Un ritratto inedito di Neiwiller dalla Trilogia della Vita Inquieta

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1 documenti 66/67 Allegato al n. 66/67 di Teatri delle diversità giugno 2013 agosto 2014 durante l allestimento dello spettacolo Canaglie Un ritratto inedito di Neiwiller dalla Trilogia della Vita Inquieta Pagine di diario che irradiano nuova luce sulla profonda umanità dell artista, raccontando quello che accadeva prima o dopo le prove di Claudio Collovà * Ho conosciuto Antonio Neiwiller nel 1990, durante le prove e le repliche de I persiani diretto a Siracusa da Mario Martone. Lì ero stato assistente alla regia di Mario e avevo poi lavorato con Antonio nel coro muto, un coro bellissimo che per la prima volta in quel luogo faceva a meno delle parole. Antonio prese parte attiva alla regia lavorando con i suoi attori di sempre. Io mi unii a loro. Nei due anni successivi ho preso parte come attore a tre spettacoli ideati e diretti da Antonio Neiwiller tra il 1991 e il Il primo dedicato a Pier Paolo Pasolini si intitolava Dritto all inferno e debuttò a Volterra nel luglio del 1991, il secondo era uno studio dedicato a Tarkovskij che si intitolò Salvare dall oblio, andato in scena dopo una lunga residenza invernale a Erice per la Zattera di Babele, e l ultimo, quello a cui risalgono queste mie note dal diario di lavoro, dedicato al poeta russo Vladimir Maiakovskij, ebbe come titolo Canaglie. Tutti e tre gli spettacoli facevano parte della Trilogia della Vita Inquieta, un progetto del regista sulla poesia. Quest ultimo lavoro fu estremamente faticoso, sicuramente a causa della malattia di Antonio, che curò e guidò il lavoro fino alla prova generale di Napoli, alla Galleria Toledo. Lo spettacolo non ebbe repliche e non debuttò, se si esclude quell unica rappresentazione davanti a un pubblico. Ho un ricordo vivo di tutto il lavoro svolto sotto la guida di Antonio Neiwiller e in moltissime cose lo ritengo ancora oggi il mio maestro. Queste note sono personali, è probabile che differiscano dai quaderni dei miei compagni. Le parole di Antonio, le sue richieste e parte delle nostre conversazioni dopo le prove sono comunque qui riportate fedelmente. Ho voluto solo parlare e raccontare quello che ci dicevamo dopo o prima delle prove. Non riporto quello che accadeva a noi attori direttamente nel lavoro. Non racconto le prove, sia perché le ritengo riservate, sia perché credo che l esatta conoscenza dei nostri tentativi non sia utile. Dopo 22 anni, a venti anni dalla sua scomparsa, su invito di Vito Minoia, questi miei appunti prendono la luce, per la prima volta qui trascritti integralmente, e spero siano di qualche interesse per i lettori. Servono comunque a riportare ciò che accadde, o almeno ciò che accadde a me, al di là del giudizio critico o dell indagine artistica sull artista. Ometto le date del diario e tratto i materiali come il frutto di una lunga e unica sessione di lavoro. Oggi più che mai mi stupisce la complessità di certe affermazioni. PROCIDA febbraio 1992 \ maggio 1992 CANAGLIE dedicato a Vladimir Maiakovskij, uno spettacolo di Antonio Neiwiller con Antonio Neiwiller, Maurizio Bizzi, Salvatore Cantalupo, Antonello Cossia, Loredana Putignani, Andrea Renzi, Claudio Collovà, poi ci raggiungeranno Tonino Taiuti e Giulio Ceraldi, e poi Pasquale Mari (luci), Daghi Rondanini (suono), Lello Becchimansi (direzione tecnica), Angelo Curti (produzione Teatri Uniti). Infuso ai frutti di bosco per la nostra prima passeggiata nel giardino dei poeti. In fondo al giardino con la sua fontana senz acqua, un piccolo agrumeto selvatico, poi una piccola porta di legno, azzurra, il colore preferito dagli isolani. Tutto a Procida è colorato. La porta, galleggiante su un tratto di muro senza confini, si apre su un terrazzo e sul blu denso del mare. A sinistra il carcere, di fronte il vasto orizzonte. Abiteremo qui e qui proveremo da febbraio a maggio. Sul terrazzo verremo spesso a discutere nelle pause. Antonio ci parla della dimensione dello spazio. Il pubblico entrerà e tutto sarà aperto e ben visibile. Scena illuminata. A destra il sipario di Beuys. A sinistra, in fondo, un apertura. Da cui penetra una luce. Si allude a uno stanzino, che mi ricorda l ultimo nastro di Krapp. Spazio quasi vuoto, forse una sedia, un tavolino in fondo, s intravedono frammenti di una vita. Tutto è realistico, ma di un realismo povero e disarmante, così Antonio. Sulla parete in fondo verranno poggiati dei materiali chiari, e verranno proiettate le ombre. La luce proviene da qualche luogo, vive di vita propria fin dall inizio. La prima parte dello spettacolo avrà un alta intensità, poi cambi di direzione improvvisi, verso il metafisico e il visionario assoluto. Tutti noi saremo un corpo unico e potremo agire indifferentemente dovunque, su tutto lo spazio scenico. Maiakovskij lo vedo come una presenza indomabile, dice Antonio. Aggiunge: Lo sparo che lo uccide non ci deve atterrire. Si discute sulla morte del poeta, sulle morti dei poeti. Si discute della vita dei poeti. Naturalmente non è una discussione accanita. Ogni tanto qualcuno in mezzo a lunghi silenzi dice qualcosa. Maiakovskij dice: Che senso ha se solo io mi salvo? Elsa Morante dice: Maiakovskij è l ultimo poeta che ha potuto scrivere di propaganda credendoci. Quando ha finalmente capito che a nulla sarebbero valsi i suoi sforzi, si è ucciso. Antonio ci parla di sortite eccentriche e clownesche, le chiama così. Le chiama anche lacerazioni, perché agiscono come una terapia d urto, che tende essenzialmente a innovare e a modificare nel profondo il modo stesso di fare arte. Maiakovskij incontra venti anni dopo la sua morte i poeti compagni che hanno deciso di sopravvivere oltre lo sparo. Siamo tutti rinchiusi in un teatro. Nella storia spesso i poeti sono stati rinchiusi nei teatri. Che paradosso! Dunque il nostro teatro è abitato da queste figure. Noi dobbiamo lavorare al quotidiano in un luogo extra-quotidiano. La struttura viene governata da un ritmo I

2 CON NEIWILLER durante l allestimento dello spettacolo Canaglie Antonio si ricorda della chiesa di Tarkovskij, abitata da uomini, animali e cose. Niente deve avere la forma di una scenografia. Lo spazio nascerà da noi per accumulazione di cose, persone e vite private. E un momento necessario della nostra ricerca. Lo facciamo sempre. Partiamo da un realismo che sarà trasfigurato. La stanza di Pessoa è trasfigurata grazie alle azioni dei suoi abitanti. L Angelo sterminatore di Buñuel si svolge in un salotto. La porta in fondo e la luce fioca dello stanzino, sputano tutto quello che ci serve. Soprattutto un continuo riempimento e svuotamento della scena. Sul terrazzo, dopo le prove, azzeriamo spesso tutte le ipotesi precedenti. Siamo abituati al vuoto, direi, e non appena conquistiamo qualcosa, ci piace cominciare daccapo. Antonio dice che se una forma ha un centro, lui vorrebbe perdere sempre il centro a favore di un movimento continuo e incessante, che abbia un andamento magmatico, collettivo, molto articolato. Vuole che il movimento sia segno di una inquietudine. Siamo tutti poeti. Il rapporto tra noi è continuamente variabile. Lo spazio si riempie e si svuota. Possediamo geometrie rigide, ferree, e continuamente le sfaldiamo, come se una emorragia provocasse disequilibrio. Poi tutto si cheta, ritorniamo alla disposizione di base. Silenzio. Seduti sulle sedie, nella grande stanza delle prove, rimaniamo in attesa e in ascolto. Qualcuno si ritrae nel dietro. Lo sparo continua a esplodere. Nell ora d aria un gruppo di prigionieri cammina in cerchio. Io mi fermo a scrivere la sequenza di un racconto segreto che mai verrà mostrato. Un carcere speciale, una stanza ignota, Antonio chiama i nostri movimenti passi di danza. Trovo che sia una definizione molto bella. Usiamo occhiali illuminati, una scala che svanisce nel cielo, lo sparo, e il buio. Ci suggerisce di leggere le biografie dei poeti per pescare nella loro vita. Antonio vuole inserire nel nostro spettacolo il terzo quadro della Cimice (Klop), la scena del matrimonio, composta fra l ottobre e il dicembre 1928, durante un viaggio a Berlino e a Parigi. Commedia fantastica in nove quadri. Abbiamo provato a lungo ed è stato divertente e faticoso. Occorre un nostro racconto interno, nel quale poi inserire frammenti di teatro, ma Antonio non vuole assolutamente creare uno spettacolo che sia un montaggio di scene, brani e liriche di Maiakovskij. Tutti noi la pensiamo così. Canaglie avrà un prologo, una tragedia e un epilogo. Le parole di questa tragedia scivolano via passando per il cuore. Le palpebre si chiudono, la luce degli occhiali II ci acceca, ho bisogno di respirare. Lo sentiamo mormorare: Visualizzazione dell inquietudine. La scena della scala diviene struttura portante dello spettacolo. E una tensione verso l alto. La scala se ne sta lì al centro della scena e sparisce nel cielo. Ogni tanto una figura sale su e sparisce inghiottito dal nulla. Uomini del sottosuolo che si decidono a salire e scomparire per sempre. Anche a me piacerebbe fare questo ogni tanto nella vita. Uscire dal sottosuolo, salire su una scala e sparire. Antonio ci mostra La torretta di Licinskij, la nostra scala è parte dell immaginario del costruttivismo sovietico. Non invano I venti hanno soffiato Non invano Ha infuriato la tempesta Qualcuno, Misterioso, Di calma luce, Ha imbevuto i miei occhi (Esenin) Lavoriamo incessantemente a ciò che il pubblico vede chiaramente, nello spazio davanti, il nostro luogo diciamo di esposizione e lavoriamo senza sosta anche nel dietro, uno spazio che si intravede, così fondamentale per la creazione, dove spesso ci ritiriamo esausti. Antonio vuole scavare sulla relazione che lega questi due spazi. Ricordo che in Dritto all inferno amavamo comparire tutti sulla soglia e attendere lì in silenzio. C era questa bellissima visione per noi, un grande lenzuolo bianco pieno di petali di rosa che copriva una pedana di legno. Il nostro ricordo del funerale di Pasolini. Anche lui in fondo colpito da uno sparo. Il rapporto che potrebbe nascere tra il dietro e il davanti è un rapporto di gioco, di rappresentazione, dove è possibile per noi creare una forte dimensione di ilarità e leggerezza. In fondo, dice Antonio, questo è il muro della Storia. Oggi sul terrazzo dell Isola felice, Antonio ci ha parlato a lungo della direzione da prendere. Da un lato è tentato dal creare un opera enigmatica, oscura, non chiara. Dall altro lato è interessato alla rappresentazione di un mondo fatiscente, stupido, assillato, composto da scorie. Si è espresso proprio così. Far convivere entrambe le cose potrebbe essere interessante, ma non è convinto. Vuole prendere una direzione più decisa, che tende verso il componimento di un opera poetica. I poeti restano per lui comunque le uniche voci in grado di trattare l enigma del mondo. Più la poesia della filosofia, dice, che vede ancora dibattersi all interno di una disputa, di una serie infinita di contrapposizioni. Vorrebbe creare un opera di pura immaginazione, così ha detto, in cui l aspetto della maledizione è comunque ben raccontato dai versi di Maiakovskij, quasi un cronista nel trattare poeticamente gli aspetti quotidiani della realtà. Di fronte al mare di Procida, discutiamo delle Brigate Rosse, dell anarchia, dell anarcocomunismo, dell avanguardia storica, di Klee. Al ritorno in sala prove, Antonio va su e giù picchettando sulle pareti, con la sciarpa bordò avvitata al collo, il basco in testa, barba incolta e capelli lunghi, percorre chilometri lungo le pareti della stanza. Maurizio chiede: che facimmo Antò? Antonio risponde: Non lo so. Siamo abituati a questi lunghi silenzi in cui nulla sembra accadere. Scansione delle tematiche, delle direzioni: tema della Rivoluzione, Majakovskij, gli altri poeti suoi compagni. Di questi tre temi il primo, la Rivoluzione, è imprescindibile. Sia in Canaglie che nel progetto complessivo della Trilogia della vita inquieta. Un progetto sull utopia deve per forza passare attraverso la rivoluzione. Non era possibile in Pasolini che raccontava un mondo disperso, ormai inesistente. Non c è assolutamente in Tarkovskij che ha reso la visione la fonte del suo lavoro. esterno. Non è una voce fuori campo, bensì l esplosione della pallottola. La nostra vita verrà scandita dallo sparo che ha ucciso Maiakovskij. Antonio ricapitola sul terrazzo di Procida i materiali acquisiti: 1) gli uomini del sottosuolo con le parole di Majakovskij che hanno come riferimento la Rivoluzione. Essi sono un polo dialettico, una parte dell umanità che si è identificata con un evento. Degli ibernati, dice Antonio. Uomini proiettati nel futuro che parlano di un evento lontano, uomini dissepolti in questa nostra epoca impossibile. Spesso rimangono in silenzio, ma per nulla intimiditi; 2) le stelle. Vagano per il nostro spazio scenico. Una delle mutazioni dei poeti. Più che una immagine, spinge tutto verso una visione, una visionarietà che accettiamo di buon grado; 3) il movimento ascensionale sulla scala, ovvero la nostra tensione verso l alto; 4) i reduci, visti con i capelli rasati, immagine ciclica; 5) possibili citazioni, dal teatro di Majakovskij e altri; 6) perdita del centro, usato per evidenziare un nostro movimento continuo senza sosta; 7) musica, spesso bandistica e jazz, suonata e cantata dagli attori; Ipotesi di inizio spettacolo. La scena di giorno 23 è messa da parte definitivamente. INIZIO - spazio vuoto \ sipario aperto \ luce attivata \ solo Majakovskij in scena \ Andrea recita A piena voce \ impatto con i reduci \ apertura di una dialettica \ i reduci si coprono il volto con una mano e porgono al poeta un piatto bianco con un cucchiaio \ soldati ubriachi mandati \ dalla polizia, hanno sparato sulla folla... Scena ciclica - lavoriamo sull immagine della scala al centro della scena. Per favorire la Antonio Neiwiller in Quanto costa il ferro. Foto di Cesare Accetta III

3 dinamica si decide che la scala viene portata in scena ogni volta che un poeta decide di svanire nel cielo. Antonio vorrebbe creare uno spettacolo con una struttura libera. La sua è una presa di posizione che segna l andamento del lavoro nei giorni successivi. Antonio pensa a un continuo riempimento e svuotamento della scena. Dice di non volere imbrigliare le singole scene in una ragnatela di metafore. Oggi abbiamo improvvisato a lungo individualmente. Tutto era legato al teatro e l immaginario nostro su precisa richiesta di Antonio teneva conto del pubblico. Sono state improvvisazioni ed esibizioni allo stesso tempo. Antonio vuole lavorare sulla possibilità di tornare ciclicamente al vuoto. Una voluta interpretazione del coro. E la prima volta in due anni che sento Antonio pronunciare questa parola. Abbiamo letto come chi ha assistito ai fatti in tutta la loro violenza. Il congelamento di questa scena viene affidato alla sola dimensione della luce. Lei arriva e noi svaniamo. Bello svanire con la luce! Oggi siamo seduti attorno a un tavolo, beviamo caffè e fumiamo in ascolto di Evtušenko, Esenin, Achmatova, Pasternak, Blok. Si comincia a soffrire nello spazio di un salone rimediato in una casa. La stanza rimane una stanza, anche se grande. E per di più ci sono mobili addossati alle pareti. Occorre una sala prove, così Antonio. Sto parlando di un problema fondamentale. Il trasferimento in una geo-tenda nella parte est di Procida è stato rimandato di qualche giorno. In estate è adibita a discoteca, praticamente lavoreremo sulla pista. Abbiamo promesso di non toccare gli alcolici. Antonio vuole fare nascere la follia da un momento di apparente normalità, per esempio da un brindisi. E sopraggiunto in ognuno di noi un violento ricordo e da lì abbiamo fatto nascere la follia. Durante le prove Antonio ripete spesso di partire da ciò che ognuno ha, di mantenerlo vivo. Dopo le prove Antonio rimane a lungo in silenzio. E molto forte vederlo così assorto. Procida ci aiuta molto. È l isola felice, così la chiama Antonio. E ci piace molto cenare insieme. Sul terrazzo ora che è marzo andiamo dopo le prove, al tramonto. Unica avvertenza di oggi prima del lavoro: tentare di rendere vivi i vuoti. Determinare un luogo è molto pericoloso, può diventare una trappola. Un meccanismo semplice può risultare più complesso di una metafora. Antonio ci chiede una scansione puramente teatrale. L unica metafora è il teatro. Non si allude che al teatro. Non c è altro spazio. Nessun spazio che allude a qualcos altro dal teatro. Poeti in un teatro. Antonio fa un esempio: io esco dalla porta, attraverso la scena, scendo in sala, suono la batteria, e nel frattempo escono altri frammenti, altro materiale viene vomitato fuori. Non ho più paura, dice Antonio, voglio agire con coraggio, con libertà. Noi siamo tra i pochi a praticare l identità. Siamo noi, poi esibiamo qualcun altro, per lo spazio di un frammento, e torniamo ad essere noi. Proprio perché lavoriamo su questi passaggi, lo spazio della porta cessa di essere una scenografia. Da quella soglia non escono soltanto uomini con le parrucche, (ne indossiamo una l uno), ma anche personaggi esibiti con le parrucche e uomini senza, con la testa calva, in tutte le combinazioni possibili. Oggi ho lavorato su Chlébnikov: stava su una gamba, come una gru addormentata. Eterno vagabondo, girava sudicio, in panni rotti e sdruciti, scriveva su brandelli di carta che portava alla rinfusa dentro a una federa di cuscino, sacerdote capelluto dalla lunga criniera, incompreso, perseguitato più degli altri dal regime. Quando porgo il mio piatto allungando le braccia, alzo una gamba. Mi occorre forse molto? Una pagnotta E una stilla di latte. E questo cielo, E queste nuvole! Tre livelli di vuoto, a) totale silenzio della scena, vuoto assoluto b) vuoto con compresenze, vuoto parziale della scena. Per esempio la scena del funerale con la nostra musica c) vuoto amplificato dalla luce, compreso i bagliori dello specchio, il suo sfarfallìo. Questi tre livelli danno risalto sia alla nostra assenza che alla nostra presenza. Ne dobbiamo essere molto consapevoli. L evento del funerale di Majakovskij verrà agito nello spazio lontano, nel dietro della stanza, a definirlo così un luogo concreto, reale, in cui avviene parte della nostra vita. Inoltre amplifica il vuoto dello spazio davanti. Altro momento importante dello spettacolo è la pantomima o fiaba. Consideratela, dice Antonio, come un passaggio al silenzio. Dalla fiaba, ed è una ipotesi di montaggio, si svilupperà la follia. La fiaba assumerà così un senso di tentativo poetico destinato a fallire. Antonio ha trovato qualcosa che ha il valore della scena ciclica dell esodo in Dritto all Inferno. Partiamo dalla morte annunciata dallo sparo. Vuole fare accadere qualcosa di dissacrante. Le ipotesi banali e colte che si sono diffuse dappertutto sulla morte di Majakovskij, con la stessa logorrea dei personaggi inscenati dal poeta, possiedono una forte qualità dissacrante. Ed ecco una trasformazione: l esplosione dello sparo viene dilatato, a segnare non una morte, ma tutto ciò che uccidiamo. L evento reale (scena dello sparo, arrivo degli attori, sventolio di enormi bandiere rosse e funerale con brindisi) prende corpo nel dietro. Gli spari si susseguono per tutta la durata dello spettacolo per scandire una sorta di ritmo interno. Lavoriamo con felicità ai nostri commenti sulla morte di Majakovskij. Davvero esilarante! Quante idiozie si possono dire sulla morte di un poeta! Oggi tra l altro il coro ha preso una sua fisionomia e la scena della follia si è perfettamente integrata con le parole. Abbiamo tutti lavorato con una forte condizione interiore e questo ha permesso alle parole di risuonare con bellezza e disperazione. Ricorrono sempre le due parole chiave: condizione e dimensione. Antonio ha una precisa visione dell andamento dello spettacolo: una spirale trafitta da proiettili che esplodono. Antonio ci parla dell importanza di leggere le biografie dei poeti. Di essere consapevoli della loro vita. Ma lo scopo di questa richiesta è nobile. Un personaggio complesso lo può impersonare solo un uomo complesso, dice Antonio dopo le prove. Il processo dell interpretazione va avanti di pari passo con la scoperta della complessità umana. Io non voglio nessuna determinazione a priori, tutto avviene in prova, non voglio che niente di ciò che sappiamo della loro vita blocchi la nostra complessità. Antonio ci dice di non avere paura ad impersonare un poeta, ma per impersonare bisogna essere in possesso di una certa antropologia del poeta. Ha usato proprio questo termine. In effetti, leggendo le biografie dei poeti, si trovano molte cose in comune. Se prendessimo le esperienze che hanno in un certo modo condiviso, forse potremmo con coraggio affrontarle come nostre, senza la paura di essere dei narratori di frammenti altrui. In sintesi credo che Antonio ritenga fondamentale non partire dai personaggi, poiché quelle sono vite vissute. Vuole partire da noi attori e dalla nostra complessità umana. Qualcuno di noi oggi ha recitato con un linguaggio che con noi e il nostro lavoro c entra poco. Succede. Qualcuno chiama stelle questi minuscoli sputi? Majakovskij Sotto dettatura scriviamo le fasi dello spettacolo. La struttura dentro la quale tentare di rimanere liberi comunque. Le scene, come sempre succede, hanno titoli per noi chiari. Uomini del sottosuolo / Rivoluzione / Cronaca poetica / Forte dimensione del silenzio / Forte dimensione del suolo / Ciclo del buio / Ciclo della luce / I poeti (quelli che parlano un linguaggio che non appartiene al quotidiano)/ Follia / Via le parrucche, i cappelli, viene mostrato il cranio pelato / I poeti amici di Majakovskij / Commenti ciarpame lerciume (Majakovskij l ha ucciso Pasternack!) / Frammenti da La nuvola in calzoni / Favola / Trasfigurazione dell identità / Pantomima muta, molto colore. La scena rimane come descritta prima. Resta da definire la luce del dietro, la sorgente dietro il rosso del fondale. La luce tocca brutalmente una parete del teatro. I poeti futuristi entrano dal fondo della sala. Truccati come i nostri clown. Un segno che preannuncia la pantomima dell allegra brigata. Della pantomima non importa la progressione cronologica degli avvenimenti. Lo sparo fa la sua comparsa nella seconda parte dello spettacolo. Gli avvenimenti precipitano scanditi dallo sparo. Il funerale è nella parte finale. Due di noi arrivano dalla sala, altri dal dietro. Si crea un diverso livello di polarità, si attiva la rappresentazione dai due punti di vista. Il lavoro da giù serve a mantenere aperto un polo sempre, evitando le cesure delle scene. Il nostro avanzamento con il tentativo di porgere qualcosa, come parte della magia e della iniziazione che preannuncia la favola. Vino rosso sulla terrazza di Procida. E venuto a trovarci Steve Lacy. Da Kantor tiriamo fuori alcuni elementi su cui vale la pena riflettere. I costruttivisti per lui sono essenzialmente gli artisti dell avanguardia, così dice in Lezioni milanesi. Le avanguardie vengono assorbite dal mercato dell arte e vengono presto dichiarate antiquate e tramontate. Kantor sostiene che è bene prendere a cuore tutte le lezioni dell avanguardia, oggi più che mai. Le armi da usare sono ironia e provocazione, sì, ma prima di tutto scherno. Antonio dice che arriveremo al teatro attraverso le altre arti e non viceversa. Da alcuni giorni proviamo la scena della follia insieme alla scena degli uomini del sottosuolo. Ognuno di noi lavora a una dimensione silenziosa, priva di parole e poi a questo lavoro si applica il testo. Cerchiamo di annullare la distanza tra noi e il testo. Tale distacco, man mano che le prove vanno avanti, si riduce fino svelare una verità interpretativa. Antonio smonta tutto e torna al lavoro di Erice. Vuole esaltare ed approfondire il lavoro di Salvare dall oblio dell anno prima. Lo spettacolo è caricato come un carillon, finita la carica, finisce lo spettacolo. Salvare dall oblio era pervaso da una carica di ironia. Oh, mettetevi a ridere, ridoni! Oh, sorridete, ridoni! Che ridano di risa, che ridacchino ridevoli, Oh, sorridete ridellescamente. Oh, delle irriditrici surrisorie - il riso di riduli ridoni Oh, rideggia ridicolo, riso di ridanciani surridevoli. Risibile, risibile, Ridifica, deridi, ridúncoli, ridúncoli, Ridaccoli, ridaccoli. Oh, mettetevi a ridere, ridoni! Oh, sorridete, ridoni! (Chlébnikov) Scrivo la poesia Vladia, non sei morto invano. Ognuno di noi scrive una poesia dopo lo sparo che uccide Majakovskij. Non suonano tutte come poesie gentili. Alcune portano rabbia, alcune rancore. Ascoltiamo in silenzio la musica del funerale. È la Settima di Beethoven. Naturalmente funziona. Prove magmatiche. Un uomo entra. Compie un azione semplice. Esce. Così fino alla fine. Poi entriamo tutti. Un uomo compie un azione. Noi lo seguiamo con attenzione. Lo sostituiamo. Veniamo tutti guardati a nostra volta con attenzione. Aumenta la frequenza. All interno si crea un flusso che comincia a determinare le nostre azioni, sempre più collettive. Poi un canto. Il silenzio. Un rullo di tamburi. Qualcosa cresce, poi si ferma e svanisce. Qualcosa muore ancora prima di nascere. La scena della follia, il corale della rivoluzione, il canto, si nutrono di lunghe pause. A volte di pause brevissime. Siamo insieme. Per la prima volta, credo, per un tempo così lungo. Insieme. Fine delle prove. Inizio di Canaglie. La Settima di Beethoven. Sul fondo, nel teatro completamente vuoto, sette bandiere rosse che oscillano appena per un vento distante. Poi uno sparo, un primo colpo di pistola. Una fortissima penombra. Nebbia. Uno alla volta entriamo noi, staccati, IV V

4 Canaglie. Foto di Cesare Accetta del tutto soli. Il blues che abbiamo inventato parte dal buio. Dopo la mia canzone, viene avanti Andrea con il registratore in mano che dice: Che scena volete vedere? La uno, la due o la tre? Parte una scena da humour nero. Lavoriamo sotto la pioggia che picchia sulla Geotenda. Liberi da qualsiasi riferimento alla crudeltà degli avvenimenti. Il blues viene considerato come la giusta introduzione al gioco: lo pensiamo del tutto liberi dai limiti concettuali o da rigidi riferimenti. SPACCATURA - BLUES - DIMENSIONE DI APERTURA Le scene non devono essere pensate come sketch di breve durata, bensì qualcosa con un respiro molto più ampio, all interno del quale si dicono delle cose che a loro volta debbono riaprire tutto e creare nuove dimensioni. Il pubblico diviene nel gioco responsabile delle scelte. La lingua inventata è determinata dalla loro scelta. Antonio vorrebbe chiudere lo spettacolo per venerdì. Primo punto di intervento: la scena della palla di Salvatore è ancora poco sviluppata, non ancora completa, è un enigma senza corpo, ha detto Antonio. Insieme alla riserva ironica, l enigma ha il compito di recuperare la tragedia della storia. Occorre ritornare alla complessità che il materialismo di oggi ci ha tolto. Ironia, mistero, lotta di liberazione. Nessun elemento dovrebbe concludere l altro. Oggi abbiamo trovato qualcosa di importante. Una cerimonia di iniziazione che chiarisce a noi attori come procedere nell identità. Ricorda molto da vicino alcune cerimonie dell avanguardia. Adesso apparteniamo decisamente alla comunità dei poeti. Alla loro umanità. Trucco e decorazione. Una bevanda calda che fuma. Tutto inizia dallo spazio vuoto. Luogo abitato però. Lavoriamo molto con il suono. Ci piace molto il suono delle bandiere. Uomini che arrivano, presenze nel fondo non del tutto chiare, allusione a un corteo funebre che si forma e svanisce continuamente, fino al pezzo di Majakovskij incluso. Intanto uno di noi che era sparito in alto, in cima alla scala, dopo un certo tempo ridiscende con qualcosa in mano. Noi ci avviciniamo per guardare, ma quello apre il pugno e lo tira in cielo. Non siamo riusciti a vedere di cosa si trattava, La scena della palla finisce così. Dopo la prova della prima parte dello spettacolo, Antonio è deciso a trovare una dimensione diversa. Usa la parola levità. Cerchiamo inoltre un nuovo elemento ciclico, che possa ritornare come cesura tra le grandi scene. Antonio chiama queste cesure cicliche anelli piccoli con la funzione di collegare tra loro le scene grandi e compiute, che vengono definiti anelli grandi. Fino ad ora sembra chiaro a tutti di aver trovato un assetto approssimativamente ideale della prima parte. Dopo la discussione decidiamo che una possibile soluzione potrebbe essere affidare ai poeti una espressione totalmente diversa. Quasi uno squarcio improvviso basato sul colore. Ognuno di noi fornisce in prova una enorme quantità di immagini. Nulla sembra toccare Antonio. Ha una voce flebile, non riesce a lasciare il suo posto e ci guarda, ma sembra distante. Parla di un uomo meccanico che possa guidare tutto. Cerca ancora il senso della favola. Oggi è stato tutto davvero stancante. È evidente che Antonio non sta bene. Dopo il suo pezzo, di straziante bellezza, ha tirato fuori il suo registratore ed è scoppiato a ridere. C è oggi un grande silenzio. I materiali a nostra disposizione vengono montati con un ordine, poi un altro, poi smontato, differito. Gli uomini del sottosuolo, l immagine a cui forse teniamo di più, sono padroni di tutto- e agiamo come portatori di un ipotetico futuro. Scoprono il giardino dei poeti e decidono di abitarlo. Circo immaginario notturno. Si va avanti per numeri. Adesso la struttura fondamentale di Canaglie ci è chiara. La caduta di Antonio dà origine alla seconda parte dello spettacolo. Oggi mi è sembrato che ogni azione sia stata dedicata a lui. Da qualche giorno è evidente la sua fatica fisica. Le foto di Cesare Accetta L occhio attento che guarda lontano individua le forme nascoste, il chiarore negato, il pensiero dell autore ed il gesto dell attore, l angoscia e la felicità, la voce che si esalta inseguendo il segno del corpo che disegna lo spazio. Così inizia la motivazione che ha riconosciuto a Cesare Accetta il Premio della Associazione Nazionale dei Critici di Teatro, assegnatogli a Volterra il 23 luglio Tutte le immagini di questo inserto e la foto di copertina costituiscono materiale prezioso che ci permette di mantenere vivo il ricordo del lavoro di avanguardia di Antonio Neiwiller. Siamo venuti attraverso capitali Ci siamo aperti il passo tra le tundre Abbiamo marciato nel fango e nelle pozze (Vladimir Maiakovskij) E proprio così. Marciamo nel fango e nelle pozze. Beethoven \ Bandiere \ Sparo \ Ingresso \ Numero della palla \ Malevic \ Lacerazione \ Canto \ Loredana suona la marcia \ testo di Andrea \ Piatti \ Brindisi \ Follia \ Testo di Claudio \ Corale \ Film \ Testo di Antonio \ Coro. Doppio lavoro oggi. Antonio dice che si è creata in testa allo spettacolo una doppia dimensione. L ordine iniziale dovrebbe comprendere solo Beethoven e le bandiere. C è già un uomo sulla scala che toglie la bandiera, scende, avvolge la bandiera posandola a terra. Scopre di non essere solo. Il numero della Palla serve anche a chiarire la nostra identità di poeti. Inoltre è un elemento di leggerezza. La scena ispirata da MaleviČ invece serve sia a prendere una direzione misteriosa ed enigmatica che ad assicurare la ciclicità. Antonio dice che la scena della lacerazione è andata molto bene, anche la scena della follia è andata bene, ma occorre apportare delle correzioni. Dopo il circo notturno si va con sicurezza verso il finale. La parola passa a noi, artisti in scena. Antonio, usando le parole di MaleviČ, dice che dobbiamo possedere i materiali a nostra disposizione, come i marconisti posseggono l alfabeto morse. È una bellissima immagine perché i marconisti seppero assicurare la comunicazione della rivoluzione. Anche noi nello spettacolo comunichiamo in codice. Le parole usate dagli uomini del sottosuolo vengono pronunciate da una zona che Antonio definisce il laboratorio della resurrezione. Nella scena di apertura, quella del funerale, Antonio ci chiarisce che occorre lavorare a una ritualità non arcaica. Non deve avere il senso di un ritorno alle origini, bensì come rito che ogni artista compie per intraprendere il suo processo creativo. E un rito di preparazione soprattutto per noi, serve ad instaurare un rapporto di integrità ed interezza con quello che andremo a fare. Appartiene solo a noi artisti. Conservazione e rigenerazione allo stesso tempo. A questo proposito Antonio ci parla della figura di Stalker in Tarkovskij. Lì il rito appare in uno scenario di devastazione totale e il procedimento che lo Stalker adotta è molto particolare perché tende a nascondere qualcosa di molto occultato e nascosto. Dovrebbe avvenire in un luogo di confine in cui l incontro di due differenti gruppi di persone, specificherebbe il senso del loro arrivo, del loro ricongiungersi, del loro disporsi attorno a un oggetto caro all umanità. La risposta, dopo le bandiere, per il funerale, è questa: le bandiere non sventolano in chiave politica o sociale, ma in chiave enigmatica. Antonio insiste molto su questa nebbia che avvolge tutto e allontana per nostra scelta la chiarezza dello scopo. Difficoltà nel continuare lo spettacolo, dopo la prima parte. Antonio dice che la prima parte svela tutto in maniera eccessiva, bruciando le possibilità del resto. Dal teatrino in poi, prima la chiamavamo pantomima, non riusciamo a intravedere una via di uscita. Da un po di tempo in qua, Antonio brucia ogni conquista, rimette tutto in discussione, è perplesso su tutto. Abbiamo visto oggi le proiezioni del film muto sul telo, quando lo abbiamo tirato giù, sembrava che i personaggi del film si accartocciassero tra le nostre mani. E stato un momento davvero sorprendente. Quando abbiamo tirato il telo, abbiamo creato un vuoto intorno a noi che ci ha paralizzato. Come se avessimo interrotto tutto e non ci fosse nulla di così potente per farci tornare in vita ad agire. Nella prima mezz ora avvertiamo qualcosa di molto interessante, ma sentiamo il vuoto che generiamo come VI VII

5 un nemico. Quando il telo viene deposto, vengono deposte anche le immagini in esso contenute. Noi siamo seduti sulle sedie in fondo e mangiamo dai piatti bianchi. Il testo che Antonio recita contiene parole di incitamento e per noi è possibile attaccare con il circo notturno e i suoi numeri. Il circo oggi ci ha portato a una forma di caos, dice Antonio, mi è parso come uno strappo nel buio. Quindi era come se avanzassimo nel buio - è stato in quel momento che abbiamo indossato i nostri occhiali luminosi accompagnati da un esile suono di fisarmonica. Sipario. Domani lasciamo Procida per Napoli. Una settimana di prove in teatro, alla Galleria Toledo. E poi il debutto. Le prove di Napoli sono molto sofferte. Antonio sta sempre peggio, preso dalla debolezza. In teatro, di tanto in tanto, arriva qualche dottore a visitarlo. Lo spettacolo dipenderà solo dalla nostra intensità. Non facciamo altro che ripeterlo dall inizio alla fine e poi discutiamo a lungo sul senso di ogni cosa. Ci sentiamo molto responsabili per lo spettacolo, ma forse l unica cosa che vorremmo, è che Antonio stesse bene. Ormai non dice più nulla alla compagnia. Spesso lo vediamo seduto, assorto nei suoi pensieri, impossibilitato ad alzarsi. Cerchiamo di stare molto uniti ma non è facile. Non vogliamo accettare la gravità della cosa. Proviamo a lungo con caparbietà, abbracciandoci a lungo prima di ogni filata. Siamo anche noi molto provati e stanchi. Ma abbiamo totale fiducia in noi. Fa solo male vedere Antonio così indifeso. *Claudio Collovà, regista, direttore artistico del festival Orestiadi di Gibellina. Salvatore Cantalupo in Canaglie. Foto di Cesare Accetta VIII

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