di catalizzatore della pace e dello svihpppo;...che la riforma delle istituzioni deve rispondere ai nuovi obiettivi che derivano dal rallentamento della crescita quantitativa, che sarà consegnato uficialmente alpresidente e al relatore-coordinatore della ~ohmiisione istituzionale del Parlamento Europeo (incontro di cui diamo notizia qui di seguito). Infine, dopo un ampio dibattito aperto da Serafini sull'tappello» ai Comuni gemellati per la pace (v. il testo nel n. 7-8 del 1982 di Comuni d'europa), il Comitato direttivo ha preso atto con soddisfazione del documento che potrà circolare nel CCE e arricchirsi successivamente di numerose adesioni. dalla crescita della &occupazione, dalla rarefazione delle energie e delle materie prime, daìì'introduzione di tecniche nuove, ecc. n. Vi era dunque una piena convergenza tra le aspirazioni dell'organizzazione che rappresenta, a livello europeo, le collettività locali e regionali e l'istituzione dotata, essa sola nella Comunità, della legittimità democratica e del potere diparlare aa nome deipopoli dell'europau. Lo stesso Parlamento, del resto, negli onentamenti del 6 luglio 1982 aveva affermato che, fra i compiti piiì importanti delllunione, il nuovo trattato avrebbe dovuto comprendere una solidarietà economica e sociale crescente, nel rispetto delle diversità etniche e culturali, nel progresso della giustizia sociale e - fra l'altro - nell'eliminazlone degli squilibri regionali. La commissione istituzionale del P. E. sta ora mettendo a punto tuttigli elementipolitici pii importanti del nuovo trattato, che dovrà consentire la realizzazione delllunione europea: un progetto di risoluzione globale sarà (Connnuaapa~. 9)

4 4 COMUNI D'EUROPA febbraio l983 esigenze e ruolo della CEE Indebitamento estero e sviluppo economico Il Terzo e Quarto mondo attendono dalljeuropa una condotta piiì se+ e costruttiva di quella del Consiglio dei Ministri della Comunità e del nullismo dei Vertici (Consigli) europei, che ormai rappresentano una autentica vergogna. * * I1 problema dell'indebitamento estero di numerosi paesi appartenenti a vaste aree geografiche (Europa Orientale, Terzo Mondo, America Latina) è andato assumendo un peso crescente in questi ultimi anni, tanto da far temere che esso possa degenerare in una gravissima crisi finanziaria che sconvolgerebbe I'economia internazionale già colpita dalla più grave e lunga recessione succeduta alla grande depressione dell'inizio degli anni '30. Se è vero che l'impatto dell'esplosione del prezzo del petrolio sull'economia internazionale è stato attenuato grazie alla capacità del sistema bancario privato di riciclare i petrodollari, è anche vero che questo ha portato all'attuale estrema vulnerabilità di tale sistema che è riconducibile a: - la dimensione dei crediti delle banche verso paesi che non sono in grado di effettuare i rimborsi nei termini contrattualmente previsti, con riflessi potenzialmente sconvolgenti sui conti economico-patrimoniali degli Istituti; - l'utilizzo di depositi a breve (in primo luogo gli stessi petrodollari) da parte delle banche per concedere i predetti finanziamenti divenuti in pratica irredimibili. Il dibattito svoltosi in varie sedi, a partire dall'ultima Assemblea del FMI a Toronto, ha messo in evidenza che la soluzione di questo problema non può essere ricerca in una semplice chiusura del credito ai paesi più indebitati. Sotto un profilo economico ciò aggraverebbe l'attuale recessione e sotto quello finanziario farebbe precipitare la crisi, perché l'inevitabile sospensione del pagamento degli interessi da parte dei paesi debitori, rendendo impossibile la riscadenzazione delle rate capitale, che ha consentito fino ad ora di far passare per buoni crediti di dubbia esigibilità, imporrebbe I'accantonamento nei fondi rischi delle banche di importi tali da pregiudicare il loro equilibrio patrimoniale, così da rendere impossibile la prosecuzione dell'attività di molti istituti ed il regolare funzionamento dello stesso mercato interbancario delle xenodivise su cui poggia il sistema dei crediti internazionali. Si verificherebbe in tal modo uno di quegli aextraordinary eventsu previsti nei contratti di credito internazionali, che consentono alle banche di dichiarare il finanziamento terminato ed immediatamente rimborsabile, con la conseguenza pratica che i debitori, siano enti pubblici o società, per quanto patrimonialmente solidi, si troverebbero in uno stato di insolvenza. La necessità di non arrestare il flusso dei finanziamenti internazionali anche ai paesi me- di Gianni Ruta no sviluppati (PMS), con una posizione debitoria assai pesante, risponde ad una duplice serie di motivi: a) evitare che la sospensione dei pagamenti relativi al servizio del debito pregresso faccia precipitare la crisi finanziaria con conseguenze difficilmente immaginabili sull'economia ed il commercio internazionale (al fine cioè di evitare un danno assai maggiore); b) consentire che la domanda repressa dei PMS possa manifestarsi così da favorire la ripresa dell'economia mondiale. Si può constatare che i crediti internazionali svolgono una duplice funzione: - finanziare lo sviluppo, specialmente di quei paesi (quali i PMS) la cui capacità interna di risparmio è inadeguata alle necessità di capitali richiesti per assicurare un sia pur modesto sviluppo ; - sopperire alle deficienze di quei paesi il cui mercato finanziario non consente di indirizzare il risparmio verso il finanziamento di investimenti produttivi in misura soddisfacente. È evidente che questa seconda funzione, che assume particolare rilievo per paesi come I'Italia, potrebbe e dovrebbe essere ridimensionata con opportune modifiche strutturali, atte ad incentivare il risparmio e ad indirizzarlo verso investimenti produttivi. La prima invece è una funzione <storica» che il credito internazionale dovrà assumersi per un lungo periodo, quale è quello necessario perché possa emergere - un nuovo ordine internazionale. Questo problema coinvolge in maniera rilevante la Comunità Europea per i seguenti motivi: - partecipando la CEE con la quota più rilevante al commercio internazionale (il 36% CEE si confronta con il 12 Oh degli USA, il 7 Oh del Giappone ed il 4% delllurss), essa più di qualsiasi altro paese, beneficia della sua crescita e risente negativamente i riflessi di una sua contrazione; - presentando l'economia dei paesi CEE un grado di apertura (commercio internazionale ragguagliato al P.I.L.) superiore a quello degli altri paesi industrializzati (il 48% CEE si confronta con il 16 % USA ed il 2 1 Oh del Giappone), i riflessi di una crisi finanziaria internazionale che coinvolgesse anche le transazioni commerciali arrecherebbe i danni maggiori, in termini relativi oltre che assoluti, proprio nei paesi CEE; - non essendo stata ancora realizzata l'unione monetaria, una crisi finanziario-com: merciale di ampie proporzioni, oltre che ripercuotersi sulle relazioni CEE con i paesi terzi, sconvolgerebbe anche le transazioni intracomunitarie, pregiudicando l'esistenza stessa della Comunità. Queste considerazioni fanno ritenere che la Comunità debba farsi promotrice di iniziative, alle quali opportunamente dovranno essere associati altri paesi, atte a favorire sia un costante flusso di crediti verso i PMS, che la loro migliore utilizzazione per il finanziamento di progetti di sviluppo, in un quadro che assicuri le necessarie garanzie ai finanziatori sia privati che pubblici. Premessa perché la Comunità possa assumere le iniziative di grande respiro che impone il problema in esame, è la realizzazione di quell'unione monetaria, avviata con il Sistema Monetario Europeo (SME) nel marzo 1979, ma ancora ferma alla prima tappa. Infatti il passaggio alla seconda tappa dello SME, con la creazione del previsto Fondo Monetario Europeo (FME), favorirebbe l'assunzione di quel molo monetario dell'ecu, che il mercato privato ha cominciato a costruire, permettendo l'affermazione dell'ecu come strumento di riserva ed il suo più ampio utilizzo nelle transazioni commerciali, in particolare in quelle che trovano nella Comunità almeno uno dei partners. Ciò accrescerebbe enormemente la capacità della Comunità di concedere credito ai paesi terzi, non solo perché questo verrebbe accordato in ECU, per cui il FME sarebbe il lender of last resort, ma ancor più per una diversa funzione che potrebbe essere destinata alle attuali rilevanti riserve in dollari dei paesi CEE, che altro non sono se non un finanziamento accordato tacitamente agli USA, la cui utilità sarebbe drasticamente ridimensionata una volta che l'ecu assumesse detto ruolo di moneta di riserva e di scambio nel commercio internazionale. L'associazione di paesi aderenti alla Convenzione di Lomè all'unione monetaria europea, che dovrebbe interessare innanzitutto quelli che fanno attualmente parte dell'area del franco francese, fornirebbe un elemento importante di garanzia per i creditori internazionali di detti paesi garantendoli contro il rischio di manomissioni nella gestione monetaria. Essa potrebbe essere istituzionalizzata in forme che risulterebbero in un ampliamento della cooperazione in atto con i paesi dell'dfrica, Caraibi e Pacifico (ACP). In questo quadro, particolare rilievo potrebbe assumere la costituzione di un ente di gestione, congiuntamente da parte della CEE e dei paesi associati (un IRI costituito da CEE- ACP), che sopperendo alle carenze imprenditoriali di molti PMS si facesse promotore della realizzazione di programmi di sviluppo finanziati con risorse dirette della Comunità o reperite sul mercato internazionale con la garanzia fidejussoria della CEE. Si potrebbe perseguire un disegno di promozione dello sviluppo dei PMS coordinato a livello mondiale dal FMI, nel cui ambito particolari responsabilità verrebbero assunte dai paesi industrializzati in relazione a determinate regioni con le quali, per motivi storici o geografici, essi mantengono più stretti legami. Da quanto esposto emerge la necessità di uno sviluppo dei rapporti della Comunità nei confronti dei paesi associati secondo formule nuove che tengano conto del comune interesse dei paesi industrializzati e di quelli meno sviluppati, di evitare il precipitare di una crisi finanziaria internazionale e di rilanciare I'economia mondiale.

5 febbraio l983 COMUNI D'EUROPA 5 Rivoluzione telematica e occupazione Le valvole elettriche resero possibili i primi calcoli matematici a gran velocità, mentre i programmi memorizzati aprirono la porta alla nozione di «intelligenza» negli ordinatori. Ma l'invenzione più importante è stata indubbiamente quella dei transistors che, usando cristalli di silicio, possono agire come un amplificatore molto potente, con dimensioni minime e consumi di energia quasi inesistenti. I1 loro arrivo non avrebbe potuto essere previsto da nessun pioniere del computer, così come le sconvolgenti conseguenze che ciò avrebbe provocato a tutti i livelli della società. La velocità con cui stiamo entrando nell'area telematica si deve proprio alle dimensioni sempre più piccole e ai costi sempre più ridotti dei calcolatori elettronici, anche se la tecnologia degli ordinatori non ha ancora raggiunto il suo culmine, mentre la crescita della telematica e dell'informatica e della loro influenza sulla nostra vita non farà che aumentare nei prossimi anni. Nel 1970 un gruppo di studiosi, economisti e geopolitici, spaventava l'occidente pubblicando un documento destinato a divenire famoso «I limiti dello sviluppo». Questi uomini avevano fondato il «Club di Roma» e si erano valsi di un computer per l'elaborazione di prospettive su larga scala. I1 loro messaggio, conosciuto come «crescita zero,, era molto semplice. Lo sviluppo così come veniva inteso nell'occidente industrializzato non avrebbe potuto continuare indefinitamente senza l'esaurimento delle materie prime e dei viveri e I'awelenamento della biosfera a causa della polluzione. L'eccezionalità di questo messaggio consisteva nel fatto che era stato lanciato da un cervello elettronico. Naturalmente queste affermazioni allarmanti furono contestate da altri scienziati che a loro volta elaborarono dati diversi con lo stesso metodo, ma nessuno negò, nell'uno e nell'altro caso, I'attendibilità dei risultati e per la prima volta nel mondo si discusse e si reagì al giudizio e- messo da un calcolatore. Sono passati alcuni anni da allora e i rapporti del «Club di Roma, sono stati pubblicati con cadenza regolare. Nel VII, intitolato «Imparare il futuro», vengono presi in esame i limiti interni della condizione umana, cioè i vincoli che gli esseri umani impongono a se stessi fondamentalmente per ignoranza, e si afferma che nel I documento ci si era preoccupati dell'arresto dello sviluppo materiale senza prendere in considerazione che il problema più grave era proprio il divario fra uno sviluppo scientifico e tecnologico da fantascienza e una condizione di sottosviluppo culturale dell'umanità, il che, oltretutto, costituisce la forma più impressionante di spreco in quanto disperde la risorsa più ricca ed indispensabile: quella delle facoltà intellettive umane. Si può approssimativamente situare nell'anno 1975 l'inizio della rivoluzione telematica perché pressappoco in quel periodo fecero la loro comparsa sul mercato i primi microprocessori. La seconda fase dovrebbe, secondo le pre- visioni, estendersi dalla fine degli anni '80 a I di Beatrice Rangoni Machiavelli quella degli anni '90. Dopo di allora usciremo progressivamente dalla civiltà industriale, nata agli inizi de11'800, per entrare in un mondo radicalmente nuovo. La nostra società industriale non può già fare a meno dei calcolatori. Sembra incredibile se si pensa che esistono solo da poco più di venti anni e viene spontaneo domandarsi come abbiamo potuto farne a meno fino ad ora. 11 mondo oggi è estremamente complicato. I calcolatori riescono in parte a mascherarne la complessità. Essi non sono entrati in scena per motivi casuali, ma perché sono essenziali alla società sempre più complessa in cui viviamo come le case, i vestiti o il riscaldamento potevano esserlo ad una società più semplice. Si accusa la rivoluzione telematica di essere la causa prima della massiccia disoccupazione che affligge l'occidente industrializzato. Non vi è dubbio che l'informatica applicata su larga scala avrà effetti considerevoli sulla struttura del lavoro. Ma siamo lontani dal quadro sinistro della crisi americana degli anni '20 o di quella tedesca degli anni '30 dopo il crollo del marco. In questo senso la parola «disoccupati» è anacronistica. In un prossimo futuro la settimana lavorativa sarà di 30 ore e le vacanze si allungheranno di molto. Dovrà cambiare l'idea che è necessario, anzi doveroso, lavorare tutti i giorni a tempo pieno. È una di quelle convinzioni difficili da sradicare, eppure sarà necessario accettare una nuova etica del lavoro. Nelle società primitive, la povertà era tale che tutti, uomini e donne, vecchi e bambini, dovevano lavorare dalla mattina alla sera per procurarsi di che soprawivere. I1 progresso tecnico e scientifico ha permesso all'uomo di gestire meglio l'ambiente in cui vive e di rendere il più efficace il più tempestivo più ricca la società. Ciò è andato avanti molto lentamente attraverso i secoli finché non è giunta la formidabile accelerazione della rivoluzione industriale che, in poco più di un sccolo, ha prodotto cambiamenti straordinari. Prendiamo il caso di un minatore di carbone nella seconda metà de11'800, che lavorava dalle 12 alle 14 ore al giorno e guadagnava appena di che sfamare se stesso e la propria famiglia: confrontiamolo con un minatore dei nostri giorni. Continua a fare un duro lavoro, ma il tenore di vita di cui gode non l'avrebbero potuto immaginare nemmeno i benestanti dell'era vittoriana: una casa comoda, riscaldata, corredata di tutti gli elettrodomestici, di che nutrirsi e vestirsi dignitosamente, la possibilità di far studiare i propri figli, di viaggiare, etc. Si potrebbe semplificare la storia dell'economia affermando che l'aumento della produzione ha permesso all'uomo di guadagnare di più lavorando di meno. La rivoluzione telematica produrrà in tutti i paesi dotati di tecnologia avanzata un aumento della ricchezza comparabile a quello conosciuto dall'europa occidentale all'epoca della rivoluzione industriale. L'utilizzazione crescente delle nuove tecnologie nell'industria, anche per ragioni di competitività, porterà con sé I'automatizzazione di molti posti di lavoro. In realtà si tratta di una corsa di velocità fra la riduzione di manodopera collegata ai benefici di produttività e l'accrescimento delle possibilità di collocamento derivanti da una competitività migliorata. La crisi occupazionale che stiamo attraversando è anche dovuta al fatto che se il primo effetto è certo e si sta realizzando, il secondo è più lento e condizionato da molteplici fattori nella sua attuazione. Non dobbiamo però tradurre solo in termini quantitativi l'impatto delle nuove tecnologie sull'occupazione, ma in termini qualitativi sulla natura e le condizioni future del lavoro. La ricerca spaziale, con l'esigenza di minia- collegamento del Parlamento europeo con le Regioni, le Città e il territorio italiano agenzia settimanale pr gli enti regionali e locali esce tutti i venerdì a cura dell'aicce ci si abbona con sole lire sul c/c postale n intestato a Istituto Bancario San Paolo di Torino (sede di Roma, Via della Stamperia Roma) specificando la causale del versamento e si è veramente in condizione di analizzare rapidamente tutto il tessuto comunitario che il movimento delle autonomie sta ordendo, e l'azione del Parlamento, eletto da 180 milioni di europei, nei suoi vari aspetti I

6 COMUNI D'EUROPA febbraio 1983 turizzare le apparecchiature, il bisogno crescente di macchine calcolatrici e di computer, hanno reso quello delle nuove tecnologie il settore trainante dello sviluppo industriale. In Europa, come negli Stati Uniti, le industrie ad alto livello tecnologico hanno creato più posti di lavoro che le industrie a bassa tecnologia. Inoltre, così come I'industria automobilistica ha generato una quantità di industrie collaterali (autoradio, accessori, etc.) I'industria degli ordinatori seguirà la stessa strada, ma con maggior espansione e velocità, proprio per la capacità di creare nuovi prodotti e quindi nuovi bisogni. I giapponesi sono molto più avanti degli europei nella fabbricazione degli orologi a quarzo o digitali, e così sono riusciti a conquistare un mercato molto importante a danno delle imprese tradizionali europee. All'inizio del decennio '80, tutti i paesi industrializzati e, quindi, a diversi livelli di intensità, tutti gli Stati membri della Comunità, si trovano a dover affrontare una serie di problemi di fondo. Innazitutto, la crisi economica e il numero dei disoccupati che nella CEE raggiunge attualmente i 10,7 milioni di unità ed è suscettibile di salire a 15 milioni entro il Per avere nel 1995 un tasso di disoccupazione del 2 %, si dovrebbero creare circa un milione di nuovi posti di lavoro all'anno. Negli ultimi dieci anni sono stati infatti creati 5 milioni di nuovi posti di lavoro in Giappone, 19 milioni negli Stati Uniti e solo 2 milioni nella Comunità Europea. La bilancia degli scambi agricoli della CEE con il resto del mondo è deficitaria. La competitività industriale, già carente nelle tecnologie avanzate, tende a peggiorare in altri settori produttivi più tradizionali, ad esempio in quello automobilistico o chimico. Tutti gli studi nazionali e comunitari concordano nelle loro conclusioni e evidenziano la necessità di rilanciare la «creatività» scientifica e tecnica della Comunità, dell'introduzione di nuove tecnologie e dell'aumento di investimenti produttivi soprattutto nel settore delle piccole e medie imprese. Si deve inoltre migliorare la gestione delle fonti energetiche e delle materie prime; l'intensificazione delle relazioni e della cooperazione con i paesi in via di sviluppo, nonché la preparazione della società ai cambiamenti già in corso derivanti dallo sviluppo telematico. Dati recenti fanno rilevare che in Europa un terzo degli attuali posti di lavoro risentiranno direttamente nella loro natura o nella loro funzione dell'espansione delle nuove tecnologie. La formazione, l'educazione e la suddivisione dei compiti rappresenteranno per le società in-. dustrializzate gli argomenti principali da prendere in considerazione per mantenere e migliorare il tenore e la qualità della vita e I'equilibrio sociale. La disoccupazione nella CEE ha costituito il tema principale degli ultimi Consigli europei che giudicano questo problema centrale per la soprawivenza stessa delle libere istituzioni democratiche. La Commissione per gli Affari sociali e I'occupazione del Parlamento Europeo ha recentemente tenuto una riunione congiunta con la sezione «Affari Sociali* del Comitato Economi- co e Sociale, allo scopo di lanciare un appello pressante ai governi dei dieci Stati membri, affinché vengano adottati prowedimenti efficaci, possibili solo a livello comunitario, per affrontare insieme i problemi più gravi, vale a dire la massiccia disoccupazione, l'inflazione e la stagnazione dell'economia. Già in occasione del vertice dei Capi di Stato e di Governo, riuniti in Consiglio a Dublino (novembre 1979), la Commissione delle Comunità Europee aveva trasmesso una Comunicazione in cui si affrontava il tema delle nuove tecnologie dell'informazione con riferimento alla micro-elettronica, alle reti di comunicazione a comando numerico (terrestri e spaziali), al loro collegamento tramite la telematica e alle loro applicazioni all'informazione codificata. Questa Comunicazione, destinata a sensibilizzare l'europa in merito alla sfida che queste nuove tecnologie rappresentano e ad indicare le vie per farvi fronte, si è tradotta in una domanda da parte del Consiglio dei Ministri europei di definire in questo campo una strategia a livello comunitario, indispensabile visto che l'europa è mal preparata, con le sue strutture industriali e il ruolo che svolge nel mercato mondiale, per far fronte ad una concorrenza internazionale forte e tecnicamente all'avanguardia, come ad esempio quella americana o giapponese. Lo sforzo finanziario di ricerca nella CEE è uguale a quello del Giappone, ed è soltanto leggermente inferiore allo sforzo americano. Ma i risultati sono di molto inferiori. Nel settore dell'informatica, I'industria europea rappresenta il 10% del mercato mondiale ed appena il 40% del mercato interno europeo. Dal 1950 ad oggi, il 5 1 % dei Premi Nobel scientifici è andato a cittadini americani, il 50% della lettura scientifica mondiale è americana; 1'80% dei ricercatori che sono menzionati nella letteratura scientifica mondiale sono cittadini americani, o sono ricercatori europei in università o istituti di ricerca americani. La Comunità importa oltre il 60% dei circuiti integrati, chiave degli sviluppi futuri, per i quali gli Stati Uniti e il Giappone hanno già messo a punto piani di realizzazione dotati di bilanci considerevoli. Ora, la matrice delle nuove tecnologie passa attraverso quella della concezione e dei mezzi di fabbricazione dei circuiti micro-elettronici. In proposito, si può ritenere che un passo importante sia stato compiuto il mese scorso: su proposta della Commissione, il Consiglio dei Ministri ha approvato il testo di un regolamento destinato a prowedere I'industria della Comunità di prototipi di impianti industriali altamente specializzati - fino ad ora importati - che le consentiranno di concepire e fabbricare da sola i circuiti integrati della prossima generazione (di dimensione inferiore al micron). Per questa iniziativa è stata stanziata la cifra iniziale di 40 milioni di ECU. Se il problema della disoccupazione,' prospettata dall'introduzione delle nuove tecnologie, e, quindi, l'impatto quantitativo che esse avrebbero sul mercato del lavoro, rimane al centro delle preoccupazioni, gli aspetti qualitativi assumono peraltro un'importanza crescente. L'introduzione di beni e servizi nuovi modi- fica la natura, il contenuto e l'ambiente di lavoro; perché questi cambiamenti possano risultare positivi, bisogna accoglierli senza pregiudizi sfruttandone le possibilità con spirito di apertura e di iniziativa. Nella situazione attuale, è più dannoso per le sue conseguenze il ristagno dell'economia che non la disoccupazione. È innegabile che l'aumento della produttività consentito dall'utilizzazione dell'informatica ridurrà i posti di lavoro. D'altra parte, un'impresa che rifiutasse di modernizzarsi rischierebbe di perdere la sua competitività, e la concorrenza internazionale è già abbastanza dura da mettete in causa la sua soprawivenza e il futuro di tutti quelli che lavorano presso l'impresa stessa. Il margine di manovra è dunque estremamente limitato; si rivelano sempre più indispensabili la ricerca dell'efficacia ed una crescente facoltà di adattamento alle nuove strutture attraverso nuove qualificazioni professionali, sia a livello altamente specializzato che nei compiti richiesti a ciascun lavoratore. A breve termine, e in questa prospettiva, il Comitato consultivo CEE per la formazione professionale ha definito alcune priorità: riciclaggio dei lavoratori minacciati di licenziamento, dei giovani disoccupati e delle donne; formazione dei manovali e dei tecnici nei settori in cui sono introdotte le nuove tecnologie; corsi di awiamento ai quadri e ai sindacalisti; formazione del personale delle imprese specializzate nella messa a punto dei circuiti, apparecchiature e sistemi di telematica. A livello di insegnamento pubblico occorre accompagnare alla formazione generale I'insegnamento tecnico affinché una visione integrata consenta alle nuove generazioni di prepararsi all'uso efficace e critico delle nuove tecnologie. La Commissione europea prevede di sostenere progetti sperimentali negli Stati membri, particolarmente dedicati alla formazione degli insegnanti, alla definizione dei programmi destinati ai giovani, soprattutto ai giovani disoccupati, e al riciclaggio e alla riqualificazione dei quadri intermedi e dei lavoratori qualificati. La Comunità possiede strumenti finanziari che possono giocare un ruolo importante nell'introduzione del cambiamento tecnologico: il Fondo Sociale Europeo potrà sostenere iniziative locali di formazione e istruzione, mentre il Fondo Regionale Europeo potrà contribuire allo sviluppo degli impianti, delle conoscenze tecniche e dei servizi d'informazione. Vi sono segni incoraggianti, a livello degli imprenditori europei, di una consapevolezza crescente della necessità di una cooperazione sempre più vasta su scala comunitaria come alternativa ad una decadenza inevitabile. Nessuno dei Paesi membri della CEE può, da solo, riuscire a recuperare lo svantaggio competitivo in cui si trova. Moneta europea, impresa europea, Governo europeo, sono i pilastri essenziali per lo sviluppo della Comunità negli anni '80. Sono anche la condizione per creare uno spazio sociale europeo e rilanciare la speranza di unleuropa unita, portatrice della nuova civiltà, quella della comunicazione, del sapere, della conoscenza.

7 febbraio 1983 COMUNI D'EUROPA 7 L'impegno federalista della Regione Lombardia La Regione Lombardia e gli ah' Enti locali della Regione hanno intenszficato, in questi ultimi mesi, il loro impegno federalista, in accordo con la nostra Associazione e il Movimento federalista europeo. In questa pagina di Comuni d'europa diamo notizia, fra le altre iniziative, dell'approvazione dell'o. d.g. in favore della,nioluzione istituzionale del Parlamento Europeo; dell'adesione portata dal Presidente del Consiglio regionale, Sergio Marvelli, e del Presidente della Provincia di Milano, Antonio Taramelli, al Congresso soprannazionale dellluef, svoltosi a Milano il 3-S/XII/8Z; del convegno sulla politica agricola comunitaria, tenutosi a Cremona l'i I dicembre. Ricordiamo anche che, precedentemente, lo stesso Presidente Marvelli aveva inviato una circolare a tutti i comuni lombardt per sollecitare iniziative europee. Sergio Marvelli, presidente del Consiglio regionale della Lombardia I1 Consiglio regionale della Lombardia: - vista la risoluzione del Parlamento Europeo sugli orientamenti relativi alla riforma dei trattati e la realizzazione dell'unione Europea, adottata in data 6 luglio 1982; - ricordato che il raggiungimento degli obiettivi fissati dal trattato di Roma richiede la realizzazione di autentiche politiche comuni; - sottolineato che per ottenere ciò è indispensabile un potenziamento delle diverse istituzioni europee in relazione ai nuovi compiti che si richiedono alla Comunità a seguito della generalizzata crisi economica, della crescente disoccupazione, dell'espandersi del fabbisogno di energia e delle diff~coità per l'approwigionamento di materie prime, dell'accentuarsi degli squilibri regionali e del divario NORD- SUD, delle resistenze al dialogo EST-OVEST per la costruzione di una pace duratura, per I'awio di un disarmo equilibrato ed effettivo; - afferma la necessità di un progetto poli- tico globale fondato su politiche comuni. In particolare quanto sopra affermato comporta: - l'applicazione integrale dei trattati ed il rispetto delle loro clausole da parte di tutti i governi senza alcuna eccezione; - lo sviluppo del molo del Parlamento Europeo, che deve poter cominciare a legiferare concretamene; - la creazione di un Esecutivo comune, responsabile davanti al Parlamento Europeo; - la progressiva rinuncia alla pratica del veto ed un ritorno alla regola della maggioranza nel seno del Consiglio; - ribadisce che l'allargamento dei poteri e delle risorse comunitarie è ormai possibile, dato che si può fare sotto il controllo della volontà popolare, democraticamente tradotta dal Parlamento Europeo eletto a suffragio universale. (Milano, l " dicembre 1982) Cremona - Convegno sulla politica agricola comunitaria - ((Lapolitzia agricola comunitaria va difesa e rafforzata: tornare indietro sarebbe un dramma. In dtscussione oggi deve essere piuttosto la riforma della C. E. E., nel senso della nascita di un governo europeo in grado di di@ere l'economia~. Intorno a queste considerazioni si è sviluppata la relazione di D. Velo, membro dell'ufjio economico del M. F. E., che ha introdotto i lavori del convegno svoltosi a Cremona l'l 1 dicembre su: (La politica agricola fra le Regioni e la C. E. E. ; le prospettive di $orma dei Trattati; il ruolo della Lombardia,. Il convegno, patrocinato dalla Regione Lombardia e organizzato dal Comitato per l'europa di Cremona, in collaborazione con il M. F. E., l'a. I. C. C. E. e l'a. E. D. E. è stato aperto dagli interventi di saluto portati da A. Rizzo, Presidente del Comitato per l'europa di Cremona; da E. Peracchi, Presidente del Comitato per l'europa lombardo; da R. Rebecchi, Presidente della Provincia e del Vice-Sindaco M. Bardelli, in rappresentanza dell'amministrazione comunale. Ha quindi preso la parola D. Velo, sulla relazione del quale si è in seguito svihppato un vi- vace dibattito, cui hanno parteczpato esponenti politici ed operatori economici intervenu~i alla manifestazione. I lavori sono npresi nelpomeriggio con una tavola rotonda presieduta da E. Vercesi, Assessore regionale all'agricoltura e animata da interventi di: A. Balzaniper il P. R. I., E. De Labriottzper il P. S. I., A. Bonaccini per il P. C. I., F. Bodini, Presidente della Latteria Soresinese e L. Bisicchia per l'a. E. D.E. In chiusura di questa giornata di discussione, l'assessore Vercesi ha tratto le conclusionipresentando un quadro sintetico e chiaro della situazione lombarda e dei rapporti con la C. E. E. L'adesione della Regione e della Provincia al Congresso dell'uef Il Presidente dell'assemblea Regionale Lombarda, S. Ma~eììi, nel portare il saluto al Congresso, dopo aver ricordato quali sono oggi i problemi pizì gravi che le Regioni devono af frontare, primi fra tutti quelli derivanti dagli squilibti economici e dalla disoccupazione, ha sottolineato come fra gli organi di governo regionali si sia ormai fatta strada la consapevolezza che solo un governo democratico della Comunitàpotrà creare le condizioni per ilsuperamento della criri. Infatti essa è dovuta primipalmente al fatto che la CEE, da un lato, e lo Stato italiano, dall'altro, si sono rivelati incapaci di aiutare concretamente le Regioni nel superamento dei loro problemi. Il processo avviato con la decisione del 6 lugìio deve trovare un appoggio pizì vasto nell'opinione pubblica. Per questo, il Consiglio regionale della Lombardia ha deciso di dedicare una seduta all'esame di un progetto di delibera in appoggio aii'iniziativa costituente del Parlamento europeo. Il Consiglio ha anche cercato dt sensibilizzare i Comuni e le Province della Lombardia affinché il dibattito su querh temi sia il pizì ampio possibile. Il Presidente ha concluso af fermando che i federalisti e le Regioni sono accomunati nella battaglia contro il medesimo nemico: lo Stato centralizzato. Il Presidente dell'amministrazione provinciale di Milano, A. Taramelli, riferendosi anche alle parole degli oraton' che l'hanno preceduto, ha ribadito che la cnii oggi c'è, è grave e investe non solo l'economia, ma la società europea a tutti i livelli. Gli organi di governo locale, proprio per il fatto di avere un quotidiano e diretto contatto con La cittadinanza, sono particolarmente attenti e sensibili agli effetti disastrori che essa ha su tutte le componenti della popolazione. La consapevolezza dell'urgenza di trovare mezzi effaci per niolverla, che consentano dt operare interventi radicali alla base dei problemi, induce gli amministratori' locali al fermo convincimento che solo con un governo europeo sarà possibile superare l'attuale impasse storica. Data l'importanza dell'obiettivo, occorre però essere realistici e chiedersi se esistono e quante sono le probabilità che il governo europeo diventi una realtà. Soprattutto bisogna fare i conti con le potenzialità di mobilitazione delle forze politiche e sociali intorno a questa battaglia e vaiutare se l'impegno oggi esistente è sufficiente. Il Presidente Taramelli ha concluso invitando a intensificare gli sforzi soprattutto alfine di mobilitare tutta l'opinione pubblica intorno alla bataglia istituzionale.

8 8 COMUNI D'EUROPA febbraio l983 Cronaca delle Istituzioni europee Risorse proprie della Comunità: una Commissione - pronta per la censura Quando il Consiglio dei ministri della Comunità, sollecitato dal Parlamento Europeo che aveva rigettato il progetto di bilancio per il 1980, dette incarico alla Commissione di procedere ad un esame di tutte le politiche comunitarie e delle loro modalità di finanziamento (mandato del 30 maggio 1980), taluni irriducibili difensori dell'attuale sistema decisionale della Comunità dissero che si era così aperto un periodo fecondo di proposte e di riforme importanti per il processo di integrazione europea. La realtà che ha fatto seguito al mandato del 30 maggio ha dato ancora una volta ragione a coloro che ritengono assolutamente inadeguato l'attuale sistema decisionale e che ritengono indispensabile la riforma stessa del sistema su cui si basa la vita e lo sviluppo della Comunità. E storia di questi ultimi tre anni (e su di essa le nostre Cronache si sono più volte soffermate) e non vale la pena di dilungarsi ancora su di essa. Basti ricordare che la Commissione - giunta con la presidenza Thorn al livello più basso della sua capacità politica - improntò fin dall'inizio il suo lavoro sulla filosofia contabile che aveva spinto Italia e Gran Bretagna prima e poi (dopo la «scoperta» che I 'Italia era creditrice netta della Comunità) la sola Gran Bretagna a porre il problema degli squilibri di bilancio fra Stati membri. Le proposte che furono presentate dall'esecutivo europeo nel giugno 1981, sfrondate dalla inutile retorica della maggior parte dei memorandum della Commissione, puntavano sostanzialmente a confermare le compensazioni alla Gran Bretagna ed a rinviare a data da destinarsi le riforme per le quali la Commissione aveva avuto un mandato dal Consiglio e che erano state sollecitate a più riprese dal Parlamento Europeo. Nonostante fosse conscia della debolezza delle proprie proposte (ma di proposte vere e proprie in effetti non si trattava: esse erano documenti di lavoro destinati a restare nei cassetti del Consiglio), la Commissione ha rinviato più volte, violando impegni precisi assunti in precedenza da essa stessa e dal Consiglio, la presentazione delle proposte di riforma dei fondi comunitari - regionale e sociale - e, da ultimo, la presentazione dei programmi mediterranei. Nell'illusione che la riforma complessiva, che avrebbe dovuto derivare dal mandato del 30 maggio, fosse messa in moto dal Consiglio e che questa riforma complessiva potesse trascinare con sé e rendere possibili le modifiche al funzionamento del Fondo regionale e del Fondo sociale. Del mandato del 30 maggio e delle proposte della Commissione non è più rimasta traccia alcuna nei dossier comunitari ed il tutto è andato ora ad arricchire i voluminosi archivi della Commissione. Essa stessa se ne è dimenticata, se è vero che, per alcuni dei settori toccati dal mandato e dalle sue proposte (risorse proprie, misure di riequilibrio a favore di questo o quel paese membro, riforma della PAC), la Commissione sta ora sfornando con molta natura- di Pier Virgilio Dastoli lezza nuovi documenti di lavoro che innovano qualche volta in maniera profonda tutto quel che è stato messo negli ultimi tre anni sui tavoli del Consiglio e del Parlamento. Basterebbe il solo esempio delle risorse proprie per mostrare con quanta disinvoltura la Commissione dimentica gli impegni presi, proposte presentate e mai ritirate, richieste dal Parlamenmto Europeo e dichiarazioni solenni fatte dal suo presidente o da questo o quel commissario. Se il Parlamento non fosse impegnato in una battaglia di ben più ampio respiro come quella della riforma dei Trattati, ci sarebbe materia ricchissima per una mozione di censura! Ma non tutto è perduto e le più recenti proposte sulle risorse proprie o le minacce di «difendere i Trattati, se il Parlamento oserà Le tappe dell'azione politicodel Parlamento europeo Il Parlamento europeo ha avviato in queste settimane la penultima fase dell 'azione politico-costituzionale che lo porterà entro la fine del 1983 all'approvazione del «progetto di Trattato per l'unione europea)). E questa la fase pii? delicata del lavoro del Parlamento europeo, poiché esso dovrà uscire dalla formulazione, necessariamente generica, degli orientamenti del 6 luglio 1982 ed effettuare complesse scelte politiche, che dovranno poi essere tradotte in articoli del Trattato. La discussione sui differenti capitoli (preambolo, diritto dell'unione, istituzioni, politica econo - mica, politica della società, politica estera, finanze, misure transitorie e finali) di una (inioluzione globale), che sarà presentata in aula nelprossimo mese digiugno, è appena iniziata e le posizioni espresse in commissione dovranno essere ulteriormente precisate, per consensre di raggiungere un consenso il piiì ampio possibile. Ricordiamo che le scadenze, fisate dalla commissione istituzionale, prevedono: gennaio-marzo 1.983: dircussione in commissione del progetto di nioluzione globale; aprile 1983: voto del progetto di nioluzione, sulla base degli emendamenti presentati dai gruppi politici; maggio 1983: incontri' della commissione istituzionale con le forze politiche rap- presentate nei dieci Parlamenti nazionali (gli incontri ~romaniu sono firsatz' nella settimana fra il 9 edil 13 maggio); giugno 1983: voto in sessione plenana della risoluzione globale; luglio-ottobre 1983: redazione del progetto di trattato; novembre 1983: approvazione del progetto di trattato in commissione; dicembre 1983: adozione del progetto in sessione plenaria. A questo stadio della discussione crediamo indispensabile n'chiamare - ancora una volta! - l'attenzione delle forze politiche italiane sul ruolo determinante che esse possono giocare a sostegno dell'iniziativa del Parlamento europeo: per i legami che ciascuna di esse ha con partitz' della stessa area politica in Europa, per presentare proposte di revisione che possano toccare le prerogative della Commissione, potrebbero essere occasione per il rinvio dell'intero collegio di fronte ai governi dei paesi membri della Comunità per nominarne un altro più adeguato. Come è noto, a partire dal Trattato del 1970 il bilancio della Comunità deve essere finanziato sulla base di sole risorse proprie essendo escluso il ritorno a contributi nazionali, qualunque possa essere la chiave di ripartizione. Se pure in modo estremamente imperfetto, il bilancio della Comunità è così finanziato: a) dalle entrate che provengono di fatto dall'esistenza di una politica commerciale ed agricola comuni, cioè i dazi doganali (che vengono integralmente versati alla Comunità) e di prelievi agricoli; b) da una percentuale della base imponibile dell'iva, percepita dagli Stati membri, percentuale fissata nel 1960 ad un massimo dell' l. Questo tetto dell' l O h fissato artificialmente e con decisione scarsamente lungimirante dagli (Conhnua a pag. l l) la posizione del nostro governo nelle istituzioni comunitarie, per le responsabilità centrali che deputati italiani hanno assunto nella commissione istituzionale fra gli altri Ferri, Pannella, Spinelh e Zecchino); per tutte queste ragioni i partiti italiani non possono pii? limitarsi a sottoscrivere pigramente le mozioni volenterosamente predisposte dal Movimento europeo. Se a questo si limitasse il loro impegno, esso sarebbe pura demagogia e nessuna reale inflzlenzapotrebbe essere giocata in Europa. E invece necessario - e su questa linea sappiamo che stanno agendo Movimento europeo e Movimento federalista - che la Camera ed il Senato italiani approvino una mozione (sottoscn2ta da tutte le forze politiche democratiche, di maggioranza e di opposizione) nella quale: l) si prenda esplicita posizione sugli elementi di fondo delprogetto del Parlamento europeo (necessità di rendere efface e piiì democratica la Comunità europea, realizzazione di un diverso equilibrio istituzionale fra governo europeo e autorità legislativa, formata dal Parlamento e dal Consiglio dei Ministri; opportunamente modtficata nella sua composizione e nei suoipoten); 2) si inviti ilgoverno italiano a n'- cevere dalle mani del Presidente del Parlamento europeo ilprogetto di Trattato, senza sottoporlo ad alcun negoziato intergovernativo o diplomatico; 3) si impegni formalmente il governo italiano a chiedere al Parlamento l'autonizazione alla ratrfia del progetto; 4) si auspichi che analoghe mozioni siano adottate da altn' Parlamenti nazionali. Sappiamo per certo che, se il Parlamento italiano prenderà una posizione estremamente chiara in questo senso, altn' Parlamenh nazionali troveranno coraggio e immaginazione politica per impegnare, allo stesso modo, i nipettivi governi: l'azione politico -costituzionale del Parlamento europeo sarà ulteriormente legittimata, quel piccolo nucleo a3 deputati europei che, con maggiore determinazione, guida la strategia delllassemblea, avrà infine l'impressione di (non essere piiì assediato^.

9 febbraio l983 COMUNI D'EUROPA La costruzione dell'europa passa per i problemi del bilancio I1 Parlamento Europeo ha sempre sottolineato la valenza politica ed istituzionale del Bilancio della Comunità. Sostenendo che il Bilancio non è un atto di registrazione, in termini quantitativi, di decisioni prese in altra sede, bensì atto di decisioni politiche, aventi carattere sostanziale, con conseguente autorizzazione alla esecuzione diretta alla Commissione esecutiva ritenendo non necessaria, per l'iscrizione in Bilancio di azioni e politiche, una differente base giuridica e richiedendo che nei regolamenti non vengano fissati ammontari massimi di spesa, ed infine asserendo una corretta definizione delle spese non obbligatorie, il Parlamento Europeo ha tutelato le proprie prerogative, riconosciute dai trattati e dagli accordi, in quanto responsabili, con il Consiglio, dell'approvazione del Bilancio nell'ambito della speciale procedura. I1 Parlamento Europeo è il rappresentante diretto dei cittadini dei dieci Paesi membri della Comunità e, soprattutto da quando si è sostituito, per finanziare la Comunità, il sistema dei contributi degli Stati con il sistema delle risorse proprie, assolve, come tutti i Parlamenti, al compito principale del controllo democratico sulla spesa pubblica. Questi temi sono ancora una volta venuti all'attenzione nell'ultimo scorcio del 1982 quando si è approvato il Bilancio della Comunità per il 1983 e quando si è discusso del Bilancio suppletivo 1982 relativo ad interventi speciali nei confronti del Regno Unito e della Repubblica Federale di Germania, che, come è noto, è stato respinto dal Parlamento. Questi due Bilanci, proceduralmente autonomi, erano pur tuttavia funzionalmente legati tra loro. I1 Consiglio ha ancora una volta tentato di assumere una attitudine riduttiva dei poteri del Parlamento e dell'influenza concreta di questo nella determinazione delle azioni delle politiche europee, seguitando a rappresentare il Parlamento Europeo come elemento responsabile di moltiplicazione della spesa pubblica. Proprio le procedure di Bilancio svoltesi sulla fine del 1982 hanno invece fatto giustizia di questa errata concezione ed occorre quindi sottolinearlo e dimostrarlo. Valga il vero: per quanto riguarda il Bilancio 1983 il Parlamento Europeo, in prima lettura, unitamente ad alcune proposte di modifica delle spese obbligatorie, ha votato spese non obbligatorie - sulle quali ha maggiore influenza - in misura globale inferiore a quanto proposto nell'avan-progetto di Bilancio presentato dalla Commissione. In seconda lettura il Parlamento ha votato le spese non obligatorie rigorosamente nell'ambito del proprio margine, sia pure avendo calcolato questo in modo corretto e ciò in contrasto con il Consiglio che, alla fine, ha approvato il voto del Parlamento. Il che è significativo. Pur perseguendo l'obiettivo di un corretto contenimento della spesa pubblica il Parla- di Pietro Adonnino mento Europeo non ha rinunziato al proprio contributo nelle scelte qualitative delle azioni e politiche nel rispetto delle priorità più volte indicate. I1 Bilancio suppletivo 1982 che, ancora una volta, ha riproposto stanziamenti speciali per il Regno Unito al fine di ripianare la situazione di squilibrio finanziario creata dell'eccessivo contributo del Regno Unito alle risorse proprie comunitarie e che, per la prima volta, prevedeva analogo intervento nei confronti della Repubblica Federale di Germania onde riequilibrare parte del maggior contributo che questo secondo Paese avrebbe dovuto dare alle risorse proprie comunitarie al fine di consentire gli interventi nel Regno Unito, ha poi dato occasione al Parlamento Europeo di compiere un intervento decisivo di grossa rilevanza ai fini del corretto sviluppo della Comunità Europea. Si era sottolineato, da quando misure del genere erano state introdotte, come esse si risolvessero in interventi di natura prettamente finanziaria, peraltro in contrasto con la logica del finanziamento comunitario tramite risorse proprie. I1 Parlamento aveva sempre sostenuto che, ove squilibri inaccettabili dovessero verificarsi nei confronti di qualche Paese membro, questi avrebbero dovuto essere eliminati unicamente attraverso lo sviluppo di azioni e politiche di interesse, di logica e di finalità comunitaria che avrebbero potuto interessare particolarmente il Paese in questione. In un certo senso anche il Consiglio si era espresso in questa direzione quando conferì alla Commissione il «mandato» del 30 maggio In attesa della risposta al mandato e delle conseguenti concrete delibere, si era proposto per un periodo transitorio di due anni, eventualmente estensibile ad un terzo, di procedere ad alcuni interventi straordinari nei confronti del Regno Unito. I1 Parlamento li aveva accettati unicamente in questa ottica di temporaneità e di eccezionalità. Senonché è noto che le risposte al mandato hanno tardato e soprattutto ha tardato qualsiasi seria discussione sulle stesse ed è mancata qualsivoglia concreta deliberazione. In questo quadro il Consiglio ha deciso di continuare con gli interventi straordinari nei confronti del Regno Unito ed ha, a partire da quest'anno, aggiunto anche interventi nei confronti della Repubblica Federale di Germania. I1 Parlamento si è opposto a questa decisione ed ha presentato precisi emendamenti al progetto di Bilancio suppletivo, in prima lettura, respingendo totalmente il Bilancio in seconda lettura in quanto il Consiglio non aveva accolto gli emendamenti del Parlamento. E ciò sulla base di tre fondamentali prese di posizione: la prima che si trattasse effettivamente di un intervento straordinario deliberato per l'ultima volta e che, quindi, I'accoglimento di questo volesse significare impegno preciso e definitivo di tutte le istituzioni a dare risposta a breve termine al riequilibrio delle politiche comunitarie, all'awio di nuove poli- tiche, alla soluzione del problema delle risorse proprie. In secondo luogo che gli interventi fossero attuati tramite azioni di valore comunitario e non tramite azioni che mascherassero puramente ristorni finanziari ai Bilanci dei Paesi interessati. In terzo luogo che si riconoscesse che le misure proposte riguardavano spese non obbligatorie e che, quindi, il Parlamento ha in proposito tutto il suo potere di intervento. Non è chi non veda come il Parlamento, respingendo il Bilancio suppletivo 1982 per non essere state le proprie indicazioni accolte dal Consiglio, abbia compiuto un atto di grande valenza politica perché ha finalmente avuto modo di far comprendere al Consiglio come d'ora innanzi non tollererà più strategie di rinvii dei problemi fondamentali dell'europa e come, quindi, sarà disponibile unicamente perché il tanto spiccato rilancio diventi realtà e perché, così facendo, finalmente la Comunità possa esercitare il suo molo di istituzione che, soprattutto in campo economico, aiuti i Paesi membri a superare le consistenti difficoltà che devono affontare. I1 CCE e il Parlamento europeo (Confrnus d~pag. 3) sottomesso al voto dell'assemblea nella prossima sessione di giugno ed un nuovo mandato saràpoi affido alla commissione istituzionale per la redazione definitiva del trattato. Nella prospettiva di queste scadenze, tenuto conto delle prossime elezioni europee e dei XV Stati generali del CCE, convocati a Torino nell'apnle del 1984, il segretario generale, Philippovich e il presidente del gruppo di lavoro istituzionale del CCE, Hofmann, hanno incontrato, il 2J gennaio a Bruxelles, il presidente della commissione istituzionale del P. E., Ferri ed il relatore Spinelli. Le due delegazioni hanno convenuto dell'importanza che fra i principi fondamentali del nuovo trattato sia posto anche il riconoscimento che «le collettività locali e regionali costituiscono uno deipnhctpali fondamenti democratici della costruzione dell'europa»; e inoltre, che, nel quadro dell'unione europea, sarà indispensabile un rafforzamento dei contatti fra le Istituzioni europee e gli Enti locali, afinché questi partecipino alla definizione degli obiettivi e delle politiche comunitarie nel modo pizì appropnizto. Il P. E. - lo si è ribadito ancora recentemente a Fregene nell'ambito del Movimento europeo - potràportare a compfmento con successo la sua opera costituente solo se al di fuori di esso si formerà quel <fronte democratico europeo» del quale le collettività locali sarebbero una parte determinante. Nel corso dell'incontro tra la delegazione del CCE e la delegazione del P.E. è stata ricordata una frase del presidente Kennedy: «Non chiedete agli Stati dire d'europa) cosa essipossono fare per voi, ma chiedetevi cosa voi potete fare per essn. Il CCE può effettivamente costituire, da qui alle elezioni europee, il reale partito del Parlamento, dunque dello sviluppo e del rafforzamento democratico delljeuropa, da contrappone al partito del Consiglio, dunque della paraki intergovernativa.

10 10 COMUNI D'EUROPA febbraio l983 I1 progetto di integrazione Riflettendo sul progetto di integrazione europea, sia a livello comunitario che di Consiglio d'europa, la CPLRE ha espresso punti di vista sufficientemente chiari in merito ad una situazione che tutti riconoscono essere caratterizzata più da aspetti negativi che positivi. Soprattutto, il giudizio della Conferenza è emerso dal confronto ai tre dati di fatto: la crisi economica mondiale e le gravi minacce per la pace, da un lato; l'insufficienza della dimensione nazionale per affrontare entrambi i problemi, dall'altro; la sostanziale paralisi del processo di integrazione comunitaria, dall'altro ancora. La conclusione di un tale esame non poteva che essere la denuncia del fatto che di fronte alla gravità e all'importanza dei problemi che si pongono, non esiste ancora alcun centro istituzionale competente a prendere decisioni rapide e significative. L'obiettivo, dunque, non può non essere la creazione di un nuovo ordine istituzionale e politico dell'unione Europea, da attuarsi attraverso quattro fasi principali: riconoscimento del principio federale nel processo decisionale della Comunità, grazie al superamento della regola dell'unanimità; allargamento dei poteri del Parlamento Europeo che ha dato legittimità popolare alle decisioni comunitarie; realizzazione del principio della sussidiarietà, nel senso che l'unione deve svolgere i compiti che nell'interesse di tutti possono essere meglio realizzati a livello federale, nel rispetto delle autonomie regionali e locali, realizzando l'unità nella diversità, accettando la decentralizzazione del potere ed evitando ogni intenzione centralizzata e monolitica; sblocco, infine, della situazione finanziaria della Comunità, dotandola di mezzi propri adeguati (superamento del limite dell' l % dell' IVA). Sono questi, in sintesi, i termini più significativi della risoluzione 134 adottata dail'~ssemblea; e come è facile comprendere essi comportano una presa di posizione sufficientemente esplicita sui nodi attuali del processo di integrazione comunitaria. A tale risultato la Conferenza è giunta dopo un ampio dibattito sia in sede di Commissione che di Assemblea, segnando un netto passo avanti nella sua comprensione dei passaggi essenziali della costruzione dell'unione europea. I1 fatto è che la gravità della situazione obiettiva non lascia spazio ai rappresentanti delle autonomie locali per espressioni generiche o evasive. La crescita della disoccupazione (16,5 milioni di disoccupati nei paesi membri del Consiglio d'europa); il persistere di elevati tassi d'inflazione nei molti paesi; il rallentamento degli investimenti produttivi; i tassi di crescita negativi nell'insieme dei paesi europei; l'aggravamento degli squilibri regionali in Europa, sono indici di una situazione di per sé allarmante, che richiede interventi rapidi, adeguati ed efficaci. Quali interventi, dunque, devono essere attuati secondo la Conferenza? Lo strumento centrale è, come detto, la riforma istituzionale della Comunità; ma a breve termine sono comunque necessarie: una politica più decisa di riduzione dell'inflazione, che de- ancora sulla XVII CPLRE europea ve essere attuata con la partecipazione delle parti sociali; l'adozione, da parte degli stati membri, di posizioni più convergenti sull'evoluzione dei redditi e sulle politiche di bilancio; una politica di accrescimento (ma anche di orientamento) del volume degli investimenti, con particolare riguardo alle nuove energie, al risparmio energetico, alle nuove tecnologie, alla ristrutturazione industriale; il rafforzamento del fondo sociale, con speciale attenzione alla formazione professionale dei giovani. Una serie più articolata di interventi è poi richiesta in tema di politica regionale comunitaria, che deve sempre più tendere ad una ridistribuzione delle risorse che, per il suo volume, sia capace di ridurre le disparità retributive e occupazionali, aumentando le capacità produttive delle regioni più deboli. In concreto, la risoluzione 134 afferma che una politica regionale comunitaria deve puntare ad un <adeguato intervento in materia infrastrutturale, per spezzare I'isolamento delle regioni periferiche; ad una azione di stimolo efficace, che influisca sull'insediamento delle imprese; e alla possibilità di applicare una strategia regionale globale fondata su uno schema europeo di assetto territoriale; ad una concezione globale della politica regionale che preveda in particolare il coordinamento delle politiche e degli strumenti finanziari e comunitari, ad un aumento sostanziale dei mezzi comunitari a disposizione della politica regionale,. Anche sul versante del Consiglio d'europa, la Conferenza ha fornito alcune indicazioni. Il punto di partenza è stato la rilevazione delle tante minacce che incombono sull'europa. «L'Europa dei principi democratici, delle libertà fondamentali, dei diritti dell'uomo, delle libertà comunali e regionali - è stato detto - ha bisogno di una nuova mobilitazione del- le popolazioni europec e dei loro rappresentanti locali, regionali e nazionali,. In più precisi termini, questo rinnovato impegno deve manifestarsi in Turchia «perché cessino le numerose violazioni delle libertà democratiche*; a Cipro «dove un stato membro del Consiglio d'europa impedisce, in una porzione notevole del territorio dell'isola», la protezione dei diritti fondamentali dell'uomo; nella lotta al terrorismo. L'Europa dei diritti dell'uomo (l'europa cioè del Consiglio d'europa) deve rappresentare un punto di riferimento operativo per questi grandi temi. Operativo significa: adesione della CEE alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo; adozione rapida da parte della CEE della «Convenzione europea delle autonomie locali, conformemente al progetto illustrato dalla risoluzione 126 (1981) della CPLRE; intensificazione della politica culturale, regionale e sociale del Consiglio d'europa, con I'approvazione da parte degli stati firmatari della Convenzione quadro europea sulla cooperazione transfrontaliera. Ma il ritardo dell'integrazione europea produce i suoi riflessi negativi non solo all'interno dell'europa. La situazione di tensione politica e i gravi squilibri sociali ed economici che condizionano attualmente le relazioni internazionali, dominate dalle grandi potenze economiche, rappresenta una minaccia obiettiva per la pace. Le grandi potenze tendono a perpetuare, in Europa come nel Terzo mondo, la divisione del mondo in due blocchi, impedendo la creazione di un nuovo ordine internazionale basato su un policentrismo coordinato e su nuovi rapporti politici ed economici fra il Nord e il Sud del mondo. Lo sblocco di questa situazione richiede una adeguata iniziativa europea, le cui ordinate sono rappresentate - a giudizio della Conferenza - da nuovi rapporti con il Terzo mondo, dall'applicazione integrale delllatto finale di Helsinki e della costruzione in senso federale dell'unione europea. Giancarlo Piombino I problemi e la particolarità delle regioni di montagna Nel corso della XVII Sessione plenaria della Conferenza deipoteri locali e regionali d'europa, che ha avuto luogo a Strasburgo presso il Consiglio d'europa dal 19 al 21 ottobre scorso, è stato esaminato il tema (LO sviluppo delle regioni agricole rurali e montaneu. La relazione è stata svolta per gli aspetti agricoli dall'on. dr. Claude Delorme (Francia)- improvvisamente scomparso nello scorso gennaio -, per gli aspetti rurali dal dr. Ulrich Hartmann (Repubblica Federale) e per gli aspetti particolari delle regioni montane da Giuseppe Piazzoni, Segretario generale dell'uncem. Riportiamo la sintesi della relazione che Piazzoni ha presentato oralmente nell'aula del Consiglio d'europa. Premessa una sommaria descrizione dell'ambiente montano, Piazzoni ha detto tra l'altro: «È da poco terminata l'estate, i turisti sono ripartiti e in qualche zona alta di montagna è caduta la prima neve. Per l'agricoltura si sta ultimando il periodo di intenso lavoro e nelle aziende montane ci si prepara a passare I'inverno con piccoli lavori nella casa o nella stalla o nella cantina per chi produce vino. Poi nelle località più fortunate arriveranno gli sportivi della neve, mentre molte altre zone sembreranno abbandonate poiché vivranno solo poche persone e molte anziane. Richiamo alla vostra attenzione questo quadro che è realistico per buona parte della montagna europea*. Riferendosi alla relazione scritta, Piazzoni ha citato i numerosi documenti della Conferenza, del Consiglio dei Ministri e dell'assemblea parlamentare e anche degli organi della CEE per la Montagna e le zone sfavorite. Ha dato anche una sintesi della situazione di alcuni paesi grandi e piccoli: da Cipro alla Svizzera, al Portogallo, Francia, Grecia, Italia, alla Spagna. «I1 quadro che ne risulta - ha proseguito - non è molto soddisfacente poiché accanto ad aree in ripresa ve ne sono molte in continuo regresso, per I'abitabilità, l'entità della popolazione, il lavoro e quindi il reddito e le condizioni di vita. Le regioni di montagna sono veramente un problema europeo e da questa sede prestigiosa

11 febbraio 1983 COMUNI D'EUROPA 11 dobbiamo esprimere specifiche richieste con d'insieme per tuttigli interventifinanziari del- Trascorsi oltre tre anni dal suo libro verde e voce alta e chiara. la Comunità. seppure quelle proposte non possono essere Spesso sfavorite ed economicamente deboli, Dare speranza aigiovani, ha detto un ammi- ' considerate ancora appassite (la necessità di le regioni di montagna hanno una importanza nistratore della Baviera! La nuova direttiva CEE uno sviluppo del bilancio comunitario al di là capitale per le loro potenzialità e per 10 svilup- n. 81 /J28 che prevede un aiuto speciale, sia dei limiti attuali è oggi una realtà quasi dramp0 ecologico degli agglomerati. Offrono passi- pure limitato a ecu, per i giovani agricol- matica; il rischio di una fermentazione della bilità di svaghi, sono ricche di specie vegetali tori' dovrà essere athata ed integrata in,tutti i Comunità, anche a causa della filosofia del ed animali, di biotipi e di luoghi naturali che,tem,toimontani, giusto ritorno, richiede una difesa ancora più devono essere protetti; infine contribuiscono in ~ ' ~ della ~ CPLRE ~ è ~ concjusa ~ con b strenua l ~ dei principi ~ di fondo del bilancio e fra modo essenziale alla salvaguardia e alla conser- unanime di un lungo docu- questi quello delle risorse proprie; la soluzione vazione delle risorse di ossigeno e di acqua. Le mento sulle regioni rurali e agricole e sulle re- equa e globale al problema reale posto dagli regioni di montagna hanno anche funzioni di gioni di montagna, che, sulla base delle tre inglesi sta con sempre maggiore evidenza in un importanza vitale per gli abitanti della mag- zioni: on. Delorme (Francia), dr. Hartman sistema di risorse più ricco e nel contemporagior parte delle altre regioni. Si devono duri- (Germania Federale) e Piazzoni (Italia), aveva neo sviluppo di politiche comuni nuove), la que mettere a profitto queste risorse Per mi- formulato la Commissione dei problemi regio- Commissione ha ora presentato un nuovo libro gliorare la situazione economica delle regioni nali e dellrasseto del krdoh. documento verde sulle «future modalità di finanziamento di montagna sfavorite e assicurare così una di- - nel quale sono stati inredi tre emendamen- della Comunità». visione più equa dei redditi e della prosperità tiproposti da Panche% Presidente della Regio- Il libro verde, al quale dovrebbero seguire economica. ne Trentino Alto Adige - indica in 35 punti i (ma il condizionale è ormai d'obbligo) delle Una soluzione duratura è possibile SOIO se gli problemi emersi e chiede inkrventi: al corni. del i consiglio ~ t ~ d7~uropa, ~ proposte specifiche, è - come afferma la stessa ai Commissione - un adocumento di discus'sionanti, non si limitano ad attività nazionali. Governi dei paesi membri, alla Commissione ne*. Esso, continua la Commissione, aespone 11 problema Posto dalle regioni montane e la della Comunità europea, al Parlamento curo- varie considerazioni riguardo lo sviluppo del sisua soluzione costituiscono un compito di por- peo, aipotei/ocajie dp~u,.opa. stema di finanziamento della Comunità ed tata europea, che quindi bisogna affrontare a elenca un certo numero di opzioni che, al punlivello europeo». Cronaca delle Istituzioni europee to cui sono ormai giunte le riflessioni della Piazzoni ha concluso riassumendo le propo- (ContznuaLpag. 8, Commissione, sembrano a prima vista meritare ste, indicate nel documento finale all' Assem- Stati membri è divenuto presto inadeguato per uno studio più approfondito». Crediamo che blea: una Comunità in sviluppo e su di esso - oltre ogni commento è superfluo. l) ~~~i~~~ dei Minish che promuova che sull'eccessivo peso finanziario della politica la campagna per il mondo rurale prevista per il agricola - si è sviluppato, più acceso, il dibat- Tuttavia l'ingenua neutralità della Commis , preparandola adeguatamente. tito fra le istituzioni e fra i governi dei paesi sione scompare se si leggono attentamente le membri. varie opzioni e se si calcano gli effetti acontabi- 2) Ai Governi dei paesi membri chiediamo La Commissione esecutiva, pur con mille li» (perché solo di questo si tratta) che le singodi definire con precisi criteri le zone montane prudenze e cautele, sollecitata da questa inacle opzioni possono avere sulla partecipazione destinatarie di specifici interventi. cettabile realtà e dal Parlamento Europeo, predi questo o quello Stato membro al bilancio 3) Alla CEE diciamo che la politica comuni- della Comunità. Non ci stupirebbe se venissisentò nel novembre 1979 un libro verde sulle taria per le zone montane e svantaggiate deve mo a conoscenza che queste opzioni sono già prospettive di finanzimento del bilancio coarticolarsi oltre che mediante i provvedimenti state vagliate dai servizi della Commissione con munitario, nel quale - oltre ad alcune ipotesi per l'agricoltura, cui deve intendersi collegato le amministrazioni nazionali, perché - messa di studio come risposta sui redditi e sulle soil settore forestale, mediante l'utilizzo del fon- cietà - proponeva, a breve termine, la aboda parte finalmente la spinosa questione do Per lo sviluppo regionale e del fondo sociale lizione del tetto dell' 1 Oh delljiva, per consendell'aumento dell'iva - si torni al più realieuropeo, riconosciuti quali strumenti atti a fa- stico «sistema dei contributi nazionali», calcotire al bilancio della comunità di essere dettato vorire il riequilibrio territoriale e settoriale in lati sulla base di una ponderazione più favorenon più dalle entrate, cioè da un limite artifi- Europa; bisognerà migliorare gli aiuti alle zone cialmente imposto dal19esterno, ma dalle uscite, vole alla Gran Bretagna. di montagna svantaggiate e coordinarli con le dalle concrete necessità delle politiche co- È tutto qui il colpo di genio della Commismisure consentite dallo Stato, dalla regione o munitarie. sione, esposto con una certa voluta fumosità di dall'organismo responsabile interessato. I1 Parlamento Europeo ha confermato alcune linguaggio al paragrafo del suo "documento di 4) Al Parlamento europeo di associarsi alla scelte effettuate dalla Commissione nel no- discussione": «questa nuova risorsa potrebbe campagna europea per il mondo rurale stimo- vembre 1979, aggiungendo da parte sua (rap- essere calcolata in vari modi, in rapporto alla lando Commissioni e Governi per operare pro- porto Spinelli dell'aprile 1981) la richiesta di parte dei singoli Stati membri nella produziofonde riforme della politica agricola. un meccanismo perequativo applicato all'iva, ne agricola comunitaria e globale. Gli elementi 5) In$ne vogliamo impegnare tutti gli Enti l'ipotesi non più di studio ma politica dell'e- da prendere in considerazione potrebbero locali, e noi stessi amministratori dei Comuni, ventuale ricorso ad un ventaglio più ricco di comprendere, a titolo indicativo, il valore finadelle Province, Dipartimenti, Contee, distretti entrate (imposte sul reddito e sulle società) ed le o il valore aggiunto della produzione agricoe regioni ad operare gli interventi necessari il rafforzamento dello strumento dei prestiti la in ciascuno Stato membro, il valore della coinvolgendo e facendo partecipare le stesse mutui. produzione che beneficia di particolari regimi popolazioni che credono e si riconoscono nelle La Commissione esecutiva ha da quel mo- di sostegno comunitario, oppure un complesso istituzioni locali». mento solennemente affermato che, entro la di valori modulati secondo la natura di tali re- Nel dibattito sono intervenuti anche gli ita- fine dell'anno, essa avrebbe presentato propo- gimi. Occorrerebbe inoltre tener conto della siliani Martinengo (Presidente UNCEM), Marti- ste per l'abolizione del tetto dell' 1 Oh dell'iva. tuazione di alcuni Stati membri e le loro regioni (Segretario generale AICCE) e Caldiroli La «fine dell'anno» è passata già due volte (fine ni in cui il tenore di vita è in genere basso ma la (Consigliere regionale Lombardia) e fine 1982) e di queste proposte non si è cui economia è principalmente basata sull'agri- Rispondendo agli intervenuti, Piazzoni ha vista traccia ufficiale, anche se è noto che il coltura». Un ritorno puro e semplice, per chi sa confermato al deputato europeo on. Fru (RFA) commissario Tugendhat ha tentato alcune vol- leggere tra le righe, al sistema dei contributi il positivo giudizio sulla direttiva CEE n. te di presentare un progetto in Commissione, nazionali. 268/75 aggiungendo che è necessario allargare accolto con freddezza o con palese ostilità dai Nelle prossime cronache esamineremo le gli interventi comunitari a favore dell'agricol- suoi colleghi (ci chiediamo, per inciso, quale proposte di riforma della Commissione sui fontura, anche per integrare il reddito nelle regio- sia stato il sostegno concreto dato a Tungen- di comunitari (sociale e regionale) sui programni montane, impegnando igoverni dei singoli dhat dagli italiani Giolitti e Natali, sempre in mi mediterranei e successivamente sugli altri paesi ad aggiungere fondi propri a quelli del prima linea a parole per lo sviluppo della Co- capitoli del documento elaborato a seguito del FEOGA. E altresi necessario avere una visione munità). mandato del 30 maggio.

12 12 COMUNI D'EUROPA febbraio l983 Quale lingua per il popolo europeo t. non SOIO contro i Diritti dell'uomo ma anche contro i Diritti dei Popoli, infatti I'art. 13 Arbasino - Ma lei si aspetta qualcosa dall'europa? Borges - Mi aspetto tutto dallleuropa. Cosa ci si può aspettare dalla penferza? Periferia sono anche America e Russia. Arbasino - Lei non siaspetta niente? Borges - No, no; tocca a voisalvarci (1). Cosa è successo relativamente alla soluzione del problema de auna lingua per l'europa» nei due anni che ci separano dall'omonimo articolo di Andrea Chiti-Batelli pubblicato da Comuni d'europa nel febbraio '81? Direi molto, anzi moltissimo. Numerosi sono stati gli articoli, gli studi, le ricerche e le iniziative inerenti tale questione. E, mi sembra possa dirsi ormai ufficialmente che i due contendenti finali, dopo tutte le numerose e dure prove eliminatorie, sono: I'inglese e I'esperanto. Quest'ultima, malgrado le storture di naso iniziali, non solo si è dimostrata validissima come lingua - vedi le ottime analisi di M. Pei (2), Bausani (3), Wandmszka-Paccagnella (4), Piron (5), Korytkowski (6), testimoniato anche dal fatto che la sua vita è ormai secolare, ma abbiamo scoperto, dispone d'una organizzazione che copre tutti i paesi del mondo (7) e che ad esempio, solo in Italia conta oltre cinquanta associazioni (8). Ma andiamo per ordine: I'inglese. Bé parlare dell'inglese e della cultura angloamericana mi sembra un atto d'immodestia. Basta accendere la radio e quasi 1'80% delle canzoni trasmesse ci viene dalla cultura angloamericana; basta guardare un pò la televisione e ci sembra che esistano solo ~oliziotti. medici. awocati. fami- di Giorgio Pagano Tale scelta, come afferma 1'0n. Patterson, nell'unico documento ufficiale del Parlamento Europeo sulla questione linguistica del 18 lu- glio 1980, costituirebbe <<una forma d'imperialismo I'inguistico», e «se finora l'oppressione linguistica non è mai stata sentita come problema, ciò è semplicemente perché nessuno ne ha scoperto l'esistenza. Tutti noi abbiamo ancora gli occhi chiusi verso questa forma di oppressione, come del resto li avevano i nostri padri verso le differenze di classe, la schiavitù o la discriminazione verso le donne» (10). Come affermava quasi quindici anni addietro uno scrittore sudamericano (11). <Chissà non si debba alle conseguenze del cosiddetto "capitalismo avanzato" uno stato di miopia più o meno generalizzato nella sinistra europea che vede e identifica I'imperialismo solamente là dove invadono i marines o si sparge il napalm (o si parla d'euromissili, aggiungerei oggi io). Si arriva così ad accettare involontariamente il mito per cui I'imperialismo si riconosce soltanto mediante la violenza aperta e dichiarata. L'imperialismo più sottile e non meno potente attraverso capitali che governano ditte con nomi tradizionalmente locali o I'imperialismo culturale - ancora più demolitore - possono continuare a svilupparsi in tutta tranquillità». Oggi, elevare una lingua nazionale (o anche due) a lingua per tutti gli europei, anche a tale proposito leggetevi molto attentamente in nota (12) cosa ci dice Peano ben 74 anni fa. sarebbe un attenta- della Sezione IV - diritto alla cultura - della Carta d'algeri - della Lega internazionale Der i diritti e la liberazione dei popoli, così recita: «Ogni popolo ha il diritto di parlare la propria lingua, di preservare e sviluppare la propria cultura, contribuendo così all'arricchimento della cultura dell'umanità». E ancora l'art. 15: <Ogni popolo ha diritto a che non gli sia imposta una cultura ad esso estranea». A tutto ciò aggiungete l'inevitabile acuirsi (definitivo?) della tensione USA-URSS; il blocco perenne della possibile ed auspicabile unione con l'altra metà europea (13); la discriminazione sociale (I'inglese non è certo lingua facile e per le masse popolari); la discriminazione economica; la discriminazione occupazionale; Questo stato di cose, che fu detto la nuova torre di Babele, non interessa molto i dilettanti di scienza. Essi possono limitarsi a leggere i libri nelle lingue che conoscono, aspettando la versione degli altri. Ma chi lavora al progresso della scienza si trova nell'alternativa o di dover studiare continuamente nuove lingue, owero di pubblicare ricerche già note... furono proposti vari rimedi... I) Quello dell'adozione, nei lavori scientifici, d'una sola lingua vivente. Ma non c'è probabilità d'accordo sulla scelta. 2) Quello dell'adozione contemporanea di più lingue viventi. Fu proposto che nelle scuole francesi si rendesse obbligatorio I'inglese. e viceversa; lasciando ad ogni popolo di optare per l'una o l'altra delle vie (Ch. André, sousbibliothécaire de I'Université de Lyon; Le latin et le probléme de la langue international, Paris pag. 2). Ma i tedeschi optarono per il tedesco, gli italiani per I'italiano, e la questione non fece un passo verso la soluzione. - Su il Tempo del 23 ottobre 1982 c'è un articolo su quattro colonne: Alleanza linguistica franco-italiana per contrastare l'egemonia dell'inglese. Il sottotitolo: Allarme per il.monolinguismoa in un convegno parigino. n.d.s. -. <Fu proposto di estendere il numero delle lingue principali, a tre, a quattro. a sei (opinione di Max Muller), e a sette, comprendendovi il msso. Ho sentito questa - proposta - glie e tra la polizia, negli ospe- mia discolpa - che è stato I'inglese la lingua dei miei studi al Congrés international des Mathématiciens de Paris, a. e che oltre ad aver viaggiato molto in Inghilterra ho abitato 1900; ma ebbe contrarii quelli che parlavano le lingue e i per le strade e case un anno in America p" seguire un corso di specializzazio- principali in senso stretto. e vivamente contrarii i rapprehane o di qualsiasi altro paese europeo e del ne. ~ e ~ dei ~ modelli ~ di - progettazione i ~ trami- sentanti dei. popoli. esclusi, i quali maggiormente sono at- - - mondo non si trovino uomini O vicende O sen- te elaboratore>. taccati alla. propria lingua, vessillo della nazionalità. - timenti almeno ugualmente degni d'attenzio- Fu proposto il ritorno al latino; e questa proposta ebbe 10) A cura di R. Corsetti ma ~ 'AA W, Lingua e politi- molti fautori;... Ma se alcuni letterati possono ancora scrica, Officina, Roma 1976 pag. 23. vere qualche opuscolo nel latino di Cicerone, nessuno, da 11) E. Condal, Dizionario di mitologia contemporanea. secoli, scrive un libro in quella lingua... L'altra corrente di 1) Da un'intervista di A. Arbasino con J.L. Borges nel savelli, R~~~ 1970, fautori della lingua universale parte dal fatto che già un in- ne (9). maggio ) Mario Pei docente di filologia romanza alla Università Columbia di New York, in The story of language, edito in Italia dalla Sansoni col titolo de La storia del linguaggio, e in particolare la quinta parte denominata La lingua internazionale con i sottotitoli: I) Il problema del tradurre, 11) Universalità e internazionalità limitata, 111) Soluzione artificiale, soluzione universale, IV) Universalità mediante I'imperialismo linguistico, V) Si può riuscire. 3) Alessandro Bausani, Le Lingue Inventate, Ubaldini Roma 1974, in particolare la sesta parte e l'epilogo. 4) Wandmszka-Paccagnella, Introduzione all'interlinguistica, Palermo, Palumbo ed ) Claude Piron, L'esperanto: lingua europea o asiatica?, Pisa ) Jerzy Korytkowski, La Chiesa e il problema della lingua ausiliare internazionale, Roma Pontificium Athenaeum Antonianum, ) Tale libretto contenente le associazioni esperantiste di tutto il mondo, viene editato ogni anno dall'universala Esperanto-Asocio, Nieuwe Binnenweg 176, 3015 BJ Rotterdam, Nederland. Telefono ) Per ottenere l'elenco di tali associazioni o altre informazioni, rivolgetevi alla Federazione Esperantista Italiana, v. Villoresi 38, Milano, Tel ) Peano fu uno tra i più influenti matematici italiani vissuti alla fine del XIX secolo. anzi uno dei maggiori scienziati di quel secolo. Egli fu anche creatore di una lingua artificiale - che non ha avuto la fortuna dell'esperanto - I'interlingua: cnell'intento di trovare il modo di comprendere e farsi comprendete con il minimo sforzo e dunque con il maggior vantaggio ed abbracciando il più vasto numero di studiosi (si ricordino i philosophos leibniziani), Peano creò questa lingua artificiale, derivandola da una lingua naturale (il Latino), ben nota ai colti del periodo ma, per semplificarne la comprensione, pensò di evitare le coniugazioni e le declinazioni, giungendo così ad una lingua abbastanza immediata e potente. Lui stesso ed i suoi allievi arrivarono a pubblicare un vocabolario in Interlingua, sicuri del successo che essa avrebbe avuto nel mondo scientifico. Occorre dire che parecchi furono i denigratori di questa iniziativa, che venne bersagliata da critiche poco fondate ma che ebbero l'effetto di far desistere gli allievi dall'uso di essa,. B. D'Amore, L'attuazione peaniana del asognou di Leibniz, in La sfida di Peano, AA. W.. Nominazione 1, Milano <Oggigiorno i lavori scientifici sono scritti nelle varie lingue neolatine, nelle differenti lingue germaniche, in più lingue slave, ecc. I giapponesi, che fino agli ultimi anni scrivevano in inglese, ora stampano in giapponese. Così ricevo in questa lingua un lavoro del sig. Kaba sulle funzioni ellittiche (Atti dell'accademia di Tokio, il 17 gennaio 1903). sieme notevole di parole sono comuni alle varie lingue europee... Ora la ricerca delle parole già internazionali ha rilevato che esse sono quasi completamente latine, cosa evidente data la storia della nostra civilizzazione. Quindi i progetti basati su vocaboli internazionali collimano con quelli basati sulla riduzione del latino. Inoltre siccome la riduzione che si vuol fare del latino è quella stessa che storicamente subì il latino per dare origine alle lingue neolatine, ne awiene che queste lingue internazionali rassomigliano molto all'italiano, pure essendo immensamente più semplici di ogni lingua naturale....causa l'affinità dell'italiano moderno coll'antico latino, il prof. Branwoll propose (l7 settembre 1902) alla British Associarion I'adozione dell'italiano come lingua internazionalea. Da: Il latino quale lingua ausiliare internazionale. di G. Peano, Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino, vol. XXXIX, , pagg ).Bisogna prendere posizione per un indirizzo del processo di unificazione che non chiuda le porte ai popoli dell'europa orientale, e che sappia sviluppare nel suo seno un rinnovamento della democrazia tale da far cadere le dittature europee,. Da, La Gran Bretagna e le dimensioni dellveuropa, di M. Albertini nel numero di gennaiofebbraio di Federalismo europeo, e raccolto in Trent'anni di vita del Movimento federalista europeo, F. Angeli ed. Oggi però Mario Albertini sembra porsi più tra gli inglesizzatori che tra i sostenitori d'un bilinguismo democratico, insomma oltre che a chiudere le porte all'est, chiude 9) A tutto ciò e ad altro ancora, posso aggiungere - a anche le finestre, e barricandole per giunta!

13 febbraio l983 COMUNI D'EUROPA 13 la discriminazione culturale e la conseguente perdita d'identità (14). Dopo aver cercato di spiegare brevemente i gravi effetti d'un bilinguismo antidemocratico, eccoci ora al bilinguismo democratico e quindi all'esperanto. Direi che in questi ultimi anni per tutti i federalisti ed europeisti che hanno voluto approfondire il problema, si è completamente dissipato il dilemma se una lingua artificiale come I'esperanto potesse o meno essere funzionale. In tutti i sensi! Anzi, si è capito che è proprio una lingua per tutti e di nessuno che ci serve, e che proprio il suo essere artefatta, o meglio fatta ad arte, che è per noi non solo positivo ma addirittura necessario: per preservare ma soprattutto continuare naturalmente e creativamente tutte le nostre culture. Senza doverle sacrificare in favore di una sola parte. Del resto per dirla con Leone Tolstoi: ai sacrifici che I'esperanto richiede agli uomini sono così piccoli e i risultati che se ne possono trarre così grandi, che non ci si può rifiutare di farne la prova» Alcune altre notizie utili a capire il fenomeno euroesperantista ed il suo allargarsi a macchia d'olio: - Per l'italia, il fenomeno più vistoso è il Gruppo Parlamentare «Amici dell'esperanto~ cui aderiscono ben 102 parlamentari di 7 Partiti (15); oltre a patrocinare molte delle manifestazioni eurosperantiste, Loro è la Proposta di Legge n per l'istituzione dell'insegnamento della lingua internazionale esperanto nelle scuole secondarie. - In Europa: È del 27 ottobre del 1982 la costituzione in Strasburgo del Gruppo parlamentare europeo «Amici dell'esperanto*, degno di nota è che il promotore di tale gruppo è stato I'eurodeputato inglese Brian Key. Invece, del 22 novembre 1982 è la proposta presentata dall'eurodeputato belga E. Glinne al P.E. con la quale si invita il Consiglio dei Ministri della CEE ad esaminare la possibilità d'introdurre l'insegnamento opzionale dell'esperanto in tutte le scuole comunitarie secondarie e superiori (16). C'è poi l'europa Klub, retto quasi completamente da docenti universitari, il cui compito 14) Infatti: <la tradizione europea non è specificamente né orientale né occidentale come lo è l'america. In fondo la storia dell'europa è la storia di un continuo rapporto dialettico, drammatico e contraddittorio per sua stessa natura, tra razionalità scientifica e fede come strumento di trascendenza verso una meta che certamente va ben oltre la razionalità. senza per questo abbandonarla. Ed è proprio questa fede in un traguardo trascendente che finisce con lo strumentalizzare la stessa razionalità scientifica.... Forse oggi il problema è quello di rendersi conto di come la meta oggi è disponibile ad essere colta da uno strumento nuovo, uno strumento per sua stessa natura creativo e quindi più evoluto: l'immaginazione. Uno strumento in grado di concretizzare in immagini reali un fine infinito, un significato non dato, non dato una volta per tutte, ma che continuamente si rinnova inverandosia. «Dopo il cristianesimo,. conversazione di A. Todisco con F. Ferrarotti in Il sacro oggi. Una mutazione antropologica, Milano ) L'indirizzo è: Interparlamenta gruppo <Amicoj de esperanto, Senato della Repubblica, I, Roma. 16) L'indirizzo dell'eurodeputato socialista Glinne è: Ernest Glinne, député européen, Parlament européen. 3, bd de I'Empereur, B-1000 Bruxelles; (indirizzo privato) 1, Square Allende, B-6180 Courcelles. specifico è di curare il problema linguistico soprattutto a livello accademico, nell'intento di raggiungere in modo sicuro e definitivo l'università. L'attenzione dell'europa Klub è rivolta in particolare ai paesi appartenenti alla Comunità Europea oltre a quelli del Consiglio d'europa e dellleuropa dell'est (17). È invece del 1980 la notizia che il Partito Federalista Europeo, in occasione del suo Congresso europeo di Monaco, ha deliberato l'ado- zione dell'esperanto come propria lingua ufficiale a livello europeo, denominandosi unicamente come Europa Federalista Partio (18). Fondato dalle Associazioni esperantiste nazionali dei paesi della Comunità Europea, per risolvere i noti problemi d'intercomprensione ed unificazione, è l'europa Esperanto Unio, il cui ufficio di segreteria è l'europa Esperanto Centro in Rue Montoyer 37 a Bruxelles. Insomma il panorama delle organizzazioni e delle iniziative euroesperantiste si va facendo sempre più vasto ed articolato, arrivando anche a tracciare tutte le varie tappe per una graduale introduzione dell'esperanto come lingua ausiliare europea (19). 17) Europa Klub: Sede centrale europea, Kleinenberger Weg 16B - D-4790 Paderborn; sede italiana: EKIS, v. Rovereto, 14, Verona, Tel ) Partito Federalista Europeo, Sez. Italiana, v.le Vaschi 2,46100 Mantova. 19) promemoria per il Comitato Centrale del M.F.E.a sul «Problema delle lingue in Europaw. Di Umberto Broccatelli: Si possono ipotizzare varie tappe per una graduale introduzione dell'esperanto come alingua ausiliaria europeaa: A) Uso deff'fipemnto come Lingua ponte per fe traduzioni scritte. Spesso è estremamente difficile, o addirittura impossibile, trovare qualificati traduttori da certe lingue a certe altre, per esempio dal danese al greco; si ricorre perciò alla doppia traduzione. attraverso una alingua-ponte,. La lingua ponte ideale sarebbe proprio I'Esperanto. sia perché ciascun traduttore opererebbe solamente con la propria madre-lingua e con I'Esperanto, che dovrebbe essergli altrettanto famigliare, sia perché la grande flessibilità dell'esperanto rende questa lingua estremamente adatta a fungere da lingua di traduzione. Praticamente un determinato testo verrebbe tradotto da una lingua nazionale in Esperanto e da questo in tutte le altre lingue nazionali. B) Riduzione def numero deffe afingue di favorou, introducendo tra queste l'fiperanto con un molo speciufe. Ne- «.. l'invenzione del sapere, della cultura. La chanche dell'europa è questa)) (20). E di ciò devono essere consci al più presto tutti; i giovani, i cittadini, le organizzazioni europeiste, le università, tutte le forze politiche e i centri di studio da queste ispirate, le organizzazioni regionali, provinciali e comunali. Dalla Resistenza, è il momento di passare, all'esistenza. gli organi comunitari ciascuno continuerebbe a parlare la propria lingua, ma potrebbe anche parlare in Esperanto. Per tutte le lingue nazionali ci sarebbe però la traduzione simultanea solamente nelle «lingue di lavoro», per es. inglese, francese ed Esperanto. Per I'Esperanto invece (molo speciale) la traduzione vertebbe fatta in tutte le lingue nazionali. In tal modo si chiederebbe ai parlamentari o funzionari partecipanti ai lavori una conoscenza.passiva» (a livello di comprensione del parlato) di almeno una delle lingue di lavoro. Chi vorrà essere sicuro però di essere seguito bene da tutti. tramite le rispettive lingue nazionali, si potrà preparare il suo intervento in Esperanto C) Uso deff 'Esperanto come sofa rfingua di traduzione~. Ciascuno potrà parlare o nella propria lingua o in Esperanto; nel primo caso verrà tradotto in simultanea solamente in Esperanto, nel secondo caso verrà tradotto in simultanea in tutte le lingue nazionali. Sarà richiesta cioè ai partecipanti la conoscenza cpassivaa (comprensione del parlato) dell'esperanto. Comunque ciascuno sarà sicuro di essere compreso bene da tutti, se parlerà in Esperanto, perché ciascun ascoltatore potrà scegliere se ascoltare in Esperanto o nella propria lingua. D) Uso def ~ofo Esperunto senza traduzioni simuftunee. Questa sarebbe la tappa finale dell'introduzione della alingua pianificata* nelle istituzioni europee, raggiungibile solo dopo molti anni, e probabilmente solo dopo che la lingua stessa sarà stata introdotta nell'uso generale. Comunque è chiaro che tutti i testi aventi valore di legge, anche se elaborati in Esperanto, dovranno essere sempre tradotti in tutte le lingue nazionali per uso di tutti i cittadini. E) Adozione deff'esperunto (o di un #Neo-Esperuntoo) come nfinguafederufe europeuu. Mentre le tappe precedenti (A, B, C, D) si riferivano al livello nistituzionalew, qui ci riferiamo al alivello popolare>). che presenta ben altri problemi. Una volta che sarà stata presa la decisione politica di adottare come lingua <federale» europea una lingua pianificata (decisione che potranno prendere solamente gli organi costituzionali della futura federazione). si dovrà procedere per le seguenti prevedibili tappe: a) Istituzione di una «Commissione per la revisione dell'esperanto~. formata da linguisti esperti nel campo dell'interlinguistica, che conoscano bene I'Esperanto (ma non legati a organizzazioni esperantiste), nonché da scrittori esperantisti, da scienziati e persone di cultura aventi una grande esperienza pratica dell'uso dell'esperanto e della problematica connessa. Questa Commissione dovrà elaborare un progetto di riforma, che cerchi però di cambiare solo quello che è veramente utile cambiare, scostandosi il meno possibile dall'attuale forma dell0esperanto, in modo da salvare il patrimonio di esperienza linguistica accumulato e farne tesoro. La commissione dovrà disporre dell'aiuto di un acomputern che consenta di valutare immediatamente ogni singola ptoposta di modifica, fare ricerche lessicali ecc. b) Larga consultazione sul aprogetto di riformaa fra tutti coloro che hanno esperienza sulla lingua internazionale e infine approvazione definitiva. C) Fondazione di un <Istituto per la lingua european che provvederà a tradurre in aneo-esperanton (o aeuropeow) tutti i testi di una certa importanza attualmente esistenti in Esperanto; a pubblicare le grammatiche e i dizionari ufficiali nelle varie lingue; a organizzare, con la collaborazione delle varie università. i costi per la formazione di insegnanti di aeuropeoa. d) Introduzione dell'insegnamento della lingua aeuropeaw come materia obbligatoria nella scuola dell'obbligo. Già fin d'ora le istituzioni comunitarie potrebbero incoraggiare gli studi preparatori per la commissione di revisione~, di cui al punto a). 20) Intervista di A. Toscani allo psicanalista Armando Verdiglione dal titolo scultura come invenzionea. I1 Tempo 17 luglio

14 14 COMUNI D'EUROPA febbralo l983 Autonomie locali e Regioni in Europa Pubblichiamo un intervento di Rainer Schoiie dal titolo ail rapporto di fedeltà vincola: la partecipazione dei Bundeslander,, segnalando, su questo tema, l'articolo di Sigrid Esser, già apparso suiia nostra rivista nel settembre 1981, su ail coordinamento neiia RFT tra Federazione e Lander neiie politiche comunitarie,. La stretta e fiduciosa collaborazione, senza costrizioni, tra Federazione e Lander nell'ambito dei progetti comunitari dovrebbe essere scontata in base al principio costituzionale, non scritto ma immanente alla Legge fondamentale, della fedeltà federale. In misura particolare essa è dovuta nei confronti di progetti comunitari che cadono sotto la competenza dei Lander o toccano i loro interessi essenziali. Infatti il diritto comunitario non rispetta la struttura federale e la distribuzione delle competenze all'interno della Repubblica Federale di Germania. Ciò comporta per i Lander delle conseguenze di portata incisiva: - essi non sono membri della Comunità Europea, - essi non sono rappresentati negli organi della C.E., - essi non sono immediatamente partecipi alla attività legislativa della C.E., - le competenze dei Lander vengono limitate a favore della Comunità nel caso in cui un compito viene «europeizzato». La vasta attività legislativa della Comunità fin dalla sua fondazione ha comportato sensibili interventi nella statalità propria dei Lander con significative ripercussioni sulla struttura federale della Repubblica Federale di Germania. Ciò si esplicita nel trasferimento di un numero notevole di competenze esclusive dei Lander alla Comuntià e nella soppressione della partecipazione dei Lander alla legislazione federale attraverso il Bundesrat nel caso in cui una competenza federale viene trasferita alla C.E. In questo ultimo caso le decisioni legislative a livello comunitario vengono prese esclusivamente da rappresentanti del governo federale senza la partecipazione delle istituzioni legislative tedesche. I Lander non possono accettare questo svuotamento della loro statalità propria. Per la Baviera, la cui autocoscienza e autonomia si basano su una storia movimeiltata più che centennale, una tale «provincializzazione» non sarebbe sostenibile. Perciò il governo bavarese sostiene con forte impegno, sostanzialmente, due rivendicazioni: 1) Partecipazione dei Lander nella cessione di competenze. Secondo i dettami della Legge fondamentale (art. 24) la cessione di diritti sovrani su istituzioni interstatali sono possibili senza la partecipazione dei Lander. Ciò vale non soltanto per competenze federali ma anche per competenze dei Lander. Secondo la posizione del governo della Baviera il trasferimento di competenze federali e dei Lander dovrebbe essere vincolato all'assenso del Bundesrat. Nel caso del trasferimento di competenze dei Lander dovrebbe essere necessario inoltre una maggioranza qualificata di due terzi dei voti del Bundesrat. Inoltre il governo della Baviera divide con gli altri Lander l'opinione che per quanto riguarda le decisioni degli organi comunitari su questioni che concernono il campo di competenza dei Lander, quest'ultimi hanno il diritto di direttiva verso i rappresentanti della Repubblica Federale presso gli organi comunitari. 2) Partecipazione dei Lander all'attività legislativa della CE. Fino al 1980 il governo federale ha avuto soltanto il modesto dovere di tenere informato il Bundesrat su!lo sviluppo nel Consiglio dei ministri della CE. I1 Bundesrat è limitato alla possibilità di dare un parere non vincolante per il governo federale. I1 governo non il dovere di riferire a Bmxelles, neanche nel caso si tratti di competenze esclusive dei Lander. Questa procedura è insostenibile innanzitutto nei casi in cui i progetti comunitari cadono totalmente o con parziali norme all'interno dello Stato sotto la competenza legislativa esclusiva dei Lander o toccano i loro interessi essenziali. Su iniziativa del governo bavarese sono state awiate quindi le trattative con la Federazione il cui risultato è stato l'assicurazione data dall'allora Cancelliere federale Helmut Schmidt nell'ambito di uno scambio di lettere su una partecipazione dei Lander ai progetti della CE che oltrepassa la procedura del Bundesrat. I miglioramenti essenziali sono: - che la Federazione si è impegnata di conferire informazioni tempestive e ampie ai Lander su tutti i progetti della CE, importanti per essi, già nella fase della formazione della volontà presso la Commissione della Comunità; - che la Federazione ha assicurato di deviare per quanto riguarda l'ambito di competenza dei Lander dalla posizione di quest'ultimi solo per gravi ragioni di politica estera o interna; - che la Federazione inviterà, se possibile, due rappresentanti - - dei Lander alle riunioni degli organi della Commissione e del Consiglio. La nuova procedura doveva essere sperimentata fino alla fine del Agli inizi la cosa si awiò molto lentamente. Le prime esperienze dimostrarono che il materiale informativo inviato dalla Federazione non rispecchiava nella sua quantità e qualità le sue promesse. Accanto alla procedura del Bundesrat e alla nuova procedura di partecipazione i Lander sfruttano numerose possibilità di far valere i loro interessi a Bmxelles. Per esempio i membri del governo bavarese, soprattutto il Ministro bavarese degli affari federali mantengono contatti immediati e intensi con gli organi della CE. I Lander si procurano le informazioni attuali sui progetti e i processi decisionali negli organi della Comunità attraverso l'«osservatore dei Lander presso le Comunità europee» istituito nel 1965 su iniziativa della Baviera e del Baden-Wurttemberg. I1 fatto che i Lander tengono coerentemente fermo un perno della struttura federale provoca spesso l'accusa che essi ostacolano il progresso dell'integrazione europea. Questa accusa è infondata. Competenze dei Lander non hanno mai costituito insormontabili ostacoli all'integrazione. Trasferimenti di competenze non sono mai stati rifiutati dai Lander quando erano utili e oggettivamente dovuti all'incoraggiamento del processo di integrazione europea. A livello europeo essi si sono sempre dimostrati disponibili alla cooperazione. (da: ~Ezcropairche Zeitung)), Marzo 1983) Gemeiiaggi e scambi 1982 Pinascal Wiernsheim Pinache Serres (W): marzo visita preliminare di una delegazione di Pinasca a Wiernsheim-Pinache-Serres; settembre visita della delegazione di Wiernsheim-Pinache-Serres a Pinasca per mettere a punto il programma di gemellaggio. Reggio EmilialGerona (E): aprile gemellaggio con Gerona. SchiolL~dshut (W): 9 maggio za cerimonia di gemellaggio a Landshut. Corbettal Corbas (F): 30 maggio a cerimonia di gemellaggio a Corbas. Vdiafranca d'astiivdiafranche Sur Mer (F): 6 giugno la cerimonia di gemellaggio a Villafranca d'asti. BucinelNoiseau (F): 6 giugno l a cerimonia di gemellaggio a Bucine; 26 giugno a cerimonia di gemellaggio a Noiseau; novembre visita di una delegazione di Noiseau a Bucine. Buttigliera AltaIJougne (F): giugno 1982: 2 a cerimonia di gemellaggio a Jougne. AstilBiberach (W): giugno la cerimonia di gemellaggio a Biberach; settembre za cerimonia di gemellaggio ad Asti. LeccolOverijse (PB)IMZcon (F): 5-6 giugno impiegati e dipendenti del Comune di Micon sono ospiti presso le famiglie dei dipendenti del Comune di Lecco; 12 giugno presentazione pubblicazione bilingue «Lecco e Micon» da distribuirsi in copie agli scolari delle due città; 20 giugno esposizione a Micon delle opere del pittore lecchese Dall'Oro; 27 giugno partecipazione di gruppi folkloristici di Micon e Overijse alla Festa del Lago di Lecco; luglio scambio di 22 scolari; agosto soggiorno di un numeroso gruppo di esploratori di Micon presso l'ostello della Gioventù di Lecco; settembre scambio di donatori di sangue con Overijse e Macon. Senigallia ISens (F): 3 luglio a cerimonia di gemellaggio a Senigallia. ZoppolalTonneins (F): agosto a cerimonia di gemellaggio a Zoppola. BaianolTourrette Levens (F): agosto visita preliminare di una delegazione di Baiano a Tourrette Levens; novembre una delegazione di Tourrette L. è ospite di Baiano per preparare il programma di attività del gemellaggio. TerdobbiatelSt. Julien (F): settembre soggiorno di una delegazione di St. Julien a Terdobbiate che, in questa occasione, è ricevuta anche in Regione; 28 novembre za cerimonia di gemellaggio a St. Julien. TaUalPont du Casse (F): settembre la cerimonia di gemellaggio a Talla; ottobre za cerimonia di gemellaggio a Pont du Casse.

15 febbraio l983 COMUNI D'EUROPA Unità europea e poteri delle Regioni È uscito in Aggiornamenti I Aktueii, 1981, nn. 3-4, uno studio comparato di Andrea Chiti-Batelli su (Unità europea e poterì delle Regioni»: la perdita delle competenze delle Regioni nell'ambito della Comunità e in quello di una Federazione europea. Pubblichiamo le parti essenziali dell'introduzione, in cui l'autore espone la tesi centrale dell'opera. ** I termini del problema L'esistenza di un diritto secondario delle Comunità Europee, e in particolare della CEE, implica di necessità un intervento delle autorità nazionali (e10 sub-nazionali) a cui spetta la sua applicazione: il che avviene assai più spesso di quanto non si creda, giacché, come nota G.J. Van Dinter in uno studio che citeremo parlando dei Paesi Bassi, anche i regolamenti comunitari - che in linea di principio e per definizione dovrebbero applicarsi direttamente, e senza bisogno di «traduzione» in una legge nazionale - richiedono non di rado un tale intervento: il che non sem~lifica certo tale adplicazione diretta. In altri termini l'esistenza delle Comunità europee - e, domani di unleuropa politica - im~lica di necessità una limitazione della sovranità stato-nazionale: e questa limitazione non può non ripercuotersi anche sulle Regioni, sui Lander e, più in generale e al limite, su tutti i corpi politici e amministrativi sub-statali, fino al più piccolo comune; più o meno, a seconda di quanto le competenze dell'ordine giuridico supremo (nella nostra ipotesi quello europeo) interferiscono nelle competenze e nei poteri degli ordini giuridici inferiori. Tali limitazioni rappresentano il prezzo dell'integrazione; un prezzo, più o meno grave, secondo il grado di accentramento o di decentramento di ciascun Paese, come vedremo nei capitoli seguenti; ma un prezzo che si deve pagare. La tesi che ci proponiamo di svolgere - anticipiamola fin d'ora - è che si tratta di un prezzo modesto e accettabile, che non minaccia, nella sostanza, le autonomie e non pone a queste - almeno se vengono rispettate certe condizioni che indicheremo fra poco - problemi di soprawivenza e d'incompatibilità di tali autonomie col processo d'integrazione continentale Critica deii'integrazione europea Tuttavia, se noi sosteniamo che I'integrazione europea deve essere accettata e favorita, e non combattuta e ostacolata col pretesto che essa intralcerebbe un pieno sviluppo delle autonomie, questo non esclude ch'essa non possa, e anzi non debba esser giudicata molto severamente, nella sua attuale realtà. Tale giudizio, però, se vuol esser politicamente valido, deve rivolgersi contro il fatto che l'integrazione attuale - economica e non globalmente politica; confederale e non federale; tecnocratica e non democratica - non permette la formazione di una vera «Comunità di destini, continentale che: - compensi le limitazioni all'autonomia degli Stati membri e delle loro Regioni con il progressivo sviluppo di una vera «Comunità» continentale capace di garantire realmente l'indipendenza e la sicurezza dei membri; i libri - e favorisca la realizzazione, nell'ambito di questa, di un'integrazione economica e finanziaria degna di questo nome, e quindi di una vera politica regionale. Sarebbe invece un atteggiamento puramente «luddistico», manifestazione di uno spirito gretto e meschino, prender pretesto da tali critiche per assumer, in nome dell'autonomia regionale, un atteggiamento puramente antimaraeteer, di rigetto frontale dell'integrazione (un no non dialettico, e perciò sterile), imitando così quei dannati danteschi che camminano con la testa interamente volta indietro (Inferno, XX), sì che il loro pianto le natiche bagnava per lo fesso. Conclusione provvisoria: contro I'integrazione? Nell'ambito delle Comunità quali sono oggi, si cerca di ridurre gli inconvenienti sopra accennati in due modi: - a valle, facendo partecipare le Regioni all'applicazione del diritto comunitario: il che non arreca se non vantaggi limitati, giacché le autorità nazionali, come del resto quelle comunitarie, si preoccupano dell'uniformità dell'applicazione di tale diritto, cercando di realizzarla attraverso mezzi molteplici (a livello europeo: direttive molto precise fin nei particolari - abbiamo già avuto occasione di ricordarlo - e magari sostituzione di direttive con regolamenti; a livello nazionale: emanazione di leggi-cornice solo nell'ambito delle quali le Regioni possono stabilire una loro normativa, si che finalmente il margine di libertà di queste ultime resta pur sempre molto ristretto); - a monte - ed è questo un rimedio a cui si ricorre soprattutto in Germania - facendo partecipare Lander (o Regioni) anche alla previa elaborazione del diritto comunitario: e si tratta di un espediente senza dubbio più efficace, pur riducendosi anche così, dal punto di vista strettamente formale, i poteri e le competenze dei Lander: e ciò specie nel caso di competenze esclusive di detti enti (per esempio nell'ambito culturale), in quanto si ha qui un passaggio dal diritto alla decisione al semplice diritto alla co-decisione, e dunque un indebolimento, anche così della loro posizione giuridica: almeno, come si diceva, dal punto di vista formale. E sotto tale punto di vista le cose non solo non cambierebbero, nell'ambito di una Federazione politica delljeuropa; ma esse peggiorerebbero ancora, giacché questa sostituzione della co-decisione alla decisione si estenderebbe di necessità a un numero più vasto di materie e di competenze oggi riservate a tali enti sub-statali. Dovrebbe peraltro esser evidente che il punto di vista rigorosamente formale - il solo proprio del diritto, ma da considerare e svolgere avendo precisa coscienza della sua unilateralità - deve esser integrato, nell'ambito di una valutazione politica più completa e realistica, da una considerazione interdisciplinare di tutti gli aspetti del problema. Altrimenti, se ci si limita al punto di vista giuridico e formale - escludendo gli altri, tamquam non essent -; e se si tiene conto che la limitazione e la perdita di competenze di cui abbiamo parlato è, almeno entro certi limiti, inevitabile, allora non si può più esitare di fronte alla conclusione che alcuni giuristi e uomini politici (soprattutto, ma non solo, d'ispirazione mantista) ritengono di dover trarre: e cioè che la difesa rigorosa dell'autonomia delle Regioni, così come dell'indipendenza degli Stati membri, esige un rifiuto totale e apriori di ogni forma d'integrazione europea avente una qualsiasi, anche pallida caratteristica sovrannazionale: implicante cioè I'entrata in vigore di un diritto europeo applicabile direttamente all'interno degli Stati membri. La sola soluzione valida Per superare questo punto di vista, che ci pare troppo limitato, anacronistico e sterile - a ritroso degli anni e dei fatti - è opportuno aggiungere alcune considerazioni di carattere politico più generale, le quali superano sia i limiti del nostro studio che l'ambito comunitario. Possiamo muovere a tal fine dalla tesi chiaramente enunciata, già più di trent'anni addietro, in un'opera, divenuta classica, di K.C. Wheare sulla natura giuridica dello Stato federale e sul suo significato politico. 1) Lo sviluppo eccessivo del welfare state, e di ciò che in tedesco si chiama il Finanzausgleich (perequazione finanziaria) fra le Regioni o gli stati membri di uno Stato federale o regionale, ad opera delle autorità centrali e tramite il bilancio federale, costituisce, al di là di un certo limite e almeno in potenza, un pericolo per l'autonomia degli stati membri e delle Regioni. 2) La garanzia contro questa tendenza si ha assicurando alle Regioni o Lander - ad opera della Costituzione (e delle leggi) dello Stato centrale - un'autonomia fiscale e di bilancio sufficiente a dare un significato politico reale all'autonomia che il diritto assicura loro da un punto di vista strettamente formale. Detto questo, bisogna ancora aggiungere ai rilievi del Wheare il seguente. Se è vero che il welfare state - e, egli aggiunge, le crisi economiche e l'economia bellica - costituiscono un pericolo per il federalismo e generano forti tendenze verso il centralismo, è vero anche che la realizzazione di un grande spazio economico e di una politica del Governo centrale orientata verso una crescita equilibrata costituisce una garanzia, e non un pericolo, per un'autonomia reale e non puramente formale: il che significa che i difetti e le insufficienze che si lamentano nella Comunità europea e nella sua politica regionale o agricola devono essere eliminati e superati non tornando indietro, verso l'europa «degli Stati» (dove i rischi di centralismo si ripresenterebbero a livello nazionale, mentre le minacce di instabilità economica, di crisi, e così via sarebbero più grandi e più difficili da prevenire), ma appunto andando avanti, verso un modello di Europa politica, cioè federale; e un'europa che - almeno a più lungo termine, e in una fase ultima e definitiva dell'unificazione - dovrà articolarsi non in Stati nazionali, ma in «Grandi Regioni*, membri diretti della Federazione. Intendo dire, con quell'espressione «Grandi Regioni,, che i membri diretti della Comunità politica futura non dovranno esser gli Stati nazionali attuali (come la Francia, il Regno Unito, la Repubblica Federale di Germania, 1'Italia, o, domani, la Spagna); ma stati di dimensioni regionali (la Baviera, la Padania, I'Occitania, la Scozia, e così via); essendo chiaro che tale riforma non dovrà concernere gli Stati - come i Paesi Bassi, l'irlanda o la Danimarca - che hanno già, in tal senso, le dimensioni di una «grande regione*.

16 L'argomento centrale alla base di un tale ragionamento consiste nel sostenere che non è tanto l'esistenza in sé delle Comunità a minacciare l'esercizio delle competenze delle Regioni italiane, o dei Lander tedeschi; ma proprio il fatto che fra queste e la Comunità s'interpone il livello statale nazionale: il che impedisce un rapporto diretto e immediato tra l'una e le altre,-sì che lo Stato nazionale, in questa sua veste di diaframma e di filtro, resta in grado di esercitare, grazie all'aiuto che gli è fornito dal diritto comunitario e dalla sua applicazione, una funzione centraiizzatrice. ricu~erando così una parte delle competenze che a;eva perduto a vantaggio dei Lander e delle Regioni. Una concezione rigorosa dell'autonomia e dell'indipendenza regionale può dunque al limite implicare il rifiuto radicale dello Stato nazionale da un lato e della Comunità Europa, qual è oggi, dall'altro; ma non può esser spinta per nessuna ragione fino al rifiuto anche dell'unità federale dell'europa, concepita come Federazione di Grandi Regioni. Si può pertanto, e anzi si deve dire, con un regionalista francese, il Lafont, che la CEE, qual è oggi, costituisce «il peggior nemico delle Regioni, giacché rafforza il centralismo statale e il suo effetto centralizzatore»: ma solo se si ~~ - -~ - aggiunge, generalizzandolo, il rilievo di un autonomista gallese, I'Osmond, che la situazione sarà rovesciata in un'europa federale di Grandi Regioni che elimini il gradino nazionale, giacché allora Wales and Welsb identity will bave more cbance of survival in tbe context of Europe ratber tban o f Brìtain. Conferma deiia nostra tesi con gli argomenti del «federalismo fiscale» È particolarmente importante far notare che una conclusione analoga è suggerita dagli autori che hanno più attentamente studiato i problemi della politica regionale e del bilancio comunitario: intendo con ciò riferirmi a un testo ben noto, e fondamentale, quale il <<Rapporto MacDougall» alla Commissione delle Comunità (1977), come pure agli studi, specie tedeschi (Dieter Biehl, Fritz Franzmayer) che lo hanno accompagnato: rapporto e studi a cui i giuristi dovrebbero dedicare molta maggior attenzione di quanto abitualmente non facciano. Se si dessero questa briga, non potrebbero non giungere alla conclusione che i rischi, politici e finanziari, di perdita o diminuzione di competenza che minaccerebbero le Regioni di una Federazione Europea non sarebbero più grandi di quelli che già oggi vi sono per esse nei diversi Stati federali, quale conseguenza inevitabile dell'evoluzione dell'economia e dei compiti sempre più complessi che incombono al wevare state. Discutere queste difficoltà, e cercar ad esse un rimedio, ecco un dovere essenziale - la goethiana Forderung der Stunde - degli specialisti dell'argomento. Trovar invece in tutto questo un pretesto per opporsi all'unità europea è poco serio e significa, per dirla con Paul Valéry, entrer dans l'avenir à reculons. Tale organizzaziorie dell'europa federata in «Grandi Regioni* avrà d'altra parte un secondo vantaggio, e non meno importante, in ordine alla politica regionale comune e all'attività di redistribuzione e di crescita equilibrata delle Regioni (Finanzausgleicb): di cui il «Rapporto MacDougall» ha mostrato l'importanza politica e i modi e gli strumenti economici e finanziari che essa dovrà seguire per divenir realtà, e che la condizionano. Invero questa politica ha un'altrettanto precisa condizione istituzionale, cioè unlorganizzazione abbastanza uniforme COMUNI D'EUROPA del sistema di enti regionali e sub-regionali in tutti i Paesi dell'europa unita: ed è ciò che l'articolazione proposta del Continente in «Grandi Regioni* e «piccole regioni*, permetterà di realizz\are. E un argomento che merita di esser tenuto in particolare considerazione. Trasferimento di poteri daiie Regioni aiia CEE e a un'autorità federale Abbiamo così esposto la nostra tesi e chiarito perché da un lato non vi è vera ragione di distinguere il caso di un trasferimento di competenze a un'autorità federale dal caso delle Comunità Europee, e perché dall'altro le differenze sono invece radicali e aualitative. e in particolare da due punti di vista. Una rima differenza fra il modello federale, quaie esso si è affermato negli Stati Uniti e nella R.F.G., e le Comunità è costituito dal fatto che in queste ultime i Lander o Regioni non sono membri diretti della Comunità: i regolamenti e altre disposizioni giuridiche comunitarie passano dunque per lo Stato nazionale, che in tal modo può recuperare - lo abbiamo già notato - una parte delle competenze che aveva perduto. E ciò rende ancora più gravi i difetti che ora diremo, e che sono il risultato della seconda differenza. Questa consiste nel fatto che in seno a uno Stato federale - dunque dell'europa politica di domani - l'esercizio delle competenze trasferite dalle Regioni all'autorità centrale avrebbe luogo nell'ambito di una divisione di Dote- - ri, e ad opera di un governo fornito di una legittimazione democratica e avente una struttura sovrannazionale: un governo, quindi, capace di dare, appunto per questo, una precisa garanzia di operare per il bene generale e nell'interesse della Comunità nel suo insieme; mentre nell'ambito istituzionale attuale delle Comunità europee tutto ciò ha luogo tramite una serie di compromessi intergovernativi (il do ut des, il pachage deal, il juste retour) che non rispettano né l'interesse comune né la divisione dei poteri: sì che non vi è contropartita effettiva (in ogni caso non vi è alcuna certezza né politica né giuridica di una tale contropartita) rispetto alla riduzione delle competenze delle Regioni implicita nell'esistenza di un potere sovrannazionale. In questo senso la vera «perdita» da parte delle Regioni, e soprattutto delle Regioni più povere, consiste nell'assenza di una vera politica regionale delle Comunità che possa definirsi europea; e, più in generale - come è stato chiarito in modo particolarmente perspicuo da Dieter Biehl - nell'assenza di una politica di bilancio che abbia un effetto di redistribuzione sufficientemente consistente in favore delle regioni più povere; e, il che è forse ancora più grave, nell'esistenza di una politica agricola comune che privilegia regioni già favorite, producendo così un effetto redistributivo alla rovescia. E questo conferma che solo una trasformazione delle Comunità in senso federale potrà eliminare questi difetti: gli sforzi compiuti dal Parlamento europeo eletto, nell'ambito delle istituzioni attuali, per modificare il bilancio comunitario nel senso ora indicato (sforzi che si sono conclusi col fallimento più pieno) ribadiscono ulteriormente, e in modo particolarmente probante, questa convinzione. Conclusione La nostra conclusione ultima è pertanto che le Comunità soffrono certo di un deficit di legittimità democratica, stante la loro struttura febbraio l983 confederale e intergovernativa; che, in conseguenza, la politica regionale comunitaria favorisce piuttosto le differenze che non una perequazione fra le Regioni più ricche e le più povere; che dunque trasformazioni profonde sono da realizzare tanto nella struttura istituzionale delle Comunità come nella consistenza del bilancio e della politica regionale comune, e finalmente nell'orientamento di auesta. Invece, una volta che tutto ciò sarà stato raggiunto, una certa centralizzazione a livello europeo deve esser accettata come conseguenza inevitabile e, in ultima istanza, benefica, e non potrebbe esser rifiutata in nome di un'autonomia economica molto più apparente che reale e che resterebbe nella maggior parte dei casi sulla carta, e soprattutto per quanto concerne le Regioni più sfavorite. Il che naturalmente non esclude che questa limitazione a ragion veduta dell'autonomia economica non possa e non debba andar congiunta con un'autonomia CUIturale - nel senso più largo della parola - molto ampia ed estesa. Anzi l'intervento del livello federale europeo nel senso di una rigorosa perequazione finanziaria resta essenziale perché tale autonomia riceva un senso reale e possa, come la colomba kantiana, realmente «volare». In altri termini il punto discriminante fra l'esigenza valida dell'autonomia più piena e le manifestazioni patologiche di un secessionismo suicida non è indicato da una legge obiettiva e non può esser fissato in forma univoca e rigorosa, giacché dipende piuttosto dallo spirito con cui ci si pone davanti a questi problemi. L'unità europea - e, in questa, lo sviluppo, e i limiti, delle autonomie, secondo quanto abbiamo indicato - stands or falls con questo «disegno». Sarebbe un'illusione cercare nei meccanismi giuridici un surrogato a tale progetto, a questa volontà di «vivere insieme per qualcosa di grande*. Le istituzioni possono essere strumento utile, e anzi indispensabile, a guidarla e irrobustirla, se esiste: a renderla «vertebrata», nel senso di Ortega. Ma non possono sostituirla, e tanto meno crearla. COMUNI D'EUROPA Organo dell'a.1.c.c.e. ANNO XXXI - N. 2 FEBBRAIO 1983 Direttore resp.: UMBERTO SERAFINI Condirettore : GIANFRANCO MARTINJ Redattore capo: EDMONDO PAOLINI D~REZIONE. REDAZIONE E AMMINIS~RAZIONE Piazza di Trevi, 86 - Roma Indir. telegrafico: Comuneuropa - Roma Abbonamento annuo per la Comunità europea, ivi inclusa l'italia. L Abbonamento annuo estero L Abbonamento annuo per Enti L Una co?ia L. l.o00 - (arretrata L ) - Abbonamento sostcnitore L Abbonamento benemerito L I versamenti debbono essere effettuati su/ C/C postale n intestato a: Istituto Bancario San Paolo di Torino, Sede di Roma - Via della Stamperia, 64 - Roma (tesonire dell'aicce), oppure a mezzo assegno circolare - non trasj'èribile - intestalo a «AICCE», specgficando sempre la causale del versamento. Aut. Trib. Roma n dell'll LITOTIPOGRAFIA RUGANTINO ROMA Associato all'uspi LJnione Stampa Periodica Italiana

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