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1 CHIESA ITALIANA Carità e verità Terremoto e vita umana: un unico "sì" alla persona Carità e verità saranno, con ogni probabilità, le due parole-chiave dell'enciclica sociale di Benedetto XVI di cui molto si parla. E sono anche la cifra di un pontificato, che oggi proietta il Papa pellegrino, prima, nell'abruzzo del terremoto e, poi, in Terra Santa. Recentemente Michele Salvati ha sottolineato, in un fondo per il "Corriere della Sera", quanto le iniziative "di carità" della Chiesa - dalla crisi, appunto, al terremoto - suscitino consenso, a differenza delle prese di posizione "intransigenti" in materia di vita e di morale, il cui esito nell'opinione pubblica risulterebbe invece molto più aleatorio. E ha concluso: "Non converrebbe alla Cei concentrarsi maggiormente su un terreno, quello della carità, in cui la Chiesa di sconfitte non ne può subire?". Sottile seduzione, questa, che ciclicamente si ripropone, come ciclicamente si ripresenta una contrapposizione (anche, talora, nel dibattito intra-ecclesiale) tra una Chiesa attiva nelle opere di carità e un'altra invece più "occhiutamente" concentrata sui principi. Gli anni del post-concilio sono stati segnati da queste discussioni, e anche esperienze forti come quelle latino-americane ne sono state attraversate. La conclusione è stata molto esplicita. L'originalità, la caratteristica e la forza di testimonianza del cattolicesimo oggi è proprio nell'attenzione globale e disinteressata alla persona. Questa peraltro è sempre stata la cifra della dottrina sociale e della quasi bicentenaria vicenda del "movimento cattolico". Questa è la testimonianza della santità sociale: gli ultimi due secoli sono costellati di personalità, preti e laici, frati e suore, attivi e creativi nella vita sociale, capaci d'intervenire in modo originale e pregnante sulle emergenze sociali, le più diverse, proprio in forza del "di più" che viene dalla fede e da una visione integrale della persona. È qui la radice della "Chiesa del sì", come ripete, sulla scorta del magistero papale, il presidente della Cei. Il cardinale Angelo Bagnasco infatti non ha mancato di sottolineare in molti dei suoi più recenti interventi proprio questo unto. È la realtà dinamica, di una Chiesa che annuncia e accompagna, che costantemente si riferisce ad una "persona ricondotta ad unità". Certo non è facile sostenere le ragioni dell'unità in una società, che - molti dicono - è fatta a "coriandoli", che sembra sfilacciarsi e sfrangiarsi da tutte le parti. Eppure questo è il punto, perché non si tratta di un'unità astratta, politica o intellettuale, ma parte dalla realtà della vita e della condizione umana. È il profilo di una Chiesa di popolo, attenta a distinguere il vero dal falso, il male dal bene, convinta nell'impegno educativo e, nello stesso tempo, presente su tutte le emergenze. Con un traguardo di speranza per tutti: la terza parolachiave del magistero e del pontificato di Benedetto XVI. SIR PAPA IN ABRUZZO La Chiesa è qui Da Onna un messaggio di solidarietà e fiducia "Siamo immensamente grati per la vicinanza che ci ha mostrata. Crediamo con tutto il cuore che la Sua venuta tra noi, questo Suo sostare in mezzo alle nostre ferite e al nostro dolore, sia un passaggio benedetto dal Signore, del quale il Signore si serve per portare conforto, speranza, aiuto. Ed anche guarigione". Lo ha detto l'arcivescovo de L'Aquila, mons. Giuseppe Molinari, nel suo saluto a Benedetto XVI, che si è recato il 28 aprile in Abruzzo per manifestare la sua vicinanza alle popolazioni colpite dal terremoto. "Sono venuti tanti fratelli e sorelle tra noi, in questi giorni - ha aggiunto mons. Molinari -. E non li ringrazieremo mai abbastanza per la loro incredibile e commovente solidarietà. Sono venuti anche rappresentanti delle istituzioni e della politica. E ci hanno mostrato tanta solidarietà e ci hanno fatto tante promesse. Beatissimo Padre, noi vorremmo che Lei pregasse insieme a noi, oggi, perché questa solidarietà continui nel tempo e le promesse vengano mantenute". "Il Signore non vi abbandona". "Cari amici, la mia presenza tra voi vuole essere un segno tangibile del fatto che il Signore crocifisso è risorto e non vi abbandona; non lascia inascoltate le vostre domande circa il futuro, non è sordo al grido preoccupato di tante famiglie che hanno perso tutto: case, risparmi, lavoro e a volte anche vite umane". Lo ha sottolineato Benedetto XVI, a Onna, uno dei centri più colpiti dal sisma. Certo, ha osservato il Papa, la "risposta concreta" del Signore "passa attraverso la nostra solidarietà, che non può limitarsi all'emergenza iniziale, ma deve diventare un progetto stabile e concreto nel tempo". Di qui l'incoraggiamento a "tutti, istituzioni e imprese, affinché questa città e

2 questa terra risorgano". Non è mancata "una parola di conforto" circa i morti: "Essi sono vivi in Dio e attendono da voi una testimonianza di coraggio e di speranza. Attendono di veder rinascere questa loro terra, che deve tornare ad ornarsi di case e di chiese, belle e solide". Secondo il Papa, "è proprio in nome di questi fratelli e sorelle che ci si deve impegnare nuovamente a vivere facendo ricorso a ciò che non muore e che il terremoto non ha distrutto: l'amore. L'amore rimane anche al di là del guado di questa nostra precaria esistenza terrena, perché l'amore vero è Dio. Chi ama vince, in Dio, la morte e sa di non perdere coloro che ha amato". Coraggio, dignità e fede. "La Chiesa tutta - ha chiarito - è qui con me, accanto alle vostre sofferenze, partecipe del vostro dolore per la perdita di familiari ed amici, desiderosa di aiutarvi nel ricostruire case, chiese, aziende crollate o gravemente danneggiate dal sisma". "Ho ammirato il coraggio, la dignità e la fede - ha aggiunto - con cui avete affrontato anche questa dura prova, manifestando grande volontà di non cedere alle avversità". Il Santo Padre, infatti, si rende "ben conto che, nonostante l'impegno di solidarietà manifestato da ogni parte, sono tanti e quotidiani i disagi che comporta vivere fuori casa, o nelle automobili, o nelle tende, ancor più a causa del freddo e della pioggia. Penso poi ai tanti giovani costretti bruscamente a misurarsi con una dura realtà, ai ragazzi che hanno dovuto interrompere la scuola con le sue relazioni, agli anziani privati delle loro abitudini". "La mia preghiera - ha sostenuto il Papa - è per voi. Il Signore ci aiuterà. Siamo insieme. Grazie per la vostra fede, il vostro coraggio, la vostra speranza". Simbolo di rinascita. "Ho nel cuore per tutte le vittime di questa catastrofe: bambini, giovani, adulti, anziani, sia abruzzesi che di altre regioni d'italia o anche di nazioni diverse". Con queste parole il Papa si è rivolto ai fedeli delle zone terremotate che hanno gremito il piazzale della Guardia di finanza di Coppito, ultima tappa della visita in Abruzzo. Per il Pontefice è stato "assai toccante pregare davanti alla Casa dello studente, dove non poche giovani vite sono state stroncate dalla violenza del sisma. Attraversando la città, mi sono reso ancor più conto di quanto gravi siano state le conseguenze del terremoto". Il piazzale della Guardia di finanza di Coppito, "luogo consacrato dalla preghiera e dal pianto per le vittime", è diventato, a giudizio di Benedetto XVI, "il simbolo della vostra volontà tenace di non cedere allo scoraggiamento" e della "ferma intenzione di ricostruire la città con la costanza caratteristica di voi abruzzesi". Comunque, ha evidenziato il Papa, "il tragico evento del terremoto invita la comunità civile e la Chiesa ad una profonda riflessione". In particolare, "come comunità civile occorre fare un serio esame di coscienza, affinché il livello della responsabilità, in ogni momento, non venga mai meno". Solo "a questa condizione, L'Aquila, anche se ferita, potrà continuare a volare". Durante la sua visita in Abruzzo, nella basilica di Santa Maria di Collemaggio a L'Aquila il Pontefice ha reso omaggio alla tomba di Celestino V, deponendo sull'urna il proprio pallio pontificio. Le spoglie del Papa simbolo della spiritualità abruzzese, erano state portate via per motivi di sicurezza a seguito del sisma e sono state ricollocate in basilica proprio in occasione della visita di Benedetto XVI. PAPA IN ABRUZZO Il forte abbraccio Onna: centro e simbolo della tragedia A Benedetto XVI Onna non ha mostrato solo le sue macerie, quelle provocate dal sisma del 6 aprile e nelle quali sono morte 40 persone, ma anche quella fierezza e quell'orgoglio che non permettono di piangersi addosso e che spingono a reagire e a ricominciare. La visita del Papa, il 28 aprile, a Onna, centro simbolo della tragedia provocata dal terremoto, è stata più che altro un abbraccio reciproco, un incontro atteso e voluto da tutti. Lo ha ben spiegato l'arcivescovo de L'Aquila, mons. Giuseppe Molinari, che ha parlato di "una visita voluta personalmente dal Papa che ci ha fatto questo grande dono". L'attesa. Per questa visita gli onnesi si sono preparati per tempo. Nella loro chiesa tendone, all'esterno del quale troneggia un piccolo campanile, hanno posto una piccola statua di Gesù Bambino su un cuscino rosso, proprio al centro dell'altare, con un'icona della Madonna con Bambino. Il maltempo di questi giorni, con piogge e freddo che hanno martellato le tende, non hanno fermato i preparativi per la visita. All'ingresso un rappresentante della Protezione Civile ha dipinto il simbolo di Onna, un sole che manda i suoi raggi su un campo blu, mentre altri volontari hanno sistemato dei fiori per abbellire il campo. In perfetto ordine Onna ha accolto Benedetto XVI giunto in auto e non in elicottero come previsto. "Abbiamo bisogno di parole di speranza e di coraggio la nostra paura è quella di restare soli, per questo chiediamo al Papa di non abbandonarci", è stato il grido della gente. Un grido che ha trovato risposta nelle successive parole del Pontefice. Forse mai come ad Onna il Papa ha avuto fisicamente vicino tanta gente. Su una pedana ha letto il suo discorso, seguito in silenzio dalle 150 persone del campo che lo attorniavano insieme agli operatori della Protezione Civile e alle forze dell'ordine. Poi strette di mano e saluti. Non c'è stato spazio per applausi o slogan, ma un "dignitoso silenzio" ha fatto da sfondo alla breve cerimonia. Un vero abbraccio. Alla partenza di Benedetto XVI, le voci della gente hanno dato sfogo alle prime reazioni: "Un bravo nonno che ha dispensato parole di saggezza, fede e coraggio" è stato il commento di padre Mario, dei frati cappuccini di

3 Assisi, "in servizio ad Onna dal 7 aprile, il giorno dopo il sisma". "La popolazione intera, non solo quella di Onna, ha bisogno di sentirsi rassicurata, incoraggiata. La visita del Papa non è stata di cortesia, o peggio una formalità, ma un vero abbraccio alla gente sofferente. Con la sua presenza ha voluto dire la Chiesa c'è, è presente e resta con voi. Ma altrettanto importante per il Papa l'impegno delle istituzioni e delle imprese. Non si può vivere in emergenza, questa deve finire per ridare spazio alla normalità e al futuro. Oggi Benedetto XVI ha voluto ricordare questo a tutti". Dello stesso parere il gesuita padre Massimo Nevola, che coordina la Ong "Magis" impegnata tra Onna, Collemaggio e L'Aquila. I suoi giovani hanno il compito di inserire i dati dei fabbricati colpiti nei data base di Vigili del fuoco e Protezione Civile. "Il Papa ha toccato il cuore di questa gente fiera evidenziandone le paure ma anche il grande coraggio e la volontà di rinascere. Il terremoto è stata una tragedia, ma, è stata l'esortazione del Pontefice, non ha distrutto l'amore". "Guardare in alto. È la medicina consigliata dal Papa per superare la tragedia del terremoto". Gabriele De Cata è il medico condotto di Onna, la sua casa con l'ambulatorio sono andate distrutte nel sisma ed ora vive nel campo con il resto della popolazione. "L'abbraccio di Benedetto XVI - dice De Cata - ha scosso le coscienze svegliandole da un torpore nel quale si rischia di cadere quando si subiscono traumi del genere. La nostra gente è traumatizzata, adesso quasi priva di identità, in venti secondi sono stati cancellati anni di vite e di storie. L'esortazione di Benedetto XVI è stata quella di guardare in alto, di avere fede, quella stessa fede che la gente qui non ha perso anzi ha riscoperto. La solidarietà ricevuta in questi giorni è servita a riscoprire antichi valori". Volontari musulmani. Tra gli onnesi c'erano anche volontari di fede musulmana venuti per salutare Benedetto XVI. A parlare per loro Paolo Gonzaga, direttore dell'islamic Relief, questo il nome della Ong presente al campo con circa 10 persone. "Cooperiamo con la Caritas e con altre associazioni presenti - racconta -. In particolare ci occupiamo delle cucine, del servizio ai tavoli, della pulizia e della sorveglianza. In questo impegno siamo sostenuti da una serie di centri islamici dell'emilia Romagna che hanno creato un gruppo per l'abruzzo". "È anche in momenti come questo che il dialogo interreligioso e la conoscenza reciproca trovano concretezza - è la conclusione di Gonzaga - quando ci si conosce cadono barriere e steccati". PAPA IN ABRUZZO Nonostante la pioggia La corsa di tanta gente Ventitre giorni fa il terremoto ha portato a L'Aquila e dintorni morte e dolore. Il 28 aprile, malgrado il maltempo, la visita di Benedetto XVI ha portato uno spiraglio di luce. Tanta l'attesa da parte della gente che non è stata delusa come dimostrano i numerosi momenti toccanti che hanno scandito l'incontro del Papa con le popolazioni colpite dal sisma. Il futuro non è crollato. "È vero il nostro presente è crollato come le pareti della Casa dello studente", ma il Papa è venuto "a ricordarci che il nostro futuro non è crollato perché siamo feriti ma continuiamo a credere in un Signore che è risorto. Abbiamo sperimentato il momento della croce ma ora attendiamo la resurrezione, che è per sempre". Sono parole di don Luigi Epicoco, parroco dell'università, che ricorda: "Una delle categorie più colpite da questa tragedia sono i 30 mila studenti universitari il cui futuro, data l'inagibilità di molte sedi universitarie, è in bilico". Benedetto XVI, dopo la sosta alla basilica di Collemaggio, si è fermato in via XX settembre, davanti ai resti della Casa dello studente crollata durante il sisma. Dopo un breve colloquio con un vigile del fuoco che gli ha fornito spiegazioni sul crollo dell'edificio, il Pontefice ha incontrato dodici studenti, sei ragazzi e sei ragazze, tutti residenti nel centro storico, alcuni proprio nella Casa. Li ha salutati ad uno ad uno, chinandosi verso di loro per stringerne le mani, ascoltando con attenzione quanto avevano da dirgli. Un incontro commovente. "È stato un incontro commovente: il Santo Padre ha voluto sapere personalmente da ognuno di noi cosa studiavamo e il motivo per cui eravamo a L'Aquila. Come un Padre ha incoraggiato i suoi figli a non abbandonarsi al dolore e a tenere fissa la strada verso Colui che salva". Così racconta il suo incontro con Benedetto XVI, davanti alla Casa dello studente, Stefano Calvano, studente di fisica. "Il Papa - continua Calvano - è rimasto molto colpito davanti alle macerie della Casa e, vedendo che tra di noi c'erano molti studenti di ingegneria, ci ha affidato la ricostruzione della città perché tragedie come questa non ricapitino più". Ha dato coraggio. Nonostante la pioggia tanta gente è corsa all'incontro con Benedetto XVI. "La visita del Papa - osserva don Pablo Scaloni, sacerdote che da una decina di giorni lavora nelle tendopoli al fianco dei parroci - dimostra la presenza della Chiesa come madre. Una Chiesa non solo presente con l'assistenza materiale ma pronta a correre a confortare i suoi figli che vivono nella sofferenza. Nei giorni scorsi ho visto nelle tendopoli molta gioia per questo arrivo. La gente ha voglia di esserci". "Dal terremoto ci sono giorni in cui piangiamo e giorni in cui ridiamo ma questa è stata una giornata bellissima. Il Papa è venuto a risollevarci e a dirci di andare avanti per ricostruire il nostro futuro", dice Caterina Cerosa, che vive nella tendopoli di Fossa.

4 Una rosa per la Madonna di Roio. Tra i fedeli radunati nel piazzale della caserma di Coppito, circa 3 mila secondo l'arcidiocesi, anche quelli di Roio che al termine del Regina Caeli si sono stretti attorno alla statua della loro Madonna, davanti alla quale il Santo Padre ha deposto una rosa d'oro. "La rosa è un fiore bellissimo - commenta il parroco di Roio, don Osman Prada - ma prima di arrivare ai petali si passa dalle spine. Come noi che stiamo vivendo giorni di dolore ma guardiamo con speranza al futuro". Il santuario della Madonna di Roio è inagibile dal giorno del sisma. "Pochi giorni dopo - a precisa il parroco - siamo entrati con i Vigili del fuoco per recuperare la statua. Le due statue dei santi, accanto alla Vergine, erano cadute mentre quella della Madonna è rimasta in piedi. Quando l'abbiamo portata nel mezzo del campo la gente, vedendola, ha iniziato a piangere e a pregare. Per questo in tanti abbiamo voluto essere qui per vivere questo momento di gioia con il Santo Padre". Il grazie dell'arcivescovo e della diocesi. A poche ore dalla conclusione della visita, l'arcivescovo de L'Aquila mons. Giuseppe Molinari, insieme al clero e a tutta l'arcidiocesi, ha espresso il ringraziamento al "Santo Padre per il gesto di intensa paternità e grande attenzione dimostrata nei confronti della popolazione colpita dal terremoto". L'arcivescovo ha manifestato gratitudine a Benedetto XVI per "il dono del Sacro Pallio (da lui indossato nel giorno dell'inizio del suo pontificato) a Celestino V", per la rosa d'oro donata alla Madonna di Roio e per "la consistente offerta in denaro all'arcivescovo e all'arcidiocesi, segno della vicinanza personale e spirituale del Santo Padre. Insieme con il dono del Santo Padre sono stati fatti pervenire anche i doni delle Suore Brigidine di Roma e del Corpo delle Guardie Svizzere". "Possano le parole della fede e della speranza donate dal Santo Padre essere un primo fecondissimo seme di un mondo nuovo che si intravede già dietro le rovine del terremoto" è l'auspicio conclusivo dell'arcivescovo, che assicura: "Noi, aquilani, continueremo a dire tutta la nostra gratitudine al Santo Padre, a pregare per Lui. E siamo certi che il Santo Padre non ci dimenticherà, ma ci porterà sempre nel cuore". SERVIZI A CURA DI MICHELE LUPPI E DANIELE ROCCHI inviati SIR a L'Aquila PAPA IN ABRUZZO Ha aperto un cantiere Da luoghi di dolore a luoghi di speranza "Hai trasformato il nostro lamento in danza". Questo versetto dei Salmi è la descrizione poetica di quello che è accaduto a noi e alla nostra gente a L'Aquila, durante la visita del Papa. Abbiamo tutti sperimentato, nonostante gli occhi ancora gonfi di lacrime, che persino i pianti possono diventare fecondi quando qualcuno ti ricorda che non tutto è perduto se rimane la voglia, la decisione, la passione di voler ricominciare. Questo ha fatto per noi il Santo Padre. Ci ha confermati nella fede ma soprattutto nella speranza. È venuto a rialzare i muri caduti delle nostre certezze e dei nostri entusiasmi, e ci ha indicato direzioni più alte delle macerie che ci circondano. Si sa, quando si soffre, la sofferenza rischia di diventare totalizzante; l'unica chiave di lettura di tutta la storia. Ma chi ti vuole davvero bene non ti compiange, né ti abbandona, ma ti aiuta a ricordare, a guardare tutta la realtà, non solo quella che fa più rumore e più male. Così anche la pioggia silenziosa è diventata una benedizione, e quel sole nascosto dietro le nuvole l'ho visto risplendere sui volti della gente, della nostra gente. Fra i sorrisi rugosi degli anziani e le inquietudini dei bambini, tra gli occhi lucidi dei giovani e le mani strette dei superstiti. Il Papa è con noi. Il Papa non ha regalato scampoli di benedizioni ma ci ha offerto una paternità forte su cui poggiare progetti di ricostruzione che non possono crescere orfani di amore. Solo quando qualcuno si sente amato riesce ad osare, a rischiare, a provare vie audaci di ripresa. È questo Amore che abbiamo sperimentato tutti. Certe cose, però, non le puoi davvero raccontare, perché la parola tradisce l'esperienza. Puoi solo sperare che gli altri si fidino che ciò che hai vissuto non ha la durata di un'emozione ma il respiro di una vita diversa, migliore. Onna non è più solo la capitale di questo terremoto ma è l'avamposto da cui proclamare che è tempo di svegliarsi dai convenevoli della tragedia e che è pronta la primavera della gente, delle istituzioni, della Chiesa e di tutti gli uomini di buona volontà. Collemaggio non è più solo una Basilica caduta ma il cantiere di una Chiesa più grande di quel recinto che non ha bisogno solo di un tetto nuovo ma di fedeli nuovi, non più sonnecchianti fra i banchi ma pronti alle porte per portare nel mondo quella buona novella del perdono che il Santo papa Celestino ha lasciato in quel luogo. La Casa dello studente non è più soltanto il teatro macabro di chi ha visto tradito il proprio futuro ed è rimasto seppellito tra quelle mura. Ma è il promemoria per chi vorrà ricostruire, affinché l'ingegneria sia abitata non solo dai buoni calcoli ma da consapevoli coscienze che sanno riconoscere il valore della vita più grande di quello degli interessi. Questo ha fatto il successore di Pietro. Ha trasfigurato l'orrore in opportunità, "il nostro lamento in danza". Ora, però, non è più tempo di utopie ma di impegno. Da oggi la nostra speranza è un cantiere. LUIGI MARIA EPICOCO <br>assistente Fuci per l'aquila e l'abruzzo

5 PAPA IN ABRUZZO La strada più lunga La Chiesa nel tempo della ricostruzione Ci sono momenti che marcano a fuoco la storia di un'intera comunità. E ci sono persone alle quali la storia ha affidato il peso e la responsabilità di essere da loro interpretata. Il Papa arriva nel paese più violato dal terremoto dello scorso 6 aprile ed incontra i sopravissuti, riconoscendosi "una povera presenza tra voi". L'umiltà di questa confessione racchiude l'impotenza davanti alla tragedia, confermata e amplificata da ogni angolo su cui cade l'occhio: le tende, che hanno sostituito le case; la pioggia incessante e invadente nella sua umidità; le scarpe che affondano nel fango; le lacrime mute che solcano visi fatti pietra dal dolore. Ma quella "povera presenza" non vuol essere segno soltanto di crocifissione. Riassume in sé "la Chiesa tutta - che, secondo le parole di Benedetto XVI - è qui con me, accanto alle vostre sofferenze, partecipe del vostro dolore, desiderosa di aiutarvi nel ricostruire". C'è in queste parole un'indicazione precisa del luogo nel quale la Chiesa pianta la sua tenda, luogo che è suo da sempre e alla cui fedeltà sono legate le sue pagine più grandi. Non stupisce, allora, la prospettiva: "La nostra solidarietà non può limitarsi all'emergenza iniziale, ma deve diventare un progetto stabile e concreto nel tempo". Questa Chiesa percorre la strada più lunga - quella che porta appunto a farsi prossimo - nei pochi metri di ghiaino della tendopoli, che il Papa attraversa lentamente, prima di salire sulle quattro assi di un'improvvisata pedana. Questa Chiesa è nelle braccia che sollevano l'ultimo nato ("Santità - dice la madre con voce strozzata - avremmo dovuto battezzarlo a Pasqua..." e il Papa lo chiama per nome: "Simone..."); nelle mani che s'intrecciano a quelle disperate di una ragazza nel sussurro di una preghiera; nel gesto di tenerezza riservato ad una volontaria ("Lei da dove viene? Da quanto tempo è qui?"). A questa Chiesa Benedetto XVI ha dato un volto quando, poco dopo, defilandosi dalle telecamere, entra nella zona rossa di Onna fino a ciò che resta della parrocchia: un'acquasantiera colma di calcinacci, un confessionale in piedi fra le macerie, un lembo di tovaglia che esce dai detriti del tetto, che seppellisce l'altare. Le sue parole danno voce ai morti per assicurare che "sono vivi in Dio" e che proprio "in loro nome ci si deve impegnare nuovamente a vivere facendo ricorso a ciò che il terremoto non ha distrutto né può distruggere: l'amore". Quell'amore incarnato nei tanti volontari per i quali l'abruzzo è ormai cosa che li riguarda; quell'amore che ha dato uno scossone alla spina dorsale del Paese, risvegliando una partecipazione e una generosità che parevano dimenticate; quell'amore che la motosega di un vigile del fuoco ha intagliato in una delle travi che puntellano la chiesa di Onna, ricavandone un Cristo. Segno anche quest'ultimo che il Signore - per dirlo ancora con le parole di benedetto XVI - è realmente risorto, non ci dimentica e non vi abbandona". (Da Onna - L'Aquila) <BR>IVAN MAFFEIS <br>direttore "Vita Trentina" (Trento) PAPA IN ABRUZZO Con lo stile di un padre Parole e gesti di incoraggiamento e speranza Mentre si consuma la tragedia di un popolo provato e allo stremo delle forze, a L'Aquila è arrivato il Papa. Benedetto XVI è andato lì solo ed unicamente perché ama quella Chiesa e quella gente, così come ama tutta la Chiesa e tutta la gente del mondo. E lo ha dimostrato ricordando che è "venuto di persona per esprimere la cordiale vicinanza". "Il Papa - ha affermato mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto - viene a testimoniare il Dio vicino, umile con gli umili, e proprio così conferma la fede della nostra gente. Non di meno, egli annuncia il Dio vindice dei poveri, forte ed esigente con i forti: il primato della carità, che urge più che mai esercitare in questa prova, non esclude il corso della giustizia, anzi lo esige, affinché non si ripetano simili tragedie". La cronaca ci ha riferito che il maltempo ha impedito all'elicottero papale di alzarsi in volo, così la visita è iniziata con un'ora di ritardo visto che il trasferimento in Abruzzo è stato effettuato in macchina. Benedetto XVI ha visitato anzitutto Onna, il piccolo centro alle porte del capoluogo abruzzese, quasi completamente distrutto dal sisma e che ha pagato l'altissimo prezzo di tanti morti. Ad accoglierlo tra le rovine, l'arcivescovo Giuseppe Molinari, il parroco don Cesare Cardozo e le Istituzioni. Ha parlato con la gente, il Papa; ha abbracciato i bambini, ha ascoltato commosso il racconto dei sopravvissuti offrendo parole di speranza a chi ha perduto i propri cari, come un padre in mezzo ai suoi figli. E di fronte alla paura di restare soli, il Pontefice ha chiaramente ribadito la sua volontà di non abbandonarli. La sua presenza, così, ha voluto essere un segno tangibile del fatto che "il Signore crocifisso e risorto non vi abbandona, non lascia inascoltate le vostre domande circa il futuro, non è sordo al grido preoccupato di tante famiglie che hanno perso

6 tutto". Le soste nella basilica semidistrutta di Collemaggio (dove il Santo Padre è entrato per la Porta Santa, ha pregato alcuni istanti dinnanzi all'urna di papa Celestino V e ha deposto sul simulacro del Santo un pallio pontificio) e davanti alla Casa dello studente (dove ha incontrato una delegazione di giovani, visibilmente commossi, assieme al parroco don Luigi Epicoco) sono state un ulteriore segno di speranza per la città, speranza che non può non passare per la Chiesa e l'università: luoghi - il primo, della comunità e, l'altro, dei giovani - che devono essere accoglienti e sicuri. Quindi l'incontro con la comunità aquilana a Coppito, nella sede della scuola della Guardia di finanza, il baluardo che ha resistito alle scosse assieme alla vicina chiesa di Pettino. Dopo i saluti del'arcivescovo aquilano, del presidente della Regione Gianni Chiodi e del sindaco Massimo Cialente, Benedetto XVI ha offerto, con parole d'amore, una via di salvezza: la fede che, passando per la verità, si fa solidarietà, carità. "La solidarietà - ha detto il Papa - sebbene si manifesti particolarmente in momenti di crisi, è come un fuoco nascosto sotto la cenere. La solidarietà è un sentimento altamente civico e cristiano e misura la maturità di una società. Essa in pratica si manifesta nell'opera di soccorso, ma non è solo una efficiente macchina organizzativa: c'è un'anima, c'è una passione, che deriva proprio dalla grande storia civile e cristiana del nostro popolo, sia che avvenga nelle forme istituzionali, sia nel volontariato. Ed anche a questo, oggi, voglio rendere omaggio". Una visita, quella di Benedetto XVI alle zone terremotate d'abruzzo, carica dunque di tanti significati: dalla speranza di un popolo provato, all'impegno delle istituzioni; dalla responsabilità per una ricostruzione adeguata, alla solidarietà del Paese che esprime in questi frangenti il meglio; dalla vicinanza ai bisogni materiali e spirituali, alla verità quale ricerca e conquista. Il tutto con uno stile semplice e delicato di prossimità, senza clamori, nel perfetto stile di un padre che con amore accompagna il cammino, spesso di sofferenza e di dolore, dei suoi figli. ROCCO D'ORAZIO <br>direttore "Il Nuovo Amico del Popolo" (Chieti-Vasto) TERREMOTO IN ABRUZZO Le tende dell'incontro Dalla scuola alla mensa Nella tendopoli di Sassa Scalo, frazione de L'Aquila, ogni mattina il grande tendone utilizzato per la mensa si trasforma in una scuola capace di ospitare circa 300 alunni. Sono sufficienti alcuni cartelli, appesi alle pareti in prossimità di uno o più tavoli, per cambiare volto a quello spazio. Ogni cartello riporta il livello della classe e indica i tavoli attorno a cui gli insegnanti fanno lezione o, almeno, ci provano. Perché non è facile tenere tanti ragazzi, dai 4 ai 18 anni, tutti insieme, in un unico spazio. "Pochi giorni dopo il terremoto insieme ad un'altra insegnante abbiamo iniziato a radunare alcuni ragazzi del campo e a fare un po' di attività", spiega Rosalba Pozzi, una delle responsabili. "In quel momento - aggiunge - era importante tenerli con noi, farli stare insieme perché, soprattutto i più grandi, avevano l'esigenza di raccontare e di sfogarsi dopo quello che era successo". È iniziata così l'avventura di questa scuola, una delle prime a nascere, ancora prima di quella inaugurata dal ministro dell'istruzione, Mariastella Gelmini, nel piccolo paese di Poggio Picenze. Voglia di ritrovarsi e di stare insieme. In poche settimane la scuola ha continuato a crescere. "La presenza di così tanti ragazzi in un unico ambiente non ci permette di tenere vere lezioni - racconta Pozzi - preferiamo puntare su lavori creativi e didattici come i laboratori di disegno e teatro o di lettura. È nato persino un giornalino scolastico dove i ragazzi raccontano la loro vita nella tendopoli. Tutto per spingerli ad esprimere quello che hanno dentro, confrontandosi con coetanei che hanno vissuto la stessa esperienza. I funzionari del ministero hanno promesso di fornirci presto quattro tende così potremo dividere gli alunni nei quattro ordini scolastici: scuola dell'infanzia, primaria di primo e secondo grado, secondaria". Tutto a Sassa Scalo è nato spontaneamente dalla volontà di insegnanti e genitori che hanno deciso di rimboccarsi le maniche. "Accogliamo tutti i ragazzi in età scolare - spiega Tamara Aversa, l'altra responsabile - senza fare distinzioni sulla scuola di provenienza. Non possiamo fare altrimenti. Al momento abbiamo 38 insegnanti, tra cui alcuni di sostegno per i bambini con difficoltà di apprendimento, che provengono da vari istituti, chiusi e inagibili; tutti sono venuti qui volontariamente. Anche i ragazzi sono arrivati con il passaparola, questo dimostra il loro bisogno di socialità, di essere impegnati. Cerchiamo di recuperarli dall'apatia e dalla noia che potrebbe prenderli nei campi stimolando la loro voglia di stare insieme". Ripartire dalla scuola. Secondo i dati dell'ufficio scolastico della Regione Abruzzo sono 78 le scuole inagibili nelle zone colpite dal sisma. Una situazione che crea problemi per la conclusione dell'anno scolastico ma, soprattutto, non dà certezze per l'inizio del prossimo. "Il nostro obiettivo - afferma Emanuele Nicolini, vicedirettore dell'ente - è attivare al più presto una scuola in ogni campo. Per questo abbiamo nominato un responsabile per ogni Centro operativo misto (i centri di comando dispiegati nelle aree terremotate, ndr) con il compito di organizzare l'attività scolastica. Ovviamente, in questa fase dobbiamo parlare di attività didattica in senso generale perché non possiamo garantire che in ogni tendopoli ci siano tutte le materie. Spesso gli insegnanti sono anch'essi sfollati o docenti che, non potendo più insegnare nella propria scuola perché inagibile, si offrono per lavorare nelle tende. Riattivare le scuole è importante non solo per gli

7 alunni ma anche per i genitori che hanno così l'opportunità di tornare a lavorare". Al momento non si hanno numeri precisi sulle scuole attivate, molto è lasciato ancora alla spontaneità dei singoli, ma è in corso il censimento ufficiale. Studiare sulla costa. Sono molte le famiglie che hanno preferito portare i figli lontano da L'Aquila e dal ricordo del terremoto. Secondo i dati della Protezione Civile sono 27 mila le persone ospitate in alberghi e appartamenti sulla costa adriatica. Per facilitare il loro rientro a scuola il ministero dell'istruzione ha autorizzato alunni ed insegnanti ad iscriversi e a prendere servizio nell'istituto più vicino alla nuova dimora. "Sono gli alunni che dal terremoto frequentano le lezioni nelle scuole sulla costa", precisa Nicolini, che aggiunge: "Queste misure, insieme alle lezioni riprese in alcuni campi, hanno l'obiettivo di portare a termine l'anno scolastico. Da settembre pensiamo che alcune scuole potranno riaprire e, organizzandole su più turni, rispondere alle esigenze di una parte degli studenti. Per gli altri si continuerà con l'organizzazione nei campi". Al termine della scuola a Sassa Scalo genitori e nonni arrivano a prendere i bambini che aspettano fuori dal tendone. Lì accanto, nel viale d'ingresso, due scuolabus sono fermi, con le porte aperte. Nel tendone volontari e insegnati sgomberano e puliscono i tavoli. Il materiale viene portato verso il fondo dove è allestito un piccolo magazzino. È arrivata l'ora del pranzo. A CURA DI MICHELE LUPPI inviato SIR a L'Aquila TERREMOTO IN ABRUZZO Parole, gesti, immagini Tra i volontari e la gente delle tendopoli Nel lasciare i campi di accoglienza, dove migliaia di sfollati continuano a raccogliersi soprattutto la notte quando più forte ritorna la paura, rimangono a lungo le immagini, le parole, i gesti della vita che scorre tra le tende. I primi volti sono quelli dei giovani: dietro la comprensibile fretta del racconto mediatico c'è la lentezza delle ore spese in mille servizi diversi. Una presenza straordinaria e quotidiana che dice di una generazione attenta ai grandi valori della solidarietà e della condivisione, dice di una generazione sensibile al valore inestimabile della vita umana e dice ancora di una generazione rispettosa del valore delle opere compiute dalle persone nei secoli. Opere che un terremoto può distruggere o danneggiare in pochi secondi. È sorprendente vedere con quale delicatezza i volontari impegnati nel recupero del patrimonio artistico mettono in sicurezza statue e dipinti. Ci si rende conto di quanto la memoria sia amata e rispettata dai giovani. C'è un sorriso nel vedere un'opera salvata e c'è il silenzio nel vederne un'altra mutilata o sfregiata. Tutte raccontano la storia, la cultura, la fede di un popolo. Le espressioni del volto dei volontari, moltissime sono le ragazze, dicono più di tante parole. Accanto a questi, i volti degli universitari. Sono tra coloro che hanno pagato il prezzo più alto nel crollo della Casa dello studente. Il 28 aprile hanno incontrato Benedetto XVI, in una lettera gli hanno raccontato il loro dolore per gli amici morti sotto le macerie e il loro impegno per il futuro dell'università che è anche il futuro della città. Infine gesti come quelli incontrati al campo di Piazza d'armi, sabato 25 aprile. Dopo la celebrazione della messa in una tenda utilizzata come aula scolastica, un piccolo corteo percorre i sentieri del campo, guidato da un'anziana donna che reca un mazzo di fiori. Lo depone ai piedi della croce all'ingresso della cappella di tela: lei rappresenta le mamme di tutti coloro che sono morti nell'immane tragedia di una guerra e le mamme di coloro che hanno ricostruito un Paese devastato. C'è silenzio, anche la musica dei ragazzi delle tende vicine si spegne. I frati francescani invitano a una breve preghiera che in questo luogo prende il sapore, del tutto particolare, della speranza. Un ultimo pensiero accompagna il ritorno dai luoghi del terremoto: la chiesa di Pettino a L'Aquila diventata più che magazzino di alimenti e di vestiario un luogo di ascolto e di progetto per il futuro delle comunità cristiane materialmente smembrate e disperse dal sisma. L'emergenza finirà e occorre evitare da subito la frammentazione sociale ed ecclesiale. I parroci, come quello di Pettino, avvertono profondamente questa esigenza, molti sono nelle tende o sui treni fermi alla stazione per condividere tutto con la gente. La loro domanda è già per il dopo: fino a che punto, nelle scelte logistiche e urbanistiche della ricostruzione, sarà possibile ricucire il tessuto umano, sociale e cristiano? Si terrà conto di un inestimabile patrimonio di relazioni tra persone e comunità? La Chiesa italiana, presente nei luoghi del terremoto in tutte le sue diverse espressioni, ha nel cuore l'attesa del vescovo e dei parroci abruzzesi. Sono vivi il desiderio e la volontà di accompagnare la comunità cristiana di questo territorio nel ritrovare, anche fisicamente, se stessa. Questa è la ricostruzione alla quale, in un'intesa profonda e permanente tra memoria e progetto, occorre mettere mano al più presto. Con le nuove generazioni. PAOLO BUSTAFFA

8 TERREMOTO IN ABRUZZO Ricostruire nel tempo Friuli: un'esperienza che si pone con rispetto come utile riferimento 6 maggio 1976, una scossa di 6,4 gradi della scala Richter scuote il Friuli per 56 secondi. Un'altra, di 5 grado, completerà il 15 settembre la distruzione rimasta in sospeso quattro mesi prima. 2 mila morti, 94 mila persone senza tetto, 100 mila edifici da ricostruire o riparare. A 12 ore dal terremoto il governo nomina un commissario straordinario nella persone del sottosegretario Giuseppe Zamberletti. Non esiste ancora la Protezione Civile. Ci sono, però, migliaia di terremotati. La vita nelle tendopoli viene presa in mano, come coordinamento, dai Comitati popolari, con i parroci tante volte in testa. Comitati che riescono a convincere i sindaci a farsi dare sempre più poteri, sia nell'emergenza sia nella ricostruzione. Ed è ciò che accade: con la Regione - dotata di autonomia speciale - che coordina, ma i "funzionari delegati", i sindaci appunto, che gestiscono. In sintonia, talvolta dialettica, con il commissario di governo. La Chiesa s'inserisce in questo nuovo modello di partecipazione. La Caritas con mons. Giovanni Nervo e don Giuseppe Pasini riesce a portare in Friuli 80 diocesi italiane, ciascuna delle quali si prende cura - sono i "gemellaggi" - di una comunità, fino ad attrezzarla anche dei "centri di comunità" che serviranno da sede per le liturgie, ma anche da animazione sociale e, in sostanza, da luogo di ritrovo per ogni decisione da prendere insieme. La parola d'ordine, data dalle stesse parrocchie e pienamente condivisa dall'allora arcivescovo, mons. Alfredo Battisti, è: prima le fabbriche e le case, poi le chiese. Con una preoccupazione che catturava un po' tutti. "Il terremoto del 6 maggio ha demolito il Friuli; quello di settembre ha demolito i friulani - ripeteva mons. Battisti -. Il primo ha distrutto le case, ma ha lasciato la speranza; il secondo sembra aver intaccato anche la speranza". È stata anzitutto la Chiesa ad attivarsi perché questo non accadesse. Anche quando in Friuli arrivarono ingenti risorse, per una ricostruzione "dov'era e com'era". "Mi ricordo di mia madre - scrisse padre Davide Maria Turoldo - un giorno che avevo fame e il piatto era vuoto e le chiedo: «Mame non ese plui nuie» (mamma non c'è più niente). E lei, guardandomi con gli occhi molto tristi, ma sereni, mi disse: «Frut (bambino), bisogna crescere un po' per volta». Credo che in quella risposta sia tutta la saggezza della mia vita, e vorrei che fosse la saggezza anche del nuovo Friuli. Non si può essere onestamente ricchi a tutti i costi né con tutti i mezzi. Ecco: un Friuli che continua ad essere ancora, anche se non povero come un tempo, sempre pulito". Il Friuli pulito così come l'hanno voluto i volontari. "A livello parrocchiale, parroci e laici - ricorda mons. Battisti - hanno promosso una mobilitazione di volontari che sono venuti quasi in punta di piedi nel timore di offendere il nostro dolore; si sono collocati come antenne di ascolto dei bisogni delle famiglie e delle comunità e, come buoni samaritani, si sono chinati a fasciare piaghe di cuori spezzati". Un volontariato che passava soprattutto per i gemellaggi. "Erano basati più che sugli aiuti materiali - spiega mons. Giovanni Nervo - sulla presenza, sul rapporto umano, sulla comunione ecclesiale, sulla condivisione della sofferenza che aveva portato il terremoto e dei problemi che poneva la ricostruzione. La condivisione anche delle battaglie che i friulani sostenevano per difendere la loro identità culturale, per ricostruire i paesi dov'erano e com'erano, per avere una loro università come supporto e sorgente culturale necessaria per una buona ricostruzione non solo materiale". Così è nato "il modello Friuli", guardato con ammirazione anche fuori dai confini dell'italia e riproposto per affrontare molte altre emergenze. Un modello che potrebbe essere efficace anche per un Abruzzo che del Friuli è simile in molte condizioni socioeconomiche e orografiche, ma pure antropologiche e culturali. EZIO GOSGNACH <br>direttore "La Vita Cattolica" (Udine) GENOVA La fede pensata A vent'anni dalla morte del card. Giuseppe Siri Il cardinale Giuseppe Siri ( ) ha guidato la diocesi di Genova per un periodo, che è quasi un record: 41 anni, dal 1946 al Genovese per nascita, conosceva la città come pochi e la amava profondamente. Aveva partecipato a tutte le vicende liete e tristi della città, a cominciare da quelle della Guerra. Vescovo ausiliare dal 1944, aveva lavorato al fianco del card. P.Boetto per salvare il porto di Genova, già minato dagli artificieri tedeschi in fuga. Sarebbe stata una catastrofe. La sua autorità morale era riconosciuta da tutti: nel marzo 1987, qualche mese prima di lasciare la cura pastorale, fu richiesta la sua mediazione per il superamento della lunga ed aspra contesa fra i lavoratori portuali ed il consorzio autonomo del porto. Egli riunì intorno ad un tavolo le parti, che pochi giorni dopo firmarono un impegno di

9 accordo per la soluzione della vertenza. Cultura e teologia. Il card. Siri ha sempre coltivato ed amato la teologia: brillante alunno si laureò all'università Gregoriana (1929) e, presto, cominciò l'insegnamento della teologia dogmatica nel Seminario arcivescovile di Genova. Tra i suoi colleghi: G.Lercaro, futuro cardinale arcivescovo di Bologna, e mons. E.Guano, vescovo di Livorno. Tra i primi studenti, F.Costa, poi vescovo di Crema. Pur tra gli impegni pastorali mai abbandonò la scienza sacra ed anche le scienze umane. Ha lasciato migliaia di scritti, riproposti dalla "Opera Omnia", ancora in fase di pubblicazione. Caratteristica del suo pensiero era il costante riferimento al piano soprannaturale. Questo gli permetteva di vedere la storia e gli avvenimenti con sguardo realista, senza cadere nel pessimismo. Talvolta, le sue intuizioni hanno anticipato i tempi. Negli anni Settanta, per esempio, parlava dell'agonia della ragione, quel regresso che altri chiameranno "pensiero debole". La ragione è in crisi, perché non ci si preoccupa della verità: si preferisce la notizia. Per ridare dignità alla ragione occorre che l'uomo torni ad interrogarsi su quelle domande di fondo che agitano il suo cuore: da dove vengo? Dove vado? Che senso ha vivere, lottare, soffrire? Il card. Siri richiamava i fatti, ne spiegava le cause e ne indicava i rimedi: come tornare ad essere felici, come essere liberi, come essere onesti cittadini. Vita pastorale. Curò con grande impegno la vita pastorale della sua diocesi, compiendo complessivamente ben quattro cicli di visite pastorali, recandosi in ogni parrocchia. Egli era fermamente convinto della validità della parrocchia a motivo del fatto che può raggiungere tutti e guidarli verso la santità. Per questo i parroci, pur tra molti impegni, non dovevano trascurare di insegnare i mezzi dell'ascesi cristiana. Curò particolarmente le vocazioni e la formazione dei sacerdoti. Nel 1959 introdusse in Europa il Serra Club, perché gli sembrava un modo moderno per vivere il comando evangelico di pregare per le vocazioni. Ogni mercoledì si recava in Seminario per incontrare superiori e seminaristi; nel suo lungo episcopato ordinò circa 800 sacerdoti, in prevalenza diocesani. E, tra i sacerdoti del card. Siri, oggi otto sono vescovi. Uno è il card. Angelo Bagnasco. Partecipazione al Concilio. Visse la preparazione e lo svolgimento del Concilio, la cui partecipazione considerò il più alto onore. In seguito, più volte spiegò l'importanza di quello che era avvenuto e i benefici per la Chiesa. Diceva che questa aveva potuto presentare se stessa con una descrizione davvero interiore e profonda. Non una presentazione occidentale, ma una descrizione che trascende, ha le falcate dell'aquila, sovrasta le diverse contingenze come i diversi nazionalismi, culture e rimembranze storiche con cui i membri del Concilio si sono presentati. Al Concilio il cardinale Siri ha avuto un ruolo di primo piano, voluto dai Papi: Giovanni XXIII lo chiamò a far parte della Commissione centrale preparatoria del Concilio Vaticano II; Paolo VI sciolse la Commissione e formò il Consiglio di presidenza del Concilio, chiamando nuovamente l'arcivescovo di Genova a farne parte. Il Consiglio di presidenza, oltre alle adunanze conciliari, si riuniva regolarmente o con il Papa o con il segretario di Stato. Durante le Congregazioni generali Siri intervenne diverse volte sia parlando in aula sia per iscritto. Alla guida della Cei. Ricoprì l'incarico di presidente della Cei per due mandati dal 1959 al 1965, aiutò a compiere i primi passi, convinto degli importanti risultati, che si sarebbero presto raggiunti: i vescovi si sarebbero conosciuti tra di loro, la saggezza dei singoli sarebbe diventata patrimonio di tutti, si sarebbe rinforzata la mutua edificazione e la vera fraternità, si sarebbe a poco a poco elaborata una comune coscienza dei problemi religiosi d'italia e si sarebbe potuto esercitare un benefico influsso sulla vita cattolica del Paese. Il prossimo 5 maggio il card. Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, successore a doppio titolo dell'indimenticato pastore, lo ricorderà ufficialmente nella cattedrale di San Lorenzo. A CURA DI MARCO DOLDI TRIVENETO Un valore aggiunto Scuola paritaria: una conferenza a Padova sulla libertà di educazione "Se la parità viene definita un servizio pubblico dentro il sistema scolastico nazionale, è necessario che la sua attuazione risponda alle finalità proprie della scuola in quanto tale e sia riconosciuta anche sul piano finanziario oltre che pedagogico e culturale una risorsa su cui la società italiana può contare per l'educazione delle nuove generazioni". È quanto scrivono i vescovi della Conferenza episcopale triveneta (Cet), in una lettera indirizzata ai "protagonisti politici, sociali, scolastici ed ecclesiali" in vista di una Conferenza sulla scuola libera e paritaria, in programma a Padova giovedì prossimo, 30 aprile (ore 9-13, Centro Congressi Papa Luciani), per "individuare alcune soluzioni possibili ed attuabili circa alcune questioni interenti al sistema educativo di istruzione e di formazione italiano", quali l'autonomia, la parità ed il federalismo, "a partire dal ricco patrimonio presente nel Nord-Est". Secondo i vescovi della Cet, "è importante che la riflessione sulla scuola paritaria venga collocata all'interno di un più vasto quadro di riferimento che riguarda tutta la scuola in generale e tutte le sue riforme in atto per affrontarla non come questione a parte, ma come valore aggiunto per l'intera scuola italiana, da valorizzare e promuovere in tutte le sue dimensioni".

10 Né privilegi, né pregiudizi. La scuola paritaria - si legge nella lettera, firmata da mons. Cesare Nosiglia, vescovo di Vicenza e delegato Cet per la scuola - non si pone "contro" o "in alternativa" alla scuola statale, "perché garantisce il diritto alla formazione e alla formazione di ciascuno e di tutti". All'interno del passaggio, sancito dall'autonomia, "da una scuola sostanzialmente dello Stato ad una scuola della società civile, con un certo e irrinunciabile ruolo dello Stato, ma nella linea della sussidiarietà", la scuola paritaria "non rivendica diritti o privilegi di parte, ma offre il suo contributo derivante dalla sua identità arricchendo quindi la qualità dell'offerta formativa senza per questo indebolire il riferimento alle norme generali dell'istruzione". Di qui la necessità che "il tema della parità sia adeguatamente sostenuto dalla promozione di una cultura che sia scevra da pregiudizi ideologici e stereotipi che nulla hanno a che vedere con il valore educativo e culturale espresso dalla scuola paritaria e dalla necessaria libertà delle famiglie di poterne usufruire, secondo scelte che non le penalizzino rispetto alle famiglie che scelgono per i figli la scuola statale". Per quanto riguarda il Triveneto, il problema delle scuole paritarie "in alcune Regioni resta problematico e per le scuole paritarie dell'infanzia particolarmente acuto", soprattutto per "la carenza di fondi sicuri, promessi ma non ancora erogati e incerti". Un profilo di responsabilità. "Continuare l'azione di sensibilizzazione delle comunità civili ed ecclesiali" avviata lo scorso dicembre con l'iniziativa "Scuola aperta", per "riscoprire e rilanciare il ruolo determinante delle scuole libere e paritarie presenti nel territorio, proporre un momento di riflessione sul sistema educativo di istruzione e di formazione in Italia oggi, affrontando criticamente alcuni nodi decisivi, quali l'autonomia, il federalismo, la parità con l'apporto delle forze ecclesiali, istituzionali, sociali, scolastiche presenti nel territorio, per il bene di tutti". I vescovi della Cet illustrano così l'iniziativa del 30 aprile, che chiama in causa "tutte le componenti della scuola paritaria, ma anche quanti operano in quella statale e comunale, genitori, dirigenti, studenti e personale, le componenti della comunità cristiana e i responsabili scolastici, politici e culturali coinvolti". Tra gli interventi in programma, anche quello del ministro dell'istruzione, Mariastella Gelmini. "Riteniamo che tutti i soggetti del sistema educativo - si legge nella presentazione dell'iniziativa - debbano in questo momento assumere un alto profilo di responsabilità al fine di dotare il nostro Paese di un sistema fortemente rinnovato, all'altezza dei tempi e dei problemi, in grado di favorire la valorizzazione di quella risorsa essenziale che è la persona". L'auspicio di fondo è che, "dopo tanti tentativi e interruzioni, il processo riformatore basato su questi elementi possa essere considerato il terreno adeguato sul quale far convergere le energie positive per dare una risposta proporzionata ai problemi che investono l'educazione". La comunità ecclesiale, da parte sua, "è interpellata e coinvolta ad offrire oggi un contributo più consapevole al processo di riforma in atto secondo una linea che ne affermi e consolidi alcuni punti essenziali: l'autonomia, il pluralismo, l'aderenza alla società civile, l'applicazione del principio della sussidiarietà orizzontale e verticale". La Conferenza sulla scuola, concludono i vescovi, "intende indicare vie e modalità concrete per raggiungere questi obiettivi entro il più breve tempo possibile, anche nel nostro Paese mettendolo così in sintonia con tanti Paesi della Comunità europea, dove il problema è stato da tempo risolto con la piena soddisfazione di tutti". CITTÀ DI CASTELLO I bambini di Riosecco La scuola materna parrocchiale: da 50 anni prezioso servizio al territorio Collocata nel cuore di una zona industriale in una frazione del territorio della diocesi di Città di Castello (Pg), da 50 anni la scuola materna parrocchiale di Riosecco è "una scuola in dialogo col territorio". Una scuola che è sempre stata "di tutti e per tutti", "soprattutto delle famiglie", e contrassegnata da un "profondo" legame con l'evoluzione della realtà sociale che la circonda. Nei giorni scorsi la diocesi ha ricordato il 50 anniversario dell'asilo collocato nel comune di Città di Castello, con alcune iniziative che hanno visto la presenza del vescovo Domenico Cancian. "Estesa su un territorio di 60 mila abitanti con le sue 60 parrocchie, la diocesi conta in tutto 15 scuole materne di competenza ecclesiastica di cui 4 propriamente parrocchiali e 11 gestite da congregazioni religiose", spiega don Francesco Mariucci, dell'ufficio diocesano per le comunicazioni sociali. In alcune frazioni questi asili sono le uniche scuole materne. In ogni caso costituiscono dei punti di riferimento fondamentali sul territorio. E non solo per il serivizo che offrono: questa scuola ne è un esempio. La storia. "Un vero sostegno alle famiglie, in uno spirito di servizio. Fin dall'origine, nell'intenzione del suo fondatore, per arrivare ad oggi". Sulle pagine del settimanale cattolico regionale "La Voce" (15/2009), è la direttrice didattica Paola Biccheri a ripercorre la storia della scuola materna parrocchiale di Riosecco. "Fu il parroco don Renato Bambagiotti a inaugurare nell'ottobre 1958 il primo anno scolastico, per venire incontro ai bisogni emergenti delle famiglie: si incrementava in quegli anni la prima zona industriale che poneva il problema delle donne con figli «da collocare» per poter andare al lavoro in fabbrica". "L'impronta iniziale - spiega la direttrice - fu data delle suore del Sacro Cuore: si racconta che, quando le madri per lavoro uscivano molto presto da casa, le suore andavano direttamente a prendere i bambini a casa, li alzavano, li vestivano e li portavano a scuola". In breve tempo l'asilo diventa "un punto di riferimento" anche per le zone limitrofe. Oggi. "Dopo ben 50 anni di attività, l'attualità di questa nostra scuola, sta nel fatto che ancora oggi sa interrogarsi, riflettere, rispondere alle necessità del territorio. Sta nello spendersi ancora per mantenere un vincolo di relazione

11 educativa col territorio, con una funzione ben precisa di mediazione e dialogo", sostiene la direttrice. Oggi, con 3 sezioni e una classe sperimentale che integra il servizio del nido con scuola materna, l'asilo accoglie 80 bambini, accompagnati da 6 insegnanti che hanno sostituito le suore. Il tempo prolungato è un servizio che rimane per venire incontro alle donne che lavorano. Ma ci sono nuovi bisogni. "C'è l'espansione di un nuovo quartiere che pone problemi legati all'integrazione degli immigrati", spiega al SIR la direttrice. "Da noi vengono tantissimi bambini cinesi, nigeriani, marocchini, albanesi, tanti stranieri musulmani". Una realtà che fa di questo asilo "un laboratorio vivente d'integrazione" soprattutto perché, afferma Biccheri, che lavora nell'ufficio immigrati della Caritas locale, "puntiamo a far incontrare le famiglie". E c'è poi una collaborazione con i servizi sociali del comune "per l'inserimento di bambini in difficoltà". Una scuola di tutti. "La nostra scuola è sempre stata di tutti e per tutti", prosegue la dirigente. "La partecipazione diretta dei genitori alla vita della scuola, dentro un comitato di gestione, ha rappresentato e tuttora rappresenta una forte spinta ad impegnarsi in prima persona, nell'interesse personale e generale". Quello che si cerca di fare "è soprattutto richiamare i genitori al discorso educativo", spiega il parroco don Paolino Trani, perché, specie oggi, "i genitori fanno fatica, si scoraggiano, vanno sostenuti, non sempre c'è quell'impegno educativo inteso come ascolto e relazione". Per il sacerdote è "importantissimo" anche "richiamare i genitori a confrontarsi tra loro". "In contesti come il nostro, dove l'espansione economica ha generato un forte individualismo - spiega il parroco della frazione con 7 mila persone - il rischio è che le famiglie si isolino. In questi casi bisogna andare oltre il servizio canonico di una scuola". L'asilo parrocchiale è diventato così negli anni "un polo" di mediazione. Quasi uno strumento pastorale per favorire l'incontro tra le famiglie. Un luogo dove spesso ci si misura con i problemi del territorio. "Ci sono situazioni di maggiore difficoltà, sia rispetto agli immigrati, sia alle famiglie con casi di droga. Realtà comunitarie che spesso la gente non vuole vedere", spiega il sacerdote che è anche direttore della Caritas diocesana e gestisce una comunità per tossicodipendenti. Anche in questi casi, conclude, "è importante l'incontro. E un piccolo asilo parrocchiale diventa uno strumento di dialogo". TRIESTE Con esempi concreti Dai documenti del Magistero all'impegno sociale sul territorio "Approfondire i documenti del Magistero", che sono "strumenti necessari per agire comunitariamente e personalmente, e per essere attori nella società e non spettatori". È la proposta che la Commissione della diocesi di Trieste per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, e la salvaguardia del creato rivolge a "ciascuna comunità parrocchiale, associazione, gruppo". Accogliendo l'invito fatto dal vescovo Eugenio Ravignani durante l'omelia della messa del 1 gennaio 2009 (Giornata mondiale della pace), la Commissione diocesana ha elaborato in questi giorni una riflessione sul messaggio di Benedetto XVI per la Giornata 2009 che ha avuto come tema "Combattere la povertà, costruire la pace". Nuovi stili di vita. "I documenti del Magistero - ricorda la Commissione diocesana nella riflessione pubblicata anche sul settimanale della diocesi (Vita Nuova) - sono indirizzati a tutto il mondo. I valori proposti sono condivisibili sia dai credenti sia dai non credenti". Questi documenti, prosegue, hanno, "per loro natura, una visione universale e, a prima vista, sembrano non coinvolgere direttamente ciascuna persona. Il supersviluppo, il disarmo, le politiche per la denatalità, le malattie pandemiche, la crisi alimentare, le storture del commercio e della finanza internazionale, sembrano non poter essere contrastate o modificate dalla singola persona". Invece, "adottando stili di vita più sobri, in un mondo globalizzato, è e sarà possibile combattere la povertà e costruire, giorno dopo giorno, la pace in una società più giusta". Solidarietà. La Commissione diocesana guarda all'attuale crisi economica. Questa, si legge nella riflessione, "ha creato e creerà nuove povertà, che il mondo occidentale non è preparato ad affrontare, non sapendo rinunciare a stili di vita ormai consolidati". Da qui l'invito a "ciascuno, soprattutto se credente", ad "essere consapevole che soltanto praticando la solidarietà, il bene comune, e la sussidiarietà, principi della dottrina sociale della Chiesa, si possono combattere la povertà e l'attuale crisi economica". Questa, scrive la Commissione, "sarebbe un'affermazione generica se non fosse completata con alcuni esempi concreti di buone pratiche". Anzitutto la "solidarietà" che "si pratica non solo rinunciando al superfluo, ma anche a quello che non è indispensabile". In questo modo "si fa giustizia ridistribuendo la ricchezza a chi è nel bisogno". Tuttavia, "una distribuzione di ricchezza che non sostenga progetti di crescita, è solo assistenzialismo, perché non offre una prospettiva per il futuro. Una vera solidarietà potrebbe essere quella di aderire ai progetti proposti della Caritas diocesana, oppure a quelli per i Paesi in via di sviluppo". Legalità e sobrietà. Altra "buona pratica", per la Commissione diocesana, sta nell'"educarsi ed educare alla legalità: educarsi a rispettare le leggi; educare i giovani al rispetto dell'altro, del più debole o disabile o immigrato, alle cose degli altri e a quelle di tutti. È necessario promuovere, in famiglia, nella scuola, nelle associazioni, nella catechesi parrocchiale, il lavoro regolare, non solo come opportunità di reddito, ma come valore di crescita umana". Ed ancora: "Sembra indispensabile, soprattutto ora, ma sarebbe stato doveroso anche nel passato, adottare stili di vita sobri". A tal proposito, nel documento viene spiegato che "non si tratta più, come nel passato, di comprare perché piace, anche se il reddito familiare o personale non lo consente, ma solo se è necessario e utile"; "non si tratta di acquistare prodotti

12 pubblicizzati, ma quelli che offrono la stessa qualità a prezzo inferiore perché non in promozione". La proposta è "creare nella parrocchia gruppi di famiglie - ce ne sono già in diocesi - per acquistare assieme generi di largo consumo (alimentari, prodotti per l'igiene, ecc.)". Ambiente, salute e Terzo settore. Oltre alla crisi economica, la Commissione diocesana si sofferma anche su quella energetica, proponendo di "limitare: i consumi elettrici (non lasciare accesi tv, personal computer o piccoli elettrodomestici senza usarli), quelli telefonici, e l'uso dell'automobile, preferendo gli spostamenti a piedi o con il mezzo pubblico. Ci guadagnerebbe l'ambiente e la salute". Inoltre, è necessario "impegnarsi seriamente nella raccolta differenziata dei rifiuti sia per recuperare materie prime, sia per inquinare di meno, sia per sviluppare l'occupazione nelle aziende che creano nuovi prodotti con questi materiali". Per l'organismo diocesano è "indispensabile cambiare mentalità" in "campo economico e finanziario", "investendo i propri risparmi in Banca Etica e nella finanza etica. Non si otterranno interessi importanti ma si sosterrà lo sviluppo che chiede tempi lunghi d'investimento". L'ultima "buona pratica" proposta dalla Commissione riguarda lo sviluppo di "iniziative produttive nel Terzo settore" dove "già operano, per esempio, le cooperative sociali, le aziende no-profit, le imprese di comunione, tutte attività che mettono al centro la persona e non il profitto. Ora sono poco conosciute, ma potrebbero essere occasione di occupazione, d'esperienze lavorative importanti soprattutto per i più giovani". A CURA DI VINCENZO CORRADO VITTORIO VENETO Il prossimo ha un volto Il Fondo straordinario di solidarietà "E chi è il mio prossimo?". La domanda rivolta dal dottore della legge a Gesù è risuonata, tra i credenti, lungo tutti i duemila anni di storia del cristianesimo. Anche in questo difficile momento economico e sociale la diocesi di Vittorio Veneto si è posta questo interrogativo e ha individuato nelle persone rimaste senza lavoro e prive di una "rete di protezione" sociale e familiare il "prossimo" da aiutare e accompagnare. È nata così la decisione di costituire un apposito Fondo straordinario di solidarietà. Non è il primo nel suo genere in Italia. La prima diocesi a partire in Italia fu, lo scorso Natale, Milano. In Veneto sono già operativi o prossimi al via i Fondi delle diocesi di Vicenza e Padova. A Vittorio Veneto è stata scelta come "data significativa di partenza" il 1 maggio, festa del lavoro. Per le persone in difficoltà. "Noi vescovi del Triveneto siamo stati sollecitati dalle Caritas a intervenire concretamente per aiutare le persone messe in difficoltà dall'attuale crisi economica", spiega mons. Corrado Pizziolo, vescovo di Vittorio Veneto. "Da noi oggi la situazione non si può definire drammatica - aggiunge - ma pare che la fase acuta non sia ancora arrivata. Comunque la Caritas e i parroci già registrano un aumento di richieste di aiuto. Ci siamo resi conto che non possiamo restare insensibili". Il vescovo sottolinea che "la diocesi non vuol essere l'unico ente che interviene, né ha la pretesa di risolvere tutti i problemi. La Provincia, qualche Comune, la stessa Cei si sono attivati per offrire un supporto a chi sta peggio". In questi giorni, il vescovo ha contattato personalmente banche, imprenditori e professionisti per informarli del Fondo e tastare la disponibilità a una partecipazione economica. "Ho ottenuto riscontri positivi in merito all'iniziativa in sé - commenta -. Ho trovato anche risposte affermative alla richiesta di sostenere il Fondo, nei limiti di quanto consente la crisi". Inoltre "ci sarà una sensibilizzazione delle comunità cristiane che verranno coinvolte in una colletta diocesana in una domenica di maggio". Cura e prevenzione. Una cifra è già certa: si tratta dei 100 mila euro stanziati dalla diocesi. Ma l'impegno della Chiesa diocesana non si ferma qui. C'è la "cura" ma c'è anche la "prevenzione". Che si traduce nell'educare a stili di vita più sobri. "La sobrietà - spiega mons. Pizziolo - non vuol dire azzerare i consumi, che non è realistico, ma neppure essere preda del consumo per il consumo. Non possiamo tirarci fuori dalla società in cui viviamo, ma agire criticamente e in modo equilibrato". Serve poi, per il vescovo, un recupero del valore del lavoro: "In America c'è stato un abbandono del lavoro in nome di speculazioni finanziare costruite sul nulla. Bisogna riconsiderare la serietà del lavoro e dei suoi frutti". Piccolo segno di prossimità. Il Fondo di solidarietà, spiega don Gian Pietro Moret, delegato vescovile per la pastorale sociale e del lavoro, "deve nascere con l'apporto di tutti. Il Fondo, infatti, potrà dare un aiuto efficace a tante situazioni difficili solamente se tanti aggiungeranno un loro contributo". Lo scopo del Fondo, ricorda don Moret, "è esprimere un piccolo segno di prossimità verso chi in questo periodo perde il lavoro e si trova in situazione di grave difficoltà economica. Il Fondo non sostituisce le iniziative e gli interventi già esistenti e quelli che verranno attivati da altri soggetti pubblici e privati; esso ha piuttosto una funzione integrativa e di stimolo alla solidarietà dei singoli e delle comunità". Il regolamento. Per la gestione del Fondo è stato elaborato un apposito dettagliato regolamento. Eccone alcuni passaggi: "Chiunque, singole persone, parrocchie, associazioni, imprese private ed enti pubblici può contribuire al Fondo mediante versamenti su appositi conti bancari o postali" (info: Il Fondo "è a favore di famiglie e persone regolarmente residenti in diocesi in situazioni di difficoltà per la perdita di lavoro a causa dell'attuale crisi

13 economica". Per poter usufruire dei contributi occorre "presentare le domande ai Centri di ascolto Caritas foraniali (con una presentazione scritta fatta da parrocchie, associazioni ecclesiali o servizi sociali) in orari stabiliti". Il Fondo viene gestito da un "Consiglio diocesano", composto da 8 membri nominati dal vescovo. Il Consiglio "valuterà la pratica e deciderà se concedere il contributo". Per quanto riguarda i contributi, "sono di due tipi: unico fino a un massimo di mille euro; rateale per massimo quattro mesi, fino a 4 mila euro complessivi. Il contributo sarà erogato al parroco del richiedente". Il Fondo "sarà attivo, nei limiti della disponibilità finanziaria, fino al 31 dicembre 2010, con la possibilità di essere prorogato, se necessario, di un altro anno". A CURA DI FEDERICO CITRON FUCI Sogno o realtà? La cittadinanza europea e la fede cristiana È stata l'europa l'orizzonte del convegno nazionale della Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana), che si è tenuto a Roma dal 23 al 26 aprile sul tema "Cittadini dell'europa: sogno o realtà? L'università e la formazione di una coscienza europea" e ha visto la presenza di circa 200 universitari cattolici, giunti da ogni parte d'italia. Alle prime due giornate, dedicate all'approfondimento di ciò che serve per formare una "coscienza europea", ha fatto seguito l'assemblea della Federazione, nel corso della quale sono state discusse e votate le linee programmatiche per il prossimo anno associativo. Celebrando l'eucaristia domenicale tra gli universitari, il segretario generale della Cei, mons. Mariano Crociata, ha ricordato l'importanza di "un autentico pensiero cristiano", di cui c'è bisogno "come del pane", "in un tempo che vede, tra altri fenomeni, certo anche quello della oscillazione di tanti tra un titanismo tecnologico, non ultimo in ambito biopolitico, tentato dal delirio di onnipotenza e un nichilismo che ha già rinunciato disperatamente ad ogni possibilità di salvezza". Un pensiero "ispirato dall'incontro con Cristo risorto" e che la Fuci è chiamata a testimoniare con "un autentico impegno intellettuale". Una coscienza europea. "Create le istituzioni europee, si avverte ora la necessità di una comune coscienza europea, di una piattaforma di valori condivisi nei quali ogni persona che vive sotto la bandiera con le dodici stelle si possa riconoscere". Questa è "la grande sfida alla quale è chiamata oggi l'europa", ricordata dalla presidenza nazionale della Fuci all'apertura dei lavori. "Sappiamo infatti che oltre all'unione doganale, all'unione monetaria, alla libera circolazione di persone e beni il nostro continente ora deve compiere un ulteriore passo in avanti". Di fronte al riconoscimento della "portata storica dei processi in atto" non si possono tuttavia ignorare gli ostacoli e "i problemi politici, economici e sociali che deve affrontare ancora oggi l'unione europea: una Costituzione che si è arenata, un sistema decisionale ancora da definirsi, un rallentamento dell'integrazione politica, specie in ambito di rapporti esteri e di difesa comune". Poi, "un deficit democratico tuttora da colmare, un grande calo demografico, un'immigrazione da Paesi con culture (e religioni) differenti, il welfare state che inizia a non reggersi più". Tuttavia, se l'europa è davvero una casa comune, "tutti devono prendersene cura". Da qui la domanda chiave per i giovani: "Quale ruolo possono giocare in questa partita le nuove generazioni, ovvero quelle che non hanno il ricordo diretto delle macerie della Seconda Guerra Mondiale e quelle per le quali la Guerra Fredda è solo un paragrafo dei libri di storia?". Un'unione di minoranze. Sui "rischi" che l'europa sta correndo si è soffermato anche Romano Prodi, già presidente della Commissione europea, nella prolusione che ha aperto il convegno. "L'Europa di oggi - ha affermato Prodi - è come l'italia del Rinascimento: il nostro Paese era il centro politico, economico, culturale e spirituale del mondo, ma a causa dei suoi frazionamenti ha visto perdere questa sua centralità a favore di altre nazioni". Questo "è il rischio che corre oggi l'europa se non riconosce l'importanza di essere unita". Un'unità che per l'ex presidente della Commissione va intesa come "unione di minoranze". Il sociologo Franco Ferrarotti ha parlato di una coscienza europea "che non si può formare a tavolino, ma deve nascere dai popoli", mettendo in guardia dal rischio di un "eurocentrismo" che blocchi quello "straordinario crocevia di culture che è sempre stata l'europa". "Per costruirsi una comune coscienza storica - ha ammonito - è necessario che i ventisette Paesi europei scoprano, riprendano contatto e facciano rivivere le loro radici". "Fraternità d'europa", difatti, è stato il termine utilizzato a questo proposito dall'economista Stefano Zamagni. Tra i relatori, pure mons. Vincenzo Zani, sottosegretario della Congregazione per l'educazione cattolica, Paola Potestio, docente di economia politica all'università di Roma Tre, e Adriano Roccucci, docente di storia contemporanea e segretario generale della Comunità di Sant'Egidio. Un'utopia realizzata. "La storia dell'europa è una storia di pluralismo", dove molteplici culture hanno trovato un "luogo di convivenza, ma anche di conflitti", ha ricordato Valerio Onida, giurista ed ex presidente della Corte costituzionale. Caratteristica fondante l'ue, ha segnalato Onida, è stata proprio la capacità di "andare al di là dei propri confini", e se circa mezzo secolo fa sembrava solo un'utopia, oggi "quell'utopia si è realizzata perché una generazione di statisti ha saputo guardare in alto, tenendo al tempo stesso i piedi per terra". La forza dell'europa, sta nelle "differenze", ha

14 rimarcato Pier Virgilio Dastoli, già assistente di Altiero Spinelli ed ora direttore della rappresentanza in Italia della Commissione europea, invitando a "battersi per un'europa federale, in grado di garantire una vera democrazia sovranazionale". Mentre Piero Graglia, ricercatore di storia dell'integrazione europea all'università di Milano, ha ricordato come per i giovani l'europa sia "lo spazio del loro futuro, la dimensione politica, sociale e istituzionale nella quale già ora vivono". US ACLI Liberi sul campo L'impegno educativo nell'attività sportiva "Liberare lo sport" dal doping e dai modelli dominanti che esaltano solo "il successo". "Dare corpo ai diritti" dello "sport di cittadinanza" attraverso "un'alleanza sempre più stretta con il territorio". Hanno discusso di questi temi i 300 delegati dell'us Acli, l'unione sportiva promossa dall'associazione cristiana lavoratori italiani (Acli), riuniti nei giorni scorsi a Roma per il XIII Congresso nazionale su "Diritti alla meta". Durante l'incontro è stato eletto il nuovo presidente dell'associazione: Marco Galdiolo, padovano, già vicepresidente. Riconosciuta dal Coni come ente di promozione sportiva, l'us Acli conta ad oggi, in Italia, 350 mila soci e 600 mila utenti, sparsi nelle 104 sedi provinciali e nelle 20 sedi regionali e circa società sportive affiliate. Al carattere prettamente sportivo, si unisce la missione sociale ed educativa: l'associazione organizza e sostiene attività motorie e ludiche rivolte a soggetti di ogni età e condizione, con particolare attenzione alle persone a rischio di emarginazione sociale e promuove iniziative di educazione alla salute, alla legalità, al rispetto della natura e dell'ambiente. Doping e sport amatoriale. "Lo spettro del doping nello sport tra i dilettanti": da questo quadro ha preso le mosse la riflessione. Durante l'anteprima del Congresso, sul tema "Per uno sport sicuro, no al doping", sono stati infatti anticipati i dati preliminari del 2008 della "Commissione per la vigilanza e il controllo del doping nelle attività sportive". "Su circa 860 controlli la percentuale di positività nello sport amatoriale è del 3,9%. Ciclismo, bodybuilding e boxe sono gli sport più positivi, mentre le sostanze rintracciate sono ormoni, steroidi, anabolizzanti, ma anche cannabis": ha spiegato Piergiorgio Zuccaro, direttore dell'osservatorio "Fumo, alcol e droga" dell'istituto superiore di sanità. "Un dato preoccupante se messo a confronto con la percentuale di positività dell'1% che viene registrata nei controlli del sistema sportivo professionistico" - ha commentato Sandro Donati, membro della Commissione -. Certo i professionisti sono più abili ad evitare la positività. Ma questo in parte è possibile anche agli atleti dilettanti". L'emergenza educativa. Per il presidente dell'unione sportiva uscente, Alfredo Cucciniello, siamo di fronte ad un'autentica "emergenza educativa". "Il problema - ha affermato - è l'approccio culturale dominante con cui ci si avvicina allo sport: se tutto è orientato al successo ad ogni costo, anche lo sport di base non è esente da rischi come il doping. Per questo va incentivata l'azione preventiva e formativa delle organizzazioni che promuovono lo sport come valore sociale, aggregativo, di promozione umana. Una visione intesa anzitutto come partecipazione sociale educa al conseguente rispetto delle regole". Proprio per sfidare la "mal-educazione sportiva" e "liberare lo sport dai condizionamenti che lo mettono a rischio: razzismo, violenza, doping", la Campagna annuale dell'us Acli ha avuto come lo slogan "Lo sport è rispetto. Rispetta lo sport", avvalendosi della diffusione di un decalogo. Sul doping invece si è condotta una campagna d'informazione in collaborazione con il ministero della Salute. Nel Congresso è stata lanciata anche la proposta delle "palestre con i bollini blu", per creare all'interno dell'us un sistema che certifichi l'adesione delle palestre a criteri rigorosi di rispetto delle regole, dal versante delle tecniche e della formazione, fino a quello dell'alimentazione. Più spazio allo sport di cittadinanza. "Più spazio, più attenzione e risorse per lo sport sociale", "anche all'interno del Coni" è quanto ha chiesto l'unione sportiva. L'associazione chiede inoltre di "recuperare il Fondo per lo sport di cittadinanza cancellato dalla Finanziaria". "Dare corpo ai diritti", ha dichiarato il nuovo presidente Marco Galdiolo, significa "rendersi conto dei diritti di cittadinanza della gente, fare in modo che anche attraverso l'attività sportiva si mettano in moto meccanismi di coesione sociale dando risposte adeguate in base ai bisogni di ogni territorio". "Centralità del territorio", "attenzione alle famiglie", "fedeltà alla democrazia" sono infatti alcuni punti enunciati nel suo programma di lavoro. Il primo punto implica favorire uno "sport per tutti", "spingersi ancora di più verso la valorizzazione e l'assunzione di responsabilità delle esigenze del territorio". In tale direzione c'è anche l'urgenza di "uno sport attento alle famiglie", "sempre più sole e in balia di politiche non adeguate". In un contesto segnato da "preoccupanti arretramenti del valore della democrazia" - sostiene in sintesi il presidente - "sempre più" lo sport sociale deve essere "un importante spazio dove partecipare conserva ancora un suo significato pieno" e dove è possibile "formarsi ai valori della legalità". Lo sport può essere così un mezzo "per contrastare l'isolamento e l'emarginazione, specialmente di categorie come anziani, disabili, immigrati, offrendo spazi dove riscoprire il diritto e il piacere di essere cittadini a pieno titolo". A CURA DI MICHELA CUBELLIS

15 ORA DI RELIGIONE Una laicità positiva Le parole del Papa e le prospettive dell'irc "L'insegnamento della religione cattolica è parte integrante della storia della scuola in Italia, e l'insegnante di religione costituisce una figura molto importante nel collegio dei docenti". Lo ha detto il Papa, ricevendo in udienza il 25 aprile i partecipanti al Meeting nazionale degli insegnanti di religione cattolica (Idr), promosso nei giorni scorsi dal Servizio della Cei per l'insegnamento della religione cattolica (Irc) e dal Servizio nazionale per il progetto culturale (cfr SIR 29/2009). Secondo Benedetto XVI, "l'altissimo numero di coloro che scelgono di avvalersi di questa disciplina è il segno del valore insostituibile che essa riveste nel percorso formativo e un indice degli elevati livelli di qualità che ha raggiunto". Quanto all'identità degli Idr, il Santo Padre ha definito la loro presenza "un valido esempio di quello spirito positivo di laicità che permette di promuovere una convivenza civile costruttiva, fondata sul rispetto reciproco e sul dialogo leale, valori di cui un Paese ha sempre bisogno". Per un bilancio conclusivo dell'incontro, cui nella fase congressuale hanno partecipato oltre 400 persone, diventate poi 8 mila in Vaticano, il SIR ha rivolto alcune domande a don Vincenzo Annichiarico, responsabile del Servizio Irc della Cei. La dimensione religiosa è intrinseca al "fatto culturale", ma anche al "fatto umano": si può sintetizzare così il messaggio del Meeting e dell'incontro col Papa? "Direi proprio di sì, perché è su questi due binari che hanno insistito sia il Santo Padre, sia il card. Bagnasco e mons. Crociata nei loro interventi. La dimensione religiosa è una dimensione costitutiva dell'essere umano e, in questo senso, è anche una dimensione costitutiva della cultura. Nelle parole del Papa, mi ha colpito molto il riferimento al n. 53 della Gaudium et Spes, in cui si dice che fare cultura significa aiutare l'uomo a diventare più uomo: in questo senso il fatto religioso è un fatto culturale, in quanto la dimensione religiosa è costitutiva dell'essere umano. Dall'insegnamento conciliare, in altre parole, traspare la perenne attualità del compito di aiutare l'uomo, ciascun essere umano, a crescere in umanità". Dai lavori e dalle parole di Benedetto XVI è emersa la forte rilevanza del compito educativo dell'insegnante di religione: come attuare, in tempi difficili e spesso disumanizzanti, il compito di "dare un'anima alla scuola"? "Anzitutto partendo dalla centralità della persona: un'educazione incentrata sulla persona, concepita nella sua totalità, significa aiutare la persona a crescere avendo un orizzonte di senso, che per ogni credente è dato dal Vangelo di Cristo e da Gesù Cristo, e che nella scuola si propone come orizzonte culturale. Educare è dare centralità alla persona, aiutare la persona ad avere un orizzonte di senso, un sistema di valori su cui costruire il proprio progetto di vita. In un'epoca in cui si vive del frammento, può sembrare una velatura dell'umano, ma non è così: l'uomo di per sé possiede una spinta verso la realizzazione di qualcosa, che non è una sovrastruttura ma uno slancio insito nell'animo umano. Quando si dice che è bene vivere alla giornata, in verità non si riconosce che nell'uomo c'è un desiderio di progettualità, di guardare verso un futuro che si può realizzare. Il Papa, a Verona, ci ha esortato a non aver paura del definitivo, che può sembrare qualcosa di statico, e invece dice che bisogna avere una meta nella vita. Se c'è una meta, si cerca di raggiungerla: l'avere un obiettivo dà impulso al quotidiano, dinamicizza il presente. Chi vive, invece, solo schiacciato sul presente rischia di perdere la speranza". Il 90% degli Idr sono laici: come raccogliere l'invito del Papa ad essere testimoni di "laicità positiva", in modo da dare "piena cittadinanza" all'irc nella vita sociale? "Quando c'è rispetto reciproco, nessuno ha paura del dialogo. Il dialogo interculturale si realizza anzitutto rispettandosi reciprocamente: quando non c'è pregiudizio, ma reciprocità, il dialogo diventa costruttivo, si capisce con chi si ha a che fare, ognuno è trasparente in ciò che si è... In questo, san Paolo è un vero maestro, proprio perché capace di parlare con i suoi interlocutori in trasparenza, con autenticità". Quali i progetti futuri dell'irc? "Per prima cosa continuare l'impegno per la formazione dei docenti, affinché siano sempre più docenti di qualità, uomini e donne competenti, consapevoli delle proprie responsabilità e della capacità del Vangelo di dialogare con le culture e di aiutare a far nascere una nuova cultura, che noi chiamiamo civiltà dell'amore. In secondo luogo, vogliamo continuare a sostenere anche le diocesi, in questo lavoro, spesso nascosto, di cui non si parla. C'è tanto bene, tanti insegnanti che fanno il loro dovere, che si impegnano fortemente nella scuola, con passione educativa: del bene non si parla quasi mai, e invece è importante che emerga la coscienza della propria dignità, nel lavoro quotidiano". A CURA DI M.MICHELA NICOLAIS

16 EMERGENZA EDUCATIVA È tempo di risposte San Giovanni Bosco a 150 anni dalla morte e il sacerdote-educatore di oggi "L'urgenza educativa non può essere separata dal sentirsi prete, all'interno di una visione del sacerdozio che è quella di una persona che si consacra totalmente alla cura del suo popolo e che ha un forte senso della propria identità nell'attenzione alle persone e ai loro problemi. È questo il contributo di don Bosco, non un teorico dell'educazione ma un educatore, pastore e amico dei giovani". In occasione del 150 anniversario dalla fondazione della Società Salesiana, don Aldo Giraudo, docente di storia della spiritualità all'università Pontificia Salesiana, parla al SIR dell'educazione e del sacerdote-educatore alla luce dell'insegnamento di san Giovanni Bosco. "Di fronte ad un problema concreto, con sguardo animato dalla carità e senso di responsabilità pastorale, non ci si può limitare alla segnalazione del problema ma bisogna sentirsi interpellati a rispondere" perché "l'educazione deve abbracciare l'uomo in tutte le sue dimensioni e non può essere ridotta ai processi educativi, alla competenza dell'educatore e al riferimento ad una filosofia pedagogica". Il Papa nell'indire l'anno sacerdotale si è soffermato anche sul ruolo educativo del prete: in che modo dovrebbe essere svolto questo compito? "Don Bosco ricordava che i ragazzi di oggi sono gli uomini di domani e la società di domani rispecchierà il tipo di educazione che noi diamo oggi ai ragazzi. Questa urgenza la percepiva all'interno di una visione pastorale e missionaria, sul modello di prete che si sente responsabile di fronte a Dio di tutti coloro che incontra sul cammino. Anche l'oratorio non è soltanto un luogo in cui i giovani trovano un prete che si prende cura di loro dal punto di vista dell'istruzione religiosa e della cura sacramentale, ma è soprattutto casa che accoglie, scuola che prepara alla vita, parrocchia che evangelizza, cortile per incontrarsi e vivere in allegria. È una visione gioiosa della vita, liberata da ogni ripiegamento. Oggi si deve guardare all'urgenza educativa in chiave vocazionale, con un'attenzione alla condizione concreta dei giovani. Occorre rispondere alle loro attese incoraggiandoli nella ricerca e nelle scelte. La dimensione religiosa si deve coniugare con l'immersione nella storia, in adempimento ai doveri di ciascun uomo: buoni cristiani e onesti cittadini". In don Bosco è centrale il trinomio "ragione, religione, amorevolezza": come declinarlo con il principio educativo dell'autorità? "Fatti amare se vuoi farti temere, fatti amare prima di farti temere e fatti amare piuttosto che farti temere. È questo il messaggio di don Bosco. L'amorevolezza è la chiave di tutto perché quando si conquista il cuore del ragazzo, allora si è conquistata autorevolezza. In questa dialettica, la figura dell'educatore è centrale e deve dimostrare grande padronanza di sé e rispetto totale nei confronti dei giovani. Il sistema preventivo salesiano offre proposte precoci di grandi ideali: formazione della mente e del cuore, cultura e catechesi, arte e musica. Processi ragionevoli inseriti in un sistema di valori cui ispirarsi". Nel recente forum sull'emergenza educativa promosso dal servizio Cei per il progetto culturale, si è parlato di bambini e di intellettuali. Come interpreta questo "accostamento"? "Se l'educatore è chiamato ad una presenza continua e amorevole, l'educando deve mostrare fiducia e confidenza. Quando il ragazzo si affida veramente, allora il successo educativo e spirituale è garantito. L'obiettivo non è educare oggi ma creare le condizioni affinché anche in futuro si possa parlare agli uomini di domani. Per fare questo, è necessario valorizzare i ragazzi e renderli responsabili dell'educazione dei loro compagni. Tuttavia, ricorda don Bosco, non bisogna mai imporre nulla ma dialogare in un clima di libertà. Ciascuno deve condurre un personale cammino di maturazione". Don Bosco curava il linguaggio ben sapendo che se non fosse stato capito dai giovani avrebbe corso il rischio del fallimento. E oggi? "Non basta amare, bisogna fare in modo che i ragazzi capiscano di essere amati. Si può parlare di un linguaggio dell'amore. Bisogna amarli nelle cose che loro amano e far sì che questo linguaggio sia compreso. L'educando recepisce i valori e le motivazioni attraverso l'amore dell'educatore. Il sistema repressivo è molto facile per gli educatori e difficile per i ragazzi. Il sistema preventivo invece è l'esatto opposto e l'educatore, scriveva don Bosco, deve essere pronto ad affrontare ogni disturbo e ogni fatica per conseguire il suo fine che è la civile, morale, scientifica educazione dei suoi allievi. Il segreto del successo del sistema educativo salesiano è la capacità di adattarsi culturalmente e storicamente a contesti molto diversi. Funziona anche nei Paesi arabi perché non opera a livello di proselitismo ma si lavora su valori universali nel dialogo e nel rispetto reciproco". A CURA DI RICCARDO BENOTTI

17 ETICA E MERCATO Quale modello? Crisi economica e cooperazione internazionale L'attuale crisi finanziaria ed economica non è frutto di "un incepparsi temporaneo di alcuni meccanismi tecnici, superabile con la messa a punto di strumenti più adeguati", ma conseguenza del fatto che chi "doveva far funzionare questi meccanismi ha operato al di fuori di ogni cornice etica". Così il card. Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, intervenuto al seminario "Aiuti e crisi economica mondiale: modello di sviluppo o sviluppo del modello?", promosso nei giorni scorsi a Roma da "Volontari nel mondo-focsiv" presso la Pontificia Università Angelicum. Al centro della riflessione, il tema della cooperazione internazionale in un momento in cui la crisi economica incide sulla vita di milioni di persone nei Paesi del Sud del mondo, ma anche nei Paesi ricchi. Un rinnovata speranza. "L'economia ha esplicitamente bisogno dell'etica - ha osservato il card. Martino - perché entrambe trovano il loro fondamento e la loro ragion d'essere nell'uomo, entrambe sono tese, secondo prospettive diverse, a comprenderlo in tutta la sua piena dignità", e solo tenendo conto "delle domande e degli stimoli dell'etica", l'economia può "riuscire a non smarrire il proprio fondamento". Secondo il porporato occorre superare l'attuale crisi "con una rinnovata speranza" ma, ha ammonito, "concedere mutui-casa conoscendo la probabile insolvibilità dei contraenti, vendere questi mutui-casa dentro prodotti finanziari che passano di mano in mano per motivi speculativi, impacchettare questi prodotti finanziari dentro fondi di investimento collocati in borsa senza far trasparire la loro tossicità" significa invece "strumentalizzare questa speranza e speculare su di essa". Di qui, allora, l'importanza di promuovere "il lavoro come vocazione, il credito come espressione di fiducia e il finanziamento per rendere possibile un progetto di crescita". Far rinascere la fiducia. "Secondo alcuni analisti - ha osservato Sergio Marelli, direttore generale di Focsiv - gli effetti della crisi nei Paesi in via di sviluppo sarebbero minori rispetto a quelli sui Paesi ben integrati nell'economia globale"; in realtà "noi sappiamo che la situazione è ben diversa" perché la crisi in atto "porta meno aiuto pubblico allo sviluppo, meno rimesse, meno investimenti del settore privato dei Paesi ricchi ed una maggiore svalutazione della moneta". Ecco perché, ha sottolineato Marelli, "non ci si può nascondere dietro questo falso mito" e "i poveri devono essere considerati una parte della soluzione a questa crisi e non una parte del problema". Per l'economista Luigi Dante, membro del Comitato scientifico SolidaRete (fondazione per l'internazionalizzazione dell'impresa sociale), con la crisi attuale "si è rotto il patto di fiducia tra il mercato e l'intermediario finanziario che fino a questo momento aveva trovato la complicità delle famiglie e dell'impresa". Proprio il rapporto tra mercato e governance, ha rilevato Dante, "è la spinosa questione che oggi bisognerebbe affrontare, sia a livello privatistico che istituzionale". Secondo l'economista occorre "ridefinire lo scopo delle banche e riscriverne le regole fondative recuperando i principi della finanza dello sviluppo", ovvero "occorre rimettere in discussione i fondamentali del sistema, allo scopo di far rinascere la fiducia dopo il crollo finanziario". Spiragli di luce. Paradisi fiscali, governance globale e segreto bancario: questi gli argomenti affrontati da Paolo Ciocca, presidente del Comitato affari fiscali dell'ocse e membro del gruppo di lavoro delle Nazioni Unite per le questioni fiscali. "La crisi finanziaria - ha sottolineato - ha cambiato anche il contesto della lotta ai paradisi fiscali, conduttori perfetti di alcuni problemi del sistema finanziario che hanno portato alla crisi stessa". Un esempio tra i tanti "è la dicotomia tra paradisi fiscali e finanziari, come se i primi fossero meno pericoli dei secondi: la crisi, invece, dimostra che questa distinzione non esiste". All'orizzonte, tuttavia, Ciocca intravede anche alcuni spiragli di luce: "l'avanzamento nei principi, come la dichiarazione sulla fine dell'era del segreto bancario emersa dal G20 di Londra del 2 aprile scorso", e "le nuove possibilità per la società civile di interagire nei processi decisionali attraverso una forte attività di advocacy, grazie all'allargamento delle piattaforme di consultazione e di confronto". Una finanza diversa. "Alla luce della crisi che sta colpendo tutti, Paesi ricchi e poveri, il nostro forte impegno è quello di testimoniare che un'altra finanza esiste" ha sostenuto concludendo i lavori il presidente Focsiv, Umberto Dal Maso. "Consapevoli che la povertà dipende da due fattori regolatori, ovvero il mercato e la finanza, attraverso l'esempio dei nostri progetti sparsi in tutti i Paesi del mondo - ha detto - ci proponiamo come mediatori tra Nord e Sud nel percorso, ormai inevitabile, di rinnovamento del sistema finanziario, facendo rete e completandoci a vicenda in base alle competenze di ciascuno". A CURA DI GIOVANNA PASQUALIN TRAVERSA GIOVANI E CINEMA

18 Pronti per la svolta Il Giffoni Film Festival verso i 40 anni Alla vigilia del suo 40 compleanno, la rassegna cinematografica per ragazzi di Giffoni si trasforma e rilancia. Il cambiamento del logo e del nome è una "evoluzione" e una "rivoluzione". Giffoni è diventata un'esperienza globale che intercetta tutti i campi della creatività, dell'arte e della cultura, dal cinema al teatro, dalla musica alla fotografia, dalla web-art ai new media. Per questo Giffoni Film Festival diventa Giffoni Experience e il Festival resta l'attività centrale della galassia Giffoni. Un complesso di iniziative ed eventi per 250 giorni all'anno che coinvolge giovani di tutte le età, operatori della cultura e famiglie in Italia e all'estero. Giffoni distribuisce e promuove film, realizza workshop e scambi culturali internazionali con altri Festival nel mondo, lancia concorsi, crea attività sociali e progetti speciali con le scuole: queste sono solo alcune delle iniziative che realizza oltre il Festival di luglio. E ancora: celebrazioni del quarantennale nel 2010, omaggi a Giffoni da diversi Paesi europei ed extraeuropei, formazione, produzione e, nel 2013, il varo della Giffoni Multimedia Valley, nel contesto del "Forum universale delle culture di Napoli", che diventerà un centro per lo sviluppo delle idee e delle creatività. Grande svolta. "Non ho voluto aspettare una data importante come il quarantennale nel prossimo spiega l'ideatore e direttore di Giffoni, Claudio Gubitosi - il tempo era maturo e noi pronti per la grande svolta. Il cambio del logo e le nuove attività non deluderanno le attese. È la natura stessa del Festival di Giffoni a cambiare ed evolversi". Per il direttore già da molti anni era riduttivo "sintetizzare ciò che Giffoni è nel solo Festival. Guardando alla complessa mole di iniziative e a territori artistici, creativi tutti ancora da scoprire, andiamo avanti rendendo sempre più protagonisti i ragazzi e i giovani e diventando sempre di più una istituzione al servizio di quanti operano nel mondo dell'arte, dello spettacolo e della cultura in generale". Nell'attuale crisi, secondo Gubitosi, "Giffoni intende esprimere tutta la sua energia e la carica attrattiva per il nostro Paese e per la nostra Regione. A conti fatti ci troviamo di fronte ad un complesso sistema creativo e organizzativo che prevede, tra l'altro, una pianificazione delle attività per i prossimi 5 anni. Siamo già pronti per essere protagonisti anche con le opere strutturali che avremo nel 2013 con la Giffoni Multimedia Valley, che presenteremo agli occhi del mondo nel Forum universale delle culture di Napoli". Tante novità. Il tema della rassegna per il 2009 è il "tabù". Ma veniamo alle novità della 39ª edizione. Una delle più importanti è la durata: 14 giorni di attività, dal 12 al 25 luglio. Due settimane di cinema, teatro, musica, incontri, dibattiti, workshop, progetti sociali e tanto altro. La nuova architettura del Festival prevede una prima parte (12-17 luglio) dedicata a un pubblico di bambini e ragazzi dai 3 ai 12 anni, con proiezioni, spettacoli teatrali, laboratori interattivi e animazioni. La seconda parte (17-25 luglio) è riservata ai ragazzi dai 13 ai 22 anni e prevede, oltre alle sezioni competitive, incontri e workshop con i grandi del cinema e della cultura internazionale. Un'altra novità di quest'anno è "Masterclass": una sezione speciale del Festival riservata ai migliori ex giurati delle passate edizioni. Un gruppo di ragazzi tra i 18 e i 22 anni che saranno guidati da artisti, maestri, liberi pensatori in un percorso strutturato in lezioni, incontri e spazi di approfondimento. I giurati saranno (600 in più rispetto alla scorsa edizione) provenienti da 42 Paesi, con un'età compresa tra i 3 e i 22 anni. Diverse le anteprime cinematografiche che saranno presentate, da "L'era glaciale 3 - L'alba dei dinosauri" a "G-Force: superspie in missione". Previste anche due serate speciali del Festival, dedicate a Sergio Leone e a Vittorio Mezzogiorno. Giffoni Experience non finisce qui. Chi sono i ragazzi? Quali sono veramente i loro desideri? Cosa vedono e cosa vorrebbero vedere? In che modo si pongono nei confronti del futuro? Dal reale al virtuale, Giffoni "scopre" un mondo in movimento, programmando il primo incontro fra tutti quelli che in Europa producono, promuovono, pensano, scrivono e parlano alle nuove generazioni. Dal 18 al 21 novembre 2009, Giffoni organizzerà il 1 Europen Youth Media (gli Stati generali europei di cinema, televisione e comunicazione per ragazzi). Nel 2010 le città che ospiteranno la seconda fase degli Stati generali saranno Napoli e Salerno. E c'è spazio anche per la solidarietà: Giffoni farà la sua parte per i terremotati dell'abruzzo. In particolare, 15 studenti universitari parteciperanno a Masterclass; 20 ragazzi con le rispettive famiglie saranno invitati a Giffoni durante il Festival; saranno sensibilizzate le star internazionali ospiti della 39ª edizione affinché creino un Comitato di raccolta fondi per il restauro di alcune opere d'arte e monumenti distrutti dal terremoto. Infine, nella prima settimana di settembre Giffoni si trasferirà in Abruzzo, per concordare con la Regione Abruzzo un evento di 6-7 giorni dedicato ai giovani e alle famiglie. A CURA DI GIGLIOLA ALFARO PAPA IN TERRA SANTA (2) Passo dopo passo I principali luoghi che verranno visitati Benedetto XVI "Dall'8 al 15 maggio compirò un pellegrinaggio in Terra Santa per domandare al Signore, visitando i luoghi santificati dal

19 suo passaggio terreno, il prezioso dono dell'unità e della pace per il Medio Oriente e per l'intera umanità". Con queste parole, pronunciate dopo l'angelus dell'8 marzo scorso, Benedetto XVI annunciava ufficialmente il suo viaggio in Giordania, Israele e Territori palestinesi. A dare sostanza a queste intenzioni la scelta dei siti inseriti nel programma del viaggio che toccherà Amman, Nazareth, Gerusalemme e Betlemme. Presentiamo una scheda con le descrizioni dei luoghi simbolo di questo pellegrinaggio, il terzo di un Papa in Terra Santa, dopo quelli di Paolo VI nel 1964 e di Giovanni Paolo II nel 2000 (precedente scheda su SIR 28/2009). Giordania, Memoriale di Mosè sul monte Nebo (9 maggio, ore 9.15). Il Memoriale, secondo quanto afferma la Custodia di Terra Santa, fu costruito dai cristiani della regione di Madaba nella prima metà del IV secolo per ricordare una pagina della Bibbia (Deuteronomio 34) nella quale si narra la fine della vita e della missione di Mosè. Nel 1932 la Custodia di Terra Santa con la collaborazione dell'emiro Abdallah, nonno di re Hussein, riuscì ad entrare in possesso delle rovine del santuario che furono scavate e studiate dagli archeologi del Biblicum Franciscanum di Gerusalemme a cominciare dal L'area della basilica con le cappelle laterali fu coperta nel 1963 con una struttura provvisoria di ferro per permettere ai pellegrini di pregare e agli archeologi di restaurare i mosaici pavimentali di cui il santuario è ricco. Al momento architetti e archeologi francescani stanno progettando una nuova protezione del santuario. Giordania, moschea Al-Hussein Bin Talal (9 maggio, ore 11.30). Si tratta della moschea più grande del Paese, fu costruita nel 1924 e vanta una meravigliosa facciata fiancheggiata da due minareti in stile ottomano. La moschea al giorno d'oggi sorge là dove un tempo si trovava un'altra moschea risalente alla prima epoca islamica. Giordania, Bethany beyond the Jordan, sito del Battesimo (10 maggio, ore 17.30). La località viene nominata dall'evangelista Giovanni (Gv 1,28). Del luogo ne parlano anche numerosi testi bizantini e medievali. Il sito è localizzato sulla sponda orientale del Giordano, ed è stato scavato e restaurato in particolare dopo il 1994 a seguito dell'accordo di pace tra Giordania e Israele. Israele, Gerusalemme, Memoriale Yad Vashem (11 maggio, ore 17.45). Yad Vashem, l'ente nazionale per la memoria della Shoah, è stato istituito nel 1953 con un atto del Parlamento israeliano. Ha il compito di documentare e tramandare la storia del popolo ebraico durante il periodo della Shoah, preservando la memoria di ognuna delle sei milioni di vittime - per mezzo dei suoi archivi, della biblioteca, della Scuola e dei musei. Ha inoltre il compito di ricordare i Giusti tra le Nazioni, che rischiarono le loro vite per aiutare gli ebrei durante la Shoah. Israele, Gerusalemme, Cupola della Roccia sulla spianata delle Moschee (12 maggio, ore 9). Il santuario islamico è stato eretto sul luogo dove secondo la tradizione sorgeva il tempio di Salomone (distrutto nel 70 d.c.): qui, su una roccia che viene tutt'oggi conservata all'interno dell'edificio, Abramo offrì Isacco in sacrificio a Dio. Il sito è sacro ai musulmani poiché fu da qui che Maometto sarebbe asceso al cielo per ricevere i comandamenti divini. Benché la copertura sia stata rinnovata varie volte, la Cupola della Roccia - il secondo edificio sacro dell'islam dopo la Kaaba alla Mecca - si presenta ancora sostanzialmente com'era alla fine del VII secolo. Israele, Gerusalemme, Muro Occidentale (12 maggio, ore 10). L'Hakotel Hama'aravi, o Muro del Pianto, è l'unica parte superstite dell'antico Tempio di Gerusalemme, distrutto dai soldati romani nel 70 d.c. e mai più ricostruito: era una delle mura costruite da Erode per sorreggere l'enorme terrapieno, in parte artificiale, su cui sorgeva il Tempio vero e proprio. La sua distruzione ha segnato per il popolo d'israele l'inizio della diaspora e la perdita del luogo di culto che incarnava l'unità e la profondità del suo rapporto con Dio. Coloro che pregano in questo luogo lasciano tra le fessure delle pietre biglietti con le loro preghiere. Come fece, in una immagine passata alla storia, Giovanni Paolo II nella sua visita del Israele, Gerusalemme, Cenacolo (12 maggio ore 11.50). L'edificio, ora occupato da una Yeshiva (scuola religiosa ebraica), fino al 1948 apparteneva ai musulmani. Ma tra il 1335 e il 1551 fu il convento francescano del Monte Sion e sede originaria del Custode di Terra Santa. L'edificio detto "il Cenacolo" è l'ultima parte rimasta della chiesa bizantina e crociata della "Santa Sion", l'erede della primitiva comunità apostolica. La memoria dell'ultima Cena di Gesù e della Pentecoste (At 2,1-13) si venerano al piano superiore. Territori palestinesi, Betlemme, Grotta della Natività (13 maggio, ore 15.30). La grotta è sempre stata localizzata sotto la basilica, voluta da Costantino (IV sec.), con la quale comunicava mediante una, poi due scale. Le facciatine dei due ingressi risalgono al tempo dei Crociati. Sulle facciatine e sulle colonnette, numerosi graffiti di pellegrini in latino, italiano, arabo e armeno. La grotta è piuttosto buia. La rischiarano 48 lampade, 21 delle quali appartengono ai Latini. In basso, ai piedi dell'altare, la stella latina che ricorda la Natività. Israele, Nazareth, Grotta dell'annunciazione (14 maggio, ore 17). Da diversi scritti datati 570 d.c. si ha notizia di una chiesa costruita sul luogo stesso della casa di Maria. I francescani entrarono in possesso del santuario nel Nel 1730 edificarono una piccola chiesa che durò fino al 1954, quando il famoso archeologo padre Bellarmino Bagatti, condusse degli scavi per arrivare all'edificazione della basilica attuale progettata dal Muzio e inaugurata nel Qui sono racchiusi i resti della "Casa di Maria". Si ritiene che questa fosse costituita da una parte scavata nella roccia, la grotta, appunto, e da una parte in muratura. Quest'ultima non è più presente in loco: secondo la tradizione, fu trasportata nel

20 sec. XIII a Loreto, dove è conservata all'interno del Santuario della Santa Casa. Per la visita di Benedetto XVI verranno sospesi i lavori di consolidamento e restauro all'interno della grotta. Israele, Gerusalemme, Santo Sepolcro (15 maggio, ore 10.15). Situato all'interno della omonima basilica, nella città vecchia di Gerusalemme. Della tripartita basilica costantiniana rimane oggi solo la rotonda dell'anastasi. Il resto della costruzione è opera crociata (1141). I francescani officiano nella basilica dal XIV sec. insieme con diversi altri riti cristiani, dei diritti dei quali disposero a loro piacimento i sultani, prima del Cairo e poi (dal 1517) di Costantinopoli, fino al riconoscimento dello "statu quo" (1757 e 1852), l'ordinamento che ancora oggi regola la convivenza delle diverse comunità. SUD DEL MONDO La malattia negletta Ogni anno persone muoiono di leishmaniosi "Ciò che è lontano, ciò che non si vede, ciò che non ci disturba, non esiste. Così è per le malattie neglette e per la leishmaniosi in particolare". A parlare è Gianni Colotti, ricercatore all'istituto di biologia e patologia molecolari del Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche), che denuncia al SIR un "grave disinteresse" delle multinazionali farmaceutiche nei confronti di questa malattia della povertà che colpisce, soprattutto nei Paesi del Sud del mondo, circa 12 milioni di persone, con nuovi casi e morti ogni anno. La leishmaniosi è la seconda "malattia negletta", dopo la malaria. Nonostante la ricerca scientifica in materia stia facendo grandi passi in avanti per trovare dei farmaci più semplici e a basso costo (i costi dei farmaci attualmente vanno dai 100 ai dollari a dose), le ditte farmaceutiche non finanziano questi progetti perché non portano facili guadagni. Ma presto se ne dovranno occupare, perché con i cambiamenti climatici e l'avanzata della "linea del caldo" anche in Europa e in Nord America aumentano i casi anche tra noi. Cos'è la leishmaniosi e come si manifesta? "Si manifesta principalmente in due forme, quella cutanea e quella viscerale. Il parassita, un protozoo, è trasmesso da un insetto (il pappatacio, sand fly o mouche du sable), che usa il cane come serbatoio. Per cui se l'insetto morde un cane e poi un uomo gli trasmette la malattia. La malattia cutanea è data da morsi che non guariscono. Si manifesta con segni piuttosto evidenti e facili da identificare. Alcune persone vengono sfigurate in maniera orribile. Ma questa è la forma meno grave, che raramente porta alla morte. Normalmente si guarisce in maniera spontanea. La forma viscerale è più complessa. Si muore per diverse cause legate a danni al fegato, ai reni e al cuore. In Occidente difficilmente si muore perché la diagnosi e le cure sono più efficaci e le persone colpite possono pagare i farmaci". Come si diagnostica e si cura? "La diagnostica è tramite le analisi del sangue, alle quali i poveri accedono con difficoltà. Ma la cura non è facilissima. I farmaci vanno presi per iniezione, ripetutamente, e sono molto costosi. La cura più semplice è con l'antimonio, ma siccome è un veleno va somministrato sotto stretto controllo medico e in alcuni ceppi non funziona. L'obiettivo è trovare un farmaco che funzioni con una-due dosi". Quali sono i Paesi più colpiti? "I Paesi più colpiti in assoluto sono l'india (lo Stato del Bihar) e il Bangladesh. In particolare il sub-continente indiano, l'asia centrale, l'africa centro-orientale, il Centro e il Sud America. Ma la malattia si sta espandendo verso Nord a causa dei cambiamenti climatici e dell'aumento della temperatura media della terra. Fino a 20/30 anni fa l'europa era immune da questa malattia, che da noi colpisce solitamente solo i cani (8-25% di casi soprattutto al sud) invece ora comincia a colpire anche l'uomo. In Europa sono stati accertati centinaia di casi in Grecia, Italia (alcune decine, soprattutto tra i migranti africani) e Spagna, ultimamente anche in Francia e Germania. In Italia alcune decine". Una malattia della povertà estrema... "È una malattia fetente che colpisce dove c'è povertà e dove le conseguenze sociali sono peggiori. Le persone colpite diventano invalide a lungo e costituiscono un problema per la famiglia. Le donne vengono scarsamente curate. L'aggravante in questo periodo è che la leishmaniosi tende a colpire persone malate di Aids, perché già indebolite. Dove non c'è igiene, dove c'è fame e le condizioni di vita sono peggiori è più facile prendere la malattia ed è più difficile curarsi, soprattutto perché le cure costano. L'antimonio costa relativamente poco, ma ci sono altri farmaci carissimi. Ogni singolo trattamento costa dai 100 ai dollari". Perché non interessa alle case farmaceutiche? "Ovviamente le ditte farmaceutiche non sono interessate perché non ci guadagnano. Il problema è quindi l'accesso al farmaco. Sarebbe invece etica e necessaria almeno una diminuzione sostanziosa del prezzo del farmaco. In seconda battuta, i Paesi del Sud del mondo potrebbero e dovrebbero essere in grado - se non esistesse la tutela dei brevetti - di produrli in casa, ma le multinazionali farmaceutiche si oppongono perché non vogliono sprecare i loro brevetti senza

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